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Agatha si rigirò nel letto tutta la notte, chiedendosi che fare. Una parte di lei spasimava per tornare a precipizio a Carsely e far preparare il cottage, andare dall’estetista, dal parrucchiere, e girare per negozi di abiti, per farsi trovare pronta all’arrivo di James. La parte razionale del suo cervello le diceva che sarebbe stata una perdita di tempo. Lei e James non sarebbero mai ridiventati amici.

Verso l’alba sprofondò all’improvviso in un sonno pesante e non si svegliò se non alle dieci del mattino dopo. Scese dal letto, meravigliandosi che la polizia non fosse venuta a tempestarle di colpi la porta. Si mise addosso una vestaglia e si trascinò in cucina.

Charles era seduto al tavolo, con i quotidiani aperti davanti.

“C’è qualcosa di interessante?” chiese Agatha.

“Oh, sì, ‘La Voce Radicale’. Prima pagina. Le fate di Fryfam.”

“Mioddio. Mi linceranno, in questo villaggio. Immaginavo che gli altri giornali sarebbero venuti a bussare alla porta.”

“Lo hanno fatto. Dormivi della grossa. Mi aspettavo l’assalto, quindi all’alba ho portato le nostre auto via da Fryfam, le ho nascoste in una strada fuori mano e poi non ho risposto quando hanno suonato alla porta. Ne hanno dedotto che io e te fossimo scappati.”

“Lo dovrei leggere?”

“La preziosa prosa di Gerry? No, meglio di no.”

“Lasciami vedere.” Agatha si sedette di fronte a lui e afferrò “La Voce Radicale”. La prima orrida visione che le balzò agli occhi fu una fotografia a colori di lei e Charles. Lui appariva elegante e divertito. Ma lei! La macchina fotografica aveva accentuato impietosamente ogni ruga sul viso di Agatha. “Ma quelli sono capelli grigi?” chiese, guardando con attenzione l’immagine.

“Hai qualche radice grigia,” disse Charles.

Agatha lesse l’articolo con costernazione crescente. Tutti gli abitanti del villaggio avrebbero avuto ben chiaro che era stata Agatha Raisin a spifferare la faccenda delle fate, parlandone in lungo e in largo. Adesso aveva davvero una valida scusa per tornarsene a casa.

“Mi linceranno,” disse. “E in ogni caso avevo intenzione di rientrare a Carsely. Meglio partire oggi.”

“James è di nuovo a casa?”

Agatha arrossì rabbiosamente. Gli occhi di Charles studiarono la sua faccia. “Ma lui sta tornando a casa. Ieri sera dopo la telefonata della signora Bloxby per un minuto hai avuto un’aria estatica e l’istante dopo eri irrequieta e infelice. Ne abbiamo già parlato. Una mia amica che aveva il tuo stesso problema si è rivolta a un bravo psicoterapeuta che sta in Harley Street.”

“Non ho nessunissimo problema.”

“Oh sì che ce l’hai. Sei una donna adulta ossessionata da un uomo algido. Prima di tornare a Carsely, cosa che non dovresti fare finché non abbiamo scoperto qualcosina in più su questo omicidio, dovresti innanzitutto prendere appuntamento con questo psicoterapeuta. Pensa solo come ti sentiresti libera se di James non ti importasse più, Agatha. Da quanto tempo non ti diverti più con lui? No, non mi sbraitare contro, senza ragionare. Pensa, invece!”

Agatha disse: “Non mi piacciono le prepotenze”.

“E non ti piacciono neppure i consigli sensati. Promettimi che almeno lo proverai, questo psicoterapeuta.”

“Qualunque cosa pur di chiuderti il becco. Dov’è la signora Jackson?”

“Le ho telefonato a casa e le ho detto di non presentarsi fino a domani.”

“Non possiamo restare nascosti qui tutto il giorno.”

“No, qui dietro c’è una stradina secondaria che ci consentirà di raggiungere a piedi le macchine, prendiamo la tua e andiamo a Norwich, dove tu andrai dal parrucchiere.”

“Va bene,” borbottò Agatha. “E adesso è meglio fare colazione.”

“Con colazione tu ovviamente intendi due tazze di caffè e tre sigarette. Il caffè è pronto nella caraffa e le tue sigarette sono sul tavolo.”

“Cosa accidenti dirà Hand a proposito delle fate? Mi rinfaccerà di avergli tenuta nascosta la faccenda.”

“Ma penso che la storia delle luci la sappia. Non credo proprio che Tolly si sia trattenuto dal parlargliene, quando Hand indagava sul furto dello Stubbs.”

La giornata era calma e nebbiosa, un paesaggio grigio e sognante. Uscirono controllando a destra e a sinistra per essere certi che nessun reporter fosse in agguato tra i cespugli. Charles aveva raccomandato ad Agatha di mettersi gli stivaloni di gomma e di portarsi dietro le scarpe, perché il percorso lungo il quale l’avrebbe condotta scavalcava con una scaletta una recinzione in fondo a vicolo dei Folletti e poi attraversava un campo di stoppie.

Scavalcarono una seconda recinzione e arrivarono al viottolo al termine del quale Charles aveva parcheggiato le auto. Agatha si cavò gli stivaloni infangati e si infilò le scarpe. Guidò lentamente nella nebbia, fino alla strada principale. “Non possiamo nasconderci per sempre,” disse.

“Lascia che passi ancora un giorno e non sarai più l’unica ad aver parlato delle fate. Scommetto che, se al ritorno guardiamo il telegiornale, vedremo davanti alle telecamere alcuni dei paesani che parlano allegramente del piccolo popolo. Mi stupisce sempre come la gente si rifiuti di parlare con i cronisti della carta stampata per poi spalancare le porte di casa ai giornalisti televisi.”

“Per prima cosa a Norwich andremo a pranzo,” disse Agatha, “e poi ti intratterrai da solo mentre io mi cerco un parrucchiere.”

Charles aspettava accanto all’auto di Agatha, in un parcheggio di Norwich. Avevano fissato di trovarsi lì alle cinque. La nebbia si era alzata e splendeva il sole del tardo pomeriggio. Poi vide Agatha venirgli incontro e sorrise. La sua chioma folta era tornata a essere di un castano lucido. La faccia era stata truccata da mani esperte. Aveva indosso un completo nuovo, giacca e gonna in un soffice tweed nei colori dell’erica. Le belle gambe erano avvolte in calze velate, che finivano in un paio di nuove scarpe décolleté. Agatha non sarà mai una bellezza, rifletté Charles, ma porta con sé una forte aura di magnetismo sessuale del quale lei è del tutto ignara.

“Ti sei data una bella ripulita,” disse. “Vediamo se riusciamo a tornare in tempo per le notizie delle sei.”

“Ma devo per forza guadare di nuovo quel campo fangoso?”

“No, ormai per i giornali è passata l’ora della chiusura e i cronisti saranno tutti al pub. Portami alla macchina e poi ce ne torniamo a casa con la mia e con la tua.”

Agatha moriva dalla voglia di ritelefonare alla signora Bloxby, per farsi dire di più in merito al ritorno di James. Ma il cottage era piccolo e Charles l’avrebbe sentita e avrebbe ricominciato a darle il tormento perché andasse dallo psicologo.

Agatha quella sera indugiò nella vasca da bagno, si spalmò di crema la faccia, si mise addosso la camicia da notte e andò in camera sua. Charles era coricato sul letto di Agatha con le mani intrecciate dietro la nuca.

“Cosa ci fai qui?” chiese Agatha.

“Pensavo che potremmo…”

“No. Non se ne parla.”

“Ma nemmeno due coccole?”

“No.”

Charles sospirò e buttò giù le gambe dal letto, poi si diresse alla porta. “Ti risparmi per James?” la schernì.

“Vattene, e basta!” gridò Agatha sbattendogli la porta alle spalle.

In passato era andata a letto con Charles, e solo per scoprire che lui il giorno dopo se n’era andato in giro a intortare altre femmine. Agatha si infilò sotto le coperte e rimase a fissare il soffitto. Per distogliere la mente dall’imminente ritorno di James, cominciò a rimuginare sui dettagli dell’omicidio di Tolly a lei noti, e più ci pensava, più la cosa pareva strana. Cominciò a pensare che il furto dello Stubbs potesse non avere nulla a che fare con l’assassinio. Lucy era l’unica sospetta. Agatha era certa che Lucy stesse dicendo la verità quando parlava della presunta infedeltà di Tolly. Su cosa si basava il sospetto? Sul profumo di rose e sul fatto che Tolly avesse lavato le lenzuola. Però Rosie Wilden Agatha era sicura anche di questo non aveva mentito. Quel profumo di rose, in ogni caso, poteva essere usato da chiunque.

La cosa migliore da farsi era aspettare che le acque si calmassero e poi cercare di parlare con Lucy. Charles aveva avuto ragione su un punto: il notiziario televisivo serale aveva mostrato molti paesani, Harriet inclusa, che confermavano la presenza delle fate.

L’indomani Agatha cominciò a chiedersi se le acque si sarebbero mai calmate. E la settimana successiva il villaggio di Fryfam si trovò quasi sotto assedio. “È colpa sua,” gridò Polly ad Agatha quando le due si incontrarono nel parco comunale. Per via delle fate erano calati in massa sul villaggio non solo i turisti, ma anche una serie di spostati. E poi arrivarono gli zingari New Age, quel flagello delle campagne, con i loro cagnacci feroci e i bambini sudici, le roulotte malconce e i camion accampati nel parco comunale. Finalmente furono allontanati dalla polizia e partirono in una nebbiolina di gas di scarico, lasciando il parco ridotto a una discarica e il laghetto vuoto di anatre perché se le erano mangiate tutte.

Fu quindi con una certa sorpresa che Agatha aprì la porta un mattino e si trovò davanti Harriet e Polly.

“Posso esservi d’aiuto?” chiese nervosamente.

“Sì, può,” disse Polly. “Stiamo organizzando una pulizia collettiva del parco comunale.” Porse ad Agatha un rotolo di sacchi dell’immondizia.

Lieta di non essere più ostracizzata, Agatha accettò. Gridò a Charles che venisse a dare una mano anche lui ma sembrava che fosse stato colto da sordità improvvisa perché le sue chiamate non ebbero risposta. Agatha andò con Harriet e Polly. “Mi dispiace per la faccenda delle fate,” disse Agatha. “Mi è scappato senza pensarci.”

“Insomma, lei non è più la colpevole, a quanto pare nel villaggio tutti si sono messi davanti a una telecamera a blaterare di fate,” disse Polly, acida perché nessuno l’aveva interpellata in proposito. “La signora Jackson è venuta a fare le pulizie?”

“Non ancora,” disse Agatha. “L’abbiamo convocata al lavoro più volte ma dice sempre di stare poco bene. Qualcuno per caso ha visto Lucy?”

Entrambe scossero la testa. “Abbiamo sentito dire che è su al maniero, e che gli avvocati sono andati da lei,” disse Polly. “E la polizia non si schioda da lì.”

“Oh, santi numi,” commentò Agatha, quando ebbero modo di constatare lo scempio del parco comunale.

“E non è tutto,” disse Harriet, con cupo godimento. “Quegli zingari seccanti hanno usato lo stagno come gabinetto, quindi abbiamo chiamato qualcuno del Dipartimento ambientale che ci consigli come depurare al meglio le acque.”

Accanto a loro erano all’opera parecchi altri abitanti di Fryfam. “Questa è tutta colpa di quella Lucy Trumpington-James,” si lagnò con Agatha una campagnola corpulenta. Agatha smise di raccattare immondizia e si tirò su. “Come sarebbe?” chiese.

“Se non avesse ammazzato suo marito, questi zozzoni non sarebbero venuti qui.”

“Ma Lucy era a Londra.”

“Così dicono, ma non bisogna mica crederci.”

“Tolly Trumpington-James aveva per caso una relazione con qualche donna?” chiese Agatha.

“Perché non avrebbe dovuto?” ribatté la donna, con le mani arrossate posate sui fianchi possenti. “Non era un gran divertimento essere sposato con quella là.”

“E allora con chi ce l’aveva, questa relazione?” chiese avidamente Agatha.

“Io non ho detto niente,” la rimbeccò rabbiosamente la donna e si allontanò alla svelta verso un’altra parte del parco.

Devo scoprire qualcosa di più, pensò Agatha. Gridò a Polly e Harriet, che erano state raggiunte da Carrie: “Quando siete pronte per una pausa, possiamo andare a casa mia a berci un caffè”.

“D’accordo,” disse Harriet. “Glielo faremo sapere.”

Agatha si stava giusto domandando se sarebbe mai più riuscita a camminare dritta quando Harriet gridò: “Adesso quel caffè non ci dispiacerebbe”.

Agatha si tirò su con un gemito. Le doleva la schiena. Le dita erano intirizzite perché la giornata era gelida.

Quando furono tutte sedute al tavolo di cucina di Charles continuava a non esserci neppure l’ombra –, Agatha disse: “Una tizia lì al parco mi ha detto che Tolly aveva una tresca”.

“E chi sarebbe costei?” si chiese Harriet. “Insomma, chi le ha detto questa cosa?”

“Un donnone grasso, guance rosse, capelli grigi crespi.”

“Oh, immagino fosse Daisy Brean. Mi chiedo di che stesse cianciando. Non ho mai sentito parlare di relazioni amorose di Tolly. Insomma, chi mai se lo sarebbe preso, Tolly?”

“Potremmo chiedere un po’ in giro,” propose Agatha. “Se quella donna sa qualcosa, magari ne è al corrente anche qualcun altro. E questo significherebbe che magari c’era in giro un marito furibondo intenzionato a liberarsi di Tolly.”

“L’altro giorno ho incontrato Charles,” disse Carrie, “e mi ha invitata a bere qualcosa. Ha detto che lei, Agatha, aveva intenzione di partire tra poco ma che lui magari si tratterrà qui.”

Agatha si rese conto di essere riuscita a tenere James fuori dai suoi pensieri per oltre una settimana.

Lei e Charles avevano giocato interminabili partite a Scarabeo, erano stati al cinema a Norwich, erano andati a fare shopping e si erano tenuti il più possibile alla larga dagli abitanti del villaggio. Charles aveva detto che sarebbe stato meglio restare a distanza di sicurezza finché le acque non si fossero calmate e la stampa fosse passata ad altre storie più succose. E allora quando si era visto con Carrie? Poi le venne in mente; a un certo punto lei aveva deciso di lavarsi i capelli e farsi la messa in piega e Charles aveva annunciato che sarebbe uscito a fare una passeggiata. Carrie era snella e attraente. Al diavolo Charles, e c’era da ringraziare Dio di non esserci andata a letto. Adesso Agatha era intenzionata a rimanere. Se Fryfam riusciva a tenere James fuori dai suoi pensieri, allora valeva la pena di trattenersi per un po’. Le bruciava ancora che Charles le avesse consigliato di andare in psicoterapia.

“Starò qui ancora per qualche tempo,” disse Agatha. “Tra l’altro, mi piace quel profumo di rose che usa Rosie Wilden. È un prodotto commerciale?”

“No, se lo produce in casa.”

“Ne vende?”

“Penso che gliene darà un flacone, basta chiederglielo. Dice che si tratta di una vecchia ricetta,” disse Carrie. “E adesso immagino che per me sia ora di andare.”

Si alzarono anche le altre. E mentre Agatha le accompagnava alla porta, Charles ricomparve.

“E adesso?” chiese Agatha.

“Mangiamo qualcosa e poi andiamo al maniero a porgere le nostre condoglianze a Lucy.”

“Io sono stufa di dover provvedere ai pasti,” disse Agatha, con rabbia.

“Non mi pare che tu ti affatichi troppo. Ti limiti a sbattere delle cose nel microonde. Fammi vedere che cosa abbiamo. Preparerò qualcosa. Vediamo. Uova, bacon, salsicce. Può andare. Faccio una bella padellata.”

“Non ho alcun timore per la mia linea,” disse Agatha. “Devo aver perso chili su chili a furia di tirare su immondizia.”

“Siediti pure intanto che io friggo.”

“Di solito sei così casalingo?”

“Solo quando sono con te. Mi ci sento costretto.”

Dopo pranzo si diressero al maniero, con Agatha che si rifiutò di andarci a piedi, sostenendo che il freddo già patito quel giorno bastava e avanzava. La notte c’era stata una gelata, e al suolo c’erano ancora distese di brina non sciolta.

“Se qualcuno mi verrà a parlare di riscaldamento globale vomiterò,” borbottò Agatha. “È stata anche un’estate schifosa.”

“Il resto del mondo è andato arrosto,” disse Charles. “Eccoci. Via libera. Non ci sono poliziotti di guardia.”

Risalirono il viale di accesso. Sembrava tutto molto tranquillo.

Charles suonò il campanello. Aspettarono per quello che parve un tempo assai lungo, finché dall’altra parte non arrivò la voce di Lucy. “Chi è?”

“Charles Fraith e Agatha Raisin.”

La porta si aprì. “Pensavo potesse essere la stampa,” disse Lucy. “Entrate.”

La seguirono in soggiorno. Lucy aveva addosso un completo pantalone in seta ed era truccatissima, come se fosse in procinto di andare in televisione.

“Ci è spiaciuto molto sapere della morte di Tolly,” disse Agatha.

“Davvero?” Lucy inarcò le sopracciglia sottili. “Lo conoscevate appena.”

Seguì un silenzio imbarazzato. Poi Agatha disse: “Ha idea di chi potrebbe aver ucciso suo marito?”.

“No,” disse Lucy, con aria improvvisamente esausta.

“Ma mi aveva chiesto di scoprire se Tolly avesse una relazione.”

“Le ho chiesto questo?”

“Sì,” disse Agatha con rabbia. “Lei pensava che suo marito avesse una tresca con Rosie Wilden. Non ricorda? Tutta la storia del profumo di rose in camera da letto e il fatto che Tolly avesse lavato le lenzuola?”

“Oh, quella.”

Ci fu silenzio.

“E allora?” incalzò Charles.

“Allora cosa? Oh, capisco. Non mi pare che abbia molta importanza.”

“Ma non capisce,” disse Agatha, con impeto, “che se Tolly aveva una relazione, l’assassinio potrebbe essere opera di un marito geloso?”

“Rosie non ha marito.”

“Non è detto che si tratti di lei. Magari quel profumo lo dà alle persone che glielo chiedono.”

“La verità è che questa cosa mi ha così sconvolta,” disse Lucy, “che non sono stata in grado di riflettere chiaramente. In effetti la vostra è un’idea sensata.”

“Non ha parlato alla polizia dei suoi sospetti?” chiese Charles.

“Con quelli! Quel tizio, Hand, ha continuato a insistere come se fossi stata io. Ho dovuto concentrarmi per restare fedele al mio alibi.”

Agatha avrebbe voluto chiedere a Lucy perché mai la signora Jackson avesse detto che lei e Tolly avevano scherzato sui sospetti d’infedeltà e perché avessero preso in giro lei, Agatha. Ma Lucy magari si sarebbe irrigidita. E c’era ancora la speranza di cavare qualche pettegolezzo dalla signora Jackson; certo, se mai si fosse presentata a fare le pulizie.

“Tolly aveva mai mostrato un debole per qualche donna?”

“A parte Rosie, no. Faceva il lecchino con le mogli durante gli eventi legati alla caccia, si appiccicava a quelle di cui voleva ingraziarsi i mariti.”

“Come chi, per esempio?” domandò Charles.

“Oh, come quella vecchia befana, la signora Findlay.”

“La moglie del capitano Findlay?”

“Sì, lei. Io la chiamo la sposa maltrattata. Trema ogni volta che il marito la guarda. Probabilmente lui la picchia.”

“E la polizia non ha idea di dove sia andato a finire lo Stubbs?”

“No, nessuna. È probabile che ricompaia in casa di qualche riccone in Sudamerica.”

“Se non ho capito male lei eredita tutto,” disse Charles.

“Sì.”

“Buoni avvocati?”

“Vecchio stampo e affidabili. Tomley e Barks di Norwich.”

“Tomley,” disse Charles. “C’era un Tristan Tomley in classe mia a Eton, e veniva da queste parti.”

“Potrebbe essere,” disse Lucy con scarso interesse.

“E adesso cosa farà?” chiese Agatha.

Per la prima volta Lucy parve animarsi. “Venderò questa casa e andrò a stare a Londra. Grazie a Dio questo posto e i terreni hanno un certo valore. Tolly non ha lasciato molto altro. Quelle maledette partite di caccia devono averlo dissanguato. Non voglio più vedere un solo cavallo o un solo segugio in vita mia.”

“Faremo tutto il possibile per aiutarla,” disse Agatha.

Lucy scrollò leggermente le spalle. “Non vedo che cosa possiate fare. Ma in ogni caso grazie. Mi dispiace di non avervi offerto nulla, ma al momento sono un po’ presa, dunque…”

Agatha e Charles si alzarono. “La strada la trovate da voi?” Lucy rimase seduta.

Dissero arrivederci, uscirono e tornarono alla macchina.

“E adesso?” chiese Agatha.

“Gli avvocati a Norwich.”

“Non ci diranno un bel nulla.”

“Magari sì ovvero, se quel Tomley che dà il nome allo studio è proprio il mio compagno di scuola.”

La città di Norwich era avvolta nella foschia che si stava lentamente addensando in nebbia. “Spero che non diventi peggio di così o saremo costretti a fermarci qui, stanotte,” disse Charles. “Sai, le fate sono scomparse. Niente più furtarelli.”

“È vero. Pensi che qualcuno andasse in giro a rubacchiare e a far svolazzare lucine per terrorizzare tutti sviando l’attenzione, quando in realtà fin dall’inizio intendeva portare via lo Stubbs?”

“Potrebbe essere. Ma c’è qualcosa, in quei furtarelli, che mi puzza di opera di bambini. Non abbiamo mai visto i figli della signora Jackson, a parte il giardiniere.”

“E quello è un bel mistero,” disse Agatha mentre Charles si infilava nel parcheggio. “Come diamine ha fatto una donna del genere a sposarsi due volte?”

De gustibus.” Charles lanciò ad Agatha un’occhiata maligna. “Vero, Aggie?”

“Piantala di chiamarmi Aggie e andiamo a cercare questo avvocato.”

Lo studio legale era all’interno di un gradevole edificio in pietra del Cinquecento, in un cortile dietro Lower Goat Lane. “Auguriamoci che sia il Tomley che conoscevo, e che sia in studio, e non in tribunale,” disse Charles.

Consegnò il suo biglietto da visita a una segretaria dall’aria materna. La donna sorrise ad Agatha e Charles, disse loro di attendere, mentre lei sarebbe andata a vedere se il signor Tomley era disponibile.

Si accomodarono in accoglienti poltrone in pelle davanti a un tavolino basso coperto di riviste patinate.

La segretaria tornò, sorrise di nuovo e annunciò: “Il signor Tomley è impegnato al telefono. Potete aspettare? Dovrebbe essere libero a momenti”.

Agatha prese una rivista di case di campagna e la sfogliò. Lo studio era molto silenzioso, il cortile lo proteggeva dai rumori del traffico. Le palpebre cominciarono a calare e ben presto Agatha si addormentò.

Si svegliò di soprassalto mezz’ora dopo. Charles la stava scrollando per le spalle. “Andiamo, Aggie. Stiamo uscendo a bere qualcosa. Questo è Tommers.”

Agatha si alzò sbattendo stancamente le palpebre e poi mise a fuoco lo sguardo su un uomo grassoccio e ben vestito, con la faccia rossa e lustra e una folta chioma grigia. “Avresti dovuto svegliarmi, Charles,” recriminò.

“Non ti sei persa nulla,” disse allegramente Charles, “e poi sei così bella quando dormi, e russi con dolcezza e con la bocca spalancata.”

“E tu nel sonno fai dei rumori che sembri un cane a caccia di conigli. Lanci urla di guerra e ti scuoti tutto,” disse Agatha, con astio.

Poi arrossì nel notare come Tristan Tomley li stesse studiando entrambi con occhi che brillavano curiosi.

“Andiamo,” disse Charles, con buonumore inossidabile. “Dove è il pub, Tommers?”

“Dietro l’angolo. La Capra e il Cavolo.”

Quando uscirono nell’aria gelida e nebbiosa, Tommers disse: “Dubito che voi due riuscirete a rientrare, stasera. C’è un nebbione. Me lo sento nelle ossa, sarà un inverno duro”.

Il pub era relativamente tranquillo. Si portarono i bicchieri a un tavolo d’angolo. “Allora, Charles,” disse Tommers, “qual buon vento ti ha portato qui? Non avrai fatto tutta questa strada per ricordare insieme i giorni di scuola?”

“No, ecco. Vedi, sono ospite di Agg… Agatha a Fryfam.”

“A-ha. L’omicidio Trumpington-James. Perché vi interessa?”

“Ci piace risolvere i misteri,” disse Charles. “Volevamo chiederti del testamento.”

“Ve ne posso parlare senza problemi. È tutto chiaro. La moglie è l’unica erede.”

Agatha ebbe in quel momento ciò che le parve un lampo di intelligenza. “A-ha,” disse, con gli occhietti ursini puntati dritti in quelli dell’avvocato. “Ma che mi dice dell’altro testamento?”

“Quale altro testamento?”

Agatha si sporse avidamente in avanti. “Quello che Tolly stava minacciando di scrivere appena prima di essere assassinato. Quello in cui escludeva la moglie e lasciava i soldi a… qualcun altro!”

Tommers la studiò divertito. “Intende dire come succede nei libri?” Scoppiò a ridere. “Niente di così sinistro. Un solo testamento e nessuna minaccia di escludere la moglie. Ma insomma, Charles, te lo ricordi il vecchio Stuffy?”

Agatha sprofondò nella tetraggine via via che le reminiscenze affioravano. Un viaggio per nulla! Finire in un posto pieno di gelo e di nebbia e solo per sentirsi ridicolizzati.

Alla fine, dopo quella che parve un’eternità, Tommers annunciò che per lui era ora di tornare a casa. “Vi inviterei,” disse, “ma mia suocera abita con noi ed è una tipa un po’ irritabile, per usare un eufemismo.”

Dopo che Tommers se ne fu andato, Charles disse: “Ma davvero pensavi che ci potesse essere un altro testamento?”.

“Speravo che Tolly lo avesse minacciato, o addirittura che ci fosse una donna misteriosa che ereditava qualcosa grazie al vero testamento. E adesso mi sento una stupida.”

“Devo ammettere di aver nutrito la stessa speranza. E quindi cosa vuoi fare? Ci cerchiamo un albergo?”

“Facciamo almeno un tentativo di tornare. Possiamo sempre fermarci da qualche parte lungo la strada. In effetti potremmo almeno cenare. Non mi piace l’idea di lasciare i gatti da soli. Hanno le ciotole piene di acqua e crocchette, però saranno in pensiero per me.”

“Sono convinto che Hodge e Boswell si intrattengono fra loro, Aggie.”

“Ma il cottage è freddo.”

“E allora te li ritroverai sotto il piumone.”

Agatha afferrò il braccio di Charles. “Guarda!”

“Guarda cosa?”

“Oh, è andata.”

“Di che stai parlando?”

“Era lì in fondo alla strada, proprio davanti alla vetrina di quel negozio,” disse Agatha. “Mi pare di aver visto la moglie del capitano, Lizzie Findlay.”

“E allora che c’è di tanto eccitante?”

“Sembrava diversa, era tutta in tiro, tacchi alti, completo pantalone e trucco.”

“E come hai fatto a vedere qualcosa con questa nebbia?”

“La nebbia si è aperta per un attimo e la vetrina del negozio è molto illuminata. È passato un autobus e ha smosso la nebbia. Probabilmente non era Lizzie Findlay. Era una che somigliava a come sarebbe quella donna se si tenesse un po’ meglio. Forse ho le visioni perché non vorrei che questa gita fredda e spiacevole andasse completamente sprecata. E accidenti, sono in pensiero per quei gatti.”

L’ora di punta si stava avvicinando. Charles si immise cautamente in una carreggiata. “Forse dovremmo fermarci a mangiare un boccone,” disse, “magari dopo troveremo meno traffico.”

“Fermati dove ti pare,” disse Agatha. “E accendi il riscaldamento. Sto morendo di freddo.”

Come uscirono da Norwich, il traffico dei pendolari si fece meno intenso, e la campagna circostante più buia e nebbiosa. “Ho bisogno di una pausa,” borbottò Charles. “Più avanti c’è un edificio illuminato, ma con questa nebbia non capisco se sia una fabbrica o un pub. Ah, un pub.”

Svoltò a destra in un parcheggio. Scese dalla macchina e sollevò un dito. “Penso che si sia alzata un po’ di brezza, Aggie. Un filo d’aria, appena appena. Come sono le previsioni del tempo?”

“Non lo so.”

“Oh, va bene, andiamo a vedere cosa possono darci da mangiare.”

Il pub, si scoprì poi, aveva una piccola sala da pranzo. Il cibo era del genere pollo-nel-cestino, scampi-nel-cestino, insieme a vari tipi di tramezzini e patate al forno con diversi ripieni.

Ordinarono entrambi pollo e patatine. Il pollo era tiglioso e asciutto, e impanato con briciole arancioni, e le patatine erano quelle surgelate, pessime. Ma il cibo è cibo. Lo buttarono giù con acqua minerale, perché Charles disse che non voleva essere fermato per aver superato il tasso alcolemico consentito, e dato che lui non poteva bere non vedeva perché mai Agatha dovesse avere quel piacere. “E oltretutto,” disse, “le persone che bevono da sole sono terribilmente sospette.”

Mangiarono in silenzio. Con grande stupore di Agatha, Charles pagò il conto. Fuori la nebbia era più fitta che mai. “Non mi pare ci siano molte speranze di riuscire a tornare indietro,” commentò Charles mentre attorno a loro turbinavano banchi umidi. “Dovremmo tentare di rientrare a Norwich e passare la notte lì.”

“Guiderò io,” disse Agatha, tetra. “I miei gatti.”

“Ma al diavolo quei gattacci malefici,” disse Charles, in un raro sbotto di malumore. “Ti stai trasformando in una vecchia zitella.”

“Mi sto trasformando in un essere umano attento,” lo rimbeccò Agatha. “Cosa che certo non si può dire di te.”

“Sali in macchina. Farò del mio meglio.”

“E dove sarebbe quel tuo prezioso vento?” chiese Agatha, allacciandosi la cintura di sicurezza.

“Lo sa Dio. Bene, addentriamoci nel nero nulla del Norfolk.”

Viaggiarono a una velocità costante di trenta miglia all’ora.

“Non puoi andare più forte?” si lagnò Agatha.

“No. Chiudi il becco.”

Dopo un bel po’ di miglia, Charles disse: “Il vento finalmente sta cominciando a soffiare, però al momento peggiora addirittura le cose”.

Alla luce dei fari danzavano davanti agli occhi stanchi di Charles bizzarre colonne di fumo, simili a spettri grigi. L’auto raggiunse la sommità di una collinetta e all’improvviso Charles e Agatha si ritrovarono in una notte limpida e stellata.

“Incredibile,” borbottò Charles, accelerando.

Alla fine raggiunsero Fryfam e svoltarono in vicolo dei Folletti. “Direi che abbiamo bisogno di una bella dose di brandy,” dichiarò Charles, parcheggiando lungo la siepe. Agatha pescò nella borsetta l’enorme chiave di casa.

Sulla soglia si inchiodò di botto. “Charles,” disse, “la porta è aperta. L’abbiamo lasciata così?”

“Certo che no. Non entrare, Aggie. Magari c’è ancora qualcuno, lì dentro. Ho detto di non andare… “

Ma al grido di “I miei gatti!” Agatha si era precipitata dentro.

Poi Charles udì l’urlo sbigottito di Agatha e le corse dietro. Agatha era in sala. Era tutto all’aria. I cassetti della scrivania pendevano, spalancati. “Hodge e Boswell?” esalò Agatha con labbra esangui.

“Aspetta qui. Vado a vedere di sopra.”

Charles salì al primo piano ed entrò nelle due stanze da letto. Qualcuno aveva frugato in entrambe.

Tornò giù. “Telefono alla polizia. Dove stai andando, tu?”

“A cercare i gatti.”

Agatha entrò in cucina. Mobili della dispensa spalancati, cassetti aperti. Che cosa stavano cercando?

Andò in giardino, chiamando disperatamente i suoi gatti. Ma nessun paio di occhi verdi scintillò nell’oscurità per darle il benvenuto.

Cercò palmo a palmo, finché Charles non le arrivò alle spalle. “La polizia è qui, Aggie. Sono certo che i gatti stanno bene. Hanno grandi capacità di sopravvivenza. Vieni dentro, basta prendere freddo.”

“Non avrei mai dovuto lasciarli.” Agatha cominciò a singhiozzare.

“Oh, andiamo.” Charles le passò un braccio attorno alle spalle. “Dov’è finita la mia coraggiosa Aggie? C’è solo il vecchio Framp. I rinforzi arriveranno tra poco.”

La sospinse in salotto, dove in piedi davanti al caminetto c’era l’agente.

“Solo qualche domanda preliminare,” disse il poliziotto, aprendo il suo taccuino.

“Siediti,” disse Charles, costringendo Agatha a sistemarsi sul sofà. “Aspetti un momento, Framp, e poi risponderò a tutte le sue domande. La signora Raisin non è in condizione di farlo. Ora le faccio bere un brandy.” Charles andò alla credenza in cui Agatha teneva gli alcolici, tirò fuori una bottiglia di brandy e gliene versò una bella dose. “Immagino che lei non beva quando è in servizio,” disse poi a Framp.

“È una notte fredda, signore, e una birra non ci starebbe male.”

“La birra non l’abbiamo. Ecco, Aggie. Bevi questo. Abbiamo whisky, gin, vodka e una bottiglia di vino di sambuco.”

“Un whisky non mi dispiacerebbe, signore.”

“Ma certo. Soda?”

“No, grazie, liscio.”

Charles porse a Framp un bicchiere di whisky e poi versò per sé un brandy. “Si accomodi,” disse a Framp. “Sarà una lunga nottata.”

Dopo mezz’ora arrivarono Hand e Carey. “Siete fortunati,” disse Hand. “Ci hanno avvisati quando eravamo fuori per un altro caso, non lontano da qui.” Framp nascose con destrezza il suo bicchiere dietro il televisore.

Charles rispose ancora una volta a tutte le domande. E ancora una volta disse che erano andati in giro per negozi a Norwich, ed erano tornati a casa tardi per via della nebbia. No, non aveva idea di cosa stessero cercando gli intrusi, o di chi potesse essere entrato senza forzare la porta. Agatha fu invitata a salire in camera insieme a Carey per controllare che i suoi gioielli fossero ancora tutti lì. Si mosse come un automa, continuando ad agitarsi al pensiero dei gatti perduti. Poi tornò con Carey in salotto.

“Non manca nulla, signore,” disse Carey.

“Tra poco verranno i ragazzi della Scientifica a rilevare le impronte,” disse Hand con un sospiro. “E adesso veniamo a lei,” disse ad Agatha. “Per caso era andata in giro a fare le sue investigazioni?”

Charles lanciò ad Agatha un’occhiata di avvertimento. “No,” mentì lei. “Che mi dite dei miei gatti?”

“Sono sicuro che sono qui attorno, da qualche parte.”

Agatha invece era certa che fossero morti. Non avrebbe mai dovuto portarli lì. Non avrebbe mai dovuto fuggire da Carsely. Promise a Dio che avrebbe fatto qualunque cosa, se solo quei gatti fossero ricomparsi. Arrivò una squadra della Scientifica e riempì la casa di polvere per le impronte. Nonostante l’infelicità causata dalla sparizione dei gatti, Agatha non poté fare a meno di mettere a confronto Fryfam e Carsely. Se questo fosse successo a Carsely, tutti i compaesani sarebbero venuti a offrirle solidarietà e sostegno. Ma gli abitanti di Fryfam, i creduloni delle fate, se ne restavano chiusi nelle loro tane, come tanti hobbit.

Alle tre del mattino la polizia e la squadra scientifica presero su armi e bagagli e se ne andarono. Agatha e Charles si misero vicini sul divano. Agatha rabbrividì. “Che freddo,” disse.

“Sai che faccio?” disse Charles. “Tu stai qui un attimo e io accendo il fuoco, ci scaldiamo e poi vado ad accendere il fuoco nelle camere.”

Agatha rimase lì con sguardo vitreo mentre Charles metteva nel camino esche, pezzi di carta e ciocchi, prima di accovacciarsi sui talloni a contemplare le fiamme. Poi Charles prese il cesto della legna, ormai vuoto. “Vado nel capanno a prendere altri ciocchi. Ti lascio un attimo da sola, va bene?”

Agatha annuì. Fissò le fiamme danzanti. Sono una sciocca, pensò. Perché non mi sono fatta gli affari miei? Perché sono venuta in questo buco d’inferno solo per far uccidere i miei gatti? Ma chi se ne frega di chi ha ucciso Tolly.

Udì spalancarsi la porta della cucina. Udì Charles entrare e poi annunciare gioioso: “Guarda cosa ho qui, Aggie”.

Agatha girò la testa e poi balzò in piedi. Perché Charles aveva in braccio Hodge e Boswell.

“Oh Dio, ti ringrazio,” gridò Agatha, le guance rigate da lacrime di sollievo. Accarezzò entrambi i gatti. “Portali in cucina, Charles, e offrirò loro qualcosa di speciale.”

Charles aspettò in cucina, divertito, mentre Agatha provvedeva ad aprire una scatoletta di pâté de foie gras e poi una di salmone.

“Non ucciderli con la gentilezza,” disse, e poi tornò in giardino, fischiettando, a prendere la legna.

Agatha fu svegliata dal trillo del campanello. Guardò la sveglia sul comodino e gemette. Le otto del mattino! Si infilò una vestaglia e si precipitò al piano di sotto mentre il campanello suonava all’impazzata. Aprì la porta e si trovò davanti la brutta faccia della signora Jackson.

“Sono venuta a pulire casa,” disse Betty Jackson, passando davanti ad Agatha. Agatha riprese possesso delle proprie facoltà mentali. Avrebbe voluto mandare al diavolo quella donna, però c’era in giro tutta la polvere usata per le impronte digitali.

“Abbiamo avuto un’intrusione ieri sera,” disse, “e la polizia è stata qui, quindi abbiamo polvere per le impronte dappertutto. Io devo tornare a letto. Lasci pure perdere le camere. Pulisca solo al pianterreno. Oh, e faccia i vetri delle finestre.”

“Non faccio i vetri.”

“Faccia quello che può,” disse Agatha, con rabbia. “E non disturbi i gatti. Anzi, me li porto su con me.” Guardò incuriosita la donna delle pulizie. “Non mi sembra troppo stupita.”

“Sono gli immigrati,” disse la signora Jackson, togliendosi il cappotto. “Quando non c’erano loro queste robe non succedevano mica.”

Certo che detta da una tizia sposata con un avanzo di galera la cosa suona un po’ stupida, pensò Agatha. Ma era troppo stanca per star lì a discutere. Prese su i gatti e salì le scale con loro depositandoli ai piedi del letto, poi si rimise sotto le coperte e si riaddormentò.

Quando si svegliò per la seconda volta erano le undici del mattino. Si lavò e vestì in fretta, e scese al piano di sotto, seguita dai gatti. Sentì la voce di Charles provenire dalla cucina e intuì che stava parlando con la signora Jackson. Diede un’occhiata al salotto. Era pulito e tirato a lustro e non c’era più traccia di polvere e il camino era stato sgombrato, e ora ci ardeva un fuocherello nuovo. Almeno le pulizie le sa fare, pensò Agatha.

Entrò in cucina. La conversazione si interruppe di colpo quando Agatha aprì la porta. La signora Jackson stava sciacquando uno strofinaccio nel lavandino e Charles aveva aperti davanti a sé i giornali del mattino.

“Qui ho quasi finito,” disse la signora Jackson. “Vuole che faccia il piano di sopra?”

“Sì, grazie, se è possibile,” disse Agatha.

Charles si alzò. “Betty, noi stiamo per uscire. Quando va via chiuda a chiave.”

“E come potrebbe?” s’intromise Agatha. “La chiave ce l’ho io.”

“Sono andato all’agenzia immobiliare e me ne sono fatto dare un’altra,” disse Charles. “Ho pagato Betty. Andiamo, Aggie. Puoi mangiare più tardi.”

“E così adesso la chiami Betty,” disse Agatha. “Che cosa le hai cavato?”

“Sali in macchina e te lo dico.”

“Aspetta un attimo. I gatti staranno bene?”

“Li ho fatti uscire in giardino. Staranno benone.”

“Che cosa ne fa dei figli la signora Jackson quando comincia a lavorare così presto?”

“Prendono il primo scuolabus. La scuola fornisce gratuitamente la prima colazione ai figli delle madri che lavorano, se la famiglia risulta povera.”

“E cosa sei riuscito a sapere da lei, dunque?”

Charles si fermò in una piazzola e spense il motore. “Ad affascinarmi è quello che non ho cavato da lei, piuttosto. Dice che Lucy era una buona datrice di lavoro.”

“Era? Non lavora più per lei?”

“No, dice che l’ha liquidata, e molto generosamente, anche. Sembra che la nostra Lucy intenda mettere la casa in vendita il prima possibile e che dica di voler chiamare un’impresa per rimetterla a posto. Però suona strano che una tipa come Lucy nel frattempo non voglia nessuno che le lavi i piatti e le passi l’aspirapolvere. La signora Jackson non parla molto di Tolly e resta fedele alla sua versione di quei due come coppia amorevole.”

“Magari ci sbagliamo. Magari lo erano davvero.”

“Andiamo. Non crederai a una cosa simile.”

“No, mi sa di no. Dove stiamo andando?”

“Stare con Betty Jackson mette a dura prova. Quella donna ha un qualcosa che mi fa venire la pelle d’oca. Stavo pensando a Lizzie Findlay.”

“La moglie del capitano? Perché mi è parso di vederla tutta in tiro?”

“Immagino che dipenda dal fatto che sono agitato e non riesco a pensare ad altro. Mi viene in mente che Lucy ha detto qualcosa tipo che Tolly faceva l’untuoso con Lizzie.”

“Sì, ma lo faceva solo per ingraziarsi il capitano, questo è certo.”

“Non lo so. Prendiamo Lucy, per esempio. Deve spendere una fortuna per farsi bella ed è dura come la pietra. E poi c’è l’umile Lizzie, che è tutto quello che Lucy non è.”

“Ma è talmente sciatta e scialba!”

“Non sappiamo cosa ne salterebbe fuori, se per caso si tenesse un po’ di più.”

Agatha pensò a Lizzie. Non è che avesse fatto proprio caso al suo aspetto. Miope, capelli sottili, corpo celato da abiti informi. Scosse la testa. “Non è possibile.”

“Azzardiamo un tentativo. Andiamo a casa del capitano e appostiamoci lì per tenerla d’occhio, nascondendo l’auto da qualche parte.”

Il sole splendeva, ma tirava un venticello teso. “Sì, ma non stiamo lì troppo,” disse Agatha, prudente.

Ripartirono. Charles svoltò in un viottolo di campagna nei pressi della casa del capitano.

“Non so come faremo a spiarla,” si lagnò Agatha. “Prima di arrivare a casa del capitano c’è tutta quella strada che passa davanti alla fattoria.”

“Non fare la disfattista. Ci faremo venire in mente qualcosa. Guarda,” disse Charles, “se ci intrufoliamo nella proprietà del capitano e attraversiamo quel campo, possiamo nasconderci in quella macchia di pini e avere una buona visuale sull’ingresso alla casa.”

“Ma se qualcuno ci vede! Ad attraversare il campo saremo orribilmente esposti.”

“Correremo questo rischio.”

“E che mi dici dei cani?”

“Mi amano.”

“Se ci beccano, che scusa tireremo fuori?”

“Diremo di aver visto un intruso dall’aria sospetta o uno di quegli zingari New Age, e di essere entrati nel campo per scacciarli, mossi da spirito di vicinato.”

“Ma…”

“Su, Aggie, forza!”

Agatha seguì Charles con riluttanza. Lui aprì un cancello che dava nel campo e se lo richiuse alle spalle. “Prenderemo il sentiero che passa ai margini del campo,” disse. “Così non si fa nulla di male. È quando la gente pesta i campi che i proprietari si infuriano.”

Si incamminarono, Agatha continuava a guardarsi nervosamente attorno. Quando raggiunsero la macchia di pini le sfuggì un sospiro di sollievo. Pini, pensò Agatha; ma perché diamine non erano almeno alberi dal fogliame più fitto? Si misero al riparo di uno dei pini più robusti.

L’ingresso della casa era chiaramente visibile. “Posso fumarmi una sigaretta?” chiese Agatha dopo mezz’ora.

“No,” rispose Charles, secco. “Qualcuno potrebbe vedere del fumo spuntare da dietro gli alberi e venire a vedere che succede.”

“E quanto pensi che dovremo restare qui a congelarci le chiappe?”

“Sttt! Qualcuno sta uscendo.”

Erano lì in osservazione quando emerse dalla casa l’alta figura del capitano. Findlay salì su una Land Rover impolverata, dopo aver caricato nel bagagliaio i cani, per il sollievo di Agatha. Lo videro percorrere il viale e sparire lungo la strada, lasciandosi alle spalle come unica traccia una nube nera di gas di scarico.

“E adesso?” borbottò Agatha. “È questo l’evento eccitante della giornata?”

“Aspettiamo di vedere se Lizzie Findlay fa una mossa.”

Agatha moriva dalla voglia di una sigaretta. Se solo fosse riuscita a smettere e a non essere schiava di quelle cose immonde. Guardò il cielo attraverso le cime dei pini. “Il cielo si è oscurato, Charles. Il sole è sparito. Non pensi che dovremmo andarcene di qui prima che cominci a piovere?”

“Abbiamo aspettato tanto. Tanto vale aspettare ancora un po’.”

Passati altri tre quarti d’ora, Agatha aveva freddo e si sentiva da cani. Una raffica improvvisa di vento scosse gli aghi dei pini e sulla guancia di Agatha atterrò una goccia di pioggia.

“Ci siamo,” disse. “Basta. Non ho intenzione di restare qui a beccarmi una polmonite.”

“Eccola che arriva,” sussurrò Charles.

Lizzie Findlay emerse con addosso un vecchio impermeabile cerato e un fazzolettone in testa. Salì su una Ford Escort malridotta, portando con sé una valigetta che posò sul sedile del passeggero, e dopo aver armeggiato un po’, inforcò un paio di occhiali da guida.

“Lasciamo che arrivi in fondo al viale,” disse Charles, in fibrillazione, “e poi seguiamola.”

Non appena la Ford fu scomparsa, Charles afferrò la mano di Agatha e la trascinò di corsa alla macchina. La pioggia fredda pungeva le loro facce, e dato che questa volta Charles aveva attraversato il campo arato, quando arrivarono all’auto le scarpe di Agatha erano piene di fango.

“Da che parte è andata?” chiese Agatha, salendo in macchina e allacciando la cintura.

“Non so, ma possiamo presumere che abbia preso la strada per Norwich.”

Charles partì a razzo, e Agatha si aggrappò al sedile a ogni curva della strada tortuosa, che lui affrontava con gran stridere di pneumatici.

“Presa!” esclamò Charles, trionfante.

“Dove?”

“Lì davanti.”

“Non riesco a vederla.”

“Abbiamo tre macchine tra noi e lei. Meglio restare così, per non rischiare di essere visti.”

Continuarono a procedere ad andatura costante. “Sì, mi sa che sta andando a Norwich. Speriamo di non perderla di vista in città. Ma almeno non c’è nebbia.”

Agatha era depressa. Aveva i piedi bagnati e infangati. La signora Findlay probabilmente sarebbe andata a far spese e poi dritta a casa.

Lizzie puntò sul centro città, verso lo stesso parcheggio usato da Charles la sera prima. Lui e Agatha trovarono posto due file dietro quella in cui si stava infilando la moglie del capitano, e poi scesero. La donna stava uscendo in gran fretta dal parcheggio, tirandosi dietro la valigia. La seguirono per parecchie vie finché la donna non si fermò davanti a un’agenzia di scommesse, tirò fuori una chiave, aprì una porta accanto all’ingresso dell’agenzia e Agatha e Charles immaginarono che questa porta conducesse agli appartamenti al piano di sopra e sparì alla vista.

“Stranissimo e sempre più stranissimo,” citò Charles. “Guarda, lì di fronte c’è un caffè con un tavolo libero accanto alla vetrina. Possiamo sederci lì e tenere d’occhio l’edificio.”

Quando entrarono, il proprietario del locale lanciò un’occhiata di disapprovazione alle scarpe infangate di Agatha. Ordinarono del caffè e si sedettero vicini alla vetrina. Il tempo passava lentamente. Ordinarono altro caffè.

Poi videro aprirsi la porta dall’altra parte della strada. “Avevi ragione!” disse Charles, eccitato. Perché la Lizzie emersa era una donna trasformata. Indossava un elegante impermeabile bianco e un foulard di seta. Calze trasparenti e tacchi alti. La faccia era truccata con cura. La signora Findlay non era affatto una bellezza, ma adesso sembrava una donna di mezza età chic, e non più una casalinga oppressa. Agatha e Charles pagarono i caffè e la seguirono. La signora Findlay passeggiava guardando le vetrine. Entrò in un grande magazzino. Fecero lo stesso. Lizzie comprò dei cosmetici. Poi passò al reparto biancheria intima e acquistò un reggiseno di pizzo e un paio di culottes.

Con i suoi acquisti e con Charles e Agatha che la tallonavano con discrezione, Lizzie tornò al portone accanto all’agenzia, ed entrò.

Agatha e Charles tornarono di vedetta al caffè. Il tavolo accanto alla vetrina era ormai occupato e così fecero a turno, alzandosi e allungando il collo.

Passò un’ora prima che Lizzie comparisse di nuovo, ed era la solita Lizzie, con in mano la sua valigia.

“Svelto, pediniamola,” disse Agatha, saltando in piedi.

“No, resta seduta!”

Agatha obbedì con riluttanza. “Perché?”

“Perché credo che stia tornando a casa. Voglio scoprire chi ha preso in affitto quell’appartamento, se è affittato, e sotto che nome.”

Finirono di bere i loro caffè. Agatha stava cominciando a rimpiangere di non aver ordinato qualcosa da mangiare, ma per lo meno con tutta quell’attesa i suoi piedi si erano asciugati.

“Se ci sono dei vicini, dobbiamo evitare che questi vadano a raccontare della nostra visita,” disse Charles.

“Ho già fatto in passato cose del genere,” disse Agatha, impaziente. “Andrò a comprare dal cartolaio un portablocco a molla e un po’ di fogli a righe e fingerò di fare una ricerca di mercato. Da qui riesci a vedere? Ci sono campanelli sulla porta?”

“Quattro, e un citofono.”

“Tu aspettami qui. Speriamo solo che in casa ci sia qualcuno.”

Agatha comprò un portablocco a molla da un cartolaio lì vicino e poi tornò verso l’edificio. Chi si sarebbe finta? Avrebbe solo accennato vagamente a ricerche di mercato. Sarebbe bastato quello.

Non c’erano nomi sui campanelli, solo semplici numeri. Rispose solo il quarto, una voce anziana e acuta di donna chiese: “Chi è? Cosa volete? Se siete ancora voi, ragazzacci, chiamerò la polizia”.

“Ricerca di mercato,” annunciò Agatha nel citofono.

“Non ho tempo di rispondere a un mucchio di domande idiote,” fu la risposta.

“Il suo tempo verrà pagato,” disse Agatha.

“Quanto?” Brusca e avida.

“Venti sterline.”

Suonò il cicalino e Agatha aprì la porta, quindi s’inerpicò fino all’appartamento numero 2. Una donna anziana era sulla porta, appoggiata a due bastoni. “Di che si tratta?” chiese.

Aveva una chioma incolta e spettinata e occhi puntuti e sospettosi nel viso rugoso.

“Caffè,” disse Agatha.

“Caffè? Io non lo bevo, il caffè.”

Non andrò lontana con questa qui, pensò Agatha. Meglio tornare al bar e aspettare di vedere se non rientra a casa, in uno degli altri appartamenti, qualche inquilino meglio disposto.

“Scusi il disturbo, allora,” disse Agatha.

“Aspetti un momento! Venti sterline, ha detto?”

“Sì.”

“Allora si accomodi. Non ho tutto il giorno a disposizione.”

Agatha la seguì in un salotto ordinato. Un canarino cinguettava in una gabbia accanto alla finestra e due gatti riposavano davanti a un fuocherello elettrico con due resistenze. Agatha represse un brivido. In quella vecchia le parve per un attimo di vedere il proprio futuro. “Sono la signora Tite. T-I-T-E.”

Agatha ne prese nota diligentemente. “Non bevo caffè,” disse la signora Tite, “però mio figlio sì. Si sieda.” La signora Tite si accomodò con lentezza e dolorosamente in una poltrona davanti al focolare e Agatha si mise su quella di fronte a lei.

“Quante tazze al giorno?” chiese Agatha.

“In media quattro o cinque.”

Agatha scrisse tutto, con scrupolo e poi fece un mucchio di domande sul rapporto tra il figlio della signora Tite e il caffè. “Ma senta,” disse Agatha, “c’è qualcun altro, in questo caseggiato, che secondo lei sarebbe disponibile a rispondere alle mie domande?”

“Ci sono George Harris e il vecchio signor Black…”

“Preferirei una donna. Sono più brave, quando si tratta di rispondere a domande.”

“Allora c’è la signora Findlay, ma negli ultimi tempi l’ho vista poco, e ho visto poco anche il marito, se è per quello.”

Agatha provò una fitta di delusione. Si trattava semplicemente di un appartamento che i Findlay avevano comprato o affittato in città. Pescò dalla borsetta una banconota da venti sterline e la diede alla signora Tite.

Poi si alzò. La signora Tite accarezzò la banconota, la piegò e la infilò nella tasca del vecchio cardigan di lana. “La porta la trovo da sola,” disse Agatha. “Non si disturbi ad alzarsi.”

“È bello vederli,” disse la signora Tite, quasi tra sé e sé. “Un amore così tra persone di mezza età, e dopo tanti anni di matrimonio.”

Agatha si girò di scatto, con la mano già pronta ad aprire la porta. “Sta parlando del capitano e della signora Findlay?”

“È capitano? Non lo sapevo. Non ha mai usato il titolo.”

“Conoscevo certi Findlay,” disse Agatha, lentamente. “Si vede che sto confondendo questo signor Findlay con il capitano Findlay. Che aspetto ha il signor Findlay?”

“Un ometto grasso. Tutto rosso in faccia. Vestito in modo appariscente, giacca da cavallerizzo, cravatta con spilla a forma di testa di cavallo.”

“Grazie,” disse Agatha. Scese in fretta le scale e attraversò la strada per tornare al caffè, dove riferì a Charles le sue scoperte e concluse: “Non è che stava parlando di Tolly, per caso?”.

“Sembrerebbe di sì.”

“Ma è impossibile. Perché mai un riccone come Tolly avrebbe dovuto fare il dongiovanni con una tipa come Lizzie Findlay?”

“Pensaci bene. Tolly è sposato a una bionda algida che ha messo ben in chiaro di averlo scelto solo per interesse. Lui si mette a chiacchierare con Lizzie, all’inizio al semplice scopo di ingraziarsi il marito capitano. E che succede, se Lizzie finisce per trovarlo attraente? Tolly è innamorato in generale della vita di campagna, ed ecco qui un’autentica signora di campagna, in carne e ossa, una che sforna torte e prepara marmellate sono pronto a scommettere che Lizzie lo fa. Magari un giorno si incontrano per caso a Norwich e tutto parte da lì.”

“E magari si era fatta dare una boccetta di profumo di rose da Rosie,” disse Agatha, “ed ecco cosa ha annusato Lucy in camera da letto.” Poi scosse la testa. “No, troppo fantasioso.”

“Possiamo chiederglielo.”

“Cosa?”

“Glielo chiediamo, e basta. Dobbiamo provare a intercettarla quando è sola. Scommetto che il capitano esce con i suoi amichetti della caccia. Vale la pena tentare.”

“Non reggo l’idea di dovermi nascondere di nuovo in mezzo a quei pini.”

“Andremo a casa, aspetteremo fin dopo le sette e a quel punto telefoneremo.”

“Però,” disse Agatha, mentre si dirigevano al parcheggio, “perché diamine Lizzie dovrebbe continuare a tenere l’appartamento, mettersi in tiro e comprare intimo sexy, se il suo uomo era Tolly? Tolly è morto.”

“Magari ne ha trovato un altro.”

“Altamente improbabile.”

“Se riusciamo a beccarla da sola si chiarirà tutto.”

Quando arrivarono a casa, Agatha consumò in fretta e furia una cena a base di tramezzini e telefonò a Rosie Wilden chiedendole se poteva acquistare un po’ del suo profumo di rose.

“Ma gliene regalo volentieri un flacone,” disse Rosie. “La prossima volta che viene al pub me lo chieda.”

“Grazie mille. L’ho sentito proprio di recente, il suo profumo. Mi faccia pensare, chi lo aveva addosso? Ah, mi pare che si trattasse della signora Findlay, la moglie del capitano.”

“Sì, probabile,” disse Rosie. “Alla signora Findlay il mio profumo piace molto. Non le posso rivelare la formula, perché si tratta di un segreto di famiglia, ma lei passi di qui e io le farò avere il profumo.”

Agatha ringraziò e riappese. Andò in salotto, la faccia rossa per l’agitazione. Raccontò a Charles del profumo.

“E allora,” disse lui, “tutto quel che ci resta da fare è beccare Lizzie da sola.”

Charles aspettò le sette e mezza di sera prima di comporre il numero di Lizzie. Lei rispose e, quando disse nervosamente che suo marito era uscito, Charles ribatté: “È con lei che vorrei parlare. Posso fare un salto a casa sua?”.

“Temo che non sia opportuno.”

“Si tratta del suo appartamento a Norwich.”

Ci fu un piccolo singulto atterrito, e poi Lizzie disse, con voce strozzata: “Vediamoci, ma non qui”.

“E allora venga qui da noi,” disse Charles. “Siamo al cottage Lavanda, nel vicolo dei Folletti. Ha presente?”

“Sì.”

“L’aspettiamo tra poco.”

“Sai cosa mi preoccupa?” disse Charles dopo aver riferito ad Agatha che Lizzie sarebbe venuta a far loro visita. “Le fate. Insomma, le fate sono state completamente dimenticate, nel trambusto seguito all’omicidio.”

“È vero. Ma se la faccenda aveva un legame con il delitto, perché arrivare fino a quel punto, con quei piani così contorti? Pensa che rischio, rubacchiare cosucce qui e là.”

“Ma ti dimentichi lo Stubbs.”

“Non penso che il furto dello Stubbs abbia avuto a che fare con le fate. Oh, suonano alla porta. Lizzie ha fatto presto.”

Ma quando Agatha andò ad aprire, sulla soglia si trovò davanti Hand.

“Pensavo che voleste sapere,” disse, passandole davanti ed entrando nel vestibolo, “che gli sconosciuti che vi hanno ribaltato la casa indossavano dei guanti. Abbiamo trovato solo alcune impronte accanto al camino. Avete avuto dei bambini per casa?”

“No, nessuno. In effetti credo che nel villaggio di bambini non ce ne siano, a parte quelli della signora Jackson.”

“Lo pensiamo anche noi. I miei uomini sono andati dalla signora Jackson con il sergente Carey. Ho solo pensato di verificare la cosa con voi, prima.”

“No, che io sappia in questa casa non sono entrati bambini,” disse Agatha, quasi sospingendolo alla porta, smaniosa di liberarsi di lui prima dell’arrivo della signora Findlay.

“D’accordo,” disse Hand, guardando Agatha con sospetto. “Le faremo sapere come procedono le indagini.”

“Bene, bene,” disse Agatha. “Molte grazie.”

Ma con che lentezza se ne andò quello! Percorse a passo di lumaca il sentierino laterale per arrivare alla siepe oltre la quale era parcheggiata la sua auto.

Agatha attese nervosamente finché non lo sentì allontanarsi e a quel punto si precipitò in casa. “Telefona a Lizzie,” disse a Charles. “Magari era venuta qui, ha visto Hand e si è spaventata.”

Alle sue spalle il campanello tornò a suonare, facendo sobbalzare Agatha.

“Questa deve essere Lizzie,” disse Charles.