Ferragosto nella casa di ringhiera

 

La corte della casa di ringhiera era deserta, nella canicola estiva. Gli appartamenti erano tutti vuoti, non c’era proprio nessuno. In quella serata umida e caliginosa, l’unico segno della collettività umana era una sommessa e confusa risonanza di apparecchi televisivi accesi, rumore di fondo che proveniva dalle finestre aperte di alcune case del circondario.

 In quel giorno di Ferragosto il solo inquilino rimasto era il Luis De Angelis, che nei mesi estivi, come d’altronde negli altri, non si muoveva mai. Non disponeva di molte risorse economiche e quelle poche che aveva, la pensione, più qualche risparmio ormai in gran parte eroso, gli sfuggivano dalle mani a causa di un acquisto che gli era costato un bel po’ e che continuava a costargli di giorno in giorno: la sua BMW roadster Z3 3.2 24 valvole, una bomba da 250 chilometri all’ora, veicolo che raramente viene guidato da un signore di 83 anni, come il Luis.

Cercava di utilizzare quel mostro il meno possibile, dati gli elevatissimi consumi di carburante, per non parlare del costo a chilometro, un complesso parametro che il De Angelis aveva studiato accuratamente e che comprendeva valori come quello della polizza assicurativa, dei consumi di olio ecc., e la svalutazione dell’oggetto, una variabile che si tende a dimenticare ma se una macchina si svaluta di 8.000 euro l’anno, praticamente è come se ti costasse 666 periodico euro al mese, oltre a tutte le spese vive. Per esempio i pneumatici: quanto sarebbe costato un treno di gomme nuove con profilo ribassato? Non voleva nemmeno pensarci. Ma era tale la soddisfazione di mettere in moto quella spider e di aggirarsi con essa per le strade di Milano, che avrebbe rinunciato a nutrirsi, pur di mantenerla.

Per la serata di quel 15 agosto si era organizzato, sfruttando la circostanza che il condominio di ringhiera era praticamente tutto per lui. Per prendere il fresco – fresco si fa per dire, alle nove di sera c’erano ancora più di 30 gradi, con una umidità relativa del 90% – aveva portato la televisione sul ballatoio, utilizzando un carrello TV degli anni Settanta che non aveva mai ritenuto di dover sostituire. Nel ripiano inferiore del carrello c’era anche un vecchio videoregistratore VHS, tuttora funzionante. Il De Angelis possedeva un certo numero di videocassette, una bella collezione di classici, quelli che un tempo si trovavano a poco prezzo allegati a certi quotidiani, come «l’Unità», che se non era per la videocassetta lui non avrebbe mai comprato, così come nel caso della «Stampa» o dell’«Espresso».

 Quella sera aveva scelto «Il vedovo», un film della fine degli anni Cinquanta di Dino Risi con Alberto Sordi, ambientato a Milano. Il Luis quel film lo aveva visto quando era uscito, al cinema Arcadia, dalle parti di Porta Romana, ma forse si sbagliava. Comunque lo riteneva adattissimo per una serata di mezzo agosto: «Marchese Stucchi!».

Aveva portato sul ballatoio anche la poltrona e una bottiglia di birra Dreher. Che cosa si poteva desiderare di più? Senza contare che dalla ringhiera poteva, bastava affacciarsi, dare un’occhiata alla sua BMW posteggiata lì sotto, al centro della corte, nella sua piazzuola riservata. E la BMW argentata se ne stava lì, acquattata e tranquilla, fedele.

 Non era un bello spettacolo il De Angelis in canottiera e pantaloni corti, se ne rendeva conto anche lui, ma tanto... nella casa di ringhiera non c’era nessuno.

 Non c’era nemmeno la signorina Mattei-Ferri, la zabetta del condominio, che sul fatto che qualcuno guardasse la televisione a tutto volume in ambienti di uso collettivo avrebbe avuto senz’altro qualcosa da dire. Non c’erano il Consonni Amedeo e la Mattioli Angela, che dopo quello che era successo nei mesi precedenti avevano deciso di prendersi un periodo di ferie, chiamiamole così, in una località sconosciuta della Svizzera italiana. Non c’era neanche il Giorgi Claudio, né il signor Antonio, signore per modo di dire. C’erano soltanto i peruviani, quelli chi li smuoveva di lì, ma erano gli ultimi a cui il rumore avrebbe dato fastidio.

De Angelis era un po’ sordo per cui teneva la televisione a volume molto alto, ma in quei giorni se lo poteva permettere. Nessuno si sarebbe lamentato. Per cui si era creata una certa atmosfera, fra l’alto volume, le voci amplificate e distorte di Franca Valeri e Alberto Sordi, il bianco e nero, pareva di essere in una proiezione parrocchiale estiva degli anni Sessanta. Se a questo si aggiungeva quell’anziano signore, con la birretta in mano, in canottiera e ciabatte, la scena assomigliava ad una accurata ricostruzione cinematografica, che al produttore sarebbe costata un sacco di soldi e invece lì era già bella e pronta. Fra l’altro i muri della casa di ringhiera erano consunti e scolorati, probabilmente non erano stati rinnovati da una trentina d’anni, sembrava un’ambientazione ben riuscita fatta a Cinecittà. Anche l’apparecchio televisivo trascinato sul ballatoio era un oggetto d’epoca, con un assai voluminoso tubo catodico.

 Dunque era tutto originale, forse l’unico particolare che stonava un po’ era la BMW giù nella corte, un prodotto della seconda metà degli anni 2000, ma che a pensarci bene riprendeva le linee dei roadster anni Cinquanta e che quindi andava benissimo, nel contesto.

 Dopo un primo momento in cui la televisione faceva difficoltà arrivarono le immagini, ovverossia il commendator Nardi (Alberto Sordi) e il marchese Stucchi (l’attore Livio Lorenzon) che passeggiano nella serata estiva.

 De Angelis si svaccò sulla poltrona, un po’ sudato, il film lo conosceva quasi a memoria.

 «Cosa fai cretinetti, ridi nel sonno?».

 Arrivarono i titoli di testa.

 I primi minuti del film passarono nell’attesa della battuta preferita, il bello di queste videocassette è che non c’è la pubblicità. Il caldo era asfissiante, ed eccoci al punto, compare Lambertoni.

 «Ma cosa fa chì a Milan con stu caldu?».

 De Angelis rise come la prima volta che l’aveva sentita, forse di più, e buttò giù un sorso di birra. Riconosceva i luoghi della Milano a lui cara, la torre Velasca, appena costruita, piazza San Babila, che a quei tempi era una bella piazza.

Alberto Sordi sulla Flaminia (della moglie) arrivò alla banca e lì trovò un altro creditore che gli faceva la posta davanti all’ingresso: «Ma cosa fa chì a Milan con stu caldu?». Anche a lui. Mentre al commendator Nardi veniva comunicato che il credito gli sarebbe stato concesso solo se come garanzia ci fosse stata anche la firma della moglie, la ricca Elvira Almiraghi (Franca Valeri), De Angelis avvertì che sul ballatoio stava arrivando qualcuno. Chi era, gente che protestava per l’alto volume?

 Improvvisamente gli si parò di fronte una visione, temette di avere le allucinazioni. Davanti a lui c’era una ragazza bionda seminuda, alta un metro e novanta ma nonostante questo formosissima, una modella, abbronzata, con i vestiti in brandelli che la rendevano ancora più nuda. Una donna così non l’aveva vista neanche al cinema. Indossava una minigonna che se non se la fosse messa si sarebbe visto di meno, ai piedi portava dei sandalini estivi con dei tacchi vertiginosi.

 La ragazza si bloccò davanti a lui, non sapendo bene che fare, aveva il fiatone e si capiva che stava passando un brutto quarto d’ora. Lui la guardò impressionato e stregato.

 «Mi stanno inseguendo e se mi trovano mi uccideranno! La prego, mi aiuti... c’è un posto qui dove mi posso nascondere?».

 La ragazza era straordinariamente bella, ma anche un bel po’ stravolta. Droga? Oddio signur, pensava il De Angelis, che non si era ancora mosso dalla poltroncina, forse perché si vergognava della sua tenuta estiva.

 «Ma io... uccideranno? Ma cosa sta dicendo?».

 «Presto, presto, quella è gente che non scherza» e la ragazza si gettò all’interno dell’appartamento numero 5 accendendo le luci.

 «Ma cosa fa, cosa fa, non accenda le lampadine che poi mi entrano tutte le zanzare... si fermi... dove va? Cosa fa!».

 Il Luis dovette alzarsi dalla poltrona e seguì la ragazza nell’appartamento. Quella pareva una furia, era andata in cucina e aveva preso in mano il coltellaccio da roastbeef.

 «Mi vogliono uccidere perché io so tutto, capisce? Ma io piuttosto mi ammazzo, o ammazzo il primo che mi capita sotto!».

 Egli si impaurì, il primo che le sarebbe capitato sotto era lui.

 «Ma signorina, stia calma, che cosa è successo?».

 Anche da lì si poteva sentire il forte volume della televisione: «Ho sposato un cretino e me lo tengo!» diceva Franca Valeri.

 Oddio, ma proprio stasera doveva succedere una cosa del genere, pensava il Luis, proprio stasera che non c’è l’Amedeo. Lui avrebbe saputo come comportarsi, lui di queste cose, crimini e minacce, se ne intendeva. E non c’era neanche la Mattei-Ferri, che a quest’ora avrebbe già visto e capito quello che c’era da capire e che si faceva i fatti suoi, per meglio dire quelli degli altri, ma che in casi estremi avrebbe potuto essere d’aiuto, se non altro per chiamare la polizia.

 «E se chiamassi la polizia?».

 «Ma lei è pazzo? Sarebbe come dirgli dove sono, sono loro che mi cercano!».

 «Ma come, è ricercata dalla polizia?».

 «Ma no, sono gli altri, però la polizia li avvertirà, presto, mi nasconda... La mia vita è nelle sue mani... So delle cose che... presto, mi salvi!».

 «Oh signur di un signur... Che cosa devo fare...».

 Luis si guardò intorno e vide che sulla consolle nell’ingresso c’erano le chiavi dell’appartamento della signora Angela, assente perché in vacanza col Consonni. Gliele aveva lasciate così, per ogni evenienza.

 «Prenda queste» disse alla ragazza «e scappi là nell’appartamento 2, ma non fiati, non accenda le luci, non tocchi niente! È della signora Mattioli!».

 La ragazza artigliò le chiavi e nel giro di quattro secondi aveva già aperto il portoncino col numero 2 ed era penetrata all’interno.

Nel momento in cui Sordi diceva: «Apro il gas!» e la Valeri gli rispondeva: «Tanto a te cosa costa, la bolletta la pago io!», nella corte della casa di ringhiera entrò una automobile blu di grossa cilindrata.

 Dall’auto uscirono quattro persone indemoniate, uomini ben vestiti che con grande professionalità, come una macchina da guerra, presero a setacciare tutti gli spazi comuni, le scale, i ballatoi, gli antri più remoti. Luis si era ributtato esanime sulla poltroncina davanti al grosso televisore, tentando di far finta di niente, era tutto sudato e la canottiera era fradicia. In un attimo furono da lui. Ma quelli, in giacca e cravatta, non avevano caldo?

 Uno dei quattro gli si fece di fronte, mentre gli altri, senza chiedere alcun permesso, erano già entrati in casa sua.

 «Mi scusi signore, si tratta di un’emergenza. Siamo dei servizi speciali» disse mostrando una specie di tessera per alcuni decimi di secondo. «Sappiamo che una persona molto pericolosa è entrata qua dentro, in questo casamento. Lei ha visto niente?».

 De Angelis era terrorizzato. Oddio questi sono della polizia? Ma perché la stanno cercando? Quella donna così bella ha ucciso qualcuno? Involontariamente lo sguardo gli andava a cadere sulla porta dell’appartamento 2, come una sorta di denuncia involontaria, ma non disse niente.

 «Ma come, cosa... chi?».

 «Non ha visto nessuno entrare qua dentro? Una donna, una donna molto alta e appariscente? Chi la vede non se la dimentica...».

 «Ma io... no... io... non ho visto niente... e poi ci sento anche poco, sapete... ero qui che...».

 Gli agenti nel frattempo avevano setacciato la sua abitazione e se ne erano usciti fuori. Non dissero niente al quarto uomo, si limitarono a scuotere la testa, in segno negativo.

 Il capo provò ancora una volta a cercare di cavar fuori qualcosa da quel vecchio, ma quel rincoglionito era talmente impaurito che evidentemente con lui c’erano poche speranze. E dire che il Luis per un istante pensò anche di lavarsene le mani e di lasciar trapelare un segnale a quegli uomini, un cenno in assoluto silenzio, in direzione dell’appartamento 2, che poi se la vedessero loro. Ma il cenno traditore non lo fece e gli agenti rimasero a bocca asciutta. Secondo loro quella stronza evidentemente aveva trovato una via d’uscita e chissà adesso dove si era andata a nascondere.

 Sul loro volto era dipinta un’espressione di incertezza, e proprio allora Alberto Sordi disse: «Io ti ho dato il mio affetto, il mio entusiasmo... Ma tu, tu che cosa mi hai dato?». Elvira (Franca Valeri) rispose: «70 milioni in cinque anni!».

 Dopo aver ispezionato tutti gli angoli della casa di ringhiera e aver addirittura suonato qualche campanello, per rendersi conto che non c’era nessuno, i quattro, a questo punto piuttosto accaldati, rimontarono sull’auto blu super condizionata e dopo qualche comunicazione telefonica se ne ripartirono a tutta velocità.

 Erano le undici e mezzo passate.

 De Angelis temeva che quei signori potessero essersi nascosti da qualche parte, per osservare le sue mosse.

 Così fece finta di continuare a guardarsi il film, come se niente fosse.

 «Brave, brave, sì... Fiori, fiori dappertutto voglio, ma non questi ahò, fiorellini... fiori semplici di campo... li amava tanto la mia povera Elvira...» diceva il vedovo Alberto Sordi, nel corso del funerale della signora Elvira Almiraghi in Nardi.

 Nonostante questo, nella corte della casa di ringhiera la situazione ormai pareva tranquilla, sembrava proprio che se ne fossero andati via. Ma adesso?

 Il Luis era talmente impaurito che neanche fece caso alla parte più avvincente del film, quella in cui il commendator Nardi decide di passare alle vie di fatto, per eliminare, questa volta per davvero, la sua ricca moglie.

 Proprio nel momento in cui Alberto Sordi pronunciava la frase decisiva: «Marchese Stucchi, che fa, spinge?», la ragazza fece la sua ricomparsa.

 «Non so come ringraziarla, lei mi ha salvato... ma ora... ora non c’è tempo da perdere...».

 De Angelis non riusciva ad alzarsi dalla sua poltroncina. Temeva di essere prossimo ad avere un infarto. Avrò fatto bene? si domandava. E adesso?

 Si alzò a fatica ed entrò in casa per bere un bicchier d’acqua.

 La ragazza, col telefonino all’orecchio, lo raggiunse in cucina e, abbassandosi, gli dette un bacio in fronte.

«Lei mi ha salvato, lei è un grande, lei... non saprà mai quanto io le sono riconoscente...».

 L’interessato era imbambolato e catatonico.

Fra l’altro, solo adesso il Luis se ne era accorto, la ragazza brandiva una bottiglia di vodka, che evidentemente aveva trafugato in casa della professoressa Mattioli. Ne beveva a garganella. Oddio, adesso che cosa ci racconto all’Angela? Che cosa penserà, che mi sono andato a ubriacare a casa sua?

 La ragazza ingollava la vodka come se fosse acqua, ma sembrava avere le idee chiare.

 «Adesso dobbiamo fare in fretta. Lei ha una macchina?».

 De Angelis già intravedeva la catastrofe, ma non riuscì a mentire.

 «Beh, sì, è quella lì sotto, posteggiata nella piazzuola, che è la mia piazzuola privata».

 Lei si affacciò dal ballatoio e vide la BMW roadster.

 «Ma come, quella BMW lì è la sua?». Incredula.

 «Eh sì, è la mia».

 «Ma com’è che uno come lei... insomma... una macchina del genere...».

 Sarebbe stato interessante raccontarle le complesse circostanze che avevano portato all’acquisto di quella macchina sportiva, ma la ragazza tagliò corto.

 «Bene, allora andiamo, abbiamo i minuti contati...».

 «Come abbiamo i minuti contati, noi chi?».

 «Noi due, no? Forza, andiamo, lei mi deve portare a... glielo dirò strada facendo».

 La ragazza si rese conto che il suo tono era stato un po’ troppo perentorio e lo cambiò.

 «Lei deve essere così gentile da portarmi in un posto, dove io possa trovare qualcuno che mi aiuti. Sa, se non mi hanno beccata adesso possono farlo dopo, quando vogliono...».

 «Ma io...».

 «Forza... a proposito, non so neanche il suo nome, com’è che si chiama lei?».

 «Luigi, ma mi chiamano tutti Luis».

«E allora forza Luis, non c’è un minuto da perdere».

 «E lei com’è che si chiama?». Quella non rispose.

 Luis in canottiera e pantaloncini corti che assomigliavano a un paio di mutande tentennava e tremava, avviandosi verso la sua camera da letto, tornando sui suoi passi, ritornando ancora verso la camera.

 «... Aspetti solo che mi metta un paio di braghe, una camicia». Non capiva più niente. Ed era quasi mezzanotte.

 Ciò non gli impedì di mettersi dei pantaloni grigi, una polo marrone a maniche lunghe e i suoi guantini da guida.

 La BMW 3.2 24 valvole uscì dalla corte della casa di ringhiera rombando.

 Sul ballatoio la televisione era rimasta accesa, al solito volume, ma senza segnale. Due o tre bambini peruviani erano scesi con circospezione dall’appartamento del piano di sopra e dopo essersi guardati bene in giro riavvolsero la cassetta e rimandarono il film dall’inizio. Non si capacitavano che fosse in bianco e nero, sembrava un film antichissimo e non succedeva niente. Inoltre non capivano l’ironia al curaro di Dino Risi.

Poi la mamma, o le mamme, li richiamarono. Era l’ora di andare a dormire.

 Così, per le strade vuote della Milano notturna di Ferragosto, la BMW prese via Porpora in direzione Loreto. De Angelis si domandò se fosse il caso di azionare l’aria condizionata, ma subito pensò che di quello sbalzo di temperatura ne avrebbe subito le drammatiche conseguenze e non ne fece niente.

 «Dov’è che la devo portare?».

 «Al Just, sa dov’è?».

 «Il Just? E che cos’è che è?».

 «Ma come, non sa dov’è il Just? È dalle parti di corso Sempione, o Parco Sempione, insomma, il Just Cavalli, lo sanno tutti dov’è».

 «Ma di che cosa si tratta?».

 «È un locale, un locale...».

 «A Parco Sempione?».

 De Angelis svoltò in via Pirelli e tagliando per via Melchiorre Gioia e via Garibaldi, grazie alla guida sportiva, fu in pochi minuti in piazza Castello.

 «E adesso? Dov’è che è questo posto?».

 «Ma che cazzo ne so io, se prendi un taxi e gli chiedi di portarti al Just loro lo sanno benissimo».

 Il pilota si sentì un po’ offeso nel suo intimo da ex taxista. Ai suoi tempi il Just non c’era mica.

 «È sotto una torre, una torre di ferro con l’ascensore, si vede tutta Milano. Una volta ci sono anche andata in cima, mi venivano le vertigini. Ma il tipo che mi ci ha portato ha allungato un centone a quello che mandava in su e in giù l’ascensore, ci ha lasciati lì per una ventina di minuti. Si vede tutta Milano».

 «Una torre? A Parco Sempione? Con l’ascensore?».

 Ma subito fu chiaro di che cosa si trattava.

 «Ma che Just e non Just, lei sta parlando della Torre Branca, come la chiamano adesso. Quando ero giovane si chiamava Torre Littoria!».

 In pochi istanti furono nei pressi.

 «Ecco, ci siamo, da quella parte, di là, presto!».

 «Ma non si può, è senso unico!».

 «Ma cosa te ne importa, non vedi che non c’è nessuno?».

 Così giunsero al Just Cavalli, erano le 00.26, come diceva l’orologio della BMW. Il locale sembrava molto esclusivo ma al momento era poco frequentato, era troppo presto e poi di Ferragosto i VIP non sono mica a Milano. Nonostante questo, fuori, sul vialetto, c’erano diverse auto di grossa cilindrata, voluminosi SUV e anche un paio di Ferrarini. C’era anche un gruppetto di giovani maschi in piena esplosione testosteronica che sfogavano fumando le sigarette e usando i telefonini.

 La ragazza si catapultò fuori dalla BMW: «Aspettami qui e tieniti all’erta. Non so se troverò la persona giusta o quella sbagliata, in caso negativo stai pronto a partire a razzo!».

 Quando la ragazza passò davanti a loro i ventenni sfaccendati ebbero un sussulto e si accesero altre sigarette.

 «Uei, te pirla di questa minchia, hai visto chi è quella lì?».

 «Una figa della Madonna».

 «Ma non l’hai riconosciuta?».

 Quei tipi che stazionavano fuori dal Just Cavalli probabilmente erano solo dei perditempo, a loro non sarebbe mai stato concesso di entrare in un locale così prestigioso. Erano lì per curiosare, in caso arrivasse qualche personaggio famoso. Comunque cominciarono ad avvicinarsi minacciosamente alla automobile del Luis.

 Oddio, cosa devo fare, pensava, riaccendere il motore? E poi, cosa vogliono da me questi qua?

 «Ma guarda questo vecchio rimbambito...» dicevano a voce alta per farsi sentire e fare i gradassi «ma vedi te che macchina che si ritrova! E avete visto chi è sceso dalla macchina? Io so chi è».

 «E chi è? E chi è?».

 «Ma come, pirloni, non l’avete vista? Ha delle gambe lunghe due metri che ce l’ha solo lei, è Elenoire...».

 «Elenoire? Te’ capì il vecchietto, se la fa con Elenoire» e si avvicinavano sempre di più, urlando i loro pareri.

«Chissà chi è questo vecchio di merda, ma lo vedi? Non esce neanche dalla macchina perché non si regge in piedi».

 Gli ormoni di quei ragazzi alla sola vista della ragazza che loro chiamavano Elenoire avevano avuto un’impennata, così come il loro astio e risentimento sociale, non nel senso che in loro ci fosse un germe di ribellione, ma nel senso della pura invidia.

De Angelis però queste sottigliezze non le capiva, ed aveva semplicemente paura. Temeva che quei facinorosi gli sfasciassero la capote. Nel frattempo aveva azionato il blocco elettronico della chiusura delle portiere, anche se sapeva che se quelli avessero deciso di sfondargli il tettino lo avrebbero fatto facilmente. Progettò di mettere in moto e togliersi di lì, sgassando furiosamente, e che quella ragazza se la vedesse un po’ per conto suo, in fondo non sapeva neanche chi fosse. Tremava.

 Uno di quei ragazzotti fece finta di scivolare e si ritrovò sdraiato sul lungo cofano anteriore della Z3 3.2. Faceva il cretino, urlava, asseriva che la BMW lo aveva messo sotto, perché quel signore anziano non sapeva guidare... era arrivato a tutta velocità... la gamba... la gamba è andata, diceva, e gli altri si facevano intorno, sempre più esaltati, peraltro attenti a che non si stesse avvicinando qualche buttafuori del locale, con quelli non c’era da scherzare, ma per il momento non ce n’erano in vista e allora il gruppetto si sentiva forte e protagonista di storie da raccontare. Qualcuno scattava addirittura delle fotografie col telefonino, soprattutto quando un paio di facinorosi si misero a spingere l’auto dai lati, facendola dondolare e costringendo il povero Luis a saltabeccare da tutte le parti. Eppure manteneva un’espressione fissa e immobile, guardava dritto davanti a sé, come se niente stesse accadendo, anche se dentro di lui c’era il terrore. E se mi ammaccano la carrozzeria? E se mi costringono a uscire dall’auto? E se mi spogliano nudo? Nel frattempo un altro individuo aveva preso a calci la ghiera laterale dell’aerazione. De Angelis mise in moto. Adesso metto la prima e se qualcuno rimane sotto sono affari suoi.

 Stava per farlo quando quella che gli energumeni pensavano fosse Elenoire fece ritorno, di gran fretta, ma con la sua autorità riuscì immediatamente ad ammutolire i ragazzi.

 «Mezze seghe di merda, figli di puttana, stronzi, adesso vi faccio sistemare io» e fece finta di chiamare qualcuno. «Raul, Mattison, Dragan, venite un po’ qua!» urlava nella direzione dell’ingresso del locale. «C’è da divertirsi!».

 Alle grida un paio di ceffi corpulenti si affacciarono fuori dall’ingresso, non si trattava né di Raul né di Dragan, ma questo bastò per ridimensionare l’aggressività del gruppo di giovani, che prestamente rimontarono sulle loro automobili, peraltro tutte appartenenti ai propri genitori, chi di Quarto Oggiaro, chi di Cusano Milanino, chi di Baggio.

 Insomma attorno al Luis si creò spazio e il pilota, sollevato, pur se in un bagno di sudore, innestò la prima velocità, senza sapere quale fosse la direzione da seguire.

 «Ma in questa macchina l’aria condizionata non funziona?», disse Elenoire.

 «Certo che funziona». Luis la accese e in pochi secondi la temperatura all’interno dell’abitacolo scese di una ventina di gradi. Nel suo intimo però era convinto che a breve quel trattamento lo avrebbe fatto ammalare, anche perché le sue energie e quindi anche le sue difese immunitarie erano agli sgoccioli. Normalmente a quell’ora era già nel mondo dei sogni.

 «Portami in via Lanzone, il numero non me lo ricordo ma il palazzo lo so riconoscere, fai presto!».

 Il De Angelis non per caso aveva esercitato la professione di taxista per quarant’anni.

Prese via Alemagna a oltre 140 all’ora, poi via Carducci dove superò i 200, all’altezza del Bar Magenta iniziò a scalare di marcia, quinta, quarta, terza, seconda e svolta brusca per Sant’Ambrogio. Erano passati due minuti ed erano in via Lanzone.

 A questo punto si dovette procedere a bassa velocità, affinché Elenoire potesse riconoscere il palazzo. Dietro di lui si era costituita una piccola coda di auto, che però non avevano il coraggio di suonare il clacson, come sempre succede quando a intasare il traffico è una vettura prestigiosa. Chi avrebbe il fegato di suonare a una Porsche, o a una Ferrari?

 «Eccolo, è qui» disse Elenoire, i cui seni nudi erano ormai quasi visibili nella loro interezza. Lei non ci badava, ma il signore che aveva accanto sì.

 «Aspettami qui. Speriamo che questa sia la volta buona. È l’unica persona di cui posso fidarmi». Uscì dall’auto, incollata al telefonino, si avventò sui campanelli, poi entrò nel condominio di lusso, risucchiata dal portone.

 De Angelis si ritrovò nuovamente solo con se stesso e con la sua BMW roadster, indeciso se andarsene via o rimanere. Ancora una volta, rimase. In via Lanzone non passava più nessuno, non c’erano locali aperti perché di locali non ce ne sono, le mura erano ricoperte da scritte fatte con la bomboletta spray che aumentavano il senso di degrado e anche quello di disagio del Luis. Questa volta nessuno lo disturbò e lui poté dedicarsi a qualche riflessione. Ma che le sarà successo a quella ragazza? E poi chi è? Una modella, un’attrice del cinema? E perché temeva che la volessero eliminare? Che cosa c’era di mezzo?

 Non era mai stato un tipo molto fantasioso ma riuscì comunque a sviluppare alcune ipotesi. Perché quella giovane donna era in pericolo di vita? Chi la voleva uccidere? E se invece mi stessi sbagliando e quella lì non è affatto una vittima, ma al contrario è una criminale?

 Il silenzio di via Lanzone fu squarciato dal rombo di una motoretta scassata.

 Vittima o criminale? Purtroppo l’immaginario letterario di De Angelis non era molto ricco, per una donna bellissima poteva prevedere solo il ruolo di colei che è perseguitata da schifosi aguzzini oppure quello di maliarda ingannatrice. In questo secondo caso c’era da pensare che quella giovane donna, com’è che l’avevano chiamata? Elenuar... si potesse essere macchiata di un qualche atroce delitto e stesse cercando di fuggire al suo destino? Ah, e allora io sarei complice di una assassina! E se hanno preso la targa?

 De Angelis non sapeva se sentirsi un eroe o un fesso, ammaliato dalle grazie di quella donna, che a titolo indicativo avrebbe potuto essere sua nipote, o, in altri tempi, quando i figli si facevano presto, addirittura bisnipote.

 Uscì a fatica dalla bassissima BMW, avrebbe desiderato fumarsi una sigaretta, ma ormai erano più di vent’anni che aveva smesso. Ma si sa, il vizio del fumo...

 Girando intorno alla macchina ebbe un’idea, quella di mascherare la targa. Aprì la bauliera e ne estrasse un barattolo di grasso lubrificante. Era di color marrone e lo spalmò sulla targa posteriore, tentando di fare in modo che quel grasso sembrasse caduto sulla targa così, per accidente. Ne buttò un po’ anche sulla carrozzeria. Lo avrebbe poi tolto con comodo, il grasso alla carrozzeria non apporta danneggiamenti. Per terra trovò un po’ di sabbiolina che gettò con nonchalance sulla targa rivestita di grasso. Il risultato fu ottimo.

 Poi si accese la luce di una finestra del secondo piano e si scatenò il finimondo.

 «Vattene via, gran troia! Non ti fare più vedere qui, puttana!». Tali grida attraversarono tutta via Lanzone.

 De Angelis si scosse, lanciò uno sguardo verso l’alto e vide che una persona era affacciata a una finestra e probabilmente quell’apostrofare veniva da lassù.

 Si trattava di una donna che sembrava parecchio agitata. Continuava a inveire dalla finestra, proprio mentre Elenoire si catapultava fuori dal portone e procedeva zigzagando, come se temesse che qualcuno le potesse sparare dalla finestra.

 «Presto, sali, che fai?».

 Riuscirono a montare sulla BMW proprio nel momento in cui dalla finestra piovevano oggetti, accompagnati da parole: «Sciagurata, gran puttana, non ti azzardare a farti vedere un’altra volta perché ti taglio la gola» e altre violenze del genere. Cadde un telefonino, delle scarpe, una radio e anche una pesantissima sacca di mazze da golf. La BMW ne risultò miracolosamente incolume ma «Leviamoci di qui» disse lei, quando De Angelis lo stava già facendo, proprio nel momento in cui un’altra grossa auto blu raggiunse il posto. Non si trattava della stessa che era entrata nella corte della casa di ringhiera, una Mercedes. Questa qui era una Audi. Lui di macchine se ne intendeva.

 «Scappa! Scappiamo via! Se ci prendono siamo morti tutti e due!» disse la ragazza.

 «Tutti e due?» domandò a se stesso il De Angelis, mentre forzava una seconda marcia a 120 km l’ora.

 Intanto vediamo se ci prendono, pensò senza dirlo, mentre incrociava a velocità da Formula Uno per il lastricato di via Torino.

 La BMW era in gran forma, l’ex taxista la buttò a sinistra e dopo una serie di svolte secche si ritrovò a Cordusio, da lì prese via Dante, dove se fosse stato per la Z3 3.2 24 valvole si poteva fare anche qualcosina di più dei 200. Per fortuna non c’erano molte automobili in giro. Altro passaggio intorno a Parco Sempione, poi un po’ di velocità su corso Sempione. L’Audi era sempre lì.

 De Angelis, mentre faceva un paio di giri intorno a piazza Firenze si rese conto che quello lì non era il terreno adatto. L’Audi sul rettilineo gli dava del filo da torcere, ma in curva non riusciva a stargli dietro. Finalmente inforcò via Caracciolo e dunque attraverso via Mac Mahon si lanciò in direzione della Bovisa, una zona che conosceva bene, piena di strade strette e di curve a novanta gradi, dove avrebbe potuto seminare chiunque. Quei coglioni con l’auto blu non sapevano con chi avevano a che fare. In termini di prestazioni assolute forse la loro gigantesca Audi poteva competere con la sua BMW, ma non certo in termini di accelerazione e di maneggevolezza.

Mentre al volante dava il meglio di sé Elenoire, pallida come uno straccio, forse era un po’ scombussolata per la gimkana e forse anche per le vodke che si era bevuta, aveva ripreso a lavorare con il telefonino.

 «Ma no, ti giuro, tu lo sai che io sono una che ne ha viste di ogni, ma questo è troppo, questo è troppo, la Katy l’hanno ammazzata, l’hanno ammazzata, ti giuro, e allora basta, basta, non me ne frega un cazzo se mi intercettano, non me ne frega un cazzo, io l’ho vista, ti giuro, la Katy l’hanno ammazzata e adesso se mi prendono mi infilano in un pilone di calcestruzzo. Anche Roby mi ha abbandonato. Sono andata a casa sua a chiedere aiuto e sua moglie... ma il bello è che una macchina delle loro è arrivata subito, si è messa a inseguirci... chi? Con chi sono?... Ma no, è uno, uno che non conosci... ah beh... no, ma sei pazza?...».

 De Angelis, nonostante stesse guidando sul filo dei 150 km all’ora nel reticolo urbano, nonostante la sua avanzata sordità, non ebbe difficoltà a recepire queste frasi e non ne rimase indifferente. Un pilone di calcestruzzo? Dove fuggire, in Isvizzera?

 Dopo una serie di deviazioni brusche che permisero alla BMW di dare un certo distacco alla Audi, in modo che non ci fosse più il contatto visivo, il Luis infilò l’auto in una corte che sembrava privata e che invece era una strada con uno sbocco, dall’altra parte. Inchiodò infilandosi in un anfratto e spense la fanaleria. Intimò a Elenoire di tacere, ma quella aveva già smesso di parlare da qualche minuto, evidentemente non si sentiva bene. Nel silenzio assoluto che si era creato in pochi secondi si sentiva solo qualche scricchiolio di aggiustamento del motore, clic, clic, zing, rumori lievissimi di un sei cilindri appena sollecitato e dell’acqua che scorreva nei condotti del radiatore.

 Sentirono passare sulla stradina parallela l’Audi a velocità impossibile. Il rumore si allontanò e scomparve. Quando De Angelis se ne rese conto esplose di giubilo.

 «Vaffanculo, stronzi di merda, ande’ a ciapa’ i ratt, tel chì, il De Angelis, lo sai come mi chiamavano quando ero giovane?».

 Elenoire non sembrava essere molto interessata, adesso il suo colorito dava sul verde.

 L’altro esultava come uno che ha vinto al Superenalotto.

 «Driver l’imprendibile, mi chiamavano. Avevano ragione o no?».

 La ragazza vomitò fuori dall’auto tutto quello che aveva in corpo, mentre il Luis era in piena estasi, si sentiva una cosa sola con la sua BMW, ed era contento di avere accanto a sé una donna così bella, nonché di averla salvata da morte sicura.

 Magnanimo e convinto, lasciò passare un po’ di tempo, affinché fosse sicuro che i manigoldi inseguitori si fossero allontanati abbastanza e che Elenoire si fosse ripresa. Ripartirono.

 «E adesso dove andiamo?».

 «Ma che ne so io... Dove vuoi che andiamo? Mi hanno abbandonato tutti. Ho solo te di cui fidarmi».

 De Angelis non disse niente.

 Sulla tangenziale gli pareva di procedere lentamente, una velocità di crociera adatta per parlare e ripensare all’accaduto. Torniamo a casa mia? E se arrivano un’altra volta quelli della Mercedes?

 In realtà la velocità alla quale procedevano non era esattamente quello che si dice di crociera, perché superava i 150. Ma era colpa sua se con quella macchina non era facile rendersene conto?

 La pantera della polizia si accodò alla Z3 e fece delle segnalazioni inequivoche. Doveva fermarsi.

 De Angelis si scosse e guardò Elenoire. «Che facciamo, fuggiamo?».

 La bionda lanciò un’occhiata alla pantera e fatalisticamente sospirò: «Ma dove vuoi fuggire... frena, dai».

 Lui si fermò in uno slargo poco prima di Sesto San Giovanni. Ma che sfortuna, pensava disarmato, proprio l’uscita prima della mia. Una volta arrestatosi non accennò a uscire dalla macchina. Un agente si approssimò, guardò dentro la BMW e sembrò assai stupito dopo averne visto il contenuto: un signore molto anziano che indossava dei guantini da guida con accanto uno schianto di figa bionda, vestita assai poco.

 «Patente e libretto di circolazione».

 Gli agenti erano due, uno dei quali rimase a controllare che quel vecchio pazzo non facesse scherzi, mentre l’altro verificava con la Centrale i documenti. Il Luis era come paralizzato, Elenoire non pareva fare molto caso all’inconveniente.

 «E se adesso lei dicesse a questi agenti che la stavano inseguendo dei criminali? Non le sembra un’ottima occasione? Loro la porteranno al sicuro, no? Se c’è una ragazza morta di mezzo, non conviene forse...».

 «No, non conviene affatto». Elenoire aprì lo sportello ed uscì dall’auto per sgranchirsi un po’. Gli agenti la fissavano basiti, cercando di mantenere un contegno ma senza riuscirci. Finalmente tornarono dal guidatore.

 «Signor De Angelis, i suoi documenti sono in ordine, ma lei lo sa che stava procedendo a una velocità superiore ai 150 chilometri all’ora? Lo sa che per questo genere di infrazioni c’è il sequestro della macchina? E lo sa che le dobbiamo ritirare la patente?».

 «150 chilometri all’ora? Ma non è possibile, a me pareva di andare a novanta, ma sa, con queste macchine, il sequestro... ma cosa dice mai, il ritiro della patente?».

 Elenoire aveva ascoltato la conversazione e disse a Luigi: «Aspetta qui e lascia fare a me».

 «Agente, le devo parlare di una cosa molto importante».

 De Angelis vide la ragazza che si allontanava parlottando con gli agenti, lui purtroppo non poteva sentire cosa dicevano. Poi vide che uno dei due era entrato nella pantera e si era messo al telefono.

Il sequestro della BMW? Il ritiro della patente? Con tutto quello che aveva dovuto tribolare per ottenere il rinnovo? E che avrebbe fatto adesso? Il mondo stava crollando addosso al Luis. Valeva la pena di vivere ancora, senza patente e senza la BMW Z3 24 valvole?

 L’attesa durò a lungo, lui non riusciva a capire che cosa stesse succedendo, non li vedeva più. E se adesso partissi e scappassi in Svizzera dal Consonni? Loro mi aiuteranno. E la BMW? Ma quale Svizzera, meglio sarebbe schiantarsi contro un palo, e non se ne parla più, tanto a che vale? Ma che stanno combinando? Forse la ragazza si è decisa a parlare? E di me, che ne faranno?

 Dopo una ventina di minuti uno dei due poliziotti si avvicinò alla BMW accompagnando Elenoire. Lei risalì a bordo. L’agente riconsegnò i documenti: «Tutto a posto, signor De Angelis, vada pure».

 «Ma come, non mi fa neanche la multa?».

 «Le dico tutto a posto, signor De Angelis, può ripartire... e non se lo faccia dire un’altra volta... comunque guidi con prudenza, mi raccomando, per questa volta chiudiamo un occhio. Ah, stia attento, guardi che le hanno impiastricciato la targa posteriore, in modo che non si vede più il numero».

«Ah, che bastardi, me lo fanno sempre questo scherzo, ma so chi sono sa? So chi sono».

 Luis guardò Elenoire. Ma che cosa gli aveva detto a quelli là? Lei ridacchiava, poi improvvisamente sembrò cadere addormentata.

 Finalmente, intorno alle quattro del mattino, i due furono di nuovo nella casa di ringhiera. De Angelis ebbe l’accortezza di posteggiare la BMW fuori, per la strada. Un po’ gli dispiaceva, non era mai successo prima, ma non era il caso, tante volte gli sgherri fossero tornati nella casa di ringhiera, che vedessero quella macchina lì. Una volta giunti sul ballatoio spense l’apparecchio televisivo, che era ancora acceso. Entrarono in casa e fu chiusa la porta. Lui si abbatté sul divano, ancora elettrizzato ma distrutto.

 Elenoire invece aveva molta fame e dette fondo alle riserve custodite nel frigorifero. Prima si mangiò delle verdurine, spinaci e bietola, così, fredde di frigo, senza neanche scaldarle un po’. Poi si fece una confezione intera di pollo alla diavola con patate di Quattro salti in padella, dunque si preparò un caffè d’orzo solubile e infine aprì una scatoletta di tonno. Nel frattempo aveva chiesto se c’era un po’ di vino e lui era andato a prendere un fiasco di Chianti Spalletti che teneva in serbo.

 De Angelis si chiedeva come facesse quella ragazza ad essere così magra se mangiava quella quantità di roba, pensò che quella rivomitasse sempre quello che ingurgitava, però non disse niente, se non: «Mangi mangi, dopo quello che ha passato...». Ma che cosa aveva passato? In fondo il Luis non aveva capito proprio niente. Sì, qualcuno la cercava, ma di preciso... chi era quella Katy che avevano ammazzato? E qual era il ruolo di Elenoire?

 «Senta, scusi sa, ora, non è che le chiedo niente su che cosa le sia successo, e chi erano quelli che la cercavano, e dov’è che mi ha portato, cioè dov’è che si è fatta portare, e che cosa gli ha detto a quegli agenti di polizia, insomma, tutte queste cose qua io non le voglio mica sapere... ma una domanda gliela posso fare?».

 La ragazza ingollò un bicchiere di Chianti e annuì.

 «Com’è che una ragazza bella come lei si trova in tutti questi guai? Ma lei, che mestiere fa?».

 La ragazza addentò una pesca.

 «Beh, vede, è che col mestiere che faccio io trovarsi nei guai non è poi così difficile, bisogna farci il callo, ma quando è troppo è troppo».

 «Ma perché, qual è il mestiere che fa lei».

 «Faccio la escort, non si vede? Non l’aveva capito? Non se l’era immaginato?».

 «E che cus’è che è ’na escort?».

 La ragazza si mise a ridere. «Ma come, se i giornali non parlano d’altro... una volta si diceva puttana, prostituta, una mondana, insomma, veda lei...».

 «Oh Signur... che povera ragazza...».

 «Beh, povera non direi proprio, signor? Com’è che ha detto che si chiama?».

 «Mi chiamo Luigi De Angelis, però tutti mi chiamano Luis... ma lei...».

 «Non si preoccupi per me, è un mestiere come un altro...».

 «Eh, va bene, ma allora cos’è che è successo stanotte, quelli lì erano i suoi magnaccia?». La parola magnaccia uscì dalla sua bocca come una entità aliena, un corpo estraneo, chissà perché aveva usato proprio quella, voleva far capire che era un uomo di mondo? Eh, ne aveva viste tante anche lui nel corso dei lunghi decenni in cui aveva svolto la professione di taxista. Però una «donnina» così bella non l’aveva mai vista, né tantomeno l’aveva scarrozzata da qualche parte con la vettura.

 La ragazza prese a raccontare. Si era trovata a essere testimone di un fattaccio accaduto a una sua collega. Erano in quattro o cinque da un tipo che lei non aveva mai visto, se non per televisione. Un tipo alto un metro e quaranta che aveva organizzato una festicciola per un suo nuovo incarico molto importante. Poi era successo che una delle ragazze si era sentita male, sembrava morta, e allora Elenoire si era impuntata perché chiamassero il 118, perché quella stava morendo. Lei non sapeva di che cosa si trattasse, se troppa cocaina oppure una intolleranza alimentare letale o un vero e proprio avvelenamento. Fatto sta che quella se ne stava andando e che il 118 andava chiamato.

 Però gli organizzatori dell’incontro di chiamare l’ambulanza non ne volevano neanche sapere.

 «Oh Madonna che caldo che fa, ma lei non ce l’ha un ventilatore?».

 Elenoire certo non poteva denudarsi di più di così.

 «Allora io ho preso un paio di fotografie col telefonino e poi sono scappata via: urlavo a tutti che li avrei denunciati, che erano una massa di criminali, che andavo alla polizia. E quelli mi hanno inseguito, volevano impedirmi di parlare, di denunciare il fatto, di creare uno scandalo. E la Katy adesso chissà dove l’hanno portata. E se è viva. Ma io con quelli ho chiuso. Però se mi trovano... Lei non ha idea del potere che hanno... Fanno quello che vogliono... ha visto? Non ci hanno messo molto a smuovere i servizi segreti... ma io domani... E dire che la Katy se lo sentiva... me l’aveva detto. Lei era un tipo strano, un po’ diversa dalle altre. Non aveva molta esperienza. Però una bella ragazza, quello sì. Ma lei se lo sentiva che le succedeva qualche cosa. Erano i suoi genitori che l’avevano convinta... ma pensa te... e chissà adesso dov’è finita... magari in un pilone di calcestruzzo... o nella calce viva... tanto a quelli lì i cantieri non mancano... ma a me no, a me non mi ci mettono nel pilone di calcestruzzo. E adesso non so cosa fare e dove andare. Quello stronzo di... Ha visto anche lei di che cosa è capace la moglie...».

 «Chi, quella che tira la roba dalla finestra?».

 «Sì, quella lì, ma lui...».

 «E quello del Just?».

 «Ah, lasciamo perdere...».

 Elenoire sembrava avere un attimo di cedimento. Era pronta a una crisi di pianto, che infatti arrivò.

 «Bastardi... bastardi...».

 «Ma via signorina, una soluzione si trova sempre, non si lasci andare così, su, non pianga, in fondo siamo riusciti a...».

 «Ah, io sono sempre stata sfortunata. Tranne questa volta» le lacrime si stavano asciugando. «E se non avessi trovato te? Adesso dove sarei?».

 De Angelis era agghiacciato, allibito e sedotto. Non disponeva più di molte energie ma si sentiva un leone per come aveva seminato quei «romani», chissà poi perché pensava che fossero dei romani. Tutto sommato dentro di sé provava l’emozione di essere un paladino, un salvatore.

 Mentre Elenoire si stava riprendendo, prova ne sia che aveva ricominciato con pane burro e marmellata, Luis fantasticava e progettava.

 «E se domattina presto partissimo per la Svizzera? In mezz’ora ci siamo e lì quei tipi dei servizi segreti non possono fare il bello e il cattivo tempo. E io ce l’avrei anche un posto dove lei potrebbe stare al sicuro, un posto che non conosce nessuno. Veda lì, in una località segreta sono andati a nascondersi per un po’ due inquilini di questo palazzo. Una è una signora, l’affittuaria dell’appartamento dove lei si è rifugiata».

 «Quella della vodka?».

 «Sì, proprio lei... non le sto a raccontare perché hanno levato le tende... ma insomma, anche loro avevano dei problemi, di preciso non lo so nemmeno io... però... io ho la loro fiducia, sono l’unico che sa come mettersi in contatto, e sicuramente la accoglierebbero e la nasconderebbero, almeno per un po’, nel frattempo lei...».

 «Uhmm, la Svizzera non mi convince, quelli hanno tutti la casa lì, ed hanno delle buone connections. La Svizzera non la vedo bene... magari, che ne so, ci vorrebbe qualcosa di più lontano e più nascosto... Equador? Messico? Guatemala? Ma tu, un po’ di soldi ce li hai?».

 De Angelis trasalì. «Soldi? No, soldi non ne ho, qualcosa, cioè...».

 «Guarda che te li restituirei, eh, mi bastano i soldi per un biglietto aereo e qualche spicciolo per i primi momenti, però, ecco, ti posso staccare un assegno, quanto ci scrivo, la cifra falla tu. Ti assicuro che l’assegno è coperto, è un conto estero, ti ci vorranno due o tre giorni per incassarlo, ma è coperto... dai, dimmi che tieni qualche riserva in casa, ce l’hanno tutti, soprattutto le persone anziane...».

 Per l’appunto il De Angelis teneva sempre i suoi risparmi in una busta appiccicata con lo scotch sotto un cassetto del comò. Ma lei come faceva a saperlo? C’era da fidarsi? O era tutta una truffa? Elenoire rovistò nella borsetta e tirò fuori un rotolo di banconote. Le contò.

 «Ecco qua, ho solo milletrecento euro, non mi bastano, non mi bastano...».

 Lui a quel punto mise da parte ogni dubbio e diffidenza, ormai era in ballo. Andò a prendere la busta nascosta sotto il cassetto e ne estrasse delicatamente il contenuto, disponendolo sul tavolo di cucina. C’erano un pezzo da 500, otto pezzi da 200, ventiquattro da cento e ventotto da cinquanta.

 «Sono le mie riserve... è tutto ciò che ho. In banca sa, non ho quasi niente, negli ultimi tempi ho avuto delle spese e... la BMW...».

 Elenoire gli dette un bacio in fronte e raccolse il contante.

 «Ah, dimenticavo» rovistò ancora nella borsa ed estrasse un libretto di assegni.

 «Com’è che ti chiami tu?».

 «Glielo ho detto adesso, De Angelis Luigi, perché?».

 La ragazza firmò un assegno a copertura del prestito. La firma non era molto leggibile, ma il nome sembrava assomigliare più a quello di Maria Carla Chiesa che non a quello di Elenoire Casalegno.

 «Domattina mi porti all’aeroporto, ti va?».

 «Ma certamente, certamente... anche subito».

 «Prenderò il primo aereo per Londra... e poi... poi si vedrà...».

 «Londra?».

 Per lui Londra, il Messico, l’Equador, perfino Palermo godevano dello stesso grado di esotismo. Non si era mai mosso da Milano.

 «Lei può dormire nel mio letto, io mi aggiusterò qui sul divano» fece come un vero gentiluomo. «Adesso le do gli asciugamano». Elenoire contava e ricontava il denaro e ne faceva dei mazzetti, come se ciascuno avesse una destinazione precisa.

 «Domattina... ma lei non ce l’ha un computer? Voglio controllare a che ora c’è un volo».

 «Eh no, non ce l’ho...».

 «Fa lo stesso...».

 Adesso De Angelis non sapeva più bene come comportarsi, era venuto il momento di coricarsi, almeno per alcune brevi ore, sembrava tutto deciso. Tuttavia si sviluppò una situazione di imbarazzante silenzio. Entrambi avevano qualcosa per la testa, ma nessuno dei due diceva niente. Finalmente fu il De Angelis a parlare. Era incerto, ma a quel punto a che valeva nascondersi dietro un dito? La sua curiosità ebbe la meglio.

 «Mi scusi sa, ma, tanto per dire, a proposito della sua professione... cosa costa di media una seduta con lei? Intendo dire una prestazione professionale, magari non delle più costose, una cosina semplice?».

 «Non credo che lei se la potrebbe permettere» fece lei senza stupirsi affatto «ma visto che lei è stato così gentile con me diciamo che se ne può fare una gratis, però non deve essere una cosa molto impegnativa, sono molto stanca e se possibile vorrei farmi qualche ora di sonno».

 Una cosa impegnativa? si chiedeva il poveruomo, ma quale cosa impegnativa... L’aveva detto così per dire, mica ne aveva intenzione, e inoltre aveva dei fortissimi dubbi che potesse riuscire a combinare alcunché, non si ricordava nemmeno quando fosse stata l’ultima volta che... con quella slava grassa e sudata. Saranno passati dieci anni? O venti? Non si ricordava nemmeno quanto avesse speso.

 «Sa, beh, era per curiosità, e poi io sono molto vecchio, non so mica se sarei più capace...».

 «Ah, di questo non si deve preoccupare, ho avuto a che fare anche con gente più vecchia di lei». La ragazza si rese conto di aver usato un termine che poteva risultare offensivo e corresse: «Volevo dire, meno giovane».

«Ah, beh».

 La mattina dopo, si fa per dire, erano passate poche ore, Elenoire stava facendo la doccia nel bagno di De Angelis, nuda.

 Completata l’operazione, senza rivestirsi, prese ad aggirarsi per l’appartamento: si fece un caffè, sgranocchiò dei cracker, cercò di ragionare a mente fredda. Accese il cellulare e fece un paio di telefonate.

 Il padrone di casa dormiva profondamente, anzi, per la precisione sembrava morto, o per lo meno in coma farmacologico.

 La signorina Mattei-Ferri fu la prima inquilina a fare ritorno nella casa di ringhiera: aveva passato il Ferragosto da una sua parente in una località collinare, vicino a Monticello Brianza, dove si presumeva che potesse essere un po’ più fresco, ma non era stato così. Quella mattina il suo triscugino l’aveva accompagnata a casa, con tanto di sedia a rotelle, con la sua SEAT. Erano le dieci e mezzo e faceva già un caldo insopportabile.

 La signorina una volta nella corte dette uno sguardo intorno e capì che non c’era nessuno in giro. Che diavolo, quel giorno non c’era bisogno di sceneggiare la solita manfrina della sedia a rotelle per non farsi beccare dai sorveglianti della ASL, chi mai sarebbe venuto a spiarla proprio il 16 di agosto?

In casa non aveva niente, neanche un po’ di caffè, e allora si decise a percorrere il ballatoio per andarlo a chiedere al De Angelis. A quanto le risultava – e difficilmente su queste cose si sbagliava – l’unico inquilino presente era il Luis, uno di cui ci si poteva fidare. Così, a piedi, percorse il ballatoio est, quello nord e quello ovest per raggiungere l’appartamento numero 5. Fuori dalla porta c’era ancora la televisione sul carrello, la poltrona e una bottiglia di birra vuota. Ma che diamine, cosa si era messo a fare quel matto, i festini?

 Suonò il campanello e le aprì la porta una ragazza bionda, alta e nuda. Si trattava di Elenoire Casalegno in persona, almeno così pensava la Mattei-Ferri.

 Questa, pur sbalordita, riuscì a dire: «Eh, mi scusi, cercavo il signor De Angelis».

 «Ah, il Luis? No, guardi, dorme ancora».

 «Ah, beh, non fa niente, ripasserò più tardi...».

 Cosa? Elenoire Casalegno in casa del Luis, tutta nuda? Ma cosa sta succedendo? Ho le allucinazioni?

La ragazza non fece molto caso alla signorina Mattei-Ferri e si rivestì, se così si può dire. E ripensò a tutto ciò che era accaduto. Riprese il cellulare e fece altre chiamate.

La signorina Mattei-Ferri era in trance. Non poteva credere a quello che aveva visto, avrebbe voluto prendere delle fotografie perché chi poteva credere mai a quello che lei aveva da raccontare, vale a dire che Elenoire Casalegno era stata lì e che aveva passato la notte da Luigi De Angelis, nuda. Proprio Elenoire Casalegno, la famosa presentatrice della TV, uno dei personaggi più seguiti dalla signorina, che monitorava con accanimento le vicissitudini dei VIP, consultando avidamente la stampa specializzata, quella che narra le gesta di queste persone veramente importanti. Ed Elenoire Casalegno era una di quelle. A proposito, a che punto era la sua relazione con Omar Pedrini? Nella sua vita forse c’era una nuova fiamma? La Mattei-Ferri non se lo ricordava, ma avrebbe potuto consultare le annate delle sue riviste, «Chi», «Vero», «Novella 2000», «Eva 3000» e tutte le altre. Che ci voleva? Ma certamente quelle riviste, per quanto informate fossero, non facevano menzione del De Angelis.

 Proprio lui intorno a mezzogiorno stava per svegliarsi. Era nel mezzo di un sogno in cui lo avevano richiamato al servizio di leva. «Ma io il militare l’ho già fatto!» cercava di replicare, ma non c’era niente da fare. Aveva forse venticinque anni. Così gli ci volle del tempo per capire che no, di anni ne aveva trenta, no, forse quaranta, ma no, sessanta, settanta. Finalmente si sintonizzò col tempo presente e si ricordò di ciò che era accaduto durante la notte e che c’era da andare all’aeroporto, ma quale, Linate o Malpensa? Dieci minuti furono sufficienti per tornare sul pianeta terra, dunque si alzò, con un gran mal di testa.

 La casa era silenziosa, pensò che la ragazza fosse ancora a letto. Che faccio, la sveglio? Aveva un po’ di ritegno all’idea di bussare, ma che ore erano, già le undici? Adesso le preparo un caffè, decise il Luis, ne abbiamo bisogno.

 Rassettò un po’ in cucina: era tutto in disordine, mentre il frigo era vuoto. Ma non stava passando troppo tempo? E l’aereo? E la fuga? Quando il caffè fu pronto lo versò in una tazzina e pensò di portarlo in camera. Lei ci vorrà anche il latte? E come faccio, io di latte in casa non ne ho. Pose piattino, tazzina, cucchiaino e zuccheriera su un piccolo vassoio d’argento e si incamminò verso la camera da letto. Bussò delicatamente. Nessuna risposta. Ribussò.

 Dopo qualche attimo di incertezza aprì la porta. Dopo un primo momento in cui l’oscurità non gli permetteva di distinguere bene si rese conto della circostanza che lì Elenoire non c’era più.

 Accese la luce, appoggiò il vassoio, perlustrò rapidamente ogni angolo, ma in quei pochi attimi nella mente gli si prospettò in maniera assai brusca la realtà: quella se ne era andata, con i suoi soldi.

 Oddio, Signore, me lo dovevo aspettare. Quella lì è una giovane avventuriera e per portarmi via i miei risparmi si è inventata tutta la storia.

 Si aggirò incredulo per l’appartamento, si affacciò sul ballatoio. Andata.

 E andati anche i 5.900 euro che dovevano servire per partire per il Messico, o l’Equador, o chissà dove. Ma quale Equador, quella là era una truffatrice professionista. Oh, santo Cielo, e adesso come faccio? Mi hanno fregato, mi hanno fregato ben bene. Ma che senso ha la vita?

 De Angelis si aggirava per la casa cercando una traccia, un messaggio, una prova del fatto che non era vero. E se mi fossi sognato tutto? Il caldo era impossibile. Andò a controllare sotto il cassetto per vedere se la busta con i suoi risparmi era sempre lì.

 No, non c’era...

 Disperato uscì di casa, aggirandosi per i ballatoi e la corte della casa di ringhiera. A chi chiedere aiuto? Si accorse che le finestre dell’appartamento della Mattei-Ferri erano aperte: era dunque tornata? In un bagno di sudore bussò a quella porta.

 «Buongiorno signorina, è tornata dalle vacanze?».

 «Beh, se mi vede qui vuol dire che sono tornata, non trova?».

 «Ah, beh, certo..., ma le volevo chiedere, ha mica visto movimenti o situazioni strane qui nella corte? Sa, perché è successo che...».

 «Se ho visto qualcosa? Qualcosa di strano? E lo viene a chiedere a me? Certo che ho visto qualcosa di strano, di incredibile, di marziano».

 «E cioè?».

 La Mattei-Ferri non raccontò del suo incontro con Elenoire Casalegno, perché non voleva fare la parte dell’impicciona e sperava che fosse il Luis stesso a tradirsi. Si limitò a riferire che un’oretta prima aveva visto quello che aveva visto. E cioè che era arrivata una grossa macchina blu e che dentro c’era entrata una ragazza alta e discinta.

 De Angelis ebbe in pochi istanti il classico disvelamento. La bionda lo aveva ciurlato nel manico. Gli inseguimenti? La ragazza morente vittima di una congrega di perfidi potenti? I pericoli? I servizi segreti? Una povera vittima delle circostanze? Ma no, santo Cielo! Era stata tutta una messa in scena per fregargli i soldi, e che altro? E anche la polizia accomodante: erano amici suoi...

 Ah, la vita... la vita è proprio una fregatura, una rovina, un nodo scorsoio, e io mi sono lasciato ingannare come un pirla. E adesso? Come faccio che non ho più un soldo? E se andassi a sporgere una denuncia alla polizia? Ma per fare cosa, la figura del deficiente? E poi che cosa racconto, che sono stato truffato da Elenoire Casalegno? Prese in mano l’assegno che gli aveva lasciato la ragazza: era della Banca Popolare di Presonzo. Oh signur, ma come ho fatto a cascarci... Maria Carla Chiesa, il nome con cui si era firmata la ragazza... e allora perché la chiamavano Elenuar? Luigi avrebbe voluto battere la testa contro il muro e farla finita.

 Mancava un quarto d’ora alle tredici. Corse in banca, sperando di arrivare prima dell’orario di chiusura.

 Allo sportello chiese un estratto conto: i suoi averi ammontavano a 453 euro. Ne ritirò 50 per le spese correnti.

 Poi mostrò l’assegno alla cassiera: lei lo guardò con molto scetticismo: «Banca Popolare di Presonzo... mai sentita... ma è sicuro che questo assegno sia buono? Sa, le truffe ai danni delle persone anziane sono sempre più frequenti... ma conosce la persona che lo ha emesso? Io non so se...».

 De Angelis si guardò bene dal raccontare quello che gli era accaduto e si inventò una balla su come era entrato in possesso di quell’assegno, la cassiera non parve crederci.

 «Ma è sicuro di sentirsi bene?».

 No, non stava bene per niente.

 Il resto della giornata il De Angelis lo passò chiuso in casa, con la finestra serrata e gli scuri sbarrati, avvolto in pensieri di morte e di vendita della BMW, che nel suo caso più o meno erano la stessa cosa.

 Pensava e ripensava alle sue avventure e all’avventuriera: come può la gente essere così crudele? Era tutto un piano prestabilito? Era d’accordo con quelli della Audi? Era d’accordo anche con quella signora che lanciava oggetti dalla finestra? Oppure no, era veramente inseguita e forse quelli che la inseguivano volevano i soldi da lei?

 Cercava di ricostruire le vicende guardandole da tutte le angolazioni, ma la conclusione alla quale perveniva era sempre la stessa: era rovinato. Gli avevano portato via 5.900 euro, che non avrebbe visto mai più. Quella donna senza scrupoli non aveva esitato a truffare un povero anziano, che per giunta aveva rischiato la vita per lei. A intervalli regolari si spingeva fin sul ballatoio arroventato per lanciare uno sguardo malinconico sulla sua BMW. Presto le avrebbe dovuto dire addio.

 Alle 19.27 per cena si fece due uova fritte, che a malapena riuscì a mandare giù.

 Alla sera, pieno di amarezza, non sapeva dove battere la testa. Telefonare alla sorella Ernestina, per chiederle aiuto? O ai suoi nipoti? Ma perché il Consonni non c’era, proprio in quei giorni? Lui era l’unico che avrebbe potuto dargli dei consigli!

 Così, mestamente, si dispose a vedere un altro film della sua cineteca. TV, VHS e poltrona erano sempre lì, sul ballatoio. Prese un’altra cassetta della collezione, ancora un film di Dino Risi, «Il sorpasso», che fra l’altro si svolge interamente durante la giornata di Ferragosto. Era proprio sconsolato, sperava di avere dalla visione un minimo di sollievo. Anche quello era un film che conosceva quasi a memoria. Mentre stappava l’ultima birretta Dreher che gli era rimasta in frigo arrivò la signorina Mattei-Ferri, accaldata, sulla sua sedia a rotelle, pronta a rimproverare il vecchio perché il ballatoio non è un cinema, ma talmente divorata dalla curiosità di sapere che cosa ci facesse Elenoire Casalegno nell’appartamento di De Angelis da non essere in grado di proferire verbo.

 «Ah, buonasera signorina Mattei, come sta?» disse fatalisticamente il Luis. «Vuole godersi anche lei il film qui al fresco?».

 La Mattei-Ferri fu colta di sorpresa, non si aspettava l’invito.

 «Ah, beh, sa, non sarebbe permesso utilizzare il ballatoio per usi personali, ma con questo caldo... in fondo... ma che film è che guarda, in bianco e nero?».

 «Si accomodi signorina, si accomodi pure» affettò Luis, senza pensare che la Mattei seduta lo era già, sulla sua sedia a rotelle.

 Il film iniziò e Vittorio Gassman irruppe con la sua Lancia Aurelia per le strade deserte di Roma nella calura, alla ricerca di un pacchetto di sigarette. Luis pensava che le Lancia erano delle grandi macchine e che quella Aurelia lì era un capolavoro. La decappottabile guidata da Gassman in qualche modo gli ricordò la sua roadster, dalla quale presto si sarebbe dovuto separare.

 Nel corso della proiezione il De Angelis e la Mattei-Ferri non si parlarono affatto, eppure entrambi pensavano alla stessa cosa, vale a dire ad Elenoire Casalegno, per meglio dire l’una pensava a quella che veramente corrisponde al nome e di cui parlano le riviste scandalistiche, l’altro a quella che così chiamavano i ragazzi del Just, e che gli aveva rifilato un assegno falso.

 «A Robe’, che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l’età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c’ha giorno per giorno. Fino a quando schiatta... si capisce».

Nessuno dei due riuscì a concentrarsi sul film, per esempio si persero «Io a Roma ci vado sempre malvolentieri: è triste, umida e antilavorativa». Tantomeno poterono gustarsi l’ultima scena tragica con la morte di Jean-Louis Trintignant. Questo perché la signorina Mattei-Ferri si era addormentata quasi subito, mentre De Angelis non riusciva a evitare le funeste riflessioni sulla sua situazione. Neanche colse la coincidenza o il presagio: Trintignant si chiamava come lui.

 Alla fine dei titoli di coda si riscosse e spense l’apparecchio. Gli doleva la schiena, a causa della forte umidità dell’aria. Senza svegliarla condusse la Mattei-Ferri fino al suo appartamento spingendo la sedia a rotelle. La lasciò così com’era, placidamente addormentata. Ebbe anche cura di coprirla un po’ con un vecchio plaid che la signorina teneva sempre a disposizione, nel salottino.

 Luis, con tragica calma, tornò in camera sua e si dispose a coricarsi. Ma a differenza della Mattei-Ferri non aveva sonno. Con gli occhi spalancati, fissi sul soffitto parzialmente illuminato dal lampione della corte, non poteva fare a meno di ripensare a tutte le avventure che gli erano capitate la notte precedente, fra la nostalgia e l’orrore. Moriva di caldo. Ah, l’anno prossimo installo almeno un ventilatore a pale orizzontali, aveva stabilito qualche giorno prima. Ma con quali soldi? Non riusciva a dormire.

 I pensieri più disperati si affollarono quella notte nella sua testa. Prevedeva la definitiva eclissi della sua esistenza, ormai evidentemente giunta alla fine: che senso avrebbe avuto la sua vita senza la roadster? Poteva reggere a una simile condizione? E che avrebbero pensato gli altri inquilini? E sua sorella Ernestina? E come sarebbe arrivato alla fine del mese? Nel giro di pochi mesi aveva dilapidato i suoi risparmi per acquistare la BMW, poi per convincere il nipote Daniel a sostenere che era lui alla guida quando il De Angelis aveva preso tutte quelle multe con l’autovelox, senza contare l’ammontare delle sanzioni stesse... e la manutenzione... e il carburante... e adesso la truffa... In quel momento intravedeva un tramonto contrassegnato dalla vergogna e dalla reclusione, ma quanto avrebbe potuto realizzare con la BMW? Certamente meno della metà di quanto l’aveva pagata. Avrebbe dunque potuto recuperare la cifra a lui estorta, ma per fare che cosa? Ritrovarsi come prima, ma senza la roadster? Insomma, in questo quadro di previsioni tutt’altro che rosee il De Angelis mai si sarebbe immaginato che sul suo conto bancario nel giro di una decina di giorni sarebbero stati accreditati 10.393,51 euro pari a 13.000 franchi svizzeri dalla Banca Popolare di Presonzo, come in effetti accadde.

 Ma per il momento questo lui non lo sapeva, non lo sapeva.

 

 

Francesco Recami - Sei storie della casa di ringhiera
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