Capitolo VII

Domenica mattina

 

 

 

 

 

In definitiva forse fu un bene per Mark Robarts non partecipare a quella cena. Quando si sedettero a tavola erano le undici e si fecero quasi le due prima che i signori si mettessero a letto. Va ricordato che Mark Robarts doveva, la domenica mattina, predicare un sermone a scopo di beneficenza, a favore di una organizzazione missionaria per gli isolani del signor Harold Smith. E a dire il vero, era un compito per il quale ora provava assai poca inclinazione.

Quando era stato invitato a predicare aveva considerato l’incarico piuttosto seriamente, come sempre considerava questo genere di lavoro, e aveva terminato il sermone prima di lasciare Framley. Da allora però aveva pervaso l’intero affare un’aria di ridicolo, a cui anche egli aveva contribuito senza pensare al proprio sermone, e questo gli faceva ora desiderare di cuore di poter scegliere come argomento un qualsiasi altro soggetto.

Sapeva bene che gli stessi punti su cui aveva maggiormente insistito erano anche quelli che maggiormente avevano suscitato l’ilarità della signorina Dunstable e della signora Smith e che più spesso erano stati per lui motivo di risate. Come avrebbe potuto predicare su quegli argomenti nello spirito giusto, sapendo, come ben sapeva, che le due signore l’avrebbero guardato e avrebbero cercato di attirare la sua attenzione e l’avrebbero reso ridicolo così come avevano già fatto con l’oratore?

Nel pensare ciò era ingiusto, senza saperlo, nei confronti di una delle due signore. La signorina Dunstable con tutta la sua propensione all’allegria e, potremmo dire a buon ragione alla burla, non era per niente incline a ridicolizzare la religione o qualsiasi cosa che riteneva vi appartenesse. È possibile che tra tali cose non includesse la signora Proudie visto che era decisamente propensa a ridere di lei. Ma se Mark l’avesse conosciuta meglio avrebbe saputo che sarebbe stata ad ascoltare il sermone con perfetta compostezza.

Comunque, data la situazione, Mark era notevolmente inquieto e al mattino si alzò presto per vedere ciò che si poteva fare per modificare il sermone. Eliminò quelle parti dove si faceva specifico riferimento alle isole, fece sparire i nomi su cui si era tanto riso, inserì una serie di considerazioni generali senza dubbio molto utili, illudendosi che avrebbero privato il sermone di qualsivoglia somiglianza con la conferenza di Harold Smith. Quando aveva scritto il sermone forse sperava di fare sensazione, ora però si sarebbe accontentato di vederlo passare inosservato.

Ma i suoi problemi quella domenica erano destinati a essere numerosi. Si era deciso che il gruppo all’albergo facesse colazione alle otto per partire alle otto e trenta in punto, in modo da raggiungere Chaldicotes e avere tutto il tempo di rinfrescarsi prima di andare in chiesa. La chiesa si trovava nel parco, vicino all’imponente viale di tigli ma dietro i cancelli principali. La passeggiata, quindi, una volta raggiunta la casa del signor Sowerby non sarebbe stata lunga.

La signora Proudie, che era molto mattiniera, non volle assolutamente che il suo ospite, per di più un ecclesiastico, andasse di domenica mattina a far colazione alla locanda. Per quel che riguardava il viaggiare di domenica fino a Chaldicotes, aveva dato il suo assenso, senza dubbio con molto disagio, ma la dissacrazione andava limitata al minimo. Era quindi stabilito che Mark tornasse a Chaldicotes con i suoi amici ma non prima di aver goduto i vantaggi della colazione e delle preghiere in famiglia. Così la signora Proudie ritirandosi per la notte diede gli ordini necessari, con gran seccatura di tutti i domestici.

O perlomeno con gran seccatura dei suoi domestici, visto che il vescovo comparve solo molto più tardi. Il vescovo, ora, sosteneva sempre le decisioni della moglie, dico ora perché c’era stato un momento in cui, nel primo entusiasmo della nuova carica episcopale, altre idee gli avevano riempito la mente. Comunque ora non opponeva resistenza a quella santa donna concessagli dalla Provvidenza. In cambio di tale condotta la santa donna badava a che tutte le piccole necessità del marito fossero soddisfatte. Con quale stupore ormai il vescovo considerava quell’empia guerra che un tempo era stato tentato di intraprendere contro la diletta sposa…

Nemmeno le signorine Proudie si fecero vedere a quell’ora così mattutina, anche se forse la loro assenza era dovuta a motivi diversi da quelli del padre. Con le figlie la signora Proudie non aveva avuto lo stesso successo che col vescovo. Le signorine avevano una volontà propria che diventava più forte di giorno in giorno. Delle tre figlie che la signora Proudie aveva la fortuna di avere, una si trovava già nella posizione di esercitare tale volontà in modo legittimo su un eccellente giovane, un ecclesiastico della diocesi, il Reverendo Optimus Gay. Le altre due però, non avendo ancora tale sbocco per la loro capacità di comando, erano forse un po’ troppo inclini a far pratica a casa.

Comunque alle sette e trenta precise la signora Proudie era presente e così pure il cappellano, il signor Robarts e i domestici tutti, tranne un pigro fannullone.

«Dov’è Thomas?» chiese la donna dagli occhi di Argo, in piedi col libro delle preghiere in mano.

«Ecco, signora, Tummas c’ha male ai denti».

«Mal di denti!» esclamò la signora Proudie mentre i suoi occhi dicevano cose ben più terribili. «Che venga da me prima di andare in chiesa».

Si passò poi alle preghiere. Queste vennero lette dal cappellano come era giusto e opportuno che fosse, ma non posso far a meno di pensare che la signora Proudie eccedesse un po’ assumendosi il compito di pronunciare la benedizione una volta terminate le preghiere. A ogni modo la pronunciò con voce chiara e sonora e forse con maggior dignità personale di quanto fosse nelle possibilità del cappellano.

La signora Proudie fu piuttosto arcigna a colazione e il Vicario di Framley sentì un inspiegabile desiderio di lasciare la casa. In primo luogo la signora non si era vestita con la solita puntigliosa attenzione alle convenienze imposta dalla sua elevata condizione sociale. Era evidente che ci sarebbe stata una ulteriore toilette prima di vederla incedere nel mezzo del coro della cattedrale. Portava un’ampia cuffia i cui unici nastri erano quelli necessari a fermarla sotto il mento, un cappello che i domestici e il cappellano conoscevano bene, ma che agli occhi del signor Robarts sembrò particolarmente sgraziato dopo tutta l’eleganza degli abiti festivi della precedente settimana. Indossava inoltre un’ampia vestaglia di colore scuro, molto accollata, che non era sagomata, come lo erano di solito i suoi vestiti, da un meccanismo nascosto di sottogonne; le aderiva al corpo e contribuiva a dare un’impressione di inflessibilità al suo aspetto. Per di più i piedi erano racchiusi in grosse pantofole di stoffa che senza dubbio erano comode ma che sembrarono all’ospite strane e brutte.

«Trovate difficile riunire di primo mattino i vostri domestici per le preghiere?» chiese la signora mentre cominciava le operazioni con la teiera.

«Non direi. Ma di rado siamo così mattinieri» rispose Mark.

«Ritengo che gli ecclesiastici delle piccole parrocchie dovrebbero essere mattinieri. Per dare il buon esempio nel paese» disse lei.

«Sto pensando di tenere le preghiere mattutine in chiesa» disse il signor Robarts.

«Questa è una sciocchezza», disse la signora Proudie «e di solito si risolve in qualcosa di peggio. So a che cosa porta. Tre funzioni la domenica e le preghiere domestiche a casa, vanno benissimo» e così dicendo gli porse la tazza.

«Ma io non ho tre funzioni la domenica, signora Proudie».

«In tal caso penso dovreste averle. Dove può star meglio che in chiesa la povera gente di domenica? Il vescovo intende esprimere un’opinione molto ferma su questo argomento nella prossima esortazione e sono sicura che vorrete aderire ai suoi desideri».

Mark non rispose e si dedicò bensì alle sue uova.

«Suppongo che non abbiate molti domestici a Framley?» chiese la signora Proudie.

«Come, alla canonica?».

«Sì, vivete nella canonica, non è vero?».

«Certo. Beh, no, non molti, signora Proudie. Solo quelli che servono per i lavori, tenere in ordine e badare ai bambini».

«È un ottimo beneficio. Ottimo. Non credo che ci sia niente di simile da noi, se si esclude Plumstead, la residenza dell’arcidiacono, che ha saputo fare bene i propri interessi».

«Suo padre era il Vescovo di Barchester».

«Oh sì, so tutto di lui. Sospetto che se non fosse stato così non sarebbe riuscito a diventare arcidiacono. Vediamo, il vostro beneficio è di ottocento sterline, vero, signor Robarts? E voi così giovane! Presumo che abbiate una notevole assicurazione sulla vita».

«Discreta, signora Proudie».

«E poi anche vostra moglie aveva un piccolo capitale, non è vero? Non tutti cadiamo in piedi a questo modo; che ne dite, signor White?» qui la signora Proudie si rivolse scherzosamente al cappellano.

La signora Proudie era una donna imperiosa, ma tale era anche Lady Lufton; si potrebbe quindi dire che il signor Robarts doveva essere abituato alla dominazione femminile. Tuttavia, mentre sedeva masticando pane tostato, non poteva fare a meno di paragonare le due donne. Lady Lufton con i suoi piccoli assalti talvolta lo incolleriva ma paragonando la dama laica a quella clericale, pensò certamente che l’autorità della prima fosse senza dubbio più lieve e piacevole. Si deve però considerare che Lady Lufton gli aveva dato un beneficio e una moglie, mentre la signora Proudie non gli aveva dato nulla.

Subito dopo colazione il signor Robarts fuggì al Dragone di Wantly, in parte perché ne aveva avuto abbastanza della mattutina signora Proudie e in parte per affrettare la partenza degli amici. Cominciava già a essere irrequieto per l’orario, come lo era stato la sera precedente Harold Smith, e non faceva molto affidamento sulla puntualità della signora Smith. Quando arrivò alla locanda chiese se avessero già fatto colazione e gli fu subito risposto che nessuno era ancora sceso. Erano ormai le otto e mezza e sarebbero già dovuti essere in cammino.

Mark andò immediatamente nella camera del signor Sowerby e trovò quel gentiluomo intento a farsi la barba. «Non preoccupatevi neanche un po’» gli disse il signor Sowerby. «Voi e Smith userete il mio faeton e i cavalli vi porteranno a destinazione in un’ora. Comunque, ce la faremo tutti per tempo. Manderò a sollecitarli e li staneremo». Poi il signor Sowerby, dopo aver evocato molteplici aiuti con numerose scampanellate, spedì a gran velocità i messaggeri, maschi e femmine, nelle varie stanze.

«Penso che affitterò un calesse e partirò subito, non sta decisamente bene che io arrivi in ritardo» disse Mark.

«Non sta bene che nessuno di noi arrivi in ritardo, quanto ad affittare un calesse, tutte sciocchezze, servirebbe solo a gettar via una sovrana e vi sorpasseremmo lungo il tragitto. Scendete e badate che il tè sia pronto e tutto il resto, fate preparare il conto… e, Robarts, potete anche pagarlo, se si va. Ma credo che si possa lasciare l’onere al Barone Borneo… eh?».

Mark allora scese, fece preparare il tè e chiese il conto, poi si mise a camminare per la stanza guardando l’orologio e aspettando nervosamente di sentire i passi dei suoi amici. E mentre era così occupato, si chiedeva se fosse appropriato quel comportamento la domenica mattina; se fosse un bene stare lì ad aspettare, con dolorosa ansietà, per poi galoppare per una dozzina di miglia così da non arrivare tardi per il sermone. Si chiese se non fosse meglio di tutto ciò la sua stanza, a casa, con Fanny seduta di fronte e i bambini a quattro zampe sul pavimento, i preparativi per la sua tranquilla funzione e la cordiale stretta della mano di Lady Lufton una volta terminata tale funzione.

Aveva detto a se stesso che non poteva fare a meno di conoscere Harold Smith e il signor Sowerby e il Duca di Omnium. Doveva farsi strada nel mondo come facevano altri uomini. Ma finora che piacere aveva ricavato da quelle amicizie? E che aveva fatto per migliorare la sua posizione finora? A dire il vero non era tanto contento di sé mentre allestiva il tè di Harold Smith e ordinava costolette di montone per il signor Sowerby, quella domenica mattina.

Poco dopo le nove tutti si riunirono, ma nemmeno allora Mark riuscì a far capire alle signore che c’era ragione di affrettarsi; perlomeno la signora Smith, che era il capo del gruppo, sembrava non rendersene conto. Quando Mark parlò nuovamente di affittare un calesse, la signorina Dunstable disse che si sarebbe unita a lui e sembrava fare sul serio, tanto che il signor Sowerby si affrettò a terminare il secondo uovo per prevenire una tale catastrofe. Alla fine Mark si risolse davvero a ordinare il calesse e la signora Smith disse che in tal caso non c’era più bisogno che lei si affrettasse, ma il cameriere venne a riferire che tutti i cavalli dell’albergo erano fuori, tranne una pariglia e nessuno dei due animali era adatto ai finimenti singoli. In realtà il gruppo del signor Sowerby si era già assicurato il contenuto di metà della scuderia.

«Allora datemi la pariglia» disse Mark sull’orlo dell’isteria per il ritardo.

«Sciocchezze, Robarts; siamo pronti ora. Non ne avrà bisogno, James. Andiamo, Supplehouse, avete finito?».

«Quindi mi devo sbrigare, giusto?» chiese la signora Harold Smith. «Che creature mutevoli siete voi uomini! Mi è concessa un’altra mezza tazza di tè, signor Robarts?».

Mark, che ormai era veramente arrabbiato, si voltò verso la finestra. Non c’era carità in queste persone, si disse. Conoscevano la ragione del suo disagio e tuttavia si limitavano a ridere di lui. Forse non ricordava più di aver partecipato allo scherzo contro Harold Smith, la sera precedente.

«James, fatemi avere quel paio di cavalli subito, per favore» disse rivolgendosi al cameriere.

«Sì, signore, pronti in un quarto d’ora, signore, solo signore, Ned, il postiglione, temo stia facendo colazione, ma sarà qui in un attimo, signore!».

Ma prima che Ned e la pariglia comparissero, la signora Smith aveva ormai indossato il cappello e alle dieci si misero tutti in moto. Mark divise il faeton con Harold Smith, ma il faeton non andava più veloce delle altre carrozze. Erano sì i primi della fila ma questo era tutto, e quando l’orologio del vicario indicò le undici, si trovavano ancora a un miglio dai cancelli di Chaldicotes, nonostante i cavalli schiumassero. Erano appena entrati nel villaggio quando le campane della chiesa smisero di suonare.

«Coraggio, siete in tempo, dopo tutto. Più di quanto non lo fossi io l’altra sera» disse Harold Smith. Robarts non riuscì a spiegargli che l’entrata in chiesa di un ecclesiastico, di un ecclesiastico che deve prendere parte alla funzione, non può compiersi all’ultimo minuto, bensì deve essere posata e decorosa e non fatta di corsa e col fiato corto.

«Penso che qui andrà bene, signore» disse il postiglione mentre fermava i cavalli alla porta della chiesa, nel mezzo della gente che si era riunita per la funzione. Ma Mark non aveva immaginato di arrivare così tardi e sulle prime disse che era necessario passare per casa, poi quando già i cavalli si erano rimessi in movimento, gli venne in mente che poteva mandare a prendere la sua veste, e mentre scendeva dalla carrozza diede istruzioni in tal senso. Arrivarono anche le altre due carrozze e così alla porta della chiesa ci furono un rumore e una confusione assai impropri, pensò Mark. I signori parlavano a voce alta e la signora Harold Smith dichiarò di non avere il libro delle preghiere e di essere troppo stanca per entrare subito, sarebbe andata a casa a riposarsi, disse. Altre due signore del gruppo fecero lo stesso, lasciando la signorina Dunstable da sola, cosa di cui peraltro ella non si curò minimamente. Poi uno della compagnia, che aveva la deplorevole abitudine di imprecare, maledì qualcosa mentre entrava al fianco di Mark. Fecero così il loro ingresso nella chiesa mentre veniva letta l’Assoluzione e Mark Robarts si vergognò profondamente di sé. Se farsi strada nel mondo lo portava a contatto con cose simili, non sarebbe stato meglio farne a meno?

Il suo sermone passò senza suscitare particolari reazioni. La signora Harold Smith non c’era, con gran sollievo di Mark, e gli altri del gruppo non vi dedicarono particolare attenzione. L’argomento aveva perso il sapore di novità, tranne che per la gente comune della congregazione, i fattori e i lavoratori della parrocchia. Le “persone importanti” che sedevano nel banco di famiglia del proprietario si accontentarono di mostrare la loro simpatia con una moderata sottoscrizione. La signorina Dunstable comunque diede una banconota da dieci sterline che portò la somma totale a una cifra rispettabile, per un posto come Chaldicotes.

«E ora spero di non sentire mai più un’altra parola sulla Nuova Guinea» disse il signor Sowerby mentre si riunivano intorno al fuoco del salotto dopo la funzione. «Il soggetto può considerarsi come morto e sepolto, eh, Harold?».

«Senza dubbio assassinato l’altra sera da quell’orribile donna, la signora Proudie» disse la signora Harold Smith.

«Mi chiedo come mai non siate balzato su di lei per strapparla dalla poltrona. Me lo aspettavo e pensavo che sarei finita male nella zuffa» disse la signorina Dunstable.

«Non avevo mai visto prima una signora con una simile faccia di bronzo» disse la signorina Kerrigy, una compagna di viaggio della signorina Dunstable.

«Nemmeno io… mai; in un luogo pubblico per di più» disse il Dottor Easyman, un medico, che spesso accompagnava la signorina.

«Quanto a sfacciataggine, non si fermerà davanti a nulla per mancanza di questa. Ed è un bene che ne abbia a sufficienza perché il povero vescovo ne è poco fornito» commentò il signor Supplehouse.

«Ho a malapena sentito ciò che ha detto, così, vedete, non ho potuto risponderle. Qualcosa circa la domenica, credo» disse Harold Smith.

«Sperava che non fosse tua intenzione istigare gli isolani dei Mari del Sud a viaggiare di domenica» disse il signor Sowerby.

«E ti pregava ardentemente di istituire delle scuole domenicali» disse la signora Smith, dopodiché tutti si misero al lavoro e fecero a pezzi la signora Proudie, dall’ultimo nastro del cappello, giù giù fino alla suola delle scarpe.

«E per di più pretende che i poveri parroci si innamorino delle sue figlie. Questa è la cosa più terribile» disse la signorina Dunstable.

Quando il nostro vicario se ne andò a letto non ebbe l’impressione di aver passato una domenica proficua nel complesso.