Poul Anderson

Complotto planetario

Titolo originale: UN-Man

Traduzione di Abramo Luraschi

© 1953, 1962 Poul Anderson

© 1977 Editrice Il Picchio

Altair n. 5 (febbraio 1977)

Indice

Introduzione. Quando l’autore è nuovo di Antonio Bellomi ............................................ 3

Complotto planetario ..................................................................................................... 4

Capitolo primo ............................................................................................................ 5

Capitolo secondo ........................................................................................................ 8

Capitolo terzo ........................................................................................................... 11

Capitolo quarto ......................................................................................................... 17

Capitolo quinto ......................................................................................................... 20

Capitolo sesto ........................................................................................................... 26

Capitolo settimo........................................................................................................ 32

Capitolo ottavo ......................................................................................................... 36

Capitolo nono ........................................................................................................... 42

Capitolo decimo........................................................................................................ 48

Capitolo undicesimo ................................................................................................. 55

Capitolo dodicesimo ................................................................................................. 60

Capitolo tredicesimo................................................................................................. 65

Capitolo quattordicesimo.......................................................................................... 71

Introduzione.

Quando l’autore è nuovo

di Antonio Bellomi

Il successo di Altair ha lasciato stupefatti pure noi. Siamo sinceri, di riviste di fantascienza in edicola ce ne sono già numerose altre. Ci presentavamo quindi alla ribalta con una nuova pubblicazione e con l’incognita della risposta dei lettori.

Ebbene, cari amici, vi dobbiamo tutti ringraziare, perché, fatta qualche rarissima eccezione, ci avete scritto tutti in coro che questa è la rivista che cercavate: una rivista che offrisse dei buoni romanzi d’azione e un prezzo non bancarottiero. Nella sezione della posta appaiono alcune di queste lettere e potrete vedere anche voi come ci sia concordanza di opinioni.

A questo punto non ci resta che dirvi grazie, un grazie sentito per le vostre parole che ci spingeranno a seguitare su questa strada senza tentare nuovi e costosi esperimenti, forse inutili e pericolosi. Le vostre lettere ci dicono che la rivista voi la volevate così, semplice, leggibile, divertente, senza tanti fronzoli e soprattutto senza cercare di gabellare il lettore con il “discorso impegnato”, un “discorso” che spesso è solo un pretesto per giustificare un romanzo senza capo né coda che nessuno altrimenti leggerebbe. Il ricatto culturale non ci piace, preferiamo la fantascienza schietta, quella che vi ha fatto sognare e che vi ha accostato per la prima volta a questa forma di lettura d’evasione.

A tutti, buona lettura!

Complotto planetario

Capitolo primo

Erano partiti, la loro nave frusciava nel cielo con tutti e sei a bordo. Donner li aveva osservati dal suo balcone – aveva scelto con cura l’appartamento tenendo presente dei particolari – mentre camminavano sulla piattaforma di atterraggio ed entravano nello scafo. Adesso il loro posto era libero ed era ora che lui si desse da fare.

Per un momento ebbe qualche esitazione. Aveva atteso molti giorni questa opportunità, ma un uomo non entra volontariamente in una trappola potenziale. I suoi occhi vagarono sulla fotografia che stava sulla sua scrivania. La bella donna giovane di carnagione scura ed il bambino tra le sue braccia sembravano fissarlo, le labbra erano semiaperte come se lei stesse per parlargli. Aveva voglia di premere il pulsante che animava il film, ma non osò. Gentilmente, sfiorò con un dito il vetro all’altezza della guancia.

— Jeanne, — mormorò. — Jeanne, tesoro.

Si mise al lavoro. Il suo pigiama da casa a pieni colori fu sostituito con un abito grigio che non sarebbe risaltato sullo sfondo delle pareti dell’edificio. Una maschera ordinaria senza lineamenti, con la lucentezza accuratamente opacizzata per evitare riflessi, coprì il suo volto. Si agganciò una scatola piatta di utensili alla cintura e si spalmò i polpastrelli di collodio. Prendendo con la mano una carrucola, ritornò sul balcone.

Da qui, dall’alto di duecentotrentaquattro piani, aveva una ampia vista della pianura dell’Illinois. Fin dove poteva vedere, la terra si srotolava verde di granoturco, sfumandosi nell’orizzonte lontano da cui si alzava il grande cielo. Qua e là era stato piantato qualche gruppo di alberi, e la striscia bianca di una vecchia superstrada attraversava i campi, ma altrimenti era un’unica immensità di messi. I possedimenti della Midwest Agricultural si stendevano oltre la vista.

Da una parte e dall’altra l’edificio ad appartamenti si alzava a piombo dagli alberi e dai giardini del suo parco. Alto tre chilometri, una vera e propria città, una montagna di pareti e di finestre il Complesso dominava la pianura stendendosi verso il cielo in una magnifica arroganza che terminava sessantasei piani sopra l’appartamento di Donner. Nella leggera brezza della prateria che faceva svolazzare i suoi indumenti, l’uomo poteva sentire un ronzare continuo, il pulsare in sordina delle macchine e della vita – l’edificio – di per se stesso un organismo gigantesco.

Non c’erano in vista altri umani. I balconi erano progettati in modo da nascondere chi li usava alla vista dei vicini sullo stesso piano, e chiunque fosse nel parco avrebbe visto il suo sguardo verso l’alto bloccato dagli alberi. I pochi puntini di luce brillanti nel cielo erano aeronavi, ma questo non aveva importanza.

Donner fissò la carrucola al bordo del balcone e prese tra le dita l’estremità della corda. Per un attimo rimase in piedi lasciando che la luce del sole e il vento lo investissero, riempiendosi gli occhi con la distesa della pianura e con il cielo alto pieno di bianche nubi.

Era un uomo alto, ma la sua altezza appariva inferiore per via dell’ampiezza delle spalle e del petto e da una curiosa grazia felina dei suoi movimenti.

I suoi capelli, in origine biondi, erano stati tinti di castano e le lenti a contatto rendevano scuri i suoi occhi azzurri, ma per il resto non era stato fatto molto al suo volto, l’ampia fronte, gli zigomi alti, la mascella quadrata e il naso sporgente erano rimasti gli stessi. Sorrise dietro la maschera inespressiva e scavalcò la ringhiera del balcone.

La corda si svolse senza rumore, facendolo scendere di piano in piano. C’era un rischio possibile in questo crimine in piena luce. Qualcuno poteva guardare fuori dalla parete laterale di un balcone e vederlo ed anche l’abitudine della riservatezza non gli avrebbe impedito di chiamare la polizia del Complesso. Ma i sei di cui si occupava non avevano deciso di andarsene tutti insieme quando faceva comodo a lui.

La facciata scivolava oltre di lui, resa un po’ indistinta dalla velocità della discesa.

Uno, due, tre... Contava mentre passava e all’ottavo piano sotto il suo tirò la corda con la mano libera. Il mulinello si bloccò e lui rimase appeso a mezz’aria.

Una lunga e vuota discesa... Sorrise e cominciò a dondolarsi avanti e indietro, aumentando l’ampiezza di ciascuna oscillazione finché le suole delle scarpe toccarono la facciata. Nella oscillazione di ritorno afferrò la ringhiera del balcone, appena al di là della parete di riparo, con la mano libera. Il suo corpo si fermò di colpo e l’impatto fu come un colpo per tutti i suoi muscoli.

Continuando ad aggrapparsi alla corda, si sollevò con una mano sola oltre il riparo, sopra la ringhiera e sul pavimento del balcone. Sotto la tunica grigia e la pelle che sudava, i suoi tendini davano l’impressione che stessero per spezzarsi. Grugnì di sollievo quando si alzò liberamente, legò la corda alla ringhiera e staccò la sua cassetta di utensili.

La lancetta del suo rivelatore elettronico si mise a vibrare. Quindi c’era un allarme alla porta che dava sul balcone. Donner lo cercò con cura, localizzò il filo e lo tagliò.

Togliendo dal suo equipaggiamento una piccola torcia elettrica, si avvicinò alla porta.

Oltre la plastica trasparente, stavano le stanze silenziose: il mobilio era convenzionale, ma con una certa aria di attesa.

Immaginazione, pensò Donner impazientemente e tagliò la serratura dalla porta.

Mentre entrava, l’autopulitore sentì la sua presenza e la sua ventola aspiratrice si bloccò.

L’uomo forzò la serratura della scrivania e frugò tra le carte che conteneva. Una o due in codice le mise in tasca, le altre non erano interessanti. Ce ne dovevano essere di più, comunque. Maledizione, quello era il loro quartiere generale regionale!

Il suo rivelatore di metalli lo aiutò nell’appartamento, alla ricerca di casseforti nascoste. Quando rivelò una larga massa incastrata nella parete, non si preoccupò di trovare il pulsante che la rimuoveva, ma tagliò la superficie plastica che la nascondeva. La banda si sarebbe accorta che la loro sede era stata invasa e avrebbero desiderato trasferirsi. Se avessero preso un altro appartamento nello stesso edificio, l’accordo di Donner con il sovraintendente sarebbe entrato in funzione; avrebbero avuto un appartamento vuoto che era stato opportunamente fornito di tutti gli strumenti di spionaggio che si potevano installare. L’uomo sorrise ancora.

L’acciaio luccicò attraverso la parete bruciata e fusa. Era una buona cassaforte e lui non aveva tempo da perderci sopra. Innestò la spina del suo trapano elettrico e la testa di diamante fece un piccolo foro nella serratura. Con un ago ipodermico, inserì pochi centimetri cubi di levinite e la fece esplodere con un raggio UHF (Frequenza Ultraelevata). La serratura sparì a pezzi e Donner aperse lo sportello.

Ebbe soltanto il tempo di vedere la pistola nell’interno e di afferrare il terribile fatto della sua esistenza. Poi l’arma gli sparò tre aghi nel petto e lui precipitò nel buio.

Capitolo secondo

Un paio di volte aveva incominciato a ridestarsi, agitandosi debolmente verso la luce, ma la puntura di un ago lo aveva rimandato indietro. Ora, mentre la sua testa si schiariva lentamente, lo lasciarono in pace. E questo fu peggio.

Donner vomitò e tentò di muoversi. Il suo corpo si tese contro le cinghie che lo trattenevano alla sedia. La vista si annebbiò per il dolore e la nausea; i sei che stavano in piedi a fissarlo erano una increspatura di sogno febbrile contro un’ombra agitata.

— Sta riprendendo i sensi, — disse superfluamente l’uomo magro.

L’uomo grosso dai capelli grigi in una tunica azzurra di taglio conservatore diede un’occhiata al suo orologio. «Abbastanza in fretta, considerando la dose che ha avuto.

Un esemplare in buona salute».

Donner mugolò. Aveva in bocca il sapore amaro del vomito. — Dàgli dell’acqua,

— disse l’uomo con la barba.

— Un corno! — la voce dell’uomo magro era un ringhio. La sua faccia era cadaverica nella mutevole, indistinta oscurità della stanza, e c’era febbre nei suoi occhi. — Non la merita, l’UN-man! 1

— Dagli dell’acqua — disse calmo l’uomo dai capelli grigi. Il giovane scheletrico si diresse con malagrazia verso un lavabo slabbrato con un rubinetto all’antica e riempì un bicchiere d’acqua.

Donner la bevve avidamente, calmando un po’ del fuoco che aveva in gola e nello stomaco. L’uomo con la barba si avvicinò con una siringa ipodermica.

— Stimolante, — spiegò. Ti farà riprendere più in fretta.

La infilò nel braccio di Donner e questi sentì che il battito del cuore accelerava. La testa era ancora tutta una dolorosa pulsazione acuta, ma gli occhi misero a fuoco e guardò gli altri con la vista schiarita.

— Non siamo stati del tutto trascurati, — disse l’uomo grosso. — Questa pistola ad aghi era sistemata in modo da colpire chiunque non avesse premuto il pulsante giusto prima di aprire la cassaforte. E naturalmente è stato emesso un segnale radio che ci ha fatto tornare in fretta. Ti abbiamo tenuto privo di sensi fino ad ora.

Donner si guardò attorno. La stanza era vuota, piena di polvere e di ragnatele vecchie di anni, con pochi mobili di legno antiquati ammucchiati disordinatamente alle pareti screpolate. C’era una sola finestra, con i vetri rotti riempiti di stracci, e tanto sporchi che non riuscì a capire se fuori fosse giorno. Ma probabilmente era sera avanzata. La sola illuminazione della stanza era data da una lampada fluorescente sulla tavola.

Doveva trovarsi a Chicago, decise Donner nel pieno di un’ondata di nausea. Una delle vaste regioni che stavano andando in rovina attorno alle parti abitate della città morente... deserta, che non valeva ancora la pena di distruggere, rifugio di topi e putrefazione. Presto o tardi qualche organizzazione agricola avrebbe acquistato i diritti nominali dal governo che aveva condannato la località ed avrebbe raso al suolo quello che era stato risparmiato dal fuoco e dalla rovina. Ma non era ancora accaduto e quei bassifondi vuoti erano un buon nascondiglio per chiunque.

1 Agente delle Nazioni Unite. ( N.d.T. )

Donner pensò a tutti quei chilometri di edifici in rovina, immersi nella notte, che si alzavano vuoti contro il cielo vuoto... echi smorzati nelle vie sgretolate e invase dall’erba, lo stanco scricchiolio di un travicello, il rapido scalpiccio di piedi e il lampo degli occhi dalla densa oscurità, minaccia e solitudine per più di quanto potesse sopportare.

Solo, solo. Più solo qui che nelle più remote profondità dello spazio. Sapeva con certezza che stava per morire.

Jeanne. Oh, Jeanne, mia cara.

— Tu eri registrato in quel complesso come Mark Roberts, — disse la donna con tono incisivo. Era magra, quasi quanto il giovane con gli occhi amari che le stava accanto. Il volto era affilato e bramoso, i capelli tagliati corti, la voce volutamente aspra. — Ma il tuo tatuaggio di identificazione è falso, una tintura che viene via con l’acido. Abbiamo messo la tua impronta digitale e quel numero su un assegno e abbiamo chiamato la banca centrale come per una normale verifica e l’archivio robot ha detto sì, che quello era Mark Roberts e il conto era regolare. — Si chinò, con il volto distorto contro l’offuscamento della notte e gli chiese seccamente: — Chi sei veramente? Solo un uomo del servizio segreto può ottenere quel genere di falsificazione. A che servizio appartieni?

— È ovvio, no? — abbaiò l’uomo magro. — Non è della Sicurezza Americana. Lo sappiamo. Quindi deve essere un UN-man.

Il modo come disse l’ultima parola la rese un suono, brutto e inumano. — L’UN-man! — ripeté.

— Il nostro grande nemico, — disse il grosso pensieroso. — L’UN-man non è soltanto un agente ordinario, con limitazioni umane, ma un tipo speciale e segreto che ci ha procurato tanti guai.

Piegò la testa grigia e fissò Donner. — Concorda con le frammentarie descrizioni che abbiamo, — continuò. — Ma poi i ragazzi delle Nazioni Unite, possono fare un sacco di cose con i cosmetici e la chirurgia, no? E l’UN-man è stato ucciso diverse volte. Un agente fu fatto fuori a Hong Kong soltanto il mese scorso e chi l’ha ucciso ha giurato che doveva essere il nostro nemico... disse che nessun altro avrebbe potuto darci la caccia così.

Quello doveva essere probabilmente Weinberger, pensò Donner. Lo invase una immensa stanchezza. Erano così pochi, così disperatamente pochi e uno dopo l’altro i Fratelli calavano nell’oscurità. Lui era il prossimo, e dopo di lui...

— Quel che non riesco a capire, — disse un quinto uomo che Donner lo riconobbe come il colonnello Samsey della Guardia Americana — è perché i Servizi Segreti delle Nazioni Unite, se hanno un corpo di, uh, superuomini si debbano preoccupare di farli sembrare tutti uguali. Per farci pensare che abbiamo a che fare con un immortale? — ridacchiò cupamente. — Certo non si aspetteranno di innervosirci con una cosa del genere!

— Non superuomini, — disse quello con i capelli grigi. — Enormemente abili sì, ma gli UN-men non sono infallibili. Come lo prova questo.

Stava davanti a Donner, con le gambe divaricate e le mani sui fianchi. — Vedi un po’ di cominciare a parlare. Raccontaci di te.

— Posso parlare di voi — rispose Donner. Aveva la lingua ingrossata e secca, ma l’accettazione della morte l’aveva reso, improvvisamente, immensamente sicuro di sé. — Lei è Roger Wade, presidente della Brain Tools Incorporated e importante sostenitore del partito Americano. — Alla donna, — Lei è Martha Jennings, che lavora a tempo pieno per il partito. Il suo segretario, signor Wade... — I suoi occhi si volsero al giovane magro, — è Rodney Borrow, Numero Esogeno...

— Non chiamarmi così! — Bestemiando, Borrow si precipitò su Donner.

Artigliava come una donna. Quando Samsey e l’uomo con la barba lo tirarono via, il suo volto era bianco cadaverico e aveva la bava alla bocca.

— E l’esperimento è stato un fallimento, — lo derise Donner.

— Basta! — Wade schiaffeggiò il prigioniero, un colpo sonoro a mano aperta. —

Vogliamo sapere qualcosa di nuovo e non abbiamo molto tempo. Tu sei immunizzato, naturalmente, contro i sieri della verità... le prove del dottor Lewin lo hanno già confermato... ma presumo che puoi ancora provare dolore.

Dopo un attimo aggiunse con calma: — Non siamo malvagi. Sai che siamo patrioti. — Che lavorano con i nazionalisti di una dozzina di altri paesi; pensò Donner. — Non desideriamo far del male o uccidere senza necessità.

— Ma prima vogliamo sapere chi sei realmente, — disse l’uomo con la barba, Lewin. — Poi il tuo bagaglio di informazioni su di noi, i piani futuri del tuo capo e così via. Comunque per ora sarà sufficiente se risponderai a poche domande che ti riguardano, dove vivi e così via.

Oh, sì. Pensò Donner, con la stanchezza come un peso sull’anima. Quello basterà.

Perché così prenderanno Jeanne e Jimmy e li porteranno qui e...

Lewin avvicinò una macchina della verità. — Naturalmente non vogliamo perdere il tempo su false indicazioni, — disse.

— Non ce ne saranno, — rispose Donner. — Non dirò proprio niente.

Lewin annuì, senza sorpresa e avvicinò un’altra macchina. — Questa genera una bassa frequenza, corrente a basso voltaggio, — osservò. — Piuttosto dolorosa. Non penso che la tua volontà resisterà molto. Se lo farà, possiamo sempre tentare la lobotomia prefrontale; a quel punto non avrai più inibizioni. Ma prima ti daremo una possibilità con questa.

Sistemò gli elettrodi sulla pelle di Donner. Borrow strinse le labbra con terribile bramosia.

Donner tentò di sorridere, ma la sua bocca era rigida. Il sesto uomo, che aveva l’aria di uno straniero, uscì dalla stanza.

C’era un minuscolo ricevitore nel cranio di Donner, dietro il mastoide destro.

Poteva soltanto raccogliere messaggi di una forma d’onda speciale, ma aveva anche il suo impiego silenziatore. Dopo tutto la tortura elettrica è una forma comune di inquisizione e molto dura da sopportare. Pensò a Jeanne ed a Jimmy ed alla Fratellanza. Desiderò che l’ultima aria che stava per respirare non fosse rancida e polverosa.

La corrente lo torse con un dolore convulso. I suoi muscoli si tesero contro le corregge e gridò. Poi il comunicatore sensibilizzato si fuse, lasciando uscire un piccolo soffio di fluorina.

L’immagine che Donner si portò nella morte fu quella di Jeanne che sorrideva e che gli dava il benvenuto a casa.

Capitolo terzo

Barney Rosenberg guidava lungo una pista indistinta e piena di solchi verso la scarpata a picco che appariva in lontananza. Dietro l’angolo stava Drygulch. Ma non si affrettava. Mentre si avvicinava, alzò il piede dall’acceleratore del suo gatto delle sabbie e il ronzio del motore divenne quasi inudibile.

Appoggiandosi al sedile, guardò attraverso la vetroplastica della vetturetta il panorama marziano. Era difficile comprendere che non lo avrebbe rivisto più.

Anche qui a otto chilometri o giù di lì dalla colonia, non c’era alcuna traccia d’uomo se non lui stesso e la sua macchina e la pista indistinta tra la sabbia e i cespugli. Gli uomini erano giunti su Marte sulle ali del fuoco, avevano progettato la loro città con fragoroso schiamazzo di vita, avevano aperto miniere e fonderie e dato inizio alle loro fattorie, avevano viaggiato con i gatti delle sabbie e le tute ad aria dalle paludi polari alle steppe equatoriali... eppure non avevano lasciato alcun segno del loro passaggio. Non ancora. Qui un barattolo di latta o un utensile rotto, là il cadavere mummificato tra i resti di una tenda stagna scoppiata, ma la sabbia e la solitudine si stendevano sopra di loro, e la notte, e il freddo e l’oblio. Marte era troppo freddo ed estraneo perché trent’anni di uomo contassero qualcosa.

Il deserto si stendeva alla sinistra di Rosenberg, rotolando in ripide cascate di sabbia dalle nude colline dorate. Il deserto marciava verso l’orizzonte che si curvava di colpo, un deserto ferroso di rosso e di bruno e di giallo fulvo, di ombre dai volti affilati e di uno strano maligno luccichio di pallido sole. Qua e là si alzava una rupe, dura di colore minerale, consumata dal passare delle ore e dal vento sottile fino a una fantasia scanalata. Una tempesta di sabbia soffiava pochi chilometri lontano, una nuvolaglia di polvere che fischiava sulla pietra, che faceva agitare i bassi cespugli grigio verdi in un sibilante mormorio. Alla sua destra le colline si alzavano nude e ripide, striate dell’azzurro e del verde dei minerali di rame, incise e sfregiate e ululanti nel vento. Vide la vita, i polverosi cespugli di spine e le altre magre piante grasse e un lampo di movimento quando un minuscolo saltatore scappò via. In uno dei precipizi una serie di gradini scavati e rovinati dal tempo salivano alle rovine di una dimora tra rocce, abbandonata... da quanto tempo?

In alto il cielo era enorme, una immensa distesa di profondo azzurro-viola verdastro, incredibilmente alto e freddo e remoto. Le stelle brillavano debolmente in quell’abisso, la macchia minuscola in movimento di una luna più piccola di loro. Un sole rattrappito stava nello splendore vivente della luce della corona e dello zodiaco, il disco alato dell’Egitto reale che si alzava su Marte. Vicino all’orizzonte uno strato sottile di cristalli di ghiaccio rifletteva la luminescenza in un freddo scintillio. C’era vento, Rosenberg lo sapeva, un lamentevole fantasma di vento che soffiava attraverso i miseri resti dell’atmosfera, ma non poteva sentirlo al di là del pesante vetroplastica e in qualche modo quel fatto gli parve che lo isolasse ancor di più.

Era un mondo crudele, questo Marte, un mondo di freddo e di rovina e di sprezzante vuoto infinito, un mondo che spezzava il cuore degli uomini e che prosciuga va le loro vite... senza piogge, senza oceani, senza calore, senza gentilezza, in cui la grande ruota delle stelle girava in un deserto di millenni, in cui le giornate gridavano con il vento e le notti risuonavano e gemevano con il gelo. Era un mondo di detriti e di mistero, un mondo amaro in cui fumo mangiava la fame e beveva la sete e alla fine scendeva l’oscurità. L’uomo brancolava per chilometri senza fine, fatica e solitudine e paura che strisciava silenziosamente, sudava e ansava, malediva il pianeta e piangeva per i morti e afferrava il calore e la vita nelle scialbe città della colonia. Va ancora bene quando ti scopri a parlare alle cimici della sabbia, ma quando loro ti rispondono, è ora di tornare a casa.

Eppure, eppure... la distesa delle lande polari, sottile debole suono di vento, la luce del sole spezzata da un milione di scaglie di diamante sul cappello brinato; la terrificante spaccatura della Rasmussen Gorge, una rotolante solitudine scolpita di pietra fatata, innumerevoli gradazioni di colore e di ombre fugaci che si spostavano; l’alta fredda notte di stelle, costellazioni fantasticamente brillanti che marciavano in un cielo di cristallo, un silenzio così grande da farvi pensare di sentire Dio che parlava all’Universo; i delicati fiori di un giorno delle foreste della Sirti, bellezze che si aprivano con l’alba amara e che morivano nell’improvviso tramonto; il viaggio e la ricerca, raro trionfo e molte sconfitte, ma sempre la ricerca e il cameratismo. Oh, sì, Marte era selvaggio con i suoi amanti, ma cedeva loro la sua bellezza strana ed essi non lo avrebbero dimenticato finché fossero vissuti.

Forse Stef è stato fortunato, pensò Rosenberg. È morto qui.

Guidò il gatto delle sabbie su un crinale stretto come il dorso di un rasoio. Per un momento si fermò, guardando la larga vallata che stava oltre. Non era stato a Drygulch da un paio d’anni; che corrispondevano a quasi quattro anni terrestri, si ricordò.

La città, per metà sotterranea, sotto il suo tetto a cupola, non era cambiata molto, esternamente, ma le piantagioni avevano raddoppiato la loro estensione. Gli ingenieri genetici stavano facendo un buon lavoro, adattando le piante commestibili terrestri a Marte e le piante marziane alla necessità degli uomini. Le colonie erano già autosufficienti per quanto riguardava le cose essenziali, perché avevano dovuto prendere in considerazione il costo del trasporto dalla Terra. Ma non avevano ancora sviluppato un animale da carne decente; quella parte della dieta doveva venire dalle fabbriche di culture di lieviti nelle città e nessuno vedeva una bistecca su Marte. Ma avremo anche quella, uno di questi anni.

Un mondo consumato, severo e amaro e avaro, ma lo si stava addomesticando. Già stava nascendo la nuova generazione. Non c’era una grande nuova immigrazione dalla Terra in questi giorni, ma l’uomo era trapiantato qui per restarci. Una volta o l’altra sarebbe riuscito a modificare le atmosfere e il tempo finché gli umani avrebbero potuto camminare liberamente senza vestiti sulle colline rugginose, ma ciò non sarebbe accaduto prima che lui, Rosenberg, morisse ed in un certo senso oscuro ne era lieto.

Le pompe di sovralimentazione del gatto ruggirono, rifornendo di aria marziana l’ossigeno in bombole per il Diesel affamato mentre l’uomo lo guidava lungo una pista precaria. Era terribilmente rarefatta quell’aria, ma il suo ossigeno era in gran parte ozono e la cosa era utile. Passando una miniera di torio, Rosenberg aggrottò le sopracciglia. L’esistenza di materiali fissionabili era stata la ragione principale per cui si erano impiantate delle colonie in un primo momento, ma esse dovevano essere salvate per Marte.

Bene, io non sono più veramente un marziano. Sarò ancora un terrestre molto presto. Bisogna morire su Marte, come Stef e rendere il proprio corpo alla terra marziana, prima di appartenere del tutto a quel posto.

La pista dalla miniera si allargava e si rassodava abbastanza da poter essere definita una strada. Ora c’era altro traffico, che giungeva da tutte le parti... Un carrello trasportatore di minerali, un contadino che giungeva con un carico di messi mietute, una spedizione esplorativa che tornava con mappe e campioni. Rosenberg fece un cenno di saluto ai guidatori. Erano di molte nazionalità, ma salvo per i Pellegrini, ciò non contava. Qui erano semplicemente umani. Egli sperava che le Nazioni Unite si decidessero presto a internazionalizzare il pianeta.

Fuori dalla città c’era un’immensa bandiera appesa ad un alto pennone, con le stelle e le strisce rigide contro il cielo alieno. Era di metallo, doveva esserlo in quell’atmosfera corrosiva assassina, e Rosenberg immaginò che dovessero ridipingerla piuttosto spesso. Le girò attorno, giù lungo una rampa che conduceva sotto la cupola. Dovette aspettare il suo turno al portello stagno e si chiese quando qualcuno avrebbe inventato un sistema migliore per conservare l’ossigeno. Questi nuovi esperimenti di meccanica submolare promettevano bene.

Lasciò il gatto nella rimessa sotterranea, lasciando detto al custode che un altro uomo, se lo avesse acquistato sarebbe venuto a prenderlo in seguito. Ci fu un bizzarro bruciore nei suoi occhi quando batté leggermente i suoi fianchi segnati. Poi prese un ascensore e uno scivolo fino all’ufficio alloggi e prese una camera; aveva un paio di giorni prima che la Phobos partisse. Una doccia e un cambio d’abito rappresentarono un lusso inaudito per lui e ci si crogiolò. Non aveva un particolare desiderio di taverne cooperative o di locali di piacere, quindi chiamò il dottor Fieri.

La faccia rotonda del medico gli sorrise dallo schermo. — Barney, vecchia cimice delle sabbie! Quando sei arrivato?

— Proprio ora. Posso venire da te?

— Sì certo. Niente da fare in ufficio... cioè, ho un visitatore ma non ci starà molto.

Vieni su immediatamente.

Rosenberg prese una strada che conduceva attraverso atri affollati e ascensori, fino a che raggiunse la porta che desiderava. Bussò. Le importazione di Drygulch e le sue manifatture avevano bisogno di cose ben più urgenti che non circuiti di chiamata e registrazione. “Avanti!” abbaiò una voce.

Rosenberg entrò nella stanza disordinata, un piccolo uomo coriaceo con i capelli spruzzati di grigio e il naso aquilino e Fieri gli strinse la mano entusiasticamente.

L’ospite stava rigido sul fondo, una snella figura in nero ascetica... un Pellegrino.

Rosenberg si irrigidì interiormente. Non gli piacevano quei tipi, fanatici puritani dagli Anni della Pazzia, che erano andati su Marte in modo da poter essere infelici in libertà. A Rosenberg non importava quale fosse la religione di un uomo, ma nessuno su Marte aveva il diritto di essere tanto imbevuto di spirito di parte e di negare la cooperazione quanto la Nuova Gerusalemme. Tuttavia strinse la mano cordialmente godendosi la ripugnanza evidente del Pellegrino... erano anche antisemiti.

— Questo è il dottor Morton, — spiegò Fieri. — Ha sentito parlare delle mie ricerche ed è venuto ad informarsi su di esse.

— Molto interessante, — fece l’estraneo. — E molto promettente. Significherà molto per la colonizzazione di Marte.

— E alla chirurgia ed alla ricerca biologica ovunque, — intervenne Fieri. Si sentiva che scoppiava d’orgoglio.

— Che cos’è Doc, — chiese Rosenberg come ci si aspettava.

— Animazione sorpresa, — disse Fieri.

— Uhm?

— Uh-huh. Vedi, in quel poco tempo disponibile che ho, ho pasticciato con la biochimica marziana. Un soggetto affascinante, e ultraterreno nei due significati della parola. Non abbiamo niente di simile a casa nostra, non ne abbiamo bisogno.

L’ibernazione e l’estivazione naturalmente ci si avvicinano.

— Uhm, sì. — Rosenberg si fregò il mento. — Capisco cosa vuoi dire. Tutti lo sanno. Il modo in cui tante piante e tanti animali che hanno bisogno di calore per il loro metabolismo, possono raggomitolarsi e “dormire” durante la notte o anche durante tutto l’inverno. O il modo in cui possono sopravvivere in quel modo a una siccità prolungata. — Ridacchiò. — Per fare un paragone, naturalmente. Marte rispetto alla Terra è uno stato permanentemente di siccità.

— E lei dice, dottor Fieri, che anche gli indigeni lo possono fare? — chiese Morton.

— Sì. Anche loro, con un sistema nervoso altamente sviluppato, possono a quanto pare “dormire” durante i periodi di freddo o di carestia. Ho dovuto basarmi sui resoconti frammentari di esploratori per quei dati. Sono rimasti così pochi indigeni, e sono tanto timidi e riservati. Ma finalmente l’anno scorso ho potuto finalmente dare un’occhiata a uno che era in quello stato. Era incredibile... La respirazione era inavvertibile, il battito cardiaco quasi, l’encefalografo rivelava soltanto un pulsare molto lento e regolare. Ma io ho preso campioni di sangue e di tessuto e sono stato in grado di analizzarli e di confrontarli con le secrezioni di altre forme di vita in sospensione.

— Pensavo che anche il sangue marziano si gelasse in una notte d’inverno, —

disse Rosenberg.

— Infatti. Il punto di congelamento è molto più basso di quello del sangue umano, ma non tanto basso da non gelare affatto. Comunque in sospensione c’è tutta una serie di enzimi che viene liberata. Uno di essi, sciolto nel sangue cambia le caratteristiche del plasma. Quando si formano cristalli di ghiaccio, sono più densi del liquido, quindi le pareti delle cellule non sono rotte e l’organismo sopravvive. In più una lenta circolazione di soluzioni radicali e nutrienti, che portano ossigeno ha luogo anche attraverso il ghiaccio, a quanto pare per mezzo di un qualche processo simile a quello dello scambio di ioni. Non molto, ma abbastanza per mantenere l’organismo vivo e sano. Il calore, una temperatura sufficiente, provocano il crollo di queste secrezioni e l’animale o la pianta rivivono. Nel caso di animazione sospesa per sfuggire la sete o la carestia, il processo è in un certo qual modo differente, naturalmente, benché implichi gli stessi enzimi di base.

Fieri rise trionfalmente e batté con la mano un fascio di carte sulla sua scrivania.

— Qui ci sono le mie note. Il lavoro non è ancora completo. Non sono ancora pronto a pubblicarlo, ma è più o meno una faccenda di dettagli, ora. — Nei suoi occhi luccicava il Premio Nobel.

Morton sfogliò il manoscritto. — Molto interessante, — mormorò. La sua testa sottile, con i capelli corti si piegò su una formula strutturale. — La chimica fisica di questo materiale deve essere bizzarra.

— Lo è, Morton, lo è. — Fieri sorrise.

— Uhm... Le spiace se lo prendo a prestito per leggerlo? Come le ho detto prima, credo che il mio laboratorio a Nuova Gerusalemme possa condurre alcune di queste analisi per lei.

— Sarebbe ottimo. Le dirò una cosa, farò una copia fotostatica di tutto questo pasticcio. Sarà pronta domani.

— Grazie. — Morton rise, anche se ciò sembrava fargli male al volto. — Questa faccenda sarà certo una bella sorpresa, suppongo. Non ne ha parlato ad altri?

— Oh, ne ho fatto cenno in giro, naturalmente, ma lei è la prima persona che abbia chiesto dei dettagli tecnici. Tutti sono fin troppo occupati con il loro lavoro su Marte.

Ma sulla Terra farà schizzare loro gli occhi dalla testa. Hanno cercato qualcosa del genere dal tempo... dal tempo della favola della Bella Addormentata nel Bosco, e questo è il primo modo per riuscirvi.

— Vorrei leggere anch’io quella relazione, — disse Rosenberg.

— Lei è un biochimico? — chiese Morton.

— Be’, conosco abbastanza bene la biologia e la chimica per capirla e ho il tempo di tuffarmi in questa prima che la mia nave prenda il volo.

— Certo, Barney, — disse Fieri. — E fammi un favore, vuoi? Quando arriverai a casa, di’ al vecchio Summers di Cambrige, in Inghilterra, questa faccenda. È un grande biochimico ed ha sempre detto che io ero uno dei più validi allievi e non avrei dovuto passare alla medicina. Sono un tipo molto modesto vero? Ma dannazione, non è da tutti afferrare qualcosa di tanto importante come questo!

Gli occhi pallidi di Morton si volsero a Rosenberg.

— Quindi lei stava tornando sulla Terra? — chiese.

— Sì. Con la Phobos. — Sentiva di dover spiegare, poiché non voleva che il Pellegrino pensasse che stesse fuggendo. — Più o meno per ordine del medico, capisce? Il mio casco si è spezzato in una caduta l’anno scorso e prima di poter metterci una pezza davo i numeri, più la bassa pressione ed il freddo e l’ozono che facevano il diavolo a quattro con i miei polmoni. — Rosenberg alzò le spalle e il suo sorriso era amaro. — Suppongo di essere fortunato, visto che sono vivo. Almeno ho abbastanza crediti per ritirarmi. Ma non sono abbastanza forte per lavorare su Marte e questo è un posto dove non si può oziare se si vuole restare sani di mente.

— Vedo. È un peccato. Quando sarà sulla Terra, dunque?

— In un paio di mesi. La Phobos per la maggior parte del viaggio compie una rotta orbitale... Ho l’aria di uno che possa affrontare un viaggio in accelerazione? —

Rosenberg si rivolse a Fieri. — Doc, ci sarà qualche altro sabbiaiolo che torna a casa in questo viaggio?

— Temo di no. Sai che se sono ben pochi che vanno in pensione da Marte alla Terra. Muoiono prima. Tu sei uno dei fortunati.

— Un viaggio in solitudine, quindi. Bene, suppongo che riuscirò a sopravvivere.

Morton si scusò e li lasciò. Fieri rimase a fissare la porta. — Uno strano tipo. Ma del resto questi Pellegrini lo sono tutti. Sono quasi anti-tutto. Comunque è competente e sono lieto che possa fare per me qualcuna di quelle analisi. — Batté la mano sulla spalla di Rosenberg. — Ma dimenticalo, amico. Rallegrati e vieni con me a farti una birra. Una volta che sarai spaparanzato su quelle spiagge della Florida con il cielo azzurro e il mare azzurro e splendide bionde che ti passeranno accanto, ti garantisco che Marte non ti mancherà.

— Forse no, — Rosenberg fissava il pavimento con aria infelice. — Non è più stata la stessa cosa da quando Stef è morto. Non mi sono reso conto di tutto quello che fosse per me se non dopo averlo sepolto ed aver continuato da solo.

— Contava molto per tutti, Barney. Era una di quelle persone che sembrava riempire il mondo di vita, dovunque si trovino. Vediamo... Aveva quasi sessant’anni quando morì, non è vero? Lo vidi poco tempo prima e poteva ancora bere finché gli altri andavano sotto il tavolo e le ragazze lo adoravano ancora.

— Sì. Era il mio migliore amico, suppongo. Abbiamo scarpinato sulla Terra e sui pianeti insieme per quindici anni... — Rosenberg sorrise. — Una cosa buffa l’amicizia. Non ha niente a che fare con l’amore per le donne... e questo spiega perché loro non la capiscono. Stef ed io non parlavamo nemmeno molto. Non ce n’era bisogno, gli ultimi cinque anni sono stati piuttosto vuoti senza di lui.

— È morto in una frana, vero?

— Sì. Stavamo esplorando vicino a Sawtooths, cercando una vena di uranio. Il nostro scavo cedette, lui sostenne la parte superiore che crollava con le spalle e mi urlò di uscire prima di lui, tutto crollò e gli spezzò il casco. Lo seppellii su una collina, sotto un tumolo in vista del deserto. Era sempre stato un amico dei posti elevati.

— Mmmm, sì... Bene, pensare a Stefan Rostomily ormai non serve né a lui né a noi. Andiamo a prendere quella birra, no?

Capitolo quarto

Il suono stridulo nella sua testa condusse dolorosamente Robert Naysmith alla piena consapevolezza. Il suo braccio scattò e il pennello tracciò una linea gialla sulla tela.

— Naysmith! — La voce rimbombò aspra nel cranio. — A rapporto da Prior nel Reparto di Frisco. Urgente. Martin Donner è scomparso, presumibilmente morto.

Prendi tu il suo posto ora. Affrettati, ragazzo.

Per un momento Naysmith non afferrò il nome. Non aveva mai conosciuto qualcuno di nome Donner. Poi... Sì, era sulla lista, Donner era uno della Fratellanza.

Ed ora era morto.

Morto... Non aveva mai visto Martin Donner eppure conosceva l’uomo tanto intimamente quanto non era mai stato possibile a due esseri umani prima che venissero i Fratelli. Nella sua mente si alzò nitida la figura del morto, con un sorriso lento caratteristico, semisdraiato su una poltrona con un bicchiere di scotch, pensò Naysmith con tristezza. E Donner era stato un appassionato di palla a volo meccanica, era un buon giocatore di scacchi, leggeva molto e qualche volta citava Shakespeare, pasticciava con la meccanica e probabilmente aveva una piccola collezione di pistole.

Morto. Disteso senza vita da qualche parte sul pianeta che girava, con i muscoli rigidi, il corpo che già divorava se stesso in proteolisi, il cervello oscurato, assorbito dalla grande notte, lasciando un grande irreparabile vuoto nella linea tesa della Fratellanza.

— Puoi sentire un notiziario lungo la strada, — disse la voce nella sua testa in tono discorsivo. — È roba che scotta.

Gli occhi di Naysmith si focalizzarono sul suo dipinto. Stava prendendo forma come qualcosa di buono. Aveva sperimentato diverse tecniche e quest’ultima coglieva l’ampia assolata spiaggia abbagliante della California, la lunga spumeggiante distesa delle onde, il torrido cielo senza nuvole e la sottile erba dura e la donna dalla pelle ramata che stava distesa sulla spiaggia. Perché dovevano chiamarlo proprio ora?

— O.K. Sophie, — disse rassegnato. — Questo è tutto. Devo tornare.

La donna abbronzata dal sole si girò su un gomito e lo guardò. — Che diavolo dici? — Domandò. Siamo qui soltanto da tre ore. La giornata è appena cominciata.

— È già fin troppo avanti, temo. — Naysmith incominciò a mettere via i suoi pennelli. — Torniamo a casa, alla civiltà.

— Ma io non ne ho voglia!

— E questo cosa c’entra? — rispose aspro l’uomo. Trattale rudemente e non dire loro nulla, e verranno di corsa. Queste donne moderne non sono tanto emancipate quanto credono. Ripiegò il suo cavalletto.

— Ma perché? — domandò lei alzandosi a mezzo.

— Ho un appuntamento questo pomeriggio. — Naysmith si diresse lungo la spiaggia verso il sentiero. Dopo un attimo, Sophie lo seguì.

— Non me l’avevi detto, — protestò.

— Non me lo avevi chiesto, — rispose. E aggiunse un “mi spiace” che non suonava affatto sincero.

Non c’era molta gente sulla spiaggia e il parcheggio era relativamente vuoto.

Naysmith premette con il palmo la porta della sua imbarcazione e questa si aperse. Si infilò la tunica, i pantaloni e i sandali, mise un berretto di traverso sui suoi capelli biondi scoloriti dal sole ed entrò nell’imbarcazione. Sophie lo seguì senza preoccuparsi di vestirsi.

Il guscio ovoidale scivolò verso il cielo con i razzi che mormoravano. — Ti lascerò a casa tua, — disse Naysmith. — Un’altra volta, eh?

Lei rimase silenziosamente imbronciata. Si erano incontrati per caso una settimana prima, in un bar. Naysmith era ufficialmente un epistemologo cibernetico in vacanza; Sophie, un ingegnere del progetto della Colonia del Pacifico, lontana per una vacanza dal suo lavoro e dal suo gruppo di matrimonio libero. Era stato, un piacevole interludio e Naysmith era leggermente dispiaciuto.

Eppure... La pulsazione crescente di eccitazione che lo dominava, rendeva teso il suo corpo e cancellava dal suo cervello le ultime brume di preoccupazione artistica.

Nel servizio si viveva sulla lama di un rasoio, si respirava e si guardava il sole e si cercava di afferrare il mondo reale con una disperata consapevolezza di aver poco tempo. Nessuno della Fratellanza era membro degli Edonisti, erano troppo ben equilibrati per farlo, ma inevitabilmente erano epicurei.

Quando si erano addestrati fin... bene, fin dall’infanzia, che l’asprezza di avvicinarsi alla morte poteva essere una specie di piacere. Inoltre, pensava Naysmith, io potrei essere uno di quelli che sopravviveranno:

— Sei un verme, lo sai, — disse Sophie.

Naysmith fece una smorfia. Il suo volto, lo strano volto forte di sopracciglia bionde diritte e di grandi occhi azzurri, largo agli zigomi e alla bocca, con la mascella quadrata e il naso robusto si aperse a un sorriso che rideva con lei mentre rideva di lei. Sembrava più vecchio dei suoi venticinque anni. E lei, pensò Sophie con una improvvisa stanchezza, sembrava più giovane dei suoi quaranta. La sua famiglia era stata ricca durante gli Anni della Fame; era sempre stata sottoposta alle migliori tecniche disponibili di biomedicina, e se affermava di avere trent’anni le avrebbero detto che ne aggiungeva. Ma...

Naysmith armeggiò con la radio. Poco dopo se ne sentì la voce; non si preoccupò di mettere a fuoco la televisione.

— ... l’indagine completa chiesta dal Ministro delle Finanze Arnold Besser, è stata promessa dal Presidente Lopez. In una dichiarazione preparata, il presidente ha detto:

«Gli altri membri del ministero, come me, sono francamente propensi a non credere a questa accusa e credono che il governo cinese sia in errore. Tuttavia la sua seria natura...»

— Lopez, eh? Il presidente delle Nazioni Unite in persona, — mormorò Naysmith.

— Ciò significa che l’accusa ormai è stata fatta ufficialmente.

— Quale accusa? — chiese la donna. — Non ho sentito una trasmissione da almeno una settimana.

— Il governo cinese aveva intenzione di sostenere l’accusa che l’assassinio di Kwang-ti fosse stato commesso da agenti dell’ONU, — disse Naysmith.

— Cosa? Questo è ridicolo! — lei esclamò. — Non ne hanno il diritto. Gli agenti dell’ONU, voglio dire. Kwang-ti... era una minaccia, sì, ma l’assassinio! Non ci credo.

— Pensa a quello che le fazioni anti Nazioni Unite di tutto il Sistema Solare, inclusi i nostri Americanisti, faranno di questo, — disse Naysmith. — Proprio sopra le accuse di corruzione, giunge quella di assassinio.

— Spegnila, — disse lei. — È troppo orribile.

— Questi sono tempi orribili, Sophie.

— Pensavo che stessero migliorando. — Rabbrividì. — Ricordo l’ultimo periodo degli Anni della Fame, e poi gli Anni della Pazzia e la Depressione Socialista, gente vestita di stracci, che moriva di fame; si potevano vedere le loro ossa... E una volta, una sommossa e le uniformi in marcia e i grandi crateri... No! Le Nazioni Unite sono come una diga contro tutto quell’inferno. Non possono crederci!

Naysmith mise l’imbarcazione sul pilota automatico e la confortò. Dopo tutto, chiunque fosse leale alle Nazioni Unite meritava una certa considerazione.

Specialmente in vista del fatto non rivelato che l’accusa cinese era assolutamente vera.

Fece scendere la donna a casa sua, una piccola casa prefabbricata in una delle colonie e fece vaghe promesse su un prossimo appuntamento. Poi mise i motori a reazione al massimo e filò a nord verso il Complesso di Frisco.

Capitolo quinto

C’era molto traffico attorno al grande edificio e il suo autopilota ebbe molto da fare per farlo atterrare. Naysmith gettò un mantello sulla tunica e una mezza maschera convenzionale sulla sua faccia, quest’ultima più per travestimento che per educazione. Non pensava di essere sotto controllo, ma non si poteva mai essere del tutto sicuri. La Sicurezza Americana era dannatamente efficiente.

Se mai era un affare complicato, pensava sardonicamente, era la politica moderna americana che lo rendeva tale. Il governo era ufficialmente Laburista e favorevole all’ONU e stava gradualmente finendo in mano dei suoi sociodinamicisti, che erano ancor più in favore della federazione mondiale. Tuttavia i conservatori di tutti i tipi, dai Repubblicani tiepidamente socialisti agli Americanisti estremisti, avevano abbastanza seggi in congresso e abbastanza potere in generale per esercitare una potente influenza. Tra le altre cose, la coalizzazione conservatrice aveva impedito l’abrogazione del Dipartimento della Sicurezza, e Hessling, che lo dirigeva, era conosciuto per le sue tendenze Americanistiche.

Quindi c’era almeno un buon numero di S-men a caccia degli “agenti stranieri”, termine che includeva anche gli UN-men.

Fourre aveva naturalmente agenti suoi nella Sicurezza Americana. Si doveva principalmente ai loro sforzi se i Fratelli Americani avevano falsi documenti di identità e se tutta la tremenda faccenda della Fratellanza era rimasta segreta. Ma un giorno o l’altro, pensò Naysmith, la questione sarebbe saltata fuori... ed allora sarebbe crollato il cielo.

Così sottile la lama di un coltello, così profondo l’abisso del caos e della rovina...

La società era pazza, l’umanità era una razza di matti e i pochi che si davano da fare per creare la stabilità, lavoravano contro probabilità formidabili. Sophie ha ragione, l’ONU è una diga che impedisce a un mare di sangue radioattivo dal dilagare sulla Terra degli uomini. Ed io, pensò Naysmith, cupamente sembro essere il ragazzino con il dito nella diga.

La sua imbarcazione atterrò sulla rampa di discesa e rotolò nella vastità piena di echi della rimessa del Complesso. Non osò atterrare sulla flangia di Prior. Un meccanico mise un cartellino sul veicolo, diede a Naysmith una ricevuta e lo guidò verso l’ascensore. Era un espresso, che lo portò velocemente oltre i livelli inferiori degli uffici, dei negozi, delle strutture di servizio e dei luoghi di istruzione e di divertimento, fino ai piani residenziali. Naysmith stava tra una folla di umani, la maggior parte mascherati e attendeva la sua fermata. Nessuno scambiava una parola con altri, l’abitudine della riservatezza era diventata troppo radicata. Ne era proprio contento.

Al livello di Prior, il centro settimo, salì sul nastro trasportatore che andava ad est, si trasferì su un nastro diretto a nord al secondo incrocio e viaggiò per ottocento metri prima di giungere alla alcova che desiderava. Scese, il pavimento gommoso assorbì il corpo leggero ed entrò nella rientranza. Quando premette il pulsante della porta, la voce registrata disse: — Spiacente, il signor Prior non è in casa. Desidera far registrare un messaggio?

— Chiudi il becco e fammi entrare. — disse Naysmith.

La frase di codice attivò la porta che si aperse. Entrò in un vestibolo semplicemente arredato mentre la porta scampanellava. La voce di Prior giunse dal citofono: — Naysmith?

— In persona.

— Vieni avanti allora. Sono in soggiorno.

Naysmith appese la maschera e il mantello, tolse i sandali e si avviò lungo il corridoio. Il pavimento era caldo e cedevole sotto i suoi piedi nudi, come carne viva.

Oltre un’altra porta che si spalancò c’era il soggiorno, pure arredato con austerità da scapolo. Prior era un lupo solitario per natura, che non apparteneva ad alcun Club e nemmeno al gruppo libero matrimoniale meno impegnativo. Il suo lavoro ufficiale era di analista semantico per una grande organizzazione commerciale; il che gli concedeva un sacco di tempo libero per le sue attività dell’ONU, e una buona scusa per viaggiare dovunque nel sistema solare.

Gli occhi di Naysmith si spostarono sulla scura faccia negroide del suo compagno di lavoro... Prior non era un Fratello, benché fosse a conoscenza del gruppo, e si fermarono sull’uomo che stava disteso nel vicino rilassatore. — Lei qui, capo? —

Fischiò. — Allora deve essere una cosa ben seria!

— Togliti i vestiti e mettiti sotto una lampada solare — lo invitò Prior, puntando la sua eterna sigaretta verso un rilassatore. — Tenterò di racimolare per te un po’ di scotch.

— Perché diavolo la Fratellanza deve sempre bere dello scotch? — brontolò Etienne Fourre. — Il vostro robusto conto spese si mangia metà dei miei fondi. O

meglio se li beve, direi.

Era tozzo, quadrato e potente e a ottant’anni era più vivo della maggior parte dei ragazzi. Gli occhi neri piccoli scintillavano in un volto che sembrava scavato nella roccia bruna e segnata e butterata; la sua voce era un rombo basso che veniva dal petto cespuglioso, il suo inglese quasi senza accento. La geriatria poteva soltanto essere responsabile di una parte della vitalità che stava in lui come una molla in tensione, poiché l’intera gamma della dieta, dell’esercizio, della chimica deve essere applicata quasi dalla nascita perché abbia il massimo effetto e la sua gioventù era precedente alla scienza. Ma probabilmente ci seppellirà tutti, pensò Naysmith.

C’era qualcosa del fanatico in Etienne Fourre. Era un figlio della guerra la cui battaglia più implacabile era diventata quella contro la guerra stessa. Da giovane era stato nella Resistenza Francese della Seconda Guerra Mondiale. Più tardi era stato in posizione molto alta nei collegamenti Occidentali con la resistenza europea della Terza Guerra Mondiale, andando lui stesso nelle terre occupate e devastate per le sue oscure missioni. Aveva combattuto con i Liberali contro i Neofascisti negli Anni della Fame e con la gendarmeria contro gli atomisti negli Anni della Pazzia e con le truppe delle Nazioni Unite nel Medio Oriente, dove il suo sistema di spionaggio era stato uno dei fattori principali della soppressione del Grande Jehad. Aveva accettato il comando della divisione del servizio segreto dell’Ispettorato delle Nazioni Unite dopo che la Conferenza di Rio ebbe revisionato la Carta ed aveva proceduto con calma ad organizzare il colpo di stato che aveva rovesciato il governo anti-ONU

dell’Argentina. Più tardi i suoi uomini avevano messo lo zampino nella falsa rivoluzione di Kwang-ti nella Resistenza di Mongolia, mettendo fine a quel progetto di conquista dall’interno; e in ultima analisi era il responsabile dell’assassinio del dittatore cinese. La Fratellanza era stata una sua idea fin dall’inizio, la sua creatura e il suo strumento.

Un uomo del genere, pensava Naysmith, nei tempi andati sarebbe stato dietro il palo e la frusta dell’Inquisizione, avrebbe marciato a fianco di Cromwell e compiuto massacri irlandesi, avrebbe contribuito a mettere in piedi il Comunismo mondiale...

un uomo severamente religioso, malgrado tutto il suo pungente ateismo, una spada vivente, che aveva bisogno di una guerra. Grazie a Dio è dalla nostra parte!

— Bene, di che si tratta? — chiese l’UN-man.

— Da quanto tempo non hai più fatto un lavoro per il Servizio? — gli ribatté Fourre.

— Circa un anno. Schumacher ed io stavamo indagando sull’Arbeitpartei in Germania. Gli altri Fratelli Tedeschi erano impegnati in quell’affare austriaco, ricorda, e io parlo la lingua abbastanza per essere scambiato per uno della Renania quando sono in Prussia.

— Sì. Ricordo. Sei stato in ozio fin troppo, amico mio. — Fourre prese il bicchiere di vino offertogli da Prior, lo sorseggiò e fece una smorfia. — Merde! non la smetteranno mai questi californiani di tentare? — Rivolgendosi di nuovo a Naysmith:

— Sto mettendo in azione tutta la Fratellanza in questa faccenda. Dovrò tornare di corsa a Rio, sta succedendo il finimondo laggiù con quei cinesi che ci accusano e sarò fortunato se salverò il collo a tutti. Ma ho fatto un salto in Nord America per organizzare e mettere in movimento voialtri. Sono abbastanza sicuro che la direzione del nostro grande nemico sconosciuto è a Rio, probabilmente con Besser, che è perlomeno coinvolto nella faccenda ma ha preso delle buone precauzioni contro l’assassinio, e non servirebbe a niente ucciderlo per vedere qualche altro prendere il suo posto. Ad ogni modo, gli Stati Uniti sono ancora uno dei focolai più importanti di attività anti-ONU e la cattura di Donner significa un rapido deterioramento delle cose laggiù. Prior, che manteneva i contatti con Donner, mi dice che era giunto più vicino di qualunque altro agente a riuscire a spiare il quartier generale del nemico in questo continente. Ora che Donner non c’è più, Prior ha fatto il tuo nome per sostituirlo nell’incarico.

— Di che si tratta?

— Ne parliamo dopo. Donner era un ingegnere. Tu sei un analista cibernetico, esatto?

— Sì, ufficialmente. Le mie lauree sono in epistemologia e teoria delle comunicazioni, e il mio presunto lavoro è di consulente teorico di base. Sbrogliaguai nel campo delle idee. — Sorrise. — Quando non ce la faccio posso sempre sottoporre il problema a Prior.

— Ah, è così. Necessariamente sei anche linguista in un certo senso, no? Bene.

Cerca di capire, non sto scegliendo te per la tua specializzazione, ma piuttosto per la tua non-specializzazione. Sei troppo vecchio per aver avuto il vantaggio dell’addestramento di Sintesi. Alcuni dei Fratelli più giovani lo stanno avendo, naturalmente... C’è un ragazzo in Messico, Peter Christian, di cui sarà meglio che tu ti faccia dare il numero di chiamata da Prior, nel caso che tu abbia bisogno di un aiuto del genere.

— Nel frattempo, un epistemologo o semanticista è quel che si avvicina di più a un sintesista integrativo. Con la tua conoscenza della lingua, della psicologia e delle scienze generali, dovresti essere ben preparato a mettere insieme qualunque informazione che puoi avere e trarne un quadro di più ampio respiro. Io non lo so. —

Fourre accese un sigaro e aspirò ferocemente.

— Bene, posso incominciare in qualunque momento. Sono già in licenza prolungata dal mio lavoro ufficiale, — disse Naysmith. — Ma che cosa si sa di Donner? Fino a che punto era arrivato, che cosa gli è accaduto e cose del genere?

— Ti farò un quadro della faccenda, perché ne hai bisogno, — disse Priora —

Martin Donner è stato ufficialmente adottato in Canada e ha ricevuto là una laurea in ingegneria meccanica. Circa quattro anni fa abbiamo avuto motivo di credere che il nemico incominciasse a rendersi conto che lui non era proprio quel che sembrava, quindi lo abbiamo trasferito negli Stati Uniti, abbiamo creato per lui una identità americana e così via. Recentemente è stato messo al lavoro di indagine sugli Americanisti. Il suo incarico era semplice: ha avuto un lavoro alla Brain Tools Incorporated, che sappiamo brulicare di membri del Partito. Non ha tentato di infiltrarsi nel partito, abbiamo già degli uomini dentro, naturalmente, benché non siano andati molto in alto, ma ha ficcato il naso dappertutto, raccogliendo dati e finalmente ha beccato un certo tizio, che ha poi riempito di siero della verità. —

Naysmith non chiese cosa fosse accaduto poi alla vittima; la lotta era estremamente feroce, con tutta la storia in palio. — Questo gli ha dato informazioni sul quartier generale della cospirazione nel Midwest, quindi è andato là. Era in uno dei grossi Complessi dell’Illinois. Si è preso un appartamento ed... è scomparso. Questo è accaduto quasi due settimane fa. — Prior alzò le spalle. — Ormai è sicuramente morto. Se non lo hanno ucciso loro, ha trovato il modo di suicidarsi.

— Puoi darmi il dossier su quel che Donner ha appreso e ti ha comunicato? —

domandò Naysmith.

— Sì, certo, anche se non penso che ti aiuterà molto. — Prior fissò cupamente il bicchiere. — Sarai praticamente solo. Non ho bisogno di aggiungere che va tutto bene, dalla violazione di domicilio all’assassinio, ma che con il Servizio tanto in disgrazia in questo momento, sarà meglio non lasciare prove. Il tuo primo compito, comunque è quello di avvicinare la famiglia di Donner. Vedi, era sposato.

— Oh?

— Non voglio dire matrimonio libero, matrimonio di gruppo o matrimonio di prova o qualunque altra cosa del genere. — Scattò Prior con impazienza. Voglio dire sposato. All’antica. E c’è un figlio.

— Hmmm. Non è una bella cosa, no?

— No. Gli UN-men non dovrebbero sposarsi in quel modo e i Fratelli in particolare non lo dovrebbero fare. Comunque... Vedi la difficoltà, no? Se Donner è ancora vivo, in qualche modo, e la banda rintraccia la sua identificazione e si impadronisce della moglie e del figlio, ha su di lui un vantaggio che può costringerlo a rivelare tutto quello che sa. Nessuna persona sana di mente può essere leale verso una causa in modo assoluto.

— D’accordo. Suppongo che abbiate fornito Donner di una identità del Midwest.

— Certo. O almeno, usava quella che avevamo già stabilito, nome, impronte digitali, numero, i dati registrati alla Centrale del Midwest. Sia lodato Allah, noi abbiamo amici nell’ufficio registrazioni. Ma il caso di Donner è grave. Nelle precedenti circostanze, quando abbiamo perduto un Fratello, siamo stati in grado di recuperare il cadavere o eravamo almeno sicuri che fosse stato sicuramente distrutto.

Ora il nemico ha un corpo completo di un Fratello, pronto per ricavarne impronte digitali, impronte della retina, classificazione del sangue. Le misurazioni Bertillon, l’autopsia e qualunque altra cosa che vogliano escogitare. Possiamo aspettarci che controllino quel gruppo di dati fisici in tutti gli uffici di identificazione del Paese. E

quando troveranno la stessa identità sotto i nomi differenti e numeri differenti in ciascuno e in tutti gli archivi... sarà la volta che scoppierà davvero l’inferno.

— Ci vorrà del tempo, naturalmente, — disse Fourre. — Abbiamo inserito dei duplicati di dati anche di non Fratelli, come sai; ciò darà loro un lavoro extra da compiere. Né potranno essere sicuri di quello che dovrebbe essere il gruppo di dati corrispondenti alla vera identità di Donner.

Involontariamente, Naysmith sorrise ancora. La vera identità era una espressione inadatta da applicare alla Fratellanza. Tuttavia...

— Nondimeno, — continuò Fourre, — ci sarà una indagine in ogni paese della Terra e forse sulla Luna e sui pianeti. La Fratellanza dovrà diventare clandestina, almeno in questo Paese. E proprio ora, quando devo lottare per la continuazione dell’esistenza del mio Servizio laggiù a Rio. — Stanno avvicinandosi. L’abbiamo sempre saputo, nel profondo dei nostri cervelli che sarebbe giunto questo giorno, e ora incombe su di noi.

— Anche presumendo che Donner sia morto, cosa più che probabile, — disse Prior, — la sua vedova sarebbe una prigioniera di valore per la banda. Probabilmente lei sa molto poco di suo marito e delle sue attività nel Servizio, ma senza dubbio ha una quantità enorme di informazioni sepolte nel suo inconscio... Volti, brani di conversazioni sentite, forse anche soltanto le date esatte in cui Donner fu assente per questa o quella missione. Un uomo in gamba potrebbe farsi dire tutte queste cose da lei, lo sai, e di conseguenza potrebbe offrire agli investigatori nemici un sacco di piste, alcune delle quali porterebbero ai nostri segreti più gelosi.

— È stato tentato di farla sparire? — chiese Naysmith.

— Non vuole sparire, — disse Prior, — abbiamo mandato un agente accreditato per avvertirla che era in pericolo e che doveva seguirlo. Ma ha rifiutato nettamente.

Dopo tutto, come può essere sicura che il nostro agente non sia una creatura del nemico? Inoltre ha preso delle precauzioni molto intelligenti, come rivolgersi alla polizia locale, lasciare dei biglietti nella sua cassetta di sicurezza in banca da aprire se fosse scomparsa senza avvertire nessuno e così via, cose che in effetti ci hanno reso impossibile portarla via contro la sua volontà. Se non altro, non avremmo potuto permetterci che la cosa si risapesse. Tutto quel che abbiamo potuto fare è stato di mettere un paio di uomini a controllarla... e uno di questi è stato beccato l’altro giorno dalla polizia e abbiamo dovuto fare il diavolo a quattro per tirarlo fuori dai guai.

— È una donna decisa, — disse Naysmith.

— Troppo, — rispose Prior. — Bene, tu sai qual’è il tuo primo compito. Fa’ in modo che venga via volontariamente con te, nascondi da qualche parte lei e il bambino e poi sparisci anche tu. Dopo di ciò, figliolo, tutto è nelle tue mani.

— Ma come posso persuaderla a...

— Non è ovvio? — disse seccamente Fourre.

Lo era. Naysmith fece una smorfia. — Che razza di puzzone credete che io sia? —

protestò debolmente. — Non vi basta che compia degli assassinii e dei furti per voi?

Capitolo sesto

Brigham City nell’Utah non era ufficialmente una colonia, essendo esistita ben molto tempo prima delle risistemazioni del dopoguerra. Ma era sempre stata una bella città e si era quasi completamente convertita alla disposizione ed all’architettura moderna. Naysmith non c’era mai stato prima, ma sentiva che gli piaceva... Come a Donner, che ormai è morto.

Aperse tutti i getti e rombò alla sua velocità abituale tenendosi basso sulla superstrada che andava in rovina. Le colline e gli orti si stendevano verdi intorno a lui sotto il cielo alto e chiaro, una grande oasi strappata alle maleterre dalle mani degli uomini. Erano venuti attraverso migliaia di chilometri di vuoto, questi uomini di un altro tempo, camminando faticosamente nella polvere accanto ai loro sobbalzanti, scricchiolanti carri malandati, diretti alla terra promessa. Lui, oggi, sedeva sui cuscini di plastica espansa in un guscio metallico, ululando a migliaia di chilometri orari fino a che rimbalzavano indietro gli echi, ma anche lui stava fuggendo i persecutori.

Il controllo del traffico locale prese il comando mentre lui incrociava il radiofaro.

Si rilassò per quanto gli fu possibile, aspirando nervosamente una sigaretta mentre l’autopilota lo faceva atterrare. Quando l’imbarcazione atterrò in un viale laterale, si infilò in testa una maschera completa e riprese la guida manuale.

Le case si annidavano tra i loro ripari di prato e di alberi, le basse case mezzo interrate delle piccole famiglie. Uomini e donne, alcuni in abito da lavoro stavano accanto alla guida di scorrimento e c’era un maggior numero di bambini in giro, piccoli splendenti lampi di colore che ridevano. e gridavano, più di quanti ce ne fossero altrove. L’influenza mormone, suppose Naysmith; il matrimonio libero e le altre cose non erano state mai molto di moda nell’Utah. La maggior parte delle piantagioni di frutta erano ancora di proprietà privata, piccole imprese che usavano la cooperazione per competere con i complessi agricoli giganteschi controllati dal governo. Ma doveva nondimeno esserci qui una buona percentuale di uomini e di donne che facevano la spola con gli aerobus andando a lavorare da altre parti... per esempio operai del progetto della Colonia del Pacifico.

Richiamò alla mente il fascicolo di Prior su Donner, esaminando i particolari piuttosto scarsi con la memoria. I Fratelli erano sempre in Servizio, ma fuori dal proprio circolo erano tanto gelosi della loro vita privata quanto chiunque altro. Era stato chiaro comunque che Jeanne Donner lavorava a casa come linguista semantico consulente per posta, correggendo manoscritti di vario genere, e che prestava una quantità di attenzione non comune a suo marito e al suo bambino.

Naysmith si sentiva gelare dentro.

Ecco la casa. Fermò silenziosamente il veicolo e si diresse lungo il vialetto verso la casa. Le sue linee e le sue curve severe e moderne erano addolcite da una grande luminosità mattutina e stava nella frusciante ombra degli alberi e dietro di essa c’era un ampio giardino. Quello era indubbiamente un compito di Jeanne; Donner avrebbe sicuramente odiato il giardinaggio.

Istintivamente, Naysmith diede un’occhiata per scoprire la guardia di Prior.

Nessuno in vista. Ma del resto un buon agente non si sarebbe messo in mostra. Forse era il vecchio, con la barba bianca e l’aria da patriarca, che stava accanto alla guida di scorrimento; o il fattorino che filava lungo la strada sulla sua biruota; o anche la piccola ragazza che saltava la corda nel parco al di là della strada. Poteva non essere quel che sembrava; i laboratori biologici potevano fare strane cose e Fourre aveva messo in piedi i propri negozi segreti...

La porta era davanti a lui, ombreggiata da un porticato ricoperto di rampicanti.

Premette il pulsante e la voce lo informò che non c’era nessuno in casa. Cosa che era indubbiamente una bugia, ma... Povera bambina, povera ragazza, chiusa lì dentro contro la paura, contro la notte che ha inghiottito suo marito, in attesa del suo ritorno, del ritorno di un morto.

Naysmith scosse la testa, inghiottendo una boccata di amarezza e disse nel registratore: — Salve, tesoro, non ti pare di essere un po’ inospitale?

Doveva aver attivato immediatamente il playback perché ci volle solo un attimo prima che la porta si aprisse. Naysmith la prese tra le braccia mentre lei entrava nel vestibolo.

— Marty, Marty, Marty! — stava singhiozzando e ridendo, stringendosi a lui, tirando il suo volto verso di sé. I lunghi capelli neri accecavano gli occhi di lui che bruciavano. — Oh, Marty, togliti quella maledetta maschera. È tanto tempo...

Era di altezza media, flessibile e snella tra le sue braccia, il volto deciso sotto la sua apparenza sbarazzina, gli occhi scuri e luminosi e leggermente obliqui e la sensazione di lei e la sua voce rotta gli fecero sentire la propria solitudine con una improvvisa desolazione. Alzò la maschera, lasciando rimbombare a terra l’involucro vuoto a forma di casco e la baciò con bramosia. Dannazione, pensò con furia, Donner doveva proprio scegliere il tipo che piace a me! Ma poi, non poteva essere altrimenti!

— Non c’è tempo, tesoro, — le disse con aria di fretta mentre lei gli arruffava i capelli. — Prendi dei vestiti e una maschera... e anche Jimmy naturalmente. Non preoccuparti di fare dei bagagli. Limitati a chiamare la polizia e a dire che te ne vai di tua spontanea volontà. Dobbiamo andare via di qui e in fretta.

Lei fece un passo indietro e lo guardò sconcertata. — Che cosa è accaduto, Marty?

— mormorò.

— In fretta, ho detto! — La scansò per entrare in soggiorno. — Ti spiegherò dopo.

Lei annuì e scomparve in una delle camere da letto, curvandosi su una culla e sollevando una piccola figura dormiente. Naysmith accese un’altra sigaretta mentre i suoi occhi esaminavano la stanza.

Era una tipica casa prefabbricata, ma Martin Donner, quest’altro se stesso che ora stava chiuso nell’oscurità, vi aveva lasciato la sua personalità. Nessuno degli aggeggi anonimi costruiti in serie dai nomadi del giorno d’oggi; quella era la casa di gente che aveva intenzione di restarci. Naysmith pensò alla successione di appartamenti e di camere d’albergo che era stata la sua vita, e la solitudine in lui divenne più profonda.

Sì. Proprio come doveva essere. Donner si era probabilmente costruito da sé quel caminetto, non perché fosse necessario, ma perché il fiammeggiare dei ceppi che bruciavano era bello da vedersi. C’era un moschetto antico appeso sopra la cappa, su cui c’erano altri oggetti; un vecchio orologio di marmo; candelieri di ottone battuto, un pezzo luccicante di cristallo lunare. La scrivania era un anacronismo di mogano tra le sedie rilassanti. C’erano alcuni film animati alle pareti, ma c’erano anche un paio di riproduzioni... un rabbino di Rembrandt e un paesaggio di Constable... e qualche incisione. C’era una mensola costosa con un’ampia selezione di nastri di musica. La libreria conteneva una bella proporzione di rulli microfilmati, ma c’erano anche un bel po’ di libri antichi, accuratamente rilegati.

I Donner non erano stati dei maniaci che vivevano nel passato, ma non erano stati nemmeno degli sradicati. Naysmith sospirò e richiamò alla memoria quel che sapeva di antropologia. La civiltà occidentale era stata basata sulla famiglia come unità economica e sociale; la prima ragion d’essere se ne era andata con la tecnologia, la seconda l’aveva seguita con l’ultima guerra mondiale e con le sommosse del dopoguerra. La vita moderna era una cosa impersonale. Il matrimonio, il matrimonio permanente, veniva tardi, quando entrambi i candidati erano stanchi di cacciare ed era nel migliore dei casi un contratto molto vago; l’asilo, la scuola i pubblici divertimenti facevano dei figli una parte indistinta della famiglia. E tutto ciò reagiva sull’io umano. Da una creatura di vita emotiva forte e altamente focalizzata, con una personalità resa complessa dalla interazione dell’ambiente e dell’ego, l’uomo occidentale stava mutandosi in qualcosa di simile ai vecchi aborigeni Samoani; indolente, ben adattato, con l’amore romantico e l’amicizia profonda che scivolano nel limbo. Non si poteva dire se fosse bene o male, in un modo o nell’altro, ma ci si chiedeva che cosa avrebbe fatto alla società.

Ma che cosa si sarebbe potuto fare? Non si poteva tornare indietro, non si poteva mantenere la popolazione moderna con la tecnologia del Medio Evo, anche se la popolazione fosse disposta a tentare. Ma ciò significava accettare la base filosofica della scienza, barattando il cosmo intimo del medioevo con uno stupefacente intreccio di relazioni impersonali e abbandonare il vecchio grido dell’uomo che scuote il pugno verso un cielo vuoto. Perché? Se si voleva controllare la popolazione e la malattia (e la prima cosa almeno, era ancora una necessità orribilmente urgente), si dovevano accettare i contraccettivi chimici e le pastiglie di antibiotici e le persone istruite che le portavano in tasca; ma allora ne seguiva che le tradizioni razionali tra i sessi diventavano qualcosa d’altro. La tecnologia moderna non aveva alcun bisogno dell’operaio con piccone e vanga o dell’intellettuale di ruotine; quindi ci si trovava di fronte a una enorme classe di persone inadatte a qualunque altra cosa, e che cosa si poteva farne? Ciò che: la grande, incredibilmente complessa macchina della civiltà richiedeva, ciò che doveva avere in spaventosa quantità, era l’uomo addestrato, l’uomo addestrato al limite della sua capacità. Ma allora l’istruzione doveva cominciare presto e poiché gli allievi erano liberi fino a che erano promossi, dovevano essere duramente selettiva. Il che significava che le vostre prime classi, dottori in filosofia a vent’anni o meno, guardavano dall’alto in basso le scuole di secondo rango, che a loro volta riversavano le loro frustrazioni su quelle di terzo...

Snobismo intellettuale, attriti sociali, ma come sfuggirne?

Ed era dopo tutto un mondo di fantastici anacronismi, cresciuto troppo in fretta e in modo troppo disuguale. I contadini Indù zappettavano i loro minuscoli campi e vivevano in capanne di fango, mentre ciascun grande collettivo cinese stava ottenendo il proprio impianto di energia elettrica. Gli assassini si aggiravano furtivamente nei bassifondi attorno al Cratere di Manhattan, mentre un tecnico poteva comprarsi una casa e il mobilio con la paga di sei mesi. Negli oceani si stavano stabilendo colonie galleggianti, le città sorgevano su Marte, su Venere e sulla Luna, mentre i nativi del Congo suonavano i tamburi per invocare la pioggia.

Riconciliazione... Come?

La maggior parte della gente guardava la superficie delle cose. Vedevano che le grandi sommosse, le Guerre Mondiali e gli Anni della Fame e gli Anni della Pazzia e le crisi economiche erano state accompagnate dalla dissoluzione delle tradizionali abitudini sociali, e pensavano che la prima cosa fosse la causa della seconda. —

Dateci una possibilità e noi faremo rivivere il buon tempo antico. — Non potevano vedere che quel buon tempo antico aveva portato con sé i semi della distruzione, che il cambiamento di tecnologia aveva portato a un cambiamento della natura umana stessa che avrebbe avuto effetti più profondi di quelli di qualunque effimero periodo di transizione. La guerra, la depressione, le ondate di perversità maniaca, gli uomini affamati, gli uomini in marcia e gli uomini destinati a perire, non erano cause, erano effetti... sintomi. Il mondo stava cambiando e non si poteva più tornare a casa.

Gli psicodinamicisti pensavano di essere sul punto di capire questo processo, con la loro epistemologia semantica, la teoria dei giochi, il principio del minimo sforzo, la teoria delle comunicazioni... Forse era così. Era troppo presto per dirlo. La Sintesi Scientifica era ancor più un sogno che un risultato e si sarebbe dovuta avere almeno una generazione di cittadini addestrati alla Sintesi prima che si potessero notare gli effetti. Nel frattempo, la combinazione della geriatria e del controllo delle nascite, necessarie come erano entrambe, stava indurendo la popolazione con la inevitabile rigidezza intellettuale dell’età avanzata proprio nel momento in cui il pensiero originale era più disperatamente necessario di quanto mai lo fosse stato prima nella storia. Le forze del caos stavano adunandosi e quelli che vedevano la verità e per essa combattevano, erano terribilmente pochi. Sei assolutamente sicuro di avere ragione?

Puoi veramente giustificare la tua battaglia?

— Papà!

Naysmith si voltò e tese le braccia al bambino. Un bambino di due anni, un bambino robusto con i capelli chiari e gli occhi scuri come la madre, ancora mezzi velati dal sonno, lo stava chiamando. Mio figlio... Il figlio di Donner, dannazione!

Ciao Jimmy. — La sua voce era un po’ scossa.

Jeanne prese in braccio il bambino. Era mascherata e voluminosamente intabarrata e il suo tono era più fermo del suo. — Bene, andiamo?

Naysmith annuì e si diresse alla porta. Non vi era ancora giunto quando suonò il campanello.

— Chi è? — la voce rauca e il sussulto del cuore le dissero quanto fossero tesi i suoi nervi.

— Non lo so. Siamo stati in casa da quando... — Jeanne si diresse velocemente al balcone chiuso e spostò una tendina, guardando fuori. — Due uomini. Estranei.

Naysmith si infilò la maschera e toccò il pulsante del playback. La voce era dura e secca: — Qui è la polizia federale. Sappiamo che è in casa signora Donner. Apra subito.

— S-men! — sussurrò rabbrividendo.

Naysmith annuì cupamente. — Ti hanno rintracciato ben presto, vero? Corri a vedere se ce ne sono anche dietro la casa.

I suoi piedi risuonarono veloci sul pavimento. — Quattro nel giardino — annunciò.

— Bene. — Naysmith si fermò in tempo prima di chiederle se sapeva sparare.

Trasse la piccola pistola-stet piatta dalla tunica e gliela diede mentre tornava. Doveva presumere che fosse stata addestrata; comunque la pistola ad aghi era senza rinculo.

— “Una volta ancora sulla breccia, cari amici”. Ce ne andiamo. Sta immediatamente dietro di me e spara loro in faccia o sulle mani. Può darsi che abbiano corazze protettive sotto gli abiti.

La sua magnum automatica era fredda e pesante da tenere in mano. Non era affatto una gentile arma soporifera. A distanza ravvicinata poteva fare in un uomo un buco tanto grosso da infilarci una mano e una scheggia delle sue pallottole esplosive uccideva per schock idrostatico. Il bussare della porta divenne furioso.

Immediatamente lei fu fredda come lui. — Guai con la legge? — chiese decisamente.

— Con la legge sbagliata, — le rispose. — Comunque abbiamo ancora dei poliziotti dalla nostra parte, se questa è una consolazione.

Non potevano essere agenti di Fourre altrimenti avrebbero dato loro la frase di codice. Questo significava che erano stati mandati dalla stessa potenza che aveva assassinato Martin Donner. Non si sentiva affatto turbato di contraccambiarli nello stesso modo. Si trattava solo di sfuggir loro.

Naysmith tornò nel soggiorno e raccolse un tavolino leggero, tenendolo davanti a sé come protezione contro gli aghi. Tornando nell’atrio si mise davanti a Jeanne e premette il pulsante della porta.

Mentre la barriera si apriva, Naysmith fece fuoco, un sibilo sommesso e un colpo cupo di piombo nella carne. Il terribile impatto mandò l’S-man fuori dalla veranda a rotolare insanguinato sul prato. Il suo compagno sparò quasi per istinto, mandando un ago a infilarsi nel tavolino. Naysmith lo abbatté mentre stava gridando.

Ora, fuori! Al veicolo e in fretta! Correndo sull’erba Naysmith sentì il malvagio ronzio di un missile che gli sfiorava la guancia. Jeanne si voltò, pur intralciata da Jimmy e mandò una sventagliata di aghi contro la truppa che sbucava da dietro l’angolo della casa.

Naysmith era già alla porta del veicolo. Sparò una volta ancora mentre metteva in moto con l’altra mano il motore.

Gli S-men usavano aghi. Volevano viva la loro preda. Jeanne inciampò, con un ago nel braccio, lasciando cadere a terra il bambino. Naysmith saltò dal veicolo. Un ago si spezzò sulla sua maschera ed egli sentì una esalazione che gli fece girare la testa.

I poliziotti si erano disposti a ventaglio, avvicinandosi da due direzioni mentre correvano. Naysmith era protetto da un lato dal veicolo e dall’altro dalla figura immobile di Jeanne mentre la raccoglieva. Gettò lei e il bambino sul sedile e si infilò scavalcandoli. Sbattendo la porta afferrò i comandi.

L’intera faccenda era durata meno di un minuto. Mentre l’aviogetto si alzava sulla coda e ululava illegalmente verso il cielo, Naysmith si rese conto ancora una volta che nessun uomo normale sarebbe stato tanto veloce e tanto sicuro da riuscire a fuggire. Gli S-men erano in gamba ma erano stati semplicemente surclassati.

Avrebbero controllato la casa, centimetro per centimetro e avrebbero trovato le sue recenti impronte digitali, e quelle sarebbero state uguali a quelle disperse qua e là in tutto il mondo da altri UN-men... le stesse impronte di Donner. Era l’UN-man, l’ombra odiata e temuta che poteva colpire in una dozzina di posti nello stesso tempo, più veloce e più mortifero di quel che la carne aveva diritto di essere e che ora si era levato dalla sua tomba per tormentarli ancora. Lui, Naysmith aveva appena aggiunto un altro capitolo alla leggenda.

Solo che... gli S-men non credevano ai fantasmi. Avrebbero cercato una risposta. E

se avessero trovato la risposta giusta sarebbe stato la fine di ogni sogno.

Nel frattempo la caccia era aperta contro di lui. Radiofari, numeri di targa, analisi del traffico aereo, allarmi radio, archivi di identificazione... Tutte le risorse di una grande e disperata potenza gli avrebbero dato la caccia attraverso il mondo e lui non avrebbe potuto riposare da nessuna parte.

Capitolo settimo

Jimmy stava piangendo di paura e Naysmith lo confortò per quanto gli fu possibile mentre schizzava nel cielo. Era difficile essere allegro, ridere con il bambino e fargli il solletico e fingere che fosse tutto un gioco divertente mentre Jeanne era rovesciata sul sedile e la terra diventava indistinta là sotto. Ma il terrore a quella età può avere effetti psichici devastanti e doveva essere eliminato subito. È tutto quello che posso fare per te, figliolo. La Fratellanza ti deve tanto, dopo averti giocato lo sporco tiro di farti venire al mondo come un figlio di uno di noi.

Quando Jimmy fu tornato a suo agio, sistemato sul sedile posteriore a guardare uno spettacolo di robot teletrasmesso, Naysmith esaminò la sua situazione. Il veicolo aveva più gambe di quelle che la legge permettesse, il che era una cosa positiva.

L’aveva portata a otto chilometri d’altezza, ben sopra ai canali di traffico ben controllati e stava filando a nord su un percorso indiretto. I suoi motori affamati inghiottivano combustibile con un ritmo spaventoso; avrebbe dovuto fermarsi a fare il pieno due o tre volte. Fortunatamente aveva con sé un sacco di denaro.

L’identificazione normale di un assegno firmato con l’impronta digitale avrebbe lasciato un invito scritto agli inseguitori, mentre non sarebbero mai capitati nelle stazioni di rifornimento isolate in cui aveva intenzione di fermarsi.

Jeanne si svegliò, stirandosi e sospirando forte. La tenne stretta a sé fino a che lo spasimo della coscienza che tornava fu passato e i suoi occhi si rischiararono. Poi accese una sigaretta per lei e una per se e si appoggiò allo schienale.

— Suppongo che tu ti chieda che cosa significhi tutto questo, — le disse.

— Uh-uh — il suo sorriso era incerto. — Quante cose mi puoi dire?

— Quanto è sicuro che tu sappia, — le rispose. Dannazione, quante cose sa già?

Non posso ancora tradirmi! Deve sapere che suo marito è... era... un UN-man, che il suo lavoro ufficiale era una mimetizzazione, ma i dettagli?

— Dove andiamo? — chiese lei.

— Ho un nascondiglio per te e il bambino, nelle Montagne Rocciose Canadesi.

Non troppo comodo, credo, ma ragionevolmente sicuro. Se possiamo arrivarci senza essere intercettati. È...

«Interrompiamo questo programma per darvi un annuncio urgente. Un pericoloso criminale è in libertà su un Ayrflyte targato USA-1349-U-7683. Ripetiamo, USA-1349-U-7683. Si crede che quest’uomo sia accompagnato da una donna e da un bambino. Se vedete il veicolo chiamate immediatamente il più vicino quartier generale di polizia o il più vicino ufficio di sicurezza. L’uomo è ricercato per assassinio e rapimento e si pensa che sia un agente di una potenza straniera. Appena possibili seguiranno altri annunci con una completa descrizione».

La voce dura svanì e lo spettacolo robot ritornò in onda. — Gente, gente, gente...

— sospirò Naysmith. — Non perdono tempo eh?

La faccia di Jeanne era bianca, e le sue sole parole furono: — Che dici di cancellare il numero di targa?

— Non posso fermarmi a farlo ora, perché ci raggiungerebbero sicuramente. —

Naysmith esplorò il cielo. È meglio che ti leghi la cinghia e che leghi il bambino, comunque. Se un veicolo della polizia ci rintraccia, ho delle mitragliatrici nella mia.

Li abbatteremo.

Lei rimandò indietro le lacrime con un coraggio da spezzare il cuore. — Ti spiace spiegarmi un poco?

— Devo incominciare da principio, — le disse cautamente. — Per dire le cose in ordine, dovrò dirti un sacco di cose che sai già. Ma voglio darti la trama completa.

Desidero farla finita con quei nomi luridi come spia e traditore e mostrarti quello che stiamo realmente tentando di fare.

— Noi? — Sembrò accarezzare il pronome. Nessun umano sano di mente ama essere assolutamente solo.

— Ascolta, — disse Naysmith. — Sono un UN-man. Ma di una specie molto particolare. Non sono nell’Ispettorato, cui è permesso dallo statuto e dai trattati di condurre indagini e riferire al Consiglio violazioni di cose come il disarmo. Io sono nel Servizio Segreto delle Nazioni Unite... Il Servizio Segreto veramente segreto e la nostra posizione è quasi legale. Ufficialmente siamo una forza ausiliaria dell’Ispettorato; in pratica facciamo un sacco di cose in più. Immagina che l’Ispettorato debba dire alle basi delle Nazioni Unite sulla Luna dove spedire i loro missili; il Servizio tenta di rendere utile il bombardamento mandando a vuoto le azioni nemiche.

— Assassinando Kwang-ti? — lo sfidò.

— Kwang-ti era una minaccia. Aveva fatto uscire la Cina dalle Nazioni Unite e stava preparando la sua armata. Aveva fatto un tentativo di impadronirsi della Mongolia finanziando una falsa rivolta e c’era quasi riuscito. Non dico che sia stato ammazzato da un UN-man cinese, malgrado le accuse del governo che gli è succeduto. Sto solo dicendo che è stato un bene che morisse.

— Ha fatto molto per la Cina.

— Certo. E Hitler ha fatto molto per la Germania e Stalin ha fatto molto per la Russia, tutte cose che sono state annullate, insieme a un sacco di gente innocente, quando quei paesi si sono messi in guerra. Non dimenticare che le Nazioni Unite esistono in primo, in secondo e in ultimo luogo per mantenere la pace. Tutto il resto è secondario.

Jeanne accese un’altra sigaretta con il mozzicone della prima. — Dimmi di più, —

disse con un tono di voce che faceva pensare che sapesse queste cose da lungo tempo.

— Ascolta, — disse Naysmith, — i nemici che le Nazioni Unite hanno dovuto affrontare nel passato non sono niente rispetto a quel che le minaccia ora. Perché prima l’inimicizia era più o meno aperta. Nella seconda guerra le Nazioni Unite iniziarono come una alleanza militare contro le potenze fasciste. Nella Terza Guerra divennero, in effetti, una alleanza militare contro i propri membri dissidenti e scomunicati. Dopo Rio è esistita in parte come uno strumento di negoziati multilaterali, ma ancora, primariamente, come una alleanza di moltissimi stati, non soltanto occidentali, per prevenire e sopprimere le guerre in tutto il mondo. Oh, io non voglio dare poca importanza alle sue attività legali, culturali, umanitarie e scientifiche, ma l’essenza delle Nazioni Unite era la forza, uomini e macchine che poteva chiedere a tutti gli Stati suoi membri... anche contro un membro di se stesse se quella nazione era giudicata colpevole con un voto di maggioranza nel Consiglio.

Non è stato tanto generoso come puoi pensare il fatto che gli Stati Uniti abbiano passato le loro basi lunari alle Nazioni Unite. Pensavano di poter ancora controllare il Consiglio come avevano fatto nel passato, ma le cose non sono andate in questo modo. Il che è stato un bene. Noi abbiamo davvero bisogno di un corpo veramente internazionale.

«Comunque il principio dell’intervento per far finire tutte le guerre, invitati o no, ha portato a cose come il grande Jehad e l’affare Brasile-Argentina. Una guerra su piccola scala per impedire una guerra su larga scala. Poi quando il governo russo fece una richiesta di aiuto contro i suoi insorti nazionalisti e la ottenne, fu stabilito il precedente di un intervento attivo entro i confini propri di uno stato... tanto di guadagnato e tanto di non gradito per quasi ogni governo, incluso l’americano. In quel momento qui erano al potere i conservatori, ti ricordi, che tentarono senza successo di rimediare alla Depressione Socialista ed essi quasi uscirono dalle Nazioni Unite. Ma non lo fecero, comunque. E quelle altre funzioni internazionali, ricerche e regolamenti commerciali sono cresciute velocemente.

«Vedi dove ci porta tutto questo? Te l’ho detto molte volte in precedenza, – una ipotesi tranquilla, questa, – ma te lo ripeterò ancora. Le Nazioni Unite sono sul punto di diventare un governo mondiale federale. Hanno già il proprio ispettorato, la loro piccola forza di polizia e la loro Guardia Lunare. Lentamente, pur borbottando, le nazioni sono indotte a disarmarsi... abbiamo abolito la nostra leva militare più o meno dieci anni fa, ricordi? Esiste un movimento per internazionalizzare i pianeti e gli sviluppi oceanici e metterli sotto il diretto controllo delle Nazioni Unite. Abbiamo avuto una stabilizzazione monetaria ormai da lungo tempo; presto o tardi adotteremo una sola valuta per tutto il mondo. I cambi sono virtualmente estinti. Oh, potrei andare avanti tutto per il giorno.

«Le precedenti proposte di trasformare le Nazioni Unite in governo mondiale sono state bocciate. Le Nazioni avevano la vista troppo corta. Ma sta ugualmente accadendo, lentamente, pezzo per pezzo, di modo che la unificazione finale dell’uomo sarà soltanto una formalità. Capisci? Naturalmente che lo capisci. È ovvio.

Il guaio è che anche i nostri nemici hanno incominciato a capirlo».

Naysmith accese una sigaretta e fissò imbronciato la nuvola di fumo che usciva dalle sue narici. — Ce ne sono molti che vorrebbero spezzare le Nazioni Unite. Ci sono i nazionalisti e i militaristi di tutti i tipi, di tutti i paesi, uomini che ritornerebbero al potere se la vecchia anarchia ritornasse. Il bisogno del potere è una bramosia fisica per gente del genere. Ci sono grandi uomini dell’Industria, della finanza e della politica che vorrebbero liberare le loro industrie dai regolamenti. Ci sono dirigenti sindacali che desiderano il ritorno del vecchio sciopero che significa potere e profitto per loro. Ci sono religiosi di una dozzina di confessioni che non amano la nostra campagna per il controllo della popolazione e la calma sovversione dei credi anti-contraccettivi. Ci sono matti e fanatici che cercano l’occasione di imporre le loro credenze, tutti i Corporativisti e i Neocomunisti, dai Pellegrini agli Edonisti. Ci sono quelli che sono stati danneggiati da qualche azione delle Nazioni Unite; forse hanno perso un figlio in una delle nostre campagne, forse un nuovo sviluppo o una nuova politica hanno eliminato la loro attività. Vogliono vendetta. Oh, ce ne sono migliaia di tipi e se le Nazioni Unite cadono, tutti saranno liberi di pescare nel torbido.

— Dimmi qualcosa di nuovo, — disse Jeanne impazientemente.

— Ci sto arrivando, cara. Devo spiegarti che cos’è quest’ultima minaccia. Vedi, questi nostri nemici, stanno mettendosi insieme. In tutto il mondo stanno mettendo da parte le loro liti e si stanno unendo in una grande organizzazione segreta il cui solo scopo è di indebolire e di distruggere le Nazioni Unite. Non crederesti che fanatici nazionalisti di diverse nazioni si mettessero a collaborare? Bene lo fanno, perché è l’unica strada da seguire per avere più tardi la possibilità di attaccarsi l’un l’altro. Il comando di questa organizzazione, che noi UN-man chiamiamo piuttosto inelegantemente la banda, è brillante; un sacco di uomini importanti ne sono membri e tutta la faccenda è deliziosamente messa in piedi. Enti come il partito Americanista sono diventati facciate per la banda. Interi governi li stanno sostenendo, governi che sono membri riluttanti delle Nazioni Unite soltanto a causa della pubblica opinione all’interno e della pressione che può essere fatta ai membri. I successori di Kwang-ti hanno riportato la Cina nelle Nazioni Unite, ne sono certo, soltanto per rovinarci dall’interno. Consiglieri delle Nazioni Unite sono tra le loro creature e non so quanti impiegati delle Nazioni Unite.

Naysmith sorrise senza gioia. — Anche ora, la gran massa delle persone in tutto il mondo è favorevole alle Nazioni Unite, considerandole come qualcosa che li tenga lontani dall’inferno al quale sono sopravvissute. Quindi uno dei modi che ha il nostro nemico di distruggerci è il sabotaggio dall’interno. La corruzione, l’arroganza, l’inefficienza, le azioni illegali, perpetrate dai loro agenti nelle Nazioni Unite e che diventano di dominio pubblico. Ne hai sentite tante e ne sentirai ancora di più nei prossimi mesi se si permette loro di andare avanti. Un altro modo è di scoprire i nostri segreti più oscuri, segreti che ciascun governo ha necessariamente, e renderli noti alle persone giuste. D’accordo, affrontiamo la realtà: Kwang-ti fu assassinato da un UN-man. Pensavamo che il lavoro fosse stato considerato opera di cospiratori democratici, ma a quanto pare c’è stata una fuga di notizie da qualche parte e l’accusa cinese sta scuotendo tutto il fragile edificio della cooperazione internazionale. Il Consiglio insabbierà la cosa fin che potrà, ma alla fine dovrà prendere le distanze dall’azione del Servizio e molte teste rotoleranno nella polvere. Teste di valore. —

Ora se nel momento opportuno, con le Nazioni Unite malamente indebolite, intere nazioni se ne vanno, la fiducia pubblica che trema, ci dovesse essere una rivoluzione militare nelle nazioni chiave (e se le basi lunari fossero conquistate da truppe di fanteria da una vicina colonia)... Lo vedi? Lo vedi il ritorno dell’anarchia internazionale, della dittatura, della guerra... e ogni UN-man del sistema solare inseguito fino alla morte?

Capitolo ottavo

Seguendo un percorso tortuoso per evitare le città principali e le colonie, ci vollero diverse ore anche alla velocità dell’imbarcazione aerea per raggiungere la meta di Naysmith. Durante il viaggio la sua capacità di inventiva fu messa a dura prova.

Dapprima dovette dare a Jeanne un resoconto vero per metà di dove era stato nelle ultime settimane. Poi Jimmy, precocemente in grado di parlare distintamente, come era logico avendo entrambi i genitori nella categoria dei geni, si sentì turbato dalla serietà dei suoi genitori e dalla imminente ricomparsa di un padre che evidentemente adorava, e dovette essere consolato dalla lunga saga improvvisata da Naysmith su Crock O’Dile, un alligatore irlandese verde che lavorava alla Casa di Gideon Kleinmein per Cavalli Inabili e Senza Casa. Alla fine ci furono altri con cui trattare, un paio di addetti alle stazioni di rifornimento e l’impiegato di un negozio di attrezzature sportive dove acquistò delle provviste; bisognava che si convincessero che questi erano clienti normali noiosi da dimenticare non appena se ne fossero andati. Tutto sembrava andare per il verso giusto abbastanza facilmente, ma Naysmith era gelato dalla tensione di chiedersi se qualcuna di quelle persone avesse udito allarmi alla radio. Ovviamente no, fino a questo momento. Ma quando fossero giunti a casa e fossero informati, avrebbero ricordato abbastanza bene?

Zigzagò sopra Washington, passando nella Columbia Britannica sopra un tratto disabitato di foresta. Non c’era alcuna ragione perché un americano dovesse fermarsi, ma il confine era un posto logico di controllo per gli S-men.

— La polizia canadese coopererà per cercarci? — chiese Jeanne.

— Non lo so, — disse Naysmith. — Dipende. Vedi, la sicurezza Americana, con i suoi ampi poteri indipendenti, ha un capo anti O.N.U. D’altra parte il presidente è a favore dell’O.N.U. come tutti sanno e Fourre farà senza dubbio in modo di fargli sapere chi sia questo criminale ricercato. Non può annullare la caccia senza mettersi in una posizione insostenibile, ma può ostacolarla in molti modi e dare l’imbeccata al governo canadese. Tutto in segreto, naturalmente.

L’imbarcazione si diresse a oriente fin che si trovò a seguire la dorsale massiccia delle Montagne Rocciose, una immensità di pietra e di foreste e di neve che stava diventando dorata con il tramonto. Naysmith aveva trascorso qui parecchie vacanze, campeggiando e dipingendo e sapeva dove era diretto. Era già scesa l’oscurità quando diresse in basso l’imbarcazione, cercando la strada con il radar.

C’era quaggiù una base di ricerca di uranio abbandonata, con una delle baracche ancora abitabile. Naysmith fece fermare l’imbarcazione sul bordo di una scarpata ripida, spense i motori e sbadigliò a piena bocca. — Capolinea, — disse.

Uscirono, carichi di equipaggiamento, dei viveri e del bambino addormentato.

Naysmith spinse il veicolo sotto un alto pino e fece strada verso un declivio. Jeanne assorbì a pieni polmoni l’aria frizzante illuminata dalla luna e sospirò. — Martin è bello. Perché non mi hai mai portato qui prima?

Naysmith non rispose. La sua torcia elettrica rivelò la facciata scrostata della baracca, metallo e legno rovinati da molti anni. La porta si aprì scricchiolando sulla oscurità dell’interno. Dentro era vuota, il pavimento marcito formava una morbida muffa nera, pochi pezzi di mobili sparsi in giro come ossa. Prendendo l’ascia che aveva acquistato, uscì nel bosco in cerca di ramoscelli d’abete, ammucchiandoli sotto i sacchi a pelo che Jeanne aveva steso a terra. Jimmy si lamentò un poco nel sonno e non lo svegliarono per dargli da mangiare.

L’orologio di Naysmith indicava la mezzanotte prima che la baracca fosse in ordine. Uscì a fumare l’ultima sigaretta e Jeanne lo seguì e gli si mise di fianco. La sua mano si intrecciò in quella di lui.

La Luna era già quasi piena e si alzava sopra un picco le cui cime erano tutte un luccicare di neve. Le stelle roteavano enormemente sopra di loro, lampeggiando nella pungente aria fredda. Le foreste che crescevano sui fianchi di questa montagna stormivano nel vento, alte e scure e inebrianti di profumo, colme di notte e di mistero.

Nella gola laggiù c’era un fiume, un lungo scintillio di chiar di luna spezzato, con il fresco rumore del suo paesaggio che saliva fino a loro. Da qualche parte un gufo chiurlò.

Jeanne rabbrividì nella gelida brezza e si strinse a Naysmith. Lui tirò il suo mantello su entrambi, stringendola a sé. Il piccolo occhio rosso della sua sigaretta cresceva e calava nel buio.

— È tanto bello qui, — lei mormorò. — Devi partire domani?

— Sì, — la risposta uscì aspra dalla sua gola. — Hai provviste sufficienti per un mese. Se qualcuno capita da queste parti, sei naturalmente soltanto una campeggiatrice in vacanza. Ma ne dubito, perché questo è un posto isolato.

Comunque, se non sono di ritorno entro tre settimane, segui il fiume laggiù. C’è una piccola colonia a circa cinquanta miglia da qui. Oppure manderò a prenderti da qualcuno dei nostri agenti. Avrà una parola d’ordine. Vediamo: “I coccodrilli sono verdi in Irlanda”. Bene?

La sua risatina era muta e ansiosa.

— Mi spiace darti una simile preoccupazione, cara, — disse con aria dispiaciuta.

— Non è nulla, salvo che tu sarai via, un uomo inseguito ed io non saprò... — Si morse il labbro. Il suo volto era bianco nella luce lunare. — È un mondo terribile quello in cui viviamo.

— No, Jeanne... È un mondo potenzialmente bello. Il mio compito è di farlo restare tale. — Le diede un buffetto sotto il mento, lottando per sorridere. — Non preoccuparti. Buona notte, dolce principessa.

Lei lo baciò con desiderio. Per un istante Naysmith si trattenne. Devo dirglielo?

Ora è in un posto sicuro... Ha il diritto di sapere che non sono suo marito...

— Cosa c’è che non va, Marty? Sembri tanto strano.

Non oso. Non posso dirglielo... Non finché il nemico è in giro, non fino a che c’è una possibilità che la prendano. E un po’ più a lungo nel suo paradiso degli sciocchi... Io posso sparire, lascia che sia qualcun altro a darle la notizia... tu codardo schifoso!

Si arrese. Ma era una cosa crudele sapere che lei stava in realtà stringendo a sé un morto.

Ritornarono lentamente nella baracca.

* * *

Il colonnello Samsey si svegliò con rapidità animale e si alzò a sedere sul letto. Il sonno lo lasciò del tutto quando vide l’alta figura delineata in nero contro la porta aperta del balcone. Allungò la mano verso la pistola che aveva sotto il cuscino.

— Non lo farei, amico. — La voce era sommessa. Il chiar di luna entrava a fiotti luccicando sulla pistola che l’intruso aveva in mano.

— Chi è lei? — Samsey ansimò, ancora non completamento conscio dell’incredibile fatto. Come... Era al centocinquantesimo piano. La sua porta era vigilata e nessun elicottero avrebbe potuto deporre tanto silenziosamente questa figura mascherata sul suo balcone.

— Fuori dal letto, ragazzo. In fretta! Bene, ora metta le mani sulla testa.

Samsey sentì il fresco dell’aria notturna sul suo corpo nudo. Dava una sensazione di impotenza questo stare senza vestiti e solo, fuori dalla sua uniforme e dal cinturone della pistola a fissare la canna della pistola dell’estraneo. I suoi capelli tagliati corti sembravano ispidi sotto le sue mani.

— Com’è entrato? — domandò.

Naysmith non ritenne necessario spiegare il procedimento. Era venuto a piedi dalla vecchia superstrada dove aveva parcheggiato la sua macchina e aveva usato scarpe e guanti a ventosa per scalare la ripida facciata del Complesso di Denver. — Sarebbe meglio chiedere perché sono venuto, — disse.

— D’accordo, al diavolo! Perché? Questa è una enorme violazione di domicilio, oltre la minaccia e... — Samsey chiuse la bocca di colpo. La legalità era chiaramente andata perduta.

— Voglio delle informazioni. — Naysmith si sedette a un tavolo, con una gamba che oscillava comodamente, la pistola ben ferma nella mano destra mentre la sinistra rovistava nel borsello della cintura. — E lei, nella sua qualità di ufficiale superiore della Guardia Americana e di socio ben noto di Roger Wade, mi pare sia il più adatto a fornirmele.

— Lei è matto. Questo è... Noi siamo soltanto una associazione patriottica. Lei lo sa. O dovrebbe saperlo. Noi...

— La pianti, Samsey, — disse stancamente Naysmith. — La Guardia Americana ha truppe, uniformi, armi e esercitazioni. Ogni membro appartiene al Partito Americanista. Siete un esercito privato, sullo stile dei nazisti ed avete compiuto assassinii, furti e pestaggi per conto del Partito negli ultimi cinque anni. Non appena il governo sarà in grado di provarlo in Tribunale, andrete tutti nelle miniere dell’Antartico e lo sapete bene. La vostra speranza è che la vostra fazione possa assumere il potere prima di essere processata.

— Calunnie! Noi siamo un gruppo sociale...

— Mi scuso del mio punto di vista, — disse Naysmith sardonicamente. Ed era sincero. Un attacco diretto di questo genere non era soltanto illegale, era volgare e di valore limitato. Ma non aveva molta scelta. Doveva avere qualche specie di criterio sui piani del nemico e la messa fuori legge della Fratellanza e i sospetti generali che circondavano il Servizio significavano che i comuni approcci polizieschi dovevano essere del tutto eliminati per il momento... Meglio poco... — Nondimeno, voglio certe informazioni. Il grande obiettivo in questo momento è l’abbattimento delle Nazioni Unite. Come intendete riuscirvi? In modo specifico, qual è il suo prossimo incarico?

— Lei non si aspetterà...

Samsey indietreggiò quando Naysmith si mosse. La mano sinistra dell’UN-man uscì dal borsello come un serpente all’attacco mentre il suo corpo balzava lungo il pavimento. Il braccio destro afferrò il bicipite di Samsey, facendolo girare davanti all’intruso, con un ginocchio sulla schiena, mentre l’ago ipodermico gli si infilava nel collo.

Samsey lottò, ansando. I muscoli che lo tenevano erano come d’acciaio, flessibili come quelli di un gatto, capaci di affrontare ogni sua mossa con pratica facilità. Poi giunse la grande ondata dell’incoscienza. Barcollò e Naysmith lo sostenne, deponendolo gentilmente sul letto. La siringa era stata riempita da quattro centimetri cubi di una miscela di neuoroscopaneurina, quasi una dose letale. Ma avrebbe agito in fretta. Naysmith non credeva che il colonnello fosse stato immunizzato contro quei sieri della verità. La banda non si sarebbe fidata tanto dei suoi quadri inferiori.

Il chiaro di luna segnava il volto incosciente sul cuscino con una striscia di gelido argento. Tutto era molto tranquillo, solo il respiro affannoso dell’uomo e il sospiro del vento che soffiava sulle tendine della porta del balcone. Naysmith diede alla sua vittima una iniezione di stimolante, attese un paio di minuti e iniziò l’interrogatorio.

I sieri della verità sono stati mal definiti. Essi non costringono intrinsecamente il soggetto a dire la verità; essi annullano quei sensi superiori del cervello che sono necessari per inventare una bugia o per impedire una risposta. Il soggetto chiacchiera, con una forte tendenza a chiacchierare su quegli argomenti che si è preoccupato molto di tenere segreti fino a quel momento. Uno psicologo in gamba può indirizzare il discorso in una certa direzione generale.

Dapprima naturalmente venne fuori la cattiveria privata di ciascun essere umano che ha sepolta in se stesso, come la suppurazione da una ferita infiammata. Naysmith ne aveva già avuto esperienza, ma sorrise... Samsey era un tipo particolarmente malvagio. Questi tipi aggressivamente maschili lo erano spesso. Naysmith continuò pazientemente fino a che giunse a particolari più interessanti.

Samsey non conosceva nessuno di grado più elevato della banda di Wade. Bene, c’era da aspettarselo. In effetti, pensava con disprezzo Naysmith, lui, un estraneo, sapeva di più sulla organizzazione del nemico di qualunque membro che fosse al di sotto dei gradi elevati. Ma questa era anche una caratteristica umana abbastanza generale. Un uomo compiva il suo lavoro, per qualunque motivo di potere, di profitto o di semplice esistenza che poteva avere e non tentava nemmeno di sapere a quale punto dello schema generale era inserito. La mentalità sintetizzante è tragicamente rara.

Ma una società libera almeno permetteva ai suoi membri per apprendere che una società razionale li incoraggiava a farlo; mentre il totalitarismo, dal capocchia prepotente al dittatore emisferico era basato sulla deliberata soppressione delle comunicazioni. Dove non c’era alcun feedback non poteva esserci alcuna stabilità, eccetto attraverso la morte vivente della rigidezza intellettuale.

Di nuovo al lavoro. Ora venne qualcosa che si aspettava, il prossimo incarico degli assassini della Guardia Americana. La Phobos era attesa da Marte in una settimana.

Uomini della Guardia avrebbero dovuto organizzare la morte di un certo Barney Rosenberg, passeggero, il più presto possibile dopo il suo sbarco sulla Terra. Perché?

La ragione non era stata data e non era stata chiesta, ma c’era una buona descrizione dell’uomo.

Marte... sì. La Guardia stava anche usando una nave spaziale privata per inviare armi a una base segreta nella regione di Thyle II, dove erano prese in consegna dai Pellegrini.

Ecco! I Pellegrini facevano parte della banda. Il Servizio lo aveva sospettato, ma qui c’era la prova. Questa poteva essere la più grande occasione di tutte, ma Naysmith aveva l’impressione che fosse una cosa secondaria. In un certo qual modo l’assassinio di un oscuro reduce da Marte lo colpiva come se avesse maggiori implicazioni.

Non c’era altro che sembrava valere il rischio di attendere. Naysmith aveva un esperimento finale da tentare.

Samsey era un esemplare robusto, che già incominciava a uscire dall’intontimento.

Naysmith accese una lampada, facendone cadere la luce sulla faccia distorta sotto di lui. Gli occhi si misero a fuoco confusamente sulla sua maschera lucida. Lentamente la sollevò.

— Chi sono io Samsey? — chiese con calma.

Un singhiozzo rantolò nella gola. — Donner... Ma lei è morto. L’abbiamo ucciso a Chicago. È morto, lei è morto!

Questo bastava. Naysmith rimise a posto la sua maschera. Sistematicamente rimise in funzione gli allarmi che aveva annullato quando era entrato e controllò la stanza per verificare se c’era traccia della sua presenza. Nessuna. Poi prese la rivoltella di Samsey sotto il cuscino. Aveva il silenziatore, naturalmente. Avvolse le dita del colonnello all’impugnatura, poi gli fece saltare le cervella.

Naturalmente avrebbero sospettato che non si trattava di un suicidio, ma non avrebbero pensato a fare una autopsia biochimica prima che le droghe nel sangue si fossero dissolte oltre ogni possibilità di analisi. Per lo meno ce n’era uno meno di loro. Naysmith non aveva alcun scrupolo. Questa era una normale operazione di polizia, questa era guerra.

Ritornò sul balcone chiudendo la porta dietro di sé. Scavalcando il bordo mentre si metteva a posto le ventole, incominciò la lunga discesa verso terra.

Il Servizio avrebbe potuto ordinariamente fornire Naysmith di un eccellente travestimento, ma l’equipaggiamento necessario era elaborato e lui non osava presumere che nessuno degli uffici che lo avevano non fosse controllato dalla Sicurezza. Meglio contare sulle maschere e sulle deboli capacità di osservazione della maggior parte dei cittadini per comportarsi con sfacciataggine.

Anche chiamare Prior da una cabina di comunicazione pubblica, sia pure usando lo scrambler, era rischioso, ma lo si doveva fare. Il servizio postale non era più sicuro e la comunicazione era una assoluta necessità per la riuscita.

La voce era grigia di stanchezza. — Marte, eh? Bel lavoro, Naysmith. Che cosa dovremmo fare?

— Passare la parola a Fourre, naturalmente per quel che lui può fare dal canto suo.

E un radio messaggio in codice ai nostri agenti su Marte. Possono controllare questa faccenda dei Pellegrini e anche dare un’occhiata al passato di Rosenberg e dei suoi associati. Ci dovrebbero essere un sacco di piste lì. Comunque, io tenterò di pescare Rosenberg, con l’aiuto di uno o due fratelli, prima che lo becchino gli americanisti.

— Sì, sarà bene che tu lo faccia. Le mani del Servizio sono abbastanza bel legate in questo momento, mentre sta andando avanti l’indagine delle Nazioni Unite sulle accuse cinesi. Inoltre non possiamo essere sicuri di molti dei nostri. Quindi noi, e specialmente la Fratellanza, dovremo agire piuttosto indipendentemente per il momento. Continua come meglio puoi. Comunque posso mandare le tue informazioni a Rio e su Marte senza difficoltà.

— Bravo. Come vanno le cose da te?

— Non chiamarmi più, Naysmith. Sono controllato e i miei stessi uomini non sono in grado di bloccare un tentativo di assassinio in piena regola. — Prior sghignazzò seccamente. — Se ci riescono, ne riparleremo all’inferno.

— Modificando quello che il vecchio cacicco disse sugli spagnoli in Paradiso, se ci sono dei nazionalisti all’inferno, non sono sicuro di desiderare d’andarci. O.K. allora.

E buona fortuna!

Fu solo il giorno dopo che i notiziari radio annunciarono l’assassinio di un certo Nathan Prior, semanticista che risiedeva nel Complesso di Frisco. Si riteneva che fosse opera di agenti stranieri ed erano stati incaricati gli S-men di dare una mano alla polizia locale.

Capitolo nono

Alla maggior parte dei Fratelli, naturalmente erano stati forniti travestimenti fin dall’inizio della loro carriera. La chirurgia plastica aveva modificato le caratteristiche del volto e dell’altezza, negli archivi di registrazione di identità erano state immesse false impronte digitali e della retina; ciascuno di loro aveva una serie di polpastrelli di plastica trasparente, eguali a quelli in archivio, da mettere sulle proprie dita quando doveva lasciare un’impronta per un qualunque scopo ufficiale. Questi uomini sarebbero stati temporaneamente al sicuro e non c’era alcuna giustificazione per chiamarli in aiuto ora. Stavano seduti cauti e immobili, perché se la mortale efficienza della organizzazione di Hessling fosse giunta a sospettarli, ed a portarli dentro, un esame fisico elementare sarebbe bastato a far fallire tutta la mascherata.

Questo lasciava forse un centinaio di Fratelli non travestiti negli Stati Uniti quando avessero ricevuto l’ordine di rifugiarsi nella clandestinità. Il fisico identico poteva essere troppo utile – per esempio, per fornire alibi indistruttibili, o nel creare la leggenda di un superuomo che si trovava dovunque – perché lo si eliminasse da tutti.

Alcuni di loro sarebbero stati in grado di assumere aspetti temporanei e di muoversi in pubblico. Il resto doveva passare il confine o nascondersi.

Il caso di Juho Lampi fu particolarmente sfortunato, perché si era fatto un nome abbastanza noto come ingegnere nucleare in Finlandia, per essere invitato in America e il suo travestimento era soltanto superficiale. Quando l’avvertimento di Fourre fu lanciato sul circuito in codice, egli lasciò in fretta il suo appartamento. Un meccanico dell’autorimessa riconobbe la fotografia che era stata trasmessa in tutto il paese.

Lampi si rese conto dell’agitazione dell’uomo, malamente nascosta, lo colpì in testa e rubò il veicolo. Ma questo mise gli S-men sulle sue tracce. Inoltre fece loro comprendere che gli uomini identici non erano soltanto americani.

A Lampi era stato dato il nome e l’indirizzo di una donna dello Iowa. I Fratelli erano organizzati in cellule di mezza dozzina, ciascuna con i propri posti di contatto e collegamenti e questa doveva essere quella di Lampi mentre si trovava negli Stati Uniti. Andò là dopo il tramonto e ottenne una stanza. Un po’ più tardi si fece vivo Naysmith. Naysmith essendo un agente a tempo pieno, sapeva dove molte cellule avevano i loro posti d’incontro. Raccolse Lampi e si decise a non aspettare nessun altro. Il Phobos sarebbe giunto sulla Terra dopo poche ore. Naysmith era andato nello Iowa con un veicolo affittato senza pilota in un ufficio noncurante nel Colorado. Ora, per mezzo della donna che dirigeva la casa, ne affittarono un altro e volarono indietro a Robinson Field.

— Ho il mio veicolo personale, ridipinto e con un nuovo numero e così via, parcheggiato qui vicino, — disse Naysmith. — Prenderemo il volo con quello. Se ce la facciamo.

— E poi? — chiese Lampi. Il suo inglese era buono, segnato soltanto da una minima traccia di accento. I Fratelli erano dei linguisti nati.

— Non lo so, non lo so proprio, — Naysmith si guardò attorno con aria corrucciata. — Ci stanno dando la caccia come è accaduto a pochi.

Quasi a se stesso, mormorò:

«Mi son sentito bandire

E grazie a una felice cavità di un tronco

Son sfuggito alla caccia.

Nessun porto è libero; nessun posto

In cui la guardia e la più stretta vigilanza

Non attendano che io sia preso.»

Erano seduti nel Moonjumper, bar e ristorante adiacente all’astroporto. Avevano scelto un separè vicino alla porta e la parete trasparente da questo lato si apriva sul campo. La sua grande pallida estensione di cemento si stendeva sotto le luci intense dei riflettori verso l’oscurità, con un gigantesco elevarsi di edifici su tre lati.

Meccanici in tuta erano affaccendati attorno alle attrezzature di atterraggio. Un poliziotto in uniforme passeggiava discorrendo con un tecnico. Oppure si trattava proprio di un caso? Il tecnico sembrava tanto solenne.

— Oh, bene, — disse Lampi. — Per passare a un soggetto molto più allegro, hai visto l’ultima mostra di Warshawski?

— Che c’è di tanto allegro in quella? — chiese Naysmith. — È terribile. La scultura non si presta alle astrazioni come lui sembra pensare.

Benché i Fratelli tendessero ad avere dei gusti simili, l’ambiente poteva creare delle differenze. Lampi e Naysmith si immersero in una discussione ostinata sull’arte moderna. Stava svolgendosi in pieno quando furono interrotti.

Le tendine del separè erano state tirate. Ora furono spinte a lato e la cameriera si affacciò. Era giovane e ben fatta e l’uniforme sembrava esserle stata dipinta addosso.

Dietro di lei il locale era zeppo di gente, con una confusione di voci su tutte le tonalità. Malgrado gli aspiratori a pieno regime, c’era una nebbiolina azzurra di fumo nell’aria.

— Volete un altro giro? — chiese la ragazza.

— Non ancora, grazie, — disse Naysmith voltando la sua faccia mascherata verso di lei. Si era tinto i capelli biondi di un castano opaco, nel nascondiglio, e Lampi era nero ora, ma questo non serviva a molto; non c’era stato tempo di cambiare la struttura ispida. Sedeva curvo, in modo che lei non potesse vedere con uno sguardo casuale che lui era grosso come Lampi e sperava che non fosse molto osservatrice.

— Volete compagnia? — chiese la ragazza. — Posso procurarvela.

— No, grazie, — disse Naysmith. — Aspettiamo il razzo.

— Voglio dire più tardi. Belle ragazze. Vi piaceranno, — gli diede uno sguardo meccanicamente lascivo.

— Uhmmm, bene. — Naysmith scambiò uno sguardo con Lampi, che annuì.

Combinò un appuntamento per un’ora dopo l’atterraggio e le passò una banconota.

Lei li lasciò facendo ondeggiare le anche.

Lampi sogghignò. — Non è leale nei confronti di una coppia di ragazze che lavorano duro. Ci aspetteranno. — disse.

— Sì e probabilmente hanno anche una nonna a carico. — Naysmith sorrise e alzò lo scotch alla fessura della bocca della sua maschera. — Comunque non è il tipo di appuntamento che prenderebbero due fuggiaschi.

— Che ne è dei membri della Guardia Americana?

— Probabilmente quei tipi grandi e grossi seduti al bar. Non li hai notati quando siamo entrati? Avranno amici da qualche altra parte che...

«Attenzione per favore. Il primo traghetto della Phobos atterrerà tra dieci minuti portando metà dei passeggeri, provenienti da Marte. Il secondo seguirà dieci minuti più tardi. Ripetiamo, il primo...»

— Su quale si trova Rosenberg?

— Come faccio a saperlo? — Naysmith alzò le spalle. — Non ci resta che correre il rischio. Bevi.

Batté una mano sulla rivoltella nella fondina sotto l’ascella e slacciò la tunica in quel punto. Lui e Lampi avevano ottenuto piastre pettorali e stivaletti nel nascondiglio; le loro maschere erano a prova di aghi e un braccio o l’inguine o una coscia erano difficili da colpire con un mantello che svolazzava attorno al corpo fino alle ginocchia.

Se operavano in fretta e abbastanza sicuri dalle rivoltelle ad aghi. Non dai proiettili, ma anche le guardie non avrebbero osato, probabilmente, in mezzo, alla folla.

I due uomini uscirono dal separè e si mescolarono alla folla che si dirigeva verso l’uscita dei passeggeri. Si separarono quando giunsero vicino alla porta e rimasero ai bordi del gruppo. C’erano un paio di uomini mascherati dall’aria dura che si erano fatti strada fino al cancelletto di uscita. Uno di loro era stato nel Moonjumper, ricordò Naysmith.

Non aveva una fotografia di Rosenberg e la descrizione incoerente fatta da Samsey aveva poco valore. L’uomo era uno sconosciuto che doveva essere stato lontano dalla Terra per anni. Ma presumibilmente le Guardie sapevano chi cercare. Il che significava...

Nell’oscurità del cielo ci fu un chiarore rosso e giallo. Il tuono lontano divenne ululato, un rombo risuonante e scuotente che tremava nelle ossa e rimbombava nel cranio. I nervi vibrarono con il mezzo terrore senza nome delle vibrazioni subsoniche inaudibili. Il traghetto divenne una sottile punta di lancia che si posava controllato a distanza sulla intelaiatura di atterraggio. Le sue fiammate chimiche si spandevano vivide sui deflettori di cemento. Quando si immobilizzò e i razzi si spensero ci fu un silenzio pieno di vibrazioni.

Un procedimento lunghissimo... i meccanici fecero rotolare una scaletta, il portello stagno si aperse, emerse uno steward, la squadra medica si tenne pronta nel caso di disturbi spaziali, Naysmith aveva voglia di fumare. Si spostò da un piede all’altro e costrinse i suoi nervi a calmarsi.

Poi giunsero i passeggeri, una mezza dozzina, che sfilarono verso l’uscita. Si fermarono uno dopo l’altro al banco di controllo per fare timbrare i loro documenti. I due membri della Guardia di scambiarono uno sguardo dalla fessura della maschera.

Dapprima uscì un massiccio orientale. Poi ci fu una donna ingegnere in uniforme della Spaceways che intralciò il passaggio mentre prendeva tra le braccia due bambini in attesa. Poi...

Era un ometto con le gambe storte e il naso aquilino e la pelle color del cuoio, vestito in modo trasandato, che portava una valigia logora. Una delle guardie lo toccò leggermente su una spalla. Alzò gli occhi e vide che le sue labbra si muovevano.

Mentre il volto era delineato da una luce bianca. Non poteva sentire quel che diceva tra il brusio della folla, ma poteva bene immaginarlo: — Sì, sono Barney Rosenberg, che cosa volete?

Gli fu data una risposta; non aveva importanza sapere quale fosse. Con una occhiata di leggera sorpresa, l’ometto annuì. L’altra Guardia gli si mise al fianco e lui uscì dalla folla in mezzo a loro. Naysmith trasse la pistola ad aghi, tenendola sotto il mantello e li seguì con cautela. Le Guardie non accompagnarono l’uomo nell’oscurità oltre il campo, ma si diressero al Moonjumper. Rosenberg non aveva alcun motivo di sospettare i loro scopi, specialmente se stavano per offrirgli da bere.

Naysmith allungò il passo e si affiancò all’uomo di destra. Non perse tempo; la sua rivoltella era pronta, con l’imboccatura contro l’anca della vittima. Sparò. La Guardia emise un grido strozzato.

Lampi era già a sinistra, ma era stato leggermente più lento. Il nemico afferrò il polso armato del finlandese con un movimento rapido. Naysmith si sporse sopra la guardia che tentava di attaccarsi a lui mentre cadeva al suolo e vibrò un colpo con il taglio della mano sul collo della seconda guardia, alla base del cranio. Il colpo si ripercosse dolorosamente sui suoi nervi.

— Cosa diavolo... — Rosenberg aprì la bocca per gridare. Non c’era tempo di discutere e Lampi lo colpì con un ago. Con uno sguardo di assoluto stupore, il cercatore si accasciò. Lampi lo prese sotto le ascelle e se lo mise in spalla.

Il rapimento era stato osservato. La gente si stava voltando con lo sguardo fisso.

Qualcuno incominciò a gridare. Lampi scavalcò i due uomini a terra e seguì Naysmith.

Oltre la porta del bar, nella strada, in fretta!

Un fischiettio sibilò dietro di loro. Balzarono sopra la guida di scorrimento e attraversarono la strada. C’era un autocarro diesel transcontinentale che si avventurava su di loro, con le luci che erano un solo immenso chiarore, il rombo del suo motore che riempiva il mondo. Naysmith ebbe l’impressione di essere stato sfiorato. Ma la sua enorme mole era un’ottima copertura. Saltarono oltre la guida dalla parte opposta ignorando gli sguardi stupiti dei passanti, e si infilarono nelle ombre del parco.

Una sirena incominciò a ululare. Quando ebbero raggiunto l’ombra protettiva di un albero, Naysmith guardò dietro di sé. Due poliziotti stavano arrivando ma non avevano ancora individuato i fuggitivi. Naysmith e Lampi si infilarono in un giardino, saltando steccati e correndo lungo sentieri contorti. Sotto i loro piedi scricchiolava la ghiaia.

Girando l’angolo retto attraverso il parco, Naysmith apriva la strada verso il suo veicolo. Aprì lo sportello e scivolò dentro. Lampi si infilò dietro di lui lasciando cadere Rosenberg sul sedile posteriore e chiudendo la porta. Il veicolo si infilò quietamente nel traffico in transito. C’era in giro un buon numero di vetture e Naysmith vi si mescolò.

Lampi respirava affannosamente nella penombra. Una gigantesca insegna al neon gettò una luce sanguigna sulla sua maschera. — E ora che si fa? — chiese.

— Ora tagliamo la corda da qui, — disse Naysmith. — Quei ragazzi sono in gamba. Non ci metteranno molto ad avvertire il controllo del traffico e fermare tutti i veicoli vicini per una perquisizione. Dobbiamo essere in volo prima di quel momento.

Lasciarono i gruppi di botteghe e di abitazioni e Naysmith chiese al controllo il permesso di decollare in direzione sud. Il segnale automatico gli trasmise un ordine per il quarto corridoio aereo.

Si portò all’altezza indicata e si diresse disciplinatamente a sud seguendo il radiofaro. Il traffico che incrociava era un flusso di stelle che si muovevano attorno a lui.

Il segnale di annuncio di emergenza lampeggiò in rosso furioso. — Veloci davvero, — disse Lampi bestemmiando in quattro lingue.

— Ci alziamo, — disse Naysmith.

Si alzò verticalmente, schivando a fatica le imbarcazioni dei livelli superiori, fino a che fu fuori e sopra tutti i corridoi. Continuò ad alzarsi fino a che l’imbarcazione fu nella stratosfera inferiore. Poi si diresse a oriente alla massima velocità.

— Andremo sul Pacifico, — spiegò. — Poi ci troveremo una graziosa isoletta disabitata con qualche albero e staremo quieti fino a domani notte. Non staremo molto comodi, ma lo si deve fare ed io ho del cibo con me. — Sorrise sotto la maschera. — Spero che ti piacciano i fagioli in scatola freddi, Juho.

— E poi?

— Conosco un’altra isola al largo della costa della California, — disse Naysmith.

— Truccheremo questa imbarcazione durante la prima sosta, naturalmente, cambiando il numero di targa e il segnale di riconoscimento e tutto il resto. Poi al secondo posto ci riforniremo e farò una telefonata importante. Puoi scommettere il tuo ultimo soldo che il nemico sa chi ha fatto questo lavoro e avrà avvertito a quest’ora tutte le stazioni di rifornimento. Ma l’uomo dal quale andremo è uno strambo vecchio distratto che non sarà difficile ingannare. — Aggrottò la fronte. —

Ci costerà quasi tutto il denaro liquido che mi è rimasto, dobbiamo trovarne dell’altro in qualche modo, se dobbiamo continuare in questo modo.

— Dove andiamo da là? — domandò Lampi.

— A nord, suppongo. Dobbiamo nascondere Rosenberg da qualche parte e tu... —

Naysmith scosse la testa, sentendo dentro di sé un cupo dolore. Questa era la fine della mascherata. Jeanne Donner avrebbe saputo.

All’inizio Barney Rosenberg non lo credette. Era troppo sconvolto. Le guardie gli avevano semplicemente detto che erano rappresentanti di qualche compagnia vagamente identificata che stava pensando a sviluppi su Marte e desideravano consultarlo. Gli era stato offerto un appartamento in albergo e gli era stato detto che lo stipendio sarebbe stato buono. Ora fissava i suoi rapitori con occhi stupiti e li sfidava a dire chi fossero.

— Pensa che saremmo tanto sciocchi da portare in giro la nostra vera identità? —

disse Naysmith sprezzantemente. — Dovrà accettare la nostra parola che siamo agenti dell’O.N.U... Fino a più tardi, comunque, quando potremo provarlo sicuramente. Glielo dico io, sulla Terra si è scatenato l’inferno e lei ha bisogno di protezione. Quei tipi erano a caccia di quel che lei sa e una volta che lo avessero ottenuto, lei sarebbe stato un cadavere.

Rosenberg guardò da una faccia mascherata all’altra. La sua testa era confusa, la droga era ancora in lui e non poteva pensare in modo giusto. Ma quelle voci...

Pensò di ricordare le voci. Entrambe. Solo che non erano le stesse.

— Non so niente, — disse debolmente. — Vi ripeto che sono soltanto un cercatore di ritorno da Marte.

— Lei deve avere qualche informazione... Questa è la sola possibilità. — disse Lampi. — Qualcosa che ha appreso su Marte e che è importante per loro, forse per il mondo intero. Che cosa?

Fieri a Drygulch, e il Pellegrino che era stato tanto ansioso...

Rosenberg scosse la testa, tentando di schiarirla. Guardò le due grosse figure intabarrate che lo circondavano. Fuori dalla imbarcazione che filava c’era l’oscurità.

— Chi siete? — sussurrò.

— Glielo ho detto che siamo amici. UN-men. Agenti segreti. — Naysmith appoggiò una mano sulla spalla di Rosenberg. — Vogliamo aiutarla, questo è tutto.

Vogliamo proteggere lei e qualunque cosa che lei sa.

Rosenberg guardò la mano... forte, nerboruta, con le dita tozze, con sottili peli biondi sulle nocche. Ma no, no, no, no! Il suo cuore incominciò a battere forte finché pensò che dovesse rompergli le costole.

— Fatemi vedere le vostre facce, — disse con voce strozzata.

— Certo, perché no? — Naysmith e Lampi tolsero le maschere. La tenue luce del cruscotto rivelò gli stessi lineamenti; larghi, con ossatura forte, con gli stessi occhi azzurri. C’erano rughe profonde sopra ciascuna attaccatura del naso. L’orecchia sinistra era leggermente più grossa della destra. Entrambi gli uomini avevano l’abitudine di piegare leggermente la testa di lato mentre ascoltavano.

Gli diremo che siamo fratelli gemelli , pensarono simultaneamente Naysmith e Lampi.

Rosenberg si rattrappì sul sedile. C’era un sottile lamento nella sua gola.

— Stef, — mormorò. — Stefan Rostomily.

Capitolo decimo

Il notiziario radio parlava di crisi nelle Nazioni Unite. Etienne Fourre, sostenuto dal suo presidente, affermava che il governo cinese stava mandando avanti un’accusa fantastica per coprire i propri disegni. Era all’ordine del giorno una indagine completa. Solo che, come faceva rilevare Besser, Ministro della Finanza Internazionale, quando lo stesso servizio investigativo ufficiale era sospettato, di chi ci si poteva fidare per giungere ai fatti?

Negli Stati Uniti la Sicurezza era alla ricerca di una pericolosa spia e nemico pubblico. Descrizioni minuziose di Donner-Naysmith-Lampi erano su tutti gli schermi. Teoricamente il Presidente Americano avrebbe potuto far smettere la caccia, ma questo avrebbe significato il finimondo nel Congresso, che era in equilibrio delicato; ci sarebbe stato un voto di fiducia e se il presidente non lo avesse ottenuto, lui e il suo gabinetto avrebbero dovuto dare le dimissioni... E chi sarebbe stato eletto suo successore? Ma Naysmith e Lampi si scambiarono un sorriso di fronte alla dichiarazione fatta dal Presidente in un’intervista, secondo la quale egli riteneva che questa spia tanto ricercata fosse al soldo dei cinesi.

Ufficialmente il Canada operava con gli Stati Uniti nel dare la caccia al fuggitivo.

In effetti Naysmith era sicuro che si trattava di un bluff, un’offa per gli elementi anti Nazioni Unite nel Dominion. Il Messico non stava facendo niente, ma questo significava che il confine con il Messico era strettamente sorvegliato.

Non poteva continuare così. La situazione era tanto instabile che avrebbe dovuto avere fine, in un modo o nell’altro, nei prossimi giorni. Se gli uomini di Hessling arrestavano un Fratello... Sia che l’organizzazione di Fourre sopravvivesse o no, avrebbe perduto la sua più grande e segreta risorsa.

Ma la cosa principale, rifletteva Naysmith cupamente, era quella di tenere proprio la testa di Fourre fuori dall’acqua. L’intero scopo di tutto quel rumore era di screditare l’uomo e il suo Servizio faticosamente costruito, e di rimpiazzare lui e il suo personale chiave con fantocci nazionalisti. Dopo di ciò il nemico avrebbe trovato facile il passo successivo al suo lavoro.

E io che posso fare?

Naysmith sentì in sé un’ondata di impotenza. La società umana era diventata troppo grande, troppo complessa e troppo potente. Era una macchina che funzionava cieca e selvaggia e lui era una mosca finita, tra gli ingranaggi.

Sulla macchina c’era un unico debole pilota, solo uno, e se si fosse spezzato, tutto sarebbe andato in pezzi. Che cosa fare? Che cosa fare?

Si scosse di dosso lo sconforto e si concentrò sul prossimo momento. La prima cosa da fare era di ottenere per la propria parte l’informazione di Rosenberg.

L’isola era una bassa elevazione sabbiosa nell’immensità dell’oceano. Su di essa c’era dell’erba robusta, qualche albero contorto dai grandi venti e un piccolo villaggio. Naysmith fece scendere Lampi sul lato più lontano dell’isola perché si nascondesse fin quando sarebbero venuti a riprenderlo. Rosenberg prese la maschera del finlandese e i due si diressero alla stazione di rifornimento. Mentre i serbatoi dell’imbarcazione si riempivano, di due entrarono in una cabina di comunicazione pubblica.

Peter Christian a Mexico City. Naysmith compose il numero che le aveva dato Prior. Sembrava la cosa migliore da fare. Il ragazzo non stava compiendo l’addestramento di Sintesi? La sua logica poteva essere in grado di integrare questo flusso di dati senza significato.

Non c’era dubbio che qualunque chiamata attraverso il confine sarebbe stata intercettata, illegalmente ma decisamente. Tuttavia la cabina era fornita di scrambler.

Naysmith introdusse una moneta, che non attivò immediatamente l’apparecchio.

— Potrai parlare a Peter Christian? — chiese al domestico che apparve sullo schermo. — Ditegli che lo chiama suo cugino Joe. E gli dia questo messaggio: “Il cencioso farabutto sogghigna allegramente, senza vendere bambini”.

— Señor? — la faccia bruna sembrava stupita.

— È un segnale privato. Lo scriva per favore, in modo da darglielo esattamente. —

Naysmith dettò lentamente: — Il cencioso farabutto...

— Sì, capisco. Attenda un attimo. Chiamerò il signorino.

Naysmith rimase a guardare lo schermo per un momento. Poteva vagamente distinguere la stanza, un posto solido e ben ammobiliato. Poi premette i pulsanti dello scrambler. Ce ne erano otto che potevano essere premuti in qualunque ordine per fornire 40.320 possibili informazioni. Le lettere chiave, conosciute a tutti i fratelli erano MNTSRPBL e “il cencioso farabutto” aveva dato a Christian l’ordine che Naysmith stava usando. Quando gli uomini di Hessling avessero sentito i loro nastri intercettatori, la frase di codice non li avrebbe aiutati a decifrare perché non ne conoscevano la chiave. D’altra parte non sarebbe stata una prova che aveva fatto quella chiamata la loro preda; i sistemi di sicurezza erano una cosa comune.

Naysmith oscurò le pareti della cabina e tolse la sua e la maschera di Rosenberg.

L’ometto era in stato di ipnosi, di totale richiamo mentale del manoscritto che aveva letto da Fieri su Marte. Stava già disegnando formule strutturali di molecole.

La confusione casuale e il rumore dello schermo sparirono appena Peter Christian fece funzionare lo scrambler del suo apparecchio. Quella che guardò Naysmith era la propria faccia diventata più giovane... un sedicenne robusto e biondo, abbondantemente sudato e un po’ ansante. Sorrise a suo Fratello.

— Spiacente di averci messo tanto, — disse — stavo lavorando in palestra. Ho una palla a volo meccanica da mettere a punto che sembra promettere. — Il suo inglese era fluente e Naysmith non vide il motivo di usare lo spagnolo che d’altra parte per lui era diventato un poco arrugginito.

— Di chi sei figlio adottivo? — chiese l’uomo. La riservatezza non significava molto nella Fratellanza.

— Holger Christian... Diplomatico di carriera danese, attualmente ambasciatore al Messico. Sono brava gente, lui e sua moglie.

Sì, pensò Naysmith. Lo dovevano essere, se permettevano al loro figliastro, sia pure evidentemente tanto brillante, di prendere la Sintesi. L’istruzione integrante multi-ordinale era tanto nuova e non provata e i suoi laureati avrebbero dovuto crearsi essi stessi il loro stesso lavoro. Ma il bisogno era disperato. La scienza era diventata troppo grande e complessa, come tutte le altre cose, e c’era troppa zona di sovrapposizione tra le specializzazioni. Un ulteriore progresso richiedeva una mentalità sintetizzante pienamente addestrata.

E lo stesso progresso non era più soltanto qualcosa giustificato solo da pregiudizi vittoriani. Era una questione di sopravvivenza. Qualche mezzo per creare un ordine sociale ed economico stabile di fronte al continuo cambiamento rivoluzionario doveva essere trovato. Lo sviluppo tecnologico sempre più grande era amaramente necessario. La Sintesi dell’olio potenziato atomicamente era giunta proprio in tempo a salvare una Terra affamata di combustibile dal crollo industriale. Ora i nuovi combustibili di energia atomica, dovevano essere prodotti prima che vecchi minerali fossero esauriti. La crescente incidenza di neurosi e di pazzia tra gli intelligenti e l’apatia tra gli insensibili doveva essere controllata prima che venissero altri Anni della Pazzia. L’ereditarietà danneggiata dalle forti radiazioni doveva essere decifrata in qualche modo prima che le caratteristiche recessive pericolose si diffondessero in tutta la popolazione umana. La teoria delle comunicazioni, basilare per la scienza e la sociologia moderna, doveva essere perfezionata. Doveva esserlo. Perché elencare?

L’uomo era giunto troppo lontano e troppo in fretta. Ora stava in equilibrio sulla lama di un coltello sopra i rossi baratri dell’inferno.

Quando l’educazione di Peter Christian fosse stata completata, sarebbe stato uno degli uomini più importanti della Terra, sia che se ne rendesse conto lui stesso o no.

Naturalmente nemmeno i suoi genitori adottivi sapevano che uno dei suoi istruttori di Sintesi era un UN-man che stava tranquillamente insegnandogli i punti più delicati del Servizio Segreto. Essi non sapevano certamente che il loro figlio tanto normale e tanto sano era già iniziato in un gruppo la cui stessa esistenza era un segreto non registrato.

I primi Fratelli erano stati allevati nelle famiglie di tecnici e di agenti UN-men che erano stati nel progetto fin dall’inizio. Questa consuetudine continuò su piccola scala, ma la maggior parte dei nuovi bambini erano messi a disposizione per l’adozione per mezzo di agenzie riconosciute in tutto il mondo... dopo essere stati forniti di passato accuratamente falsificato. Tra la sterilità e la paura delle mutazioni, non c’erano difficoltà a piazzare un bambino di bell’aspetto in una famiglia superiore.

Dall’infanzia, il Fratello era sotto l’influenza... Un amico di famiglia, o un pediatra o un istruttore o un consigliere di campo o un sacerdote, chiunque potesse avere la possibilità occasionale di parlare intimamente con il bambino, sarebbe stato un collaboratore a tempo limitato di Fourre e avrebbe contribuito a dirigere la personalità in sviluppo nella giusta direzione. Era stato stabilito che un Fratello poteva accettare la verità e mantenere il segreto dall’età di dodici anni e che mai si rifiutava di diventare un UN-man. Da quel momento il progresso era più veloce. I Fratelli erano precoci: Naysmith aveva solo venticinque anni e aveva avuto la prima missione a diciassette; Lampi era una autorità nel suo campo a ventitré. Non c’era affatto da esitare a caricare di questa responsabilità Christian, anche se ci fosse stata possibilità di scelta in questa faccenda.

— Ascolta, — disse Naysmith. — Sai che è scoppiato l’inferno e che gli S-men Americani ci stanno dando la caccia. In modo specifico io sono quello che loro credono di dare la caccia. Ma Lampi, un Fratello finlandese ed io abbiamo catturato un certo Barney Rosenberg di Marte. Ha certe informazioni che il nemico vuole. —

L’uomo sapeva che il ragazzo stava pensando... (in un certo qual modo quelli erano i suoi pensieri) ed aggiunse in fretta, — No, non gli abbiamo rivelato il segreto, benché il fatto che sia stato amico intimo di Rostomily lo renda imbarazzante. Ma lo fa anche essere amico nostro. Ha letto il resoconto di un certo Fieri su Marte, che riguarda le tecniche della animazione sospesa. Te lo dirà ora. Sta pronto per la registrazione.

— Okay, ja, sì, — Christian sorrise e fece scattare un interruttore. Era ancora tanto giovane da considerare questa una gloriosa avventura di cappa e spada. Bene, avrebbe imparato, e l’imparare sarebbe stato una piccola morte dentro di lui.

Rosenberg incominciò a parlare, in tono sommesso e molto veloce, alzando i disegni delle formule strutturali e delle equazioni chimiche al momento giusto. Ci volle poco più di un’ora. Christian si sarebbe annoiato se non fosse stato tanto interessato alla materia; Naysmith si agitava e sudava con aria infelice. Da un momento all’altro poteva giungere il sospetto, la scoperta... La cabina era pericolosa.

— Questo è tutto, credo, — disse Naysmith quando il cercatore ebbe finito. — Che cosa te ne pare?

— Accidenti, è sensazionale! Farà saltare due decadi alla biologia! — Gli occhi di Christian erano ardenti. — La chirurgia, sì, questo è ovvio. Le tecniche di ricerca...

Gud Fader i himlen che scoperta!

— E perché pensi che sia tanto importante per il nemico? — disse seccamente Naysmith.

— Non è chiaro? Gli usi militari, uomo! Si può usare una dose leggera per immunizzare contro le terribili accelerazioni. Oppure stipare una nave spaziale con uomini in animazione sospesa, caricarli quasi come scatole e non avere sorprese e problemi di rifornimento durante il viaggio. Significa che si può trasportare da pianeta a pianeta un esercito di buona consistenza. E naturalmente c’è l’aspetto della ricerca. Con tutto quello che si può apprendere con il contributo delle tecniche dell’animazione sospesa, la guerra biologica può essere posta su un piano completamente nuovo.

— Lo pensavo, — annuì Naysmith stancamente. Era sempre la vecchia stessa storia, la storia consunta dell’odio della morte e dell’oppressione. Il logico prodotto finale della guerra scientifica era che tutti i dati diventavano segreti militari... una società senza comunicazioni nei suoi punti più vitali, senza feedback o stabilità.

Questo era ciò che lui combatteva. — Va bene, che cosa puoi fare in proposito?

— Decodificherò la registrazione... no, meglio lasciarla in codice... e la passerò alle persone giuste. Uhmmm. Dammi un laboratorio e certe fasi posso incominciare a svilupparle io stesso. In ogni caso non lasceremo che se ne impadronisca il nemico.

— Probabilmente glel’abbiamo già data. C’è la possibilità che abbiano intercettatori su questa linea. Ma non possono impadronirsi della nostra registrazione e tentare tutte le possibili combinazioni di decifrazione prima di qualche giorno, specialmente se noi li teniamo occupati. — Naysmith si chinò in avanti con gli occhi che sondavano lo schermo. — Peter, come figlio di un diplomatico dovresti avere una nozione superiore alla media del quadro generale politico militare. Che cosa possiamo fare?

Christian rimase immobile un attimo. C’era una curiosa espressione assorta sul giovane volto. La sua mente addestrata stava riunendo reti di logica in un modo sconosciuto nei tempi precedenti. Alla fine fissò l’uomo.

— C’è circa l’ottanta per cento delle probabilità che Besser sia il capo della banda,

— disse. — Capo della Finanza Internazionale, sai. Questa è una valutazione mia; non ho i dati di Fourre, ma ho impiegato una base della storia precedente di Besser e di quel che si sa sul suo carattere, la storia recente del suo paese, le necessarie comunicazioni per la messa a punto su scala planetaria di un’attività anti Nazioni Unite con il minimo sforzo, la... non importa. Sai già con molta probabilità che Roger Wade è il suo capo per il Nord America. Posso prevedere le azioni di Besser con molta esattezza, perché malgrado la sua preminenza usa il riserbo come una copertura per dati psicologici pertinenti. Se presumiamo che egli agisca su un assioma di sopravvivenza, e logicamente a prescindere dalla sua inadeguata conoscenza della socio-teoria moderna e del suo personale pregiudizio... hmmm.

— Besser, eh? Avevo i miei sospetti, oltre a quello che mi è stato detto.

L’integrazione finanziaria è andata molto a rilento da quando è entrato in carica. Non importa. Dobbiamo colpire la sua organizzazione. Che cosa fare?

— Mi occorrono maggiori dati. Quanti Fratelli americani sono alla macchia negli Stati Uniti e con i quali si può prendere contatto?

— Come posso saperlo? Tutti quelli che erano in grado di farlo avranno lasciato il paese. Io sono qui soltanto perché conosco abbastanza la situazione generale per agire utilmente, almeno spero.

— Bene, io posso pescare qualcuno in Messico e in Sudamerica, credo. Abbiamo le nostre comunicazioni. E posso usare il circuito sigillato diplomatico di mio “padre”

per mettermi in contatto con Fourre. Tu hai questo Lampi con te, suppongo? —

Christian rimase immobile con aria pensierosa per un momento. Poi:

— Posso solo suggerire... ed è una trovata piuttosto debole... che vi lasciate catturare.

L’uomo sospirò. Se l’era aspettato.

Naysmith portò giù il veicolo ronzante proprio mentre la prima fredda luce dell’alba si alzava in cielo. Sfiorò la sporgenza dove doveva atterrare, si allontanò e abbassò le ruote. Quando toccò terra, fu un contatto brutale da scuotere le ossa e far sbattere insieme i denti. Spense i motori e ci fu silenzio.

Se Jeanne stava all’erta in questo momento doveva avere una pistola puntata su di lui. Aperse la portiera e gridò forte: — I coccodrilli diventano verdi in Irlanda. — Poi uscì e si guardò intorno.

Le montagne erano un’ombra incombente. L’alba si posava come rose sulle loro cime. L’aria era pulita e gelida, forte dell’odore dei pini e a terra c’era la rugiada e nel cielo uccelli spaventati che cinguettavano. Lontano, sotto di lui il fiume tuonava e rumoreggiava.

Rosenberg sbarcò rigidamente dopo di lui e si appoggiò all’imbarcazione. La gravità della Terra metteva a dura prova i suoi muscoli, aveva freddo ed era affamato e crudelmente stanco e questi uomini che erano fantasmi della sua gioventù che non gli volevano dire che cos’era l’oscurità che si stendeva sopra il mondo. Ricordava nettamente il sottile rigido levarsi del sole su Marte, un aspro deserto che si destava alla vita tra vapori e una rupe solitaria incisa nella solitudine. La nostalgia in lui era come un dolore.

Soltanto che... non si era ricordato che la terra potesse essere così bella.

— Martin! Oh, Martin! — La donna scendeva lungo la pista, correndo, scivolando sugli aghi di pino umidi. I capelli corvini erano come una nube attorno al volto coraggiosamente alzato e c’era una luce nei suoi occhi che Rosenberg aveva quasi scordato. — Oh, mio caro, sei tornato!

Naysmith la strinse a sé, baciandola con bramosia. Un minuto ancora, un piccolo minuto prima che apparisse Lampi, era forse troppo?

Non era stato capace di lasciare Lampi indietro da qualche parte. In tutta l’America non c’era un posto sicuro, non da quando gli S-men gli davano la caccia. Non ci sarebbe stato alcun appuntamento sicuro più tardi e di Lampi aveva bisogno. Doveva venire con lui.

Naturalmente il finlandese avrebbe potuto restare mascherato e senza parlare durante tutta la permanenza nella baracca. Ma Rosenberg avrebbe dovuto essere lasciato qui, per lui era il miglior nascondiglio. Ci si poteva fidare del cercatore?

Avrebbe tenuto segreto il fatto che due uomini identici lo avevano condotto lì... o forse no. Era astuto; la conversazione di Jeanne lo avrebbe condotto ad avere qualche sospetto della verità, e avrebbe potuto facilmente decidere di essere stato vittima di un brutto inganno e gli avrebbero dovuto spiegare i fatti. Poi, tutto poteva accadere.

Oh, con qualche precauzione Naysmith avrebbe potuto nascondere ancora per un poco la sua vera natura alla ragazza. Rosenberg poteva ben tenere la bocca chiusa se glielo avesse chiesto. Ma non c’era più alcuna ragione di nasconderle i fatti... Non sarebbe stata catturata dalla banda prima che questa si fosse impadronita dello stesso UN-man. In ogni caso prima o poi bisognava dirglielo. L’uomo che lei credeva fosse suo marito era probabilmente sul punto di morire ed era meglio che lei non pensasse molto a lui e non provasse paura o dolore per causa sua. Una sola morte per lei era già abbastanza.

Le appoggiò le mani sulle spalle snelle e si trasse un po’ indietro, guardandola negli occhi. Anche i suoi si increspavano nel modo che lei doveva ben conoscere e nella luminosità dell’alba erano innaturalmente brillanti. Quando parlò fu quasi un sussurro.

— Jeanne, tesoro, ho delle cattive notizie per te.

La sentì irrigidirsi sotto le sue mani, vide la faccia tendersi e il leggero sibilo del respiro trattenuto. Aveva gli occhi cerchiati, non doveva aver dormito bene durante la sua assenza.

— È una faccenda estremamente segreta, — continuò con voce priva di vigore. —

Nessuno, dico nessuno, deve sapere niente. Ma tu hai diritto alla verità.

— Continua, — C’era una punta di asprezza nella sua voce. — Posso sopportarlo?

— Io non sono Martin Donner, — disse. — Tuo marito è morto.

Rimase rigida per un attimo, poi si liberò selvaggiamente. Una mano la portò alla bocca. L’altra era alzata a metà come per difendersi da lui.

— Ho dovuto fingere per portarti via senza complicazioni, — continuò con lo sguardo a terra. — Il nemico ti avrebbe torturato, forse. O avrebbe ucciso te e Jimmy, non lo so.

Juho Lampi arrivò dietro a Naysmith. C’era compassione nel suo volto. Jeanne fece un passo indietro, senza parole.

— Dovrai stare qui, — disse Naysmith con voce tetra. — È l’unico posto sicuro.

Qui c’è il signor Rosenberg, che lasciamo con te. Ti assicuro che è completamente innocente di tutto quello che è stato fatto. Non posso dire né a te né a lui più di questo. — Fece un passo verso di lei. Lei rimase dov’era, immobile. Quando le prese le mani tra le sue erano fredde. — Salvo che ti amo, — le sussurrò.

Poi, giratosi di scatto, si volse a Lampi. — Ci daremo una ripulitina e faremo colazione qui, — disse. — Dopo di che, partiremo.

Jeanne non li seguì all’interno. Jimmy svegliato dal rumore, fu felice del ritorno di suo padre (Lampi si era messo una maschera) ma Naysmith ebbe poco tempo da dedicargli, con sua grande delusione. Poi disse a Rosenberg che loro tre avrebbero dovuto stare nascosti lì per il maggior tempo possibile prima di mettersi in marcia verso il villaggio, ma che sperava di poter mandare un’imbarcazione a prenderli tra pochi giorni.

Il volto di Jeanne era freddo e pallido quando Naysmith e Lampi tornarono alla macchina. Quando fu partita, la donna incominciò a piangere. Rosenberg voleva allontanarsi e lasciarla sfogare da sola, ma lei gli si aggrappò ciecamente e lui la consolò come meglio poteva.

Capitolo undicesimo

Non ci furono difficoltà a farsi catturare. Naysmith si limitò ad entrare in un gabinetto pubblico nel Complesso di Gregon e si tolse la maschera per lavarsi il volto; un uomo accanto a lui se ne andò in fretta e quando Naysmith uscì fu messo a terra dalla pistola ad aghi di un poliziotto del Complesso. Il peggio venne dopo.

Si svegliò, spogliato e ammanettato, in una cella poco prima che una squadra di Smen giungesse a prelevarlo. Questi presero l’ulteriore precauzione di legargli le caviglie prima di infilarlo in un aviogetto. Dovette sorridere amaramente, poiché era una specie di complimento. Fu detto ben poco finché l’aviogetto atterrò in un quartier generale segreto che era una fattoria del Wyoming. Là si diedero da fare. Naysmith si sottomise docilmente a tutte le procedure di identificazione possibili e immaginabili.

I fluoroscopi non rivelarono niente di nascosto del suo corpo tranne il comunicatore, e ci fu qualche proposta di operarlo per toglierlo; ma decisero di aspettare ordini dall’alto prima di tentare di farlo. Lo interrogarono e poiché aveva fatto fuori due o tre di loro usarono metodi che gli costarono un paio di denti e una notte insonne.

Disse il sub nome e indirizzo e niente altro.

Il giorno seguente giunsero ordini. Naysmith fu impacchettato in un altro aviogetto che si diresse a occidente. Nei pressi della destinazione, l’aviogetto fu sostituito da un normale veicolo aereo. Atterrarono di notte in un parco di una grande villa nella Pennsylvania occidentale... Naysmith ricordò che Roger Wade viveva qui... e fu condotto dentro. C’era una stanza a prova di suono con una batteria completa di attrezzature per interrogatorio sotto i piani residenziali. Il prigioniero fu messo in una poltrona già fornita di cinghie, fu legato e lasciato per un certo tempo a meditare sulla situazione.

Sospirò e tentò di rilassarsi, appoggiandosi al metallo della poltrona. Era scomoda, fredda e dura quando vi appoggiò la pelle nuda. La stanza era lunga e con il soffitto basso, vuota nella luce violenta di potenti lampade fluorescenti e l’assoluto silenzio attutiva il suo respiro e il battere del suo cuore. L’aria era fresca, ma in un certo qual modo quel silenzio assorbente lo soffocava. Era di fronte ai quadranti immobili di una macchina della verità e di un neurovibratore elettrico e il silenzio continuava a crescere.

Gli faceva male la testa e aveva voglia di fumare. Le sue palpebre erano pesanti per la sonnolenza e in bocca aveva un sapore amaro. Comunque, più di tutto, pensava a Jeanne Donner.

Poco dopo la porta alla estremità della stanza si aprì e un gruppo di persone avanzò lentamente verso di lui. Riconobbe la forma massiccia di Wade davanti a tutti. Dietro di lui c’era un uomo barbuto con la faccia magra e giallastra; un tipo giovane magro come un chiodo, con la pelle mortalmente bianca e le mani che si aprivano e si chiudevano nervosamente; una donna magra e scialba, un tarchiato, corpulento e subordinato che non conosceva ma che immaginava fosse un S-man al servizio di Wade. Gli altri erano noti negli incartamenti del Servizio: Lewin, il medico personale di Wade, Rodney Borrow, il suo segretario capo, Marta Jennings, organizzatrice Americanista. Nei loro occhi c’era la morte.

Wade avanzò tranquillo verso Naysmith. Borrow gli passò una sedia e lui si sedette e prese una sigaretta. Nessuno parlò fin che l’ebbe accesa. Poi soffiò il fumo in direzione di Naysmith e disse gentilmente: — Secondo le registrazioni ufficiali lei è Robert Naysmith della California. Ma mi dica, è soltanto un’altra falsa identità?

Naysmith alzò le spalle. — L’identità è una fondamentale filosofica — rispose. —

Dove finisce la somiglianza e incomincia l’identità?

— Mmmm-hm. — Wade assentì lentamente. — Lei è stato ucciso da noi almeno una volta e io sospetto più di una volta. Ma lei è Martin Donner o il suo gemello? E

in quest’ultimo caso come mai voi due, tre, quattro cinque diecimila siete del tutto identici?

— Oh, non del tutto, — disse Naysmith.

— No-o-o. Ci sono piccole cicatrici particolari dovute all’ambiente... e abitudini, lingua, accento, occupazione. Ma agli effetti della polizia lei e Donner siete la stessa persona. Come è stato possibile?

Naysmith sorrise. — Quanto mi si offre per quella informazione? — ribatté. — E

per le altre informazioni che lei sa e io ho?

— Così, — gli occhi di Wade si strinsero. — Lei non è stato catturato, veramente, lei si è consegnato.

— Forse. Ha già preso qualcun altro?

Wade scambiò uno sguardo con l’ufficiale della Sicurezza. Poi, con aria decisa disse vivacemente: — Un’ora fa sono stato informato che un uomo che corrisponde alla sua descrizione è stato fermato nel Minnesota. Ha ammesso di essere un certo Juho Lampi finlandese e sono propenso a crederlo sulla parola, benché non abbia ancora controllato le registrazioni della dogana. Quanti ancora di voi possiamo aspettarci di conoscere?

— Quanti ne volete, — disse Naysmith. — E forse qualcuno di più.

— D’accordo. Lei si è fatto prendere. Lei deve sapere che non abbiamo alcuna ragione per risparmiare la sua vita... o le sue vite. Che cosa spera di guadagnarci?

— Un compromesso, — rispose Naysmith, — che naturalmente implica il nostro rilascio.

— Quanto è disposto a dirci ora?

— Il meno possibile, naturalmente. Dovremo controbattere.

Guadagna tempo. Tira per le lunghe! Il messaggio da Rio deve arrivare presto.

Deve, altrimenti siamo tutti morti.

Borrow si chinò sulla spalla del suo padrone. La sua voce era acuta e rotta, un poco balbettante: — Come sappiamo che sta dicendo la verità?

— Come farete a saperlo anche se mi torturerete? — Naysmith alzò le spalle. — I vostri segugi dovrebbero avervi informato che sono immune alle droghe.

— Ci sono altri modi, — disse Lewin. Le sue parole suonarono cupe nel silenzio che le attutiva. La lobotomia prefrontale è normalmente efficace.

Sì, questo è il nemico. Questi sono gli uomini dell’oscurità. Questi sono gli uomini che in altri tempi mandavano gli eretici al rogo, o alimentavano le fornaci di Belsen, o riempivano i razzi di morte radioattiva. Ora aprono i crani e sezionano i cervelli.

Discuti con loro! Lascia che ti prendano a calci, a pugni, a frustate! Ma non far sapere loro...

— Il nostro accordo non può essere considerato valido se lo fate.

— L’elemento essenziale di un accordo, — disse pomposamente Wade, — è la libera volontà e il desiderio di entrambe le parti. Lei non è libero.

— Ma io lo sono. Voi avete ucciso uno di me e ne avete catturati altri due. Come sapete quanti di me sono ancora liberi, fuori nella notte?

Borrow e Jennings diedero occhiate malsicure alle pareti nude. La donna rabbrividì, anche se impercettibilmente.

— Non dobbiamo fare pasticci con questa faccenda, disse Lewin. — C’è una macchina della verità, prima di tutto. Il suo valore è limitato, ma quest’uomo è troppo vecchio per aver avuto un addestramento di sintesi quindi non può ingannarla troppo.

Poi ci sono strumenti che rendono un uomo piuttosto ansioso di parlare. Ho un generatore di cloro, qui. Che ne direbbe di aspirare qualche boccata di cloro?

— O una morsa applicata al punto giusto, — scattò Jennings.

— State buoni un momento, — ordinò Wade. — Sentiamo prima quanto vuole rivelare senza quei persuasivi.

— Ho detto che avrei cambiato le informazioni, non che le avrei date, — disse Naysmith. Avrebbe voluto che il sudore non scorresse sul suo volto e sul suo corpo in vista di tutti. Il puzzo della paura primitiva incontrollabile, era nelle sue narici; non la paura della morte ma della sofferenza e delle mutilazioni che erano peggiori dell’oblio.

— Che cosa vuole sapere? — chiese l’ufficiale della Sicurezza in tono sprezzante.

— Bene, — disse Naysmith. — Per prima cosa vorrei sapere gli scopi della vostra organizzazione.

— Che cosa vuol dire? — la faccia di Wade lo scrutò battendo le ciglia e un flusso rabbioso arrossò le sue guance. — Non facciamo giochi infantili. Lei sa che cosa vogliamo.

— No, seriamente, sono perplesso. Naysmith si sforzò di usare un tono calmo. —

Mi rendo conto che voi non amate lo stato attuale delle cose e volete cambiarlo. Ma già da ora siete ricchi. Che cosa sperate di guadagnare?

— Che cosa... Basta! — Wade fece un cenno all’Ufficiale e la testa di Naysmith risuonò per un ceffone. — Non abbiamo tempo di ascoltare i suoi scherzi.

Naysmith sorrise ferocemente. Se fosse riuscito a farli infuriare, a manovrare le loro emozioni contorte fin che fossero controllate dal talamo irragionevole, sarebbe stata dura per lui ma avrebbe ritardato i loro scopi reali. — Oh, posso immaginarlo,

— disse. — È una faccenda personale no? Nessuno di voi sa in realtà che cosa lo conduce a questo, salvo gli stupidi sciacalli che si sono messi con voi perché guadagnano più di quanto dovrebbero guadagnare con le loro capacità. Come lei, ad esempio. — Guardò l’S-man e ghignò deliberatamente.

— Sta’ zitto! — questa volta il colpo fu alla mascella. Gli uscì sangue dalla bocca e si accasciò un poco sulle cinghie che lo trattenevano. Ma la sua voce si alzò aspramente.

— Prendete la signorina Jennings, tanto per fare un esempio. Non che mi sentirei di farlo, nemmeno se mi pagate. Lei è tutta contorta dentro, non è vero? Troppo brutta per procurarsi un uomo, troppo spaventata di sé per farsi fare una plastica. Lei sta tentando nel modo più dannatamente impacciato di sublimarlo come patriottismo... Ma che specie di simbolo è un’asta di bandiera? Ho notato che è stata lei a fare quella proposta altamente personale di torturarmi.

Lei fece un passo indietro, con dentro la rabbia di un animale frustato. L’S-man prese in mano un tubo di gomma, ma Wade lo trattenne. La faccia del capo era diventata di marmo.

— Oppure Lewin, un altro caso di frustrazione psicotica. — Naysmith sorrise, un sorriso spiacevole e mezzo chiuso di labbra ferite, al dottore. — Sono certo che lei lavorerebbe gratis se non fosse stato assoldato. Un sadico da quattro soldi in questi giorni fa fatica a trovare uno sfogo.

— E veniamo a Rodney Borrow.

— Stia zitto! — gridò l’uomo magro. Si spinse avanti. Wade lo rimandò indietro con una spinta del braccio.

— Esogene! — Il sorriso di Naysmith divenne calmo, quasi pietoso. — È un guaio che la esogenesi umana sia stata messa a punto durante gli Anni della Pazzia, quando gli scrupoli morali andarono al diavolo e gli scienziati erano fanatici come tutti gli altri. Lei si è sviluppato in un serbatoio, Borrow, e la sua vita prenatale, che ogni istinto ereditario diceva che avrebbe dovuto essere calda, buia e nascosta, è stata un inferno di studi... Luci splendenti, sonde, microcampioni presi dai suoi tessuti. Hanno imparato un sacco di cose sul feto umano, ma avrebbero dovuto ucciderla invece di permettere una tale patetica massa tremolante di psicosi inguaribili di andarsene per il mondo viva. Se lei può chiamarla vita, Esogene.

Borrow si lanciò oltre Wade. Aveva la bava alla bocca e tentava di artigliare gli occhi di Naysmith. L’S-man lo trasse indietro e improvvisamente si accasciò, piangendo istericamente. Naysmith rabbrividì dentro di sé. Ecco, soltanto per grazia di Dio...

— E che dice di me? — chiese Wade. — Queste analisi da dilettante sono molto divertenti. Per favore, continui. — Senso di colpa. Ultracomprensione. Il servizio ha indagato la sua fanciullezza e il suo passato di adolescente e...

— E...?

Avanti Roger, è uno scherzo. Non farà male per niente.

L’uomo rimase rigidamente seduto come una sbarra di ferro. Per un lungo momento non si sentì niente, nessun suono salvo i singhiozzi di Borrow; nessun movimento. La faccia di Wade diventò grigia.

Quando parlò sembrò che stesse soffocando. — Penso che sarebbe meglio mettere in moto quel generatore di cloro, Lewin.

— Con piacere.

Naysmith scosse la testa. — E gente come voi vuol prendere il comando, —

mormorò. — Si suppone che noi si consegni un mondo che sta recuperando la salute mentale a gente come voi!

Il generatore incominciò a fischiare e a borbottare dietro di lui. Avrebbe voltato la testa per guardarlo, ma sarebbe stata una sconfitta. E lui aveva bisogno di qualunque briciola di orgoglio che gli rimaneva in questa assoluta solitudine.

— Fammi manovrare il generatore, — disse Borrow.

— No, — disse Lewin. — Potresti ucciderlo troppo in fretta.

— Forse dovremmo aspettare finché portano qui quel Lampi, — disse Jenkins. —

E fargli vedere quel che facciamo a Naysmith.

Wade scosse la testa. — Forse più tardi, — disse.

— Noto che non avete ancora tentato di sapere quello che sono disposto a dirvi volontariamente, — intervenne Naysmith.

— Bene, continui, — disse Wade con voce senza tonalità. — Stiamo ascoltando.

Un po’ di tempo. Ancora un po’ di tempo. Se riesco a raccontargli una storia...

— Etienne Fourre ha più risorse di quante ne sappiate voi, — dichiarò Naysmith.

— È stata preparata una controffensiva che vi costerà cara. Ma poiché metterebbe a dura prova anche noi, siamo disposti a discutere, se non un compromesso permanente, poiché ovviamente non può esserci, almeno un armistizio. Per questo...

Suonò un campanello. — Avanti, — disse Wade ad alta voce. La sua voce attivò la porta ed entrò un uomo.

— Chiamata urgente per lei, signor Wade, — annunciò. — In cifra.

— Va bene. — il capo di alzò. — Lasciate stare quel cloro fin che ritorno, Lewin.

— Uscì.

Quando la porta fu chiusa dietro di lui, Lewin disse con calma: — Bene, non ci ha detto di non fare altre cose, no?

Impiegarono a turno il tubo di gomma. La mente di Naysmith divenne un po’

annebbiata per il dolore. Ma non osarono fargli troppo danno e la cosa non durò a lungo.

Wade ritornò. Ignorò Lewin, che stava mettendo via in fretta il manganello e disse seccamente: — Andiamo a fare un viaggio. Tutti. Subito.

La parola era giunta. Naysmith si lasciò andare indietro, respirando forte. Proprio in quel momento il sollievo dal dolore era troppo grande per lui perché pensasse a qualcosa d’altro. Gli ci vollero diversi minuti per incominciare a preoccuparsi se la logica di Peter Christian era stata esatta e se il Servizio avrebbe compiuto la sua parte ed anche se gli ordini che erano giunti a Wade fossero quelli giusti.

Capitolo dodicesimo

Soltanto nel tardo pomeriggio Barney Rosenberg ebbe l’opportunità di parlare con Jeanne Donner e fu lei che venne a cercarlo. Si era allontanato dalla capanna dopo la colazione, arrampicandosi sul fianco della montagna e passeggiando nei boschi. Ma la gravità terrestre lo stancava e dopo poche ore tornò a casa. Comunque non tornò nella capanna, ma trovò un tronco abbattuto accanto al bordo della gola e si sedette a pensare.

Questa dunque era la Terra.

Era una vista fresca e bella che si apriva davanti a lui. Le scarpate piombavano in una distesa di grigio e di turchino lavagna sempre più giù, nel grande canyon rimbombante del fiume. Al lato opposto la montagna si alzava in una nebbia di porpora indistinta, fino alle sue nevi splendenti al sole ed alla vastità del cielo che si apriva oltre. C’erano cespugli che crescevano sui declivi che precipitavano verso il fiume, del verde che confondeva la nuda roccia, qua e là un ammasso di bacche rosso fuoco. Dietro Rosenberg ed ai lati c’erano alberi, pini che incombevano in una caverna d’ombra, faggi sottili che stormivano, frassini con la luce del sole che fluiva, pioveva accecante tra le loro foglie. Si era dimenticato di quanto colore ci fosse su questo pianeta.

Ed era tutto un suono. Gli alberi mormoravano. Le zanzare ronzavano acutamente vicino alle sue orecchie. Un uccello stava cantando, non sapeva che specie di uccello fosse, ma aveva il trillo limpido pieno di desiderio che ossessionava i suoi pensieri.

Un altro rispondeva con i fischi e da qualche parte un terzo chiacchierava e cinguettava. Uno scoiattolo gli passò accanto come una cometa rossa e sentì il debole graffiare delle sue unghie.

E gli odori, l’infinito mondo vivente degli odori: pino e terriccio e fiori di campo e la nebbia del fiume. Aveva quasi dimenticato di avere il senso dell’olfatto, nella sterilità da serbatoio di Marte.

Oh, i muscoli gli facevano male e lui era un solitario per la cupa e sterile magnificenza del deserto e si chiedeva come si sarebbe mai adattato a questo mondo selvaggio di uomini contro uomini. Eppure... la Terra era casa sua e i un miliardo di anni di evoluzione non potevano essere rinnegati.

Un giorno o l’altro Marte sarebbe stato un pianeta adulto e la sua gente sarebbe stata libera e ricca. Rosenberg scosse la testa e sorrise un poco. Poveri Marziani.

Sentì un passo leggero dietro di sé. Si voltò e vide Jeanne Donner che si avvicinava. Indossava una camicia leggera e pantaloni che non nascondevano la sua grazia e la sua stanchezza e il sole luccicava nero nei suoi capelli. Rosenberg si alzò con una sensazione di imbarazzo.

— Si sieda, per favore. — La sua voce era grave, in un certo senso remota. — Mi piacerebbe stare con lei un momento, se posso.

— Ma certo! — Rosenberg si sedette di nuovo sul tronco muschioso. Era fresco e cedevole, un po’ umido, sotto la sua mano. Jeanne si sedette accanto a lui, con i gomiti sulle ginocchia. Per un momento rimase in silenzio, fissando la terra illuminata dal sole. Poi prese un pacchetto di sigarette e lo porse all’uomo. — Fuma?

— chiese.

— No, grazie. Ne ho perso l’abitudine su Marte. L’ossigeno è sempre molto scarso. Mastichiamo tabacco invece, quando possiamo permetterci di comprarlo.

— Mhmmm. — Lei accese una sigaretta e aspirò profondamente incavando le gote. Lui vide quanto delicata fosse la struttura ossea che stava sotto... Bene... Stef aveva sempre scelto le donne migliori, e le aveva avute.

— Metteremo su un letto per lei, — gli disse. — Tagli dei rami di pino e li metta sotto un sacco a pelo. Formano un buon giaciglio.

— Grazie. — Sedettero un poco senza parlare. Il fumo della sigaretta si allontanava in volute ineguali. Rosenberg sentiva il vento fischiare e ululare in fondo al canyon.

— Mi piacerebbe farle qualche domanda, — lei disse alla fine, alzando il volto verso di lui. — Se diventano troppo intime, me lo dica.

— Non ho niente da nascondere... per sfortuna. — Tentò di sorridere. —

Comunque su Marte non abbiamo quelle nozioni di riservatezza. Sarebbe troppo difficile da mantenere nelle nostre condizioni di vita.

— Comunque e un fenomeno recente, sulla Terra, — gli disse. — Risale agli Anni della Pazzia, quando c’era tanta eccentricità di ogni genere, per la maggior parte illegale. Oh, al diavolo! — Gettò a terra la sigaretta e la schiacciò selvaggiamente con il tacco. — Sto dimenticando anche il mio condizionamento. Ma chieda tutto quello che sia pertinente. Dobbiamo giungere alla verità in questa faccenda.

— Se ci riusciamo. Direi che è un segreto ben difeso.

— Ascolti, — gli disse a denti stretti. — Mio marito era Martin Donner. Siamo stati sposati tre anni e mezzo. E voglio proprio dire sposati. Non poteva dirmi molto del suo lavoro. Sapevo che in realtà era un UN-man e che il suo lavoro di ingegnere era solo un paravento, e questo è più o meno quello che mi ha detto. Ovviamente non mi ha mai detto di avere dei... duplicati. Ma lasciando da parte questo, eravamo innamorati e siamo giunti a conoscerci quanto possano riuscirci due persone in tutto questo tempo. Non soltanto dal punto di vista dell’aspetto fisico. Era anche una questione di personalità, di schemi di reazione, di espressioni del volto, di scelte di parole, di modo di muoversi e di un milione di altre piccole cose che si uniscono a formare uno schema più grande. Una gestalt completa, capisce?

— Ora quest’uomo, come ha detto che si chiama?

— Naysmith. Robert Naysmith. Almeno questo è quanto mi ha detto. L’altro si chiama Lampi.

— E io devo credere che Martin è morto e che questo... Naysmith... ne ha preso il posto, — lei continuò in fretta. — Volevano farmi andare via in fretta dalla casa, non potevano stare a discutere con me, quindi hanno inviato questo imbroglione. Bene, l’ho visto laggiù in casa. È fuggito con me e il bambino, abbiamo compiuto un volo lungo e difficile fino qui... lei sa quanto la tensione faccia affiorare le caratteristiche basilari di una persona. È rimasto qui tutta la notte... — Un lento rossore le apparve sulle guance e voltò la testa. Poi con aria di sfida tornò a guardare Rosenberg. — E

mi ha ingannato completamente. Tutto di lui era Martin. Tutto! Oh, suppongo che ci siano state delle minime differenze, ma devono essere state ben minime! Si può truccare un uomo ai nostri giorni, con la chirurgia e i cosmetici e tutto il resto, in modo che riproduca quasi tutti i dettagli del fisico. Ma la chirurgia può dargli lo stesso modo buffo di sorridere, la stessa scelta delle frasi, lo stesso senso dell’umorismo, lo stesso modo di prendere in braccio suo figlio e di parlargli, la stessa abitudine di citare Shakespeare, di tirar fuori la sigaretta e accenderla con una mano sola, lo stesso modo di guidare un veicolo aereo... la stessa anima? Possono fare una cosa del genere?

— Non lo so, — mormorò Rosenberg. — Direi di no.

— Non lo avrei creduto veramente, — lei disse. — Avrei pensato che stava tentando di raccontarmi una storia per qualche ragione sconosciuta. Solo che c’era con lui quell’altro uomo e salvo per la tintura dei capelli non avrei potuto distinguerli... e lei era con loro e mi è sembrato che accettasse la loro storia. — Gli strinse il braccio. — È vero? Mio marito è veramente morto?

— Non lo so. Credo che dicessero la verità, ma come posso sapere ed esserne sicuro? — le rispose in tono triste.

— Non si tratta soltanto della mia salute mentale, — disse in tono stanco. — Devo sapere che cosa dire a Jimmy. Ora non posso dirgli niente.

Rosenberg aveva lo sguardo a terra. Le sue parole uscirono lente e sommesse. —

Penso che la cosa migliore che possa fare sia di aspettare un poco. Questo è qualcosa di molto grande, forse il più grande segreto dell’universo. Ed è una cosa molto buona o molto malvagia. Vorrei credere che sia buona.

— Ma che cosa ne sa lei? — Lo fissava negli occhi, lui non poteva distoglierli dai suoi, e la mano della donna stringeva il suo braccio con cieca forza. — Che cosa può dirmi? Che cosa ne pensa?

Si passò una mano esile, piena di vene azzurre sui capelli grigi e sospirò. — Bene,

— disse. — Penso che probabilmente ci sono molti di questi UN-man identici.

Sappiamo che ce ne sono... che ce n’erano tre ed io ho l’impressione che ce ne siano altri. Perché no? Quel Lampi era uno straniero, si sentiva dall’accento; quindi si trovano in tutto il mondo.

— UN-man. — Lei rabbrividì un poco, seduta all’ombra chiazzata di sole. — È

una brutta parola. Come se non fossero umani.

— No, — disse dolcemente. — Penso che lei si sbagli in questo. Essi... Bene, ho conosciuto il loro prototipo, e lui era un uomo davvero!

— Il loro... No! — Balzò quasi in piedi. Con uno sforzo riuscì a controllarsi e rimase seduta rigidamente. — Chi era?

— Il suo nome era Stefan Rostomily. È stato il mio migliore amico per quindici anni.

— Io... non so... non ne ho mai sentito parlare... — La sua voce era impastata.

— Non avrebbe potuto. Per tutto quel tempo è stato via dalla Terra. Ma il suo nome è ancora un buon nome su tutti i pianeti. Lei può non sapere che cosa sia una valvola Rostomily, ma è stata inventata da lui. La costruì in una settimana per sua comodità, la vendette per una buona somma e spese tutto in baldoria. — Rosenberg fece una debole risatina. — Diventò storica, quella baldoria. Ma la valvola ha avuto un grande significato per i coloni di Marte.

— Chi era?

— Non ha mai detto molto del suo passato. Ho immaginato che fosse un europeo, probabilmente cecoslovacco o austriaco. Deve aver fatto cose eroiche durante la resistenza e la guerriglia durante la Terza Guerra Mondiale. Ma questo in un certo senso gli tolse il gusto di una carriera tranquilla. Quando le cose si calmarono un poco, lui era maturato nel caos e era troppo tardi per fare degli studi seri. Vagabondò per la Terra per un certo tempo, prese parte a qualcuno dei combattimenti che ancora si svolgevano qua e là... Fu con le forze delle Nazioni Unite che eliminarono il Grande Jehad, ne sono sicuro. Ma si stancò anche di uccidere come qualunque uomo sano di mente avrebbe fatto. Malgrado il suo passato, signora Donner, era fondamentalmente uno degli uomini più sani di mente che io abbia conosciuto. Così alla fine riuscì a imbarcarsi bluffando su una nave spaziale... Non aveva una laurea, ma imparò l’ingegneria con una velocità infernale e divenne esperto. L’ho incontrato su Venere, quando vi facevo il cercatore; può darsi che io non ne abbia l’aspetto ma sono un geologo e un mineralogo. Finimmo su Marte. Contribuimmo a costruire Sandy Landing, contribuimmo a diversi lavori di sviluppo delle piantagioni, abbiamo fatto ricerche, abbiamo fatto carte geografiche, rilevazioni, esplorazioni... Dobbiamo aver tentato tutto. È morto cinque anni fa. Una frana. L’ho seppellito lassù su Marte.

Gli alberi attorno a loro mormoravano nel vento.

— E questi altri... sono suoi figli? — lei mormorò. Ora stava tremando un poco.

Rosenberg scosse la testa. — Impossibile. Questi uomini sono lui. Stef fino all’ultimo particolare, ritornato vivo e giovane di nuovo. Nessun figlio potrebbe essere tanto uguale a suo padre.

— No, suppongo di no.

— Stef era un essere umano, in tutto e per tutto, — disse Rosenberg. — Ma era anche molto vicino a essere superuomo. Pensi ai suoi svantaggi: la fanciullezza durante la Seconda Guerra Mondiale e le sue conseguenze, la gioventù trascorsa nella Terza Guerra Mondiale, povero, autodidatta, spostato. Eppure era equilibrato e sano di mente, gentile, salvo quando la violenza era necessaria, ed allora era una tigre, glielo dico io. Gli uomini e le donne lo amavano; aveva quel tipo di personalità.

Aveva imparato una dozzina di lingue e leggeva la loro letteratura con maggior apprezzamento e comprensione di molti professori. Conosceva la musica e componeva delle buone canzoni sue proprie, turbolente ma buone. Le suonano ancora su Marte. Era un artista, ha fatto diversi affreschi per molti edifici, ha dipinto il paesaggio marziano come nessuna macchina fotografica è mai riuscita a renderlo, benché fosse anche un grande fotografo. Le ho già detto della sua inventiva ed aveva mani preziose che piacevano a una macchina. Il suo fisico sopportava tutto... Aveva sessant’anni quando morì e poteva ancora competere con qualunque ragazzo di venti.

Lui... perché continuare? Era tutto, e abile in tutto.

— Io so, — gli rispose. — Martin era come lui. — Il suo breve sorriso era pieno di desiderio. — Mi creda, ho dovuto mettercela tutta per accalappiarlo. C’era troppa concorrenza. — Dopo un momento aggiunse pensierosamente: — Ci devono essere in giro a ogni generazione dei superuomini di questo tipo. È solo una questione di felice incidente genetico, di preponderanza di caratteristiche favorevoli che appaiono nello stesso zigote, di mesomorfo altamente intelligente. Alcuni di loro passano alla storia. Pensi a Michelangelo, a Vespucci, a Raleigh... uomini che hanno lavorato in tutti i campi, scienza, politica, guerra, ingegneria, esplorazione e letteratura. Altri non erano interessati a emergere, o forse non hanno avuto fortuna, come il suo amico.

— Non so quale sia la connessione con questi UN-man, — disse Rosenberg. —

Stef non ne ha mai fatto parola, ma naturalmente avrebbe giurato di mantenere il segreto op pure avrebbe anche potuto essere stato fatto senza che lui lo sapesse.

Soltanto, che cosa è stato fatto? Duplicazione della materia? Io non credo. Se le Nazioni Unite avessero avuto la capacità di pubblicare la materia, non si troverebbero in questo guaio ora. Che cosa è stato fatto. E perché?

Jeanne non rispose. Ora stava guardando dall’altra parte, oltre il burrone all’alta e chiara bellezza delle montagne che stavano di là. Nei suoi occhi apparivano confusamente. Improvvisamente si alzò e si allontanò.

Capitolo tredicesimo

C’era una notte di stelle e di vento che scorreva attorno all’aviogetto. La Luna era bassa, e gettava un ponte di luce frammentata sulla pulsante immensità dell’Atlantico.

Una volta, lontano, Naysmith vide un’unica scia meteorica che saliva bruciando, un razzo diretto nello spazio. Per il resto sedeva nell’oscurità solo.

Era stato chiuso in un piccolo scompartimento nella parte posteriore dell’aviogetto.

Wade e il suo seguito, insieme al pilota e a un paio di guardie, sedeva nella parte anteriore; l’aviogetto era arredato comodamente e probabilmente stava recuperando il sonno perduto. Naysmith non voleva appisolarsi, benché lo opprimessero la stanchezza e la fame e le ferite. Stava guardando fuori dall’oblò, ascoltando il potente scorrere del vento e tentando di stimare dove si trovassero.

Il medio Atlantico, immaginava, forse a quindici gradi di latitudine nord. Se la prognosi delle reazioni di Besser fatta da Christian era esatta, erano diretti al quartier generale mondiale della banda, ma Wade e gli altri non gli avevano detto niente. Ora si trovavano sopra il mare aperto, la grande irrequieta solitudine che si stendeva su tre quarti della superficie della Terra, l’ultimo posto della Terra di mistero e di solitudine. Laggiù si poteva fare qualunque cosa e quando i pesci avessero divorato i cadaveri chi se ne sarebbe mai accorto?

Lo sguardo di Naysmith si diresse alla Luna, che viaggiava gelida sopra il mare.

Lassù c’era il dominio della Terra. Tra gli osservatori delle stazione spaziali e le basi dei missili della Guardia Lunare, non avrebbe dovuto esserci niente che le forze della sanità mentale non potessero schiacciare. La Luna non aveva fatto piovere la morte fin dalla Terza Guerra Mondiale, ma la sola minaccia di quel pugno mostruoso puntato nel cielo aveva fatto molto per calmare il pianeta impazzito. Se il Servizio avesse potuto dire alla Guardia Lunare dove colpire...

Solo che non poteva. Non avrebbe mai potuto. Perché questa ribellione non era il sollevarsi in armi di una nazione con città e fabbriche e miniere. Era un virus nel corpo dell’intera umanità. Non si sarebbe risolto nulla bombardando la Cina, salvo far rivoltare contro di sé quattrocento milioni di vittime innocenti che erano state tue amiche, perché c’era un piccolo gruppo di potere nel governo cinese che stava cospirando contro il buon senso.

Si può colpire una malattia dall’esterno con le droghe e gli antibiotici e le radiazioni. Ma il buio della mente umana può soltanto essere aiutato da uno psichiatra; la cura deve venire dall’interno.

Se le Nazioni Unite non fossero state fatte crollare, ma lentamente erose mutilate e storpiate e demoralizzate, a chi si sarebbe potuto sparare? Presto o tardi sarebbero giunti gli ordini ufficiali di congedare la loro polizia e la Guardia Lunare. Oppure c’erano altri modi per attaccare le basi lunari. Se non avevano il Servizio Segreto ad avvertirle, sarebbe stato facile contrabbandare attrezzature militari sulla superficie della luna, e farle saltare da quel punto.

E alla fine, che cosa? Il completo e immediato sprofondare nella pazzia del cane-mangia-cane che già una volta era giunta tanto vicina alla rovina della civiltà?

( L’uomo non avrà un’altra possibilità. L’ultima volta siamo stati più fortunati di quanto ci meritassimo). Oppure un impero di oppressione mondiale costruito con materiali di scarto, la soppressione di quella scienza acuta e critica il cui primo albeggiare stava appena incominciando a mostrare all’uomo una nuova vita, l’incubo millenario dell’umanità trasformata in un formicaio? Tra le due cose c’era ben poca scelta.

Naysmith sospirò e si spostò sul sedile duro e nudo. Avrebbero potuto avere la decenza di dargli qualche vestito e una sigaretta. Un panino imbottito, al limite.

Soltanto che, naturalmente, l’idea era quella di distruggere il suo morale al massimo possibile.

Tentò ancora, per la millesima volta di valutare la situazione, ma c’erano troppe incognite e intangibili. Sarebbe stato stupido insistere sul fatto che questa notte fosse un punto critico nella storia umana.

Poteva esserlo... Poi ancora una volta, se questo tentativo della Fratellanza fosse fallito, se gli stessi Fratelli fossero stati perseguitati, avrebbe potuto esserci qualche altra possibilità, qualche fattore di compensazione. Avrebbe potuto! Ma il fidarsi passivamente della fortuna era la rovina.

E in ogni caso, pensò con tristezza, questa notte avrebbe deciso il destino di Robert Naysmith.

L’aviogetto si diresse verso il basso, rallentando mentre sibilava fuori dall’atmosfera superiore. Naysmith si appoggiò alla parete, afferrando il bordo dell’oblò con le mani ammanettate, e guardò in basso. Il chiaro di luna bagnava una grande massa ondeggiante di oscurità e nel suo centro qualcosa che si alzava come una rupe metallica.

Una stazione marina!

Avrei dovuto immaginarlo, pensò con rabbia Naysmith. Il suo cervello dava l’impressione di essere vuoto e strano. Il posto più logico: accessibile, mobile, proprio sotto il naso del mondo ma nello stesso tempo nascosto. Immagino che il Servizio abbia considerato questa possibilità, ma come avrebbe potuto controllare tutte le stazioni marine in funzione? Non si sa nemmeno quante siano!

Questa stava in mezzo ad una vasta distesa di fluttuanti alghe. Probabilmente uno di quegli stabilimenti particolarmente sviluppati con i quali si sperava di contribuire a nutrire un pianeta sovraffollato; o forse questo posto si faceva passare come una stazione sperimentale che lavorava per migliorare le coltivazioni. In ogni caso, fattoria o laboratorio, Naysmith era sicuro che le sue attività ufficiali fossero realmente svolte, che ci fosse un completo equipaggio di lavoratori, con tutte le attrezzature e impeccabili scartoffie. Il quartier generale della banda sarebbe stato sotto, nel ventre sommerso della stazione.

Una organizzazione come questa doveva essere simile sotto molti aspetti a quella del proprio nemico. Complessa e mondiale, no. Sistematica se davvero comprendeva i fanatici Pellegrini che volevano governare Marte. Avrebbe dovuto tenere registrazioni abbondanti, avere qualche specie di centro di comunicazioni. È questa!

Buon Dio, questo è il loro cervello!

Il fremito di eccitazione sfumò in un formicolio sottocutaneo. Un uomo morto non aveva modo di trasmettere le sue informazioni a Fourre.

A una delle estremità della grande struttura galleggiante c’era un campo di atterraggio. Il pilota mise giù l’aviogetto fermandolo abilmente, spense i motori e tutto fu silenzio. Naysmith sentiva la profonda voce infinita dell’oceano, che rollava e sciabordava contro le pareti. Si chiese quanto fossero lontani dalla più vicina umanità. Lontani davvero. Forse erano già oltre l’orlo della morte. La porta si aprì e la luce filtrò nello scompartimento. — Forza, Naysmith, — disse la guardia, — mi segua.

Ubbidiente, Naysmith uscì tra i suoi catturatori fin sulla piattaforma. Era illuminata a giorno, impedendo la vista dell’oceano che si gonfiava otto o dieci metri sotto la sponda. La sovrastruttura della stazione, montata su sospensioni cardaniche e con giroscopi stabilizzatori, sopra i suoi grandi cassoni, non avrebbe rullato molto anche con il tempo peggiore. C’erano due altri aviogetti lì accanto. rullato molto anche con il tempo peggiore. C’erano due altri aviogetti lì accanto. Nessun segno di armi, benché Naysmith fosse sicuro che c’erano tubi di lancio di missili in abbondanza e che ciascun meccanico fosse armato di pistola.

Il vento era gelido sul suo corpo mentre era condotto verso la cabina principale.

Wade camminava davanti a lui, con il mantello che fluttuava e mormorava. Di fianco, Naysmith vide la faccia bianca e rigida di Borrow e la cupa insensibilità di Lewin.

Forse a quei due sarebbe stato permesso di occuparsi di lui.

Entrarono in un breve corridoio. All’altra estremità Wade premette la mano su un rivelatore. Un pannello scivolò via davanti alla gabbia di un ascensore. — Dentro, —

grugnì uno degli S-man.

Naysmith rimase in piedi tranquillo, chiuso in un angolo dai corpi prudenti delle sue guardie. Vide che Borrow e Jennings tremavano per la tensione nervosa. Un leggero sorriso senza gioia contorse la sua bocca. Qualunque cosa fosse accaduta, la Fratellanza aveva dato al nemico una bella scossa.

L’ascensore si fermò con un sospiro. Naysmith fu condotto fuori, giù per un lungo corridoio pieno di porte. Una di esse era spalancata, e vide pareti coperte di armadi di microregistrazioni. Sì, questo doveva essere il loro archivio. Un uomo in camice li incrociò, portando un nastro da calcolatore. I cervelli umani senza aiuto non erano più sufficienti, anche per quelli che volevano rovesciare la società. Troppo grande, troppo grande.

Alla fine del corridoio, Naysmith fu fatto entrare in una grande stanza. Gli sembrò quasi di essere tornato nella stanza della tortura di Wade... Le stesse luci abbaglianti, le stesse pareti che assorbivano i suoni, le stesse attrezzature di inquisizione. I suoi occhi la percorsero fin che si fermarono sui tre uomini che sedevano dietro una serie di neuroanalizzatori.

I Fratelli erano in grado di distinguersi l’uno dall’altro; c’erano abbastanza sottili differenze dovute all’ambiente perché fosse possibile. Naysmith riconobbe Lampi, che sembrava abbastanza poco danneggiato, salvo un occhio nero; doveva essere stato portato direttamente qui in base agli ordini. C’era anche Carlos Martinez del Guatemala, che aveva già conosciuto e un terzo uomo che non riconobbe ma che era certamente sudamericano.

Gli sorrisero e lui rispose al sorriso. Quattro paia di occhi azzurri guardarono dalle stesse facce magre e muscolose, quattro teste bionde fecero un cenno, quattro cervelli lampeggiarono lo stesso intangibile messaggio: Anche tu Fratello mio? Ora dobbiamo resistere.

Naysmith fu legato accanto a Martinez. Ascoltò Wade che parlava a Lucientes che era sospettato essere il capo del settore argentino dei ribelli. — Besser non è ancora arrivato?

— No, è in viaggio. Dovrebbe arrivare qui presto. Besser dunque è il vero capo, il cervello organizzatore... ed è in arrivo!

I quattro Fratelli si tennero rigidi, quattro facce identiche che fissavano irrealmente davanti a sé, senza osare muoversi o scambiare uno sguardo. Besser sta arrivando!

Wade prese a camminare irrequieto nella stanza. — È un affare strano. — disse appena. — Non mi piace l’idea di averli tutti e quattro insieme, proprio in questo posto.

— Che cosa possono fare? — scrollò le spalle Lucientes. — I miei uomini hanno catturato Villareal qui a Buenos Aires ieri. Si era sempre spacciato per artista, ed era scomparso non appena era giunta la notizia di un UN-man fuggiasco che rispondeva a quella descrizione. Ma fece un ingenuo tentativo di tornare al suo appartamento e fu arrestato senza difficoltà. Martinez fu preso a Panama City con la stessa facilità. Se sono tanto incapaci...

— Ma non lo sono! Sono tutto fuorché questo! — Wade diede una occhiataccia ai prigionieri. — Lo hanno fatto di proposito, ti dico. Ma perché?

— Ho già detto... — Naysmith e Villareal parlarono quasi simultaneamente. Si fermarono e l’argentino sorrise e chiuse la bocca. — Ve l’ho già detto — concluse Naysmith. — Volevamo trattare. Non c’era un altro modo veloce e adatto per prendere il tipo di contatto di cui avevamo bisogno.

— C’era bisogno di quattro di voi? — scattò Wade. — Quattro uomini preziosi?

— Forse non tanto preziosi, — disse Lewin tranquillamente. — Non certo se ce n’è un buon numero in libertà.

— Non sono sovrannaturali, — protestò Lucientes. — Sono di carne e di sangue.

Possono sentire il dolore e non possono rompere le manette. Lo so. E non sono nemmeno telepatici o qualcosa di altrettanto assurdo. Sono... La sua voce si spezzò.

— Sì? — lo sfidò Wade. — Sono che cosa?

Naysmith si ritirò in se stesso. Ci fu un momento di assoluto silenzio. Si udiva soltanto il respiro pesante dei catturatori, dei catturatori mezzo terrorizzati dall’ignoto, da qualcosa che proprio per questo era ancora più maligno e mortale.

La vera ragione era semplice, pensò Naysmith, tanto semplice che sfuggiva a quelle menti mostruose. Era sembrato ragionevole, e la logica di Christian aveva confermato la probabilità, che un uomo identico all’altro che era stato ucciso sarebbe stato abbastanza sconvolgente, e che quattro di loro, provenienti da paesi diversi, avrebbero implicato qualcosa di tanto enorme che il capo della cospirazione li avrebbe voluti tutti insieme nella sua sede più forte e più segreta e che lui stesso avrebbe voluto essere presente all’interrogatorio.

Soltanto... che cosa sarebbe accaduto dopo?

— Non sono umani! — La voce di Borrow era acuta e tremante. — Non possono esserlo. Non quattro o cinque o mille uomini uguali. Le Nazioni Unite hanno i loro laboratori. Fourre avrebbe potuto benissimo portare a termine un progetto segreto.

— E allora? — gli occhi di Lewin ammiccarono sardonicamente alla faccia bianca.

— Allora sono robot, androidi, vita sintetica, qualunque cosa vogliate definirli.

Mostri da provetta!

Lewin scosse la testa cupamente. — È un passo avanti troppo grande, disse. —

Nessuna scienza umana sarà in grado di farlo ancora per qualche secolo. Tu non capisci la complessità di un essere umano vivente... e i nostri sforzi non sono riusciti fino ad ora a sintetizzare una sola cellula funzionante. Ammetto che questi individui hanno qualcosa di... sovrumano, in loro. Hanno fatto cose incredibili. Ma non possono essere robot. Non è umanamente possibile.

Umanamente! — strillò Borrow — Forse che l’uomo è la sola razza scientifica nell’universo? Che cosa dite delle creature delle stelle? Chi è la vera potenza dietro le Nazioni Unite?

— Basta! — scattò Wade. — Lo sapremo presto. — Il suo sguardo si fissò su Naysmith. — Dimentichiamo questi stupidi discorsi di trattative. Non ci può essere alcun compromesso fin che l’una o l’altra parte è eliminata.

È vero. Il pensiero aleggiò in quattro cervelli viventi.

— Io... Wade si interruppe e si voltò verso la porta. Si aperse ed entrarono due uomini.

Uno era Arnold Besser. Un uomo piccolo, dall’ossatura sottile, con i capelli neri, ancora di bell’aspetto malgrado i sessant’anni di età. C’era in lui una fiamma che bruciava al di là della scialba semplicità dei suoi elementi, la mistica luce di fanatismo nel profondo del suo cranio. Rispose con un cenno rapido ai saluti e si fece avanti decisamente. L’uomo che era con lui lo seguì, un uomo grosso e robusto in uniforme da autista, calmo come un gatto, con il volto irregolare e senza espressione.

Solo che... solo che... Il cuore di Naysmith gli balzò selvaggiamente in petto.

Distolse lo sguardo dalla guardia-autista, fissandolo negli occhi di Besser.

— Ora dunque. — Il capo stette davanti ai suoi prigionieri, con le mani sui fianchi, guardandoli impersonalmente ma con un leggero brivido sotto la sua pelle pallida. —

Voglio sapere i veri motivi per cui vi siete fatti prendere. Ho studiato mentre venivo qui l’incartamento che riguarda, per quel che vale, quindi non dovete ripetere le cose ovvie. Voglio sapere tutto il resto.

— La misericordia non deve essere forzata — mormorò Lampi. La mente di Naysmith continuò le splendide parole. Aveva bisogno del loro conforto, perché lì c’era la morte.

— Il problema è troppo grande e urgente, per perdere tempo in battibecchi, —

disse Besser. La sua voce era gelida mentre si rivolgeva a Lewin. — Ne abbiamo quattro qui, e probabilmente ognuno di loro sa quello che sanno gli altri. Quindi possiamo tentare quattro metodi differenzi. Qualche idea?

— La lobotomia per uno di loro, — rispose subito il medico. — Possiamo nello stesso tempo rimuovere quel detonatore esplosivo, naturalmente. Ma ci vorranno dei giorni prima che possa essere interrogato, anche nelle migliori condizioni, e forse sono state prese delle precauzioni affinché il soggetto muoia. Possiamo tentare metodi fisici su due di loro, immediatamente, alla presenza l’uno dell’altro. Sarà meglio tenere di riserva il quarto, per ogni evenienza.

— Benissimo. — Lo sguardo di Besser si diresse a un uomo in camice bianco che stava dietro ai prigionieri. — Lei è il chirurgo qui. Ne prenda uno e si metta al lavoro nel suo cervello.

Il dottore annuì e incominciò a spingere la sedia a rotelle di Martinez verso l’uscita dalla stanza. Lewin mise in moto il generatore di cloro. La guardia-autista si appoggiò ad un tavolo, guardando con occhi spenti.

La fine? Allora buona notte, mondo, sole e luna e vento nei cieli. Buona notte Jeanne.

Una sirena urlò. Stridette in alto e in basso lungo una scala di suono irregolare, riverberandosi nel vetro nel metallo e nelle ossa umane. Besser si girò di scatto verso il comunicatore. Wade rimase immobile e paralizzato. Jennings urlò.

La stanza tremò e sentirono il cupo rimbombo di una esplosione. La porta si aprì e un uomo entrò barcollando, gridando qualcosa. Le sue parole furono soffocate dal crescente fischiare e ululare dei missili.

Improvvisamente in mano all’autista-guardia apparve una magnum. L’arma sputò una pioggia di proiettili mentre lui si accucciava facendola roteare lungo la stanza.

Naysmith vide la testa di Besser esplodere. Due delle guardie avevano quasi estratto le armi quando l’autista le fulminò.

Il comunicatore balbettava sulla parete, urlando qualcosa a proposito di un attacco aereo. L’autista era già balzato all’interruttore della porta. Chiuse e blocco la barriera, balzò al di sopra del corpo di Wade e afferrò una seghetta chirurgica. Tagliò le cinghie che tenevano fermo Naysmith facendolo un poco. Lampi, Martinez e Villareal urlavano allegramente.

L’autista parlò rapidamente in portoghese brasiliano: — Ora vi libero. Prendete delle armi e preparatevi a combattere. Può darsi che ci attacchino qui. Non lo so. Ma ci saranno paracadutisti che atterreranno non appena le forze aeree avranno ridotto la loro difesa. Dovremmo essere in grado di resistere fino a quel momento.

Aveva funzionato. L’incredibile, precario, disperato piano aveva funzionato.

Besser, allarmato e incerto, era andato personalmente nel suo quartier generale segreto. Vi era stato condotto dal suo pistolero di fiducia come il solito. Solo che l’ufficio di Fourre sapeva da lungo tempo tutto su quell’autista, lo aveva studiato, aveva preparato un duplicato truccato chirurgicamente utilizzando un UN-man portoghese-brasiliano e lo aveva tenuto di riserva per il momento opportuno. Quando era giunto il messaggio di Christian, l’autista era stato eliminato e l’UN-man lo aveva sostituito, ed era stato in grado di infilare un radio-rivelatore nell’aviogetto un radio-rivelatore che la polizia delle Nazioni Unite con base a Rio aveva seguito.

Ed ora avevano la base!

Naysmith balzò dalla sedia e afferrò un’arma da terra. Scambiò uno sguardo con il suo salvatore, un breve sguardo carico di affinità e di cameratismo e di appartenenza.

Anche sotto il travestimento e il modo di fare accuratamente imparato, c’era stato qualcosa di intangibile che aveva riconosciuto... O era stato soltanto il fatto che il liberatore aveva agito con tanta velocità e decisione?

— Sì, — disse il brasiliano anche se l’affermazione era inutile.

— Anch’io sono un Fratello.

Capitolo quattordicesimo

Venne la mattina che Naysmith uscì dalla sua tenda e si diresse giù verso il mare.

Si trovava nel Parco Nazionale del Nordovest, la nuova riserva che includeva una buona fetta della costa dell’Oregon. Ci era venuto per riposare e stare da solo, per fare delle riflessioni che sembravano non portare ad alcuna conclusione, e c’era rimasto più di quando avesse avuto intenzione di restare. Qui c’era la pace, nella grande distesa di territorio, negli angoli sabbiosi, nella solitudine dell’oceano, e nella foresta e nelle montagne là dietro. Non c’era molta gente nel Parco, ora e comunque lui aveva alzato la tenda lontano dai terreni dei camping.

Era finita. Il lavoro era finito. Con le registrazioni del quartier generale di Besser come indizi e prove, Fourre era stato in condizione di smascherare l’intera cospirazione. Nessuno si era preoccupato della illegalità tecnica del suo raid. Erano caduti diversi governi... quello cinese ebbe una fine particolarmente sanguinosa... e furono rimpiazzati da quelli di uomini più vicini alla completa salute mentale. Erano stati estirpati da ogni regime gli agenti. In America Hessling era in prigione e si parlava di congedare del tutto la sicurezza. Le Nazioni Unite avevano un prestigio e un potere rinnovato, una più salda fedeltà da parte dei popoli del mondo. Un lieto fine?

No. Perché era un lavoro che non finiva mai veramente. Il nemico era antico forte e astuto, prendeva un milione di forme e non poteva mai essere del tutto ucciso.

Perché era l’uomo stesso, la pazzia e il dolore dell’anima umana, la rivolta dell’animale primitivo contro lo stato innaturale chiamato civiltà e libertà. Qualche altro avrebbe tentato ancora. I suoi metodi sarebbero stati diversi, avrebbe potuto non avere la stessa meta proclamata, ma sarebbe stato il nemico e i controllori avrebbero dovuto spezzarlo. E chi avrebbe controllato i controllori?

La sicurezza era un sogno senza senso. Non c’era alcuna stabilità salvo nella morte. La pace e la felicità non erano un premio da guadagnare, ma uno stato da mantenere con fatica e dolore.

Il pensiero di Naysmith al momento riguardava faccende personali. Ma non sembrava esserci alcuna risposta se non il grigio ordine: Resisti.

Attraversò la spiaggia, scivolando sulle rocce e bestemmiando al vento umido e freddo. Il suo tuffo nell’acqua fu un gelido shock che si attenuò soltanto con una nuotata violenta. Ma quando uscì si sentì più scattante.

Romeo, pensò, mentre si asciugava vigorosamente, era un asino. I guai psicologici non sono una ragione per perdere l’appetito. In effetti dovrebbero intensificare i vecchi piaceri affidabili. Mercuzio è il vero eroe di quel dramma.

Si diresse verso la tenda, pensando a uova e prosciutto. Mentre saliva la riva ripida e rocciosa si fermò un attimo aggrottando la fronte. Un piccolo veicolo aereo si era posato accanto al suo. Dannazione, pensò, non ho voglia di essere cortese con nessuno! Ma quando vide la figura accanto alla macchina si mise a correre.

Jeanne Donner lo aspettava, compunta come un bambino. Quando fu davanti a lei, incontrò il suo sguardo fermamente, muta e fu lui che la distolse.

— Come hai fatto a trovarmi? le sussurrò alla fine. Pensava che la furia dei battiti del cuore avrebbe spezzato le sue costole. — Mi sono eclissato piuttosto perfettamente.

— Non è stato facile, — gli rispose sorridendo un poco. — Dopo che il pilota delle Nazioni Unite ci ebbe riportati negli Stati Uniti, ho tormentato l’esistenza di tutti quelli che erano coinvolti nella faccenda. Finalmente uno di loro dimenticò la riservatezza e me lo disse, probabilmente pensando che saresti stato in grado di sistemare la seccatrice. Negli ultimi due giorni sono atterrata in tutti i posti solitari del Parco. Sapevo che avresti voluto essere solo.

— E Rosenberg?

— Ha accettato il condizionamento ipnotico dietro un buon compenso, visto che ormai era sicuro che non avrebbe mai scoperto il segreto. Ora ha dimenticato che c’è stato un altro Stefan Rostomily. Io ho rifiutato naturalmente.

— Bene... — La sua voce si incrinò un poco. Poi la guardò ancora e disse in tono aspro: — Sì, ti ho fatto uno sporco scherzo. Immagino che tutto il Servizio te lo abbia fatto. Soltanto che è un segreto per cui sono stati uccisi coloro che lo avevano appreso.

Lei sorrise ancora con una sfida negli occhi. — Continua, — lo invitò.

Le mani dell’uomo si abbassarono. — No. Hai il diritto di saperlo. Io non avrei mai... oh, lascia perdere. Non siamo dei fanatici completi. Un’organizzazione che non ponesse limiti in qualche punto nel raggiungere i suoi scopi, non meriterebbe di esistere.

— Grazie, — lei disse piano.

— Non c’è niente di cui ringraziarmi. Tu hai probabilmente indovinato la base del segreto, ormai, se sai chi era Rostomily.

— E ciò che era, sì. Penso di saperlo. Ma dimmelo.

— Avevamo bisogno di un sacco di agenti per il Servizio, agenti che dovevano avere determinate qualità. Qualcuno fece la conoscenza di Rostomily quando era ancora sulla Terra. Lui non era addestrato né aveva voglia di fare un lavoro del genere, ma ciò che si voleva erano i suoi caratteri ereditari, lo schema dei geni e dei cromosomi. Fourre aveva organizzato i suoi laboratori segreti. Non era una cosa difficile da fare negli Anni della Pazzia. L’esogenesi di un ovulo fecondato era già un fatto compiuto. Era solo un passo avanti prelevare poche cellule complete di Rostomily e usarle come... come fonte di cromosomi per tessuto umano non differenziati. Le proteine sono autocatalitiche, lo sai, e un gene non è altro che una serie di molecole di proteine giganti.

— Noi Fratelli, tutti noi, siamo completamente umani. Salvo che le nostre caratteristiche ereditarie sono ricavate interamente da una persona e non da due e quindi duplicano il prototipo esattamente. Ormai ci sono migliaia di noi, sparsi nel sistema solare. Io sono uno dei più vecchi, ma ce ne sono di più giovani che crescono per continuare il nostro lavoro.

— Esogenesi... — Lei non poté sopprimere un leggero brivido.

— Ha una brutta nomea, si. Ma questo soltanto a causa degli esperimenti fatti di cui si ha notizia, con i loro sondaggi prenatali. Naturalmente una cosa del gene re avrebbe prodotto degli psicopatici. I nostri uteri artificiali erano molto più sicuri e più sereni anche di quelli naturali.

Lei annuì allora, con le nere ali dei capelli che, scendevano oltre la superficie d’avorio delle sue gote. — Capisco. Vedo come deve essere... mi potrai dare più tardi i particolari. E capisco perché. Fourre aveva bisogno di superuomini. Il mondo era troppo caotico e violento, e lo è ancora, per qualcosa che fosse inferiore a una fratellanza di superuomini.

— Oh, senti!

— No, intendo dire proprio questo. Voi non siete tutto il Servizio e nemmeno la sua maggioranza. Ma siete gli agenti più in gamba, la sua mano destra. —

Improvvisamente sorrise, illuminando l’intero universo e gli afferrò un braccio. Le sue dita erario fresche e tenere sulla carne di lui. — E come è meraviglioso! Ricordi l’Enrico Quinto?

Lui mormorò le parole:

E Crispin Crispin non passerà mai

Da oggi alla fine del mondo,

Ma noi saremo ricordati in lui

Noi pochi, noi pochi felici, noi banda di fratelli...

Dopo un lungo momento aggiunse con disappunto: — Ma non possiamo cercare la notorietà. Non ancora per un lungo tempo. La prima dote di un agente segreto è la segretezza e se si sapesse che noi esistiamo se ne andrebbe la metà della nostra utilità.

— Oh, sì, lo capisco. — Lei rimase in silenzio per un momento. Il vento faceva svolazzare i suoi capelli e il suo vestito, agitandoli sullo sfondo della grande e limpida distesa del mare e della foresta e del cielo.

— Che cosa hai intenzione di fare? — gli chiese.

— Non ne sono sicuro. Naturalmente dovremo smentire la storia di un assassino ricercato che corrisponde alla nostra descrizione. Non sarà difficile. Annunceremo la sua morte in un tentativo di sottrarsi all’arresto e poi... bene, la gente dimentica. In un anno o due nessuno se ne ricorderà. Ma naturalmente diversi di noi, io incluso, avremo bisogna di nuove identità, dovremo trovarci una nuova casa. Ho pensato alla Nuova Zelanda.

— E continuerà. Il tuo lavoro continuerà. Non ti senti mai solo?

Annuì, poi tentò di sorridere. — Ma non mettiamoci a piagnucolare. Vieni a fare colazione con me. Sono un friggitore di uova formidabile!

— No, aspetta. — Lo trasse indietro e lo costrinse a guardarla. Dimmi... Voglio sapere la verità ora. Hai detto, l’ultima volta, che mi amavi. Era vero?

— Sì, — lui disse fermamente. — Ma questo non importa. Io ero assolutamente vulnerabile. Sono sempre stato un gatto solitario, forse più della maggior parte dei miei Fratelli. Mi passerà.

— Forse io non desidero che ti passi, — gli rispose. Lui rimase immobile per un secolo. Un gabbiano passò stridendo sopra di loro.

— Tu sei Martin, — gli disse. — Non sei lo stesso, non del tutto, ma sei sempre Martin con un altro passato. E Jimmy ha bisogno di un padre e io ho bisogno di te.

Non fu capace di trovare le parole, ma in effetti non ce n’era bisogno.

Fine