9.
Ma Kleist perché si era ucciso? La domanda mi ha occupato la mente tutta la mattinata del giorno dopo. Era una domanda, del resto, meno oziosa di quanto potesse sembrare.
Visto che Kleist era il modello al quale, secondo Trude, la sorella si ispirava, la domanda ne provocava inevitabilmente un’altra e cioè: Kleist si era ucciso per motivi soltanto suoi, ai quali, a un certo momento, si erano aggiunti i motivi anche essi sicuramente individuali di Enrichetta, così che alla fine il loro doppio suicidio era stato in realtà l’incontro di due suicidi ben distinti; oppure i due amanti si erano uccisi per un motivo solo che riguardava entrambi?
Ripeto: la domanda non era proprio oziosa come sembrava.
In sostanza Trude accusava la sorella di cercare un uomo da comvolgere in un destino che in realtà non riguardava che lei. Così, se io avessi accettato il suicidio a due, non sarei morto a causa della mia propria disperazione ma di quella di Beate, cioè, per quanto la frase possa sembrare incongrua, sarei morto per far piacere a lei. A riprova: la mia disperazione non portava al suicidio ma, come ne ero ormai sicuro, alla stabilizzazione del disperare.
Soltanto l’amore per Beate poteva farmi cambiare idea o meglio abbandonare il mio progetto per quello della donna che amavo.
Ma anche questo non era sicuro. Era vero, Beate ed io avevamo una diversa concezione del disperare; ma il fatto che amavo Beate e che Beate amava me, costituiva un motivo unico per morire insieme, senza riserve mentali, nel caso che la volontà di Beate avesse prevalso sulla mia. Del resto io amavo Beate e Beate amava me soprattutto perché in fondo al nostro amore c’era la prospettiva, non importa se voluta o rifiutata, della morte a due. Questo era tanto vero, che, sebbene mi sentissi attirato da Trude a causa della sua somiglianza con la sorella, l’attrazione trovava il suo limite nel fatto che Trude in tutto avrebbe potuto imitare la gemella salvo che nel darsi la morte insieme con me.
A questo punto, il ragionamento si mordeva la coda: dopo un lungo giro tornavo al punto di partenza e cioè che io, attraverso Trude, potevo certamente illudermi di amare Beate; ma in fondo all’illusione c’era il suicidio a due, ossia proprio ciò che non poteva essere né imitato né simulato e che alla fine avrebbe distrutto l’illusione stessa.
Tanto valeva allora avere un’avventura con Trude, per vedere se mi era possibile, attraverso Trude, avere un’avventura con Beate, senza però la conclusione del suicidio a due. Kleist non era il mio modello; non ero tedesco; di contro allo sfrenato romanticismo germanico, mi pareva che dovessi tenermi al saggio, anche se squallido, stoicismo mediterraneo.
Ho pensato queste cose più come ipotesi possibili e verosimili che come progetti. Alla fine ho concluso che dovevo restare fedele a Beate, per il banale motivo che amavo lei e non amavo Trude. Oltre tutto, se l’avessi tradita con la sorella, sia pure per illudermi di fare l’amore con lei, con che faccia avrei potuto poi presentarmi a lei in Germania? Di fronte a Beate in carne e ossa, i sofismi ispirati dalla somiglianza si sarebbero palesati per quello che erano: pretestuose giustificazioni per portare a termine una facile conquista.
Ho passato la giornata tra le solite occupazioni balneari.
Le due donne, quella mattina, erano andate alla Grotta Azzurra; ho avuto un principio di angoscia al pensiero che per tutto il giorno non avrei rivisto Trude e così non avrei potuto illudermi di amare Beate attraverso di lei, ma l’ho respinto, dicendomi che si trattava, dopo tutto, di un giorno solo. Madre e figlia sarebbero discese certamente quella stessa sera nella sala da pranzo.
Invece non sono apparse. La loro tavola è rimasta vuota, nella maniera squallida che è propria delle pensioni: con i due tovaglioli arrotolati posati sulla tovaglia deserta con le bottiglie del vino e dell’acqua minerale inegualmente dimezzate. Ho mangiato con gli occhi fissi alla seggiola sulla quale si erano sedute, a distanza di pochi giorni, l’una dopo l’altra, le due sorelle. Adesso l’assenza le accomunava e le confondeva. Quale dei due fantasmi mi contemplava, invisibile e tuttavia reale, da quella seggiola vuota? Quello di Beate o quello di Trude? A momenti, mi pareva di essere guardato da due occhi foschi e infelici; a momenti, dagli stessi occhi scintillanti di gioia animalesca.
Ora il fantasma non toccava il cibo, ora divorava a testa bassa. Beate scuoteva il capo per dirmi che tra di noi non poteva esserci amore senza morte; Trude si ficcava il dito in bocca a guisa di pene nel sesso per significarmi che potevo fare l’amore con lei ad ogni momento, bastava che volessi.
Dopo cena, ho fatto la solita passeggiata notturna e mi sono accorto che la solitudine mi pesava. Di nuovo ho provato un desiderio acuto di guardare a Trude per vederci Beate. Di nuovo, pure, ho avuto la sensazione molto precisa che Beate era la sola donna che avessi mai amato nella mia vita, e la sola che mi avesse amato. Ma non potevo baloccarmi oltre con l’illusione di amare Beate attraverso Trude. Dovevo farmi dare l’indirizzo e partire al più presto per la Germania.
Il giorno dopo sono disceso ad un’ora mattutina alla Piccola Marina e poiché era ancora presto mi sono seduto senza spogliarmi su una seggiola a sdraio, sulla terrazza dello stabilimento. Avevo portato con me il libro delle lettere di Kleist, ho preso a leggerlo. Ad un tratto due mani si sono posate sui miei occhi; la voce di Trude ha detto, con inconfondibile accento di gioia: “Indovina chi è? “ Ho risposto: “Trude. ” “Ti sbagli. Non mi chiamo Trude. Mi chiamo e sono una certa Beate.“ Così, non ho potuto fare a meno di riflettere, continuava il gioco consistente nel servirsi della somiglianza per creare l’illusione. Ho avuto uno scatto di impazienza; ho afferrato le due mani che mi accecavano, le ho staccate dagli occhi, ho costretto Trude a girare intorno alla sdraia. Le ho detto subito: “Basta con questi giochi.
Dammi l’indirizzo di Beate in Germania.“ “Che vuoi fare con l’indirizzo?” “Voglio partire per andare a trovarla. Partirò al più presto, forse domani. Allora qual è l’indirizzo?“ Mi guardava con occhi curiosamente contemplativi, come osservandomi. Alla fine ha detto: “Io l’indirizzo non te lo dò.“ “E perché non vuoi darmelo?” Ha risposto con naturalezza: “Perché non voglio che tu parta. “ “ Ma io voglio rivedere Beate. ” Ha detto con lieve accento di preghiera: “Resta qui e contentati di me che le somiglio tanto. Poi quando andremo via, partirai con noi e andremo insieme a trovare Beate in Germania.“ Era una proposta ragionevole ed accettabile; ma mi ha colpito il fatto che non provavo, di fronte a questa proposta, l’impazienza dell’uomo che vuole rivedere a tutti i costi la donna che ama. O meglio, quell’impazienza l’ho provata ma un momento solo; subito dopo che la strana frase di Trude secondo la quale avrei dovuto “accontentarmi” di lei in attesa di rivedere Beate l’ha risvegliata con il turbamento di una curiosità tentatrice e incredula.
Ho domandato: “Fino a che punto potresti accontentarmi?
“ “Fino al punto che vorrai. ” “In tutto per tutto?” Che voleva dire? Che pur di fare l’amore con me, sarebbe stata disposta a spingere la finzione fino al suicidio?
Stranamente, mentre fissavo i suoi bellissimi occhi verdi così simili a quelli di Beate, ho sentito che in fondo non volevo sapere con esattezza che cosa aveva voluto dirmi con quel verbo ambiguo “accontentare”. Ho detto, ricorrendo a mia volta all’ambiguità: “Se vuoi che io rimanga, prima di tutto devi darmi l’indirizzo, poi si vedrà.“ “Che cosa si vedrà?” “Non voglio piombare su Beate senza prima avvisarla.
Se mi dai il suo indirizzo, voglio almeno scriverle, esporre il mio progetto. “ “Qual è il tuo progetto?” Ho risposto con sicurezza, quasi con violenza: “Proporle di vivere con me, qui in Italia, lontano dalla patria di Kleist. “ “Ah è così! E cosa credi? Che accetterà?” “Non lo so. Tu cosa credi?” “Non accetterà. E’ troppo legata al marito e anche a Kleist. “ “Vedremo. Tu intanto dammi il suo indirizzo.” Per un momento mi ha guardato in silenzio poi mi ha detto: “Ti darò l’indirizzo se mi prometti che resterai qui e partirai per la Germania insieme con noi. “ “Quanto tempo avete l’intenzione di restare ancora?” “Una settimana.” Ho fatto un rapido calcolo. Una settimana passava presto.
Ne avrei approfittato per ricavare da Trude il maggior numero di informazioni su Beate che fosse possibile. Inoltre non dovevo inimicarmi Trude; se volevo rivedere Beate in Germania, all’insaputa del marito, mi conveniva fare di Trude una complice. Ho detto: “Va bene; ti prometto che aspetterò una settimana. “ Ha battuto le mani con gioia sincera e infantile, mi ha gettato le braccia al collo, mi ha baciato sulle due guance.
Quindi ha esclamato: “Bravo, adesso ti scrivo subito l’indirizzo in questo tuo libro“, e, lì per lì, ha tirato fuori dalla borsa una penna, si è impadronita del libro delle lettere di Kleist che tenevo sulle ginocchia e l’ha aperto alle prime pagine. Ha subito esclamato, sorpresa: “Ma questo libro, l’avevo regalato io a Beate, come mai adesso ce l’hai tu?“ Ho risposto con ambiguità: “Ti meraviglia che io ce l’abbia? “ “ In certo senso, sì. ” “Perché? ” “Perché questo libro era una cosa molto intima, anzi segreta, tra me e lei. “ “Allora guarda qui, ecco perché me l’ha dato. Guarda questa lettera sottolineata“, e le ho indicato la lettera in cui Enrichetta Vogel annunzia la propria morte e quella di Kleist. Trude ha letto con attenzione la lettera, quindi ha scosso il capo e si è portato l’indice alla tempia, con il gesto che di solito si fa per alludere alla pazzia: “Sempre Kleist, sempre Kleist! Ma che c’entra Kleist, un grande scrittore morto più di un secolo fa, con una irremediabile dilettante e istriona come mia sorella? Aspetta, ti scrivo l’indirizzo. “ Ha chinato la grossa testa rossa, ha scritto con diligenza l’indirizzo, mi ha restituito il libro. Ho detto: “Volevo rispedirglielo, questo libro. Ma adesso, glielo riporterò di persona, tra una settimana, in Germania.“ Ha detto, in tono di leggero disprezzo: “Ormai puoi anche non restituirglielo affatto. Stai tranquillo, ne ha un’altra copia. “ Quindi, levandosi in piedi: “Ma basta di Beate. Se andassimo un poco in barca? Che ne dici? Facciamo il bagno in qualche grotta, poi torniamo allo stabilimento e mangiamo qui, in questo posto così bello.“ Era tutto un programma bello e fatto che lei mi proponeva con occhi scintillanti di allegra impazienza. Ho risposto con tono sforzatamente spensierato: “ Mi pare senz ‘ altro un ’ ottima idea. “ “Allora andiamo. Dov’è la tua cabina?” “Non avete cabina? Tua madre non c’è?” “E’ rimasta su alla pensione, o meglio, l’ho fatta rimanere io. Voleva venire anche lei ma le ho detto che desideravo star sola con te. Su, andiamo a spogliarci nella tua cabina.
Mi sono alzato, l’ho preceduta verso il ballatoio A quell’ora mattutina, sul ballatoio, non c’era ancora nessuno.
Ho camminato fino alla mia cabina, ho aperto la porta e ho detto: “Va tu dentro per prima, poi ci andrò io, dopo di te.“ Mi ha guardato, ha guardato la porta aperta; improvvisamente una luce di malizia si è accesa nei suoi occhi: “Un’idea: non c’è nessuno e poi penseranno che siamo marito e moglie. Vieni dentro anche tu, ci spogliamo insieme. “ Ho pensato che il programma della giornata continuava a svolgersi con inflessibile regolarità e ho obbiettato preso da non sapevo che diffidenza: “Ma non siamo marito e moglie. E poi, se lo viene a sapere tua madre?“ “Mia madre lo saprà, glielo dirò io stessa.” Ma si sta stretti in due in una cabina. “ “Via, forse hai paura di spogliarti davanti a me?” “No, ma…” Stava ritta sulla soglia; ad un tratto ha retroceduto nella cabina e nello stesso tempo, in maniera monellesca, mi ha strizzato l’occhio. Allora, senza dire parola, sono entrato e ho chiuso la porta.
Adesso stavamo rinserrati nello spazio angusto della cabina, in un buon odore di legno impregnato di salsedine e riscaldato dal sole, ma mi sentivo più confuso che turbato: mi domandavo perché Trude aveva voluto entrare nella cabina insieme a me; subodoravo un motivo diverso da quello di una pur singolare e ardita civetteria. Ma quale?
Non riuscivo a definirlo. Intanto, tra queste riflessioni mi toglievo la maglietta, sfilandola per la testa. Come ne sono uscito a torso nudo, ho visto che Trude, tutt’ora vestita, mi guardava dal suo angolo. Ho detto: “A proposito, adesso chi si spoglia per primo? Non c’è che un asciugamano, per nascondersi, chi l’adopera per primo?“ Ha risposto subito: “Spogliati tu per primo. ”
Ha esitato, ha soggiunto in maniera del tutto imprevista, senza civetteria né turbamento: “Se vuoi, puoi fare a meno dell’asciugamano. Non sarai il primo uomo che ho visto nudo. Noi tedeschi non attribuiamo al nudo il carattere proibito che gli attribuite voialtri italiani. Tra l’altro, ho partecipato un anno fa ad un campeggio di nudisti nel mare del Nord. “ Era convincente nella sua oggettiva indifferenza. Ma, ugualmente, ho avvertito nella spiegazione una pretestuosità oscura ma indubbia. Ho detto maliziosamente: “In tal caso ti propongo di spogliarci insieme, nello stesso momento. Niente asciugamani. In fondo siamo entrati nella cabina per guardarci l’un l’altro: che male c’è? Io guarderò te e tu guarderai me, ti va?“ Ha protestato subito, in maniera offensiva: “Se tu fossi tedesco, accetterei, ma vi conosco, voi italiani. No, no, non voglio essere guardata da te mentre mi spoglio. Soltanto se fossimo amanti lo farei. Ma non lo siamo e tu sei italiano. “ Ho domandato, annoiato: “Ma allora si può sapere perché hai voluto che entrassimo insieme?“ Si è stretta nelle spalle: “Così, per fare più presto. ” Ho detto con improvvisa e dispettosa spavalderia: “E io invece sono proprio quel tipo di italiano a cui piace guardare le donne. E sono entrato nella cabina proprio con l’idea di vedere se sei diversa da Beate. Non nel viso, quello lo vedo, è identico, ma nel corpo.“ Con mia sorpresa, Trude non si è scandalizzata né offesa.
Ha domandato, invece, con curiosità: “Ma come farai a capire che il mio corpo è diverso da quello di Beate? Mica l’hai mai vista nuda. “ “Certo che l’ho vista. Suo marito è tanto fiero della sua bellezza che, un giorno, in una spiaggia solitaria, l’ha costretta a farsi fotografare tutta nuda da me.“ “Davvero? E cosa hai pensato?” “Ho pensato che Beate è molto bella. E che suo marito è molto innamorato di lei. “ “E’ la verità. E’ pazzo di lei.” E’ stata zitta un momento, quindi ha detto, in tono pratico e rassegnato: “Va bene, se proprio ci tieni tanto, mi spoglierò in tua presenza.
Fingerò che tu sia tedesco e che mi guardi per il motivo preciso di vedere se rassomiglio a Beate. Però, nello stesso tempo, devi spogliarti anche tu. “ Così, tornava alla carica: voleva vedermi nudo anche a costo di esibirsi nuda a sua volta. Di nuovo la sua insistenza mi è sembrata pretestuosa; ho detto in tono definitivo: “No, non facciamone nulla. Avevo voluto soltanto metterti alla prova; sei stava bravissima; tutto bene. Adesso esco dalla cabina. tu ti metti il costume, e quando esci, io entro. “ “Sei il primo uomo che incontro nella mia vita che non vuole farsi vedere nudo. “ “Che vuoi farci! Forse gli italiani sono guardoni. Ma è molto raro che siano esibizionisti. “ Curiosamente, la mia voce vibrava di amor proprio patriottico; benchc’ poi mi rendessi conto benissimo che altro era il motivo del mio sdegno. A sua volta, altrettanto falsamente, Trude si è adirata: “Ti vergogni di farti vedere nudo perché sei un italiano pieno di pregiudizi, per noi tedeschi, il nudo è qualche cosa di sano, di pulito, di vero.
Ma io non ho paura come te di essere guardata. Guardami pure, controlla pure se assomiglio a Beate. “ Così dicendo, eccola togliersi il vestito con gesti violenti e rabbiosi, sfilandolo per la testa. Senza sorpresa ho visto che non indossava alcun indumento sotto il vestito, probabilmente con lo scopo di potersi spogliare in fretta, in qualsiasi luogo. per fare il bagno. Tutta nuda, noncurante di me, come se non ci fossi stato, ha tirato fuori dalla borsa il costume e si è chinata ad infilarselo a partire dalle gambe. Tutto questo senza mai fermarsi e lasciarsi osservare; esattamente come si fa quando si è soli. Ha finito di indossare il costume, si è raddrizzata; ha detto con voce ironica e sferzante: “Come sono dunque? sono più o meno rossa di Beate? più o meno ricciuta?“ Allora ho alzato le spalle e sono uscito dalla cabina.
Non mi ha fatto aspettare molto. Di lì a poco è uscita calma e serena e ha detto: “Sono pronta, mettiti il costume e andiamo.“ Non ho detto nulla. Sono entrato nella cabina, ho indossato in gran fretta le mutandine da bagno.
Dieci minuti dopo eravamo già fuori dal porticciolo delle Sirene, in mare aperto.
Il mare era più agitato di quanto mi fosse sembrato guardandolo dallo stabilimento. Trude, rannicchiata a prua, con le mani aggrappate ai parapetti e le gambe incrociate, andava su e giù secondo le onde, sullo sfondo della grande rupe rossa di Capri; e io, pur remando con forza, non potevo fare a meno di guardare al modo col quale le magre cosce, di una bianchezza di latte qua e là macchiata di rosso, si incrociavano legnosamente sotto il ventre incavato. Nello stesso modo avevo visto Beate star seduta a prua nella barca, insieme con il marito; e non diversa aveva dovuto apparire agli occhi dell’innamorato consorte. Come per rimuovere questa immagine di lei sulla barca che mi accomunava a Muller, ho chiesto ad un tratto: “Ti secca se ti faccio qualche domanda su Beate?
“ “Perché dovrebbe seccarmi? Fai tutte le domande che vuoi. “ “Allora vorrei sapere che cosa ti ha detto precisamente di me, a Napoli, quando vi siete incontrate. “ Mi ha guardato con aria sorniona mentre la rupe di Capri andava su e giù dietro di lei, secondo l’altalena delle onde: “Già lo sai, ha detto che temeva di essere innamorata di te.“ “Perché temeva? ” Mi guardava in maniera strana, come studiandomi: “Temeva perché non voleva che si ripetesse con te quello che le era successo con un certo pianista che era stato il suo amante prima del matrimonio. “ “Che c’entra il pianista, adesso?” “C’entra perché era ebreo. ” “E allora?” E’ stata zitta un momento, quindi si è decisa: “Beate non vuole più avere niente a che fare con gli ebrei. Troppe noie. Così prima di imbarcarsi in un affare di cuore vuole essere sicura che l’uomo sia un ariano. “ Ho provato un sentimento di sorpresa incredula e indignata come di fronte ad una calunnia ingiustificata e gratuita.
Ho esclamato: “Mi pare impossibile che Beate prenda di queste precauzioni, sei stata tu a suggestionarla.“
“No, lei l’ha pensato e lei me l’ha detto. A dirti la verità, appena ti ho visto ieri sera, ho pensato anche io che potresti essere ebreo.“ “Che cosa te lo fa pensare?” “Intanto sei un intellettuale e quasi tutti gli intellettuali, almeno in Germania, sono ebrei, e poi perché ne hai l’aria.“ “ Che aria ho? ” “Sei bruno, non sei tanto alto, hai gli occhi neri, i capelli ricciuti…“ “Ma la maggioranza degli italiani sono così. ” “E poi non si tratta di indovinare ma di essere sicuri. ” “Sicuri di che?” “Sicuri di trovarsi di fronte a una persona di cui ci si può fidare. “ E stata zitta un momento; ha soggiunto: “Si intende che per Beate il fatto che tu sia ebreo o meno non ha lo stesso genere di importanza che per me. Beate non è nel Partito. “ Ho chiesto bruscamente: “Mettiamo un momento che io sia ebreo; cosa faresti allora?“ “Ti pregherei di riportarmi allo stabilimento.” L’ho guardata attentamente per vedere se parlava sul serio. Sì, parlava sul serio. Il suo volto si era come indurito, pur conservando l’espressione infantile. Ho detto: “ Beate non si comporterebbe in questo modo. ” “Beate ed io siamo due persone diverse, te l’ho già detto. “ Ho pronunziato con freddezza: “Bene, torniamo allo stabilimento“ e, senza più, ho preso a manovrare con i remi per voltare la barca.
Si è visibilmente allarmata: “Ma tu sei ebreo o no?” Ho risposto: “Sono stato anche da ultimo in Germania; conosco questo genere di cose. Se qualcuno mi pone una domanda simile, magari dico la verità, cioè che non sono ebreo, ma poi preferisco non avere più niente a che fare con lui.“ Sono stato zitto un momento, poi ho ripreso: “Partirò domani stesso per la Germania, andrò a trovare Beate: lei, queste domande non me le farà. “ Mi considerava come indecisa e perplessa. Poi ha detto: “Non voglio che tu parta; mi avevi promesso che saresti partito tra una settimana con noi. Se non sei ebreo, che ti costa dimostrarlo? Dici di conoscere la Germania. Allora saprai che il Fuhrer ci proibisce di frequentare gli ebrei. Io voglio stare con te. Che ti fa? Non ti chiedo nulla di straordinario, solo di rassicurarmi.“ Ho smesso di remare, ho chiesto: “Ma insomma cosa vuoi da me?“ “Che tu mi fornisca la prova che non sei ebreo. ” “Ma quale prova?” Ha gridato con sincero e ingenuo accento di dispetto: “Poco fa, ho cercato in tutti i modi di ottenerla questa prova. Ma tu hai fatto in modo di non darmela. “ Mi sono sinceramente stupito: “Ma dove?” “Nella cabina. Ti ho proposto di spogliarci insieme perché volevo vedere se sei circonciso. Ma tu non mi hai lasciato vedere nulla.“ Uno stupore enorme mi ha invaso. Così, quella strana, conturbante proposta di un reciproco esibizionismo non era stata in fondo che una molto burocratica richiesta di mostrare i miei documenti razziali per vedere se ero in regola.
Ho esclamato: “Ah, è così; adesso capisco perché volevi vedermi nudo. Così, è questo ciò che vuoi? Che io ti faccia vedere il mio membro?“ Ha detto con serietà e cortesia, proprio come un dottore al quale un paziente chiede se è necessario che si spogli: “Sì, se non ti dispiace.” Ho fatto un calcolo rapidissimo. Se, come ne avevo la tentazione, mi fossi rifiutato di fornire la prova e avessi accompagnato Trude alla riva, mi sembrava inevitabile che in sèguito avrei dovuto rompere il mio rapporto con lei; e, di conseguenza, più tardi, anche con Beate: non si potevano separare del tutto l’una dall’altra le due sorelle.
Così, mi conveniva alla fine fare buon viso a cattivo gioco ed esibire a Trude il mio certificato razziale, come si mostra il passaporto ad un gendarme di frontiera. Ma mi restava ancora un’ultima curiosità, o meglio, quasi un’attrazione molto simile a quella che può venire a chi si affaccia ad una profonda voragine e cerca di misurarne con lo sguardo la profondità: come si poteva chiedere ciò che Trude mi chiedeva? In che modo si poteva arrivare ad una simile richiesta? Ho domandato in tono di affettuosa e malinconica inquisizione: “Ma sei veramente sicura di volere questa prova?“ Un’onda ha investito la barca, a prua. Trude è andata su su, verso il cielo; qumdi, appena è ridiscesa, ha detto “Sono certamente sicura di amare il mio paese. Allora siccome il mio paese vuole che io voglia questa prova, io te la chiedo, ecco tutto. “ Ho insistito: “Bisogna amare il proprio paese sempre e in tutti i casi?“ “Direi di sì.” Sono stato zitto un momento, pur remando. Poi ho ripreso: “Ma io non sono tedesco; il mio paese, almeno per ora, certe cose non le chiede. “ “ Sì, lo so che non sei tedesco. ” “E poi, alla fine, perché dovrei fornire questa prova?” “Te l’ho già detto, per rassicurarmi. ” “Ma in vista di che? Io amo Beate, non te; e Beate non mi chiede nessuna prova. Tra noi due non c’è e non può esserci nulla; perché allora la prova?“ Parlavo senza guardarla, volgendo gli occhi verso il basso, al fondo della barca. Ho sentito, dopo un breve silenzio, la sua voce che diceva quasi umilmente: “Hai ragione, torniamo a riva,“ e allora ho alzato gli occhi.
Mi ha colpito il cambiamento di espressione del suo volto. Stava rannicchiata come prima, sul sedile di prua, mi fissava con occhi che parevano disfatti da un’angoscia improvvisa. La stessa angoscia disperata e impotente che, dalla mia tavola, avevo letto ogni sera per tanti giorni negli occhi di Beate. Adesso, non era più Trude; era lei, proprio lei, Beate, nonostante quell’assurda richiesta della prova che Beate non avrebbe mai fatto e che, appunto, perché Beate non l’avrebbe mai fatto, mi turbava come un’improvvisa dichiarazione d’amore. Insomma, mi sono detto, era Trude a chiedermi di vedere il membro; ma era Beate che l’avrebbe visto. Questa distinzione sembrerà sottile; ma, evidentemente, non lo era per il mio desiderio sempre presente e sempre in agguato. Ho domandato piano, con voce sommessa: “Allora lo vuoi veramente?” L’ho vista fare un gesto affermativo con la testa: era ancora Beate, non Trude, colei che mi faceva quel gesto di assenso; e infatti adesso io sentivo la richiesta non più come un’assurda esigenza burocratica ma come una lusinghiera, misteriosa curiosità erotica. Ho portato le due mani alla cintola, ho allargato l’elastico del costume e l’ho abbassato lentamente sulle gambe. Ho detto con voce bassa, a testa china, guardandomi al ventre: “Ecco il documento che mi chiedevi, come vedi ho le carte in regola; ma dovevi evitarmi questa prova. “ E ho fatto il gesto di rimettere ogni cosa dentro il costume. Allora ho sentito la voce di Trude che implorava: “No, ti prego, resta così, ancora per un momento.“ “Ma perché?” “E’ così bello, il mare, il vento, il sole, le rocce, e tu, in mezzo a tutto questo, che mi desideri. “ “Io non desidero te, ma Beate.” “ Sì, lo so, ma è bello ugualmente. ” Ho detto con rabbia improvvisa: “Non è bello, è una bassezza. “ “Perché una bassezza?” Ho riflettuto un momento e, poi, con calma, ho spiegato: “Perché è una bassezza mentire a se stessi per far piacere ad un altro.“ Stavo per aggiungere, ancora una volta: “Beate non me l’avrebbe fatto fare”, ma mi sono morso le labbra: Beate, quando mi aveva incoraggiato con gli occhi a rispondere al saluto fascista di Muller, in realtà mi aveva fatto fare una bassezza simile, se non peggiore.
C’è stato un momento di silenzio. Mi guardavo tuttora il ventre e non la vedevo. Poi ho sentito di nuovo la sua voce: “Se è così, immagina che io sono Beate e ti ho chiesto la prova perché voglio fare l’amore con te.“ “Beate non vuol fare l’amore con me. ” “Chissà, proviamo?” Com’era dolce la sua voce; della dolcezza complice e provocante di un desiderio che si alimenta del desiderio altrun Ho provato ad un tratto una gran rabbia contro me stesso; o meglio, contro la parte del mio corpo che opponeva la propria eccitazione indiscriminata alla verità del sentimento d’amore. Ho gridato: “Tu non sei Beate, non puoi capire che cos’è Beate per me, non sei mai stata disperata, non hai mai desiderato di morire, non hai mai avuto orrore della vita. Sei nient’altro che una qualsiasi ragazza nordica piombata a Capri con la voglia di avere una volgarissima avventura balneare “ Si è messa a ridere, per niente offesa. Ha detto indicando il mio membro ormai in stato di erezione: “Quella cosa lì, non la pensa come te, però,“ e poi vedendo che facevo il gesto di rimettere a posto il costume: “No, non coprirlo, mi piace tanto guardarlo. Adesso, senti piuttosto cosa ti propongo. Tu ami Beate, va bene, io non voglio che tu la tradisca. Ma mi è venuta una gran voglia di fare l’amore, forse per colpa di questo sole e di questo mare. Allora facciamo così: tu non ti copri, ma tendi il piede in avanti. Non devi far nulla. Il tuo piede, basta. “ “Che cosa vuoi fare?” “Adesso lo vedrai. ” Mi guardava con aria seria e imperiosa; come se si fosse trattato per lei di una richiesta ragionevole e giustificata.
Meccanicamente ho alzato la gamba destra, le ho teso il piede. Trude ha accolto il piede tra le due mani e, tenendolo per la caviglia e per la punta, ha preso a farlo andare lentamente, su e giù tra le gambe. Ho sentito sotto la pianta del piede il sesso molle e tuttavia resistente ed elastico sfrangiarsi muovendosi di qua e di là come le falde carnose e sfuggenti di un animale marino abbarbicato ad uno scoglio, in una corrente che, pur senza strapparlo, lo maltratti dolcemente e senza tregua. Ho alzato gli occhi e l’ho guardata. Teneva la testa reclinata verso la spalla, e gli occhi semichiusi; ogni tanto la lingua aguzza e rosa le dardeggiava fuori dalle labbra, come sospinta da un meccanismo misterioso e, in qualche modo, beffardo. Questo movimento del mio piede guidato dalle sue mani su e giù contro il sesso è durato a lungo. Poi Trude ha emesso un profondo sospiro e, in una distensione spasmodica di tutto il corpo, è scivolata dal sedile sul fondo della barca.
Non per questo ha lasciato la presa del mio piede che, adesso, stringeva al seno come un caro tesoro. Ad un tratto, mi sono accorto del silenzio e allora ho sentito, molto vicina, la risacca delle onde contro le rocce: durante l’amore, la barca era andata alla deriva e ora si trovava a poca distanza da un piccolo promontorio. Ho afferrato in fretta i remi e, pur lasciando il mio piede tra le mani di Trude, con poche remate ho portato la barca lontano dagli scogli. Quindi ho tirato di nuovo i remi in barca e ho guardato a Trude. Ha detto subito, come i nostri occhi si sono incontrati: “Ancora.” E così ho dovuto lasciare che lei si tirasse su di nuovo sopra il sedile e si riprendesse il piede in grembo, come poco fa. Tutto si è ripetuto: gli occhi chiusi, il dardeggiamento della lingua, il sospiro, la scivolata in fondo alla barca. Alla fine, dopo essere rimasta per un poco immobile, come riassaporando il piacere, Trude si è alzata ed è tornata a sedersi a prua. Mi sono tirato su il costume, ho ripreso i remi. Mi ha chiesto soddisfatta e ironica: “Allora, chi ero per te mentre mi accarezzavi, Trude o Beate?“ “Beate non voleva essere accarezzata.” “Ne sei proprio sicuro? Le anime belle del genere di Beate hanno degli appetiti formidabili. “ Ha tolto dalla borsa la cuffia di gomma bianca, se l’è calzata sul capo, spingendo dentro i capelli ribelli, poi ha detto: “Faccio un tuffo.” Rapidamente è salita sulla prua e si è gettata in mare.
Sono rimasto nella barca, le mani sui remi, guardandola che nuotava a poca distanza. Le onde, piuttosto alte e in gran disordine quasi non parevano toccarla, tanto sicuri e agili erano i movimenti delle sue braccia mentre scivolava tra un’onda e l’altra simile ad un lungo e lucido pesce nero dalla testa bianca. Ha fatto il giro della barca, quindi si è issata con un solo slancio delle braccia, fino a mezzo petto, ha impresso al corpo una seconda spinta, è capitombolata dentro. Eccola adesso, col costume tutto luccicante mcollato al corpo, seduta di nuovo a prua. Ha detto, tirandosi via la cuffia e scuotendo il capo per fare uscire l’acqua dalle orecchie: “Adesso andiamo a mangiare.
Muoio dalla fame. Voglio mangiare, mangiare, mangiare tutte le buone cose della cucina italiana. Non voglio più parlare di Beate e delle sue complicazioni finché non avrò mangiato a sazietà. “