Il candelabro di Iaiá

Continuavano a guardarmi come se fossi matto e blaterassi parole sconnesse. Forse era pure vero. Oppure ero io che non riuscivo a spiegarmi.

Sono rimasto in silenzio. Ha continuato Elisa.

«Va bene, Mariano, abbiamo capito. Dunque, cominciamo a fare questo puzzle. Oppure giochiamo a domino, se ti piace di più. Primo pezzo: l’altra notte, Rosario ci ha detto che abita qui. Secondo: Leo ha scoperto che questa era la senzala, cioè il posto dove dormivano gli schiavi».

«E io ho notato che i suoi vestiti somigliano a quelli della schiava dell’incisione, perciò Rosario deve essere una schiava» ha aggiunto Tere, completando il ragionamento col terzo pezzo del puzzle.

«Deve o doveva?»

«Fa lo stesso».

«E no, invece. Se deve, vuol dire che è viva e che la schiavitù esiste ancora. Se doveva, allora ha vissuto tanto tempo fa, ed è un fantasma» ha insistito Leo con logica infallibile. «In quest’ultimo caso, Tere, non puoi svicolare, diventa un fatto assodato».

«E va bene, Leo. Pensiamo tutti che Rosario sia lo spirito, o il fantasma, di una schiava vissuta qui, in questa senzala, tanto tempo fa. E vogliamo comunicare con lei. Siamo tutti d’accordo? Anche tu? O vuoi continuare a dire di non crederci?»

Il silenzio generale confermava queste conclusioni. Elisa ha proseguito.

«Questa Iaiá deve essere stata la figlia del padrone degli schiavi, un uomo molto cattivo. Lei invece era buona, o comunque era amica di Rosario, infatti le ha regalato il candelabro… giusto?»

«Giusto!» ho detto.

«E secondo le ricerche di Mariano, se vogliamo incontrarla di nuovo dovremo riprodurre le stesse circostanze del nostro primo incontro, giusto?» ha aggiunto Leo.

«Giusto!» ho ripetuto.

«Sì, ma quali circostanze? Non vorrete mica aspettare un’altra notte di lampi e tuoni per metterci a rifare il puzzle lì sul tavolo? O sperare che salti la luce per rimanere al buio?»

«E chi lo sa, Tere. Bisognerà procedere per tentativi».

Di colpo mi è venuta in mente un’altra possibilità. Forse avevo trovato il pezzo mancante.

«Non ci sarà bisogno di lampi. Magari basta spegnere la luce».

«Proviamo…» ha suggerito Leo, facendo scattare l’interruttore.

Siamo rimasti al buio, in attesa di qualcosa che però non arrivava.

Abbiamo chiamato Rosario per nome, ma senza alcun risultato. Poi, però, abbiamo sentito di nuovo quegli strani rumori metallici, come un tubo che scoppia o qualcosa del genere. E dei gemiti in lontananza, non si capiva se era una civetta o qualcuno che gridava piano.

Un brivido mi è sceso lungo la schiena. Per quanto ci tenessi a svelare il mistero, non ero proprio sicurissimo che quella fosse la strada giusta.

«Si è aperta la finestra? All’improvviso fa un freddo…» ha detto Tere.

«Si chiamano brividi» ha specificato la voce di Leo. «E sono sintomo di tremarella…»

«Leo, smettila di provocare» lo ha sgridato Elisa.

«Lascia stare, Elisa, ha ragione lui. Dev’essere proprio la paura… Ho la sensazione che mi si siano drizzati tutti i peli delle braccia…» ha insistito Tere.

«E ti battono i denti, e ti tremano le ginocchia. Secondo te non lo sentiamo, il rumore?»

Quel rumore lo sentivamo tutti… ma non sembrava venire da Tere.

Dopo un po’, è stata proprio lei ad avere l’idea.

«Potresti accendere la candela, Elisa? Almeno vedremo chi è che batte i denti, perché di sicuro non sono io…»

«Ma certo, ecco cos’è!» ha esclamato Elisa. «Potrebbe trattarsi proprio dell’ultimo pezzo del puzzle. Bisogna accendere il candelabro di Iaiá. L’ultima volta, Rosario è apparsa proprio a lume di candela».

«Mi sa che hai ragione!» mi sono entusiasmato. «Anzi, a pensarci bene, l’altra volta, quando abbiamo sentito solo il rumore del pianto, io sono uscito in corridoio con la torcia e tu mi hai detto di avere acceso il candelabro, no?»

«È vero!» ha detto Elisa. «Bravo che te lo sei ricordato, Mariano».

«E poi ora sappiamo che il candelabro è suo…» ho proseguito. «Di certo sta qui fin da quell’epoca. Ed era l’unica luce, qui nella senzala…»

«No» ha riflettuto Leo. «Ce ne devono essere state anche di altro tipo: fuocherelli o bracieri, lanternini di latta riempiti con olio di balena, bottiglie con candele infilate nel collo… Questo candelabro è di ceramica inglese, roba fine, importata, di sicuro non apparteneva a questo posto».

«Ma noi sappiamo che a un certo punto è diventato di Rosario, glielo ha regalato Iaiá…»

«Certo, certo, Tere, dico solo che in generale l’illuminazione qui doveva essere più varia…»

«Però l’effetto non sarà stato poi così diverso. Penso si possa tranquillamente dire che la luce di questa candela assomiglia molto alla luce notturna di una senzala all’epoca della schiavitù…» ho concluso io. «Cioè, non riproduciamo soltanto gli avvenimenti dell’altra notte. In un certo modo, stiamo creando anche un ponte con l’ambiente in cui Rosario ha vissuto».

Il discorso non è andato più avanti di così, perché a quel punto Elisa ha acceso un fiammifero, che però si è subito spento. Siamo rimasti tutti in attesa. Non si sentiva più alcun rumore. Con la vampata del secondo fiammifero, lo stoppino si è finalmente acceso. La fiamma della candela ha tremolato un po’, ma alla fine si è raddrizzata ed è rimasta ferma, producendo abbastanza luce. Nessuno batteva i denti, né faceva rumori di alcun tipo.

Fuori, in corridoio, c’era qualche rumorino indistinto, ma ben presto è finito anche quello.

La porta ha cigolato, si è aperta.

Piano piano, Rosario ha cominciato a entrare. Più che camminare scivolava, come se pattinasse sul pavimento a piedi nudi. Ma non ha attraversato muri, né è comparsa dal nulla. È entrata dalla porta, come chiunque altro. Non era nemmeno trasparente.

L’unica cosa molto evidente e non proprio normale, ma era una cosetta, una stupidaggine, una robina proprio da niente, è che Rosario non aveva ombra. So di averlo notato con chiarezza, e mi sono detto che non c’era bisogno che mi spaventassi, non aveva nessuna importanza. A quanto si legge nei libri, nemmeno Peter Pan possedeva la sua ombra, eppure era un avventuriero e uno di compagnia…

Rosario serena e tranquilla, davanti ai ragazzi. I ragazzi facevano ombra, lei invece no.

Comunque sia, non riuscivo a staccare gli occhi dal muro, come se fosse uno schermo su cui stavamo guardando un film. La luce della candela proiettava le sagome di noi quattro. Ma attraversava la nostra ospite. Insomma, c’era poco da fare. Nessuno è perfetto…

Se non altro stavolta Rosario non è rimasta zitta, né ci ha guardato esterrefatta. Per prima cosa ha salutato.

«Buonasera!»

Abbiamo risposto quasi in coro. E abbiamo subito cominciato a chiacchierare.