De Vincenzi si alzò. Aveva compreso che quell'ultima domanda era una specie di congedo. "Debbo parlare ancora con qualcuna di quelle persone. Poi cercherò di tirare le somme dentro di me... Quando sarò convinto che la conclusione alla quale sono giunto è la buona, cercherò il mezzo di procurarmi le prove che la dimostrino, e con queste prove alla mano, confonderò l'assassino... Dopo, il mio compito sarà terminato."
"Amen!" fece il Questore. "Iddio vi assista. Ho visto che questi delitti vi turbano, e che il vostro cervello lavora affannosamente. Affidatevi alle vostre cellule grigie. Ma non vi fidate delle apparenze e non rigettate alcuna ipotesi per assurda che vi sembri. Ricordate Anassagora, il quale insegnava che la neve è nera." E gli fece un cenno stanchissimo di saluto.
De Vincenzi uscì dall'ufficio del Questore abbastanza turbato. Con quella sua aria lontana e assorta, dando l'esatta impressione di un vedovo inconsolabile o di un uomo orbato dal terremoto o dall'inondazione di ogni proprio bene terreno, il Capo gli si era rivelato di una perspicacia e di una profondità di giudizio veramente impressionanti. Dopo il breve e succinto resoconto che gli aveva fatto, il Questore aveva mostrato di saperne quanto lui, e aveva intuito tutto quello che lui gli aveva taciuto!
Ma non era questo, naturalmente, che avrebbe potuto turbare De Vincenzi. Quei due delitti – anche se privi dei foschi caratteri dell'orrore e dell'incubo, come altri di cui lui si era dovuto occupare – gli apparivano disperatamente misteriosi. L'ambiente stesso contribuiva a dare al mistero un carattere stranamente paradossale.
Eppoi sentiva – e raramente i suoi presentimenti lo avevano tradito – che il dramma non era finito, ch'esso avrebbe avuto, improvvisamente, sviluppi impensati e forse sorprese tragiche. Vassilli Boldviski aveva seminato attorno a sé troppo male, perché la fioritura non fosse tossica! È un male mortale avvelenare le anime, e quell'uomo lo aveva fatto!
Occorreva far presto, fare molto presto per fermare la vendetta, che l'assassinio del regista non aveva forse completamente placata!
Ma, pur dicendosi tutto ciò, De Vincenzi non pensava a nulla di preciso. C'era in lui una sola convinzione, ed essa, senza alcuna prova, sarebbe stata rifiutata da tutti!
In ufficio trovò un fonogramma sopra il tavolo. Il commissario D'Angelo lo avvertiva che aveva rinvenuto l'ampolla nell'armadio, e che si recava al Gabinetto Chimico con essa. Calcolava di poter essere in Questura verso le quattordici.
De Vincenzi andò a mangiare in una trattoria vicina – una specie di simpatica osteria dove fu servito da una esuberante servotta che gli sorrideva con gran fulgore d'occhi e di denti – e alle due era di nuovo in Questura.
D'Angelo non tardò molto. Giunse affannato e sorridente. Gli porse l'ampolla, togliendosela dalla tasca del pastrano, e gli annunziò con aria trionfante: "Neh, cavalié! Chista è stata!"
"Analisi positiva?"
"Certo! Mo' ve spiego... La stricnina, il cloridrato di stricnina per essere precisi, è stato messo nell'acqua. Era una specie di sale, cristallino..."
"Avanti, D'Angelo! Tutto questo purtroppo lo so... I prismi quadrilateri cristallini non si sono sciolti interamente, e qualcuno è rimasto nell'ampolla, questo volete dirmi?"
"Ebbé, cavalié, medico siete! Proprio comm'o dicite vuie! Di modo che l'analisi è stata facile e concludente: state attento, perché quella è un'ampolla avvelenata!"
"Grazie!" Si mise l'ampolla in tasca assieme al fazzoletto colorato, e si diresse all'attaccapanni.
"Cavalié, e io?"
"Andate a mangiare, prima di tutto!"
"Già fatto! Mentre il medico faceva l'analisi, io mangiavo..."
"Allora, rimanete qui. Se avrò bisogno, vi avvertirò."
In piazza prese un tassì: l'uso continuato dell'autobus lo avrebbe reso nevrastenico.
23. Il fazzoletto colorato
"È un libro interessante quello che state leggendo?"
La portinaia fece letteralmente un salto sulla seggiola e il libro le sfuggì dalle mani. De Vincenzi era entrato in portineria senza che lei lo sentisse. Così spaventata, sembrava uno scoiattolo rosso caduto in trappola.
De Vincenzi raccolse il volume. Era la vita romanzata di Greta Garbo. Lo posò sul tavolo. "Leggete sempre?"
"Perché? È un delitto leggere?"
"Ma no... Tutt'al più, un'imprudenza. Se non avete udito me che ho aperto la porta e sono arrivato fino a voi, come fate a vedere chi passa ed entra o esce dalla casa?"
La donna gli gettò un'occhiata stizzita. "Credete che qui ammazzino un inquilino ogni giorno?"
"Ma uno lo hanno ammazzato, e non era neppure un inquilino... Lasciamo andare... Volevo chiedervi quali persone sono entrate e uscite nel pomeriggio di ieri; ma non lo farò."
"E perché no?"
"Perché assai probabilmente ieri stavate leggendo, come oggi.
"Ma qualcuno l'ho visto, invece!"
"Chi?"
S'era ripresa e appariva piena di baldanza. Ammiccò: "Mi sono preparata a rispondervi... Quel vostro maresciallo di ieri sera mi ha chiesto la stessa cosa. Ma adesso mi ricordo bene... Da che ora a che ora?"
"Dalle due del pomeriggio in poi."
La donna si diede una rassettatina alla gonna, tirandosela sulle ginocchia, si passò una mano sui capelli rossi. "Alla una, è entrata la signorina Assia Paris. La figlia, sapete?"
De Vincenzi accennò di sì col capo; la portinaia aveva cominciato dalla una, invece che dalle due come le aveva chiesto lui, perché l'entrata di Assia nella casa a lei era sembrata importante.
"Alle due e mezzo circa, è rincasata l'americana, Miss Mary: mangia fuori e ritorna sempre a quell'ora. Poco prima delle quattro è entrato il morto... Oh, l'ho visto benissimo..."
"E il morto," chiese De Vincenzi, senza sorridere, "veniva spesso?"
"No, spesso no. Qualche volta. Era l'unico uomo che andasse dalla signora."
"Poi?"
"Subito dopo, saranno state le quattro e dieci, è entrato un fattorino con un mazzo di fiori. Ma è passato di corsa e l'ho veduto appena... portava un impermeabile col cappuccio."
"Un impermeabile? E il cappuccio era tirato su?"
"Sì... Nulla di strano. Ieri il cielo è stato coperto tutto il giorno, e verso le quattro è caduta un po' di pioggia."
"Com'era questo fattorino?"
"Ve l'ho detto che l'ho visto proprio di sfuggita."
"Lo avrete almeno visto quando è ridisceso?"
"No! Questo è il curioso. Non è ridisceso. Io non ci ho più pensato, naturalmente..."
De Vincenzi diede un'occhiata alla Vita di Greta Garbo, e alzò le spalle. Lo sapeva ormai che da quell'interrogatorio non poteva trarre alcuna sicurezza!
"Oh, Dio! Ma allora..." S'era messa una mano sulla bocca e sbarrava gli occhi. "Allora... Madonna benedetta! Era lui l'assassino! Il cappuccio.. il mazzo di fiori perché io non lo fermassi..."
Sì, poteva darsi; ma a che scopo insistere? Nient'altro da cavarle, naturalmente. "Calmatevi... Se era lui l'assassino, a quest'ora se ne è andato, anche se voi non lo avete visto ridiscendere. State tranquilla! Ditemi piuttosto chi altro avete veduto."
"Oh! Non ho più le idee a posto, adesso... Chi altro? Sì, alle quattro e mezzo ho visto uscire la signora con la figlia, e alle cinque è entrato un signore grasso, elegante, con un faccione roseo, sbarbato. Ma è ritornato giù quasi subito, e se ne è andato..."
Micheluccio Vernieri non aveva mentito, dunque.
"E poi alle cinque e mezzo ho visto uscire il signor Renier, quel vecchio magro del primo piano, quello che ha due gatti."
"C'è, adesso?"
"Chi?"
"L'uomo dei gatti!"
"Credo proprio di sì."
"Grazie." Nel richiudere la vetrata, le disse, senza ironia: "Buona lettura!"
I due gatti gli si strofinarono contro le gambe, poi si allontanarono per tornare accanto alla stufa.
Il vecchio stava ritto in mezzo alla stanza. "Avreste potuto interrogarmi ieri notte, commissario! E non lo avete fatto. Che cosa o chi vi ha indotto a credere che io possa sapere qualcosa di più degli altri sulla morte di Nicholson?"
"Questa." E De Vincenzi trasse dalla tasca l'ampolla.
Nessuna reazione, se non un sorriso che gli scoprì la chiostra dei denti neri e radi. "Quella?"
"Non è stato con questa che voi avete versato il veleno nel boccale?"
"Senza dubbio!"
"E non sapevate che essa conteneva vero veleno?"
"Ma no!" Corrugò la fronte. "Per Dio! Io l'ho ricevuta da Telma Zinger, quando già mi trovavo davanti alla macchina da presa! Tutti mi hanno visto..." Indubbiamente, questo doveva sembrargli conclusivo.
"Infatti. Ma l'ampolla si trovava nell'armadio degli accessori da due giorni."
"In due giorni chissà quanta gente si è avvicinata a quell'armadio."
"Voi avevate provato la scena con Boldviski, e sapevate a cosa quell'ampolla sarebbe servita."
"Volete dire che io solo lo sapevo?"
"Diciamo voi e poche altre persone."
"Può darsi!" Fece una pausa. "Sapete dirmi, commissario, quale interesse potevo avere io ad avvelenare Set Nicholson?"
"Se un tale interesse esistesse, ancora non lo so."
"Se esistesse, mi vedreste fremere dal terrore di essere scoperto. Sono segreti che presto o tardi si svelano da soli."
"Qualche volta tardi, e io non ho tempo da perdere, questa volta! "
Sid si grattò un'orecchio. "E allora?"
"Niente! Io non credo che voi sapevate che l'ampolla conteneva la stricnina."
"Come?"
"Ho detto che non vi accuso di avere ucciso Nicholson."
Un altro sorriso. "Ve ne sono grato..." Aveva la fronte madida di sudore. Soltanto allora se ne accorse. Fece l'atto di mettere la mano in tasca per prendere il fazzoletto, ma s'interruppe. Si asciugò il sudore col dorso della mano.
De Vincenzi ebbe un lampo. "Perché non asciugarvi con questo?" Gli porse il grande fazzoletto colorato.
Il vecchio lo guardò e gli occhi gli si dilatarono. "Come avete fatto?"
"Che idea di smarrire un fazzoletto così... evidente!"
Sid Renier cercò dietro di sé una seggiola, e vi si lasciò cadere. Le gambe non lo reggevano. Era livido e altre goccioline di sudore gli imperlavano la fronte.
De Vincenzi n'ebbe pietà, e per non vederlo girò lo sguardo sui due gatti magri, che inarcavano la schiena davanti allo sportellino della stufa. Troppo semplice... Eppure, tutto concordava. Nessuno più facilmente di Sid Renier avrebbe potuto entrare nell'anticamera di Cobina de Kergorlay e uscirne, scomparendo giù per le scale in un baleno: abitava al primo piano della casa e gli era sufficiente cacciarsi dentro la sua porta... "Vi rendete conto che questo fazzoletto, abbandonato ai piedi del cadavere, costituisce una terribile prova contro di voi?"
"Sono stato un imbecille!"
"A uccidere Boldviski? Temo di sì!"
"A non accorgermi che quel fazzoletto mi era caduto dalla tasca. Io non ho ucciso Boldviski."
"Non avevate ragione di farlo?"
Questa volta il vecchio tremava. "È tremendo," disse, e si asciugò le perline con la mano.
De Vincenzi sedette di fronte a lui. "Volete parlarmene tranquillamente?"
Sid lo guardava con occhi torbidi. "La mia maledizione è stata di aver incontrato Boldviski! Ogni sciagura mi è venuta da lui. E adesso che è morto mi trascina all'inferno con sé! Povera Lilli e... povero Sid..." Ebbe un solo singhiozzo e poi si mise a piangere silenziosamente: le lacrime gli solcavano le gote. "Almeno fossi stato veramente io ad ucciderlo! Avrei vendicato Lilli..."
De Vincenzi ripeté dolcemente: "Parlate con me a cuore aperto, Sid Renier. Può darsi che ancora ci sia qualcosa da salvare, per voi..."
L'altro scosse il capo. "Parlerò, naturalmente! Oramai non posso far altro... Ma voi non mi crederete..."
"Asciugatevi gli occhi..." e gli diede il fazzoletto a colori, che teneva ancora in mano.
Sid lo afferrò, si asciugò gli occhi e la fronte. Poi parlò. Senza concitazione e senza speranza. Quand'ebbe terminato, levò lentamente gli occhi su De Vincenzi. "Ve l'ho detto che non mi avreste creduto!"
De Vincenzi pensava: se è vero quel che dice, la fatalità è tutta contro di lui; ma se anche gli credo io, chi altri gli crederà? "Boldviski aveva sposato la vostra Lilli?"
"Sì. Avevamo divorziato, in Ungheria."
"Fu prima di Hollywood?"
"Due anni prima. Erano scappati da Budapest in Italia. Poi lui andò a Hollywood e abbandonò Lilli a Milano. Io lo seppi troppo tardi... Quando corsi in quella città per riprendermela, Lilli era morta!"
"E non sapeste nulla della bambina?"
"Mi dissero che quell'infelice era morta di parto. Ho sempre creduto che anche la bambina fosse morta... Giurai di vendicarla... Ma per andare in America mi ci voleva molto denaro, e non ne avevo. Dopo l'abbandono di Lilli, m'ero messo a bere. Ripresi a suonare. Per anni lavorai con la determinazione feroce di raccogliere il denaro che mi occorreva... Un anno fa, finalmente, partii... Quando arrivai a Hollywood, Boldviski non c'era più. Seppi che era venuto in Italia... Ritornai qui, allora, e finalmente lo raggiunsi! Naturalmente, m'ero messo a frequentare gli ambienti cinematografici, era l'unico modo per trovarlo. Dopo qualche mese sentii parlare dell'Acidalia e di Boldviski. Intanto mi ero fatto qualche amicizia nell'ambiente, per vivere facevo la comparsa a Cinecittà. Un giorno vidi assieme Cobina de Kergorlay e Boldviski, e da Telma Zinger seppi che erano sposati. L'aveva sposata appena arrivato a Hollywood, quando Lilli era ancora viva... Maledetto!"
E lui lo aveva ucciso! Questa era l'unica conclusione logica. Ma se invece fosse stato vero tutto quello che Sid raccontava? Se Sid avesse aspettato a vendicarsi, perché credeva che la figlia di Lilli fosse viva e fosse Gita Garena? "Datemi la chiave..."
Sid si alzò. I gatti gli corsero fra le gambe. Lui li accarezzò: "Buoni... buoni..." Prese la chiave da un cassetto e la diede a De Vincenzi.
"Vi eravate accorto di aver perduto quel fazzoletto?" E glielo tolse di mano per rimetterlo in tasca.
"Eh, sì... E non poteva essermi caduto che lassù."
Per questo non aveva osato mostrarne un altro simile e s'era asciugato il sudore con la mano; quando poi gli aveva messo sotto gli occhi il fazzoletto, in lui s'era prodotto istantaneamente il collasso. Doveva aver vissuto ore d'angoscia, dal momento in cui si era accorto di aver lasciato un indizio così grave.
"Come era rimasta la porta, quando siete uscito dall'appartamento di Cobina?"
"Aperta..." Sorrise amaramente. "Un altro errore!"
"Non avete cercato l'atto di nascita?"
"A che scopo, ormai? Lui era morto. Lo vedevo lì davanti a me! Poi qualcuno ha suonato... Ho avuto tanta paura, e subito dopo sono fuggito..."
De Vincenzi andò all'uscio, lo aprì. "Non vi muovete, torno subito!"
Salì di corsa le scale, ma non si fidò di perdere di vista la porta. Quando fu al secondo piano, chiamò l'agente di piantone, che stava sul pianerottolo del terzo. Gli parlò in fretta. Ridiscese con lui, lo fece entrare nella camera del vecchio musicista.
"Sid Renier, quest'uomo rimarrà con voi."
"Mi arrestate?"
Fu evasivo. "Per adesso, vi prego di non muovervi di qui."
Sid andò a sedere davanti alla stufa e si prese i due gatti sulle ginocchia.
De Vincenzi uscì senza perdere altro tempo. All'agente aveva raccomandato di non lasciar solo nemmeno per un minuto il vecchio, ma non aveva affatto paura che Sid tentasse di fuggire; ovvero non che tentasse di fuggire dalla casa.
24. Le rose gialle
Suonò alla porta di Cobina.
"Buon giorno, commissario!"
Era più bianca che mai. Ma gli occhi le ardevano, per quanto lei cercasse di attenuarne lo splendore febbrile tenendo le palpebre basse. Vestita di nero, non appena De Vincenzi fu entrato e lei ebbe chiusa la porta, incrociò le braccia sul petto e si immobilizzò. La luce dell'anticamera era accesa. Senza esitazione, Cobina fissò in terra il posto dove Boldviski era caduto. Nel suo sguardo non c'era pietà e neppure rincrescimento. Una specie di luce trionfale, al contrario.
De Vincenzi notò che nella stanza da pranzo le lampade erano spente. Si poteva presumere che fosse stata al buio in casa, e che soltanto quando s'era recata ad aprire la porta avesse acceso.
"Avete notizie di vostra figlia?"
"Sta bene, per quanto la morte di Nicholson, dopo quella di suo... di Boldviski, abbia finito di sconvolgerla. Voi non vi siete recato a interrogarla?"
"Nessun bisogno. Lei non potrebbe dirmi nulla di più e nulla di diverso di quel che mi avete detto voi."
Tolse lo sguardo di terra per gettargli un'occhiata di traverso, rapidissima e scrutatrice. "Credete che io abbia mentito e che anche Assia mentirebbe?"
"Credo che voi non abbiate mentito, signora de Kergorlay. Ho trovato colui che ha perduto un fazzoletto in questa camera, ieri tra le quattro e le cinque."
Trasalì. Le rughe della fronte le si fecero profonde come ferite. "Avete trovato l'assassino?"
"Non so... Chiunque altro, e temo anche il giudice istruttore, non esiterebbe a rispondervi di sì. Ma io non so..."
"A chi apparteneva il fazzoletto?"
"A Sid Renier."
Lo stupore fu sincero e sconfinato. "Non capisco!"
"Vostro marito era già ammogliato, quando sposò voi, signora de Kergorlay?"
"Fuggii da lui anche per questo..."
"Conoscete il nome di sua moglie... della sua prima moglie?"
"È morta."
"Lo so. Ma il nome?"
"Lilli... Non ho mai saputo altro, di lei."
"Non avete nelle vostre mani un documento, un atto di nascita della figlia che Boldviski aveva avuto da sua moglie? Intendo dalla sua prima moglie?"
"Non ho mai posseduto nulla di simile, commissario. Io scoprii l'esistenza di questa Lilli, e mi convinsi di aver sposato un bigamo, da una lettera che gli arrivò a Hollywood e che lessi per caso." Ebbe un fremito. "Una lettera orribile! Rivelava cose atroci. Quell'uomo era un mostro di crudeltà e di egoismo..."
"E non sapevate che, assieme alla moglie, Boldviski aveva abbandonato una figlia?"
"No, commissario."
"Strano..." Era peggio che strano. Possibile che Sid Renier avesse mentito proprio su quel punto? Che tutta la storia del documento e di Gita Garena fosse un'invenzione? Taceva, mentre il suo cervello faceva un affannoso, velocissimo lavoro.
"Perché Sid Reiner avrebbe ucciso Boldviski?"
"Perché Lilli aveva divorziato da lui per sposare Boldviski, il quale dopo un anno l'aveva abbandonata... per sposare voi!"
"Come ha fatto a entrare qui dentro?"
"Con una chiave falsa. Sid Renier abita al primo piano di questa casa."
"Infatti!"
De Vincenzi disse con voce grave, nella quale vibrava un appello profondo: "Siete sicura di non avere in casa vostra un documento che riguardi comunque l'esistenza della figlia di Lilli e di Boldviski? Siete proprio sicura di non aver mai parlato di questo documento a vostro marito, o a qualche altra persona?"
Lo sguardo le brillava. "Sulla testa di Assia, ve lo giuro, commissario."
De Vincenzi sentì che diceva la verità. "Vi ringrazio, signora." Si diresse alla porta. "Commissario!" La voce aveva vibrato stranamente turbata.
"Ditemi, signora..."
Si era voltato in fretta, tanto il suono della voce di lei lo aveva colpito, e aveva fatto in tempo a vedere un volto disfatto dal terrore, due mani che si tendevano verso di lui. Ma fu un lampo. Cobina tornò impassibile, ripiegò le braccia sul petto, facendo scomparire le mani nelle maniche. "Nulla, commissario. Perdonatemi. Nulla! " E andò in fretta ad aprirgli l'uscio.
Sul pianerottolo, De Vincenzi si fermò. Aveva bisogno di qualche minuto di riflessione. Adesso, le rivelazioni si accavallavano, sovrapponendosi. In un'ora la sua inchiesta aveva fatto molto cammino, troppo... Il suo volto rifletteva l'intenso sforzo del cervello. Per quanto si fosse detto, e i fatti rivelatigli da Cobina lo obbligassero a ripetersi, che l'unico assassino possibile era Sid Renier, non riusciva a sentirsene convinto.
Di una cosa era certo: egli aveva sfiorato la verità e questa gli era adesso più che mai vicina. Vederla! Vederla bisognava! C'era in lui il fermento che preludeva alla comprensione totale. Sarebbe bastata una scintilla a far sprizzare la luce nel suo spirito. Chi gliela avrebbe data, di dove gli sarebbe venuta, quella scintilla? No, non c'era da far altro che attendere... attendere e provocare negli altri quelle reazioni che li obbligassero a parlare, ad agire.
Suonò alla porta di miss Mary Llewellyn. La giovane aprì la porta quasi immediatamente. Indossava un abito sportivo di lana turchina, con le spalle quadrate e stretto alla vita. Qualcosa tra l'uniforme militare e quella da groom di grande albergo. Ma i capelli d'oro matto, le labbra rosse e le gambe inguainate di seta e visibili fin sopra il ginocchio correggevano subito la prima impressione, facendo pensare piuttosto a un costume da rivista.
"Well! Il mio amico commissario! Sono appena tornata a casa... Entrate!" Si diresse nell'altra stanza. "Venite avanti... Prenderemo il caffè..." Si tolse il cappello – un feltro azzurro – e lo gettò da lontano sopra una seggiola. Il feltro cadde a terra. Lei diede una scrollata al capo e alla zazzera. Si avvicinò al cassettone dov'era una macchinetta elettrica già pronta. Mise la spina. "Ecco fatto! Ebbene? Non sedete?"
De Vincenzi prese una sedia.
"No! Non lì... sul divano... Il caffè si prende seduti sul divano..." Gli si andò a sedere accanto.
De Vincenzi guardava un mazzo di rose gialle in un vaso di vetro, sopra un piccolo tavolo. "Le avevate anche ieri sera?"
"Cosa?"
"Quelle rose..."
"Sì..."
Infatti apparivano leggermente vizze. Come aveva fatto a non vederle la sera prima? Vero che il tavolino si trovava in un angolo, e poi lui non sapeva ancora del fattorino con l'impermeabile.
"Ve le ha mandate il vostro amico?"
"Lui? Prima di tutto non è il mio amico, ma il mio fidanzato! Eppoi è molto tempo che la nostra storia dura, oramai... Il periodo dei fiori è tramontato..."
"Da Los Angeles?"
"Chi vi ha parlato di Los Angeles?"
"Voi. Non mi avete detto di aver conosciuto Boldviski a Hollywood?"
"Io non vi ho mai detto di aver conosciuto Boldviski, se non di nome. E di Los Angeles non ho mai parlato..."
"Bene, non ha importanza... Avete fatto il cinema anche voi?"
"Un po'..."
"E vorreste farlo anche qui, in Italia?"
"Perché?"
"Mi hanno detto che il dottor Caienni vi aveva proposta a Boldviski per la parte di Lucrezia Borgia."
Lo guardò e disse di scatto: "Lucrezia era bionda come me, sapete? Quasi rossa..."
"Oh, sareste stata l'ideale per quella parte..."
"Lo credo!"
Si udì un sottile sibilo. La macchinetta del caffè era in bollore. Miss Mary si alzò e corse a togliere la spina. Versò il caffè. Tornò al divano con due tazze.
"Ed è Caienni il vostro fidanzato?"
"Siete venuto per chiedermi questo?"
"No. Avrei avuto mille altri modi per saperlo. E che sia lui ormai lo so. Sono venuto soltanto per chiedervi chi vi ha mandato quelle rose, e quando."
Lei guardò le rose e scoppiò in una risata. "Sapete che è buffo? Se davvero siete venuto per questo, ve ne andrete senza cavarvi la curiosità... Neppure io lo so!"
"Un ammiratore ignoto!"
"Uno stupido ignoto."
"E quando?"
"Ieri alle quattro circa."
"Chi ve le ha portate?"
"Un fattorino."
"Con un impermeabile nero e il cappuccio?"
"Come lo sapete?"
"Com'era quel fattorino?"
"Com'era? Ma era un fattorino qualunque! Un ragazzo..."
"Proprio un ragazzo?"
"Ma sì... Ne aveva l'aspetto. Non vorrete anche che vi dica la sua età!"
"Potreste descrivermelo?"
"No! L'ho appena guardato... Che importanza poteva avere per me un fattorino? Gli chiesi di chi erano i fiori e lui rispose che erano del fioraio. Li presi e gli chiusi la porta in faccia."
"Sicché non lo vedeste ridiscendere le scale?"
"No. Perché?"
"Perché qualche volta è utile vedere dove vada a finire un fattorino che porta un mazzo di rose anonime..." Si alzò e andò a posare la tazza vuota sul cassettone.
Un ragazzo, pensava... Le coincidenze in quell'inchiesta cominciavano a essere troppe, e lui sapeva che, quando le coincidenze sono troppe, non si chiamano più coincidenze, ma concatenazione di fatti. Soltanto occorreva dare un senso a quei fatti! "Miss Llewellyn, grazie del caffè... Farò tutto il possibile per venire stanotte alla Taverna di Costantino a vedervi ballare. A proposito, ballate o cantate, voi? Che sapete suonare, lo so. Soltanto, vedete, dovreste affrettare i tempi, quando suonate il Minuetto..." Parlava, dirigendosi alla porta, e la ragazza lo guardava a occhi spalancati, pieni di stupore. Quando lo vide fuori della camera e sentì l'uscio d'ingresso che si chiudeva, esclamò: "Ma quello è matto! Matto da legare!"
25. Gita Garena
De Vincenzi, naturalmente, non era matto. Andandosene in quel modo sbrigativo dalla casa dell'ineffabile ballerinetta americana, aveva voluto semplicemente guadagnar tempo. Ogni minuto contava, dal momento che attraverso i vetri della finestra di miss Llewellyn aveva notato che cominciava a piovere.
Se l'ipotesi che gli era balenata dopo il breve colloquio con Cobina de Kergorlay e davanti alle rose gialle di miss Llewellyn, corrispondeva a realtà, aveva a che fare con un criminale di una specie particolarmente pericolosa: il passionale cerebrale mosso da un impulso incoercibile e aberrante. Lo squilibrato lucido. Tutti gli omicidi sono opera di squilibrati. Quando poi il delitto è passionale, l'equilibrio psichico è profondamente turbato, anche se le azioni del soggetto si svolgono rigidamente secondo logica. E l'uccisione di Boldviski – come quella di Nicholson, del resto – era senza dubbio un delitto passionale.
La vista delle rose gialle portate dal fattorino con l'impermeabile e il cappuccio aveva prodotto in De Vincenzi, col lampo rivelatore, una vera scarica elettrica. Tutti i pezzi del giuoco di pazienza si erano messi a danzargli nel cervello con una sarabanda folle per andarsi a disporre di colpo al loro posto. Tutti quei pezzi tronchi, bizzarri, privi di significato si erano incastrati l'uno all'altro, formando un tutto logico, una figura precisa. Prove? No, non ne aveva alcuna e per di più ancora gli mancava di verificare vari particolari che, se fossero stati diversi di come glieli presentava la sua immaginazione, avrebbero fatto crollare tutto il castello della sua ipotesi. Ma era sicuro – avventatamente, illogicamente sicuro – di non sbagliare!
Ed ecco che per una maledizione, proprio quando nel suo spirito si era fatta la luce, la pioggia cominciava a cadere! Occorreva verificare i particolari mancanti: ma presto, se voleva immobilizzare il colpevole prima che si decidesse a colpire di nuovo per nascondere se stesso, per far scomparire, con qualche altra persona, gli indizi lasciati; soprattutto per chiudere il cerchio mostruoso prestabilito dalla propria aberrazione!
Indizi? Non aveva commesso alcun errore, l'assassino. Tranne uno, uno solo: ma enorme! Aveva lasciato le rose a qualcuno al quale non erano destinate...
De Vincenzi scese le scale della casa di via Brescia a precipizio. Far presto... E Roma è così vasta, Cinecittà tanto lontana...
Far presto, ma agire freddamente, con metodo, con prudenza. Una mossa falsa, e lui si sarebbe trovato un altro cadavere fra i piedi: forse più di uno.
Si fermò davanti alla porta di Sid Renier. Spinse il battente socchiuso. Sid, seduto davanti alla stufa e coi due gatti magri sulle ginocchia, sollevò il volto. L'agente, al rumore della porta era balzato in piedi.
"Quando avete fatto fare la chiave, Sid?"
L'uomo lo guardò e fece un gesto. Che importava tutto questo, adesso! "Me l'hanno consegnata tre giorni fa."
"Come avete fatto a trovare questo appartamento? Perché avete subito pensato all'opportunità di abitare nella stessa casa di Cobina de Kergorlay, se non sapevate ancora del documento?"
"Ma lo sapevo! Fu una delle prime cose che mi dissero, un mese fa! Che Cobina era la moglie di Boldviski e che Gita Garena era la figlia... di Lilli. Fu una sera a Cinecittà. L'Acidalia aveva già affittato il teatro 5 e la piscina, cominciavano i preparativi per il Cesare Borgia. Io volevo farmi scritturare da Boldviski... M'ero rivolto a Telma Zinger, che sembrava la più adatta ad aiutarmi essendo segretaria di produzione. Quella ragazza è comprensiva... Debbo a lei se Boldviski mi diede la parte di Menico Sanguigni... Fu lei che mi parlò di Boldviski e della de Kergorlay... È stata una vera sorella con me, e benedissi Iddio che mi aveva mandato un'anima buona a cui aprire il mio cuore..."
"Le manifestaste i vostri propositi?"
"Le dissi che, se davvero Gita Garena era la figlia di Lilli, avrei saputo costringere Boldviski a fare il suo dovere."
"Le parlaste della chiave?"
"Sì."
"Bene, Sid Renier." Si volse all'agente: "Vieni con me, tu..."
Il vecchio implorò: "Commissario!"
De Vincenzi sapeva quel che gli stava per chiedere. Non si fermò. "Come volete che io lo sappia, Renier? Ma lo saprò... e vi prometto di dirvelo... Per quanto non veda quel che potreste fare per lei, adesso."
Fuori dell'uscio parlò all'agente. "Prenditi una seggiola dalla portineria e siedi nell'atrio... Nell'atrio, capisci? Non dentro la portineria. C'è un uscio in fondo alle scale, che dà sul giardino... È di lì che ieri sera uscì la de Kergorlay, senza esser vista. Devi impedire che qualcuno entri dal portone o da quella porta... Chiunque sia, chiunque... intesi?"
"E se qualcuno esce?"
"Tranne Sid Renier, tutti possono uscire."
"E quando entrano... io li fermo... e poi?"
"Basterà che tu li fermi e li interroghi. La persona a cui io penso, quando si vedrà sorvegliata, capirà che non è possibile fare quel che vorrebbe, e tornerà indietro... Tu lasciala andare!" Scese al pianterreno. Passando davanti alla portineria, vide la testa rossa china sul tavolo. Lo scoiattolo non poteva proprio stare senza leggere!
Appena per la strada, si sentì il volto bagnato dalla pioggia sottile, che minacciava di cadere interminabilmente! Scorse un tassì che passava vuoto, lo fermò. "Via della Rosetta, numero 7. Fa' presto!"
E il tassì, pur facendo presto, fece a tempo proprio per miracolo!
L'atrio era stretto e breve: a neppure tre metri e mezzo dalla soglia del portone cominciavano i gradini della scala. A destra, in uno sgabuzzino senza finestre, un gobbo batteva sul deschetto il tacco di una scarpa da risuolare.
"La signorina Garena?"
Il gobbo alzò la testa. Un visuccio vizzo da vecchio bimbo; il naso aguzzo, gli occhi rossi, i capelli color della barba del granoturco. Squadrò De Vincenzi e brontolò con voce stridula: "E tre!"
"Che volete dire?"
"Che in manco un'ora siete il terzo a chiedere della signorina."
"Chi erano gli altri due?"
Storse la bocca. "Marameo... Che ve n'importa?"
De Vincenzi gli mostrò la placca di commissario. "Polizia."
Il gobbo diede un colpo di martello rabbioso sul tacco. "Mo' semo ar completo! E allora?"
"Ditemi chi erano gli altri due... E presto!"
"Er primo è stato un signore grasso e tondo, no' sgonfiatello pieno de sordi, perché è arrivato in macchina e m'ha rifilato cinque lire appena sceso. E poco fa è arrivato un fattorino con un mazzo de fiori..."
De Vincenzi si sentì prendere dalla vertigine. "Portava l'impermeabile e aveva il cappuccio?"
Il gobbo mandò un fischio. "Pe' Cristo! Ecché i questurini se so svejati? Come ce lo sapete? Ma guarda un po'! Quanno piove chi ce l'ha, se lo mette er cappuccio..."
"Lo avete visto ridiscendere?"
"Subito è ridisceso. E senza fiori..."
"A che piano?"
"Come?"
"A che piano sta la signorina Garena?"
"Ar seconno... Nun ve l'ho detto?"
Fece le quattro rampe di volo, e sul pianerottolo del secondo piano rimase un istante perplesso davanti alle due porte che si facevano riscontro nell'angolo. Ma vide sulla più vicina un nome ignoto e premette il campanello dell'altra. Aveva il cuore in gola.
L'attesa si prolungò per una quarantina di secondi, forse per un minuto; ma fu un minuto che contò nella vita di De Vincenti. Stava premendo di nuovo il bottone, quando tolse la mano di scatto: "Scusatemi."
Gita Garena gli sorrise: "Ero occupata e sono sola in casa..."
"Mi permettete di entrare?"
La ragazza si tirò in disparte. Dall'ingresso lo precedette subito in un salotto ammobiliato sommariamente, ma con gusto. L'impronta di una personalità era evidente. Pochi i mobili, ma artistici. Gita Garena aveva dovuto comperarli a uno a uno, a seconda che i suoi mezzi glielo permettevano, e le pareti vuote ne attendevano degli altri. Sotto la finestra c'era una tavola da disegno con un disegno a carbone incominciato. Ma per prima cosa, De Vincenzi vide un mazzo di rose carnicine e un piccolo involto elegantemente confezionato.
"Guardate i miei disegni, commissario? Prima che riuscissi nel cinema mi davano da vivere... Facevo figurini per le case di mode..." Si era appoggiata alla spalliera d'una poltrona e aveva piegato una gamba sotto di sé. Era una bella figliuola. Un tipo, a ogni modo, con qualche caratteristica orientale. I capelli neri si accordavano all'avorio denso della pelle e gli occhi erano di uno splendore che colpiva. Il corpo pieno, tutto curve dolci, aveva una mollezza e un abbandono seducentissimi.
"Guardavo quei fiori... e quella scatola. Permettete?"
Prese l'involto. Il cordone dorato che l'avvolgeva era già slegato. Aprì la carta. Era infatti una scatola ed era piena di canditi.
Lei lo guardava fare, un po' divertita e un po' meravigliata: un modo strano per procedere all'interrogatorio di un testimonio o di un sospetto!
"Cercate l'assassino tra quei dolci?"
De Vincenzi sussultò. "Non saprete mai come la vostra supposizione risponda a verità, signorina Garena! Immagino che voi ignoriate nel modo più completo il nome di chi vi ha mandato questi dolci e questi fiori."
"Proprio così! Siete stato voi?" Rideva, ma il riso le si spense sulle labbra, perché il volto di De Vincenzi era stranamente cupo e i suoi occhi febbrili non permettevano davvero che si pensasse a uno scherzo. "Perdonatemi! Ma come avete fatto a sapere che il donatore mi era ignoto? Li hanno portati poco fa e io stavo per aprire il pacchetto, sperando di trovarvi dentro una lettera o qualche cosa che me ne rivelasse la provenienza, quando voi avete suonato. Non c'è nulla, vero?"
"No, nulla... eppure tanto! Bisognerà che vi accontentiate di averli soltanto visti, questi dolci, perché li porterò via con me..."
"Non capisco, commissario! Davvero non capisco! Ma questo è il giorno delle sorprese per me, e sono pronta ad aspettarmi tutto e a credere a tutto..."
"Anche a credermi, se vi dico che questi canditi sono avvelenati?" Si rizzò, fece un passo verso di lui. Era pallidissima.
"È uno scherzo, vero?"
"No, non è uno scherzo."
"Ma perché? Perché? E chi mai può mandare proprio a me un veleno...?"
Si passò una mano sulla fronte. Vacillò. De Vincenzi fece a tempo a sorreggerla e a farla sedere. Lei si fece forza subito e gli sorrise. "Scusatemi! Di solito ho più coraggio. Ma la morte di Nicholson e quella di... Boldviski hanno già messo alla prova i miei nervi. Questa storia era già troppo orribile da sola, perché voi veniste a complicarne l'orrore con la vostra rivelazione... Siete proprio sicuro di quel che dite? È inspiegabile!"
"Infatti... Ma forse una spiegazione c'è, per quanto, quando la conosceremo, non farà che rendere più atroce la verità... Avete guardato bene colui che vi ha portato quei fiori e i dolci?"
"Guardato bene? No... Era un fattorino. Me li ha consegnati e se ne è andato. Io sono rimasta così stupita di trovarmi fra le mani un mazzo di rose, che non ho fatto neppure a tempo a chiedergli chi le mandava. Quando ho voluto farlo, il ragazzo era già scomparso giù per le scale."
"Un ragazzo, eh?"
"Ne ho avuto l'impressione..."
"Già!" Chiuse la scatola e se la mise in tasca. "Perché mi avete detto, signorina, che questo era il giorno delle sorprese, per voi?"
"Perché lo è!... Prima del fattorino avevo ricevuto la visita del signor Vernieri... Potete immaginare se sono rimasta meravigliata nel vedermelo davanti. Era stato lui a scritturarmi per l'Acidalia, voglio dire che avevo fatto il contratto con lui, dopo essere stata accettata da... Boldviski... ma lo conoscevo appena. Nessuna intimità, comunque, per giustificare una sua visita."
"E Vernieri?"
"È venuto a portarmi una notizia da mille e una notte... A comunicarmi qualcosa d'incredibile!" Parlava in fretta, con voce tesa, nella quale passavano vibrazioni di pianto. "Sembra... Sembra che io sia quasi ricca, adesso, sapete?" Scoppiò in singhiozzi e si prese il volto fra le mani.
De Vincenzi immaginava quel che poteva esserle venuto a dire il grasso e astuto Vernieri, a cui quell'indemoniato di Boldviski aveva evidentemente l'abitudine di affidare la sistemazione dei propri pasticci. Altrimenti, perché le avrebbero portato i dolci mortali? La guardò qualche istante. La ragazza adesso sollevava il volto.
"Finirete col credermi pazza, commissario... E lo diventerò davvero, pazza! Tutto si sta rovesciando su me così inaspettatamente..." Si asciugò gli occhi e si alzò. Si sforzava di sorridere. "Volete proprio che vi spieghi? Che vi dica come Boldviski fosse mio padre e come io, pur sapendolo, non mi fossi mai preoccupata di cercarlo? Era tanto lontano e io non avevo nessun desiderio di conoscerlo... dopo quello che mi aveva detto di lui la donna che mi ha allevata, e che era la padrona della casa dove mia madre morì, dandomi alla luce... Quando presi la determinazione di dedicarmi al cine, non supponevo neppure che Boldviski potesse venire in Italia e che io avrei lavorato con lui... Poi, naturalmente, una volta costituitasi l'Acidalia, poiché tutti parlavano della nuova società e di Boldviski, lo andai a trovare. Che volete? Per me voleva dire sistemarmi definitivamente... A Boldviski dissi chi ero e che sapevo chi era lui; ma gli dichiarai subito che non pretendevo nulla da lui come padre, e che non avrei mai fatto valere i miei diritti... Fui esplicita e sincera, commissario, credetelo! Lui lo credette, tanto che mi fece scritturare. Dopo quel giorno non lo avevo visto che di rado, per ragioni di lavoro e null'altro... Ed ecco che lo hanno ucciso, e che oggi Vernieri è venuto a comunicarmi che io sono la sua erede... E voi venite a dirmi che quei dolci contengono un veleno e mi salvate la vita, se è vero quel che dite... Non c'è da piangere e da ridere assieme? Pazzesco!"
De Vincenzi capì che, pur riuscendo a dominarsi, Gita Garena era allo stremo delle forze. Perbacco! Poche donne avrebbero resistito fino a quel punto. "Ascoltatemi, signorina! Romanzo o non romanzo, adesso bisogna che voi lo viviate. Ed è altrettanto necessario che lo viva io, fino in fondo. Qualcuno ha ucciso Boldviski e Nicholson... Questo qualcuno sapeva evidentemente chi siete voi, e ha interesse... o forse, anche senza avere un interesse, ha la determinazione di uccidere anche voi. Di questo io sono convinto e occorre che agisca. Per farlo, debbo andarmene di qui. Ogni minuto è prezioso... Mi promettete di osservare scrupolosamente le istruzioni che vi darò adesso? Di fare soltanto quel che vi dirò?"
Gli occhi di Gita si erano spalancati. In lei – messa brutalmente davanti a una atroce realtà – si cominciava a svegliare la coscienza del pericolo corso. "Ma voi sapete chi è l'assassino?"
De Vincenzi eluse la domanda. "Per ora, signorina, io so soltanto chi non è l'assassino. È già molto, credetelo. Farete quel che vi chiedo?"
"Sì," rispose Gita Garena. Ma la voce le si spense sulle labbra, e svenne.
26. De Vincenzi si prepara a fare il gatto...
Alle cinque del pomeriggio, D'Angelo vide entrare De Vincenzi, e il rotondo faccione gli si illuminò. Cacciò quasi un grido. "Oh! cavalié... V'ho cercato dappertutto! Il Questore ha telefonato sette volte... Guardate! Questi sono tutti fonogrammi del Commissariato di via Veneto. Il portiere dell'Excelsior si è dileguato, è scomparso, evaporato... Qui c'è un fonogramma personale per voi del Gabinetto Chimico... Il giudice istruttore, dopo aver conferito col Questore, ha spiccato un mandato di cattura contro..."
De Vincenzi s'era fermato davanti al tavolo del vicecommissario e lo ascoltava. Aggrottò le ciglia e lo interruppe con voce dura, in cui vibrava un'impazienza dominata a stento. "Datemi il fonogramma del Gabinetto Chimico..."
"...contro Filiberto Rossi... Come dite, cavalié?"
L'altro afferrò il pacchetto dei fonogrammi che il vicecommissario aveva dinanzi a sé sul tavolo e li fece passare rapidamente. Trovò quello che cercava e lo lesse:
Commissario De Vincenzi
Questura Centrale
Frutti canditi consegnati per esame contengono tutti aconitina in dose straordinariamente forte – Ognuno d'essi sufficiente procurare morte più persone
Professor Benetti
Gabinetto Chimico
Lo piegò e se lo mise in tasca. "Che cosa dicevate, D'Angelo?" Sembrava più calmo adesso, e guardava in modo quasi lieto il suo collaboratore.
"Dicevo che quei signori dell'Acidalia... Sapete... quel Giucé e quel Micheluccio ne hanno combinato una bella... Una truffa coi fiocchi... C'è il direttore di Cinecittà in uno stato che rasenta l'apoplessia..."
"E il portiere dell'Excelsior che c'entra?"
"Embe', sembra che lui si fosse prestato a favorire la truffa dei due soci... E poi, appena ha visto che la Questura s'occupava dell'Acidalia per quei delitti, ha perduto la testa ed è scappato... È stata la sua fuga a mettere in sospetto uno dei truffati alloggiato all'Excelsior, il quale è corso alla Procura del Re. Adesso, il giudice ha dato ordine che Vernieri e Giucé... No, Micheluccio... Mannaggia a Giucé e a Micheluccio! Scusatemi, cavalié, ma io stongo perdendo a' capa! Insomma, quei due... siano fermati in attesa dell'ordine di cattura. E il Questore vi vuole, cavalié!"
De Vincenzi sorrise. "Calmatevi, D'Angelo!" Teneva sempre fra le mani i fonogrammi. "Suppongo che tutti questi si riferiscono a quanto voi mi avete detto?"
"Precisamente! Se li leggete, forse comincerete a capirci qualche cosa... Ma non ve lo garantisco..."
De Vincenzi gettò i foglietti gialli sul tavolo. "Meglio non leggerli neppure, allora... Sentite, D'Angelo, lasciate che della truffa si occupi la Procura, dal momento che ha cominciato. Noi abbiamo una gatta più seria da pelare... Ascoltatemi... Adesso andrete in via Brescia... Prendete un tassì perché è indispensabile che arriviate presto: vi metterete di guardia nel portone... Se vedete entrare un fattorino con l'impermeabile nero e il cappuccio, lo fermerete e mi telefonerete immediatamente. Laggiù c'è già un nostro agente, ma io non mi fido... Capito?"
"Eccome, cavalié!"
"Del resto, appena avrò parlato col Questore, vi raggiungerò..."
D'Angelo lo guardava.
"Be'? Muovetevi!"
"Neh, cavalié... Ci sta pure il cablogramma da Los Angeles... Me lo ha dato il Questore... quei due hanno commesso qualche cosa di grosso anche laggiù!"
"Questo era evidente... ma non risolve nulla."
D'Angelo s'alzò e si mise il soprabito. Non era molto convinto che il suo nuovo capo avesse interamente la testa a posto, e lo guardava con preoccupazione. Mentre tutta quell'ira di Dio si scatenava all'Excelsior, questo qui si preoccupava soltanto di un fattorino coll'impermeabile e il cappuccio... Cose 'e pazzi!
"D'Angelo, chi è il miglior agente della Squadra? Un ragazzo intelligente, che abbia colpo d'occhio e iniziativa..."
Il vicecommissario si succhiò un dito. "Ah! Volete 'no guaglione sveglio, cavalié? Embe', mo' ve faccio venire Cristarello... Lui si chiama Esposito, ma tutti lo chiamano Cristarello, perché..."
"Mandatemi Cristarello e fate presto!"
D'Angelo scappò in tutta fretta, perché il tono di De Vincenzi era tale da non lasciargli alcuna illusione sul desiderio che quello aveva di strangolarlo. Appena solo, De Vincenzi si attaccò al telefono. "Cercate il numero di Cobina de Kergorlay, in via Brescia, e datemi subito la comunicazione."
Mentre aspettava col microfono all'orecchio, disegnava un'altra testa di cavallo, accanto a quelle fatte prima di colazione... Poi la testa diventò una specie di cappuccio...
"Pronto! La signora de Kergorlay?" Mandò un sospiro di sollievo. "Sono il commissario De Vincenzi... No, non c'è nulla di nuovo... Soltanto questo: ho bisogno assoluto che voi non vi muoviate di casa e non apriate l'uscio d'ingresso a nessuno, per nessuna ragione! A nessuno, capite? Io verrò da voi tra poco... fra un'ora al massimo, e busserò tre colpi alla porta per farvi capire che sono io... Ah, sentite, signora! È anche indispensabile che mettiate il catenaccio all'uscio... Sì, il catenaccio... Scusatemi, vi spiegherò tutto di persona..."
Riappese il ricevitore e, alzando gli occhi, vide sulla soglia un giovanotto lungo e magro, col volto così patito da commuovere e per di più ornato di una barbetta nera, rada e ricciuta. Un vero Cristo agonizzante.
"Tu sei Cristarello, vero?"
"Ai vostri comandi, cavaliere... Ma il mio nome è Esposito..."
"Lo so. Ascolta, Esposito, il vicecommissario mi ha garantito che sei intelligente e furbo. È venuto il momento di dimostrarmelo... Avvicinati..."
Il giovanotto con due passi si trovò addosso alla scrivania, tanto le sue gambe erano lunghe. De Vincenzi gli diede qualche istruzione rapida. "Hai capito?"
L'altro accennò di sì col capo: gli occhi gli lucevano.
"Tieni il denaro per il tassì... Così, farai più presto... Qualunque cosa accada, telefonami in via Brescia al numero di Cobina de Kergorlay. Fattelo dare dal centralino, che l'ha cercato proprio adesso... Intesi, vero? Tu rimani laggiù anche tutta la notte, se non capita nulla..." Si alzò e uscì anche lui dietro Cristarello. Adesso, si trattava di convincere il capo a lasciarlo fare.
Il Questore lo guardò. Appariva meno melanconico del solito. "Possiamo gridar vittoria, De Vincenzi?"
Trasalì. Ma che quello avesse proprio il dono della preveggenza? "Forse, commendatore... Questa sera vi consegno o l'assassino o le mie dimissioni..."
Il Questore accennò a una specie di sorriso, che svanì in una smorfia di dolore. "Immagino che al punto in cui siete v'interessi assai poco la storia dell'Acidalia, vero? Una truffa magnifica, da far epoca. Figuratevi che tanto Vernieri quanto Caienni sono arrivati in Italia senza un soldo e hanno trovato chi ha consegnato loro persino un milione! Un'americana dell'Excelsior ha dato a Caienni tutti i suoi gioielli... E loro hanno creato l'Acidalia, senza un centesimo di capitale! La morte di Boldviski li ha atterrati. Credo che meditassero di fuggire, se quell'imbecille del portiere, che era un loro complice, non li avesse prevenuti, lasciandoli nei guai..." Sollevò con due dita un foglietto azzurro e lo lasciò ricadere sul tavolo. "Questa è la risposta del Procuratore Distrettuale di Los Angeles: anche laggiù avevano fatto lo stesso... Una società per azioni su miniere d'oro inesistenti. La banca di California, che era la loro banca, aveva le casse piene di azioni provenienti da furti e da rapine. Loro due comperavano quelle azioni al dieci per cento del valore nominale, e le davano ai clienti al cento per cento."
De Vincenzi si era seduto. "Avevo immaginato qualche cosa di simile, commendatore. Per questo mi sono detto che né Caienni, né Vernieri potevano aver ucciso Boldviski; anche se Caienni era, diciamo, il fidanzato di Mary Llewellyn, che abita nell'appartamento accanto a quello della de Kergorlay... da dove sarebbe stato facile all'assassino tener d'occhio Boldviski e nascondersi nell'anticamera per ucciderlo. È stata questa la mia prima ipotesi: il minuetto di Scarlatti mi aveva ipnotizzato... Ho pensato fosse un segnale..."
"E invece?"
"Invece, niente. Quella ragazza, in fondo, ha buon gusto e suona Scarlatti perché le piace."
"Non volete dirmi nulla, ancora?"
"Preferirei dirvi tutto alla fine. Vedete, commendatore, io non ho neppure una prova a sostegno della mia convinzione... neppure una! Credo di sapere chi è l'assassino; ma, se adesso mi recassi ad arrestarlo, fra due ore sarei obbligato a fargli le mie scuse... Non ho che un modo per prenderlo: aspettare che giochi la sua ultima carta... e la giocherà! Non può farne a meno... Dopo aver assassinato Boldviski, si è trovato nella necessità di continuare... e continuerà..."
"Dopo aver assassinato Boldviski... e Nicholson..." insinuò con indifferenza il Questore, osservandolo di sottecchi.
"Già," fece l'altro, volgendo altrove lo sguardo. "È tutto incredibile! Quando si entra nel campo della psicopatia, o si arriva alle più terribili ipotesi e si ammette l'inverosimile, o si rischia di non capirci nulla..."
"Oh, sì..."
Con grande melanconia, il Questore sentenziò. "La passione è un desiderio violento e durevole, che domina tutto l'essere." Guardò De Vincenzi. "Lo ha detto Letourneau, ma la definizione di Descuret mi sembra più aderente: un bisogno senza regola..."
Dunque, non è soltanto classica la cultura di costui, pensò De Vincenzi, e cominciò a sentirsi più tranquillo; aveva trovato chi lo avrebbe capito.
"E cosa contate di fare, adesso?"
"Non posso che fare il gatto, commendatore. Mettermi in agguato là dove ritengo che verrà il topo. Non vi nascondo che il rischio c'è, ed è grosso... Un attimo di ritardo nell'agire, un secondo di esitazione, e i cadaveri aumenteranno..." Si strinse nelle spalle. "Eppure, non ho scelta: o correre un simile rischio o rinunciare a prendere l'assassino... Ed è un assassino pericoloso, commendatore! Tanto più pericoloso, quanto più abile..." Si tolse di tasca il fonogramma inviatogli dal Gabinetto Chimico e glielo mise sulla scrivania. "Non si specializza nei mezzi, ma adatta questi alle circostanze, e adopera indifferentemente il coltello o il veleno..."
Il Questore aveva letto il fonogramma. "Aconitina... Aconitum napellus. È una pianta che si trova nei giardini, ma anche le vipere si possono trovare tra i fiori. Ebbene, De Vincenzi, buona fortuna!" E gli fece un cenno di congedo. "Non mi muoverò di qui fin quando voi non mi abbiate telefonato..."
"Può darsi che sia a notte avanzata, commendatore."
"Non vi preoccupate per me."
E De Vincenzi, per la prima volta, sentì vibrare nella voce del suo Capo il tono del comando.
27. ...Per prendere un topo
Erano le sei e un quarto quando De Vincenzi discese dal tassì davanti al portone della casa di Cobina de Kergorlay. Aveva l'impressione di conoscere ormai da un tempo infinito quel portone, le scale e l'ultimo pianerottolo coi due appartamenti... e non erano neppure ventiquattr'ore che vi aveva messo piede per la prima volta!
Pioveva a lunghi fili, come se l'acqua scendesse da una doccia... Trovò D'Angelo seduto in una seggiola nell'atrio, vicino alle scale. L'agente s'era seduto su di uno scalino, al suo fianco. Tutti e due si alzarono quando lo videro, e l'agente tirò qualche calcio per sgranchirsi le gambe.
"Niente, cavalié! Nessuno è venuto..."
De Vincenzi ringraziò la sorte. Se l'assassino avesse affrettato i tempi, con la consegna che lui aveva dato a D'Angelo, gli avrebbe impedito di commettere un altro delitto, ma non avrebbe forse potuto dimostrare la sua colpevolezza.
"Adesso, bisogna che vi togliate di qui. Rimanete in portineria e cercate di non farvi vedere. Il passaggio dev'essere libero. Chiunque vediate entrare o uscire, non muovetevi... Soltanto quando io vi chiamerò, accorrete..."
La faccia di D'Angelo si fece pietosa. "E ci vorrà molto, cavalié?"
"Oh, anche tutta la notte... Quando avrete fame, mandate la portinaia a comperarvi qualche cosa..."
Cominciò a salire le scale. Erano così buie che, appena terminata la prima rampa, ebbe l'impressione di trovarsi in un tunnel. La portinaia coi suoi libri si era dimenticata di accendere la luce. Si sporse dalla ringhiera: "D'Angelo, fate accendere le scale!"
Quando fu sul primo pianerottolo, le lampade si accesero. La porta di Sid era accostata. De Vincenzi esitò. Povero vecchio! Gli aveva fatto una promessa, che adesso era in grado di mantenere... ma di quanto la notizia che poteva dargli avrebbe migliorato la sua sorte? Sid non s'era mosso di dove l'aveva lasciato, e i due gatti gli stavano ai piedi. La stanza era rischiarata soltanto dai bagliori che mandava la legna accesa attraverso lo sportellino sgangherato della stufa.
"Sid Renier, adesso posso dirvi quel che voi volevate sapere..."
"Ebbene, commissario?"
"Gita Garena è la figlia di Lilli e di Boldviski..."
"Ah!"
Una specie di gemito. I bagliori illuminarono il suo cranio calvo. Certo piangeva.
A un tratto, senza sollevarsi disse lentamente: "Vedete, commissario? In ogni caso, io non lo avrei ucciso prima di saperlo..."
"Di questo sono sicuro, Sid..."
"Allora, mi credete?"
"Sì, vi credo." Si volse per andarsene, poi tornò verso il vecchio: "Se qualcuno vi minacciasse, sapreste difendervi, Sid Renier?"
"Perché me lo chiedete?"
"Perché vorrei essere sicuro che voi sapreste difendervi."
"Commissario, oggi non credo che mi difenderei..."
"Invece, voglio che lo facciate. È necessario. E, in tutti casi, dovete chiudere la porta e far scorrere il catenaccio. Se suonano, non aprite, a meno che non sentiate la mia voce. Lo farete, se vi dico che questo può essere utile alla figlia di Lilli?"
"Sì, lo farò, commissario."
"Adesso, ditemi da chi vi siete fatto fare la chiave che apre la casa di Cobina de Kergorlay."
"A Cinecittà c'è un'officina... Chiedete di Ettore... è il garzone, ed è molto devoto a Telma Zinger. Se ne è incaricato senza sapere a che cosa servisse."
"Ho capito! Qualunque cosa accada questa notte, non vi muovete."
Udì che il vecchio metteva il catenaccio e riprese a salire. Un'altra sosta, prima di bussare all'uscio di Cobina. Non doveva lasciar nulla alla sorte, o per lo meno soltanto una piccolissima parte di quel che sarebbe accaduto. E se non fosse accaduto nulla?
Premette il campanello dell'appartamento di miss Llewellyn.
"Non suonate Scarlatti, questa sera?"
La giovane indossava un pigiama di seta nero listato di rosso. Quando lo vide, mandò un'esclamazione che sarebbe stato difficile definire. E lo guardò ironicamente. "Siete tornato per sentire se so affrettare i tempi del minuetto?"
"Oh, non ancora. Non entrerò neppure: ho fretta. Desidero chiedervi soltanto quel che fareste, se tornasse il fattorino con un altro mazzo di fiori."
L'idea di avere a che fare con un pazzo si concretò e prese forza nel cervello di miss Mary. Sapeva che è pericoloso far mostra di non seguire i pazzi nelle loro manie. Quella del fattorino doveva essere la mania del commissario. "Perché? Credete proprio che tornerà?"
"No... Il pretesto dei fiori è un po' troppo sfruttato, oramai... Ma, in ogni caso, voi sareste capace di fermarlo?"
"Chi? Quel ragazzo?"
"È un ragazzo maledettamente temibile, miss Llewellyn! Avete una rivoltella?"
"Sì..."
"Ebbene, quando udrete suonare, sempre che ciò avvenga, aprite la porta tenendo la rivoltella pronta, e se vedete il fattorino, spianategliela contro e gridate il mio nome."
"Il vostro nome, commissario?"
"Sì, mi chiamo De Vincenzi. È un nome facile da ricordare."
"E voi mi sentirete?"
"Sì, miss Llewellyn."
"Okay! Griderò il vostro nome, mister De Vincenzi..." E chiuse la porta, perché lei dei pazzi aveva paura.
De Vincenzi sorrise: era sicuro adesso che miss Llewellyn, se avesse veduto il fattorino, avrebbe gridato come una forsennata, non perché le aveva detto lui di farlo, ma perché lei avrebbe creduto di vedersi davanti per lo meno un fantasma.
E bussò tre volte alla porta di Cobina de Kergorlay.
Cristarello passeggiava sotto la poggia da circa un'ora. Poiché era costretto a tenersi da quella parte della strada che era priva di case, non aveva neppure i tetti a ripararlo. Ma non per nulla si era fatta una reputazione di ragazzo furbo. Dopo un'ora di vana attesa, cominciò a dirsi che quella situazione andava risolta in modo alquanto meno umido per lui. L'acqua gli grondava dalle tese del cappello sull'impermeabile, che colava tutto. Forse, a servizio terminato, gli avrebbero fatto un elogio; ma in ogni caso si sarebbe presa una polmonite. Si guardò attorno e non vide nulla che potesse servirgli da riparo. Sì, c'era un piccolo caffè di fronte, ma poiché si trovava dalla stessa parte della porta che lui doveva tenere d'occhio, se fosse uscito qualcuno da quella porta avrebbe corso il rischio di non vederlo...
Quand'ecco che notò sullo sterrato un'ombra nera, piuttosto grande e certamente consistente. Si avvicinò: erano cinque carrette di ferro, di quelle che gli spazzini pubblici spingono davanti a sé quando raccolgono le immondizie per le strade. Accatastate una all'altra, lasciavano un certo spazio vuoto sotto di esse. Cristarello non chiedeva di più. Magro com'era, quello spazio fra la terra e il fondo delle carrette gli bastava. Ci si introdusse con agilità e si sentì al coperto. La posizione per guardare dinanzi a sé non era delle più comode, ma comunque il torcicollo era da preferirsi alla polmonite...
"Commissario, credete proprio che questa veglia sia necessaria?"
"Lo credo fermamente, signora de Kergorlay..."
Cobina era sul divano, con le mani in grembo, vestita come sempre di nero. De Vincenzi si era seduto al suo posto preferito, davanti al tavolo, e aveva dovuto tirare da parte il vaso di fiori per vederla. "E sapete perché io lo credo, signora?"
"Non ne ho la più pallida idea, commissario."
"Perché sono sicuro che voi avete mentito, quando avete detto di aver sentito soltanto un tonfo."
"Il tonfo del corpo di Boldviski?"
"Sì, prima di cadere, Boldviski deve aver parlato, e voi avete udito quel che ha detto."
"Come fate a sapere che ho udito?"
"Perché altrimenti sareste corsa dietro all'assassino..."
Cobina tacque per qualche istante, poi disse: "Non è proprio sicuro che lo avrei fatto. La morte di Boldviski risolveva molte cose per me... e per Assia..."
"Ma l'assassino... quell'assassino, era una minaccia anche per voi... sapevate che lui era entrato in casa vostra per uccidere voi e non Boldviski... Sarebbe stato un voler provocare il Destino corrergli dietro..."
"Come potevo saperlo?"
"Le parole di Boldviski vi avevano illuminata in un lampo... e con voi c'era vostra figlia, per la quale temevate..."
Cobina si agitò un poco. Chiese con voce tremante: "Siete sicuro che Assia non corra alcun pericolo in questo momento?"
"Vergolli è con lei, e l'Excelsior è guardato dagli agenti di polizia, che sorvegliano Vernieri e Caienni... Ho chiesto a Vergolli di non allontanarsi da Assia Paris neppure per un momento, e lui mi ha ringraziato..."
La voce tornò indifferente. "Così l'Acidalia ha finito di vivere!"
"Era condannata... L'Acidalia voleva dire Boldviski, e Boldviski si era scavata la fossa, quando..." S'interruppe e tamburellò con le dita sul tavolo.
"Quando, commissario?"
"Quali sono state le parole esatte di Boldviski prima di morire? Io posso essere sicuro che ha parlato, ma non posso sapere quel che ha detto..."
Cobina si alzò e andò a vedere l'ora a una piccola sveglia sulla consolle. "Sono le nove e tre quarti, commissario. Perché pensate che debba venire proprio questa sera?"
"Perché ha assoluta necessità di chiudere la partita, e perché... piove."
Lei lo guardò e tornò al divano. Mentre sedeva, disse: "Boldviski ha detto: 'Questo è-troppo! Domani vi farò rinchiudere in un manicomio... Ho sopportato troppo a lungo la vostra persecuzione.'"
De Vincenzi assentì col capo. "Sì, non poteva aver detto che qualcosa di simile, e nella orgogliosa sicurezza che aveva di sé volse le spalle all'assassino, che approfittò del momento per pugnalarlo... Era bastata la parola manicomio a segnare la sua condanna di morte..."
"Perché si tratta davvero di un pazzo, commissario?"
"No, signora. Perché non si tratta di un pazzo. Ma quella parola era troppo definitiva... troppo conclusiva, per non togliergli tutte le speranze!"
Cobina guardò De Vincenzi con ammirazione; ma egli non se ne accorse. Rivedeva dinanzi a sé un volto bianco e riudiva scandite alcune parole che erano state per lui la rivelazione di un abisso mostruoso. Se quelle parole non fossero state dette, Gita Garena sarebbe morta e lui non si sarebbe trovato in quella camera ad attendere l'assassino...
Cristarello riuscì a trarsi fuori dalle carrette e dovette far qualche salto e lanciar pugni all'aria per ritrovare l'uso di tutte le sue membra. Pioveva sempre, ma lui pensava che tra poco gli sarebbe stato permesso di andarsene a casa e di ficcarsi in letto, subito dopo aver mangiato. Intanto, però, la cosa più urgente di cui aveva bisogno era un telefono... Se quel piccolo caffè avesse posseduto un apparecchio, magari a gettone!
Non soltanto lo possedeva, ma possedeva anche una cabina. Il caffettiere gliela indicò, mentre lo fissava con gli occhi arrotondati dallo stupore. Anche se non avesse colato acqua, Cristarello sarebbe stata abbastanza impressionante di per sé solo...
"Siete voi, commissario? Sono le dieci e mezzo. È uscito in questo momento. Almeno credo che si tratti di lui: impermeabile e cappuccio, sì... ma non erano neri, erano bianchi... No, cavaliere, ve lo garantisco, non ho mai sofferto di daltonismo. Come dite? L'ho visto prendere un tassì... Sta bene, cavaliere, buona notte!"
Uscito dalla cabina, Cristarello pensò che era venuto il momento di regalarsi almeno due grappini.
"Tra poco avremo qualche cosa di nuovo, signora Kergorlay."
"Credete, commissario?"
"Sì. Gli impermeabili da donna non sono talvolta a double-face?"
28. Delirio
Pensava: "Vassilli è morto e nessuna delle donne che ha amato deve sopravvivergli. Niente di lui! Io l'ho adorato in silenzio, ho vissuto delle briciole che le altre mi lasciavano, mi sono nutrita di lacrime, di beffe e di speranza. Quando ho visto che una nuova donna era nel suo cuore e che soltanto sua moglie si frapponeva tra lui e la sua felicità momentanea, ho voluto sopprimere sua moglie per dimostrargli che da me, da me sola, poteva venirgli la felicità! Mi ha impedito di farlo, mi ha negato il diritto di esistere e di amare e io l'ho ucciso, perché morto lo avrei avuto tutto per me sola.
"Era rimasta sua figlia, quella che lui, pur avendola appena conosciuta, proclamava veramente sua, figlia del suo amore migliore, e io l'ho soppressa...
"Adesso, vado a uccidere sua moglie.
"Poi scomparirò. Vivrò del suo ricordo.
"Una volta, a Hollywood, qualcuno mi disse che il mio amore era un'ossessione! In ogni caso, è un'ossessione che mi ha fatto vivere, e che mi permette adesso di sopravvivergli! Poiché per me non è morto... e non morrà, se non quando io morrò."
Il tassì correva e la pioggia sottile frustava i vetri dei finestrini. Si prese la fronte fra le mani, si compresse le tempie che le ardevano. "È così semplice uccidere," pensava. "Così semplice e così sicuro... Chi può sospettare che sia stata io a conficcare il coltello nella schiena dell'uomo che adoravo? Chi penserà che la scatola avvelenata è stata portata da me a Gita Garena? Domani sapranno che Cobina de Kergorlay è stata uccisa nella sua casa, e supporranno che la stessa persona che ha ucciso Boldviski abbia ucciso lei. La stessa persona, vale a dire nessuno...". Rise silenziosamente.
Si tolse l'impermeabile, se lo rimise. Aveva fatto il minor numero di movimenti possibili, abbassandosi sul sedile, perché l'autista non potesse vederla nello specchio retrovisore. Si strinse la cintura alla vita, toccò nella tasca l'arma e la sentì liscia, agevole alla stretta delle sue dita. Da un'altra tasca trasse un berretto con la visiera e se lo mise, ricoprendo col cappuccio.
Un nuovo sorriso che le scavò innumeri brevissime rughe agli angoli degli occhi, le apparve sulle labbra sottili mentre stringeva il calcio d'avorio della piccola rivoltella. Pensava: arma fredda, veleno e rivoltella... Non bisogna dare la stessa morte... E poi lei si serviva delle armi di cui disponeva, di cui il Destino le permetteva di disporre.
Il tassì spinto a velocità eccessiva per quella strada periferica, piena di buche e di ostacoli, slittò con le due ruote di destra sui lastroni del marciapiede che aveva risalito e cozzò contro un fanale. L'urto violento fece balzare dal sedile la donna, che batté il cranio contro il soffitto e di rimando la nuca contro la spalliera di cuoio duro. Le uscì un piccolo gemito dalla gola. Ma fu tutto. Si passò la mano sulla nuca. Il dolore fisico è nulla! Gridò all'autista con voce limpida: "State attento e andate avanti, adesso!"
Il tassì si raddrizzò, riprese la corsa, quasi subito si fermò: era giunto alla meta indicata. Pioveva tanto che l'autista non si accorse neppure che l'impermeabile bianco della sua passeggera era adesso nero. Percepì appena una mano che gli tendeva il denaro, e poi un'ombra scomparire dietro la cortina luminosa della pioggia.
"Il portone è già chiuso," pensava. Si ripeté "Deve essere chiuso," per rassicurarsi; ma proprio tranquilla non fu, se non quando vide l'oscurità nera e fonda fra le due ringhiere del giardino.
Spinse adagio il cancelletto, molto adagio, appena quel tanto che le consentì di sgusciar dentro, e si mise a camminare leggermente, posando in terra soltanto la punta dei piedi perché la ghiaia non stridesse.
Raggiunse la porticina. Era aperta. Naturalmente! Non ne aveva mai dubitato.
Adesso, tutto facile... Che qualcuno potesse vederla, udirla salire le scale non pensò neppure. E in ogni caso, chi avrebbe potuto riconoscere in lei null'altro che un fattorino... Il fattorino fantasma, pensò con sarcasmo, e per la prima volta da che aveva dato inizio a quella nuova impresa delittuosa le apparve il volto del commissario di polizia da cui era stata interrogata.
"Deve star cercando l'ampolla," si disse, e un perverso brivido di piacere la percosse. "Lui non sa chi ha ucciso Nicholson, non sa chi ha ucciso Boldviski e non saprà mai chi ha ucciso Gita Garena e Cobina de Kergorlay..."
Per le scale nessuno e il silenzio.
Raggiunse l'ultimo piano. Guardò le due porte chiuse ed ebbe nello spirito la visione di un mazzo di rose gialle. A lei le rose piacevano... Anche a Gita aveva portato un mazzo di rose, color della carne, quelle... Amava le rose che sono fiori ipocriti, dal volto dipinto e dal cuore impuro... Chi in questo mondo ha il cuore puro?
Si tolse la chiave dalla tasca e la introdusse nella serratura. Udiva soltanto il proprio respiro che si era fatto leggermente più rapido. Diede un primo giro, poi un secondo; sotto la pressione delle dita sentì la porta cedere, docilmente. Trovò il buio. Non aveva previsto di trovare il buio. Adesso, doveva affrontare pericoli e ostacoli impensati. Nelle sue previsioni – così limpide, così fatali, e che del resto si erano tutte avverate – non c'era la visione dell'anticamera deserta e buia, ma della stanza da pranzo illuminata. Sarebbe scivolata silenziosamente sino alla porta di quella stanza e, a un tratto, rapida come la folgore, sarebbe apparsa e avrebbe sparato.
Questa era la visione ed ecco che la realtà le portava il buio dovunque. Il buio e il silenzio. Avanzò lentamente, penosamente, con le braccia tese davanti a sé e le mani annaspanti, pronte a toccare, ad afferrare. Mani sottili, nervose, vibranti nell'oscurità. Nessun bisogno di estrarre la rivoltella... Occorreva prima vedere!
Il tac netto di un interruttore. La luce.
E una voce gelida alle spalle che ordinava: "Ferma, Telma Zinger! Ferma o sparo."
29. Manette
La donna s'immobilizzò.
Lentamente, come un automa, si volse. E De Vincenzi la vide in volto. Comprese subito perché né Mary Llewellyn né Gita Garena l'avessero riconosciuta.
Senza gli occhiali il suo viso glabro, privo di sopracciglia, era come una maschera bianca a cui si poteva dare ogni espressione. E Telma Zinger, adesso, non era Telma Zinger. Quel volto, a cui lei aveva conferito qualche visibile caratteristica – due segni circonflessi agli angoli della bocca, due tocchi di lapis nero alle sopracciglia, un po' di cipria olivastra alle gote – era il volto emaciato, livido, di un ragazzo della strada...
Una sola parola uscì dalle labbra di lei: "Maledetto!"
De Vincenzi le si avvicinò, le prese le mani, gliele congiunse e lo scatto metallico delle manette chiuse i polsi della donna in un cerchio d'acciaio così terso e lucente da sembrare un monile.
"Telma Zinger, vi dichiaro in arresto."
"Lo vedo!" ghignò. "Ma di che mi accusate?"
"Di avere ucciso Vassilli Boldviski e di avere attentato alla vita di Gita Garena. In quanto a quello che siete venuta a fare qui stasera non posso accusarvi che di violazione di domicilio e di uso di chiave falsa."
Rise e sembrò che gemesse. "Sapete tutto, voi! E perché non mi accusate anche di avere avvelenato Set Nicholson? Il veleno nell'ampolla l'ho messo io!"
"No! Set Nicholson non è stato avvelenato da voi, Telma Zinger. Un altro lo ha ucciso, che ha già scontato il suo delitto, perché lo avete pugnalato..."
La donna lo fissò. Una spaventosa tempesta passò nei suoi sguardi. Fu un caracollare di nubi, uno scoppio di folgori. Il terrore, un terrore folle, senza scampo. Poi lampeggiò l'odio così vivido, così diretto contro di lui, così mortale, che De Vincenzi si sentì un brivido alla schiena.
"Perché non ho pensato a uccidere voi, per primo?"
30. Rapporto
Soltanto la lampada col paralume verde, bassa sulla scrivania del Questore, era accesa.
De Vincenzi entrò, traversò la lunga stanza, sedette di fronte al suo capo. Questi sollevò un poco la lampada, per vederlo in volto. "Stanco?"
"Sfinito."
"Venite dalle Mantellate?"
"L'ho messa in un tassì. L'hanno accompagnata laggiù il vicecommissario D'Angelo e un agente."
"Reazione?"
"Una sola e violenta, quando le ho detto di sapere che non era stata lei ad avvelenare Nicholson."
"Già..." Nessun segno di meraviglia e una domanda placida: "Voi credete che io sappia chi ha ucciso Nicholson?"
"Lo credo, commendatore. Voi mi avete detto: e Nicholson dovrebbe a rigore essere stato ucciso da Boldviski... e me lo avete detto, quando neppur io ne ero sicuro."
"Ricordate le mie parole? Ma io ho aggiunto, se il regista non fosse stato reso cadavere prima di lui..."
"Qualche volta i cadaveri uccidono."
"Quali prove avete contro Boldviski?"
"Queste..." E De Vincenzi depose sul tavolo un libro e alcuni fogli. "Sono gli appunti lasciati da Boldviski."
Il Questore prese i fogli e, a uno a uno, lentamente li lesse. Poi alzò il capo. "Boldviski dunque non ha voluto uccidere Nicholson per gelosia?"
"Nella sua mente aberrata, ha scelto Nicholson per la sua macabra esperienza, anche pensando di liberarsi così di un rivale fortunato."
"Credete che volesse servirsi nel film della scena girata davanti all'agonia reale dell'attore?"
"Può darsi... Comunque, era soprattutto l'arte pura che voleva servire... Doveva sentirsi come il sacerdote di una religione selvaggia: immolava la vittima al suo Dio. Nessuna morte davanti all'obbiettivo poteva essere più reale di quella, ed egli voleva che il cinema fosse verità."
"Come avete fatto ad ammettere una possibilità tanto inverosimile?"
"Gli indizi, se di indizi si può parlare, mi hanno diretto fin dal principio verso un'unica persona, e questa persona era morta... Naturalmente, ho dovuto lottare contro la mia stessa ragione per accettare un'ipotesi che mi appariva impossibile. Il primo fatto che mi ha colpito è stato l'ordine dato da Boldviski a Telma Zinger di mettere nel boccale la vernaccia, subito seguito dal contrordine di riempirlo invece di vino di Malaga... La vernaccia è l'unico vino che abbia un sapore amarognolo, e la stricnina è amarissima. Chi avesse voluto avvelenare qualcuno a quel modo avrebbe dovuto scegliere la vernaccia e non il vino di Malaga... Ma quando ho trovato nella valigia di Boldviski quel volume, il mistero mi si è svelato, e la prova contro Boldviski è divenuta probante..."
Il Questore prese il volume e ne lesse il titolo: Gifi, di Hugo Glaser. "Conosco! È una specie di storia del veleno."
"Aprite a pagina 240. Vi troverete un passaggio segnato a margine con la matita turchina... Il segno non può non essere stato fatto da Boldviski."
Il passaggio diceva: Allo stesso pretesto ricorse un farmacista di Praga che avvelenò sua moglie con stricnina versata in un bicchiere di Malaga. Il Questore taceva. "Suggestione..." mormorò poi. "Ebbene, e per Telma Zinger? Chi vi ha fatto credere che fosse proprio lei il misterioso fattorino?"
"L'uccisione di Boldviski era soprattutto inspiegabile per il modo con cui era stata compiuta. Qualcuno era entrato, senza effrazione, naturalmente, ché altrimenti sarebbe stato udito, nell'anticamera dell'appartamento di Cobina de Kergorlay; vi si era appiattato e aveva colpito il regista alle spalle. L'ipotesi sarebbe stata accettabile, se il corpo di Boldviski fosse caduto con il capo rivolto verso l'uscio d'ingresso; ma invece era il contrario: il cadavere giaceva rivolto verso la porta della stanza da pranzo. Quindi, impossibilità assoluta per l'assassino di non essere stato veduto da lui che, badate bene, stava uscendo dalla camera da pranzo. In un primo tempo ho pensato che Cobina de Kergorlay mentisse, e che l'assassina fosse lei; ma l'ipotesi non mi sembrava accettabile anche perché la donna, quella donna, dato il suo carattere e dato il movente che l'avrebbe spinta a uccidere, si sarebbe certamente, e con spavalderia anzi, dichiarata colpevole e avrebbe quasi di sicuro trovato giudici che l'avrebbero assolta... Ammesso questo, mi sono detto che Cobina, pur non mentendo, doveva essere reticente... Taceva, vale a dire, qualcosa che aveva udito o visto, prima o dopo la morte di suo marito. Che cosa? Evidentemente un fatto che avrebbe potuto rivelare il colpevole. Ma perché lei avrebbe avuto interesse a nascondere l'assassino? Una sola poteva essere la ragione di un simile atteggiamento: il terrore di essere uccisa anche lei... Doveva trattarsi, quindi, di qualcuno che aveva colpito Boldviski per vendetta o per gelosia. Una donna con tutta probabilità e, quando udii Telma Zinger dirmi di Boldviski: "Se mi avesse battuta avrei baciato le sue mani", un lampo mi si fece nella mente, e una volta formulata l'ipotesi di un delitto compiuto da una isterica passionale, quale senza dubbio mi era parsa Telma Zinger, giunsi facilmente alle ultime conclusioni, e accettai tutte le ipotesi..."
Il Questore taceva e guardava De Vincenzi con profonda tristezza.
"Gli indizi si accumularono. Soltanto Telma Zinger aveva parlato con Sid Renier, ed era stata lei a suggestionarlo al punto da indurlo a farsi fare una chiave falsa, per entrare nell'appartamento della de Kergorlay a cercarvi un documento che non c'era e che non poteva esserci, perché invenzione pura della Zinger... Poi le rose gialle, poi il fatto che soltanto Telma Zinger aveva il fisico adatto a impersonare un ragazzo... Oh sì, l'ultima carta l'ho giocata a colpo sicuro e senza merito..."
"Già, senza merito..." mormorò l'altro. "Se pure non ne aveste altri, avreste quello di avere sofferto! Si soffre sempre, quando si deve guardare nel fondo di un'anima umana... Anche a non farsi illusioni, la verità che ci appare è in ogni caso troppo disperata per non soffrire! Io non ho nessuna fiducia nella bontà degli uomini. E la vita senza bontà è un giardino senza sole. Per questo mi sento sempre terribilmente triste, per quanto, naturalmente, nessuno se ne accorga!"
E De Vincenzi non gli disse che, lui, se ne era accorto.
Crediti
Augusto De Angelis
Il Commissario De Vincenzi. Quattro inchieste
La barchetta di cristallo, Il canotto insanguinato, Giobbe Tuama e C. (1936)
Il mistero di Cinecittà (1941)
Una realizzazione Falsopiano
secondo gli standard dell'International Digital Publishing Forum
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ISBN 9788898137817
Tra i Fogli volanti
Jack London, Autobiografia alcoolica
Edgar Wallace, Il cavallo grigio e la mosca assassina
Gustave Le Rouge, Il Dr. Cornelius lo scultore di carne umana
Oscar Wilde, Teleny
Charles H. Hinton, Il re di Persia
Edgar Wallace, La doppia vita di Kate
Annie Vivanti, I divoratori
Edgar Wallace, La melodia della morte
Robert Louis Stevenson, Il Club dei suicidi
Edgar Wallace, La maledizione del libro onnipotente
Elinor Glyn, Quel certo non so che – It
Elinor Glyn, Sei giorni
Ambrose Bierce, Dizionario del Diavolo
Jack London, I Servi di Mida
Rosaria M. Notarsanto, Le mani diverse
Edgar Wallace, Il sindacato del crimine
Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto
Ambrose Bierce, Il Club dei parenticidi
Jules Verne, Un biglietto della lotteria
Umberto Boccioni, Taccuini futuristi
Augusto De Angelis, Il Commissario De Vincenzi. Cinque inchieste
Robert Louis Stevenson, La cassa sbagliata
