SPECCHIO DELLE MIE BRAME
Einaudi, Torino.
Prima edizione nei “Coralli”, 1974.
NOTA DI COPERTINA.
Alle spalle della Belle Epoque palermitana, in una magione campestre fastosa e cupa, una sfrenata baronessa che non ne ha mai abbastanza gestisce trame sconvenienti e bizzarre fra una sua bimba diciassettenne, un suo bimbo quindicenne, una procace istitutrice gallese, e un villano precettore addirittura impresentabile. Né Verga, né Pirandello, né D’Annunzio, né De Roberto, né Capuana, né Lampedusa li abbandonano un attimo! E anche altre compagnie assai meno raccomandabili, ahimè, non perdono di vista quell’estate in villa! Questo imbarazzante romanzetto pseudo-libertino altro infatti non è se non un diligente trattatello sul più rinomato e trionfale Kitsch all’italiana - letterario, teatrale, cinematografico, meridionalistico, tra il secondo Ottocento e il primo Novecento - in forma non già saggistica ma narrativa: Kitsch, dunque, di secondo o magari di terzo grado; Kitsch
“critico”; o meta-Kitsch… L’impegnativa operazione è stata per lo più eseguita secondo il modo di Marcel Duchamp: scegliendo e riciclando oggetti trovati, materiali prepubblicati, prodotti in serie, pezzi di ricambio, apparecchi automatici, congegni inutili, strutture formali, cassetti di ritagli, cestini di rifiuti, organi pensanti, macchine desideranti, eccessi di signorilità, analisi di funzioni, miti, fiabe, teatrini critici, in forma di romanzo del nostro Profondo Sud. Volendo, si potrebbe sentirvi anche un’eco di rocambolesche risate: sono Raymond Roussel, Tommaso Landolfi, Karl Kraus e Vladimir Propp.
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Signore mie, questa deplorevole trama Kitsch “dovrebbe” (potendo…) rappresentare una inammissibile e irriferibile e irrimediabile tragedia familiare e stilistica per una troppo svelta Baronessa del Profondo Sud italiano ahimè talmente libertina, e anche assai capricciosa, alle prese con certi suoi sventati e sprovveduti ragazzi - quasi una Divin Marchesa?… ahi! ahi! - ma tant’è…
“Non c’è più serietà”, si direbbe, né semplicità né una vera eleganza, né un autentico impegno, né un plausibile discorso letterario dabbene che possa svolgersi comme il faut, schivo, pensoso, ritroso, restio, insomma serio, appunto, esclusivamente fra il Tono Alto e il Tono Privato (che coincide col Tono Universale) e il Tono Sofferto e il tran-tran del Tono Sublime Per Tutti con tutti i suoi buoni sentimenti a posto fra Storia e Poesia… signore mie!
Ma (tra Poesia e Storia) dove si svolgerà, intanto, la Cosa Narrata, e quando?
Tutto sommato, e toutes proportions gardées, la solita Sicilia può andar sempre bene (come mai sempre così nelle mode? chissà…), anche perché tra fin-de-siècle e Belle Epoque potrà fornire meglio di ogni altra città italiana titolare di un suo Art Nouveau consolidato e specifico (Milano, Torino, Napoli) un suo ghiotto contrasto, diciamo così, fra una capitalina tutta pétillante di stile Liberty coloniale - Teatro Massimo e Villa Igiea, Targa Florio e H“tel des Palmes, palazzine di Basile e villini e viveurs e balli costumati brillantemente à la page con le delizie dei Savoy e dei Ritz - e le vaste magioni sepolcrali naturalmente, estremamente, gattopardesche in campagna, spalmate di lutto, con un gran bel balzo indietro di parecchi secoli anche a pochissimi chilometri di distanza, in fondo al catino assolato e tenebroso di un modo di vita perfettamente feudale, impeccabilmente primordiale, squisitamente arcaico… Stupendo!
Non manca niente per illustrare come il Passar del Tempo (in effetti) dileggi la Storia, sbeffeggi il Progresso, sputtani lo Sviluppo, e simili nozioni barocche e rococo: abitudini immobili, convenzioni rigorose, luoghi comuni fissi, tabù demenziali proprio da tutte le parti, e secolare timor del prete, millenario terror del vescovo, inarrestabile orrore di Dio e dell’Inferno, Madonne che piangono, Sileni che ridono, angioloni che volano, paura assolutamente di tutto, sede dell’Onore localizzata (proprio come in Genet) mai in posizioni “elevate” (quali la testa, gli occhi, magari le manine), ma giù, giù in organi oscuri e imbarazzanti fra le cosce non lavate dei condannati a morte in attesa di ghigliottina o fra quelle delle bambinacce di casa nella Conca d’Oro, dunque un Onore già bagnato e buio (e infatti il ladro parigino e il padre di famiglia siciliano vanno molto d’accordo su un punto: l’Onor Familiare non si compromette davvero depredando o ammazzando un commendatore, bensì solleticando anche magari con un solo dito certe mucose pelose)… e sussurri perfidi e minacciosi di vicine e di vecchie, sempre ascoltatissime e mai mandate al diavolo; e vendette covate e dispettosità tenute al caldo sotto il sedere di famigliacce intere per più generazioni maniache, ingorde di proverbi e golose di idiomi abitudinari; abbondanti ossessioni carnali individuali e collettive, fissazioni anali monumentali, trionfi moreschi e barocchi del “cosa dirà la gente”, frustrazione erotica ferrea spinta fino a deliri che farebbero la gioia di André Breton e la consolazione di Luis Bu¤uel… con la femmina spaurita e sbattuta fra immaginazioni bestiali e simbolismi rurali e visioni catechistiche e fantasticherie paleolitiche… e il maschio incessantemente corrucciato e atterrito dall’idea che forse sarà un po’ piccolo, e poi se al momento buono non sta su, peccato proprio che in quell’unica occasione buona non mi sentivo tanto bene sennò avrei fatto vedere io cose da pazzi! -
lavarlo col sapone almeno una volta però no no, è escluso! - ma se è già stata con qualcun altro e quindi è in grado di far paragoni giuro davanti a tutto che l’ammazzo e ammazzo anche la nonna e il cugino e il mulo… però poi al momento buono eh questo no, eh Benedetto Dio quest’altro non si fa, Gesù Gesù che vergogna, Madonna mia quest’altro ancora non si sa mai, Sangue di Giuda meglio andarci piano, San Giuseppe qui non si capisce mai da che parte, Santa Rosalia questo poi insomma meglio non provare sennò dopo magari piace… dunque giù una botta senza spogliarsi magari in piedi zac zac dietro un cespuglio e via! e poi, conigliate di piccoli destinati alla stronzaggine ancestrale del dolce far niente e del cosa diranno i vicini e della lupara “on the rocks”! questi sì che sono uomini! maschi! veri! onorati! mediterranei! d’altri tempi! Dunque, il peggio: benissimo quindi per la narrativa del Deep South all’italiana.
… E intorno, uno straordinario fregio di piccine fatte fuori a cinque-sei anni dal papà e dagli zii e dai nonni, tra un odorar di zagare e un frinir di cicale… un Della Robbia di piccoli bambini scuri scuri con occhietti a spillo e prepuzietti di sale molestati nei cespugli e sfondati nelle sacrestie e spompinati nei noviziati o negli orfanotrofi… festoni e rosoni di rapporti erotici semplici fondati su un lui costantemente arrabbiato e prepotente e cupo, e una lei incessantemente cupa e rabbiosa e dispettosa e indisponente… senza mai un barlume di orgasmo o sorriso in comune…
… Mentre invece, naturalmente, nei palazzi e nelle ville, fra pareti e consoles e mensole affastellate di chicche polverose e gustose, una fosforescenza impareggiabile di irresistibili aneddoti scettici, recuperabili a centinaia - dal vecchissimo frate ultimo rejeton di un casato d’antichità straordinaria che salutato come “caro cugino” da un membro di ramo più moderno ribatte “fratelli in Dio certamente, cugini su questa terra no davvero!” - al giovane principe che in occasione di un duello fa voto di un pellegrinaggio a piedi in Terrasanta, e poi calcola con esattezza la distanza fra Palermo e Gerusalemme, e la percorre giorno per giorno per almeno vent’anni, nel parco, facendo del salutare footing col servo dietro e un ombrellone di bibite fresche nel roseto - al banchiere inglese in visita che uscendo da un ballo perde un tallero montando in carrozza e si china a cercarlo fra la ghiaia, forse per usarlo come mancia al palafreniere, mentre il padrone di casa gentilmente accende un biglietto da mille talleri per fargli lume… “insomma l’ambiente c’è”…
… specialmente per degustarvi un po’ di illuminismo decadente e di libertinaggio vieux jeu o nouveau riche: esotici, addirittura deliziosissimi, quaggiù, nel Deep South della letteratura italiana, come assaporare un gin-and-tonic a Ranchipur, un vodka-and-lime a Penang…
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… Ma già intanto, adesso - ahi! ahi! che paura! - ecco il passaggio improvviso di un flash ricorrente, di rapidità vertiginosa e di impatto pressoché subliminale: in un gran letto disfatto, “una stupenda signora nuda molto somigliante alla baronessa” si sta violentemente dimenando fra le lenzuola di lino avvinghiata a un… fustone… anche troppo simile a Gioacchino, o a Salvatore, o a Antonino, o a Ignazio!…
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Potrebbe anche trattarsi di un esperimento di Kitsch sul Kitsch condotto in forma narrativa piuttosto che non saggistica - dunque divertimento sulle strutture formali travestito da assemblage e pastiche
- remotissimo dalla pratica del Sublime Sistematico per mezzecalze full time, e applicabile al manufatto narrativo dilatando o restringendo (proprio a fisarmonica) il credibility gap romanzesco, o la mozione dei Doveri Letterari - quando la Storia da Farsi viene effettivamente confezionata artigianalmente, “come qui”, operando sulle diverse forniture di Kitsch (letterario, cinematografico, meridionale) o di meta-Kitsch (“mythos” narratologico di secondo grado), davanti al cliente che aspetta seduto in bottega.
Il Narratore è onnisciente, s’intende; però ha poca memoria.
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Precedenti, come al solito, fra i più illustri: i Bulgari e i Gucci della patria letteratura, Fornitori della Real Casa quali stavolta ad esempio Landolfi, quel misconosciuto e intemerato prospettore di turpe e azzimatissimo Kitsch feuilletonesco alla Max Ernst in epoca non sospetta - ah, Ottavio di Saint-Vincent, impareggiabile “travesti” stilistico ‘tutto d’un pezzo’ come la gloriosa Compagnia D’Origlia-Palmi! - “però” combinato-scombinato col mirabolante pasticcionismo scorreggione-sublime della mistilingue Adalgisa!
Naturalmente, la volgarità sarà tutta ‘del nostro tempo’, e tutta ‘intensamente italiana’.
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Ma poi, una volta compiuta come analisi formale di decorose funzioni, organizzazione e messa a punto di reperti (innominabili o illustri) combinati e riciclati secondo “altre” strutture disponibili -
secondo i modi di operare di Marcel Duchamp, o di Raymond Roussel - la nostra trama si potrà anche descrivere come una costruzione di tipo (né più né meno) architettonico.
Per esempio: un edificio di aspetto contemporaneo, con facciata di travertino e cristallo, ricco di balconate e di ascensori, in un quartiere perbene, ma un po’ in ombra, e vi abitano famiglie di medici, magistrati, colonnelli, uno studio di fisioterapia, e il consolato del Paraguay.
Oppure anche: un palazzo umbertino costruito però negli Anni Dieci, poggiante su un certo numero di piloni, con appartamenti tutti regolari e simmetrici, cornici di agrumi di cemento intorno a ogni finestra, e un cospicuo numero di rappresentanze e disimpegni, tranne l’agenzia fotografica nel seminterrato, e il superattico già quattrocentesco ora sistemato da certi milanesi a “folly”
marocchina…
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Come si chiama la nostra eroina?
Il Calendario Reale della Corte Italiana per il 1899 - annata buonissima, per lo chic, appena prima dell’uccisione di Umberto Primo, e prima naturalmente anche del Processo Trigona - indica fra le
“Dame di Palazzo per prestare servizio in Palermo” alla Regina Margherita una Sofia, due Stefanie, una Francesca, una Luisa, più una Isabella a Catania e una Anna a Messina, mentre la Corte di S. A.
R. Elena Principessa di Napoli e Principessa del Montenegro dispone a Palermo di una Giulia soltanto: la Trigona, appunto. Niente (solo piemontesi, per lo più) fra le Corti delle diverse Duchesse d’Aosta e di Genova. E l’Almanacco di Gotha, da parte sua, non arriva più a sud della famiglia Ruffo di Calabria.
Gran peccato che non ci si trovi cinquant’anni più addietro e molte miglia più a nord-ovest: altrimenti, fra le Dame di Palazzo della Regina Maria Adelaide, consorte di Vittorio Emanuele Secondo, potremmo disporre della contessa Carlotta Callori Provana Balliani di Vignale nata Bertone di Sambuy, della contessa Leontina de Nicod de Maugny nata Fortis, e della baronessa Alix Morand de Monfort e de Saint-Sulpice nata De-Vignet. Ma tant’è.
Diciamo dunque Stefania.
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Adesso, un po’ di luogo comune ‘tradizionale’.
Nessuna stirpe nobiliare potrebbe apparir più “tradizionale”, infatti, di quella insigne famiglia palermitana governata dalla baronessa Stefania con freddo rigore e fedeltà inflessibile alle consuetudini più statiche, più anacronistiche: le onze, i palmenti, il rosario, il timballo, il Te Deum, il testamento, la tombola, lo zio priore, il cugino monsignore, la zia badessa, il Collegio di Maria, il Noviziato dei Benedettini, i fedecommessi, i pistacchi, i sepolcri… In quella casa non si scherza davvero! macché aneddoti! macché entertainment! macché Belle Epoque!
E ora, un altro bel po’ di Kitsch neo-volgare: ah, ma basta osservarli riuniti tutti insieme a tavola, o per il rituale del tè, o durante i passatempi che riempiono le lunghe e ristagnanti serate in casa, nella stagione afosa (ci siamo! ) per cogliere subito dei tratti insoliti, vagamente inquietanti…
“Finalmente, chi più ne ha… più… ne… metta”.
… Che greve e losca atmosfera di tensione sessuale già in partenza vietata ai minori di ventun anni, e fonte di assillanti grattacapi per magistrati maniaci e non aperti all’artisticità contemporanea, ad esempio, mentre loro si divertono come sciocchini con trastulli innocenti quali lo shanghai e il domino o il mah-jong, e si potrebbe sospettare che all’intrico di pedine o di bastoncini sul tavolino corrisponda chissà quale groviglio di gambe e piedini sotto la tovaglia di damasco drappeggiato… E
avanti, zozzetti!… E che attimi di sospensione equivoca, quando spalmano un miele molto liquido sui toasts imburrati, e scivolano le gocce, e uno dopo l’altro devono leccarsi le dita come nel film di
‘Tom Jones’, mentre si passano i vasetti coi cucchiaini grondanti, fra ammicchi tontamente furbeschi…
(Questo, veramente, è lo scherzo giocato da una malvagia e spiritosa coppia sul Canal Grande a un solenne scrittore francese in visita molto ufficiale a Venezia Da Salvare. Nel suggestivo tramonto, all’ora di merenda gli servirono appunto davanti alle gondole e ai vaporetti dei mieli ostentatamente liquidi con fette di panettone Motta biscottate al forno: “gƒteau très typique”… Dopo un po’, sbriciolando e colando da tutte le parti, l’illustre autore aveva combinato un bel pollaio…) Ma tornando ai nostri, non parliamo poi dell’altalena! Basta pensare al salire, e scendere, spingere, guardar di sotto, frenare con le mani, salire in due a cavalcioni con le gambe incrociate…
Insomma, il trionfo dell’allusivo pecoreccio, dello sporcaccionesco all’italiana, ma tant’è, che vergogna, pazienza, la volgarità del Bel Paese non ha limiti, lo si sa, come non detto, ecco.
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La figlia maggiore della baronessa, la chiameremo Francesca, e mettiamo pure che sia una diciassettenne ‘che ne dimostra di più’, diciamo ‘molto prosperosa e molto impacciata’, pettona, culona, mortificata da lugubri vesti ancora infantili da educanda scema tagliate e rinforzate senza prevedere (o per conculcare?) lo sviluppo carnoso di oscuri organi siciliani anche troppo floridi e debordanti. Come se le glandole conculcate non si vendicassero! E per di più, per le insistenze inflessibili della mamma, deve continuare a portare, alla sua età, un orribile apparecchietto correttivo dei denti, di modello arcaico, da bambinetta con difetti di masticazione e pronuncia. E se non sta diritta a tavola, magari (poveretta) per una scoliosi in agguato non diagnosticata in tempo, le si minaccia addirittura un corsetto rigido a stecche di ferro.
Anche il figlio minore (Ferdinando? Gerolamo? Raimondo? Emanuele? Galvano?…diciamo Fulco) viene costretto a indossare, più o meno rassegnato, calzoncini bambineschi vagamente anglo-svizzeri e assolutamente troppo stretti, malgrado i suoi quindici anni già compiuti, e il sospetto che si sia appena infilato un voluminoso croissant nella patta, tanto quel gonfiore salta vistoso e preoccupante agli occhi, benché nessun gesto malizioso del bimbo lo sottolinei. E’ un fosco ragazzino tutt’altro che ‘realizzato’, pieno di mazzi di chiavi e lucchetti per antine e sportelli che nascondono chissà quali ‘segreti’ da collegiale porcello. Ama abbastanza gli animali, ma in un suo modo che desta apprensione: quando ghermisce un gatto o una gallina, vien fatto di tremare per la sorte della povera bestia. Infatti tutti gli animali di casa scappano via impauriti non appena lo vedono. Anche i cagnoloni più festosi, con guaiti di terrore. Perfino i canarini in gabbia sbattono le ali contro le sbarre con disperati cicciccì. Forse tiene anche un piccolo pitone.
Come se facesse parte della famiglia (il Barone sarà morto qualche anno addietro), è poi sempre lì presente l’istitutore di Fulco, e qui l’elenco dei canonici nella Real Cappella Palatina di Palermo in quegli stessi anni darebbe Gioacchino, Salvatore, Antonio, Ignazio, ancora Salvatore, Michele, Emanuele, diciamo allora Michele, giacché Salvatore potrebbe suonare magari un po’ troppo
‘voluto’. Comunque questo banale Michele nero e giovanottaccio e fustone sembra addirittura un
‘eroe nudo’ da western pornografico, rivestito ‘alla meglio’, e a disagio negli abiti, e poi sempre con queste enormi erezioni smodatamente in vista! Oh!!! Che impressione!!! Si tratta del figlio di un campiere della tenuta ‘che ha studiato in città’, bel giovane contadinotto sano ed allegro, che piglia il tempo come viene di lassù, e le ragazze come capitano nell’aia, tenero colle donne, ma più tenero ancora del suo interesse, sobrio e duro al lavoro, come chi mira ad assicurarsi uno stato, fronte bassa e stretta, sotto i capelli ruvidi, denti di lupo, begli occhi di cane da caccia, capricciosa medaglietta con Madonnina di qua e San Francesco Saverio di là che rimbalza e saltella provocante fra i lanosi e setosi peli sul petto abbronzato; e fa le ripetizioni a Fulco nei mesi estivi di vacanza; però, francamente, le uscite anche troppo rozze che gli scappano anche troppo spesso di bocca - e vengono inspiegabilmente tollerate dalla severa baronessa, che si limita a Fulminarlo Con Lo Sguardo e a Cambiar Rapidamente Discorso - rendono quasi sconcertante la sua presenza a tavola in un posto che d’abitudine ci si aspetterebbe di vedere occupato… da chi? da un compunto barnabita o da un professorino straniero con gli occhialetti!
*
Finalmente, la Baronessa.
Letteralmente uscita dalle voluttuose pagine del Verga più frivolo e mondano, talora ella vestiva di un pallore claustrale, quasi di un cilicio espiatorio, la sua austerità; e passava le giornate intere in letture ascetiche, pallida e fiera: il massimo dello chic.
Talaltra, invece, fresca come una rosa! labbro color di rosa, rosee narici frementi di sdegno, insomma tutta rosea sotto il padiglione di velluto cremisi, o addirittura più rossa delle fucsie che aveva sul cappellino, quando un’ondata di sangue saliva rapida al viso, una specie di vertigine, e tra gli aranci del giardino, tra le rose canine sempre fiorite, prendeva volentieri un altro po’ di fragole!
Era civetta, orgogliosa, egoista, marmo di Carrara dentro e fuori; tal quale si vedeva, con quel sorriso glaciale, si diceva avesse spinto al suicidio il solo uomo che avesse mai amato, e amato alla follia, un amore da leonessa, da tigre reale, da pantera nera, da gattoparda rosa; aveva tutte le avidità, tutti i capricci, tutte le sazietà, tutte le impazienze nervose di una natura selvaggia e d’una civiltà raffinata - era boema, cosacca, e parigina - e nella pupilla felina corruscavano delle bramosie indefinite ed ardenti mentre stendeva verso il fuoco le mani pallide e scintillanti di gemme, e fissava in volto gli occhi febbrili, e faceva manovre macchiavelliche, e dava uno sguardo circolare sulla folla al ballo, e scoppiava in un riso stridente che la faceva tossire e le imporporava le gote, il capo ornato di fiori, l’occhio brillante sul viso imbellettato, appena accerchiato da un leggero lividore; le saltava la mosca al naso, non se ne dava per intesa, scollacciata, coperta di pizzi, carica di brillanti, elegante, freddamente altera, coll’ironia sulle labbra, il ventaglio in mano come uno scettro, rispondendo appena con un cenno del capo agli inchini profondi, al più degnandosi di puntare il cannocchiale dal suo palchetto, come un saluto, sciorinando le balzane, assettandosi sul busto la vita scollacciata con dei piccoli movimenti di spalle.
La folla si apriva sussurrante dinanzi a quello stivalino arcuato e a tacchi alti che si posava da padrone sul tappeto!
Non somigliava a nessun’altra!
Comunque, aveva del sangue nelle vene, e una grand’aria signorile, i suoi capelli biondi erano tutti d’oro, rizzava il capo come un cavallo di sangue, con quella bocca di serafino, senza alcuna nube nel sorriso che le stampava una pozzetta nella guancia color d’ambra, e coll’aria più candida dei suoi begli occhi azzurri, occhi proprio due stelle maliziose, occhi indiavolati che vi piantava in faccia, sempre giovani, e cantavano un delizioso duetto senza parole, ch’era un poema.
Beh, però, qui, basta un attimo d’abbandono o un animo poco chic per congetturar doppi sensi ghiottoni in quei suoi sguardi severi e altezzosi (e per favore, dove mettiamo la carnosità e la mobilità delle sue labbra sdegnose e autoritarie? e i grilli per il capo? e magari più di un’avola discesa dai regi talami? o addirittura, Dio non voglia, “la gnorri”?), e non restar davvero ingannati dal suo abbigliamento ‘d’epoca’ così austero, dal suo contegno ‘di convenzione’ così rigido, o da quella freddezza vedovile indossata come un grembiule inamidato da operina… per difendersi poi da cosa? da cosa?… Chissà… signore mie… Che possiamo noi realmente sapere degli altri?… Chi sono… Come sono… Ciò che fanno… Perché lo fanno… Chiedendo notizie… Informazioni… Ma se c’è una che, per questa via, dovrebbe stare a giorno d’ogni cosa, quest’una dovrebbe proprio esser lei!… La verità!… E/o la realtà!?!… Eppure no, signore mie, e poi no!… Non è possibile ingannarsi!… Sotto quel sussiego c’è un temperamento “di fuoco” - sì, “di fuoco”, signore mie! - No, no, com’è possibile ingannarsi?… Estremamente possessiva… sì… una belva!… una Narcisa!… una tigre!… serica! vellutata!… pronta a scatenarsi in chissà quali eccessi… ma no… ma sì… così da stuzzicare apertamente un’aspettativa smaniosa e naturalissima! Anche naturalistica, sissignori! Di che cosa sarà mai capace, nella realtà, nella verità, nella più stretta intimità, questa difficile e schifiltosa gran dama che parrebbe uscita da un gran romanzo anglo-franco-austriaco della fine-Ottocento, in odor di decadentismo, che però non è stato scritto, per andare a installarsi in chissà quale narrativa (o teatro, o cinema) d’appendice meridionale?…
Beh, la si vede rapidamente in certi momenti ‘emblematici’ (che vergogna!) ma apparentemente davvero innocui, della sua attività quotidiana. Parrebbe infatti tutt’altro che una pigra o una vaga disposta a lasciare andare in malora il patrimonio indubbiamente cospicuo in un’aura da Giardino dei Ciliegi pur di abbandonarsi al torpore e alle spossanti dolcezze di una provincia sonnolenta già noiosa in letteratura e figuriamoci dunque nella realtà…
Al contrario. Non un debito! Lei si occupa direttamente, e con una certa impazienza, dell’amministrazione della tenuta e dell’educazione dei figli. Ma i suoi occhi perdono forse di vista alcun particolare ‘significativo’?… Va bene, va bene, si vedrà, semmai… la verità… la Verità!
Possiamo, intanto, volendo, incominciare a ‘nutrire’ qualche fantasioso sospetto, quando la vediamo accompagnare il buon vecchio parroco del villaggio - un Papa Sarto non riuscito - in una qualche opera di beneficenza isolata fra cascine e bicocche frananti, lei che col marito aveva fatto Roma e Parigi e Vienna e Londra e Pietroburgo e Costantinopoli e chissà quali private parties? Già, non sembrano rapporti fra i più agevoli, quelli fra il buon parroco e la sprezzante baronessa a “bordo” di una ‘favolosa!’ Isotta Fraschini, per la campagna: lei appare sempre impeccabile e inattaccabile, pressoché insondabile e imprendibile, ma il buon vecchio la scruta preoccupato e canuto, con ansietà, e con gran sopraccigli, su e giù, come si vede fare nelle filodrammatiche ‘per scacciare chissà quali molesti pensieri’. Tutto un Greuze!
E il loro dialogo, allora?
Una pena, un tormento, non già dei più disinvolti: come quando, passando accanto a un civettuolo villino del Dugento sepolto da una vegetazione rampicante, quasi di soppiatto il buon vecchio parroco si farà il segno della Croce, e lei lo guarderà ‘con muta ironia interrogativa’ - già Anni Trenta e Lux Film - e allora il mite vegliardo, appartenente invece alla tradizione del bozzetto rurale del Mezzogiorno faticato e del Dolore full time, come per giustificarsi, indicando col mento i ferri battuti e le lanterne veneziane e i frulli di bougainvillee sui veroni fiorentini, sussurra un qualcosa di feuilletonesco-pontificio sul tipo di “la dimora del dimonio!”… e lei, subito, pronta, tràccheta: “ma no, reverendo, del D’Annunzio, semmai”… “al che” (al che!) il malaugurato ecclesiastico, ri-segnandosi: “anche peggio!” (E nella direzione del sense of humour, in quel rustico villaggio, malgrado l’evolversi dei secoli dalla Magna Grecia ai dì nostri, mai che si sia fatto un passettino oltre il Principio d’Archimede. Pazienza).
*
… … … … … … … … … … … … . .
Ahi! Ahi! Che disturbo! E che imbarazzo, anche! Sempre nuovi flashes vertiginosi e sconvenienti con la stupenda signora nuda molto - troppo - somigliante alla baronessa in bizzarre posizioni:
* aggrappata per le gambe in costume di calzabraga nera da “rat d’h“tel” a un immenso lampadario di cristallo tintinnante che dondola con mille e mille pendagli in una suite all’H“tel des Palmes…
* o penzolando da una scala di corda in un fienile equatoriale abbigliata da Joséphine Baker o da Dorothy Lamour (o peggio ancora, da Carmen Miranda, con ananas in testa)…
* o ancora, oscillando in piedi su un ramo d’albero carico di banane e di manghi, tipo Tarzan, in tiara di datteri e bolero di gattopardo, e sempre pronta a buttarsi su un giovanottaccio sfacciato sdraiato a terra che l’aspetta a braccia tese e a gambe spalancate, e che quasi certamente sarà Michele… con quelle sue erezioni!
… Così come quasi certamente lei sarà proprio la baronessa! - “avevate indovinato!” - e sempre nell’atto di buttarsi sopra il maschio dall’alto!…
Si tratterà di anticipazioni narrative, o di trucchi cinematografici cheap? di fantasie erotiche di lei, o di scorrette applicazioni di un ‘effetto d’alienazione’ all’italiana? di demenze private dell’Autore, o di grossolane ghiottonerie soggettivamente pregustate dal banale Michele?
Mah.. Qui il Punto di Vista del Récit appare dei più confusi…
… … … … … … … … … … … … . .
*
Comunque. Una notte…
Nel vanvitelliano appartamento padronale, tutto drappeggi e tendaggi e tapisseries, letto scolpito e cuscini spumeggianti, cornici dorate e paralumi galanti, sante caravaggesche e santini ‘Perugina’, Stefania sta andando a dormire fra due guanciali in un civettuolo négligé cilestrino che mai le si sospetterebbe, in villa… con quel sussiego… e nell’infinito silenzio dell’incantesimo lunare ella fa il giuoco delle parti davanti a uno specchio di vera (?) penitenza… e accarezzandosi teneramente i gioielli indiscreti gli domanda mormorando di tanto in tanto, come una delle sue favorite eroine:
“specchio! specchio delle mie brame! dimmi! chi è la più bella dama del Reame delle Due Sicilie?”
Tutto tace.
Tutto “sembra” pace.
Ma a un tratto,
UNA MANO MISTERIOSA
alla finestra
E la apre!
Ecco
UN LADRO MASCHERATO
che entra! Tutto in nero! Anche calza nera sulla faccia! Più feuilleton di così si muore. no?
… … … … … … … … … … … … . .
Agitazione e spasimo della baronessa atterrita. Scarmigliata. Riversa.
Ma lui: “Dove sono i gioielli?” Calci, schiaffi, pugni, parolacce. Una cosa spaventosa.
E poi, anche: “Lo scrigno! Lo scrigno!”
… … … … … … … … … … … … . .
Comunque, rapina completa e feroce di tutte le parures, con scrigno e tutto, seguita da una scopata selvaggia e indecorosa: lei legata con foulard e liseuse mani e piedi, oltraggiata, sottoposta a sevizie irriferibili, lasciata lì per terra tutta strapazzata e sporca.
Una cosa tremenda.
*
Al finale della Santa Messa domenicale nella pittoresca chiesina del villaggio, invece, la baronessa e i due figli siedono sereni e compunti nel loro banco privilegiato e lucidissimo. Sono i signori della zona, la villa è poco lontana, è una domenica ‘come tutte le altre’. La ‘solita vita’, quotidiana, banale, uffa, uffa, non succede mai niente.
All’uscita, omaggi ed oboli, minuscoli fastidi. Gli aranci olezzano, fior di giaggiolo. Campane.
Molta acqua santa e molti mammasantissima, in un brusio di fondo entro il quale si può intendere:
“vita e miracoli”, “voce in capitolo”, “gatta nel sacco”, “pulcini nella stoppa”, “pan di bocca”,
“groppo in gola”, “menar pel naso”, “calcio alla fortuna”, “schiocchi la frusta”, “mettersi nei suoi panni”. “farsene una malattia”, “restar di sale”, “meglio contentarsi”, “a casa a casa amici, dove ci aspettano, le nostre donne, andiam!”
Il buon vecchio parroco, venendo a salutare la baronessa, “perora” (perora!) la ‘causa’ di quelle due o tre ragazze da lei appena licenziate, perché si sono fatte mettere incinte durante la solita spigolatura apollinea-dionisiaca. Soggiunge alla rinfusa che “ad ogni uccello suo nido è bello” e che
“il motto degli antichi mai mentì”.
Lei “replica” (replica!) abbastanza seccamente, in termini di rispettabilità, inflessibilità, e “mi meraviglio!” e “i panni sporchi… in lavanderia!”
Lo scemo del villaggio, benché assai petulante, non si trova: è andato in un’altra storia, e non è ancora tornato.
Viene invece il turno di una contadina vecchiotta, però ex bella donna, tipo ex Bolkan: ancora bella e provocante, malgrado i suoi trentacinque anni suonati, col seno fermo da vergine, gli occhi luminosi in fondo alle occhiaie scure, e il bel fiore carnoso della bocca, nel pallore caldo del viso. Si raccomanda caldamente, non fa altro che raccomandarsi, e raccomandare (ancora una volta!) il suo Michele, figlio unico e maestro tanto bravo: la baronessa non gli aveva promesso di raccomandarlo per un posto di insegnante elementare di ruolo?
Stefania ribatte alla prolissa vedova, piuttosto dura, che sta molto meglio lì dov’è; e più tardi rimprovera anche il banale Michele, sempre questa madre noiosa che si permette di rimestare la solita storia… Insomma, basta!
Sulla loro ‘favolosa’ Isotta Fraschini, guidata come al solito dal vecchio fedele chauffeur, la baronessa e i due figli tornano rapidamente alla villa attraverso campi e frutteti.
*
Colazione, fra le più noiose. Loro quattro, con niente da dire.
Neanche la cara vecchia risorsa di invitare il buon vecchio parroco, e servirgli certi maccheroncini al formaggio di cui è ghiottissimo, però in forma di nidini alla Fedro individuali, durissimi, perché prima fritti e poi passati al forno. La forchetta non li può attaccare né raccogliere, se si usa il coltello scattano frammentini come di cristallo, e il reverendo per buona creanza non parla e non mangia, mentre loro sorbiscono ridacchiando una “bisque” col pretesto della colite.
Francesca non vuol mangiare, Fulco ha perduto la tartaruga. La ragazza si rode, si duole, davanti al piatto troppo pieno di pasticcio di maccheroni. Buono! Ma quasi quasi, la polemica sul mangiare incrina tutto il grande amore e la grande ammirazione che prova per la madre.
Fulco si alza, furtivo e torvo. Michele dice due o tre insulsaggini, e viene subito rimproverato.
Ma, insomma, il greve ragazzaccio pare talmente “fusto” da suscitare più di un sospetto in un animo poco fine: qui, con la baronessa, vuoi vedere che gatta ci cova? (tanto più che somiglia abbastanza al rapinatore mascherato).
E più tardi, che cosa potranno fare, poveretti? Francesca dipingerà: mazzi di rose, tramonti, il ritratto della mamma. Forse suona anche il piano; o ricama; o prega. E Fulco catalogherà pietre o fossili? Comunque, una giornata lenta, pigra, meridionale, qualunque.
Tanto più, essendo domenica, lei non ha neanche la soddisfazione di passare in Amministrazione.
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Di notte, invece, ANCORA IL RAPINATORE
Una cosa incredibile!
Nero e mascherato come tutte le altre volte, si arrampica furtivamente su un nodoso glicine fino al balcone, penetra nell’artistico boudoir della baronessa scostando impertinente la socchiusa imposta, si dondola sportivamente aggrappato a un pesante panneggio di velour paonazzo, e balza su un pouf di satin color del lillà senza far rumore.
Ella ha un soprassalto!
In drammatico déshabillé ciclamino, sotto le mille e mille luci del lampadario di Murano e delle appliques di Boemia, ella stava facendo il sorriso della Gioconda davanti a un’alta specchiera
‘Salvator Rosa’, mentre le sue manine si indugiavano a vezzeggiare i pomi delle Esperidi, e le labbra carnicine deliziosamente sussurravano: “specchio! specchio delle mie brame! dimmi! chi è la più vera signora del Reame?”
Ma ora, come nei peggiori thrillers, il terrore le gela l’urlo nella strozza!
Il malfattore le si avvicina con un coltellaccio fra i denti, le è sopra, le infila due o tre dita in bocca, altre due o tre in culo, le strizza i polsi delicati, e poi anche i vezzosi capezzoli, per farsi dire dove sono le parures.
La sventurata dapprima resiste, intrepida come gli Orazi e i Curiazi che la contemplano muti dagli arazzi della Savonnerie, poi cede al dolore fisico intollerabile, la natura prevale, ed indica lo scrigno.
Ma poi si pente subito, si avvinghia ai lucchetti. “Passerai sul mio corpo!”
Lui ci passa, la lega, la imbavaglia, la schiaffeggia, la scopa, le fa anche un due o tre porcate innominabili, e se ne va con collane e diademi, all’inglese, giù per il glicine, ratto e silenzioso com’era venuto.
*
L’estate continua a trascorrere, monotona e priva di eventi. Amministratrice sagace e attenta, la baronessa ispeziona l’andamento degli affari della proprietà, controllando con accortezza i possibili errori di calcolo nelle spedizioni delle cassette di frutta, nei vitelloni scelti per il macello, nei travasi del vino dalle enormi botti secolari in damigiane e bottiglie destinate anche a certi onorevoli e commissari di Palermo. E dopo le mattinate fra gli olivi e i mandorli, lunghi, lunghi pomeriggi sorvegliando i passatempi dei figlioli, in attesa dell’arrivo della nuova governante inglese, per lo più in giardino, sotto un berceau tra l’impressionista e il macchiaiolo.
Nei confronti dei figli, Stefania risulta un noioso ritrattino di madre convenzionale, rigorosa, bigotta, quasi tiranna. Li tratta sempre con una certa durezza, un certo distacco, una vera antologia di tutte le cose che “non” si dovrebbero fare se si desidera che crescano senza complessi. Sembra non accorgersi o non ammettere che Francesca ormai è una donnona dalla femminilità prorompente e repressa. E tiene lunghe prediche da confessore terroristico a Fulco sui pericoli della masturbazione: diventerai cieco, calvo, pazzo, paralitico, sifilitico, e andrai all’Inferno!
Sarà forse (nel suo piccolo) immaginosa e sfrenata, ma in quella sua fissazione ossessiva per il perbenismo formale a ogni costo, intanto, riesce a dominare i figli e a tenerli sotto, quasi senza sforzo, forse proprio perché li tiene così a distanza: mai un po’ amica, mai ‘confidenziale’ tipo ‘da donna a donna’ con Francesca. Anzi, continua a rimproverarla a tavola, come una bambina, perché non mangia abbastanza pasta, come se dovesse ancora crescere, le guarda nel piatto, la assilla insistendo perché si serva ancora, e magari la serve di prepotenza, magari di cibi pesanti e ingrassanti, che lei rifiuta per sé limitandosi a un’insalatina fresca. Eppure i figli visibilmente la adorano, specialmente Francesca, con un’ammirazione senza condizioni, guardandola come modello di bellezza affettuosa e chic non disgiunta da un gran savoir faire. Basta vedere quei ritratti che le fa continuamente Francesca, con le sue manone e i suoi acquarelli, fra cornici di rose ‘tea’ e ghirlande di ireos e vortici di viole del pensiero: sono addirittura commoventi, tanto idealizzano questa figura della Madre, con ‘taille’ superba, “fifty” adorata Madonna Immacolata Liberty, e “fifty” Lina Cavalieri alla Guido Reni, idolatrata, sempre con sguardo purissimo verso l’azzurro e cascate di perle e trionfi di breloques floreali!
Mentre l’adorazione sgorga inesausta, sullo sfondo, Fulco e Michele vanno e vengono in bicicletta, fra una lezione e l’altra di storia o mitologia e chissà quali episodi omerici o romani che sbracano chissà in quali confidenze intime sollecitate golosamente da Fulco, magari. Non ne vogliamo neanche sentir parlare, vero?
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Naturalmente il modello su cui si sarà fissato l’ambiguo bambolo è proprio questo fustone, che gli pare chissà quale esempio di tutte le qualità maschili più ammirate e invidiabili. Ma qui, per favore, non cominciamo coi sospetti di larvata froceria: sarebbe troppo comodo! Sono capaci tutti! Magari, per fare gli spiritosi! E invece, qui, niente! E’ assente!
Michele, in realtà, nella sua insulsaggine, sarebbe un focoso premuroso e disponibile per tutti i membri della famiglia, anche capace di affezionarsi, sotto quel suo aspetto selvatico e diciamo pure ordinario. Somiglia a un Elvis Presley ritratto da Luigi Capuana e riesce a riunire in pochissimo spazio più luoghi comuni del Dictionnaire di Flaubert, ma la volubile baronessa lo apprezzava perché lo trovava distaccato e rinfrescante. Il monotono fustone parla così: “un ricco bagno!… un lauto pasto!… una signora scopata!…” E se va avanti così, c’è da temere che le sue prossime conquiste saranno “un duro colpo” e “la più pallida idea”. Ma nei confronti di Fulco non si mostra davvero un dipendente servizievole. Anzi, semmai, gioca con lui tipo il gatto col topo, da fratello maggiore scafato e impaziente, sotto sotto un po’ iena. Gli fa sovente delle ‘osservazioni’ da Maestro di Vita Vissuta - sul modo di stare in piedi, o di star seduto, di tenere le mani, di tenere in mano il bicchiere, di allacciare o slacciare la camicia, di mostrare il pacco, di accendere la sigaretta - come per sciogliere certi suoi impacci bambineschi e dargli un po’ di disinvoltura da retrobottega o da osteria.
Insomma, gli insegna con pazienza a comportarsi in società come quei militari in libera uscita di gruppo senza soldi che temono di sembrare ‘imbranati’ o ‘recchioni’ se non smaniano dietro ogni più orrenda femmina con quelle esclamazioni rumorose e senza secondi fini che tipicamente rivelano un’inveterata incapacità nel ‘rapporto a due’, e un’assuefazione ereditaria al tristo flagello dell’onanismo all’italiana. Come conseguenza, cresce quasi isterico il nervosismo di Fulco, quasi disperato per il timore di non riuscir mai a ‘emulare’ (emulare) il ‘tono’ (tono) dell’Amico Più Grande - che fra l’altro, “non gli permette neanche di fumar di nascosto!” - e cresce insieme, intanto, cupamente, l”ascendente’ (l’ascendente, proprio) del Giovinastro sul Ragazzino…
…Anche perché - pazienza… - dopo molte insistenze di Fulco, Michele “acconsente” (una volta) a fargli fare un piccolo giro di tranche de vie alla siciliana che ha per tema di tormentone e suspense
“riusciranno i nostri due amici nella temeraria impresa di far togliere le mutande alla serva?”… fra gelaterie e lavanderie e ‘fiamme’ e ‘conquiste’ in paese. Che cosa non ci tocca di vedere, volendo, in questo paese!… Ogni volta, dopo aver vantato chissà che capacità e specialità di ogni ragazza e chissà che ‘prodezze mai viste’ fatte con lei e rifatte con sua sorella (e a Fulco, tutte queste zoccole parranno bellissime, altissime, vissutissime, straordinarie?), finisce “invariabilmente” per concludere che “invece no”, ‘il piccolo’ non è certo “all’altezza” di “cavarsela” brillantemente con quelle, chissà che “cilecca” farebbe, e che “brutta figura” farebbe fare a lui di “riflesso”!
Ecco! Il ragazzino si eccita e si comprime! E non ne combinerà anche qualcuna un po’ GROSSA?…
Per esempio, allungando la mano lungo la coscia sotto la gonna d’una baraccona ridente su una scaletta rustica, non farà improvvisamente - evidentemente - una cosaccia che “proprio nun se fà”, giacché a un tratto lei, furiosa e allibita, “se mette a strillà?”… Che vergogna!
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Proprio volendo fare i fantasiosi, magari, si potrebbe almanaccare che la crudeltà del piccolo Fulco non si limiti agli animali - o magari non ricercherà una punizione a ogni costo (la sculacciata senza simpatia della mamma!…) per un ovvio e trito meccanismo di masochismo manualistico a fior di pelle? Comunque, per i “fans” della grossièreté pecoreccia ‘in tutte le salse’ o ‘ai quattro formaggi’, si potrebbero forse aggiungere Michele e Fulco stesi tutt’e due in un prato a pancia sotto che si scambiano burbere sboccatezze vernacole e proletarie tipo “non starai facendo un buco per terra per caso!”, o equivalenti compiacenze di comunicazione verbale e non verbale in tema di pippa adolescenziale.
Magari, anche una di quelle battute da teatrino o da fiaba, tipo “ma che mani grosse hai!”, che acquisteranno un senso più preciso più tardi, e comunque infastidiscono o imbarazzano Michele, ricollegate a un certo ‘numero’ della baronessa, ma non anticipiamo troppo e soprattutto non lasciamoci andare.
Potrebbero anche scambiarsi delle volgarità sul conto di Francesca e delle sue tettone, volendo, scendendo in bicicletta verso il paese, andranno nella cartoleria caratteristica ad acquistare cancelleria e altri nonnulla per i compiti delle vacanze.
Naturalmente anche lì la cartolaia sarà una sposaccia giovane e sfacciata, molto slacciata, e per prendere la carta protocollo salirà invitante anche lei sulla scaletta rustica.
Siamo in pieno Quadretto di Genere: Michele, col pretesto di tenerle ferma la scala, chissà quanta mano le infilerà di sotto, con tutto il braccio. E che occhi farà! Che espressione!
Grande emozione e concentrazione di Fulco!!!… vedendo ammirativo e allarmato la prodezza di Michele, mentre il marito della cartolaia (vecchio caratterista) è nell’altra stanza!!!… “tutto succede sotto i suoi occhi!!!”… eppure il vecchio caratterista non si accorge di nulla!!! Come in Apuleio, in Boccaccio, e in Léautaud!!!
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Arrivano magari al cascinale dove abita la mamma di Michele, e lui entra, dopo aver lasciato Fulco fuori dalla porta, come per far la guardia o la pipì.
Fulco giocherà con gli animali, farà qualche cattiveria, magari impiccherà un paio di tartarughe, si distrarrà con le formiche, girerà l’angolo della casa, e vedrà improvvisamente da una finestra…
… E qui, una scena fortemente porcellonesca, altrimenti sarebbe inutile arrivare fino al cascinale!
Dunque… potrebbe vedere… Michele… che si… riabbottona gocciolando i pantaloni, dopo aver finito con una ragazzaccia - nuda, ahhh!!! - rimasta distesa a letto, divaricata, ridente, fra lenzuola rustiche e devastate… Cugina, forse? Anche un sospetto d’incesto! ‘Il cacio sui maccheroni!’
Michele lo vedrà e lo chiamerà dentro? Lo inviterà ridendo a guardare e non toccare? O a toccare e non guardare? O non si rimarrà piuttosto sul furtivo?
Quale imbarazzo, nella scelta delle erbe voglio!
Comunque, Fulco allunga una mano per il rotto della cuffia. E poi, purtroppo, ne deve rifare quasi certamente ‘una delle sue’, una di quelle grosse, perché “anche questa” ragazza ridente ‘se mette a strillà’, improvvisamente terrorizzata.
Anche questa!
COSA LE AVRA’ STRAPPATO?
*
Stefania, prima di coricarsi, dà la buonanotte ai figli. Prima, passa nella camera di Francesca, e le fa un rapido sermone senza simpatia sulla necessità di tener su anche e specialmente di notte la sua orrenda macchinetta dentaria. Le mette il complesso della gengivona. La vede però un po’ inquieta…
Ma le dice di bere la sua acqua, che le fa bene. E la lascia rapidamente.
Poi passa un momentino nella camera di Fulco. E lì, ahimè, pippe. Lo vede infatti ricomporsi di scatto in un viluppo equivoco di coperte, come al cinema, quando passa la maschera. Allora, nuova predica terrificante, con minaccia di malattie apocalittiche, apoplettiche. Buona notte, gli dà un purgantino dolce, e lo lascia in fretta.
*
Ma Francesca non riesce a dormire.
Accaldata, inquieta, non riesce proprio a prender sonno, si dimena nel letto.
Esce in punta di pantofoline per andare in un bagno a bere nuovamente la sua acqua, ma scorge a un tratto una forma spaventevole sulle scale: un enorme animale, peloso, nero, che sta salendo i gradini quatto quatto, in punta di zampe!
E’ Michele, interamente avvolto in una pelle d’orso bruno, che si avvicina lemme lemme alla stanza della baronessa, con aria molto furtiva. Quando è lì, raspa un momentino sulla maniglia, e sussurra nel buco della chiave: “sono pronto!”
La porta si socchiude senza rumore, lasciando intravvedere Stefania abbigliata da domatrice da circo, con frusta, stivaloni, giubba rossa, alamari dorati, e fra gli alamari socchiusi un reggipetto nerissimo a brillantini frementi!
Michele entra a quattro palmenti e ratta la porta si richiude in silenzio come si era aperta. Poco dopo, semisoffocati, Francesca può ascoltare urli, strilli, frustate, parolacce!
… … … … … … … … … … … … . .
… Allora, non era stato un incubo, né un’apparizione, quella volta che aveva creduto in una traveggola, scorgendo la diafana figura della Mamma in vestaglia di cigno alla Bella Otero, sul tetto della cappella di Santa Gigliola, in una cupa notte quasi di tregenda!…
… … … … … … … … … … … … . .
Anche troppo turbata, Francesca rientra in punta di piedi nella sua stanza, chiude la porta, e comincia a girare intorno inquietissima. Sembra davvero sconvolta: ‘il dubbio che forse aveva fino allora nutrito, ora si fa certezza!’ A vista d’occhio!
Comincia a guardarsi attorno per la stanza con furia a malapena repressa, come per individuare un oggetto simbolico sul quale sfogare la propria agitazione.
E lì, le sfilano davanti agli occhi febbrili, come in una rassegna o in un’attrezzeria, deformati dall’occasionale lacrimuccia di collera, tutte le suppellettili ‘metaforiche’ sulle quali di solito s’abbattono lo sfregio e il furore: vasi di opaline preziosi e fragilissimi, regali di Natali, cimeli d’infanzia, indumenti o cappelli già appartenuti evidentemente alla Mamma, ritratti della Madonna e della Nonna, altarini di candeline e immagini carismatiche…
Perfino uno specchio dopo l’altro, nei quali Francesca torvamente si guarda, ansimando con un tubetto di carminio in mano, come quelle donne fatali che lasciavano messaggi tracciati con rossetti terribili sulla psiche dell’anticamera…
Si può anche temere un gesto proverbiale, come la profanazione saffica di Mademoiselle Vinteuil a Montjouvain, in ‘Du c“té de chez Swann’, o come la bicchierata con le schegge nella salpinge in
‘Sussurri e grida…’
INVECE lei rifiuta o non considera suggestioni o revivals o ‘à la manière de’.
Col suo tubetto in mano, affronta con calma il ritratto della baronessa. Prima, con pochi tratti scarlatti, le deforma la faccia in lineamenti grotteschi, e ne fa un mostro. Poi, addirittura, ne sfregia vistosamente il ventre, con uno sbaffo color fucsia che sembra una spaventosa ferita sanguigna, da martire barocca protagonista della Peste di Milano! e capace dei più abbondanti miracoli! Quindi stende il telo per terra, e dopo averlo fissato per bene con quattro puntine all’impiantito, lo spruzza a pioggia e lo percuote a grandine correndo e come danzando sempre più rapidamente su e giù con pennelli successivamente più voluminosi e imbevuti di colori ad olio di varie tonalità, dal Blu di Prussia alla Terra di Siena.
Infine, si strappa la macchinetta dai denti e la butta giù dalla finestra.
*
A partire dal giorno dopo, Francesca viene divorata da un appetito insaziabile, nettamente psicosomatico, e inghiotte a tavola enormi timballi e pasticci, cupamente, in silenzio, con una predilezione insana per i maccheroni al gratin. Li pretende speziati, fumanti, bollenti, rigurgitanti di tartufi e di fegati! Non bada ai “soufflés”, mal sopporta le “crˆpes”, respinge le “mousses”, e stringe il coltello davanti a ogni vivanda “en cro–te”. Soltanto maccheroni!
Sotto il pergolato o a lume di candela, tutti la guardano stupefatti e anche un po’ preoccupati, ricordando la sua inappetenza petulante e polemica. Ma non osano dirle niente, vista la sua ostinazione e il suo malumore.
E la baronessa NON PUO’ non essersi accorta di nulla… Però preferisce riparlare dell’imminente arrivo della signorina inglese, con ‘malcelata soddisfazione’, si direbbe, come se i metodi pedagogici di questa minacciosa istitutrice dovessero fare inappuntabilmente ‘rigar diritto’ i Ragazzi, malgrado i loro Capricci!
E intanto, è riuscita a far rimettere la macchinetta a Francesca.
*
Tutto tace nel cuor della notte. Dorme Francesca, dorme Fulco, dorme la numerosa servitù.
Dormono gli uccelletti in gabbia col capino sotto l’ala, dormono le tartarughe fra le severe zampe delle commodes Impero. Non s’ode rumore di sorta. Riposano perfino le vaghe stelle dell’Orsa, lontane lontane, lassù, nello sconfinato firmamento stellato e blu. Mah…
Vistosamente ammantellato da postiglione, con due bracciali di cuoio a borchie e un sospensorio di nappa a punte metalliche, Michele percorre corridoi e sale per tortuose scalette, dopo essersi assicurato che tutto è possibile.
Attraversa foresterie storiche e moderne, portinerie di prima e seconda e terza classe, appartamenti di rappresentanza principeschi e cardinalizi, cucine e cappelle, teatri e quadrerie, rimesse odorose di finimenti e criniere, scuderie profumate di brillantina alla lavanda, serre afose dove allignano la poinsettia e la dieffenbachia e il philodendron, passaggi balaustrati sopra studioli e sotto frontoni, propilei, ninfei, esedre, palagonie, un piccolo Hermitage, una minuscola National Gallery, una Alte Pinakothek in miniatura, una Villa Volpi di Misurata più vera del vero, porticati smessi e belvederi disabitati e gallerie abbandonate da decenni a formare intrico, labirinto, puzzle, casinò… un office fornitissimo di fruste Vuitton e di staffili Hermès…
Una soffitta segreta dopo l’altra, entra finalmente in una specie di Donnafugata mansardata, piena di cinghie e scudisci, dove si sente ringhiare e latrare un po’, lasciandosi cadere il mantello da postiglione dalle spalle: DOMATORE! non gli manca nulla! ora è il “suo” turno, con stivali e alamari e frusta!
Egli si trova di fronte a una grossa tigre incatenata e ingioiellata, e assatanata, che salta, salta, vedendolo, come a Mompracem! Subito le dà alcuni comandi da circo - allez-hop! allez-hop! - la fa balzare su cubi e cassette a pois, schioccando sonoramente il nervo di bue.
Ma fa troppo caldo. Comincia a slacciarsi la giubba…
Errore fatale! La tigre reale ne approfitta per balzargli addosso, gli afferra le palle, tenta di morsicarlo alla gola, è fortissima! quante parolacce!… Una cosa davvero poco fine!
Però lui riesce a immobilizzarla. La rovescia, e la scopa.
*
Mentre Michele si spoglia e si mette a letto fra le lenzuola di raso rosa orlate “à jour” dalle Torrigiani, si sente la vocina di lei che vocalizza graziosamente “sei pvonto?” dietro la porta del bagno.
La baronessa appare all’improvviso in vesti di suora d’ospedale molto porno, con un “en tˆte” a gigantesche ali candide svolazzanti, e dietro tutto il sedere fuori che si protende nudo e fremente da un’apertura apposita a cuore con guarnizioni di trine e volants.
Prepotentissima. Vessatoria. Ha in mano un enorme clistere, traboccante di schiuma di tutti i colori dell’arcobaleno con un vistoso terminale da doccia vaginale di caucciù, e glielo impone con durezza.
Ma Michele non lo vuole, si ribella, stringe le cosce, inarca il dietro, si ribalta sul letto, scalpita, protesta, fa qualche capriccio.
Lei diventa terribile. Se non acconsente, gli minaccia oscuramente una certa altra cosa, che lui sa, e gli fa paura. Sa già che fa molto più male (anche alla salute).
Di fronte a quella tremenda prospettiva, a Michele non rimane altro che sottomettersi e rilassarsi.
*
La favolosa Isotta Fraschini avanza a fatica in un viottolo troppo stretto e accidentato, molto fangoso, sobbalzando tra fratte ombrose e scure, e scorci di Corot e di Courbet.
Michele è al volante, in abbigliamento bianco e oro da chauffeur molto caratterizzato, da operetta viennese.
Stefania siede dietro, vestita da lady eccentrica, spumeggiante di pizzi e merletti sotto il gran cappello di paglia a nastri, e i suoi modi sono quasi irriconoscibili: arroganti, petulanti, capricciosi, inauditi! Sgrida continuamente Michele ‘per mancanze vere o presunte’: guida male, si distrae, non è pronto, non ha gli stivali lucidi, non risponde a tono, prende sbagliate le curve, si permette delle erezioni sconvenienti in cucina nelle ore di servizio.
La villania di lei, già molto irritante, raggiunge presto livelli intollerabili. Chiude il parasole, e comincia a bastonarlo sulla testa:
- Screanzato! Screanzato! Non hai ancora imparato che esiste il bidet!
A questo punto Michele, che era stato zitto finora limitandosi tutt’al più a rispondere “yes, milady”, blocca la macchina di scatto col freno a mano, si volta verso la baronessa con un ghigno mefistofelico, sputa per aria, si slaccia i calzoni, si strappa la cintura, si dà un’assestata alle mutande sporche, e le fa:
- Brutta porca, lo sai cosa ti faccio adesso contro quell’albero?
- Non oserai mai! - ribatte lei, grandiosamente.
Lui invece osa. La trascina giù dalla macchina come una zoccola, la sbatte contro l’albero, le strappa il parasole e le mutande, la lega per il collo come una gallina, e la sottopone a una serie di sevizie una più inconfessabile dell’altra, noncurante delle proteste e delle minacce di lei.
- Una vera signora, queste cose non le fa MAI!!! si sente gridare attraverso le vallate deserte, fra remoti scampanii di pievi arabo-normanne; e l’eco di valle in valle risponde indifferente: “AHI!…
AHI!…”
Lui le fa sopra perfino… ma no, no! non oso ripeterlo!
Quando hanno finito, mutato il tono e la musica, improvvisamente fra il severo e il sollecito, lei gli fa:
- Su, su, sbrighiamoci, che dovete andare alla stazione a prendere la ragazza.
*
Bisogna proprio supporre che una situazione alla Choderlos de Laclos covi esplosiva dietro una facciata così comme il faut? e che Stefania e Michele costituiscano una Coppia Diabolica di cui l’anima veramente nera sia LEI???… Donna di Gran Temperamento e di Esperienze Internazionali -
che potremmo facilmente intuire, volendo, tra le più sofisticate a Montecarlo ed estremamente osées dappertutto - e del resto basterebbe rievocare la buona vecchia amicizia di lei e del marito con quel celebrato viveur del villino dannunziano accanto… quel marito, poi, che metteva disinvolto al mondo tanti… non diciamo la brutta parola!… qua… e anche là…
Dimenticavamo, infatti, di proseguire in quei giri di beneficenza col buon vecchio parroco e il vecchio fedele chauffeur ai primi di ogni mese, appunto, per consegnare di persona la busta con una piccola somma per il mantenimento di ciascun ragazzo: una rassegna di contadine sfiorite in cascinali e capanne, ciascuna con questo bambinone tenebroso così somigliante al barone defunto, tutti dotati di una maschilità voluminosa, aggressiva… impossibile non accorgersene, date le dimensioni.. Tutto molto sconcertante!
Il buon vecchio parroco sospira, sospira, sulla favolosa Isotta Fraschini, borbottando fra sé e sé “chi va con il zoppo” e “chi lascia la vecchia”; e talvolta sospira anche il vecchio fedele chauffeur in cipria e polpe. Gatta non ci coverà anche qui, per caso?
… … … … … … … … … … … … . .
Lei - evidentemente LEI! - ha ‘tirato su’ l’insulso Michele addestrandolo in questa serie di teatrini erotici piuttosto privati e spintissimi?… E ha trovato in lui, occorre riconoscere, un allievo entusiasta, applicato, acceso, capace di prestazioni assai soddisfacenti, e perfino di qualche invenzioncina personale?… Ecco perché lei non intende privarsene a nessun costo, e metterà in opera le più impreviste strategie del ragno quando Michele banale e insofferente minaccia di andarsene o di Cambiar Vita! Dove mai lo troverebbe, la baronessa, un partner così specializzato e fantasioso, in Sicilia o nell’intero Mezzogiorno, tra i Vicerè da una parte e i Malavoglia dall’altra?
E d’altronde, lo stesso Michele, dove troverebbe mai una sistemazione economico-carnale così vantaggiosa, tanti anni dopo Restif de la Bretonne, tanti anni prima delle rivistacce ‘per uomini soli’?
*
Judy Faggotty arriva animata e disinvolta, è la sola passeggera che scende coi suoi valigiotti dal trenino, molto più giovane e graziosa e sportiva di qualunque altra signorina capitata in quella casa in passato: ha lo stesso capello color caramello e l’occhietto celestone sbarrato di una sorella Kennedy.
Forse magari addirittura il cielo sarà piovoso, e l’aria temporalesca, alla stazioncina campestre: così, malgrado i fichidindia, sembra più Scozia che non Sicilia, ridacchiano Fulco e Francesca sulla Isotta Fraschini col banale Michele.
Molto graziosa, la trovano. Proprio sportiva. Salgono sulla macchina, tra raffiche di pioggia. Arrivo bagnato anche alla villa, entrano tutti correndo.
E lì, senza neanche lasciarle il tempo di andare a riposarsi o a cambiarsi, la baronessa vuol vedere subito Judy, benché sia occupatissima con stiratrici e con sarte, e le fa un vero interrogatorio, a raffiche. Passando autorevolmente da una stanza all’altra, dominando alla Luchino Visconti il gruppetto di donne brutte e sottomesse che sistemano la biancheria nei grandiosi armadi, fra enormi mazzi di rose rosse in vaso e immense tende bianche di tela svolanti, e finalmente anche provandosi un paio di vecchi soprabiti tipo Worth da rinfrescare, fra sarte e spilli e lieder di Hugo Wolf, in un trionfo di seta écrue la baronessa Stefania domanda a Judy Faggotty notizie precise sulla sua famiglia, i suoi studi, località di provenienza, diploma, e tutto.
Si apprende dunque subito e senza perder tempo (perché la ragazza chiacchiera in un italiano neanche troppo ridicolo) che viene da una poverissima famiglia mineraria del Galles, numerosissima, da un paesino tristissimo e modestissimo, solo montone e carbone, e vuole ovviamente tirarsene fuori per sempre. Questo è il suo primo posto importante. Lei farà di tutto per piacere e riuscire. Fra le sue referenze non cita ‘The Turn of the Screw’. Anzi, la Sicilia sembra esercitare subito un certo bizzarro fascino su di lei…
… Comunque, povera Judy, continua a starnutire. Sta chiaramente male. Ha la febbre.
Dopo avere ‘esaurito l’interrogatorio’, la baronessa ‘con aristocratico distacco’ la manda a letto.
*
E qui, purtroppo, più di un lettore si sarà magari domandato quali siano mai quei tali teatrini erotici che sono ‘la loro specialità’ e nei quali essi si sfrenano quasi tutte le sere dopo che ogni “lustre” di cristallo e ogni lucerna di opaline si spenge nella villa, e ciascheduno (apparentemente) si è ritirato per coricarsi. E qui, ahimè, il repertorio della coppia infernale presenta un suo abbondante campionario di situazioni e di variazioni, dalle più volgari alle più sofisticate. Dall’ago al milione!
In tutte queste, i più deplorevoli ruoli sado e maso si alternano, con vivace imparzialità porno, fra l’altera Stefania e il banale Michele.
Qualche esempio?
Beh, ma intanto, cominciando proprio terra-terra, sarà facile intuire quali loschi risvolti possa rivelare - volendo - il giuoco bambinesco del dottore e dell’ammalata, qualora svolto da adulti consenzienti e smaniosi (ad esempio, il finto dentista con tanaglie e con trapano che abusa delle mutuate sotto narcotico).
E fra gli altri classici sempreverdi, come trascurare la maestra che scopre il bambino che si sta trastullando sotto il banco, e allora lo castiga con la bacchetta dietro la lavagna, se è una vieux jeu, oppure lo sottopone - a seconda delle diverse tendenze pedagogiche - a trattamento montessoriano, junghiano, pretesco, nazista…
Comunque, dalla realtà alla letteratura alla fiaba…
Vita quotidiana!
* Il fattorino che arriva con pacco. Drinn! Che cosa ci sarà mai di bello? Tràccheta!
* La cameriera che spolvera, col suo piumino in mano, naturalmente sulla scala. E il signore sotto, in vestaglia: più su! sempre più su! E lì, ovviamente, tutta una rapsodia sulla mutanda a briglia sciolta.
Rimescolando un po’ le epoche, non si sottovaluti poi:
* Il benzinaro con pompa che gli soffia e fischia in mano: la vuole una bella gonfiatina, signora?
* Il giardiniere con tubo d’annaffiamento che zampilla e gocciola: con le salvie ho finito, signora, e adesso?
Né si tralasci:
* Signor vigile non mi faccia la contravvenzione, la supplico! Mio marito mi ammazza! Sono disposta a tutto! Non ci vede nessuno!
* Ed ecco l’adorabile soldatino imbranato, la prima volta che va in casino, imbarazzatissimo perché letteralmente non sa come si fa. Mai vista una donna. Idee assai confuse sul dove e sul come.
Avvampano le guance di pesca. Ma lei, per fortuna, puttanone stupendo e di gran mestiere! Deve insegnargli tutto. Ma proprio tutto. Anche a chiamare le cosine col loro nomino.
Solamente Sade non apprezzavano, il triviale fustone e la capace gentildonna, giacché - con le sue braccine, le sue gambotte, e la sua pancetta francese - non lo trovavano abbastanza sexy.
Rasentando piuttosto - dalle Caserme ai Salotti alle Biblioteche! - la più mondana sciarada: nei
‘prolungamenti immaginari’ dei Romanzi Famosi, naturalmente abbigliandosi coi costumi presi nei bauli-armadio di sopra con indovinalagrillo provocanti, si dilettavano di ricostituire in base al “se tanto mi dà tanto” le più probabili sfrenatezze di Anna Karenina o di Lucia Mondella o di Madame Bovary coi loro signori, nei capitoli erotici ahimè non scritti da Flaubert e Manzoni e Tolstoj. Senza accontentarsi assolutamente, “of course”, di soluzioni improvvisate e facilone e magari iconograficamente improbabili, tipo un semplice “Emma voltati” o “Natascia prendilo”.
Talvolta profanavano perfino il Tennessee Williams del Deep South all’italiana, Giovanni Verga.
Lo stesso, con le opere liriche.
E in quanto alla fiaba, naturalmente, l’allungamento del naso di Pinocchio, l’infilamento della scarpina di Cenerentola, lo strofinamento della lampada di Aladino, sapranno offrire appetitosi spunti culturali e folk… senza contare le numerose combinazioni proposte da Biancaneve, giacché si sa bene per cosa sono sempre andati famosi i nani nei confronti della signora, vuoi bimba vuoi strega…
Questa struttura portante di teatrini erotici successivi produce però un sistema di aspettative sempre più scatenato: che cosa si eseguirà la prossima volta, quando le possibilità più ‘spinte’ sembrano ogni volta esaurite?…
*
… Eppure c’è sempre una certa cosa (o forse una persona?) misteriosa a cui dicono ostinatamente di
“no”, sia lui sia lei, ogni volta che l’altro la nomina o la minaccia.
- No, no, quello no, poi mi fa star male per una settimana!
Sarà un complice tremendo, o forse un prodotto, “quello”, o non piuttosto un ‘dildo’ di dimensioni spropositate?
(Quelli ‘accettati’, infatti, di modello pompeiano, con palle e con ali, uno color bronzo, massiccio, e uno color carne con la cavità e la pompetta, sono però già grandissimi, nella loro cassetta foderata di taffettà e crˆpe-de-chine).
… … … … … … … … … … … … . .
Cosa mai sarà, allora, l’arnese rifiutato?
Ecco un grazioso mistero sul quale congetturare lungamente.
*
Ma la povera Judy, con la sua polmonite appena arrivata, rompe le scatole un po’ a tutti. Il medico avanti e indietro, Francesca e Fulco che vanno a trovarla nella sua stanzetta, la baronessa già stufa -
“se non è più che sana, tanto vale rimandarla al suo paese!” - e anche assai irritata per l’imprevista avvenenza della fanciulla: prevede già il peggio!
E a tarda notte, tutt’altro che di buon umore, Stefania e Michele stanno ancora tentando di giocare più che altro per scherzo al dottore siculo infervorato e alla bella malata inglese che non capisce la lingua, ma non riesce bene, lui non ce la fa molto, sembra distratto.
Grande ira della baronessa, che propone una variante: la scolaretta provocatoria e perversa inseguita dal turpe bidello nei gabinetti delle elementari, allumeuse indomita. Magari, male che vada, anche una delle solite fiabe ridotte al minimo: Biancaneve con uno qualunque a scelta dei Sette Nani…
uno solo…
Ma Michele non ne ha voglia: “non ci sta con la testa”, dice.
Irritatissima, Stefania preannunzia per la prossima volta il giuoco della bara e dei quattro ceri… “e si sa bene che con le candele si sa come si comincia e NON come si va a finire!”
*
Che bel sole! Guarita!
E’ finito il brutto tempo! Violette nei capelli! La ragazza inglese apre le persiane con un fresco sorriso, batte le mani al bel sole di Sicilia e agli aromi che salgono dal giardino ronzante di api e di vespe.
Poco dopo, una vecchia fantesca tutta sottosopra va a chiamare la baronessa, e le fa vedere che Judy Faggotty, completamente ristabilita, fa ginnastica e danza sull’erba a piedi nudi, malgrado i pericoli della rugiada, delle formiche, e dello scandalo.
Si capisce anche tutto! Ecco perché non veniva dal Giro di Vite! Ella appartiene piuttosto al ‘giro’ di D. H. Lawrence: comunione entusiastica con la Natura nell’orto e nella vigna, slanci vitalistici verso il sole e verso il vento, affettuosi buongiorno al cavallo e al vitello, piede nudo sulla biada e sulla ghiaia, e anche magari sedere nudo contro la rugosa scorza del faggio e dell’ontano… rasentando probabilmente anche il mondo incantato di Isadora Duncan… oltre che i saporosi territori di Amore
& Ginnastica…
… Ma queste ingenue fissazioni, tutto sommato igieniste, non la faranno passare per grande spregiudicata a torto?…
La baronessa infatti si arrabbia subito. Ma per il momento, forse, non dice ancora niente. (Non starà per avventura attendendo un primo vero “faux pas” della fanciulla, per poterla cacciar ‘sui due piedi’
con un pretesto indubbiamente fondato?)
E’ deplorevole invece che la scorgano da una finestra anche Michele e Fulco, malgrado la lezione di geografia che li tiene occupati su equivoche contrade (Salacia, Prepuzia…), e con esclamazioni di giubilo anche troppo pecorecce.
*
Il banale Michele si era già mostrato anche troppo precipitoso e velleitario nel prendere iniziative galanti e anche pesanti con Judy Faggotty già pochi minuti dopo il suo arrivo, la prima volta che è riuscito a restar solo con lei per pochi istanti, proprio un attimino, fra una porta e l’altra. Risultato, un disastro, perché la ragazza inglese, ‘incalzata focosamente’, senza lasciarle neanche il tempo di riposarsi, di ambientarsi, di fare un bagno, di riflettere, con quelle manacce addosso, e poi con quel raffreddore fortissimo, risponde ovviamente “picche”, e si mostra anzi piuttosto seccata, col suo naso rosso e i suoi “eccì”.
E qui si dimostra proprio che Michele, malgrado quelle sue arie di conquistatore vissutissimo, in realtà, al di fuori dei complicati teatrini con la baronessa o delle sbrigative scopate dietro la siepe con le facili ragazzacce del paese, è semmai un goffo na‹f rozzone e toccone privo di esperienza vera non appena viene a contatto con una signorina che non è né Choderlos de Laclos né una mignotta. Con un ‘barlume di buon senso’ (oltre che di esperienza sessuale ‘normale’), avrebbe saputo organizzare un po’ meglio le sue trame, e non avrebbe dato quella disastrosa ‘prima impressione’ di ejaculatio praecox… tanto più che la ragazza è lì sottomano, in casa, e per tutta l’estate (è presumibile…) non scappa…
Chi si è accorto subito di tutto, quando Michele salta addosso a Judy fra le due porte, e poi deve correre a pulirsi perché si vede il bagnato, sarà certamente Fulco, agitatissimo per l’arrivo di questa signorina così diversa dalla mortificante ‘Credenzòn’ veneta dell’anno prima, e ben deciso a non perdere neanche un istante di quello che potrà succedere - secondo la sua immaginazione infiammata, e anche secondo quel poco che ha incominciato a vedere - tra lei e Michele.
Attentissimo a non farsi scorgere, diventa immediatamente spia e voyeur, insaziabile, per sorprendere ‘non visto’ chissà quale loro intimità, e anche per onesto desiderio di apprendere: non soltanto per contemplare lei spogliata o tutt’e due a letto e ‘nell’atto’, ma anche per controllare finalmente COME si comporta in pratica il didattico Michele con le sue ‘conquiste’ tanto
‘decantate’… Potrebbe avere addirittura sfidato lui stesso Michele nell’imminenza dell’arrivo della Faggotty… ‘inserendo una nota positiva’ negli ardui passaggi di registro fra le torbide strategìe minorili di Gombrowicz e i cari cari scoppi di giovanilità zeffirelliana solare nei prati fioriti di rosolacci… anche così, tipo: ecco adesso, vorrei proprio vedere “te”, che dici tanto, come “te la cavi”, e cosa riesci a “combinare”, con una Bella Straniera…
E’ la sindrome, o tabe, del peggior Latin Lover Convenzionale, che continua a mietere vittime!
Dall’ammirazione e adorazione passate, Fulco sta forse sviluppando nei confronti di Michele una sorta di antagonismo o di antipatia? Certo! Anche questa! Perché, invece di agevolarlo nelle prime
‘imprese’ - e “fargli vedere come si fa”, ‘lui che lo sa’ - si direbbe che alla lunga Michele “faccia apposta” a intrigarlo e a bloccarlo con ostacoli e tormentoni ‘d’ogni genere’, soprattutto quando lo tratta da bambino, sempre, e prevede (già “prendendolo in giro”: “sei piccolo!”, “sei giovane!”) che con la Tale Zoccola o con la Talaltra Mignotta “sono sicuro che non ce la fai”… Che Figura!…
Quanti Complessi!… Ancora! Ancora peggio! E poi, anche perché questo Michele, ‘non del tutto dimentico del suo ruolo di istitutore’, non gli permette mai di fumare di nascosto o di bersi qualche bicchiere di ‘roba’ forte Quando La Mamma Non Vede e loro stanno dicendo le loro porcate in tutta libertà! mostrandosi dunque complice della Mamma, e non di Fulco! E allora, che cavolo di amicizia è?
*
Da parte sua, Francesca ‘si richiude sempre più cupamente nel suo mutismo’, e nelle sue mangiate, sempre più preoccupanti. A lei, Judy (così ‘puritana’ agli occhi di Michele e anche di Fulco) sembra al contrario fin troppo spregiudicata e ‘sfacciata’, per le sue maniere, i suoi vestitini, la sua libertà,
‘tutto il suo modo d’essere!’ E peserà ovviamente parecchio sul suo disagio non soltanto il confronto fra Inibizione e Disinvoltura, ma soprattutto una constatazione innegabile: Judy è più bella di lei, e in tutti i sensi!
… Così i rapporti fra le due ragazze si avviano assai faticosi, in un clima di diffidenza che rende fin troppo pesanti le quotidiane lezioni d’inglese…
*
Tutto ciò viene osservato ‘alla lontana’ dall’acutissimo sguardo di Choderlos de Laclos, ‘senza perdere nulla’, ma ‘senza parere’…
La baronessa vuole infatti mantenere o ristabilire il suo status quo a ogni costo, coi figli sottomessi e Michele a disposizione, lasciando ovviamente inalterata la solita ‘facciata di rispettabilità impeccabile’. Le è dunque indispensabile che le tensioni si sdrammatizzino, i risentimenti si riassorbano, la servitù non sospetti, Papa Sarto non immagini, la gente non mormori, e la vacanza proceda - “quanto è possibile” - SERENA!
Come però utilizzare l’irritante e tuttavia innegabile graziosità di Judy, in tale ‘pacchetto’? Forse (folle banderuola metternichiana!) affidandole una funzione diversiva e consolatoria di “cuscinetto”, benché nei primi giorni sembri verificarsi il contrario, vortici di tentazione e risucchi di antipatia?
Ma nello stesso tempo, guai se si verificasse un avvicinamento (già temuto, però, però, meglio un’affaire in casa che una tresca fuori) tra Michele e la Faggotty. Su questo punto, la baronessa è inflessibile e attentissima, benché la sua voce educata e soave ora suoni più spensierata del solito, quando esegue al pianoforte in “bois de rose” la sua romanza favorita: “La dama guardò lo scudiero
/ a lungo, pensosa in sembianti / poi surse, adombrò d’un vel nero / la faccia con gli occhi stellanti…”
*
Ma ben presto, mentre l’estate procede lenta e vuota, tutte le attenzioni finiscono per spostarsi e concentrarsi su Judy, pigramente, inevitabilmente. Michele, infatti, come per rimediare all’imperdonabile gaffe iniziale, ora ‘si profonde’ in carinerie e ‘si strugge’ in delicatezze, come per far credere all’ingenua vergine britannica che è stata “lei” a ingannarsi nei “suoi” confronti. Anzi, esagera nel mostrarsi a ogni costo carico di piccole premure da tipico ‘bravo ragazzo’ mediterraneo-sentimentale, tutto mamma e lacrime e affettuosità e medaglietta con catenella: proprio un ‘ragazzo d’oro’ nel quale sarà facile scorgere il futuro ottimo marito che premia con un bacetto lo spaghetto ben cotto e passa ogni seratina nella sua casetta con la cara mogliettina e una tazzina di caffè.
E lei ora mostra di accettare più volentieri la sua galante compagnia, imitando senza saperlo e senza volerlo tante ladies innamorate del sole e del mandolino che hanno finito per sposare incautamente lo smilzo barcaiolo di Ischia e lo snello pizzaiolo di Cefalù, e dopo un paio d’anni si sono ritrovate fra le braccia un vagone di ciccia.
*
Ma anche Francesca sembra ‘avvedersi’ di aver giudicato troppo ‘avventatamente’ la Nuova Venuta: non appena, durante le tediose conversazioni in inglese, si passa ad argomenti ‘squisitamente femminili’, oh, come si rende conto facilmente, ma con una certa sorpresa, la pingue e innocente ragazza, di trovarsi di fronte a una coetanea - innegabilmente più “libera” - però nel senso invidiabile di “più pulita”!… senza frustrazioni né superstizioni, né assurdi timori inculcati da un’educazione repressiva e ossessiva, carica di orribili complessi e di spaventose minacce…
Frana e si scioglie ‘come per miracolo’ ogni diffidenza verso la ‘spregiudicatezza’ della ragazza inglese…
Judy Faggotty le appare ‘in pace con se stessa’, senza tabù goffi o dementi nei confronti del proprio corpo e delle sue naturali funzioni, a proprio agio nelle più diverse circostanze… e perfino disinvolta in un costume da bagno… come non se ne sono mai visti da quelle parti…
E’ perfino capace di nuotare in mare ‘come un pesce’, mentre tutte le altre signorine si bagnano solo fino alle ginocchia, e in camicione, tenendosi per mano tutte insieme, sulla spiaggia di Mondello, perché tutti sanno che immergersi completamente fa molto male alla salute degli organi femminili…
E infatti la mamma è seccata; e si secca ancora di più quando Francesca e Fulco la difendono. Non vuol portare mai più Judy alla spiaggia con loro, non vuol più sentire le critiche di tutte le loro amiche.
Però, Francesca lo sa: Judy “sembra”, in sostanza, una ragazza ‘facile’, e può dare questa impressione di sveltezza a chiunque la incontri per la prima volta. Ma in realtà, no! Si tratta di una
‘acqua e sapone’ che resiste con caparbia risolutezza a ogni minima avance! Cioè, proprio il contrario della baronessa, che come ben sappiamo, dissimula un temperamento così libertino dietro quella facciata rigorosa e austera! Mamma mia!
E poi, insomma, Judy è davvero LIBERA dalle molteplici inibizioni imposte dai tradizionali babau del peccato latino, dai paralizzanti terrori del “che cosa dirà la gente” di massa! E’ anche capace di ribattere “figuratevi un po’ cosa dirò io della gente, allora!”
… Con infinita, trepida gratitudine, sembrerà dunque a Francesca di scoprire per la prima volta - e insieme - la Semplicità… la Femminilità… la Felicità (benché modesta)… il Senso della Vita, da indovinare adagio adagio, insieme… e perfino i romantici piaceri di una certa Poesia emozionale, ben diversa dai libri bigotti che le erano stati imposti finora… sempre con poveri bambini strappati alle loro culle da massoni demoniaci e rinchiusi in castelli infernali per convertirli alla maledetta eresia… mentre invece l’amica le parla di Elizabeth Barrett Browning, le discorre di Christina Rossetti… e le due ragazze finiscono per recitare insieme, lievemente eccitate, versi come: Quand’io morrò, mia cara
Non cantar nenie per me
Non piantarmi rose al capo
Né cipressi ombrosi al piè
Ma se tu vuoi, ricordami
Se non ti piace, oblia…
Non vedrò più le nubi
Non sentirò la pioggia
Cantare gli usignuoli
Dolenti, non udrò…
Sognando in un crepuscolo
Senz’alba e senza notte
Ricorderò per caso
Per caso scorderò…
*
Una mattinata dopo l’altra, nella saletta con la lavagnetta dedicata alle lezioni, Judy corregge con simpatia la pronuncia di Francesca. Ma per dire bene la ‘th’ è indispensabile togliere la macchinetta.
E appena tolta la macchinetta, “ma lo sai che sei proprio carina, così?”, con una lieve carezza appena accennata…
E intanto si toccano diversi argomenti: i pregiudizi, la superstizione, l’amicizia… la dolorosa sorte di Lucia di Lammermoor… il promettente albeggiare del laburismo… le differenze di mentalità fra la Scozia e la Sicilia, isole tutt’e due benché tanto diverse… la libertà, la dissimulazione, l’ipocrisia, la mentalità ‘sporca’ e quella ‘pulita’…
Cresce l’affetto tra le due ragazze: dolcezze, tenerezze, confidenze…
… E quando sopraggiunge la baronessa, già irritata, e le rimprovera per la macchinetta tolta, malgrado i perfetti “the, the, the” pronunciati da Francesca per placarla, Judy con calma sorridente cerca di spiegarle che è una ragazza già grande…
Primo scontro!… E la figliuola si schiera sempre più ostilmente contro la sua mamma!
*
Persino Fulco, inaspettatamente, pare ammansito e rilassato quando si trova in compagnia della ragazza inglese… e la difende insieme a Francesca davanti alle signore quando la mamma si secca sulla spiaggia per i suoi costumini e le sue nuotate…
… Anche se non è chiaro di dove provengano o dove vadano ‘a parare’ un certo sarcasmo e una certa ironia “cool” nel suo contegno di piccolo gentleman protettivo nei riguardi di lei…
… … … … … … … … … … … … . .
Non già ‘un idillio’, quindi. Anzi. Il fatto stesso che Judy prenda spesso il sole in costumino ridotto sia pure su una terrazza inaccessibile fra i bugnati rustici, per esempio, provoca incresciose eccitazioni e indignati turbamenti nei vari membri della famiglia e del personale, e (purtroppo) parolacce di taluni, ed anche chiacchiere (già si dice) poco simpatiche giù in paese. Perfino delle vecchie che non escono mai dicono la loro.
… … … … … … … … … … … … . .
Michele, poi, scompare spesso e stranamente, né si capisce dove vada, non lo dice, e addirittura si permette di saltare qualche nottata nella camera dei tormenti. La baronessa ne rimane offesa e sconvolta.
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Ma rimane quasi allibita, un pomeriggio, dopo aver sorvegliato con ostile attenzione l’andazzo, alla tavola apparecchiata per il tè (non combineranno per caso - idea fissa - qualcosa sotto la tavola con le gambe, questi ragazzi?), quando Francesca a un tratto dichiara
- Basta! Mi fate sempre mangiar troppo, in questa casa!
E depone con decisione il toast imburrato.
*
Allora Stefania, sentendo con disappunto che molte, troppe, piccole cose (o grandi?… chissà…) stanno ormai sfuggendo al suo Controllo Sempre Vigile, tenta di Riprendere in Mano la Situazione; ma benché si comporti con la solita cautela, scaltra topona, - e Nulla Dia a Divedere, per Non Scoprire il Giuoco e Rivelare i Suoi Veri Obiettivi - va presto incontro a una Serie di Scacchi.
Per esempio, e per prima, con Francesca, quando cerca di Farsene un’Alleata provocando un suo scandalo di sbigottimento bigotto per i ‘vergognosi’ bagni di sole della Faggotty (quanto se ne parla…), ha la sorpresa di trovarsi di fronte un’Avversaria, che le ribatte - secca - come sia assai preferibile - tralalà - fare le proprie cose “pulitamente” alla “luce del sole”, e non sporcamente dietro una porta furtiva chiusa a chiave!
Qui, Proseguire il Discorso potrebbe riuscire assai pericoloso… rischiando di sdrucciolare dal
‘papale papale’ nell’Eminentemente Inconfessabile… giacché la madre è ormai quasi certa che la figlia sia al corrente della sua folle tresca col banale Michele!…
… Perciò si ritrae, furba lumacona, con abilità dissimulata e consumata (ma è la prima volta! e Francesca, ancorché ingenua ragazzona, l’ha capito bene!) per evitare che Forzando la Mano la figlia possa ‘sbottare’ (“sbottare”! una figlia! che tempi!) in chissà quale rinfaccio pesante… E’
(quasi) un trionfo dell”a buon intenditor’… Non si sta più - davvero - tranquilli!
… … … … … … … … … … … … . .
Frattanto, perfino Michele non sembra più tanto sottomesso e disponibile, e risulta addirittura assai meno sensibile di una volta alla Velata Minaccia di un ‘eventuale licenziamento’… Si mette a fare certi strani (e assai nuovi, per lui) discorsi: una nuova esistenza pulita, una casetta modesta, una mogliettina premurosa, un piccolo stipendio sicuro… Gatta ci cova? Ancora? Anche qua? Tutta farina del suo sacco? Mah… Meglio non aspettare che siano scappati anche i buoi, prima di chiudere la stalla! Tanto, tanto va la gatta al lardo… Stefania diventa sempre più sospettosa. Tanto più, è la prima volta che Michele usa la parola ‘pulito’… E anche Francesca: diceva ‘sporcamente’ o
‘porcamente’?…
… E per di più, Michele si permette di risponderle male, malissimo, con una grossa volgarità prendendola deliberatamente e villanamente ‘in giro’ (“in giro”!!!) quando lei gli chiede di intervenire su Fulco, perché chissà cosa sta combinando con quel suo brutto vizio: basta vedere che faccia sbattuta, ha!
Michele, duole dirlo, sbraga nell’irripetibile.
Piccata, allora, la baronessa decide di chiedere la stessa cosa a Judy, perché insista con Fulco sul piano della salute e dell’igiene, oltre che della morale mentale.
… … … … … … … … … … … … . .
Come sembra inquieto e stravolto, Fulco, infatti, da qualche giorno!
Gira gira per la casa… senza scopo… senza meta apparente… ma in realtà, per spiare le mosse di Michele e di Judy, e sorprenderli - finalmente - “nell’atto”!
Però qualche volta ne perde le tracce, perché la mamma vuole intrattenersi con lui sullo Scabroso Argomento… e intanto non è riuscito a capire se i due abbiano già “consumato”, o no.
*
E qui, ci sono due possibilità.
1.
In una giornata assolata tutta glicini, su una terrazza di tufo e rocaille dietro la coffee-house, in un’acuta esuberanza giovanilistica, Judy fa il bagno in una tinozza rustica al centro di moltissime lenzuola candide stese e sventolanti a formar labirinto, in un trionfo di pampini e di pannocchie.
Che festa per gli occhi!
Non per nulla Michele (che l’ha spiata mentre stava con Fulco a lezione presso la peschiera e lo ha lasciato nella limonaia con un vano pretesto sul Bellum Iugurthinum), la raggiunge per la scalinata elicoidale e comincia a scherzare e a vagheggiare con lei, da buon ragazzo canterino e rispettoso.
Ma lo scherzo, ahimè, degenera presto, si fa più sfacciato e scorreggione, e Judy stessa, che prima lo sfidava con una certa fresca impertinenza, via un rimbecco avanti una civetteria, magari per farlo smettere tenendogli testa con intrepida gaiezza, ora si secca e vorrebbe anche mandarlo via, se possibile.
Michele invece, sempre più eccitato in quella sua sconveniente guisa, cerca di acchiapparla mentre esce dalla tinozza… nuda!… e bagnata, insaponata, scivolosissima!
Tentativi, strilli, divincolamenti, spruzzi, rintuzzate, lenzuola agitate! Chi più ne ha, ancora una volta, ahimè, più ne metta.
Arriva Fulco, che li ha spiati dal parterre all’italiana, furibondo, e li percuote con cattiveria, con una pertica per pipistrelli.
Ha una sorpresa, però. Convinto prima di salvare Judy da un’assurda violenza, ha l’improvvisa sensazione che a lei non spiacesse troppo l’irruente assalto del banale Michele!
2.
… Oppure, una sera che i due sono spariti ‘chi sa dove… ma chi sa dove…’, Fulco gira vagando e bighellonando per appartamenti disabitati e soffitte deserte… quando sente a un tratto il caratteristico urlo semisoffocato di Judy (‘quilt! quilt!’) in fondo a un corridoio praticamente segreto…
Così arriva emozionatissimo a sorprenderli.
Spalanca con un agghiacciante cigolìo una portiera pesantemente felpata, e lì, proprio nella stanza da letto intatta della Beata Raimonda, piena di campane di vetro e fiori di cera, e reliquie di santi, e ritratti di martiri, e medaglioni di pontefici, sopra un lettone del diciassettesimo secolo a colonne tortili e con baldacchino di broccato a frange e a fiocchi grondanti di stemmi aragonesi e di polvere, ha la sensazione di scorgere Tutto il Male - anzi - Tutto il Dolore del Mondo!
JUDY!
Proprio lei! agitando freneticamente le gambe ignude per aria e selvaggiamente inarcando le chiappe come una leoparda in trappola - un Serpotta! - urla e strilla a squarciagola e anche a perdifiato sotto le percosse spietate di Michele che sventola le tozze manacce e le sibila a bassavoce una tempesta di parolacce!
E fra l’altro, come chissà quale novità:
- Adesso sì che ti farò male! tutto, te lo faccio sentire! almeno poi, griderai per qualche cosa! perché ne vorrai di più! di più! sempre di più!
Judy continua a urlare e a dibattersi, come se avesse smarrito ogni cautela e perso ogni ritegno, sembra la Fusione del Perseo! E Fulco non sta nemmeno a riflettere se lei stia gridando perché vuol liberarsi, oppure perché ne vuole - davvero - di più!
Il ragazzo cerca un’arma qualunque, una spada, un moschetto, un ombrello, ma trova solo reliquiari e terrecotte. Allora balza indietro nella galleria delle Driadi, dove i superbi vasi cinesi traboccano sempre di sgargianti rose baccarat, afferra un enorme T’ang, e ne scaglia furiosamente il contenuto -
acqua gelida e spine e tutto - sulla coppiaccia che si divincola tra fragor di schiaffi e sculacciate.
I due balzano su, egualmente indignati e sorpresi, e Fulco ha l’imbarazzante impressione che anche Judy sia altrettanto furibonda come il banale Michele - contro di lui! “di lui”! - per l’inopinata e inopportuna interruzione!
Judy medesima allunga le mani verso alcune legumiere della Compagnia delle Indie che si trovavano per avventura lì, sul guéridon di Boulle… come per replicare irosamente al gettito…
Allora il ragazzo scaglia ancora il vaso cinese vuoto in testa a Michele che si sta avventando nudo e gocciolante contro di lui per punirlo, fuori di sé, e rovesciando rovinosamente il busto in cera di Sant’Agata dei Goti dalla sua colonnina in marmo di Billiemi si salva ‘a rotta di collo’ per lo scalone padronale.
*
L’indomani, la baronessa Stefania avvia con molta risolutezza un discorso ‘molto serio’ a tu per tu con la figlia. Si tratta ancora una volta dello ‘scandaloso’ contegno di Judy che ha preso il sole spogliata - un’altra volta - e ‘dà confidenza’ a tutti, anche agli inferiori, e tutto il paese chiacchiera.
Cose da pazzi! Mai successe prima!
Stefania affronta pesantemente con Francesca il problema del licenziamento di Judy. Vorrebbe trovarla d’accordo, tanto più che la ragazza è stata ingaggiata principalmente per lei, ma si trova di fronte una resistenza anche più cocciuta del solito.
Anzi, stavolta, Francesca è anche troppo esplicita. Le dice brutalmente:
- Se in questa casa qualcuno deve andarsene, semmai è Michele!
E non aggiunge altro.
Chiaro! Ovvio!
La baronessa rimane, più che allarmata, interdetta. O anche viceversa. Ma non può andare avanti su un terreno così ‘minato’.
… … … … … … … … … … … … . .
… Fulco avrà forse fatto la spia con la mamma?… O con la sorella? (Questo, per esempio, è tutt’altro che chiaro).
… … … … … … … … … … … … . .
Comunque, un pomeriggio…
*
…Judy entra improvvisamente molto arrabbiata nella stanza di Fulco. Il ragazzo stava gesticolando fra sé e sé davanti allo specchio, come un eroe di Corneille, ma si ricompone precipitosamente, e la sogguarda con aria aggressiva, puntandole sfacciatamente contro la patta vistosamente rigonfia.
Non l’avesse mai fatto!
Figurarsi lei!
Sguardi durissimi, rapidissimi, di sfida, si intrecciano fra i due. Senza una parola.
(PERO’, agli inizi, l’imprudente baronessa non aveva autorizzato l’intrepida istitutrice a punire i figli secondo gli inflessibili sistemi educativi britannici?…) Così, sempre senza aprir bocca, Judy Faggotty afferra bruscamente Fulco per le spalle, e con una forza quasi erculea, tipo infermiera d’ospedale burbera, lo rovescia sul letto a pancia sotto.
Fulco, sorprendentemente, a questo non reagisce, e quasi quasi si abbandona alla violenza del colpo d’anca di lei.
Judy è veramente furiosa. Stringe fra le mani una flessibile verghetta che aveva portato con sé, e incomincia a percuoterlo fittamente sulle chiappe.
La verga sibila nell’aria, e la Faggotty sibila agitatissima. Anzi, presto, ansima. Però si riprende presto, e dà un ritmo e un ordine alle vergate.
Intanto, le conta ad alta voce.
Poi, comincia a vibrarle a intervalli regolari, un po’ dall’alto scendendo verso il basso, e un po’
risalendo verso l’alto, sulle tenere cosce, mentre Fulco affonda la testa nel guanciale, e morde il capezzale, e geme semisoffocato, scalciando.
Ma presto la perfida vergine comincia a fargli anche degli scherzi. Non tiene il ritmo, fa apposta a sbagliare la conta, sostituisce ai numeri le lettere dell’alfabeto tipo “A come Ancona, B come Bari…”, dice anche delle stronzaggini genere “trenta e quaranta la gallina canta”, allarga e stringe gli intervalli e gli itinerari, cala la verga dove Fulco meno se l’aspetta; e intanto gli borbotta, sovreccitata: “in qualunque “college” inglese, te le suonerebbe un “master” senza pietà! non riusciresti più a sederti per una settimana!” E anche, più in là: “lingua lunga! lingua lunga! ti ci vorrà una linguaccia ben lunga, adesso, per leccarti le ferite!”
E comunque lo avverte:
- Sono stata autorizzata da tua madre!
Sempre sottomesso, Fulco si porta le due mani non sul didietro per ripararsi o difendersi, ma sotto, furtivamente, come per spalancarsi i pantaloncini. Allora lei, ansando rozzamente: “tìrateli giù! giù tutti!” E lo aiuta anche un po’, con le dita che tremano.
Poi ricomincia a frustarlo, sulle morbide chiappe ora nude e crude, che si ricoprono di segni rossastri, striature parallele e incrociate quali si possono scorgere soltanto in taluni tramonti di mezz’estate nel magnifico scenario della Campagna Romana, fra l’Appia Antica e l’Appia Pignatelli.
Poi, gli sfila febbrilmente la cintura dai pantaloni, e continua con quella, di finissimo vitello, sulle soffici chiappe, in una specie di raptus assai torbido e diseducativo.
Il ragazzo si dimena sempre più gemendo e godendo, finché lei, quasi urlando, non gli si abbandona tutta quanta addosso, con un’affannosa sdrucciolata, e gli bacia furiosamente le turgide natiche martoriate, mentre la punta triangolare della lingua solletica maliziosa il tenero orifizio, e la mano si allunga inconsciamente sotto, e dalle labbra le sfugge - come diceva Cary Grant a Jean Arthur - un
“l’ho sempre saputo che tu non avevi soltanto un bel visino”…
… … … … … … … … … … … … . .
Ristanno ansimanti tutt’e due, tra qualche tosse e sobbalzo.
Finalmente lei, rialzandosi e ricomponendosi, quasi ostile: “dopo, pulisci dove hai sporcato!”
Si riscuote, si riassetta, e rapidamente (com’era venuta) se ne va.
*
L’episodio non ha seguito, apparentemente, ma la baronessa pare sempre più preoccupata. I teatrini vanno malissimo.
* Vestita da Fatina Turchina, rimprovera quasi aspramente Michele: “Pinocchio, Pinocchio, come mai non ti si allunga mai il nasino? E sì che mi hai appena detto una grossa bugia!…” Niente.
* Passa rapidamente ai Fratelli Grimm: “Raperonzolo Raperonzolo, metti fuori il tuo codinzolo!”
Macché.
* Allora fa l’orfanotrofio-lager con la suora tremenda che incatena i bambini subnormali nel cesso e gli fa far le croci con la lingua per terra mentre lei pasteggia a caviale e champagne col vescovo e col sindaco. Nulla.
* Fa la matrona romana che palpa gli schiavi circassi al mercato prima di comprarli per la sua lettiga. Nessun risultato.
* Fa la principessa pirata che accende le voglie dei marinai e dei prigionieri sulla nave corsara, unica femmina in mesi e mesi di navigazione provocatoria. Ancora niente.
* Fa la miliardaria moderna che tiene incatenate le prede nella sua tenuta al centro del Brasile tra fili spinati e cani lupi e guardie del corpo. Come un bicchier d’acqua.
* Fa la scienziata pazza che cattura le spie interplanetarie e se non si piegano alle sue voglie bestiali le fa precipitare nella fossa dei pira¤a. Come andar di notte.
Anzi, a parte gli scherzi, i due continuano a discutere piuttosto animatamente. C’è parecchio, parecchio che non va… Infine Michele si stufa, e va a dormire senza aver combinato nulla di nulla.
*
A mali estremi, non ricorreva mai a estremi rimedi, la scaltra baronessa, giacché gli estremi volentieri si toccano, e lei (nel suo rigore) trovava ciò sconveniente per l’andamento di casa.
Preferiva scegliere il male minore, piuttosto. Era questo il suo lato “folichon”.
Con estrema naturalezza, dunque, come se si trattasse di due simpatici diversivi, la diabolica gentildonna stabilisce di condurre i due figli con la Faggotty a due manifestazioni straordinariamente spettacolari: la Targa Florio, e il pellegrinaggio della Santissima Vergine.
Difficile immaginare due celebrazioni altrettanto dissimili!
La gara automobilistica, infatti, sarà (come vedremo e com’è consuetudine) un trionfo di mondanità e modernità Art Nouveau, con galanti viveurs ed eleganti nobildonne lievemente allumeuses, parasoli e baciamani, toilettes alla Piero Tosi e fiammeggianti Bugatti. (Non per nulla, qui, Michele non verrà portato, e rimarrà a casa a sprofondarsi in preoccupanti fantasticherie).
La processione al Santuario, invece, è un cupo e spaventevole campionario di superstizioni cristiane-pagane sommariamente ricavate dal ‘Voto’ di F. P. Michetti e dal ‘Trionfo della Morte’
dell’Imaginifico: femminacce invasate, incappucciati terrificanti, portastendardi flagellatori, viluppi di storpi, grovigli di pazzi, girandole di epilettici, con monotone esibizioni di moncherini e di morticini, invocazioni assordanti, cattivi odori disgustosi, luride suppellettili magiche, rozze croci per terra con la lingua e col naso, gettito isterico di anelli e medagliette nelle guantiere ai piedi delle sacre immagini. Tutt’intorno, preti vessatori e schifose bancarelle di repugnanti insaccati e pericolose confetture, fra grida atroci e strilla disperate, in una deprimente cornice di gusto caratteristicamente falso-na‹f.
E lì, Judy rimane subito malissimo perché per prima cosa le tocca di vedere tutte le brutture dell’ilota eterno, tutti i vizii turpi, tutti gli stupori, tutti gli spasimi e le deformazioni della carne battezzata, tutte le lacrime del pentimento, tutte le risa della crapula, e la follia, la cupidigia, l’astuzia, la lussuria, la frode, l’ebetudine, la paura, gli ululi degli ossessi, i berci dei funamboli, le danze oscene delle saltatrici, le percosse dei rissanti, le fughe dei ladri inseguiti attraverso la calca, la suprema schiuma delle corruttele portata fuori dai vicoli immondi delle città remote e rovesciata su una moltitudine ignara e attonita come tafani sul bestiame, insomma tutte le basse tentazioni agli appetiti brutali, tutti gli inganni alla semplicità e alla stupidezza, nonché tutte le ciurmerie e le impudicizie professate in pieno meriggio… E lei, nel Galles, non era abituata.
Fanno qualche passo… e via! Uomini biechi d’aspetto ignobile e ambiguo strombettavano e vociavano su l’ingresso! Oh! Femmine impudenti, dalle gambe enormi, dal ventre gonfio, dal seno floscio, mal coperte di maglie sporche e di stracci luccicanti, celebravano in un gergo sguaiato le meraviglie che celava dietro di loro la cortina rossa! Uh! Una di queste bagasce disfatte, che pareva un essere generato da un uomo nano e da una scrofa, imboccava con la sua bocca viscida una scimmia lasciva! Ih! Mentre a fianco un pagliaccio impiastricciato di farina e di carminio agitava con furia frenetica una campanella assordante! Ahi!
Meglio la Targa Florio! osserva Judy. Ma è solo l’inizio! E’ solo l’inizio! le dicono tutti, con una certa verve. E infatti: molte le gobbe, e parecchie le gozzute, e a queste le collane d’oro luccicavano sotto i gozzi adusti. Ecco le sonnambule dalla bocca smisurata dove appariva e spariva tra i denti guasti la lingua coperta da una patina giallastra! Né si tenevano quiete le vecchie piene di piaghe, o di croste, o di cicatrici, senza denti, senza cigli, senza capelli! E qui una fanciulla smilza e verdognola come una locusta offriva lunghe filze di cacio in forma di piccoli cavalli o di uccelli o di fiori! E là, un uomo con faccia liscia e untuosa di femmina, con campanelle d’oro agli orecchi, con mani e braccia colorite d’anilina come quelle dei tintori, offriva sorbetti che parevano veleni! E
avanti le vergini spaventose, e indietro i paralitici orripilanti, e su e giù gli indemoniati instancabili!
- Ma insomma, perché ci venite, se lo sapete? esclama a un tratto la signorina, tra l’impressionato e lo spazientito e l’inconcludente.
- Prima di tutto, per dare il buon esempio! - risponde pronta la baronessa. - Una famiglia come la nostra ha anche questi obblighi. Il buon esempio, a questa povera gente, bisogna sempre darlo! A loro piace!
- Bell’affare! - brontola indignata la vergine.
- … E poi, - sta aggiungendo la baronessa, - pur non approvando tutti questi eccessi, è anche molto educativo che i bambini si abituino presto allo spettacolo del dolore umano e della miseria delle masse. La devono conoscere, la sofferenza del prossimo! Del resto, non lo leggete mai il ‘Cuore’, un testo rinomatissimo per i buoni sentimenti dell’infanzia italiana e non soltanto piemontese? Anche lì, tutti i weekends si passano al Cottolengo, e anche quanti pomeriggi feriali all’istituto dei bimbi rachitici, quante matinées alla pia opera dei poveri ciechi! Eppure sono a Torino! La patria di Pietro Micca, del vermouth, e dell’avanguardia!
Intorno, intanto, un disastro.
Tutte le deformazioni dei muscoli e delle ossa, tutte le diversità della bruttezza corporea! Tutte le indelebili impronte lasciate dalle fatiche, dalle intemperie, dai morbi! Tutte! I cranii acuminati o depressi, calvi o lanuti, coperti di cicatrici o di escrescenze! Gli occhi bianchicci e opachi come bolle di siero, gli occhi tristemente glauchi come quelli dei grossi rospi solitarii! I nasi camusi, come schiacciati da un pugno, o adunchi come il becco dell’avvoltoio, o lunghi e carnosi come una proboscide, o quasi distrutti da una corrosione! Le gote venate di sanguigno come le foglie della vite in autunno, o giallicce e grinze come il centopelle di un ruminante, o ispide di peli rossastri come la saggina! Le bocche sottili come tagli di rasoio, o aperte e flaccide come fichi sfatti, o rapprese nella loro vacuità come foglie bruciacchiate, o munite di denti formidabili come le zanne dei cinghiali! Non manca nulla! I labbri leporini! I gozzi! Le scrofole! Le risipole! Le pustole! Tutti gli orrori nauseabondi della carne umana passavano nella luce del sole, casinari e vociferoni, davanti alla casa della Vergine!
- Ma qui non si può più andare avanti! Neanche un bicchier d’acqua o un briciolo di sense of humour! - si lamenta perplessa la Faggotty.
E invece, macché! Non è ancora finita! C’è tutta la sagrestia! Su! Su!
…Gambe, braccia, mani, piedi, mammelle, frammenti informi che rappresentavano i tumori, le cancrene e le ulceri, figurazioni rozze di morbi mostruosi, pitture di piaghe scarlatte e violacee sul pallore della cera stridenti… Mucchi di corpi umani inerti che ingombravano il pavimento, tra mezzo i quali apparivano volti lividi, bocche sanguinanti, fronti polverose, cranii calvi, capelli bianchi… Quasi tutti vecchi, svenuti per lo spasimo davanti all’altare, portati là a braccia, ammucchiati come cadaveri in tempo di pestilenza…
E non basta! Le femmine si trascinavano su le ginocchia, singhiozzando, strappandosi i capelli, percotendosi le anche, battendo la fronte sulla pietra, agitandosi come in convulsioni demoniache…
Talune, carponi sul pavimento, sostenendo su i gomiti e su i pollici dei piedi scalzi il peso del corpo orizzontale, avanzavano a poco a poco verso l’altare, strisciando come rettili… Si contraevano puntando i pollici, con piccole spinte consecutive, e apparivano fuori della gonna le piante callose e giallastre, i malleoli sporgenti e acuti… Le mani aiutavano di tratto in tratto lo sforzo dei gomiti, tremavano intorno alla bocca che baciava la polvere, presso alla lingua che nella polvere segnava croci con la saliva mista di sangue… E su quelle tracce sanguigne i corpi striscianti passavano senza cancellarle, mentre davanti a ciascuna testa un uomo alzato batteva con la punta di un bastone il pavimento per indicare la via diritta verso l’altare…
Chissà come si divertono! rifletteva con una punta di invidia la povera Judy, contemplando quel
“piétiner sur place”, e rammaricandosi stavolta per i postumi di un’educazione vittoriana che le inibiva ogni manifestazione appena appena estroversa di naturalezza e di spontaneità!
E infatti, ciascuno posava esuberante la lingua là dove l’altro aveva già lasciato il vestigio umido, ciascuno batteva espansivo il mento o la fronte là dove l’altro aveva lasciato un brano di pelle o una goccia di sangue e il sudore e le lacrime e le entusiastiche invocazioni al Serpente Piumato!… E
via!… Tra giocolari, e bari, e barattieri, e biscazzieri, e truffatori, e ciurmatori d’ogni specie, e Aligi, e i volti imbellettati delle mime, e i volti bendati delle sibille! Tutti contenti!
- Non bisogna esagerare! Non bisogna esagerare! ripete febbrilmente fra sé la vergine britannica…
Macché! Macché! Continuano a sopravvenire nuovi flutti di fanatici come lenti pterodattili, sempre imitando i quadri e le fotografie di Michetti, fra un orrore di donne serpente e un delirio di donne cannone, e insomma una gran repugnanza non disgiunta da un rustico “laissez faire” e da un imprudente “pis aller”.
Ma fra la moltitudine tumultuante con folli invocazioni di grazia e revulsivi attacchi di epilessia si è fatto strada e si avvicina a loro con esagerata e sospetta sollecitudine durante il supplizio votivo delle femmine rettili un bizzarro e inquietante personaggio del quale i ragazzi hanno già parlottato più di una volta, fra loro, con un certo raccapriccio non privo di curiosità: Don Cecilio in persona, duca palermitano di gran casato e di celeberrima dissolutezza, gran seduttore tutto-caviale di dame imprendibili, gran viaggiatore stagionale fra le capitali della Belle Epoque, gran consumatore di cocaina e di gardenie e di champagne da bagno, coinvolto in più ‘casi’ tenebrosi e rocamboleschi, e sfrenato ammiratore de l’Imaginifico, di cui imita tutti i manierismi e i vezzi, e al quale somiglia anche moltissimo.
Possiede - si osserva - il tratto di Giorgio Aurispa, il piglio di Stelio Effrena, il portamento di Paolo Tarsis, e l’allure di Andrea Sperelli. Judy non li conosce, questi personaggi, poiché arriva al massimo a Thomas Hardy, ma rimane ovviamente turbata nell’apprendere che questo inimitabile amico del barone e della baronessa altri non è se non il leggendario proprietario di quel Villino Foscarina fra le bougainvillee che tanto fa trasalire il Papa Sarto del villaggio, con le cantafavole delle sue suppellettili dugentesche, e bruciaprofumi orientali, e lenzuola di raso nero fra palme in vaso e cuscini di Fortuny. E quando i ragazzi, sussurrando particolari estremamente preoccupanti sulle rinomatissime orge di questa Capponcina ‘in ottavo’, si confidano “ma lo sapete cosa si fa fare dalle donne, D’Annunzio?”, un brivido bizantino li sconvolge, perché tutti, in Italia, sono al corrente
- come se le avessero avute lì sotto il naso - delle nefandezze perpetrate dall’Imaginifico con le sue femmes fatales…
Gran viveur e sopraffino scettico blu, simile a una checca spaventosa (e invece non lo è), egli annusa tossicchiando assorto una sua polverina bianca da un elegante astuccio di smalto di Limoges già appartenuto a un Poldi Pezzoli e a un Piccolomini, tutto un “pince sans rire” tra gli iloti e le gobbe e le gozzute e gli epilettici, e tra un ossesso e un rissante si occupa assai galantemente della vergine britannica, la circonda di delicate premure e di raffinati cinismi sull’isterismo della moltitudine dei pellegrini.
- Santa Maria in Dracula!… Ah! Ah! Ah!…
… Ma quell’incontro sarà stato davvero casuale?…
Con qualche sbigottimento, infatti, ci si avvede che la baronessa lo tratta con altera familiarità, da vecchio amico appartenente alla medesima ‘casta’, come se si trattasse soprattutto di un caro compagno di gioventù suo e del suo defunto consorte, senza minimamente dar retta a quelle terrorizzanti voci contemporanee di orge internazionali e di droga nell’eremo.
Subitanea irritazione di Michele e vivace sconcerto dei ragazzi!!!… data la fama tremenda di Don Cecilio…
- Date un obolo al povero Beato Frankenstein!… Ah! Ah! Ah!…
… Oppure non si intuirà che la baronessa “deve” averla in qualche modo provocata, quella coincidenza, quando si vede che ella sta continuamente buttando Don Cecilio addosso a Judy, o almeno in sua compagnia, ‘magnificandole’ il ‘censo’ e la ‘gran vita’ e la colossale fortuna mondana di ‘Cecil’ (detto anche C. C.) a Palermo e a Roma?…
Parlando con lui, invece, tra i furibondi trasalimenti di Michele, ella insiste con gli apprezzamenti fisici e fisiologici - favorevoli e assai concreti - sul conto della vergine, come continuando un discorso già avviato in precedenza!…
Michele avvampa!
… Tanto più che Don Cecilio continua distrattamente a porgere la sua tabacchierina aperta alle penitenti, chiamandole a volte “my darling miss Jekyll”, e a volte “my dearest missis Hyde”…
Com’è spiritoso! Arriva perfino a dire “Doktor Caligari, I presume” al vecchio Cola di Sciampagna, dalla benda cruenta.
… … … … … … … … … … … … . .
… E non appena si avvede che la vergine appare disturbata o “abasourdie” (“siete “abasourdie”, mia piccola cara? allora appoggiatevi fiduciosa al mio “alpenstock”, mia candida agnelletta bionda!”) davanti alle deformazioni camuse della chiragra nocchioluta, alle patine giallastre e violacee della saliva bronchiale soverchia, ai capezzoli giallognoli e turchinicci rugosi come le membrane della gola delle testuggini della Baia di Coromandel (si ricava da esse la più raffinata “turtle soup” di
“Fortnum & Mason”), e alle indiavolate fustigazioni con ferule e sferze e mazze e corregge e flagelli e verghe e staffili e bordoni e batocchi e scudisci e randelli e scamati e discipline sopra oscene cosce ispide di peli rugginosi e rossastri come la saggina scopereccia, e sopra varicose anche venate di sanguigno “mordoré” e “macramé” e “cloisonné” come le brattee della bougainvillea canadese ‘spectabilis’ nell’Estate di San Martino sull’estrema punta settentrionale del Cape Cod, egli sollecitamente esclama:
- Non invidiate forse la felicità di questi privilegiati, mia strana Myosotis?
- Volete celiare… principe? - ribatte circospetta la vergine. - Non sarà questo, per caso, un altro dei vostri consueti “sick jokes”?
- Per carità, per-ca-ri-tà, mia adorabile Ornella! Ma ditemi, ditemi, piuttosto! Nella vostra famiglia, si servono forse spesso in tavola i datteri e gli ananas e le banane?
- I datteri! Gli ananas! E le banane! No signore… - replica dignitosamente la vergine, passabilmente sbigottita e sempre più insospettita che si desideri farla passare per stolta. - Si sa bene che sono frutti pregiati, d’importazione, destinati ai membri più facoltosi dell‘“establishment”… Anzi, si mormora che vengano riservati per lo più al consumo di taluni “clubs” estremamente esclusivi del
“West End” londinese, e dei poeti epiceni e uranisti più in vista, quali John Addington Symonds, Algernon Charles Swinburne, Oscar Wilde, Richard Le Gallienne, e naturalmente i compianti William Beckord e Richard Crashaw. Come potremmo noi appartenere mai a quella cerchia privilegiata?
- Amica mia, amica mia - sembra divagare Don Cecilio, sogguardando la vergine di sottecchi; -
prendiamo l’arabo, per esempio.
- Che cosa c’entra l’arabo, adesso - brontola ella, assai pronta, mentre un boccolo impertinente si liberava dalla forcina in forma di punto interrogativo sulla crocchia, come alla Tordella.
- Eh… beh… l’arabo… - continua apparentemente a divagare il gentiluomo. - L’arabo intanto siede nell’oasi in mezzo al deserto, si sa, avvolto nel suo “bournous” sotto un cielo costantemente azzurro e temperato, mentre sulle palme frondose e rigogliose intorno a lui maturano in abbondanza e senza l’intervento dell’uomo proprio le banane e gli ananas e i datteri, tutti frutti che per gl’infelici popoli del Settentrione rappresentano un prelibato miraggio o un “dessert” tra i più inattingibili! Cascano le banane e gli ananas e i datteri tutto intorno a lui, proprio a portata di mano, ma l’arabo nel suo
“bournous” non allunga nemmeno la mano perché ne è sazio. E non è forse felice? Eppure l’arabo forse non lo sa… Proprio come questi privilegiati spensierati davanti a noi che soddisfano così abbondantemente e gratuitamente i propri capricci di flagellazione “nature”… poi nemmeno perseguitati dal rimorso puritano o dal pentimento calvinista… bensì consolati dal balsamo dell’approvazione cattolica… E non sanno quanto costerebbe invece nelle grandi capitali del Nord (basterebbe interpellare le grandi “maŒtresses” del “Bateau Lavoir” o dell‘“Annagasse”…) ciascuna delle frustate che qui tutti si somministrano con tanta simpatica “nonchalance”… Fortunati loro! E
non lo sanno!
… … … … … … … … … … … … . .
Come risultato, quasi immediatamente Judy “ci casca”, come una pera ‘Williams’ matura.
Il duca palermitano, il quale le fa ‘una corte sapiente’, e le si accompagna quando la vede disturbata, e la conforta sulla via del ritorno, e manda a domandare notizie sue con fiori e cordiali, e poi la viene a cercare, e comincia a portarla fuori ‘per distrarla’ nei ritrovi Alla Moda - col consenso indulgente e ironico della baronessa - le fa visibilmente perdere le trebisonde, anche se è chiaro che per ora certe sue allegrie o svaporatezze dipendono solo da qualche sorso di spumante o di amaro lucano…
Ma insomma. E’ visibilissimo che la vergine sta facendo (se non altro) i suoi paragoni e i suoi conti: come sarebbe possibile continuare a tenere in una qualche considerazione un banale Michele, o un semplice Salvatore (che la scoperebbe certamente “bien”, con foga e passione e resistenza, anche se forse non con altrettanta competenza… ma basta! non si vive di solo “quello”!…) quando questo affascinante viveur si dichiara disposto seriamente a
“SPOSARLA
e a fare con lei una vita da Ritz?”
… Judy viene a somigliare sempre più a quelle sue care e ingenue compatriote lettrici di Ouida o di Marie Corelli che si abbandonavano sventatamente alla Grande Passione Italiana, e finivano sepolte per mal sottile o per parto gemellare ai Bagni di Lucca… in apparenza… PERO’ “non ci può non”
essere “sotto” anche un certo calcolo, se si riflette che il suo posto attuale è solo temporaneo, come quello di Credenzòn l’anno prima, e alla fine dell’estate l’aspetta un ben triste ritorno al paesino del Galles tutto carbone e montone con valigiotto a borchie e ansie lawrenciane represse, oppure (‘bene che vada’, giacché ora, oh, come vorrebbe restare in Sicilia, o almeno in Italia, ad ogni costo!) una
‘sistemazione’ “da stringere il cuore” con un Michele o un Salvatore senza soldi…
*
Da quanto tempo non si sentiva più la bella espressione “fare una corte serrata”, o anche “spietata”!
Eppure, eccola tornata d’attualità! Tutta per noi! Come descrivere altrimenti, infatti, la tradizionale galanteria isolana nella Grande Maniera di Don Cecilio nei confronti di Judy, che (come si è già intravisto…) “ci casca”?… Fiori, marrons glacés, fondants, pralines, bigliettini mauve profumati al bois de santal, anche saponi stagionatissimi, e foulards di Madame Claude, e spumeggianti boutades mondane degne di un Sacha Guitry, con inviti fittissimi a visitare le bellezze turistiche e le curiosità artistiche della Palermo più rinomata e ‘segreta’…
Ed eccoli dunque - i nostri amici - alla Cattedrale, e al Palazzo Reale, con Cappella Palatina, or ora tornata di moda, e al Duomo di Monreale, con mosaici e con chiostro… ma ogni gita appena fuori città non sarebbe mai stata discussa davanti a camerieri, si passavano la notizia e pare che alcune bande di briganti pagassero per questo tipo d’informazioni! (comunque i due venivano accompagnati da un paio di ‘bravi’)… sul Monte Pellegrino, la cui bellezza (secondo Goethe) non si può descrivere con parole, ma che fatica la salita a dorso di mulo fino alla grotta di Santa Rosalia…
alle Catacombe dei Cappuccini, fra salme di bambine sante e mummie di monaci venerabili e non meno di ottomila scheletri visitabili con permesso speciale!… al Convento di Sant’Angelo, con torte di pistacchio e squisitissimo marzapane… alla Villa Palagonia, a Bagheria, con specchi e con mostri e con Goethe anche qui… all’Opera dei Pupi, la migliore di tutte, alla Kalsa, con abbondanza di costumi e folklore… al Parco della Favorita, in ora di passeggio elegante e galante… al Politeama, per uno spettacoloso circo equestre, e lì Judy vede i Whittaker, i Mazzarino, i Trabia, e perfino i Florio che potrebbero anche intrattenerla, un bel giorno, in una torre assai capricciosa rifatta dentro in neogotico, proprio all’inglese… al Caffè Romeres, per gustare il riso del paradiso e il gelato di scorzanera e cannella… alla Tonnara dell’Arenella, anche per ammirare il mulino a vento per macinare il sale…
… Vertiginosi e inebrianti giri fra pesci spada e cassate di ricotta, madonne gotiche moresche e orti botanici tropicali, tempietti dorici e palazzine Direttorio, piazze per autodafé e pizze alla marinara, casine di caccia e pasta con le sarde e pinoli e asparago selvatico, Kalsa a piedi con caviale locale, Zisa e Cuba, Carlo Quinto e Filippo Secondo, prigioni dell’Inquisizione e bianco-mangiare, un caleidoscopio o un panopticon di meridiane, cineserie, tonno al ragù con aglio e menta, Luca Giordano, giardini inglesi, molluschi buonissimi in trattorie popolarissime con pasta e broccoli, paradisiache minne delle vergini confezionate dalle buone sorelle con cedrata e pistacchio, deliziosissimi vol-au-vent alla Federico Secondo serviti da valletti in polpe nei retropalchi di teatri d’opera grandi e maestosi, pasta reale e maghi e maghe a Corso Calatafimi e perfino una capatina al Circolo dei Civili (normalmente serrato alle signore) con appropriati complimenti di Don Vito Cascioferro, e Mercati della Vucciria e riti ortodossi a Piana dei Greci e scarrozzate lungo la Marina, e Trionfi della Morte con occasionali bons mots sull’ironia e lo “spleen” della condizione umana da parte di Don Cecil… e sovente… fra un trattenimento e una visita… un suo furtivo
‘sgattaiolare’ in farmacie oscure, o preoccupanti ‘parlottii’ con figuri foschi in bar defilati… e suo ritorno ‘pimpante’ con generose scatoline e cartine…
*
Insomma, a casa, Judy non la si vede quasi più!
Va e viene, sta quasi sempre fuori, certe volte ritorna anche molto tardi, mentre Fulco e Francesca, naturalmente, seguono con viva costernazione e qualche raccapriccio questo ‘sbandone’ proprio inaspettato.
Michele, poi, preoccupatissimo! data la sinistra fama che ha sempre circondato ‘C. C.’, con tutte quelle droghe… e tutte quelle orge… mamma mia!
Ma la baronessa, invece, serenissima! tranquillissima!
Minimizza tutto! Nega l’attendibilità delle ‘voci’!
E addirittura, avalla e incoraggia le uscite di Judy con Don Cecilio, malgrado l’aperto allarme dei figli:
- Finitela, sciocchini! Sono tutti pettegolezzi di mezze calze! C. C. è un perfetto gentiluomo all’antica, grande amico del povero papà!
E poi, anche:
- Gran famiglia, gran patrimonio, gros bonnets, anche una nonna inglese, ottimo partito, che bella coppia!… Proprio fortunata, potrebbe chiamarsi!
Però non riesce davvero a calmarli. E Michele, da parte sua, fa pena, apertamente esasperato, perché su quale piano potrebbe mai sognarsi di competere col raffinatissimo duca e con la sua nonna inglese, lui, povero playboy da stracazzo?
I ragazzi discutono, complottano… La sventata Judy sembra ormai disposta a tutto, preda anche troppo facile, nel suo entusiasmo scatenato e incauto per questo ‘irresistibile’ esponente della
“haute” che annusa neanche tanto furtivamente le sue tabacchierine alla processione di Maria Assunta, e si fa riverire dai camerieri più altolocati, e sussurra con garbo così impeccabile “vi attendo alla mia Capponcina”, inchinandosi come una spira di quegli incensi che ardono incessantemente nei brucia-profumi tripolini, tra eliche di velivoli e tartarughe imbalsamate… e cataste - “cataste”! - di cuscini soffici e peccaminosi di lamé…
Non finirà per avventura, la poverina, come nella ‘Naja Tripudians’ di Annie Vivanti, in un club di dissoluti che bevono Manhattan cocktail con aria biricchina e con cannuccia lunghissima per vedere il mondo tutto color di rosa con un occhio, e tutto color di cielo coll’altro?…
Sempre più inquieti per la sorte della sbadata vergine, Fulco e Francesca e forse anche Michele, proprio come enfants terribles di Cocteau, incominciano a scrivere e a spedire lettere anonime a tutte le autorità dell’isola, perfino al provveditore agli studi, denunciando Don Cecilio per contrabbando d’oppio, seduzione di fanciulle, oltraggio alla moralità siciliana, e profanazione della verecondia estera.
*
Ma la mamma li vede così spossati, quasi isterici. E sarà allora, ‘per svagarli’, che decide di portarli a questa Targa Florio, senza Michele, per ammirare le Bugatti in uno svolazzìo di veli e di parasoli.
Quanta mondanità! Che Liberty! Che Daimler! Che Bentley! Quali mirabili toilettes in un’effervescenza di dame in paglia di Firenze e di gentiluomini in monocolo e binocolo!
Bisognerebbe consultare l’Illustrazione Italiana!
… … … … … … … … … … … … . .
Tutti si divertono molto, ma ‘in coda’ a questa gara eccitante e movimentata, Don Cecilio “rapisce”
Judy sulla sua vettura scarlatta, in un’inebriante corsa nel vento, fra sciarpe sventolanti e baveri vibranti, spasimo dovuto alla velocità, fieno strappato dai carri agricoli per un buon augurio…
Insomma, più Isadora Duncan di così, si muore!
Infatti… Nella folle corsa, lei quasi protende il sorriso contro il vento eroico della rapidità, sempre nel battito del suo gran velo ora grigio ora argentino. Dal canto suo, lui rimane chino sul volante della sua rossa macchina precipitosa, che correva l’antica strada romana con un rombo guerresco simile al rullo d’un vasto tamburo metallico. Mai tranquillo un momento! Afferra la leva, accelera la corsa come nell’ardore d’una gara mortale, sente pulsare nel suo cuore la violenza del congegno esatto! E il vento? Gli mozza le parole su le labbra arsicce!
E via! Via! Soffrono, gioiscono, guardano la morte e non credono alla morte mentre le rondini una dopo l’altra urtano contro i bugni del radiatore camuso uccidendosi! Via! Via! Poi l’orrore arresta i palpiti, ché il carro era là, carico di tronchi immani che si protendevano oltre le corna delle due coppie di buoi aggiogati! E qui la povera Judy chiude gli occhi: fu scossa dalla violenza dello sterzo, udì gli urli dei bovari e un muggito lugubre come se la macchina micidiale passasse sopra le bestie stritolate!
Che batticuore!
… … … … … … … … … … … … . .
Ma poi riapre gli occhi e qualcosa di verde di candido di fresco le entrò nelle pupille. Thank goodness! La macchina correva, muggendo dalla sua sirena, lungo il margine erboso del canale ove le ninfee galleggiavano innumerevoli. Dietro, il vortice della polvere nascondeva il passo della morte.
Che biricchina! Che monella! Che Scampolo! Un repentino riso stridette per entro l’ondeggiamento del velo, su la faccia incolume e invitta! Non tace, vuol dire la sua: “l’ultima posta! avete ucciso una rondine e prestato un muggito di spavento a quattro buoi troppo placidi!”
Ma lui non le vuol dare soddisfazione: “tutto è gioco!” disse. Prendi su.
Pulsa il motore, ride la vergine, ma poi soffoca il riso e sussurra “siamo folli!”, e si sorprende a sospirare “l’amore, l’amore!”, abbandonando indietro il capo, socchiudendo i cigli, rilasciando le braccia e le mani come chi illanguidisce, con la bocca avida, quasi a bere tutto il filtro dell’estate dalla tazza riversa del cielo coronata di foglie… Un vero demonietto. Allora lui accelera.
- L’amore è il dono, - le fa.
- No, è l’attesa, - ribatte lei.
No, è il dono. Macché, è l’attesa… No, sì, sì, no… Che rottura di palle. Insomma, lui accelera ancora.
Ed è lì che il vortice di polvere, il rombo guerresco, l’ululo della sirena, respingono la mite e straziante melodia.
… … … … … … … … … … … … . .
Siamo quasi al villino, è il solstizio d’estate (“il più lungo giorno!”), lui la tocca un po’, e tutta la sua anima si dibatteva sbigottita con un fremito innumerevole come se tutte quelle rondini vive fossero prese in una rete sola e nel terrore si rompessero le penne. Ma contratto egli taceva, per prudenza intento a dominare se stesso, la sua macchina fida e infida.
- Muoio di sete! - fa lei. - Ho sete di quell’acqua verde! Ho voglia d’inginocchiarmi sul margine e di tuffare il viso tra due ninfee!
- Ma siamo arrivati! - le fa lui improvvisamente, frenando di scatto dinanzi all’ultima bougainvillea.
Benvenuta alla mia Capponcina!
E aggiunge, con inopinato gioco di parole:
… Ma ravissante petite grande-duchesse des Deux Céciles!
In preda a folle eccitazione, la introduce così in quel suo leggendario e favoleggiato “buen retiro”.
*
E qui, davvero, e più che mai, il trionfo del chi più ne ha più ne metta! Tutto corrispondente alle descrizioni e all’immaginazione: Dugento, Fortuny, Debussy, Sans Souci, bruciaprofumi con incensi, palme in vaso, vetrate da cappella, cuscini e tappeti orientali, candelabri, centrini, pugnaletti, tigri imbalsamate, comò intarsiati di madreperla, pitture, anche su vetro, sculture, ventagli, pantofole, alabastri, caraffe di opaline, perle in coppa, pietre dure in cofanetto, cravatte
“regimental”, portasigari col carillon…
… Ebbra di Marsala Florio e di Asti Spumante, Judy a questo punto sarebbe DISPOSTA A TUTTO!
Si abbandona perdutamente tra le passamanerie…
… Anche perché Don Cecilio le ha già proposto “ripetutamente”
“LE NOZZE!”
… e tutta una vita di fasto mondano tra Montecarlo e Biarritz e Bisanzio!
Lusso!!!… “Lusso!!!… LUSSO!!!”…
… … … … … … … … … … … … . .
Ma qualcosa - proprio - “non va”.
Ahhh!!!
Don Cecilio “non ce la fa”.
… … … … … … … … … … … … . .
A Judy, ormai, va bene lo stesso! Moglie, compagna, crocerossina, infermiera, esploratrice, fatina, sorella!
“Non fa niente!” Anzi: “io ti salverò!”
Lui - gran gentiluomo - farebbe addirittura la proposta e il gesto di riaccompagnarla alla villa…
.. Invece, finiscono per fumare il narghilé tutt’e due insieme, con spettacolari bocchini d’ambra da Corsaro Nero.
In una fantasmagoria di chiaroscuri degna di un Von Sternberg o di un Rembrandt, l’ingenua vergine si assopisce pesantemente.
*
L’ingenua vergine si risveglia di soprassalto, sola, tutta fredda, sul sofà giapponese di Don Cecilio, perché ha udito dei rintocchi inquietanti nelle sale adiacenti.
Si guarda attorno smarrita, senza comprendere nulla di nulla; ma scorge a un tratto una grossa lettera posata su un leggìo, sotto l’abat-jour di damasco, accanto a un cero agonizzante e consunto, oramai.
La pergamena è di Don Cecil! Con tratti misteriosi e accenti romanzeschi, le annunzia che un Fato ineluttabile lo costringe a partire innanzi l’alba verso l’Ignoto! Forse l’Aquitania, forse la Franca Contea, chissà…
Entra una piccola squadra di uscieri a inventariare il leggìo, il cero, la pergamena, l’abat-jour di damasco, il sofà giapponese, e tutti gli altri ninnoli e bibelots e chimoni che costituiscono l’arredo del boudoir, comprese le scarpine di Judy, che la poverina dovrà essere ratta a infilarsi, per non restarne priva, mentre le stanno togliendo il sofà giapponese di sotto.
Da quelle lamentevoli mezze-maniche, la poverina apprende allibita che Don Cecilio era carico di debiti, che è scappato appena in tempo per sottrarsi agli orrori dei creditori, che si stanno mettendo i sigilli a ogni cosa, e il villino andrà prossimamente all’asta in seguito a una vendetta di casse di risparmio! Come la Capponcina vera. La Vita che imita l’Arte!
La sventurata fugge a precipizio, turbatissima, attraverso i campi.
*
A colazione, davanti a un fragrante timballo tutto cannella e zucchero, tutta una gara nel consolare la povera Faggotty, come se si trattasse di una vedova disperata.
L’infelice non si è ancora ripresa. Sembra che abbia perso la memoria come certi ‘Prigionieri del Passato’, e come in talune favole ci vorrebbe forse il bacio di un principe per ridestarla… Ma a quali ulteriori indegnità sarebbe stata sottoposta da un Destino che ha come ritornello “chi la fa l’aspetti”, l’amara massima di un compianto Piccolo Mondo Antico del quale la poverina sperimentava la caducità a proprie spese… Francesca e Fulco addirittura esagerano nei conforti (almeno, secondo la baronessa, che osserva e disapprova stizzosa e muta), e si mostrano anche troppo felici di averla lì ancora, la povera cara, tutta per loro!
Vivaci di entusiasmo, i piccini si baloccano animatamente con la suggestiva idea del Bel Sogno che un Triste Giorno finalmente si infrange!… E come ci dànno dentro! Un affare di droga? di orge?
forse provocato da certe lettere anonime? “Si sa com’è cattiva, la gente! com’è invidiosa!”… mentre il banale Michele, da parte sua, rimane piuttosto rilassato e silenzioso, com’è suo costume, e si contenta di scambiare affettuosi e comprensivi sguardi con Judy, del tutto privi di sarcasmo o rinfaccio.
La baronessa, a un tratto, stufa, “taglia corto”: chi l’avrebbe mai detto! una famiglia così importante, e così facoltosa! come si sono permessi, questi creditori, solo per qualche conto non saldato di camicie di seta e di foie gras! Comunque C. C. si stabilisce a Parigi, in Rue de Rivoli!
*
… Questo Don Cecilio, dunque, malgrado la grandiosità delle sue spacconate e del suo casato, altri non era allora se non uno di quei soliti nobili semi-interdetti che vivono ‘alla giornata’ finché la parte ‘sana’ della famiglia non ‘taglia i viveri’, e ordinano champagne per tutti, e gardenie alle dame gentili, fino alla vigilia di una fuga ‘ignominiosa’ con le cambiali ‘alle calcagna’, situazione fra le più mortificanti nella routine della Belle Epoque?…
La delusione è addirittura traumatica per la povera Judy, che d’altra parte rimane visibilmente agitata e irrequieta: non solo frustrata in quegli ambiziosi progetti così minuziosamente accarezzati e così miseramente crollati, ma anche esasperata e disturbata per questa serie di stuzzicanti avventure che si troncano con somma bruschezza sempre un attimo “al di qua” dell’appagamento sensuale: prima con Michele, per la grandguignolesca irruzione di Fulco; poi con Fulco medesimo, per la precipitosa avventatezza del piccolo; e ora anche con Don Cecilio, quando si è accorta a sue spese che a molto incenso corrispondeva ben poco arrosto…
Insomma, questa serie di orgasmi mancati comincia a darle noia, come tutto ciò che è ambiguo e non consumato. E poi, l’aria sicula in generale… le estenuazioni tipiche dell’estate…
Nel suo improvviso smarrimento - benché forse ricominci a considerare nuovamente il banale Michele - il maggior conforto le viene tuttavia da Francesca, che prende vivissima parte alle ambasce dell’amica, e si fa avanti più decisamente per confortarla.
Prima, preoccupatissima per le conseguenze della liaison con Don Cecilio (le droghe, le orge, il cattivo esempio, e chissà cos’altro…)
Ora, poi, più sollecita che mai nel tentare di portar sollievo ad ogni costo a “quella sfortunata ragazza” (come ormai viene definita in casa la povera Judy).
Anche piuttosto cambiata, la nostra Francesca!
Non mangia più come una porcella. Non si lascia più dominare come una cretina. Ha imparato a tener testa alla mamma, con un certo piglio, e non solo nelle faccende asessuate! Ma soprattutto, vorrebbe emulare Judy sotto tanti aspetti, dalla disinvoltura nei modi alla sveltezza della silhouette!
Ora, la sollecitudine e l’inquietudine di Francesca finiranno per risolversi ben presto in un Bel Gesto (per lei) addirittura decisivo, nei confronti dell’amica turbata dalle emozioni di tutti quei rapporti così frustranti… e poi, non soddisfacenti!
Si era sempre rifiutata, in passato, di mettersi in costume da bagno per prendere il sole accanto a Judy. Anche nei momenti più calmi, nelle giornate più serene, l’obesa fanciulla non aveva acconsentito mai, malgrado ogni insistenza.
Ora invece è lei, con intensità significativa, a proporlo a Judy, quando la vede più abbattuta!
E come rimane vivamente intenerita, costei, quando Francesca le si stende vicina, a prendere il sole, in maglietta, fra i bugnati, in terrazza!
Quando si trovano spogliate, distese, lontane da occhi indiscreti, l’intimità fra le due ragazze raggiunge effusioni d’affetto di un’intensità mai prima neanche tentata…
…Ben diversa dalle rozze iniziative dei due maschietti, quando si ripropongono di fare ‘del loro meglio’ per ‘svagare’ la ‘povera’ Judy…
E qui, senza la minima fantasia, si ricade ogni volta sulla solita altalena: la mettono su come in un Goya, la spingono in alto come in un Fragonard, sempre più in alto, altissima, leggiadrissima, mentre lei non può fare a meno di strillare gioiosamente!
Se si osserva più da vicino, si potrà notare che Fulco davanti e Michele dietro, come sempre, spingendo o frenando, dando dei colpi per rallentare o spostandosi a guardare di sotto in su, stanno facendo delle grosse birichinate di cui forse Judy non si rende completamente conto!
Capisce tutto benissimo, invece, la baronessa, che li guarda di lontano, fremente, visibilmente irritata, mentre continuano le gaie strida della vergine.
Le piace anche pochissimo la visibile complicità fra i due ragazzi, oltre che quella meno palpabile fra le due ragazze.
Decide allora di Sfoderare gli Artigli.
*
Ma non è facile!
I teatrini sono sempre un disastro; e l’imperiosa gentildonna, già stravolta dalle preoccupazioni domestiche, appare molto seccata a chicchessia.
Già la sua laboriosa trama impostata sulle ‘irresistibili attrattive’ di Don Cecilio risulta naufragata, più che miseramente, nel grottesco.
D’altra parte, sia durante la parentesi Don Cecilio, sia durante l’anticlimax susseguente, variamente sentito e sofferto da tutti, l’impavida nobile mal sopporta, con vivace disappunto, una notte dopo l’altra, che il rendimento di Michele cali a livelli imprevedibili, imperdonabili… Sembra assente, distratto… E questo sarà dunque il problema più grave: Michele che non funziona, sembra incapace di iniziativa e di invenzioni, come un attore che continui a dimenticare la parte…
… Ma questo va risolto subito!
D’altra parte, la colpa, un po’, è anche di Stefania medesima, che si ostina a insistere con le fiabe: Rosaspina che si punge e va risvegliata in un suo certo modo, Cappuccetto Rosso alle prese con le manone e le zampone del lupo… Ma intanto, è assai mortificante, quando si va avanti per ore strofinando per niente la lampada di Aladino, o cercando di infilare a Cenerentola una scarpetta che proprio non va… I risultati sono lamentevoli. Michele fa delle bruttissime figure.
Con un po’ di batticuore, l’instancabile patrizia finisce allora per riesumare lo sketch più classico, andato sempre benissimo, però, ahimè, fin troppe volte replicato: la mignottona esperta e stupenda che insegna tutto al soldatino imbranato che va per la prima volta al casino. Lo manda a cambiarsi.
Michele, ubbidiente, va e torna in divisa da bersagliere con le penne, anche perché si è ricominciato a parlare di soldi, e lei gli fa sentire con una certa pesantezza gentilizia che in questo modo lui non si sta guadagnando affatto il suo stipendio…
Cominciano dunque il celebre sketch, ma dopo un inizio vagamente promettente anche questo si affloscia in misura lacrimevole.
“Non è serata”.
Michele si riveste, fa per andare…
La baronessa è fuori di sé! Disperata, soprattutto perché, se va avanti così, dovrà pur finire per licenziare Michele, anche perché ha capito benissimo, l’infelice Choderlos de Laclos, che lui pensa a Judy, tanto a Judy, solo a Judy, quell’inane, e sarebbe anche disposto, pur di sposarla scioccamente, a lasciare la villa e fare magari “la fame”… E comunque - argomento che molesto ritorna e ritorna - uno come lui, allevato e tirato su e anche capace di sfacciate invenzioni personali, dove, “dove” lo trova?…
Ma proprio nel momento del désarroi, ecco una sorpresa! (o una trovata!) L’astuta dama finisce per strappare per caso a Michele il suo segreto erotico!
Infatti, nel bel mezzo della crisi, quando non si parla più di fiabe, bensì di soldi e di Judy, Michele ha improvvisamente una reazione inaspettatamente vigorosa!
Alla scaltra Stefania, questo soprassalto non par vero!
Ora ha capito tutto!
Incomincia a parlargli ossessivamente, golosamente, di LEI, tempestandolo di domande sempre più invadenti e viziose: cosa le faresti, se fosse qui? questo? o questo? (e via!…) Il monotono fustone si eccita sul serio, e mostra di nuovo l’antica efficienza, intatta, perfetta: con grande soddisfazione di Stefania.
Ella costringe Michele a ‘darci dentro’ con l’immaginazione: le farei questo! le farei quello!
Michele non si fa pregare.
Il teatrino si conclude con un esito trionfale!
Ora la baronessa è pronta per la Zampata Decisiva. Che dovrà ridarle il Controllo Totale. Su Tutta la Situazione.
E ne approfitta subito per riprendersela in mano.
Riattaccandosi ai due discorsi di prima (il “che cosa le faresti?”, e il ricattino finanziario) mette (ancora a letto) brutalmente Michele di fronte a un aut-aut dove è chiaro che il giovanotto non ha troppe scelte.
Insomma, gli fa realisticamente presente che in una botta sola lui potrebbe assicurarsi parecchi grossi vantaggi e una sistemazione definitiva.
Sposare Judy; restare con lei nella villa, con posto non più di istitutore, ma di intendente, con stipendio cospicuamente aumentato, e col patto - come prima, meglio di prima - di non escludere mai la baronessa dai loro nuovi giochi. Unica condizione, infatti, è che tutto, a cominciare dai teatrini, deve continuare senza capricci né languori né reticenze!
Michele naturalmente accetta subito.
Anche a lui ‘non pare vero’ di ottenere così, “in un sol colpo”, tutti i vantaggi che mai avrebbe potuto sognarsi.
Ma la baronessa è insaziabile.
Non ne ha mai abbastanza. Proprio come certi fidanzati gelosi, pretende una ‘prova’. E quale?
*
Anche qui, i casi sono due!
Ma solo così Stefania sarà sicura della devozione del suo dipendente, e della sua sincerità! Che non gli salti in testa di tagliarla fuori dai trattenimenti con la futura moglie!
Michele acconsente facilmente.
*
1.
Il primo caso ricalca le Nozze di Figaro: vasto camerone ripieno di alcove, seggioloni, vestaglie, e gabinetti, dove sia agevole nascondersi anche a due o più persone contemporaneamente. Non c’è che l’imbarazzo della scelta!
Proprio lì - è bastata qualche carineria, e il sorvolare sull’episodio Don Cecilio, per riconquistarsi la mal sopita tenerezza di Judy, ormai più che calda e apertamente disposta a tutto, non ci vuol niente -
il banale Michele qualche sera dopo riesce a trascinare appunto la vergine, a lume di doppieri di
“vermeil”, fra quadri profani di famiglia e immensi canterani o armadi traboccanti di antiche federe in disuso.
Nella fattispecie, in uno di questi si tiene dapprima celata Stefania, e spia di soppiatto origliando sempre più eccitata fra i pesanti battenti gli approcci sempre più galanti e pesanti di Michele e di Judy, fino a che i due non si sbottonano sopra un mucchio di piumini finissimi, le voci ridotte a impercettibile sussurro.
Ma la baronessa non riesce a trattenersi a lungo appiattata dietro una tela di buona scuola carraccesca rappresentante Angelica al cospetto di Sacripante. A malapena abbigliata da Contessa settecentesca in un vaghissimo costume di Corte che si spalanca impetuoso sul torso fremente, essa improvvisamente esce dal suo canterano con una nodosa verga in pugno, e si butta vorticosamente sulla coppiaccia avvinghiata!
Strappa d’un sol colpo Michele dall’amplesso della Faggotty, e lo trascina di prepotenza sotto di sé, feudalmente, anche per far capire ai due chi è che comanda il giuoco e tira i fili della danza gentilizia!
Ma non ha bisogno di usare il randello!
Michele, eccitatissimo, di sotto in su, prosegue meccanicamente entro la baronessa ciò che aveva con tanta baldanza principiato con Judy, la quale rimane allibita, ovviamente ma, talmente emozionata da non riuscire a star ferma con le mani!
Eppure le smanie della baronessa non le impediscono di badare anche alle reazioni e alle aspettative dell’esterrefatta ma ingorda ragazza gallese!
Dopo aver soddisfatto i più urgenti stimoli sotto i furiosi colpi del ritrovato Michele, sarà Stefania stessa con orgogliosa sicurezza ad allungare i bicipiti possenti per afferrare la golosa Judy rincantucciata come un timido anatroccolo in un anfratto tra i guanciali decorati del Toson d’Oro, e a rimettere Michele ancora vigoroso a sua disposizione, addirittura accompagnandolo con mano non meno energica che benevola, oltreché col proprio consenso ‘morale’: come un’amica affettuosa e materna che porga “con le proprie mani” il fidanzato alla sposa…
Così anche Judy, stupefatta e comblée, ottiene la sua soddisfazione, e un benefizio anche superiore all’aspettativa, dopo una randonnée così lunga e tribolata, fra tanti sussieghi e imbarazzi!… e viene quasi travolta da ciò che le dice la baronessa subito dopo, e per di più con quella solita altera severità che finisce per riaffiorare intatta in ogni circostanza, col suo cipiglio.
In sostanza: nessun ostacolo, nessun ostacolo, per carità! Anzi, ogni agevolazione - le mormora la baronessa - a un
“Bel Matrimonio”
con Michele, con sistemazione permanente nella villa, vantaggiosa da tutti i punti di vista.
Naturalmente (come aveva già intimato a lui, e come ribadisce con fermezza anche lei), purché il puzzle si ricomponga dopo le recenti agitazioni, e tutto riprenda a funzionare esattamente come prima, con una persona in più, ma dietro una facciata di rispettabilità familiare assolutamente impeccabile.
… Tanto più, aggiunge in un soffio, all’orecchio di Judy, in tono fra il misterioso e il sibillino e il mitomane, indicandole un ritratto del defunto marito alla parete e accennandole a un’unità di misura con le due mani disgiunte… non ha per avventura notato una certa somiglianza fra il banale Michele e il compianto barone?.. lei, sì!… E non si può affermare mai nulla per certo.. comunque… certi segreti di famiglia… non si trovano soltanto nei romanzi delle sorelle Bront‰…
… … … … … … … … … … … … . .
*
OPPURE… BLOOMSBURY!
2.
Arriva infatti (secondo una versione alla E. M. Forster, ‘Passaggio in India’, confer i decisivi capitoli delle Grotte di Marabar) un Gran Giorno!
Finalmente! Dopo tanto tempo che se ne parlava! quasi come della Gita al Faro di Virginia Woolf!
Si va in gita alle Cave del Ciclope, la curiosità archeologica più ragguardevole della zona, importante complesso di grotte, con magnifiche rovine preistoriche, boschi, cespugli, balzi, forre, fratte, labirinti, giuncaie, intrichi!
La giornata è torrida, loro si porteranno dietro stupendi cesti di vimini con impeccabili servizi da picnic e accurate vivande fredde.
La famiglia è al completo, con Judy e Michele, il giuoco del volano, e una lieve, losca aria di complicità reciproca aleggiante a mezz’aria là per là.
Nel corso della gita si faranno trastulli, si consumeranno merende e bevande, e ciascuno si dedica al proprio passatempo favorito - quali la pittura di paesaggio, la cattura di farfalle, la raccolta e cernita di conchiglie fossili… - ma tutto sembra cospirare impercettibilmente nell’avviare Judy all’esplorazione di queste grotte così misteriose e leggendarie. Perfino la baronessa, oltre che la Natura stessa, sembra partecipare ai giuochi dei ragazzi con insolita gaiezza.
Il giuoco spinge presto Judy ad addentrarsi nelle grotte, e a infilarsi nei cunicoli, quasi per scommessa… ma di lì a poco la ragazza gallese incomincia a sentirsi turbata e stranita per la singolare atmosfera sotterranea piena di echi arcani e risonanze ascoltate nel frattempo con l’orecchio a terra da Fulco e Francesca che per obbedire alla madre sono rimasti all’esterno e si affacciano incuriositi ai pertugi…
*
Michele, dopo aver sfidato allegramente Judy a mostrare il suo coraggio britannico addentrandosi negli umidi meandri e fra i ruscelli sotterranei, dopo alcuni vari giocarelli e inseguimenti scherzosi, approfitta del primo vero turbamento della ragazza fra i ramarri e i rospi per saltarle affettuosamente addosso.
E un po’ per il timore, un po’ per il raccapriccio, un po’ per la voglia, un po’ per la stranezza dell’ambiente e dell’atmosfera, la vergine cede.
Ma non ci avvedremo adesso che il giuoco e lo scherzo erano stati in un certo senso combinati da un sagace burattinaio che sta tirando tutti i vari fili d’Arianna?…
Appare improvvisamente la baronessa, che non li aveva mai persi di vista, tormentando nervosamente il manico d’argento dell’ombrellino acquistato ‘A la Nièce du Pape’ in Rue de la Paix, e li trova pericolosamente avvinghiati fra una stalattite e una stalagmite. Batte ripetutamente il tacchetto dello stivaletto di coppale! Ed eccoli anche un po’ spaventati per il suo arrivo a sorpresa!
Il sorriso di lei è duro, severo, ma anche impercettibilmente trionfalistico.
Si rivolge aspramente a Michele, con rimproveri addirittura scandolezzati, ma nei confronti di Judy inaspettatamente si rivela protettiva e quasi materna. Occorre subito riparare a codesto episodio riprovevole! sentenzia. E parla immediatamente di sposalizio e di sistemazione definitiva per entrambi, senza neanche lasciare il tempo a Judy di ribattere o di riflettere.
I vantaggi appaiono ovviamente evidenti, per tutti.
E i ragazzi, che hanno ascoltato e forse hanno anche visto qualcosa, e comunque sanno tutto, non dicono niente ma tacitamente approvano la mamma.
- Ma io non sono cattolica, - riesce solamente a dire Judy.
La baronessa ribatte pronta che non è un ostacolo.
*
ZERLINA
Giovinette, che fate all’amore,
Non lasciate che passi l’età;
Se nel seno vi brulica il core,
Il rimedio vedetelo qua. La ra la, la ra la, la ra la.
Che piacer! che piacer che sarà!
CORO
La ra la, ecc.
MASETTO
Giovinetti, leggeri di testa,
Non andate girando qua e là;
Poco dura de’ matti la festa,
Ma per me cominciato non ha.
Ah, ah, ah; ah, ah, ah! Che piacer, che piacer che sarà!
CORO
Ah, ah ah! ecc.
ZERLINA e MASETTO
o
Vieni, vieni, carin godiamo,
a,
E cantiamo e balliamo e suoniamo;
o
Vieni, vieni, carin ‘ godiamo,
a,
Che piacer, che piacer, che sarà!
Ah, ah, ah; ah, ah, ah!
Che piacer, che piacer, che sarà!
CORO (contadine e contadini, soprani, contralti, tenori e bassi) Ah, ah, ah! ah, ah, ah!
Che piacer, che piacer che sarà!
La la la lera, la la la la lera,
La la la la la la la la la lera!
*
“Il Matrimonio fra Michele e Judy”
si celebra dunque al più presto: solenne, commovente, civile, in bianco.
Il sindaco, in fascia tricolore, ed emozionatissimo per la presenza del console generale di Gran Bretagna a Palermo, officia nel municipio rosa tra gli ibischi e i nespoli
“il Primo Sposalizio Anglo-Siciliano”
della sua carriera!
mentre tutti sorridono benigni e compiaciuti alla bella coppia e alla generosa benefattrice! e la mamma di Michele, felice, piange come la fontana malata di Palazzeschi, ringraziando il Cielo per la gran fortuna!
Brindisi coi bicchieri colmi di marsala!
*
Ritorno a casa!
Rientrano alla villa molto sorridenti, fra il sollievo del personale in polpe di gala e cipria Coty, perché ogni cosa si è sistemata nel più felice e decoroso dei modi, soddisfacente contemporaneamente per tutti e per ciascheduno, per merito (come sempre!) dell’affettuosa e scaltra baronessa.
Festosi, allegri, sereni! Una famiglia buona, semplice, esemplare! Agli occhi di tutti!
Sulla porta, i cinque si sorridono teneramente: la baronessa a Judy e a Michele, Francesca a Judy e alla mamma, Michele e Fulco a tutti e a se stessi ‘sotto i baffi’, leccandosi golosamente le labbra e richiudendo a passo di danza il pesante battente chiodato alle spalle del gruppo di famiglia, con uno sberleffo e uno sgambetto come nel finale del ‘Cavaliere della Rosa’…
*
… Ma la porta non ha fatto nemmeno in tempo a rinchiudersi, ed ecco che cascano proprio sulla soglia - precipitando con sordi tonfi dalla sommità della misteriosa torretta saracena dove nessuno ha più posto il piede da gran tempo, e che mai e poi mai viene menzionata nelle conversazioni familiari - l’uno dopo l’altro, i diversi capolavori di Jane Austen rilegati in una sbiadita ed economica tela cilestrina, quali si possono ancora trovare presso taluni “bouquinistes” di Charing Cross: prima ‘Sense and Sensibility’, poi cade ‘Pride and Prejudice’, indi ‘Mansfield Park’, poi ancora
‘Emma’, e da ultimo, insieme, ‘Northanger Abbey’ e ‘Persuasion’, legati con un rozzo elastico - come un estremo segnale rabbioso o disperato - a ‘Jane Eyre’ di Charlotte Bront‰!
*
E chi si fosse per avventura trovato a transitare da quelle parti in quell’afoso meriggio di fine estate, avrebbe forse potuto scorgere per un attimo - prima che due robusti avambracci tatuati non fossero intervenuti a far scorrere con brusca decisione le pesanti cortine imbottite sulle guide d’acciaio - un paio d’occhi di “jais” terrorizzati fin troppo somiglianti alle allucinate paia d’occhi di “jais” di tutti i ritratti maschili di famiglia che pendono in ogni sala e salone e galleria della villa corrosi dall’umidità e offuscati dall’inarrestabile e irritante trascorrere del Tempo… … … … … … … .
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