Un casino di bacetti
Improvvisamente, davanti a tutto un mondo cresciuto fra i vecchi parametri della rispettabilità e doverosità piccolo-borghese tirchia e casalinga e guardona e guardinga, e i nuovi conformismi dei detersivi e dei digestivi e dell’ideologia e della semiologia e degli amari e degli 55
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shampoo - con l’angoscia di scorgere dietro ogni barbone nero o sciarpone fricchettone l’autonomo drogato e pazzo che te tira ‘na bomba ‘n testa e te porta via tutto pure se non ciài ‘na lira ‘n tasca -
ecco si spalanca tutto un altro mondo di motorini, cagnolini, videotape, oroscopi, gruppi antidroga pesante, ginnastica orientale insegnata a prezzi politici, acquarelli, consultori, baby-sitters, piastre registrazione stereo, punti di aggregazione per recuperare senza colpevolizzazione una dimensione di dialogo, chitarre acustiche, pappagalli smarriti, seggioloni chicco, marce femminili, crisi maschili, collettivi omosessuali, coltelli, scarponi, piume, tende canadesi da campeggio, gruppi di autocoscienza, ricerca di tavoli e letti, contatti per costruire qualcosa, ripetizioni d’inglese, autoadesivi, opuscoletti, piano-bar in locali gestiti da compagni a Frosinone, ripasso insieme di fisiologia generale dal lunedì mattina al giovedì sera, ricerca urgente di compagni per una vacanza in Grecia, vendita di flauti artigianali indo-equatoriali, ricerca urgente di monocamere accessoriate in affitto, cinture gialle per chimoni judò, flauti dolci e traversi, gite a manifestazioni mortuarie con colazione al sacco, attrezzature subacquee, coppie fatte e sfatte e rifatte, “cerco disperatamente dischi”, “disperati disposti a discutere su tutto”, cortei, ricerca di contatti per sfuggire l’alienazione, ricerche di compagni trovati e perduti fra un blocco stradale e un autostop, filmini, autobianchi, 500, NSU, 2CV, anche “un’amica etiope con il fratello finora vissuti con la zia che li ha sempre repressi dopo otto anni di violenze vogliono vivere la loro vita da soli…”
La fortuna di una trovata giornalistica - le lettere (e poi i piccoli annunci) a “Lotta continua”
come campionario “nudo e crudo”, e cool, e dry, dei tormenti di una generazione disperata davvero -
si deve non soltanto all’ansia emozionata e commossa nel “riconoscimento” reciproco fra i teenagers
“a bagno” sprovveduti e sperduti nel gran brulichio conflittuale successivo agli studi ancora severi e alle citazioni ancora solenni della generazione del ‘68 e del “Manifesto”… Si deve (soprattutto) (forse) alle curiosità politicizzate e antropologizzanti di quella vastissima “fascia” più o meno adulta che non riesce a riconoscere le “diversità” contemporanee sotto l’uniformità ferrea e plumbea dei comportamenti rivoluzionari e degli abbigliamenti emarginati, dietro quei nomi anche loro “nudi e crudi” (Marco, Paola, Massimo, Patrizia…) come ai tempi degli antichi romani… “Fascia” addirittura anziana che magari intende ancora per “ironia” un certo sense of humour attualmente impopolarissimo (basta osservare i diversi usi plumbei di Alice…), e per “creatività” un’attività che inventi e costruisca e metta a punto preferibilmente arte e letteratura senza troppi nessi con ferrei strumenti presenti o appiattati di distruzione e di morte… e che inoltre non fiuta né mangia né beve né si inietta né aspira né assorbe analmente prodotti o sostanze se non sa esattamente “cosa c’è dentro”, giacché è tuttora influenzata da pregiudizi di “marca”, di “provenienza” di “annata”…
rimane convinta che cocaina ed eroina debbano provocare soprattutto euforie eleganti come negli anni spensierati della café society, e non già un horror vacui coatto o un cupio dissolvi non garantito… si sente poco al corrente con l’attacchinare e col volantinaggio… e infine teme probabilmente il dialogo interrotto a causa di sparo improvviso, bomba inopinata, macchina incendiata, spranga accidentale, lungo silenzio poco distinguibile da sincope…
Forse c’entrano anche talune golosità ricorrenti per una letteratura “selvaggia” tanto più
“autentica” quanto più antiletteraria, secondo formule come “in prima persona” e “in presa diretta”,
“dal paese reale” e magari “dal basso”… secondo l’ingordigia costante e periodica, e volentieri acuta, per le “voci” e le “testimonianze” e i blue-jeans ben stretti nei posti giusti di quegli “strati” per tradizione (e malgrado ogni finto Progresso) così remoti e diversi dalla crosticina acculturata che ha sempre gestito il bla-bla culturale stagionale italiano: a costo di franare nell‘“altre voci, altro birignao”…
Ecco allora le nuove curiosità per tutti i canali e tutti gli organi di tutti i movimenti e di tutti i gruppi, ecco le scoperte e le analogie e i paragoni tra i diversi vezzi e manierismi. E così, per esempio, in uno stesso giorno, sul “Manifesto” si può trovare che Rossana Rossanda, volendo dire
“che imbarazzo decidere se collaborare col PCI oppure no”, scrive ancora “dare per scontata una 56
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divaricazione irrecuperabile fra un riformismo, ancora ricco di implicazioni quindi passibile di rifondazioni e massimalismi o anarchismi, poveri e pericolosi”, mentre in “Lotta continua”, come facendo salti di qualche secolo attraverso un’antologia scolastica disordinata, “è successo un piccolo screzio col bidello che voleva fare un’oppressione fisica su di me: visto che non c’è riuscito hanno fatto una violenza morale”, e “sanno fare gli articoli falsi e per continuare a farli dicono che non sanno come si costruisce uno spinello, che giornalisti del cazzo…”
Ecco insomma il successo giornalistico immediato di questo trick “di cui si sentiva la mancanza”, quando appunto “Lotta continua” inaugura la sua pagina quotidiana di lettere disperate, allineate senza commento come reperti di tormenti e di strazi remoti, rispecchiando con impassibilità e registrando con eclettismo le nuances di una condizione giovanile perduta in tutte le sue illusioni e contraddizioni e delusioni e “pallosità” e “scazzi”… e storicizzandosi addirittura in un volumetto antologico: libro desolato, in quanto confessione collettiva di afflizioni solitarie per motivi gravissimi o pretesti minimi egualmente autentici ed egualmente strazianti? oppure libro crudele, giacché espone questo assortimento di desolazioni come in una bacheca o una teca, senza un’ombra di partecipazione o conforto? oppure libro rosa, per la rivalutazione non certamente casuale di tanti temi sentimentali e intimistici già tipici degli antichi giornaletti “femminili” e del cinema dei telefoni bianchi recuperato nei cinema d’essai più rivoluzionari e più giovani?… Eppure fonte insostituibile di informazioni (si fa per dire) dirette, per chiunque si senta professionalmente o genuinamente interessato alle emozioni ignote e ai sentimenti inconoscibili e agli umori inimmaginabili dell‘“area giovanile”, ma per ragioni generazionali (e magari di rispetto per una certa autenticità reciproca) non se la sente di tampinare da vicino come guardone importuno o pedagogo non richiesto - o commendatore sullo skate-board - quelle generazioni adolescenti che insieme al rifiuto e all’azzeramento di ogni esperienza passata dichiarano francamente la propria ostilità agli
“anziani” anche meglio disposti e più golosi.
Il famoso “gap” generazionale, infatti, non è mai apparso così vasto e irreparabile, tanto che pare un nonsenso provare ad attraversarlo camuffati da ciò che non si è, o addirittura “facendo finta di niente”. Per esempio, se si è cresciuti con Callas e daiquiri, e gli altri invece con Inti Illimani e con spini. Se si era abituati a un “ambiente” (città, strade, spiagge, teatri, alberghi, ristoranti, posti di lavoro, natura, aerei, l’Italia, il mondo…) ancora “vuoto” e “disponibile” e “dove si trovava sempre posto”, e non si era preparati al sovraffollamento della sovrapopolazione e della disoccupazione, degli intasi e dei controlli, del “tutto esaurito” e del “computer si è rotto”, del mettersi in fila e dei claxon, degli spintoni e degli scippi… Se il “ritmo” interno ed esterno è sempre stato molto rapido, e magari tutto proiettato nel futuro, e allora adesso negli spettacoli e nei rapporti umani e nello stare insieme e perfino nel relax le lentezze fanno star male, le ripetizioni e iterazioni e tutto lo “star lì”
fan dormire, e le piccole mode rétro da boutique fanno addirittura cagare - soprattutto dopo tutte quelle faticose e trucibalde uccisioni del papà e della mamma e magari dei nonni e bisnonni…
Oppure quando si riconosce intatta la pedanteria pedagogica ginnasiale delle vecchie professoresse nozioniste e macchiettone non più applicata agli amminoacidi e agli umanisti minori del Quattrocento, bensì a film di Jerry Lewis e a canzoni dei Rolling Stones e ad altri oggetti di schietto godimento o passatempo e non di compito in classe o di interrogazioni alla lavagna. Come per venire incontro a un “bisogno” profondamente sentito: riempire subito il “vuoto” lasciato dal biasimato nozionismo nelle scuole secondarie quando questo passò tutto ai “quiz” televisivi e alle presentazioni radiofoniche dei programmi di musica “pop”. E come se poi fosse diventato impossibile avvicinare e trattare e “fruire” alcunché direttamente, semplicemente, senza la mediazione del garbuglio ideologico e del groviglio sociologico e delle griglie semiologiche e delle maglie delle date e dei dati e dell’inesorabile “discorso” che deve confondere e scaricare chissà quali colpe non necessarie, anche quando ci si sta occupando di Trio Lescano o di Totò… (Tutti quei collettivi di formichine socio-semio-ideologiche affaccendate con le loro griglie intorno a Mariano Fortuny, Mario Nunes Vais, Isa Miranda, Ghitta Carrell, Gegé Primoli, Carolina Invernizio, Raffaello Matarazzo, Nilla Pizzi, Carlo Ludovico Bragaglia, ma prive individualmente o 57
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collegialmente di qualunque ombra o residuo del talento solitario e fortuito di quei vecchi artisti isolati e desueti…) …Come del resto nella parallela e catastrofica trasformazione del sesso libero e diretto e immediato e spontaneo in discorso e problema e quadro e limite e livello e gestione e aggregazione e nuovi modi e ruoli e rapporti e tematiche e misure in cui…
…Sono passati in fondo pochi anni da quelle simpatiche speranze marcusiane in un istinto sessuale finalmente liberato da repressioni e negazioni e doveri e libidicamente spontaneo fra piaceri anarchici e perversioni polimorfe… Ma sono bastati perché i nipotini di Max Weber, non appena liberati dalla connessione protestante fra lavoro-procreazione-accumulo e orgasmo-piacere-sperpero (“e sia ben chiaro - diceva una mia bisnonna - che gli interessi non si toccano perché fanno parte del capitale!” Le piccole vacanze, pag’ 197), abbracciassero tutti insieme quel macluhanismo da sex-shop che estende meccanicamente ogni “sensorialità” umana con prolungamenti tecnologici: dunque cazzi di gomma, vagine di plastica, vibratori a batterie, clisteri telecomandati, pompette a suzione a tre velocità con overdrive e marcia indietro… E intanto, parallelamente, i nipotini del peccato cattolico, non appena liberati dalle interrogazioni sporchicce nel fondo dei confessionali e dalle immaginazioni febbrili durante la segregazione dei sessi, immediatamente provano il bisogno di riorganizzare il sesso all’italiana in forma di tormentone problematico di tavole rotonde e gruppi di lavoro e collettivi in crisi e discussioni e seminari e consultori e dibattiti sui “ruoli”… tanto che anche i nonnulla omosessuali più spontanei e disinvolti parrebbero diventati impraticabili se non preceduti da “preliminari” quali convegni o congressi di tipo filologico o numismatico, comunicazioni da Rotary, défilés alla Jacques Fath, scissioni in correnti di tipo partitico, e magari anche portare appositi distintivi al collo come gli ebrei nei ghetti tedeschi… finché la Festa (così proclamata da tutti) finisce per diventare spettacolo oratoriale è punitivo sulle metafore e le maschere del Potere e della Repressione in altre epoche piene di allusioni alla nostra, oppure
“casino” dove tutti vogliono parlare e nessuno vuol lasciar parlare, e dunque si va a finire malissimo, come in quelle spiagge italiane dove tutti gettano porcherie e nessuno pulisce per gli altri del giorno dopo… godendo e-o soffrendo le caratteristiche principali di quest’epoca più di ogni altra carica di tabù e moralismi paralizzanti e “innominabili”, giacché si vive assediati da una moltitudine di cose “sulle quali non è lecito scherzare”: basta controllare i nipotini di Nietzsche e di Alice, gli adepti della Festa e del Riso e del Gioco e dell’Ironia e del Nonsense; e la loro cupa rigidezza da Santa Inquisizione e da Index Librorum Prohibitorum circa la liceità o no di un accenno di scherzo e-o sorriso su una quantità di temi, la loro autentica repulsione e sincera intolleranza per tutto ciò che somigli di lontano alla vera ironia…
E dunque taluni tratti, adesso, si potranno scorgere probabilmente falsificati come da una gran distanza, venendo da tutt’altre formazioni ed esperienze addirittura. “remote come l’Impero Romano”, come diceva Palazzeschi parlando del futurismo… E parlerà infatti nel sottoscritto forse un mal sopito illuminismo lombardo (termine attualmente vituperosissimo) che tira a risolvere concretamente i problemi civili e sociali guardando “come fanno gli altri” (magari “più sviluppati”) poco al di là dei nostri confini, e dunque in situazioni passabilmente analoghe, non già tanto al di là degli oceani o dei deserti (e in materia di politica “conservatrice e rivoluzionaria”, tendendo a rammentare che l’aveva già detto Thomas Mann prima di Berlinguer)… Ma tant’è, privo di antropologia cattolica e controriformistica (niente Seicento, tutto Settecento) e tutto curiosità materialistiche per il futuro pratico della gente - spaghetti e risotti per i vivi, non tanto lapidi e cippi per i defunti (cioè Porta e Gadda contro Monti e Foscolo nonché San Carlo Borromeo) - continua a cercar risposte a domande nettamente realpolitiche, le solite, primarie, primordiali, tipo: una volta distrutto questo sistema di merda, chi poi coltiva il grano per fare il pane? (se lo chiederebbe anche Renzo Tramaglino). E come si importa la carne, se non siamo capaci di allevare le vacche, e in tutti questi anni di carestia non abbiamo neanche provato a riprendere gli allevamenti? Si costruiscono case pubbliche o private, ammucchiate o distanziate, verticali oppure orizzontali? Che cosa si insegna ai bambini a scuola, oltre che l’animazione? La superficie dell’Italia è sufficiente a contenere 58
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tutte le scrivanie di tutti gli aspiranti a un posto burocratico? Chi paga le Alfa Romeo al prezzo di costo reale? Chi compra e mangia i panettoni Motta e le colombe Alemagna e i baci Perugina? E la fabbrica, questa istituzione centrale ed egemonica, è un fatto positivo o un fatto infernale? E cambia forse di segno quando invece di produrre ricchezza per la collettività, la assorbe e la distrugge? Ecco riapparire, allora, il tormentone: se la vera egemonia spetta a una classe operaia che vive di sovvenzioni perché le sue fabbriche producono soprattutto passivi, come si fa a esercitare una egemonia campando tutto sommato di elemosine statali come i pensionati e gli enti inutili?
Potrà domandarsi (e domandarvi) ancora, un illuminista laico e non integralista né radical-cheap: la continua ridiscussione sulla propria continua ricollocazione attraverso le fasi successive e ravvicinate di una storia già non tanto breve, non rischia forse di rinviare non solo a domani ma a dopodomani proprio le desiderate trasformazioni dell’individuo e della società, finché si svolge soltanto un dibattito in termini teorici e ideologici e astratti come Logiche e Sistemi e Modelli, e finché l’inchiesta sulla realtà non si chiede con approccio realistico, finalmente, che cosa succede in concreto, “durante” e “dopo”, al popolo in nome del quale, appunto, si avvia una trasformazione italiana portata avanti dalla gente giusta per realizzare un sistema di valori più giusti?… E ritenersi intensamente politicizzati per il frequente riconoscersi in una cosa e far riferimento a un’altra, fra continui “a noi ci sta bene questo” e “a me non me ne frega niente di quello” applicati soltanto all’attualità quotidiana e mai a un progetto realistico proiettato più in là, non porta come conseguenza indesiderata e inevitabile che intanto la “vera” politica, la Realpolitik, si trasferisce silenziosamente altrove, in sedi invece “decisionali” e “operative”, per una legge addirittura fisica, così come anche il cinema e la musica e il fumo e il sesso, inavvertitamente, si spostano sempre da dove le cose sono discusse ai luoghi dove le cose invece avvengono?… E in questa specie di trascendenza innata, dove il “personale” si identifica magari in un “politico” che poi risulta anche lui intimo e privato, oltre che primordiale e naif, e inoltre cimiteriale, nella sua continua e sincera adesione alle celebrazioni e ai compianti per i caduti e i martiri e le vittime e i morti che si sentono e si scrivono vivi tra noi in una loro specie di esistenza eterna… non sembra di riconoscere un qualche cattolicesimo travestito anche dove non ci si aspetterebbe di vederlo riemergere?… E accanto ai fattori politici, volendo andare a fondo sul serio nella comprensione dei fenomeni, perché non analizzare anche senza emozione la componente vitalistica, il trip, le pulsioni, il bisogno di sperpero di energia corporea esuberante, la voglia biologica di litigare e di fare a botte, “costanti” che si sono sempre presentate nella stessa forma e con pretesti diversi in ogni generazione giovanile (con i medesimi caratteri degli scontri stradali italiani, cortei e slogan e morti e feriti e vetrine sfasciate e interventi della polizia e dell’esercito: a Belfast tra protestanti e cattolici, in Scozia fra tifosi di squadre sportive, a Londra fra punks e rockers oppure fra tutt’e due contro pakistani e bengalesi), allora insomma costanti niente affatto eccezionali ma “normali” come la pubertà e il gusto del ballo e del nuoto, e in ogni altra epoca incanalate nei Grandi Olocausti delle guerre periodiche, come salassi molieriani di massa?…
Caratteristico di queste testimonianze sembra invece un rigetto viscerale della realtà, e anche della conoscenza dei mezzi per conoscerla e degli strumenti per modificarla. Come se il rifiuto totale di ogni esperienza precedente e altrui producesse un annullamento assoluto di ogni capacità sensoriale, compreso l’orientamento, l’equilibrio, l’istinto del “cosa fare” e “come muoversi”
che fino a non molto tempo fa sembrava innato e ben piazzato nella memoria collettiva, e invece doveva essere acquisito ogni volta da capo, evidentemente, tanto vero che ora diventa sempre più necessario partecipare a collettivi e a consultori e a seminari per apprenderlo. E nella rivolta totale e preventiva e magica contro i fantasmi del Sistema, perché non si incontra mai un qualche tentativo approfondito di individuarne le connotazioni specifiche “hic et nunc” per distinguerle da quelle che non appartengono a un’epoca storica o a una classe sociale determinata bensì alla natura umana (avidità, piccola proprietà, avarizia, intolleranza, prepotenza, conformismo, trasformismo, pregiudizi sessuali, gelosia - perfino fascismo - una volta debellati da un grande sforzo o “bagno”
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collettivo, sono aboliti per sempre come l’Inquisizione e gli Zar e la monarchia sabauda, o si ripresentano freschi e intatti alla generazione successiva?)… né un vero sforzo di intendere e apprendere modi di funzionamento di apparati non connotati ideologicamente, e non fantasmatici ma pratici, ai fini di appropriarsene senza che franino immediatamente (secondo quei certi vecchi esempi rivoluzionari: se non altro, per far funzionare le locomotive e i telefoni e il pronto-soccorso e le biennali e gli enti lirici e gli enti inutili anche dopo)?…
Dunque, ecco allora una società chiusa e piccola e vecchia e omogenea come l’italiana apparire non già composta da noi stessi, sempre uguali, ma sempre da altri, estranei, diversi, nemici, disumani, perfidi, iniqui, “zombies” d’occupazione piovuti da chissà quale pianeta nefasto a formare un “sistema” di mostri, fantasmi, babau, padroni-aguzzini mossi soltanto da un gusto perverso della cattiveria spropositata: la vignettistica della demonizzazione, come nelle fiabe (la strega che sghignazza mettendo nel forno gli orfanelli), o come nella saga patriottica dell’Ottocento (il malvagio Radetzky che gode come un pazzo a torturare i piccoli buoni lombardi). E sovente, ecco la mitizzazione di un colossale complotto, una madornale macchinazione alle cui trame risalgono direttamente e insieme la sgridata della maestra di ginnastica e lo sparo dello spacciatore di eroina, il posto di blocco sull’autostrada e l’aumento del biglietto del tram. Dunque in tale “sistema” non si riconoscerà più davvero una stratificazione casareccia di tutti i “caratteri” più tipici e specifici e macchiettistici e noti e descritti dell’Italia di sempre - con diversità anche vistose rispetto ai
“sistemi” degli altri paesi, e una omologia invece straziante con l’arroganza o la goffaggine degli italiani di sempre alle prese con sportelli e con armi - ma si ravvisa semplicemente il Male. Così nella tradizione cattolica si definisce l’Inferno e il Diavolo, due assoluti. O come in quei vecchi telefilm dove il “nemico” e il “cattivo” erano una somma di tutte le infamie possibili.
Contro questo “sistema” cannibalesco, allora, ecco delinearsi due atteggiamenti piuttosto precisi benché assai dissimili. O l’ostilità armata definitiva, per colpirlo e distruggerlo (Polifemo, Fafner), massacrandone in mancanza del “cuore” anche gli elementi più irrilevanti e periferici.
Oppure la richiesta assistenziale di spazi, strutture, concessioni, agevolazioni, facilitazioni, sconti: a costo di approfittare parassitariamente delle istituzioni contestate e delle loro strutture più deplorevoli. Per esempio, le garanzie avvocatesche “pacifiche” dello stato contro il quale si dichiara lo stato di guerra.
Manca invece, nei due casi, e sempre secondo la tradizione italiana, tutto ciò che sa di piano concreto, progetto realistico, programma funzionale, “do-it-yourself” civico davvero alternativo per darsi nuove strutture (dal momento che se non ti dai da fare tu stesso e non ti fai un culo così, nessuno ti ha mai dato né ti darà mai niente, se ci speri ti illudi giacché non hai ancora capito che lo Stato sei tu), e istituzioni diverse, lavori più umani, tirare avanti meglio, produrre il mangiare, anche al di fuori della saletta da tè, del tinello macrobiotico, dell’erboristeria esotica, del panchettino della bigiotteria folk prodotta con lavoro nero e smerciata sulle gradinate e ai giardinetti. (Quale desolata immagine o metafora di degradazione italiana contemporanea, nel tristo
“suk” di Piazza Navona: riprodurre col lavoro nero di aziendine levantine del Profondo Sud il populismo più di sinistra - Pellizza da Volpedo - per rivenderlo moltiplicato e mercificato ai torpedoni di turisti americani e tedeschi…) Sembrano dunque risorgere, apparentemente intatte, le consuete differenze nazionali tra i biasimati tedeschi che pochi anni dopo la distruzione totale delle città sconfitte rimettono già in piedi da sé le case e le industrie e il marco è ricominciano ad assumere dipendenti stranieri, e i poveri italiani che dopo secoli nelle baracche terremotate continuano a gemere sulle arretratezze che non si risolvono da sole e a invocare provvidenze e beneficenze e posti di usciere che non arriveranno mai dalle burocrazie ladre dei successivi regimi, mentre il tradizionale “Italian genius” si affaccenda in piccoli espedienti “casinari” o servili e le immondizie non rimosse si accumulano sulla porta di casa.
Un’Italia arcaica e remota rivive qui e brulica attraverso testimonianze “in prima persona”, l’Italia degli assalti ai forni e della musica fatta battendo le latte e delle domande primarie mai poste 60
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dalle decine di generazioni successive, fra la tragedia di non poter trovar lavoro e il “mi scoccio a lavorare perché sono proprio uno sfaticato” e l’imbarazzo o la sofferenza per una “posizione” che non corrisponde alle proprie aspirazioni e aspettative… accanto al molto moderno “non posso fare a meno di bucarmi” e allora “saluti comunisti”…
Ma due risultano soprattutto i caratteri tradizionali italiani che escono vistosamente da quelle pagine giovanili riallacciandosi immediatamente a tutto il nostro passato più antico. Uno è la lotta politica come vitalismo e agonismo e competizione (Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, Capuleti e Montecchi ecc’) tra quartieri e rioni contraddistinti dal colore, o tra formazioni siglate da cifre politiche: allontanandosi sempre più da qualunque movente iniziale e primario (abbattere questo sistema di merda, far cadere il Principe), e rifacendosi piuttosto ogni volta a pretesti recentissimi, antecedenti immediati carichi di risonanze emotive: date di scontri, nomi di caduti, luoghi di imboscate e di rappresaglie, dileggi e ritorsioni contro gli sbirri del Principe ( Romeo e Giulietta, Cena delle Beffe…), appelli e commemorazioni di vittime, ma innanzittutto le bastonate di sabato scorso. E qui, al sistema di merda, cioè al Principe, farà certamente piacere che la rivolta della vitalità giovanile si sfoghi in adunate e cortei, canti e slogan e couplets appassionati e rimati, e magari scontri armati, con gran dispendio di fisicità e vocalità e coralità, però di tipo sportivo-agonistico, dunque con costo di vite umane e di armi molto inferiore a quelle tali guerre adibite in passato ai medesimi bisogni di “sperpero” periodico. Qui basterebbe combinare Bataille e Reich e Canetti… O passare attualmente un sabato a King’s Road o nell’East End londinese… O avere attraversato ad Amsterdam i primi (storicamente) conflitti europei moderni fra studenti e polizia, prima di qualunque maggio francese (e non per nulla documentati nel volumetto Off-off uscito appunto nel ‘68)… Ma sarà però consentito ai non giovani di portare - come giustificazione, come a scuola - soprattutto la vaccinazione subita tanti anni fa, quando l’adunata del sabato fascista era obbligatoria per tutto l’anno, niente affatto un trip, e l’assenza dalle manifestazioni di “Arriba España” veniva punita? Sono cicatrici e risentimenti che restano.
L’altro connotato è poi l’opposto di quel mito della calma e del controllo tipico di ogni modello americano sia cowboy sia beatnik (“cool, man, cool”), e un riaffiorare impetuoso della tradizionale emotività mediterranea, tra nuvole di sentimentalismo: non solo moltissime cose qualunque definite pazzesche, paranoiche, allucinanti, eccezionali, bestiali (laddove il modello beat mai arriverebbe al di là di “good” e “bad”, con tutt’al più un po’ di “shit”, di “fuck”, di “wow” e di
“gee”), ma un fiume di piangersi addosso per una disperazione che suona indubbiamente autentica.
Sia per cause “vecchie come il mondo” e cantate in tutte le letterature, e in ogni Montmartre, sia per cause legate alla crisi italiana attuale, sia per ragioni gravi e sia per motivi futili: dalla ragazza perseguitata dalle suore al militare che si trova male a Bologna, dal “maniaco depressivo transessuale con più estrogeni” al carcerato che riceve le raccomandate in ritardo, dalle femministe che cercano soltanto dolcezza al travestito dileggiato sulla spiaggia libera, dai figli di famiglia piccolo-borghese che odiano il Natale dei genitori col panettone, all’adolescente che non andrà mai più in discoteca perché lì tutti “assumono un ruolo” e si danno arie con le scarpine a punta, dagli entusiasti per lo sparo sbrigativo in bocca, ai rapsodi melodici di Piazza Mercanti, all’anarchica dodicenne preoccupata per il dilagare della violenza, al vigilante che sospettando nello sport un qualche oppio dei popoli propone una mobilitazione dei compagni in vista dei mondiali di calcio, alla ragazzina solitaria in un piccolo centro dove c’è solo la passeggiata sul corso, al ragazzo che vorrebbe considerare come “fine ultimo” la vita e la felicità e il piacere e usa la violenza solo quando è proprio costretto… in una ininterrotta lamentela italiana di sconforti e di angosce tipica un tempo della piccolissima borghesia più atterrita e smarrita, mai solcata da quegli obsoleti caratteri storici che si chiamavano una volta coraggio e stoicismo e magari cinismo, o soltanto vitalità, in quella vasta gamma popolare che andava dal “ciglio asciutto” al “par de cojoni” passando magari accanto al “classico” proletario “mi sto facendo un culo così”…
…sempre sentendosi perseguitati, colpiti, offesi, vittime della violenza e tentati dalla violenza e poi respinti dalla violenza che è il tema più ossessivo della vita giovanile attuale…
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interrogandosi con un enorme ansioso bisogno di comunicazione reciproca su temi primari di cui l’umanità non ha mai cessato di discorrere, e magari già risolti le mille volte, e invece affrontati sempre come per la prima tragica volta, a un livello di comunicazione che Ernst Bloch definirebbe di “infinità”… ma che senza voler fare i samaritani o i boy scouts indurrebbe anche un Cuore di Pietra a intervenire, a dire “sta’ attento” o “fa’ così” o “questo no”, come quando si vede qualcuno che inciampa, cade, si fa male, sbaglia strada, casca sotto l’autobus, entra in un negozio dove ti derubano, va in un posto dove si mangia malissimo, prende un libro che è un disastro, dà retta a un imbranato, va dietro a uno spacciatore o a uno stronzo… e sempre vivendo la parodia del progresso come tragedia al buio, e attraversando senza bussole la caricatura della modernità… tanto che il tema principale di questa “agony column” diventa la solitudine, il disadattamento, la morte… “sono 22
anni che mi sento solo e chissà per quanto tempo continuerà ad essere così”… “questo è uno di quei particolari momenti in cui non capisco più niente, in cui non riesco a trovare niente e nessuno a cui appigliarmi: una sicurezza, un minimo di “certezza””… “la solitudine è una cosa che si ha dentro da quando si nasce, ed anche quando stai con gli amici ad una manifestazione di tante persone che urlano tutte insieme la loro rabbia per tutti i torti che ci fanno e per le contraddizioni che ci tocca vivere ogni giorno, sei sempre solo”… “prima era più facile: ci credevo in quello che facevo, ciecamente, forse senza ragionarci; era facile: bastava un corteo “andato bene” e mi entusiasmavo, bastava un volantino, uno sciopero e il comunismo lo sentivo sempre più vicino”… “ma non cambia niente, non riesci a farti capire neanche dalle persone che conosci da tanto tempo, e questo ti fa male da morire, ti passa la voglia di fare tutto”… “non ho voglia di cambiare, di adeguarmi agli attuali livelli di convivenza fra i compagni”… “ti fa schifo tutto, aspetti che passi il tempo e che cambi qualcosa, ma lo sai che non è solo il tempo che le fa cambiare, dovresti essere tu, ma non ne hai la forza”… …Sono allora questi i “destinati a esser morti”, secondo la tragica formula di Pasolini vicino a morire? Cioè i “nati in più” che per la loro scarsa attitudine vitale si sarebbero spenti in qualunque altra epoca e fino a poco fa nella fase della “mortalità infantile”, ancora in culla, nei primi mesi, e che invece la scienza medica attualmente salva da questa “morte fisica” ma non già da quella che si portano dentro per sempre? e dunque ( Lettere luterane…) continuano a orientarsi istintivamente verso modelli di tristezza, debolezza, retorica della bruttezza, pallore, squallore; tendenza all’infelicità obbligatoria, rifiuto di ogni vitalità, malattia perenne, autodistruzione lenta? …secondo un’involuzione orribile, per cui un’autentica mutazione antropologica irreversibile distrugge concretamente nelle generazioni dello sfascio-figlio-del-falso-boom ogni illusione scientifica medica e consumistica nutritiva in un “progresso” fisico o miglioramento nella statura e nella muscolatura e nella resistenza della salute… e intanto si pongono per la prima volta come “modelli di comportamento” egemonici e orrendi gli spietati conformismi tradizionali della piccola borghesia, oggi “di sinistra” e ferreamente consumistici-permissivi, carichi e gonfi di ideologia e paranoia e conflittualità e falsi problemi addirittura minacciosi, agìti da questo nuovo fortissimo istinto di morte, proiettato e infettivo, nei confronti dei cari vecchi miti dell’adorabile vitalità proletaria e dell’ormai scomparso archetipo del paraculetto allegro e spensierato nella linda e frugale miseria della derelitta e svanita Italia contadina e artigiana e carpentiera e bersagliera e pescatrice e suonatrice ambulante di “quando suona Veronica, la fisarmonica…”
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Lieta no, ma sicura
Dall’antico dolor. Profonda notte
Nella confusa mente
Il pensier grave oscura;
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Alla speme, al desio, l’arido spirto
Lena mancar si sente:
Così d’affanno e di temenza è sciolto,
E l’età vote e lente
Senza tedio consuma…
(dalla “agony column” di Federico Ruysch)
Usciamo, saranno questi?
Si riconoscono presto, per strada, i modelli di comportamento: ecco la retorica dell’imbruttimento egemone e contagioso, ecco l’istinto sicuro di morte che si allarga e diffonde, attraverso la prima generazione italiana che ha mai avuto abbastanza da mangiare, soppiantando i vecchi canoni e presupposti di fisicità, corporeità, vitalità, “eleganza”, correnti nelle generazioni già antiche della “sopravvivenza dei più attrezzati”…
Ecco i risultati quasi patologici di una “naturalezza” addirittura ecologica, cioè non contaminata dai superati rigettatissimi pregiudizi di una “bellezza” secondo muscolatura o secondo abbronzatura: dunque pance femminili sfasciate nella salopette, sederi maschili gonfi e tremolanti sopra e sotto l’elastico dello slip nel pantalone chiaro; braccia dove né il bicipite né il tricipite hanno mai sollevato il peso di un chilo malgrado la retorica operaistica nel portamento e nell’atteggiamento; gambe cresciute rannicchiate nell’abitacolo della macchina e davanti al televisore; pelle grigia per mancanza di luce e nutrizione finta o scadente rispetto perfino alla povera Italia antica, e smunta a causa forse di quei prodotti chimici che avvizziscono “a vista d’occhio”, o forse anche a causa delle moltissime normali sigarette continuamente fumate nell’Italia attuale durante qualunque altra attività statica o dinamica, per disinvoltura o per paranoia; occhi e denti e capelli appassiti e tendenti all’invecchiamento dell‘“ormai chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto”; molti occhiali da pensatori di Tubinga nonostante la non abbondanza di studi e di letture…
Ecco una moda giovanile che denota soprattutto disturbi: occhiali scuri di sera, segnale di congiuntivite e blefarite e miopia; fazzoletti “strangolini” annodati al collo anche d’estate, segno di laringite e tracheite; golf sulla pancia a ventriera, sintomo di colite epatite e cistite; come se quella placenta o mano santa che è la “canotta” materna della salute continuasse costantemente a protendersi sugli organi e gli intestini indisposti anche nel momento della drittata e della sfida…
In nessun altro paese le mode giovanili sembrano così totalitarie: dappertutto si vedono coesistere diversi stili, convivere diverse fantasie, epoche disparate. Mai, da nessuna parte, come da noi, l’obbligo della lametta al collo solo nella stagione della lametta, e guai se in quella dell’orecchino o della sciarpina. (E lo stesso fenomeno, analogo, omologo, nelle idee.) Mai, come da noi tutti l’anno scorso con la camicia fuori tra pantaloni e maglione, e tutti quest’anno col collettino del baverino tirato su, e il fazzolettino scuro legato dietro il collo e non assolutamente davanti. (E
nelle “mode” culturali e ideologiche, tutto identico, tout se tient…) Come del resto, andando indietro nelle stagioni, mai al mondo un entusiasmo maschile simultaneo paragonabile al nostro in materia di pellicce, borsette, braccialetti, collane, e tacchi alti.
…E le insegne o divise del colonialismo culturale, non soltanto consumate come prodotti (Coca-Cola, Marlboro…) ma ostentate nell’abbigliamento: sempre magliette con scritte di università o aziende di Ohio o Michigan o Oxford, mai una sola di Padova o Pavia, Odessa, Santiago, el-Azhari…
Ma oltre al conformismo rigido e totale, un altro carattere specifico ora sembra la mancanza totale di difese “interne” magari fondate nella cosiddetta “identità”, individuale o della specie: sia di fronte alle sciocchezze (come appunto certe magliette o certi gioiellini), sia di fronte alla bigiotteria intellettuale, e sia di fronte a cose gravi come le droghe sempre più pesanti e le diverse forme di violenza da esercitare, la sprovvedutezza e l’arrendevolezza e la resa ai “modelli” correnti paiono assolute. Ma è dappertutto così? O sarà anche questa una conseguenza del nostro passaggio troppo rapido dalla campagna e dalle pecore alla città e alla televisione? E allora come mai in altri paesi 63
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queste stesse transizioni avvengono con più disinvoltura e meno traumi e meno mode? Quali
“zombies” ci vogliono, allora, per gestirle?
Siamo fisiognomici, pretendiamo l’impossibile! Come mai, nella tipologia giovanile italiana, sono venute a cessare improvvisamente le somiglianze con cani e gatti e orsi e leoni e gazzelle e pantere e leopardi e puma e perfino oche ed anatre ed elefanti e giraffe? e i più vengono da qualche tempo somigliando uniformemente a topi? e come tali, anche, sembrano comportarsi, con una asocialità e aggressività rosicante e distruttiva nei confronti di luoghi e persone e costruzioni e istituti, tra un vibrare di baffetti cupi e un luccichio di occhietti rossastri?… E come mai, invece, altrove, in diversi contesti, questi medesimi “tipi” di italiani (non altri, e tutti di partenza proletaria, non già miliardaria) diventano dei Pacino, De Niro, Travolta, Stallone, Scorsese, Coppola (e infiniti altri, basta leggere con attenzione il “cast” dei film e dei dischi e degli spettacoli americani)?… Come mai, come mai?… “Significa”, forse, che qui da noi l’acqua non è più buona, o l’aria non fa più bene?… E come mai in qualunque altro paese, dalla Francia al Brasile, la “parola” e la “performance” giovanile sono così disinvolte e “senza problemi” nel dire e nel porgere, senza grovigli imbranati e non senza dignità, e i telegiornali vengono normalmente detti da giovani spigliati senza bisogno di foglietti, e non già letti (come fra noi, dallo speaker al leaderino al ministro) da imbarazzati anziani traboccanti di impicci e di impacci?
La connotazione funebre sembra ora egemonica anche nei cerimoniali cultuali collettivi, dove le pulsioni mortuarie (funerali di martiri, celebrazioni di vittime, tombe, lapidi, fiori, cippi, lutti, anniversari, commemorazioni, sottoscrizioni, reliquie, versi “in memoriam”, perpetuo pianto) prevalgono sovente sugli aspetti vitali (cose da fare concretamente al più presto per uscire finalmente dal sistema di merda e dalle paranoie di morte, rimonta di una iniziativa rivoluzionaria
“protestante” sull’eterno e sepolcrale provvidenzialismo “cattolico”). Ma non era stato l’Imaginifico il primo a trasferire i simboli e le suppellettili del culto religioso dei martiri cristiani nel culto laico dei martiri combattenti e militanti, e a riversare le urne e i lumini e le fiaccole e i saluti col braccio teso e gli slogan suggestivi nonché il perpetuo pianto nella lotta politica? Non per niente, forse, quando Puccini e D’Annunzio progettavano insieme un’opera giustamente intitolata La Crociata degli Innocenti, gli ingredienti più richiesti figurano nei Carteggi così: “Ora sai quello che mi ci vuole: amore-dolore. Grande dolore in piccole anime. Non scordare però la scena grande con tutte le forze foniche e tutte le emozioni… Metti dei bimbi, dei fiori, dei dolori e degli amori… Perché, Dio mio, hai rinunciato al supplizio dei due piccoli amanti?… Oppure, abbandonando i califfi e i carnefici, non hai pensato ad una altra catastrofe più solenne e più impressionante?… Tu spiegagli il mio genere. Poesia, poesia, affettuosità spasimante, carne, dramma rovente, sorprendente quasi, razzo finale!” Qui sembra di sentire odor di Dracula, e dunque di quel dubbio che può anche prendere capitando su una scena di vampirismo nei confronti di bimbi e di giovani: cosa si fa? “finta di niente”, voltandosi da un’altra parte e occupandosi d’altro, oppure si interviene come nei confronti dei satiri ai giardinetti (che forse non esistono quasi più, e probabilmente facevano anche un certo piacere alle bambinacce)? Però ecco una buona ragione in più, magari, per contestare e interrompere la Tradizione Luttuosa.
…Ma perché allora queste pagine di lettere disperate possono anche apparire notevolmente crudeli? Perché queste testimonianze vengono in pratica sistemate come antologia e campionario, dove ogni angoscia può rispondere “orizzontalmente” (indirettamente) alle altre, però non riceve nessuna risposta diretta di tipo magari “consolatorio”, anche basato su paragoni, generalizzazioni invocate, analogie di cui si sente uno straziante bisogno e ricavate (perché no?) dall’esperienza…
Anche del tipo: lo sconforto teenager non è un tuo disturbo eccezionale bensì una fase transitoria tra le più comuni, lo riconosci tale e quale in moltissimi poeti dell’Ottocento, e perfino in Leopardi puoi ritrovare la sensazione che tutto è finito qualche tempo fa, giacché sempre l’anno scorso i cortei andavano ancora bene, e sempre due anni fa è stato addirittura bellissimo, non solo a Bologna ma 64
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dappertutto… Oppure: il maschio aggressivo non è poi una specie così frequente, il duro e il dolce hanno ciascuno vantaggi e svantaggi come il mare e la montagna, basta non mistificarsi pretendendo soavità dal picchiatore e viceversa… O: l’omosessualità cessa di essere un incubo se smetti di viverlo come trionfale supplizio e di infliggerlo come tormentone agli altri, anche i filatelici vengono sfuggiti e scherniti quando parlano solo di francobolli per ore e ore, e non parliamo degli alpini quando ripetono a lungo che ghe piase el vìn… Ti fanno anche passare ogni. gusto del vino. O: la famiglia si sa che è un orrore, bella scoperta, vedi Edipo, proprio per questo in tanti paesi la si lascia al più presto, senza però troppi rimpianti per le comodità perdute e la tavola apparecchiata… O: non è detto che. “artigianato” debba significare per forza soprammobili invendibili o monili penosi, c’è anche quello non dilettantesco che può rendere piacevoli o disastrosi i “bisogni” di tanti cittadini (e non per niente, spesso, passa il giardiniere e muoiono le piante, passa il tecnico elettrodomestico e poco dopo la lavatrice perde, il frigorifero romba, il giradischi va in fusione; forse lì si potrebbe ancora fare qualche cosa di utile: non è detto che proprio tutti in Italia debbano fare gli intellettuali o i terroristi; e se la fabbrica fa giustamente orrore ci sono in fondo tante specie disponibili di artigianato con buon fatturato e ancora tante occupazioni tradizionali e “umane” in città e in campagna)… O addirittura: se non sei capace di esprimere e realizzare una sessualità più piena e più globale, non dare la colpa a entità astratte, altrimenti è come dire non mi tira l’uccello perché oggi è martedì; e certamente la ricerca di sessualità alternativa, e un diverso coinvolgimento del maschio in crisi, o tutti i rapporti sado-maso, possono dare gran soddisfazioni se corrispondono a una “spinta”
autentica; ma se per te sono progetti velleitari di cui si chiacchiera e scrive tanto, e “vorresti provare” così, per una curiosità turistica, vedrai che imbarazzi, vedrai che titubanze, vedrai quante paure e brutte figure: come volendo fare il torero o il subacqueo non sentendone la vocazione; se non te la senti, meglio lasciar perdere anche per non aggiungere tormento a tormento e problema a problema… Non so: non ti ricordi l’imbarazzo di quando facevate gli hippies, e si fermavano i torpedoni delle Acli a fotografarvi? E ti ricordi la zia che è andata a Parigi con l’Enal per vedere gli esistenzialisti?… O anche: per favore, bambini, nei momenti molto difficili, abbiate la compiacenza di fermarvi ai posti di blocco e di non fare i paraculetti con le armi cariche: sennò, poi, per voi non si piange, e neanche per la cuginetta accidentalmente colpita.
E magari, facendo uso ogni tanto di quella famosa “ironia” tanto citata e invocata, ma poi, quando la si incontra davvero, detestata e sfuggita perché fa terrore, come è sempre successo nel nostro paese: perché mai contentarsi del sei alla fine dell’anno, e non esigere il dieci all’inizio? e se ci fossero diversi ordini di scuole, quelle svergognate con la promozione garantita, e quelle infami dove ci si fa un culo così, quale si sceglierebbe? E per discendere al più basso dei bassi esempi, poi, avendo un mal di denti pazzesco, da quale dentista si andrà, uscito da quale tipo di scuola?
Certo, quando una abbastanza giovane si augura oggi una società futura dove il suo bambino non sia più esposto ai Caroselli e all’asilo delle suore, sarà abbastanza inutile che un non-giovane osservi che se nasceva solo un po’ prima era fatta, perché la televisione non c’era e le nonne e le zie in casa sì, a guardare i bambini, e poi sono state scacciate appunto dalle rivendicazioni giovanili; oppure che l’asilo devono essere appunto i cittadini a costruirselo, se non vogliono le suore, perché altrimenti è proprio il jemenfoutisme dei cittadini che si rispecchia nel jemenfoutisme dei governi, e viceversa: non sono mica due cose diverse, è la stessa… Così come in altri paesi si rispecchiano reciprocamente i lindori, oppure le intolleranze… Ma forse l’ingigantimento dei piccoli drammi adolescenziali “uguali sotto ogni latitudine” potrà sembrare talvolta spropositato a chi “ne ha passate ben altre”, la guerra vera e la miseria vera, per esempio. Eppure, basta fare un paragone fra le generazioni che avevano alle spalle appunto le bombe e gli sfollamenti e la fame, e davanti a sé l’epoca più prospera nella storia d’Italia, con le automobili e gli elettrodomestici, e queste generazioni che hanno invece la prosperità e gli elettrodomestici alle spalle, e hanno fatto in tempo a goderne in quanto “bisogni” pur condividendone la contestazione; e adesso vorrebbero forse recuperarne una parte, però è troppo tardi, gli effetti delle contestazioni sono “a catena”, e rimpiangeranno il deplorato boom come una piccola Belle Époque scema che non tornerà mai più 65
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mentre nel deplorato frigorifero ci sarà sempre meno da mangiare…
Ed è vero, si fa tutti un gran discorrere delle proprie esperienze badando poco alle altrui, dopo tutto: il bisogno di lasciar la casa familiare oggi fa “pendant” alla fatica di ricostruire le case distrutte e le famiglie disperse tanti anni fa… E attualmente non solo il gran fumare ma soprattutto il gran parlare continuamente di fumo e spini e libanese e afgano, come evoca lontane e precise memorie di vecchi congiunti gourmets che discorrevano per ore e ore di baroli e formaggi degustando appunto quei medesimi baroli e formaggi, e come risultato quanti miei coetanei sono cresciuti astemi…
Quanti aspetti minori sembrano ancora finiti, qui, fra quei cartoccetti con la stagnola che passano di mano in mano. La vecchia mania delle etichette e delle marche “certe” (è un vero Chanel? un vero Burberry? un vero Jack Daniels? un vero Einaudi?) con tutti i sospetti e le diffidenze ( ora si “mandano giù” delle cose inverosimili)… E anche il mascheramento non carnevalesco ma tattico: al partigiano che per traversare le linee tedesche si traveste naturalmente da SS non corrisponde più davvero il fumatore che per “rendersi invisibile” si traveste da commendatore (e pensare che un blazer e una cravatta sarebbero un buon investimento, talvolta…) Ma questa struggente infelicità giovanile della generazione che ha “goduto” insieme gli effetti di un falso boom e le illusioni di una rivoluzione finta e le conseguenze immediate di una contestazione che in una società così fragile produce dall’oggi al domani soltanto miseria - e raccontata da “loro” non in “opere” ma soltanto in lettere in cui dicono e sanno che “non sono riusciti a esprimersi” benché abbiano già l’età in cui la maggior parte dei poeti ha già espresso tutto -
può anche, apparire straordinariamente remota a chi ha fatto in tempo a conoscere gli ultimi
“esemplari umani” prodotti prima dei mass media, quando ogni piccolo “vaso chiuso” di cultura locale aveva accumulato per secoli tali idiosincrasie irripetibili e inconfondibili di antropologia e fisionomia e moda e cucina e ironia e poesia e sesso e “interni” e citazioni e giochi e bizzarrie e fonetica, da rendere ancora stuzzicante e avventuroso ogni spostamento di venti o trenta chilometri in patria, appena alla vigilia di quei viaggi a Singapore o a Caracas o a Kinshasa sempre per mangiare lo stesso hamburger nella stessa pizzeria hawayana-bavarese sentendo lo stesso “rock” e trovando da comprare gli stessi accendini e profumi e foulards… E naturalmente ci si può sentire anche un po’ Attilio Regolo o Guglielmo Oberdan, rievocando alle vittime dei treni pendolari e dei fermi di polizia le decine di chilometri avanti e indietro in bicicletta per andare a scuola sotto la neve, o i padri andati a cercare nelle carceri delle SS sotto i bombardamenti… O si potrà sembrare delle Madame Dubarry, ricordando che in casa di soldi non ce n’erano, però dietro casa nella collina delle “viti da tavola” c’erano almeno trenta o quaranta qualità di uve diverse mai più in seguito ritrovate così fantasiose in nessuna parte del mondo, e alle quali non si dava nessun valore, allora…
O si potrebbe ricorrere a un vecchio proverbio folk dell’Oltrepò - per cui ci vogliono molti pavesi per estrarre una sola rapa dal terreno - se si ricorda che le vecchie famose Biennali di Venezia, con festival strabilianti e tutto, erano fatte (in tutto) da quattro persone?…
Eppure, come appare adesso singolare e inaspettato, da parte dei più giovani, il recupero ostinato di una quantità di cose passate (che non sono soltanto “buone cose” gozzaniane, ci son dentro anche delle cose cattive e cose pessime, o ancora peggio cose retoriche)… vino, stornelli, nacchere, siesta, giostre, salame, campagna… come volendo riappropriarsi dei cibi e dei piaceri e dei vizi mediterranei dei nonni disprezzati o mai conosciuti… saltando via a occhi chiusi l’odiata generazione dei padri e dei fratelli maggiori…
Ma attualmente un non-giovane e non-vecchio, che all’università magari non aveva quasi mai i soldi per comprarsi un librino dell’Universale Einaudi o della Corona Bompiani, sarà soprattutto portato a un calcolo di costi. Proprio i conti in tasca: i prezzi dell’eroina, i prezzi della P‘38… Quando mai, infatti, tra gli anni Quaranta e i Cinquanta, si poteva disporre di somme simili?
All’università si andava in carro bestiame, su ponti provvisori, in piedi, al freddo, coi bollini del pane. Volendo fare qualche “esproprio”, non c’erano che liquoracci autarchici e l’olio della tessera 66
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speciale per i malati. Come rappresaglia, tutt’al più, incendiare qualche bicicletta. E se ci fosse stato qualche raduno giovanile, attraverso quali canali lo si sarebbe saputo? Comunque, bisognava arrivarci a piedi. Ci ritorneremo? Ci dispiacerà? Finalmente il Satyricon?
Ma volendo fare un calcolo proprio contabile. Fra i nostri venti e trent’anni, quando il viaggiare e il mangiare costavano poco in Europa, quanti miei coetanei hanno mai avuto in tasca l’equivalente monetario di una settimana di “ero” o di un armamento con munizioni? E che cosa ne avrebbero fatto, con quei soldi? Paltò di cashmere, catenoni d’oro grossi come quelli delle maschere della Scala? Pranzi chez Maxim’s ballando con le signore, Berliner Ensemble con Brecht ancora vivo, saune scostumate a Amsterdam allora uniche al mondo, St. Moritz col franco a 140 e cioccolato e sigarette praticamente gratis? Certamente, guardando una crisi con tante automobili e una disoccupazione con tanti spinelli, adesso, torna in mente Gadda, che diceva: “lo stipendio della Rai e in più la coscienza inquieta! ma sono lussi che la mia generazione non si è mai potuta permetterei” E se penso che sono andato a Londra nel ‘54 in treno e senza soldi e ho conosciuto T.S.
Eliot, e sono andato in America nel ‘59 in nave e sempre senza soldi e ho conosciuto Eleanor Roosevelt, allora - aveva ragione Palazzeschi - mi pare di rievocare cose davvero più remote dell’Impero Romano… (E mi pare che perfino l’illuminismo lombardo possa soccombere a quel
“fattore celtico” che si impara a riconoscere in se stessi quando si sentono le attrazioni per i fantasmi nei boschi notturni… e dev’essere un dato antropologicamente ineluttabile, immutabile: tanto vero che i Galli effigiati nella Curia romana mostrano gli stessi baffi e pizzetti e riccioli dei loro conterranei Tre Moschettieri.)