Ti vedo sai? Sei sorridente e carina da morire, con la minigonna, le calze colorate e quel baschetto sulle ventitré.
Ti immagino mentre cinguetti con gli studenti per i vialetti di Holland Park, o mentre flirti con gli inservienti del pub con quella seduttività naturale che ti rende irresistibile senza essere mai sfacciata. Ignara di ogni malizia e di ogni guaio terreno.
Ignara dell'ordigno esplosivo chiamato Diario straordinario.
Ignara del successo amaro che sta travolgendo tua sorella e disintegrando me.
Ignara del fatto che con te sto spendendo gli ultimi soldi che non ho.
Ignara della decisione che ho preso da tempo: andarmene senza salutarti, per risparmiarti la pena della mia dipartita.
Per quanto ancora potrò proteggerti, pulcino mio?
E mi perdonerai se ancora una volta ho scelto per te, tentando di prolungare la favola?
Lo so, non ti ho chiesto il permesso, proprio come ho fatto con tuo padre quando ho voluto concepirti. Di questo secondo inganno non mi sono mai pentita, né di aver approfittato di quel breve ritorno di fiamma.
Milly aveva appena chiuso gli occhi per sempre e Edoardo sembrava finalmente sereno, come sollevato da un peso enorme. Non so chi l'ha detto, ma il ciclo dell'esistenza esige l'arrivo di una nuova nascita per seppellire meglio i suoi morti.
Così, per l'ennesima volta facevo varco nella debolezza di tuo padre, lo convincevo del fatto che sarebbe arrivato l'atteso erede maschio (mentre io desideravo ardentemente un'altra figlia femmina). Ma di quella forzatura vitale non smetterò mai di ringraziare il cielo. Da quell'ultima botta di entusiasmo sei nata tu, Emma, e sei venuta fuori piena di fiducia, al limite dell'incoscienza.
Al telefono ti ho detto che sono leggermente depressa: la depressione tranquillizza tutti, è un malessere contemporaneo, socialmente accettato. Si ingoia una pillola e si placa ogni magone. Solo qualche disperato di talento si spiaccica a terra dopo un volo dal quinto piano.
E poi tu mi ami così come sono, Emmi, leprotto mio adorato. Certo, pensi che sono un po' fuori di testa, ma tu hai questa leggerezza inaudita, questa assenza di giudizio che ti rende speciale.
Che buffo: io, la più catastrofica delle madri, ho fatto tre figlie straordinarie. Non esiste una donna più buona di Benedetta né una più intelligente di Sofia, né una più libera di te, Emma. Siete nate a sette anni di distanza l'una dall'altra, siete la dimostrazione vivente che esistono le stelle e le date migliori, in grado di accaparrarsi i favori degli dei. Okay, ti risparmio la tiritera astrologica e pure i calcoli numerologia di Bakul, anche se sei l'unica che ha sempre accolto con gioia (e curiosità) le mie
«teorie volatili» (come le chiama simpaticamente tua sorella Sofia).
Tu mi hai sempre accettato, mi hai sempre considerato una pazzerella innocua, anzi, divertente.
Non voglio lasciarti nella tristezza, non voglio smettere di recitare la parte da te preferita.
Tranquilla, tesoro, a furia di immedesimarmi nella parte non sono diventata una matta, una malata di mente. I veri malati di mente stanno altrove. Spero che lo scoprirai con il minor dolore possibile.
Ma è possibile un dolore minore?
6 DICEMBRE 2001
Emmi, senti un po' questa: «L'avvilente commedia della mediocrità trasformata in tragedia della vanità». Suona bene, vero? E secondo te chi l'ha scritto? No, non ti sforzare, non sei tenuta a saperlo. Non devi andare lontano.
L'ha scritto tua sorella Sofia, ed è l'interpretazione che ha dato alla mia esistenza, passandomi nel tritacarne.
Però, a parte lo shock iniziale, sono ancora qui viva e vegeta, capace di intendere e di volere. Quindi ribadisco forte e chiaro una cosa. La mia vita può essere stata un compendio di errori catastrofici e di passi falsi, ma l'esegesi di Sofia è peggio, è un abbaglio enorme, una sintesi così riduttiva da risultare imbarazzante (e non solo per me). Angusta e buia, come tutto quello che proviene solo dal cervello.
Povera Sofia, trasuda da tutti i pori intelligenza, sarcasmo e battute folgoranti. Ma porta sulle spalle un fardello pesantissimo, un'ossessiva identificazione con la mente che le preclude ogni possibilità di pace. Mi ha sempre giudicato, e ha sbagliato sempre. Non perché io sia migliore della sua Clara, o meno ridicola, o più in gamba.
Semplicemente perché sono diversa. E il mio fallimento totale (il suo punto di vista) è stato altro, ovvero la somma delle esperienze di cui avevo bisogno per arrivare fin qui.
Ti stai già distraendo, Emmi? Temo di sì, di rado riesci a concentrarti a lungo.
Allora la pianto subito, ne approfitto per riposarmi un paio d'ore, magari per tornare a dormire. E tu riprendi a cinguettare, a giocare, a ballare (anche a studiare, ma con moderazione, rimanda le materie faticose all'età adulta).
Adesso prendo le gocce che mi ha prescritto il medico, ho aumentato la dose, del resto da drogata scrivo e ragiono meglio. E poi, anche se sto fuori con la testa, chi mai se ne potrebbe accorgere? Che nirvana, l'isolamento!
Che estasi, la mancanza assoluta di doveri!
9 DICEMBRE 2001
Ormai dormo di continuo: la mia mente è serena, ma un po' annebbiata. Per esempio, non ricordo chi ha detto: «Le parole sono farmaci. Alcune infondono coraggio e forza, altre avvelenano l'anima e la stregano...».
A te che cosa ti cura, che cosa ti placa, bambina mia?
Sono sempre più preoccupata per te, Sofia.
Dove ti incamminerai tra poco, quando avrai visto il panorama desolato che si scorge dopo essere arrivati in cima da soli e troppo in fretta?
Che sforzi dovrai compiere con tutta quella zavorra di riserve mentali e di giudizi impietosi?
E il successo esagerato che stai ottenendo, quanti timori aggiungerà al tuo bagaglio già pesante? Perché avere successo rende schiavi degli altri e delle circostanze, mentre essere di successo è una fusione gioiosa e serena con gli altri (e con le circostanze).
Smettila di ridere, piantala di ridicolizzare le mie intuizioni, i miei presentimenti.
Il discorso è più complesso del prevedibile, e richiede una pazienza che non ho, per lo meno che non ho più qui, con te. Preferisco rimandare la cosa altrove.
Ma ricorda: l'unica passione che non svanisce nel tempo è quella che ci fa ricercare una verità lontana e molto diversa da quella che avevamo immaginato.
Finora non ho fatto che cadere, rialzarmi, e poi cadere di nuovo. Ma nel posto dove sto andando non sono previsti ruzzoloni né abbagli. Nessun morto e nessuna rinascita.
Lì troverò l'incantesimo della comprensione ultima, lì spezzerò il sortilegio degli amori sospesi e irrisolti.
Te lo prometto: noi due ci perdoneremo tutto, e senza bisogno di ribadire nulla.
29 gennaio 2000
Per quasi due anni sono andata avanti così. Entravo e uscivo dai letti della famiglia Casiraghi. Erano molto diversi, in ogni senso.
In realtà stavo assai meglio in quello della garconnière di via Solferino.
E non solo per la maggiore esperienza (sto usando un eufemismo) del genitore rispetto al figlio.
La parte dell'amante clandestina mi riusciva benissimo.
Mi esaltava dalla radice dei capelli ossigenati, tinti di un color oro intenso da autentica diva, fino alle unghie laccate dei piedi.
Raccontare bugie, illuminare il grigiore quotidiano, snocciolare storielle, ordire intrighi era più facile che studiare copioni.
Non ho mai avuto memoria.
Sparavo balle con una certa integrità mentale, scambiandole per ciò che mi faceva più comodo.
Non sono mai riuscita a ricordare una battuta. Una barzelletta.
O meno che mai una poesia.
Il teatro iniziava a starmi stretto, con i suoi riti scaramantici e le sue prove barbogie.
Un movimento così, un altro cosà. Di grandioso, in quel contesto asfittico e precisino, c'era solo il mio nome d'arte, Clara Benares.
Clara Benares, un suono che mi incanta ancora adesso quando lo sussurro strascicando la esse finale davanti allo specchio.
Sì, con quel nome d'arte sarei potuta andare lontano.
E se avessi insistito un pochino sarei diventata famosa, un'attrice di cinema. Sarei apparsa sulle copertine delle riviste.
Sarei stata invitata ai varietà e ai festival. Avrei presieduto alle inaugurazioni importanti e ai party mondani.
Avrei prestato il mio volto e il mio corpo alle reclame dei prodotti di bellezza più costosi e raffinati.
Purtroppo, sono sempre stata incostante, alla mercé di una sconfitta repentina dietro l'angolo. Avevo pochi contatti (chiamiamoli così) e tutti in ambito teatrale.
Un disastro.
Mentre risplendevo tra le lenzuola di seta color porpora dell'alcova, arrancavo sulle dure tavole del palcoscenico.
Traballavo.
Inciampavo.
Non ero straordinaria.
Ero «una delle peggiori cagne in circolazione» (l'avevo sentito biascicare tra i denti da Felice Macchi, l'odioso regista isterico omosex). Che smacco. Che rabbia. Che barba.
Non l'avrei mai ammesso (e infatti non l'ho mai ammesso), ma ormai avevo capito una cosa: non possedevo il benché minimo talento per la recitazione intesa come professione.
Ero strepitosa a recitare nella vita.
Campavo di espedienti. Ideavo meriti inesistenti. Architettavo sontuose dimore senza fondamenta. Risucchiavo le energie e i portafogli altrui.
Roberto aveva il braccino corto, per non dire monco: si sdebitava delle mie prestazioni eccellenti con minuscole parti, con ruoli inessenziali.
Nella compagnia le donne iniziavano a detestarmi per invidia e per ripicca. Gli uomini perché andavo a letto con il padre, con il figlio e mai con lo spirito santo (loro stessi).
Dovevo escogitare un nuovo piano d'attacco.
Lo sapevano anche i muri che Clara Benares lavorava grazie ai favori di Roberto Casiraghi.
Lo sapevano anche i miei genitori che all'università non ci andavo mai.
Lo sapevo anch'io che sposare Alessio sarebbe stato un autogol mostruoso: un ragazzo tonto fa comodo per cornificarlo, ma un marito tonto come ti mantiene?
Inoltre non sopportavo più lo sguardo tagliente di Serena ogni volta che tornavo in famiglia. Ogni volta che raccontavo le occasioni speciali capitate per caso alla favolosa Clara Benares.
Lei mi squadrava e accanto alla sua testolina boriosa si palesava una specie di nuvola dei fumetti con la parola «vergogna».
Dentro la nuvola si scorgeva una signorina nuda come un verme passare dalle braccia muscolose di un ragazzo adorante a quelle flaccide di un vecchio distratto.
Che fantasia tarata dal moralismo.
Che gramizia bacchettona.
Dovevo vendicarmi di lei e di tutti gli stronzi come lei (quando ci vuole ci vuole).
Tutti quelli che osavano dubitare delle mie panzane ingegnose.
Dovevo trovare la soluzione globale, tentare il colpo gobbo.
Dovevo incastrare un pollo plurimiliardario. Ma incastrarlo sul serio, con tanto di abito bianco, velo di pizzo e strascico chilometrico.
Un modello stile impero, il preferito dalle spose che debbono occultare un provvido beè in pancia.
La necessità aguzza l'ingegno.
Infatti.
Una mattina mi sono svegliata alla solita ora, verso mezzogiorno.
E ho trovato la soluzione stregata.
Non mi servivano poetici scenari immaginari.
Mi serviva un prosaico contesto concreto. Non avevo bisogno di raccattare piccole parti.
Avevo bisogno di accalappiare un grande cretino. Uno che si bevesse, con encomiabile masochismo, la coppa al fulmicotone delle mie fandonie.
Per esempio, che avrei abbandonato una promettente carriera artistica per amore.
Per esempio, che avrei sacrificato un talento raro per entrare nel virtuoso status di moglie e di madre.
Perché i figli, solo i figli, sanciscono la posizione sociale.
E soprattutto garantiscono l'assegno per alimenti in caso di divorzio.
Quando si cercano con furbizia e raziocinio le soluzioni, ecco che arrivano leste, abbracciate con il caso. Anche se, lo devo ammettere, non avrei mai immaginato che proprio Torino, così fredda e chiusa, mi avrebbe imbandito un banchetto principesco, in grado di placare la mia fame da arrivista insaziabile.
A pensarci adesso, la spiegazione è semplice. La città sabauda era un ibrido irrisolto di provincia e metropoli. Un fritto misto di complessi di inferiorità e di atteggiamenti ultrasnob. Un coacervo di contraddizioni che si sposavano per incanto alla causa della mia cialtroneria.
Perché l'idea di seppellirmi in un buco di paese mi procurava i conati di vomito.
Pur dovendo riconoscere che Milano si era rivelata un osso durissimo anche per una lenza come me.
La ricordo come ieri, quella serata celestiale.
Alla fine dello spettacolo (di cui ho dimenticato il titolo e l'autore), in una trattoria accanto al teatro Carignano nota per ospitare gli artisti tiratardi e i playboy sfaccendati, si era presentato Dodo Vendola in compagnia di un gruppo di amici vitelloni.
Era lo scapolo d'oro del capoluogo piemontese. Era apparso (con tanto di foto) in un articolo dedicato ai partiti più ghiotti d'Italia. Figlio del ricchissimo industriale degli elettrodomestici e della nobildonna Valeria Sciavi, era campato fino a quarantanni suonati illudendo una folla di rampolle aristocratiche e altoborghesi.
E io, che del femminismo me ne ero sempre strasbattuta, ardevo dal desiderio di vendicarle.
A una a una, in nome della tanto millantata e sopravvalutata solidarietà tra donne.
11 DICEMBRE 2001
Oggi non ce l'ho fatta più e ho gettato nel bidone della spazzatura il tuo Diario straordinario.
Stanotte non riuscivo a dormire così ho riletto alcuni passi, compreso quello in cui raccontavi per filo e per segno il mio piano preventivo per incastrare Edoardo.
Con tanto di bebè in pancia. Era troppo. Karma o non karma.
So che vai in analisi da tre anni e in linea di massima non ho nulla in contrario. Ma ricordati che ne ricavi solo l'osservazione su di te. Non sei tu. E forma, non sostanza.
E quello che hai osservato, o creduto di osservare, di me e di Edoardo (il tuo finto padre che in fondo ti ha fatto da padre, non dimenticarlo mai) è una proiezione tua.
Quando la smetterai di coprire il mondo con le tue etichette, scoprirai un sacco di tesori imprevedibili, forse che sono stata una madre che ti ha amato al limite dell'indecenza, contro ogni ragione.
Non ho mai pensato di sbarazzarmi di te, mai, nemmeno quando Giulio mi ha detto che non eri figlia sua, nemmeno quando ho intravisto il dubbio e forse l'odio negli occhi di Edoardo.
Comunque, mi chiedo: che cavolo di lavoro ha fatto quel dottore con te? Sei dipendente dal rancore e dalla rabbia come dall'eroina. Possibile che tu non abbia trovato una cura efficace per disintossicarti, almeno un pochino?
Mi hai sempre percepito come nemica. Hai sempre stanato come un giustiziere implacabile i miei imbrogli.
Okay, hai fatto un ottimo lavoro, lo ripeto. Ma sei giovane, datti una mossa, per una volta, cambia obiettivo o prospettiva. Prova a capirmi se non a perdonarmi, prova a dimostrarti superiore, o a metterti nei miei panni. Vedrai che dopo ti sentirai meglio.
Si rischia sempre di assomigliare a quello contro cui si combatte. Hai sempre combattuto contro le falsità della nostra famiglia, e avevi le tue buone ragioni. Ma ora non mentire a te stessa, ammetti che il casino nato da Diario straordinario è una prova micidiale soprattutto per te.
Stai alla larga dalle tue sorelle e da me come un kamikaze imbottito di ordigni esplosivi: siccome non sai come disinnescarli, preferisci esplodere in solitaria, per evitare ulteriori danni.
Ricorda, Sofia: ogni cosa contro cui resistiamo, persiste.
Prendi me. Ho lottato per una vita contro il complesso della piccolo borghese che è entrata di straforo in un ambiente non suo, e per una vita mi sono fatta trattare come una mentecatta da tutti, persino da te.
Ma adesso, con Randi e Paco, serafica e quieta in questo bilocale da poveraccia, sul mio letto sfatto e col materasso sfondato (e senza nemmeno il tuo Diario straordinario sul comodino) mi sento come un topo nel formaggio.
E quelle gocce, che nirvana, che soluzione formidabile.
Non ricordo se devo prenderne venti, trenta, quaranta, o cinquanta. Hai ragione, sono sempre stata approssimativa e superficiale. Ma le consiglio con affetto (e in dose massiccia) a tutte le donne sopra i cinquantacinque anni (dopo i sessanta, le berrei a canna).
Perdo di continuo il filo del discorso, ma che importanza ha? Adesso sono stanca.
Ho di nuovo sonno, mi sa che giro la testa e mi rimetto a dormire.
13 DICEMBRE 2001
Quanto tempo è passato dall'ultimo giorno in cui ti ho parlato? Ho perso il conto, sono in uno stato di dormiveglia costante. Meglio che fare l'amore, sonnecchiare.
Godersi il riposo è più facile che godersi il sesso...
Però ho appena riletto l'ultima pagina che ho scritto e mi accorgo che non va bene.
Ti ho fatto la paternale, e da che pulpito? Tu non sei colpevole di nulla (del resto c'è qualcuno che è davvero colpevole di qualcosa? Siamo tutti innocenti, forgiati da un caso bislacco).
Sono stata così infelice quando eri nella mia pancia, Sofia. Avevo perduto tutto: Giulio mi aveva detto senza tanti giri di parole che non avrebbe mai lasciato sua moglie (una gran dama) per mettersi con me (una gran sciacquetta?). E la situazione in casa era tesissima: Edoardo era troppo esausto per affrontare una verità che sospettava; troppo vile per sostenere uno scandalo pubblico; troppo sfinito dalla cattiveria di sua madre per sopportare altre dosi di sarcasmo in aggiunta alla solita litania («Te l'avevo detto o no che era una zoccola?»). In apparenza mi aveva perdonato, ma l'umiliazione e lo scandalo avevano inasprito i suoi difetti, la sua arroganza di casta, il suo disprezzo per le mie umili origini. Forse non sapeva che non eri sua figlia, ma di certo sapeva di odiarmi, e di odiare anche Milly con le sue intuizioni profetiche... e magari, nel dubbio, sentiva di odiare pure te, il prodotto non richiesto di un dubbio lacerante.
Come posso attribuirti delle colpe, Sofia? Tu sei figlia del mio esaurimento nervoso, tu sei nata da una malattia, e per sopravvivere hai dovuto combattere come un'ossessa. Hai aperto gli occhi in un ambiente che ti rifiutava, e per non morire soffocata hai iniziato a demolirlo, pezzo per pezzo. A pensarci bene, chi può darti il benché minimo torto?
14 DICEMBRE 2001
Stanotte mi sono svegliata all'improvviso, come se una lampadina si fosse accesa nella mia mente. Ho trovato un ulteriore tassello al nostro supremo fraintendimento, a quel cerchio d'amore che a un certo punto si è spezzato per non ricomporsi più.
L'Alessio che l'orrida Clara Benares soffia alla sorella minore non è Alessandro, il mio primo fidanzato. In fondo che cosa te ne importava se lo avevo lasciato per mettermi con un partito migliore, cioè con tuo padre, pardon, con il tuo presunto padre?
La scorrettezza altrui ci scandalizza solo quando la parte lesa siamo noi. La perfidia altrui ci colpisce solo quando a subire il danno siamo noi.
Sì, adesso è tutto chiaro, chiarissimo: si chiamava Alessio il primo ragazzo che ti ha fatto innamorare. E soffrire.
Il luogo del delitto? Tanto per cambiare i Bagni Sisto, l'epicentro di tutte le situazioni esacerbate. Tu credevi (o speravi, che è la stessa cosa) che flirtasse con te, e lui invece corteggiava me.
Si chiamava Alessio Bussey. Pazzesco, l'ho rimosso per lustri e d'un tratto compare proprio qui, quel mezzo tappo impomatato, quel damerino in erba teso a sembrare più vecchio della sua età (al tempo del misfatto doveva avere diciassette o diciotto anni).
Girava sempre con un fascio di quotidiani sotto il braccio, si atteggiava a uomo di mondo e a raffinato intellettuale. Che strazio.
Stava ore e ore a leggere all'ombra, oppure a giocare a scacchi con Augusto Levy, il componente meno dotato di quella famiglia di scrittori e di artisti che venivano al mare solo nel tardo pomeriggio (quanto li ammiravi Sofia, forse avevi deciso già allora che saresti appartenuta a quella razza infelice). Normale che quel ragazzino così diverso ti piacesse, naturale che ti fossi invaghita del suo pallore da poeta e dei suoi ficcanti occhi turchesi. Incredibile: davanti a me, come se fossi al cinema e avessi pagato il biglietto per soffrire, scorrono i frammenti di quel giorno fatale.
Evidentemente non solo le bugie, ma anche i rimorsi arrivano a galla, come salme dispettose.
Che anno era? Credo il 1986, io avevo quarantadue anni e tu dovevi ancora compierne quattordici. Tu viaggiavi nel pieno dell'insicurezza adolescenziale, io arrancavo nell'età in cui la stupidità femminile si esibisce al peggio, quella in cui si sente sfuggire la giovinezza e la si vuole riacchiappare con ogni artificio. Ero a caccia di conferme e di complimenti come un'accattona, civettavo con gli amici di Benedetta, indossavo abiti e costumi troppo succinti, inadatti ai miei fianchi morbidi, allargati da tre gravidanze. Per convincermi che ero ancora uno schianto di donna, invece di impermalirmi per i commenti volgari, li accettavo come il cibo salvifico per una morta di fame.
Sicuramente anche Benedetta si vergognava di me, ma per te, adolescente, debbo essere stata la Madre Indegna Per Eccellenza. Mi vengono in mente parecchi episodi sconvenienti ma il peggiore è quello in cui esci dalla nostra cabina (la numero 10, quella d'angolo, la più ambita della spiaggia) tutta orgogliosa del due pezzi a quadretti bianchi e azzurri che ti ho comperato e convinto a indossare.
Chissà quanto ti è costato vincere la tua timidezza, scoprire quelle forme che ti hanno sempre fatto dannare per la loro imperfezione (ma sapessi che supplizio, osservare la propria bellezza sfregiata dal tempo: come vedi la giustizia è circolare, e c'è in misura maggiore di quello che presumiamo noi). Ti avvicini sorridente, speranzosa che Alessio sia lì per te, per una volta appari sicura di te stessa, e forse mi percepisci addirittura come una mamma complice, che ti ha spinto a fare la cosa giusta, a osare per amore.
«Sofia vieni qui... Sei un incanto con questo costume...
Avevo ragione sì o no?» «Quel costume sarebbe perfetto per una dea del mare, una dea come lei, signora...» Ecco che cosa mancava. Quella ridicola erre con cui Alessio Bussey aveva pronunciato «pevfetto», «signova», «mave».
Se non fosse che da lì è iniziata una tragedia, ci sarebbe da ridere di quella commedia degli equivoci, di quel ridicolo ragazzino bravo a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato e alla persona sbagliata.
Perché non l'ho preso a schiaffi o a calci nel sedere?
Perché non ti sono corsa dietro quando sei scappata via proferendo una delle tue sentenze senza appello (quella sì che l'ho rimossa, forse era davvero insostenibile, la prima dichiarazione di guerra totale, e senza prigionieri sul campo).
Comunque non ho scusanti. E vero che quello sciocco dandy in pectore non ti avrebbe guardata lo stesso (eri troppo intelligente per lui), ma non avrebbe dovuto permettersi di parlare così a tua madre, a una madre.
L'errore era a priori, ed era causato da un comportamento sbagliato a priori. Io non incutevo rispetto. Io raccoglievo quello che chiedevo. Stupide smancerie per blandire un ego ancor più stupido, che stava iniziando ad andare a rotoli.
Ma ora posso consolarmi con una constatazione: tutto il rispetto che non ho raccolto io, lo stai raccogliendo tu. Lo ripeto: la giustizia è circolare, e c'è in misura maggiore di quello che presumiamo.
16 DICEMBRE 2001
Mamma, ci sei? Ho bisogno di parlare con te, di fare un po' la figlia anch'io.
Annamaria, mi senti? Il baratto falso è iniziato lì: quando ho sacrificato la mia natura libera all'idea astratta che sposare Edoardo Amendola sarebbe stato un grande affare. Un'occasione imperdibile per una come me, nata a Cernusco sul Naviglio (proprio come ha perfidamente raccontato per filo e per segno Sofia), da una mamma casalinga e da un papà felice del suo lavoro di rappresentante di stoffe.
Annamaria, sono sicura che adesso ci capiamo, che adesso siamo vicine: c'era tanta saggezza nel tuo quieto lavoro domestico. Amavi pulire e far risplendere ogni cosa, forse perché, da quando Serena se n'era andata via, tu eri rimasta al buio. C'era tanta intelligenza nella tua apprensione da persona semplice: non ti ho visto gioire alla notizia del fidanzamento con Edoardo, anzi, ho scorto un'aria tesa, preoccupata. Che ho male interpretato.
Figuriamoci. Ho addirittura sospettato che fossi gelosa della mia fortuna. Ma come fa una madre a essere gelosa della fortuna della propria figlia?
Lo comprenderai anche tu, Sofia: io sono orgogliosa del tuo talento, e ne apprezzo ogni sfumatura, nel suo lucente scintillio. Eppure sono anche in ansia per le conseguenze di questo consenso esagerato, che temo rafforzi la tua aridità, la tua mente fredda. Al caldo si sta meglio, e te lo dico dalla mia cuccia, dentro il mio caldo lettuccio cosparso di peli di Randi.
E tu, babbo, mio caro babbo, ti stavo già dimenticando?
Sei sempre stato in minoranza nella nostra famiglia, due donne (più il fantasma di Serena) contro un uomo solo. Papà, quante volte ti ho mortificato? Mi vergognavo a invitarti a Casa Azzurra (e a Villa Olimpia non ero padrona di nulla), trovavo imbarazzanti i tuoi completi della domenica, confezionati da un sarto di paese; le tue cravatte chiassose; il tuo smaccato accento brianzolo: quanto sono stata sciocca, e ingenerosa! Quanti svarioni imperdonabili ho fatto? Ma voi due siete già lì, nel paradiso degli amori sospesi, beati tra i poveri di spirito, signori del regno dei cieli (e, a ben vedere, anche della terra).
State chiacchierando con Serena? E Alessandro sta seduto in mezzo a voi? Lo so, lo amavate molto, proprio come lui amava me. Era lui che desideravate per genero e quando l'ho lasciato per tentare la carriera d'attrice avete sofferto parecchio. Ma siete stati zitti, discreti come sempre. Non capivate la mia ambizione che esigeva «altro», ma la rispettavate.
Comunque. In ogni caso, per me non era stato scritto un destino lieto: Alessandro è morto giovane, come dicono che succeda sempre alle persone migliori.
Di sicuro avrete incontrato anche Edoardo e Milly, che adesso vanno in giro tenendosi a braccetto, sorridenti come una madre e un figlio qualsiasi, appagati come non sono stati mai. Di sicuro avrete fatto pace con loro, che vi avevano dichiarato guerra senza un appiglio, senza nemmeno chiedervi un parere, altro che il permesso.
Vi sarete chiariti con garbo, con quelle buone maniere di cui voi (e non loro) eravate i sacerdoti silenziosi.
18 DICEMBRE 2001
Oggi mi sento più sveglia del solito: che siano gli ultimi barlumi di lucidità che precedono il tracollo? Mah, sia quel che sia.
Se rifletto sulla mia storia, deduco che mi sono mossa come un camaleonte incompetente che cerca di mimetizzarsi nell'ambiente in cui vive ma, essendovi del tutto estraneo, combina un sacco di pasticci.
I valori della ricca borghesia torinese erano quelli dell'autoconservazione, della negazione delle sue componenti più vitali e innovative, della rinuncia in partenza a qualsiasi guizzo di fantasia. Nessun profilo alto nel vestire o nel ricevere in società, nessun discorso significativo o almeno sincero nel parlare di sé stessi, nessun atteggiamento progressista, e non solo in politica, ma neppure nella sfera privata. In definitiva, il contrario di ciò che ero io. Espansiva, spericolata, consapevole della mia bellezza e contenta di ostentarla. Sicura di me stessa e del mio talento per pilotare il destino dove volevo. Proprio come avevo fatto con Edoardo Amendola Scalzi Toesca.
Povera me! E povera Milly! Aveva storto il naso quando Edoardo aveva portato a casa signorine miliardarie con un albero genealogico da semibuzzurre; aveva alzato gli occhi al cielo quando si era parlato di fidanzamento con fanciulle aristocratiche ma prive di un allettante patrimonio finanziario e immobiliare. Si era opposta a cantanti liriche e stiliste parigine, a ballerine della Scala e a principesse del foro... per cosa? Per ritrovarsi tra i piedi una paesana quadra senza una lira che se la tirava da diva. Per giunta, incinta. Possibile che il suo unico erede si fosse rimbecillito, al limite del plagio, dietro una Chiara Benatti qualsiasi?
Come Milly ha pronunciato il mio nome (proprio con palese disgusto), me lo ricordo ancora: «Chiara Benatti... figlia di Benatti, il famoso magnate dell'acciaio?
Parente?
No? Strano, di Benatti non me ne vengono in mente altri...».
Dio, che perfidia. Quella improbabile parentela illustre era la ciliegina sulla torta per sancire che lei mi aveva sgamato, che conosceva a menadito le mie origini e me le avrebbe rinfacciate per l'eternità.
Però riesco solo a ricordare i flash delle sue malefatte, non riesco più nemmeno a ricordare i tratti del suo volto, figuriamoci a odiarla. Questo è il destino dei cattivi, diventare trasparenti con la morte.
Ho smesso di avercela con Milly tanto tempo fa, quando ho scoperto la mole della sua infelicità cronica, e tutta la solitudine che si celava dietro quella pompa asfittica.
Nessuna crudeltà reca soddisfazioni durature, perché il cinismo nuoce a chi lo pratica, non a chi lo subisce.
Chissà perché si crede che i buoni siano sempre dei fessi. Semmai è vero il contrario: non si è mai così furbi da scegliere la bontà integrale. Avrei dovuto rimanere passiva di fronte alle angherie di Milly, avrei dovuto incrociare le braccia e le gambe in una posizione yoga.
Così avrei salvato il mio matrimonio con Edoardo, mi sarei goduta appieno le dolcezze della prima maternità con Benedetta, Sofia sarebbe stata la figlia del suo vero padre ed Emma l'ultimogenita di un nucleo indivisibile, allegro e felice...
Ma cosa sto farneticando? Con i se e i ma si raccontano le storie di una vita ipotetica, mentre Milly era quel che era, cioè quel che poteva essere. Una megera che si esaltava a denigrarmi e a tendermi trabocchetti. Passava il tempo a inventarsi amanti che non avevo, e, anche se poi li ho avuti, non è stato certo per fare dispetto a lei.
Quando mai l'amore può essere un dispetto? Perché all'inizio io Edoardo lo amavo sul serio (o credevo di amarlo, che è la stessa cosa). Ero grata delle possibilità che mi aveva offerto su un vassoio di platino ed ero certa di poterlo ricambiare con la mia avvenenza e giovinezza, con la famiglia che avremmo costruito insieme, festosa e anticonformista, diversissima dalla sua d'origine.
Questo Milly l'aveva intuito e ne era terrorizzata; l'amore che sapevo e che volevo dare mi rendeva una rivale temibile, forte come una roccia, assai più pericolosa di una nuora arrivista sul serio.
Sciagurata Milly! Sul tuo viso senza età, arcigno dalla fronte al doppio mento, erano scolpite smorfie di schifo invariabile: che nevicasse o che splendesse il sole, la tua missione era di rendere un inferno il mio passaggio in terra (mi correggo, sul tuo territorio). Nemmeno quando è nata Benedetta ti sei placata. E io ho il rimorso di aver sottratto troppe attenzioni alla mia creatura per combattere contro di te una guerra inutile. In nome di interessi che non avevo, per difendere confini di cui ignoravo l'esistenza.
Meschino Edoardo! Non poteva aspettarsi una simile furia devastatrice da parte di sua madre, sperava che il repertorio da arpia nevrastenica lo avesse esaurito con quel sant'uomo di suo padre, Riccardo Amendola. Un essere quieto e pacifico che si era immunizzato dall'erinni Milly nell'unico modo possibile: schiattando improvvisamente e senza alcun rimpianto.
20 DICEMBRE 2001
Mi rimane poco tempo, non voglio più continuare a sprecarlo con ricordi amari.
Stamattina ho scartabellato vecchi quaderni di appunti. E finalmente ho trovato la risposta che Gaia mi aveva dato sull'incontro con Edoardo.
Ero elettrizzata dalla partenza promettente della nostra storia, ma volevo essere sicura dell'happy ending con matrimonio sfarzoso e approdo a Casa Azzurra. Sì, Sofia, in parte hai visto giusto. Anche se io volevo qualcosa di più di un cognome e di una posizione sociale: volevo diventare la stella polare di mio marito, il faro luminoso della sua vita. Che ragazza spocchiosa!
Che errore madornale! Perché Edoardo si era invaghito di me, e della mia giovinezza, ma non mi avrebbe mai messo la fede al dito se non fossi rimasta incinta.
Era un uomo educato e passivo e ha lasciato decidere al caso (correggo, a me), ma lui mi aveva scelto come amante, non come moglie.
Leggi che cosa mi raccontava Gaia, e poi dimmi se continui a rimanere scettica...
COLTIVA LA TUA FELICITÀ
PERCHÉ QUESTA PORTA FELICITÀ AD ALTRI.
LUI MANTERRÀ PRUDENZA
MA NON POTRÀ EVITARE DI ABBANDONARSI.
PERÒ L'AMORE CHE TI PUÒ SCALDARE
È BEN ALTRO.
NON TI ADDOLORARE, CARA:
QUESTO LEGAME È UNA FONTE A CUI BERE, MA TU SEI UN VAGABONDO.
LUI AMA PROFONDAMENTE SÉ STESSO,
E PER QUESTO AMA TE, SUA LUNA:
C'È FRA VOI UNA NECESSITÀ
PIÙ CHE UNA GIOIA NELLO SCAMBIO.
È UN INCONTRO FATIDICO,
MA QUI DOBBIAMO FERMARCI A RIFLETTERE.
COME È POSSIBILE FONDERE L'AMORE PER UN PADRE
CON L'AMORE PER UN MARITO?
È IL TEMPO CHE SPIEGA IL SENSO DELLE COSE.
TU VUOI CRESCERE SENZA COMPIERE I PASSAGGI
CHE PREVEDONO L'iMPEGNO DELLE TUE RESPONSABILITÀ.
È COME SE LUI TI DESSE LA POSSIBILITÀ DI SALTARE
UNA PARTE DELLA VITA E RAGGIUNGERE UN TRAGUARDO
SENZA AVER SOFFERTO PER SUPERARE GLI OSTACOLI.
DEMOLISCI IL CASTELLO IN CUI TI SEI BARRICATA.
LA CASTELLANA È UNA FIGURA CHE NON TI SI ADDICE.
IMPOSTIAMO UNA RICERCA SU DI TE:
LA TUA DELICATEZZA,
IL TUO BISOGNO DI PROTEZIONE,
NASCONDONO IL MORBIDO CUSCINO
SU CUI RIPOSI QUANDO NON VUOI PENSARE.
LÌ C'È LA VERA CHIARA.
INCONTRIAMOLA.
SARÀ UNA SCOPERTA STRAORDINARIA,
E SOLTANTO TRA NOI DUE.
CONVOGLI OGNI ENERGIA
ALLA RICERCA DI UN PUNTO DI RIFERIMENTO
AL QUALE AFFIDARE LE TUE NECESSITÀ,
MA RESTI DI TE RIMANGONO SUL TAPPETO.
RACCOGLIAMO QUESTI PETALI CADUTI
E RIASSAPORIAMONE IL PROFUMO:
SONO L'ESPRESSIONE PIÙ PROFONDA
DI UNA NATURA LIBERA.
FARFALLA INQUIETA, TI RINCORRO
E MI BEO DELLA TUA ALLEGRIA.
NON FARTI ACCALAPPIARE DA NESSUNA RETICELLA,
SAPPI PROTEGGERE LE TUE ALI COLORATE.
IO TI VOLO SEMPRE ACCANTO.
PACE.
21 DICEMBRE 2001
Sofia, sto per andarmene: sei la prima cui voglio dare un appuntamento preciso.
Invece a Benedetta ho promesso che andrò da lei per Natale, a festeggiare con l'intera famiglia riunita, Claudio, i bimbi, e i nonni paterni.
Ma in realtà non ho nemmeno pensato ai regali per Matteo e Camilla. Le ho detto così tanto per dire, soprattutto per calmarla, ma io so, sento che non ci sarò.
Come vedi mi comporto da diva capricciosa fino all'ultimo.
Invece con Emma ieri sera ho riso fino alle lacrime, mi ha persino chiesto la ricetta delle mie gocce miracolose, perché non mi ricordava così euforica da tempo immemore. Ma non erano le gocce, era la risposta di Gaia, che ho consultato per l'ultima volta con un pendolino d'accatto (il guinzaglio di Randi!)...
BIMBA AMATA E CULLATA
DA BRACCIA DESIDEROSE DI TRASMETTERE FORZA.
SEI LA PIÙ BELLA DEL REAME,
MA DEVI USCIRE DAL REGNO,
IMBOCCARE STRADE DIFFICILI SENZA PROTEZIONE.
GIRERAI SU TE STESSA PER TORNARE AL CENTRO.
RESPIRERAI L'ARIA RAREFATTA DI UN LUOGO
DOVE POCHE SONO LE ENERGIE UTILI PER TE,
ARMATA DI UN PESANTE SCUDO
RIPRENDERAI LA VIA.
SONO IO CHE TI TRATTENGO
QUANDO LA TUA ESPERIENZA
È TROPPO FATICOSA
, CHE TI ACCOMPAGNO IN QUESTO VIAGGIO.
NON ARRENDERTI A UN DUELLO SOTTERRANEO CON SOFIA, MA SBILANCIATI SENZA TIMORE.
METTI IN ATTO CIÒ CHE il CUORE TI SUGGERISCE.
QUALUNQUE COSA AVVENGA
È NECESSARIO CHE AVVENGA.
MI HAI CHIESTO E HO RISPOSTO.
MA ORA È GIUNTO IL MOMENTO
CHE IO MI PRESENTI.
ERAVAMO AMICHE IN UN'ESISTENZA PRECEDENTE.
LA SORTE HA PIEGATO LA MIA DEBOLE VOLONTÀ
E MI SONO RITROVATA VITTIMA
DI UN ABUSO DA PARTE DI UN FRATELLO.
LA SITUAZIONE ERA TRAGICAMENTE COMPROMESSA,
MA LA TUA DEDIZIONE NEI MIEI CONFRONTI
HA PERMESSO ALLE TENEBRE DI DISSOLVERSI.
E INFATTI TI CHIAMI
CHIARA. SONO STATA RIPORTATA ALLA LUCE
DALLA TUA ESIGENZA
DI VIVERE E DI FAR VIVERE GLI ALTRI.
LA TUA È STATA SPESSO CONSIDERATA MANCANZA DI SCRUPOLI, MA TU NON HAI MAI POTUTO NUOCERE
PERCHÉ HAI UN SENSO PROFONDO DEL VALORE DEGLI AFFETTI. QUESTO È QUELLO
CHE TI LASCIO
PRIMA DI RITROVARTI.
PACE.
22 DICEMBRE 2001
Sofia, non so dove cercarti, sei sparita, e nemmeno Benedetta è riuscita a rintracciarti. L'ufficio stampa le ha riferito che sei in Giappone per un tour di lezioni universitarie (caspita, che figlia importante), e che hai chiesto di essere disturbata soltanto per «estreme urgenze».
Cos'è un'estrema urgenza, Sofia? Un coccolone apoplettico? Un ictus paralizzante dopo la lettura di Diario straordinario? La mia malattia? La mia morte?
Avevo bisogno di parlarti, ma forse è meglio rispettare il tuo desiderio di privacy.
Gaia mi ha raccomandato di chiarirmi con te, ma probabilmente non intendeva in questa sede... Il bello dei suoi messaggi criptici è che ti lasciano la massima libertà di interpretazione. E io sono così stanca che ho bisogno di credere in redenzioni future.
Non sono in grado di reggere ulteriori pressioni psicologiche, non sono sicura di riuscire a spiegarmi qui e ora.
Così continuo a scriverti, finché le forze me lo permetteranno.
Allora: nei libri che ho letto e che tu troveresti spazzatura, c'è scritto che la scelta della famiglia in cui ci capita di nascere è suscitata dal karma, dall'inesorabile ciclo delle vite. Si sceglie una madre, un padre, una sorella maggiore apposta, e mai a caso: tu hai usato il mio esempio catastrofico come stimolo per avanzare, per manifestare il tuo talento. E userai Benedetta per ricomporre la frattura, per ricreare il trittico magico, l'unica eredità che vi lascio. Perché voi tre vi amate e questo è stato il mio più grande successo. Benedetta ti ha già quasi perdonato (che gesto nobile, cercarti) ed Emma affronterà la questione da lontano, quindi con lo sguardo giusto. Ci sei solo tu che dovrai attraversare un oceano di dolore e di sensi di colpa per ritornare a casa, per riabbracciare le tue sorelle.
Pensa che appena nata ti avevo fatto fare l'oroscopo da una certa Julianne Green, un'astrologa londinese bravissima. Ma siccome si parlava di un cammino molto arduo, di un evento straordinario legato a una sofferenza non meno straordinaria, come al solito ho rimosso.
Ho nascosto la polvere sotto il classico tappeto.
Adesso vorrei lasciarti qualcosa di più utile di un oroscopo, magari una riflessione conclusiva.
La felicità è intermittente, è sempre subordinata a un oggetto, dipende da fattori esterni, dal consenso o dall'amore degli altri. Mentre la gioia - per esempio quella che sto provando ora - non ha mai una ragione apparente.
Tu sei migliore di quello che hai scritto, Sofia, sei migliore di quello che credi di essere. Vedrai, un giorno ti sveglierai contenta, busserai alla porta di Casa Azzurra e ci troverai tutte e tre ad aspettarti.
Te lo prometto, piccola mia, te lo prometto, mia impossibile, grande donna.
24 DICEMBRE 2001
Ancora qualche consiglio, bambine mie.
Cercate di volare leggere, senza però cadere nella trappola della frivolezza.
Evitate di interpretare dei ruoli, soprattutto nella cosiddetta società che conta (il discorso non vale per Benedetta, che si è liberata subito dal giogo dell'apparenza).
Agite senza secondi fini perché così le azioni hanno più efficacia.
Muovetevi in libertà, senza curarvi dei giudizi altrui, ed evitate sempre (o almeno più che potete) di giudicare.
Date spazio ai vostri personaggi dell'immaginario infantile, quello delle fiabe incantate.
Tenete lontano i demoni della paura e del rancore.
Coltivate lo stupore e la meraviglia, la bontà e il disinteresse.
Difendete il candore e gli errori commessi per ingenuità.
Siate generose e, se vi pesa esserlo, ricordatevi il volto di vostra nonna Milly (in particolare tu Emma, che sei fissata con la fisiognomica).
Vi ho voluto con prepotenza, figlie mie, oppure, come direbbe Gaia, «vi ho portate alla luce con la mia esigenza di vivere e di far vivere gli altri».
Tu, Benedetta, sei arrivata a sancire la mia favola di regina madre: inutile aggiungere che eri la principessa preferita (anche di tuo padre, a onor del vero).
Tu, Sofia, nascevi con un nome e un destino da tragedia greca: un'eroina in pectore, una protagonista dell'amore assoluto, venuta al mondo nella bufera dei sentimenti e nel tormento dell'anima.
E tu, Emma, sei stata la mia ultima botta di giovinezza, un fuoco d'artificio di speranza e voglia di ricostruire qualcosa di pulito nella nostra famiglia.
Figlie mie, siete nate a sette anni di distanza l'una dall'altra, in situazioni molto diverse. Avete caratteri e prerogative diverse. Ma solo unendovi, e sommando le vostre forze, anche se non credete alla numerologia e al potere magico della carta ventuno, arriverete al coronamento pieno, alla realizzazione di tutti i vostri (e miei) sogni.
Emma, ti metto qui, con una graffetta, un ritaglio con i calcoli di Bakul: custodiscilo tu, che sei l'unica a credere in queste cose. Leggilo e rileggilo se sarai scoraggiata, quando avrai qualche dubbio o cedimento. Oppure se sarai arrabbiata con Sofia, o se tenderai a sottovalutare Benedetta (capita sempre così con le persone buone).
Quando ti sentirai sola e sperduta cerca Benedetta come cercheresti una madre, ogni volta che ne hai bisogno; quando avrai più energie del solito perdona e comprendi Sofia: da lei puoi imparare tanto, se non sprecherete tempo in sterili recriminazioni.
Se loro non ti ascoltano come vorresti, allora sii irragionevole, pesta forte i piedi, comportati da bambina capricciosa: ai bambini è difficile dire di no.
Con i bambini, l'orgoglio è inutile.
Parte terza
UN ANNIVERSARIO STRAORDINARIO
BENEDETTA
UNO
La macchia sul muro si stava allargando a vista d'occhio: un preoccupante alone giallo era comparso accanto al lampadario, a riprova che l'entropia domestica va sempre dritta al suo scopo quando ci sono guai da combinare.
Ci mancava solo un fumoso corto circuito, con odor di bruciato ed elettrodomestici in tilt, per completare la catastrofe.
Benedetta si era seduta spossata sulla poltrona preferita di Randi rv, incurante dei peli grigiastri che si sarebbero stratificati sulla sua gonna di panno color melanzana.
Sapeva bene che alla prima pioggia insistente il problema si sarebbe ripresentato, e con gli interessi maturati in mesi di incuria. Ma aveva preferito far finta di nulla, andare contro il realismo del suo carattere e confidare nella clemenza del tempo. Che invece aveva mostrato un volto beffardo. Ora doveva farsi coraggio e chiamare subito Alfio, il muratore un po' guercio, per sentirsi ripetere - senza sapere dove guardare -
la solita solfa: «Signora, ma come glielo devo dire? Il tetto è marcio, qui a furia di rappezzi non sappiamo più dove mettere le mani.
Copri un buco e apri un cratere: io i miracoli non li posso fare. Ha capito?».
"Capito. Ricevuto. Ci mancherebbe. E chi ci crede più ai miracoli. A quarantatre anni, poi. La mamma alla mia età stava in piedi solo per Emma, la piccola di casa, la preferita di noi tre." Un'ondata di malessere convulso inzuppò Benedetta dalla testa ai piedi: erano passati quasi sette anni (il famoso numero magico da moltiplicare per tre) da quando la mamma le aveva salutate. A modo suo, nella notte in cui nasceva Gesù, andandosene lievemente, scegliendo sino in fondo una vita da eccentrica, dolce, scriteriata, adorabile creatura.
Quanto l'aveva mitizzata, da bambina! Sua madre sapeva esprimere amore come nessun'altra donna al mondo.
Le mamme delle sue amichette al suo confronto apparivano sbiadite e monotone.
Banali.
A cinquantasette anni, e da morta, Chiara era tornata bellissima, con il viso riposato, i lineamenti distesi. Anche la sua linea era tornata invidiabile, «proprio un figurino», come aveva scritto, scherzando, a Sofia. A ripensarla così metteva pace, e ordine nei cassetti della memoria...
Ma quel quaderno consumato che le aveva trovato tra le mani, Dio che strazio.
Ogni volta che Benedetta rileggeva quelle pagine, il suo cuore andava in frantumi.
E nessuno, nemmeno Claudio, nemmeno Camilla e Matteo, riusciva a rimettere insieme una sola scheggia.
Per Sofia doveva essere stato anche peggio, un marchio di infamia impresso sulla carne, lei era l'assassina e lei doveva espiare; lei era la colpevole e lei si sarebbe autocondannata ai lavori forzati, senza chiedere lo sconto di pena, né tanto meno la grazia. Infatti da allora si era praticamente eclissata, mollandole il manoscritto come si farebbe con un tizzone ardente.
Scoprire che sua sorella era figlia di Giulio Agresti aveva chiarito alcune cose, ma per Benedetta la causa di quel folle scempio chiamato Diario straordinario rimaneva un mistero insondabile. Perché Sofia a un certo punto aveva deciso di odiare sua madre e poi non aveva più smesso? Perché aveva pubblicato quel libro osceno, con nomi, date e avvenimenti verosimili in tutto e per tutto?
C'era di mezzo la crudeltà dei giovani, e pure l'incoscienza, ma la vicenda puzzava troppo di tragedia inevitabile, come avrebbe detto Chiara o il suo spirito guida.
C'era il problema che Sofia si era sempre sentita il brutto anatroccolo di casa, la più goffa delle tre sorelle, con quella faccia larga dai tratti irregolari, con quella costituzione un po' tozza. Ed essere figlia di una donna slanciata e disinibita doveva essere stato un inconveniente mica da ridere, per un'adolescente tarchiata e introversa.
Senza contare l'increscioso incidente di percorso con Alessio Bussey che si era messo a fare il cascamorto proprio con la mamma, la peggiore rivale immaginabile.
Ma erano interpretazioni riduttive: nelle sue lezioni di italiano, Benedetta aveva sempre evitato di ridurre la poetica di Leopardi a una conseguenza della sua gobba e del suo corpo sgraziato. Leopardi era un genio, e non si discuteva. Per quanto, se fosse stato un fanciullo di rara bellezza, si sarebbe rovinato gli occhi in quello studio
«matto e disperatissimo»?
Sofia si era ribellata alla sua condizione di ragazza insicura cercando di brillare nel fulgore della sua ambizione (a scuola era bravissima), ma tutto quel disprezzo scellerato da dove arrivava? Non solo dai complessi, ovvio.
Benedetta non era una sostenitrice delle analisi psicologiche, ma a questo punto si doveva arrendere, e chiedersi se ogni cosa non fosse ascrivibile a ciò che patiamo nel ventre materno, e poi nei primi mesi di vita.
Sul tappeto, proprio accanto a lei, si era accucciato con discrezione Randi rv: come spesso accadeva, appariva di umor mogio per amorevole transfert, dopo aver annusato effluvi di padronale sfinimento. Era uno sfinimento costante, che fiaccava Benedetta come un desiderio inappagato, come le raffiche di pioggia sulle tegole storte, sugli infissi rabberciati e sugli alberi secolari di Casa Azzurra.
Nel salotto vicino, il televisore era sintonizzato per caso sul tg1: una voce raccontava con toni enfatici che nell'ottobre del 2008 l'emergenza spazzatura era da considerarsi risolta. Ma per rimettere in sesto Benedetta sarebbe occorsa una legge speciale e permanente.
Che proponesse un'igienica abolizione dei fantasmi del passato.
«Bambine, venite qui! E il momento della consegna del "Diario straordinario"
anche per Emma. Oggi è un giorno speciale, non solo perché il nostro leprotto compie gli anni, ma perché è arrivata a sette, il numero magico di famiglia... Chi mi aiuta a scartare il pacco matrioska?
Dentro ci sono sorprese per ognuno di noi... Edoardo!
E inutile che fingi di stare altrove, sei il capofamiglia, il sultano dell'harem!» E poi era arrivato quel bacio elargito con la mano, identico a quello che le dive mandano ai fan mentre sfilano sul tappeto rosso di Cannes. Chiara era rimasta attrice anche nei dettagli: i gesti posati, le fisse celebrative o scaramantiche, un fatalismo pigro tra il seducente e l'irritante, la propensione allo studio di materie discutibili come l'astrologia d'accatto e la cabala fai da te. La favola delle sorelle Amendola segnate dal numero sette (da moltiplicare per tre, per arrivare al glorioso numero ventuno) era la sua preferita, quella che non si stancava mai di ripetere, assieme ai calcoli di Bakul, il misterioso numerologo indiano conosciuto chissà dove. Al gong del settimo compleanno ogni principessa riceveva in regalo un «Diario straordinario», per annotare meticolosamente, giorno dopo giorno, ogni evento straordinario.
Eppure da tanti anni c'era qualcosa che strideva in quel racconto di felicità: abbracci e sorrisi forzati tra papà e mamma, pianti e scenate ricorrenti e nemmeno di nascosto, gelo mortuario in quella villa scaldata soltanto dai capricci di Emma.
«Mami, posso scartare subito il regalo? E a che cosa serve il "Diario straordinario"?» «Serve a raccontare tutte le cose straordinarie che ti accadranno di sicuro, mia piccola regina...» «E tu mi aiuterai a scriverlo?» «Certo!» «Che se ne fa Emma di un diario straordinario?» Il tono di Sofia era concitato, arrogante. «Scrivere serve alle persone infelici, per curare il male di vivere. E il nostro caro, adorato, coccolato leprotto è così viziato da credere che il mondo, scusate, la "magica" carta ventuno, sia un mazzo di carotine con cui giocare a briscola.» «Ohi ohi, e che ne sa la nostra saputella del male di vivere?» Edoardo aveva squadrato Sofia con un'insofferenza che avrebbe impaurito chiunque.
«Edoardo, ti prego...» Chiara aveva rivolto uno sguardo implorante al marito.
«Avevo detto a tua madre di non chiamarti Sofia, ma sapete come è fatta, senza eccedere in stravaganza si sente perduta. Sofia è un nome che ti ha dato alla testa...»
«Difficile montarsi la testa in una famiglia di montati come questa.» Sofia aveva scandito le parole e serrato gli occhi in una smorfia di sofferenza.
Benedetta la rivedeva ancora, quella smorfia. Forse avrebbe dovuto fermare sua sorella lì, quando le era apparsa stanca delle sue provocazioni, di quella parte da perpetua ribelle.
Avrebbe dovuto stringerla forte e dirle quanto l'amava, quanto la comprendeva, quanto l'ammirava, anche.
Quante cose straordinarie avrebbe fatto, a prescindere dall'avvenenza, a prescindere dalla corte di quel babbeo di Alessio Bussey, a prescindere dall'accettazione degli altri. Lei, Benedetta, era buona semplicemente perché aveva respirato l'aria migliore della famiglia: avrebbe dovuto spartire quel dono ed essere più coraggiosa.
Invece aveva assistito quieta e passiva alla commedia prestabilita, con un cast che comprendeva, nell'ordine: la mamma, regista nei minimi dettagli di una presunta spensieratezza domestica; il papà, ormai desaparecido, cammeo molto apprezzato per piccole parti significative; Emma, la mascotte della compagnia, ministar vezzeggiata e acclamata dal pubblico (familiari e domestici); Sofia, critico antipatico e intransigente, a cui comunque si riservava per strizza un posto in prima fila. Per la modesta primogenita avanzava l'incarico da maschera, o da venditrice di gelati nell'intervallo. Il film era datato 1986, e Benedetta di anni ne aveva ventuno. Non si scorgevano prodigi all'orizzonte.
DUE
Alfio era arrivato, dunque non tutto era perduto. Il senso di colpa che la attanagliava ogni volta che non aveva voglia di occuparsi delle beghe pratiche si stava a poco a poco riassorbendo. Forse l'onesto muratore non avrebbe risolto nulla, ma essere riuscita a chiamarlo, e a convincerlo a muoversi subito, aveva davvero qualcosa di straordinario, tenuto conto del livello delle sue energie.
In pratica zero, come il suo buon umore, come la sua speranza di poter dimenticare, un giorno.
La presenza di quel brav'uomo, che Benedetta aveva visto bazzicare per Casa Azzurra in ogni stagione della sua vita, dava un segno di continuità nello sfacelo, fungeva da anestetico contro i crucci, aiutava a credere nei piccoli miracoli. Chiara avrebbe trovato una risposta nella data di nascita di Alfio, oppure scrutando le posizioni degli astri di quel triste martedì 7 ottobre 2008. Ma la mamma con le sue teorie esoteriche (e con tanto altro) aveva sempre preso delle sublimi cantonate.
Per esempio, proprio il 7 giugno dell'anno 1992 (la cui somma delle cifre fa sempre ventuno), Edoardo Amendola era morto di infarto in una lussuosa suite dell'hotel Splendido a Portofino. In compagnia di - ma è più esatto affermare: mentre faceva l'amore con - Caroline Steinbeck, un'algida arpista di sopravvalutato talento.
Lui aveva sessantanove anni e lei trentasette: la loro relazione andava avanti da più di quattro anni, da quando Benedetta aveva comunicato al padre la sua intenzione di sposare Claudio. Un proposito che lo aveva mandato letteralmente in bestia.
«E vorresti diventare la signora Greggio? Il figlio di chi ti tiene a pensione dovrebbe diventare il marito di un'Amendola Scalzi! Ma ti ha dato di volta il cervello?» Edoardo si era alzato di scatto dalla poltrona dello studio dove si rintanava dopo cena a fumare il suo sigaro Havana: per interrompere quel rito piacevole, bisognava farlo arrabbiare di brutto. La sua voce era diventata stridula per lo sforzo di contenersi e il fumo sembrava uscirgli dalle meningi, anziché dalla bocca. Ma lei era riuscita a tenergli testa.
«Il cervello funziona e anche tutto il resto... Papà, lo amo, gli voglio bene, sto bene con lui...» «Che fesserie, sai a quanti potresti volere bene, prima o poi. Ti ho mandato a Milano perché la Cattolica è un'ottima università, non perché tu facessi un pessimo matrimonio. E credimi, te lo dico per esperienza, sbagliare è un attimo...» «Non dire così...» «Lo dico eccome, purtroppo.» Suo padre si era avvicinato al mobiletto basso dove teneva la riserva dei liquori e si era versato quattro dita di scotch in un bicchiere di cristallo cesellato.
I gesti erano sicuri ed eleganti per assuefazione, ma le mani tremavano per l'indesiderata novità. Eppure lei aveva continuato ad andare dritta per la sua strada, proprio come Sofia.
«...Claudio studia Lettere alla Cattolica come me, ma è molto più bravo, ha una media altissima, quasi tutti trenta e lode...» «Mi fa piacere per lui. Però non è sufficiente a volerlo per genero. Se non ti dispiace, non avrei nulla da aggiungere.»
«Io invece ho da aggiungere tante cose... Abbiamo le stesse idee, gli stessi gusti...
Con lui mi sento finalmente a casa e i suoi genitori mi trattano come una figlia.»
«Fantastico, ci mancava solo questo, per chiudere il cerchio. Che opportunisti, e che intriganti! Siamo stati davvero accorti, ti abbiamo gettato in pasto al leone. Del resto è un indirizzo che ha scovato tua madre. Che cosa potevo pretendere?» La battuta agra non aveva recato sollievo a Edoardo, che sembrava sfiancato, desideroso soltanto di chiudere la sgradevole conversazione.
D'un tratto suo padre le era parso vecchio, un vecchio cinico e disilluso, stufo di tutti e anche del fallimento della sua vita. «Perché questo sarcasmo ininterrotto? Tu con la mamma, Sofia con te...» «Sarà l'ultima moda...» «Be', non tutti gli ambienti sono come il nostro, pieni di futilità, di ipocrisie e di secondi fini. In casa di Claudio si respira calore, e affetto, e lealtà: non è un continuo rinfacciarsi le peggiori intenzioni... come hai appena fatto tu con la mamma.» Aveva sparato la sua bordata d'un fiato, incredula di aver emulato senza fatica la sorella sulle barricate. Contestare, argomentare, rispondere picche le era venuto naturale, come bere un sorso d'acqua.
Da quanti anni si teneva dentro quelle parole? Da quanti anni era satura delle finte buone maniere targate Amendola Scalzi?
«Benedetta, io... io non ti riconosco più.» Suo padre l'aveva guardata sinceramente costernato, come un uomo senza patria. Né tetto. Né legge.
«No, sono io che non ti riconosco più... Quello che hai detto prima non è bello, e non è giusto nei confronti della mamma. Voi due vi siete sposati per amore, e tu lo rinneghi, lo rinneghi ogni volta che puoi.» «Anche lei l'ha rinnegato. E prima di me.»
«Forse. Ma dimentichi che sono stata figlia unica per sette anni, e che per sette anni sono stata ad assistere — e con parecchia gelosia - alle vostre effusioni, alle vostre frasi in codice, alle vostre sparizioni improvvise...» Ecco cosa non aveva mai digerito. L'amore tradito dei suoi genitori, che le avevano fatto balenare l'ipotesi di un paradiso in terra per poi condannarla allo spettacolo di un inferno di rappresaglie.
«A volte le cose si sciupano, si intorbidano.» «Allora mettiamola così: voglio una vita semplice, pulita, limpida. Meglio avere pochi soldi, nessun patrimonio ingombrante o nome altisonante, se devono rovinare tutto.» «Tra qualche anno la penserai diversamente.» «Non credo: la penso così da tantissimo tempo e non ho ancora smesso.» «E quando avresti iniziato?» «Ho iniziato in quelle atroci estati ad Alassio, con la nonna che umiliava la mamma, con le simpatiche madame dei Bagni Sisto che passavano i pomeriggi a ridere dietro alla persona che io veneravo.» «E
passato un secolo...» Suo padre aveva sospirato inavvertitamente e lei aveva dato l'affondo finale. «I suoi pianti non li ho mai scordati.
E tu non c'eri mai...» «Benedetta, non mi hai mai parlato così...» Edoardo aveva portato la mano libera dal bicchiere vicino alla tempia, in un gesto di evidente sconforto. Di sicuro soffriva per quella inedita ribellione, ma ancora una volta la forma aveva preso il sopravvento sulla sostanza.
Si era ricomposto subito e, invece di abbracciarla, aveva bevuto l'ultimo sorso di scotch.
«Forse ho sbagliato prima, papà.» «Vuoi metterti a ricalcare le orme di Sofia?»
«...Poiché ho un carattere mite, pensate tutti che io non abbia idee mie, che non abbia nulla da rivendicare.» «Chi ha detto questo?» «Mi avete sempre sottovalutato, ed è anche colpa mia, sono sempre stata pigra e remissiva. Ma su Claudio non cederò di un millimetro.» «Magnifico, accomodati anche tu nel club "dissidenti Amendola".
Uno più uno meno... Sofia ti ha reclutato fra gli irriducibili, oppure preferisci la linea svagata di tua madre?» «Sofia non ha reclutato proprio nessuno. Sono io che mi sono innamorata di Claudio, io che ho scelto lui come fidanzato, io che sto meglio a casa sua che a Casa Azzurra.» «Perfetto.» «E mia sorella sbaglierà anche i toni e i modi, ma in fondo ha ragione.» «Come no.» «E una ragazza straordinariamente intelligente per i suoi sedici anni.» «Certo, in questa famiglia è tutto straordinario. Fin troppo.»
Alla difesa di Sofia, suo padre era diventato paonazzo, alterato dalla collera, più che dal liquore a cui era fin troppo abituato. Aveva scaraventato con stizza il bicchiere vuoto sulla scrivania priva di carte e di qualunque traccia di lavoro. Edoardo Amendola aveva sempre finto di essere qualcosa che non era: serio professionista di affari inesistenti, solido marito d'appoggio a una moglie psicolabile, irreprensibile figlio martire di madre nevrastenica.
Solo nel ruolo di padre dell'amata primogenita era stato ineccepibile e affidabile.
Con questi risultati.
«Io no. Io non sono straordinaria, e desidero una cosa soltanto: essere normale e vivere tra persone normali.» «Ma cosa ti succede? Tu avevi la migliore qualità per una figlia e per una donna. La dolcezza. Mi hai sempre ascoltato, ti sei sempre fidata dei miei consigli, mi hai sempre fatto sentire utile.» «Lo sei ancora.» «No, ora mi sembra di non avere più nessuna sfera di influenza. Scalzato da un Claudio Greggio qualsiasi, da una razza di portinai. Certe volte mi chiedo cosa ci faccio ancora in questa casa...» «Ce lo chiediamo tutti.» «...Basta, Benedetta. Non aggiungere altro.»
Adesso parlava Edoardo Amendola Scalzi. Il tono della voce non ammetteva repliche.
Ma c'era qualcosa nello sguardo di suo padre che l'aveva fatta desistere. E tornare a essere la Benedetta che lui conosceva.
«Papà, io non voglio litigare con te.» «...E tua madre cosa dice, non credo approvi...» «Oh, invece lei è contentissima! Mi ha stretto forte e ha detto: "Sei felice?
Allora è la cosa giusta! Falla!".» L'abbraccio di sua madre lo sentiva ancora nella pelle: Chiara era sempre stata una fuoriclasse della calda accoglienza e dell'entusiasmo genuino, ma in quella famiglia gelida e altezzosa aveva perso ogni gara in partenza.
«Ineffabile donna: ormai vive e sragiona solo per farmi dispetto. Parla per dare aria ai denti, con le sue frasi preferite, quelle che trova nei bon bon di Peyrano e nei Baci Perugina.» «E una sua opinione, rispettabile come la tua.» «Rispettabile? Da quando passa il tempo a portare ai provini di pubblicità Emma, rovinandole il carattere e ridicolizzando il nostro nome, frequenta soggetti così discutibili che al confronto il tuo Claudio Greggio potrebbe figurare da lord inglese.» «Grazie mille, papà.»
«Ascoltami, Benedetta, lo dico per il tuo bene: adesso consideri la differenza di classe eccitante, ti diverti con i suoi amici naif e trovi incantevole il bilocale che i suoi genitori possiedono a Pietra Ligure... Ma poi ti accorgerai che un tinello che puzza di cavolo è soltanto un tinello che puzza di cavolo.» «Ascoltami tu, papà. Non voglio farti arrabbiare. Io ti voglio bene. Vedrai che Claudio ti piacerà. E un ragazzo speciale. E adorabile, in gamba, responsabile. Quando lo conoscerai, cambierai idea.»
«Non voglio conoscerlo, Benedetta. E non voglio discussioni su questo argomento.
Se vuoi sposarlo, padronissima di farlo, ma non avrai mai il mio consenso.
Io non parteciperò a queste nozze grottesche.» Così suo padre era uscito dallo studio e dalla sua vita, lasciandola orfana ed esterrefatta. Era la prima volta che Benedetta lo vedeva così deciso, che lo sentiva così esplicito. Lui che aveva sempre subito o cercato di dribblare con cautela le isterie della madre e le bizzarrie della moglie, all'improvviso si era trasformato in un uomo duro, che dettava condizioni capestro. A che cosa si doveva quel cambiamento?
Allora Benedetta non poteva sapere che era comparsa un'altra donna a fargli dimenticare tutte le altre (figlie incluse), a fargli rivivere nuove e fantasiose tirannie.
Succede sempre così a un certo tipo d'uomini: e Edoardo Amendola apparteneva a quel tipo d'uomo dal sottile masochismo recidivo.
TRE
Le arriviste scientifiche pinzano le loro prede quando hanno oltrepassato la sessantina, a un passo dalla spossatezza ultima e dall'avvilimento estremo.
Come aveva scritto Sofia, attribuendo le parole giuste alla persona sbagliata, «per farsi largo nella giungla terrena occorrono scaltrezza e metodo». E scaltrezza e metodo non erano mancati a Caroline Steinbeck, che con precisione certosina si era fatta intestare da Edoardo Amendola appartamenti e titoli, polizze assicurative e terreni edificabili. Un'artista della sostanza.
Benedetta doveva riconoscerlo: tra le pagine più esilaranti di Diario straordinario c'erano quelle che riguardavano la partecipazione (straordinaria) della signora Amendola bis al funerale di papà.
Nel rinascimentale contesto del Duomo si era presentata finalmente una gran dama all'altezza della situazione: una sontuosa, superba vedova in lacrime, così calata nel ruolo della inconsolabile (impalpabile velo di pizzo nero sui capelli biondo cenere, tailleur di seta grigio fumé di Christian Dior messo in conto al defunto) da incutere rispetto.
Con aria afflitta ma con passo da mannequin nonostante la torrida calura, incedeva nella navata centrale verso la prima fila dei banchi; seguita da un codazzo di celebrità, sembrava in visita ufficiale alla Sacra Sindone, altro che a piangere un comune mortale. Alla fine della funzione aveva raccolto mesta le condoglianze di notabili e di signore chic, lo sguardo pareva svagato ma i nervi erano di acciaio inossidabile.
Il contrario di Chiara, che tanto per cambiare era sopra le righe, conciata da alternativa dei Murazzi, sbracciata e un po' sudata, con Randi il al guinzaglio, circondata da uno stuolo di amici fricchettoni e da Paco con tutta la parentela filippina immigrata nel Nord Italia.
Sembrava mezza fusa, per non dire strafatta, rideva invece di piangere, parlottava fitto con un giovane dalla lunga coda di cavallo (Fabrizio, il regista teatrale che aveva preceduto Ramon), cercava di consolare Emma stringendola a sé, sbaciucchiandola di continuo. Povera Emma!
Era sinceramente addolorata, come una ragazzina che perde il padre e con lui l'incanto dell'infanzia. Frignava mogia e zampillava come una fontana, eppure, abbigliata com'era, sembrava uscita da uno spot di moda mare per adolescenti trendy.
Per fortuna accanto a Benedetta c'era Claudio, partecipe e altruista come sempre: suo marito era lì a confortarla, ma anche a dire addio a quell'uomo che si era rifiutato di conoscere un genero disdicevole, un Greggio qualsiasi.
Un uomo che - per irrisione del destino - se n'era andato in maniera ancor più disdicevole, da vecchio che schiatta nel letto della sua giovane e avida amante.
Queste considerazioni malevole erano però un'esclusiva personale: nessuna parola aspra era uscita dalla bocca di Claudio, nessun commento sgradevole. Si era limitato a sorreggere Benedetta, a sorriderle, a carezzarle i capelli e il pancione dove Camilla iniziava a scalciare con profetica determinazione. Sarebbe sopravvissuta a quella ignobile farsa senza Claudio, senza il progetto di una vita e di una famiglia diverse?
No, non c'era ombra di dubbio.
E Sofia? Strano ma vero, aveva tenuto un atteggiamento abbastanza contegnoso: senza versare una lacrima, pareva un'estranea invitata a una burla paradossale.
Un'analisi approssimativa l'avrebbe definita assente, o magari svuotata, ma sua sorella era presente, penetrante, in piena masticazione creativa. Intenta a vivisezionare con sguardo da entomologo il re nudo e i suoi buffoni di corte. A vent'anni, iniziava a maturare artisticamente con un processo inverso a quello materno: mentre la personalità di Chiara si era infranta contro le durezze dell'esistenza, quella di Sofia si era galvanizzata nelle avversità, traendone un motivo di rimbalzo e di crescita.
Fino all'esplosione finale col botto.
«Signora...?» Un refolo di vento gelido interruppe il flusso dei pensieri di Benedetta. Alfio era lì, sulla soglia della portafinestra, impacciato e ossequioso come sempre.
«Signora, scusi, posso...?» Il tono di voce di quel brav'uomo sgraziato era al solito basso e educato, e giungeva gradito come un armistizio in tempo di guerra. Perché a ben vedere qualsiasi rogna del presente era preferibile agli spettri del passato.
«Sì, Alfio, prego, venga avanti...» «Io ho finito. Per ora ho fatto un rappezzo... E
passerò la settimana prossima a controllare. Ma non me lo faccia ripetere, professoressa: se non rifà il tetto, qui sono guai.
Ma guai seri...» «Grazie, appena potrò darò un'occhiata ai conti di casa... se rientriamo nel budget, in primavera partiamo subito coi lavori.» Mi sa che dobbiamo rientrare nel... per forza.» «Mi sa anche a me. Vuole un caffè, un amaro?» «Troppo gentile, come sempre. Ma devo scappare, sono di corsa.» E lei che è stato gentile a venire fin qui, a disturbarsi.
Cosa le devo?» «Lasci stare, facciamo la prossima volta.» «Sì, facciamo la prossima volta.» La prossima volta faremo tutto meglio.
Vero mamma?
Vero papà?
Vero Sofia?
Vero Emma?
QUATTRO
Alfio se n'era andato, Claudio sarebbe arrivato nel tardo pomeriggio e Camilla non prima di cena: a quasi sedici anni e con quel caratterino, chi la teneva più? Matteo era parcheggiato a casa di Pietro, il suo amico del cuore, un ragazzino pieno di qualità, compresa quella di avere per madre una donna davvero disponibile, infaticabile promotrice della solidarietà femminile.
I clienti sarebbero arrivati nel week-end; di rado un martedì di ottobre riservava qualche sorpresa, un ospite inatteso e munifico.
Per sopravvivere senza stremarsi di fatica ultimamente si era data alla politica del
«mordi e fuggi», o meglio dello spot and go, come avrebbe glossato Emma con il suo inglese perfetto. Le rimanevano ancora un paio d'ore per macerarsi nell'autolesionismo.
Domanda numero uno: perché lei, Benedetta, aveva optato per una «continua scelta del profilo basso», come aveva scritto la mamma nel suo «Diario straordinario»?
Perché non aveva osato altro? Perché aveva passato la vita a capire o a subire le istanze o le stramberie della sua famiglia d'origine? Era la primogenita, naturale che fosse stata scelta come parafulmine per le malinconie di Chiara, le confidenze risentite di Edoardo, la rabbia di Sofia, i capricci di Emma... "Naturale? Mah, forse soltanto più comodo: dedicarsi agli altri è un sistema per evitare di andare a fondo in sé stessi." A ben pensarci, essere nate a distanza di sette anni, invece di traghettarle nel trionfale mondo della carta ventuno, le aveva relegate nella spiazzante condizione di figlie uniche sui generis. Lei, poi, alla faccia del magico anno di nascita 1965 (la cui somma delle cifre fa ventuno)
, si era beccata tutta la solitudine dei primogeniti nati anzitempo da una coppia che si desidera alla follia, presa dalla propria passione esclusiva, in un ottovolante di ardori lampo e di prostrazioni inspiegabili.
Altro che «benedetta», si era sempre sentita di troppo: prima per via del rapporto intimo tra mamma e papà, baci languidi, continuo ammiccare, litigi e rappacificazioni sensuali. Poi perché era arrivata Sofia - in apparenza per aggiustare qualcosa che si era già rotto - e si era ritagliata subito lo spazio che voleva, da protagonista assoluta.
Una neonata dispotica, che con i suoi strilli notturni e le sue bizze estenuanti aveva allargato a dismisura le distanze fra i coniugi.
Le camere separate risalivano alla sua nascita, e anche l'arrivo del primo randagino di casa. Randi, «un cane di razza», come precisava la mamma, prendendo in giro lo snobismo di Milly Amendola Scalzi (e non solo).
Sofia aveva creato scompiglio con la sua presenza ingombrante e ne aveva sofferto senza sapere il perché, rizzando le antenne della sua ipersensibilità, in un groviglio tossico di budella e di anima. Un gorgo di malintesi sfociato in quel delirio di rancore intitolato Diario straordinario.
Infine, quando era arrivata Emma, non ce n'era stato più per nessuno: né per lei (ovvio), né per Sofia (la cui gelosia patologica si era acuita) e neppure per papà, che francamente pareva infischiarsene, cercando altrove il risarcimento delle penose défaillance familiari.
Chiara era letteralmente impazzita per l'ultima delle sue bimbe, e l'impazzimento peggiorava di anno in anno, di ruga in ruga, di tentativo maldestro in tentativo maldestro: si aggrappava a Emma come un naufrago a un salvagente, mentre attorno il mare era sempre in burrasca, e il suo Titanio di star casalinga si era sfracellato contro l'iceberg degli errori commessi. La parentesi Agresti le era costata un prezzo esorbitante: Edoardo aveva preso a tradirla con accanimento sadico, con le infinite potenzialità di un uomo con tantissimo denaro e tempo libero. Il volto straordinariamente bello della mamma iniziava ad assomigliare a quello indecifrabile delle matrone torinesi, un impasto di noia letale, opulenza fiacca e trattamenti estetici invasivi; il suo corpo sinuoso cominciava a perdere tono e linea, a ridicolizzarsi con abbigliamenti inadatti se non patetici. E nessun amante (allora Benedetta li credeva innocui cicisbei), nessuna eccentricità, nessun finto lavoro, come accompagnare Emma a Milano o a Roma ai casting della pubblicità o dei film, era riuscito ad arrecarle un sostanziale sollievo. Perché, come aveva scritto lei stessa alla fine dei suoi giorni, «nessun sollievo è reale se non parte dal centro di sé stessi».
Il sollievo di Benedetta si chiamava Claudio, ed era partito dal centro del suo cuore e delle sue esigenze: suo marito non aveva mai smesso di produrre effetti balsamici, di lenire le ferite che con la morte di Chiara avevano ripreso a sanguinare.
Aveva deciso di sposarlo al rientro dalle vacanze, dopo un'estate passata ad Alassio, tra Villa Olimpia e la spiaggia di fronte: gli stessi luoghi in cui da bambina aveva visto sua madre singhiozzare sgomenta.
Ci sono lacrime che non si asciugano mai: Benedetta aveva sei anni o giù di lì, e il suo paradiso di convinzioni infantili si era squagliato come neve al sole. Ai Bagni Sisto, Chiara veniva guardata dall'alto in basso e trattata con sufficienza: tutta la sua bellezza e la sua verve non bastavano a farla accettare nel giro di quelli che contano.
Troppe parole, troppi pendagli, troppe moine, troppe risate, troppa eccitazione.
Troppo amore, anche.
Così Benedetta aveva maturato una decisione irrevocabile: poiché a sua madre non voleva e non poteva rinunciare, avrebbe rinunciato a quel simpatico habitat per l'eternità.
Non sempre si rinuncia per codardia o per sprovvedutezza.
A volte si rinuncia per salvaguardare la parte migliore di sé stessi. E scegliere di sposare Claudio Greggio era un gesto concreto per spezzare le catene di quella fiera delle vanità.
Non tutti hanno il dono di riuscire a ridicolizzare chi ci offende e ci ferisce. Sofia per esempio aveva scritto pagine memorabili sugli habitué dei Bagni Sisto, dividendo le signore in tre categorie. C'erano le esegete di un low profile estremo e fastidioso ma per lo meno innato, trasmesso di generazione in generazione. Poi c'erano le nuove adepte fanatiche, quelle che studiavano indefesse per diventare portabandiera di uno stile minimalista che costava loro una fatica immane, peggio che mandare a memoria tutti i canti dell'Inferno di Dante. Era un ripetuto alludere: "Potrei mettermi i gioielli, ma che volgarità"; "Potrei tingermi i capelli bianchi, ma per carità", "Potrei vestirmi firmata da capo a piedi, ma che pacchianata"; "Potrei abbronzarmi, ma vuoi mettere la distinzione di un pallore lunare ad agosto?". Infine: "Potrei essere livida di gelosia, tendenzialmente disperata, cronicamente annoiata, irrimediabilmente antipatica, e ci riesco benissimo...".
Nell'ultima tipologia c'erano le eccezioni, le cagnoline sciolte, donne che si agghindavano, parlavano e comportavano come piaceva a loro: andavano e venivano da Alassio a stagioni alterne, con lunghissime assenze e improvvise presenze.
Talvolta divorziavano per seguire un pittore naif o rockettaro da strapazzo, o qualche vocazione imprevedibile (aveva fatto scalpore Baby Sartori, una procace sciupamaschi che si era ritirata in un convento di suore trappiste). Oppure si mettevano a vagare come schegge impazzite per il globo terrestre, per concludere alla fine che era tutto uggioso e deprimente come ai Bagni Sisto, dal deserto del Nefud alle palme esotiche delle isole Figi, dalle calde crociere caraibiche a quelle tra i pinguini dei mari australi. Ma neppure quelle figlie dei fiori di lusso mostravano affetto per la mamma di Benedetta: puzzavano di tracotanza, e se pure avevano viaggiato in ogni parte del mondo, ricordavano sempre la parte del mondo dove erano nate loro e dove invece non era nata quella burina di Chiara Benatti.
Povera mamma! Oscillava come il suo adorato pendolino da una categoria di stronze all'altra, come Randi con l'osso. Di volta in volta, si accontentava delle confidenze maligne di una vecchia arpia o degli sfoghi velleitari di una pseudoribelle.
Ma il risultato era sempre lo stesso: veniva risucchiata in una spirale di pochezza per poi esserne espulsa come indesiderata, e con un poderoso calcio nel sedere.
Perché non era insorta e non se n'era andata per sempre?
Perché non si era separata da Edoardo, seguendo i consigli di Gaia, il suo spirito guida? Quelle vessatrici incostanti, oltre ai soldi e alle svariate ripassate di vernice, non possedevano nulla: né cultura, né spessore, né fascino, né ironia, né talento.
E quando non si possiede nulla pur potendo comperare tutto, a qualcuno bisogna pur farla pagare.
CINQUE
Dal salotto vicino, il televisore continuava a fare il suo dovere di elettrodomestico: nessuno si era curato di spegnerlo, così andava avanti con rubriche dedicate alla salute e all'economia, con programmi ideati apposta per conduttrici negate in tutto meno che nelle raccomandazioni.
Adesso era la volta di una serie di consigli per gli acquisti, dalla pulizia del water incrostato a quella della pelle con i brufoli. In quante pubblicità aveva recitato Emma, da sola o in coppia con la mamma? Benedetta rammentava decine di spot di merendine golose o di biscotti al cioccolato, di shampoo vitaminici o di talchi profumati, di Barbie vestite per la festa e di pigiami per la notte.
E quei cartelloni sparsi per tutta Italia, che tenerezza!
Emma correva per la spiaggia di Alassio e Randi il le tirava giù il pezzo di sotto del costume. Da lì spuntava un sederino bianco e immacolato, un poco prominente, che faceva venir voglia di mangiarselo. La reclame di quella crema abbronzante era stata la fortuna dell'ultima delle sorelle Amendola: da allora non si contavano più le sue partecipazioni agli sceneggiati tv e ai film di cassetta. E con i soldi di quei lavori che erano uno svago, Chiara aveva fatto l'unico investimento sensato della sua vita: aveva intestato alla figlia minore un piccolo appartamento nel centro di Milano, dove fermarsi a dormire ogni volta che erano previste due giornate fitte di casting.
In realtà la mamma ed Emma vivevano ormai più a Milano e a Roma che a Torino; avevano creato una microfamiglia a parte, alquanto scombinata ma più spensierata di quella che risiedeva oppressa a Casa Azzurra.
Quante sere si erano fermate a mangiare al pensionato dei genitori di Claudio, quante volte erano state accolte come vere stelle del cinema! Ricordare le allegre tavolate dai suoceri Greggio rasserenava Benedetta più di un ciclo di sedute di psicoanalisi: Chiara teneva banco e mangiava di gusto (stava iniziando a ingrassare e pareva non curarsene), di volta in volta conquistava un nuovo fan con il suo carattere estroverso, con la sua voglia di un pubblico gentile da cui sperare l'applauso. Con Emma accanto, si sentiva ancora - se non proprio una forza della natura - almeno una sua componente accettabile.
La fotogenia dell'ultimogenita Amendola era caduta come il cacio sui maccheroni sulle speranze di rinascita e di rinnovamento di Chiara. Un musetto arguto con il nasino all'insù, capelli biondi e lisci, occhi ridenti e azzurri, un protagonismo nutrito dai vizi avevano fatto di lei una specie di bambina prodigio senza i difetti propri del ruolo. Davvero, forse c'era qualcosa di miracoloso nella sua nascita, in quella vita a cui la mamma si era aggrappata per prolungare la giovinezza perduta. Ma i miracoli dell'immagine durano lo spazio di un mattino e verso i dodici anni Emma era troppo grande per fare la piccola e troppo piccola per fare la grande.
Di memorabile, in quel tourbillon di apparizioni, rimaneva solo la sentenza che era stata proferita ai Bagni Sisto, in un afoso pomeriggio di agosto. Due attempate signore bon ton, di quelle che avevano diritto non solo alla prima fila ma ai posti centrali, si erano scambiate uno squisito parere sui bambini imprestati alla pubblicità.
«Ma hai visto l'Amendola junior in quell'orribile cartellone colorato?» «Dio, e con tutto il sederino di fuori! Che volgarità!» «Sì... inguardabile! E poi sarà mica bella quella bambina petulante?!...» «Che Chiara Benatti sia rimasta quello che è, cioè Chiara Benatti, non è un mistero, ma perché Edoardo abbia dato il suo consenso, io non riesco a spiegarmelo...» «Tesoro, te lo spiego io perché. Da quando sta con la Steinbeck, il nostro Edoardo ha ben altro nella testa...» «E nel letto!» «Però bisogna ammettere che quella Caroline ha una classe, un portamento...» «Insomma... Fa più colpo vista da lontano, con i riflettori del palcoscenico, mentre suona l'arpa... Però mi riferiscono che lui sia pazzo di lei, che la segua ovunque, in giro per l'Italia e per il mondo.» «E a me hanno detto che si sta mangiando mezzo patrimonio per esaudire ogni suo desiderio.» «Be', quando un uomo è tanto più vecchio deve pur sdebitarsi...»
«Allora meglio che paghi per una donna di classe.» «...E non per una bifolca qualsiasi.» «Che tra l'altro sta iniziando a perdere colpi. Hai visto come si è sciupata, la Benatti?» L'arpia numero uno si era girata per indicare Chiara e aveva inforcato gli occhiali per mettere a fuoco il bersaglio.
«E quanto è ingrassata?» aveva rincarato l'arpia numero due dall'alto della sua considerevole taglia cinquanta.
«La classica bellezza dell'asino.» «Vedi che c'è una giustizia, e alla fine si ristabiliscono gli equilibri?» «cioè?» «Edoardo si è messo finalmente con una donna del suo stesso ambiente.» «...Se chiami equilibrio scegliersi un'amante trentenne a sessant'anni suonati.» «Non hai tutti i torti.» «E sopportare che la propria moglie si accompagni a un hippie con la coda di cavallo...» «Robe da matti! Hai visto anche tu quel ragazzotto con cui faceva la cretina sul bagnasciuga?» «Una famiglia alla deriva, ecco cosa sono... Non mi stupirei se prima o poi vendessero Villa Olimpia.» «Però la piccola è pur sempre figlia di Edoardo...» «Io aggiungerei un forse.» «In effetti, con tutto quello che ha combinato sua madre non c'è da metterci la mano sul fuoco... ma comunque porta il suo cognome, è un'Amendola, santo cielo!» «E la pubblicità è una cosa tremendamente plebea!» «Da figli di poveri...» «Tesoro, se nasci da una grimpeuse non hai scampo.» «Milly si rivolterà nella tomba...» «Oddio cara, diciamoci la verità, una volta per tutte.
Milly era una Scalzi Toesca, ma come carogna non stava dietro a nessuno.» Così, oltre alla nipote, al figlio e alla nuora, era stata sistemata pure la nonna.
Con i cattivi non c'è salvezza, né da belli né da brutti, né da nobili né da proletari, né da vivi né da morti.
Amen, mamma?
SEI
Senza un erede maschio carismatico, i beni Amendola si erano rivelati per quello che erano: effimere entità deperibili, inadatte a contrastare il naturale declino di ogni esistenza senza amore. Perché solo l'energia fa vivere le persone e le cose, che lasciate a sé stesse muoiono di tristezza e di incuria.
Alla morte di papà, e dopo le rapine sistematiche di.
Caroline Steinbeck, del favoloso patrimonio Amendola rimanevano soltanto Villa Olimpia, Casa Azzurra e una serie di piccoli appartamenti occupati nel quartiere popolare di Santa Rita.
La liquidità che a una famiglia normale sarebbe bastata per decenni, con la gestione scellerata di Chiara era quasi svanita in quattro anni. Finanziare la casa editrice Venti dello Spirito e lo spettacolo teatrale Inquieti e perturbati (due flop memorabili) aveva prosciugato le casse e il cervello della mamma. E mantenere due ville enormi, con annesso parco e servitù, si era rivelata una voragine di spese da far tremare i polsi.
La prima ad andarsene, svenduta malamente e con gioia, era stata Villa Olimpia ad Alassio, il regno incontrastato della perfidia di Milly. L'emblema degli orpelli e dei fregi stile Amendola era stato trasformato in un plebeo complesso di residence da affittare settimanalmente.
Poi era stata la volta dei miniappartamenti, liquidati a un terzo del loro valore effettivo agli occupanti. Dallo scempio generale si era salvato un bilocale abitato da una vecchietta indigente che Chiara non aveva avuto cuore di sbattere fuori perché le faceva pena.
Nel frattempo, mentre Emma continuava a vivere come una principessa nel raffinato contesto neoliberty di Casa Azzurra, mentre Sofia si stava laureando con il massimo dei voti in Lingue, culture e società dell'Asia orientale a Ca'Foscari ed eleggeva Venezia a patria del suo esilio volontario, Benedetta, Claudio e Camilla traslocavano da una pittoresca stamberga dell'hinterland milanese all'altra, seguendo i cambi di supplenza e i ritmi lenti delle loro entrate. Finché era arrivato un segno del destino: Chiara confessava di non poterne più di Casa Azzurra, e Claudio vinceva una cattedra proprio a Torino.
Infine, Benedetta si era scoperta di nuovo incinta. E in una classica telefonata fiume a spese di sua madre, che se ne infischiava delle bollette, era stato deciso il suo destino.
«Ma ragazzi, venite voi a vivere qui! Emma al liceo classico non si trova bene.
Tanto vale iscriverla alla scuola interpreti di Milano. Che stupida, perché non ci ho pensato prima? Ci trasferiamo nell'appartamentino di corso Magenta e lasciamo il campo libero a voi...» La voce di Chiara trillava dalla cornetta del telefono, entusiasta dell'idea appena suggerita. Ogni ipotetico cambiamento la galvanizzava, e dava un po' di ossigeno alla sua esistenza asfittica.
«Mamma, come ci stai tu in cinquanta metri quadri?
Li intasi soltanto con le tue scarpe.» «Sì, d'accordo, ci stringeremo un poco, ma sarà divertente, ci sembrerà di tornare ai vecchi tempi dei provini e della pubblicità...» «Allora ci stavate di passaggio, non in pianta stabile.» «Sarò sempre fuori casa! Ci sono una marea di corsi che voglio frequentare, dall'I Ching alle tecniche reiki.
E poi partirò per l'India, per un viaggio di almeno sei mesi.» «Brava. Però non credi di correre troppo? E come la manteniamo Casa Azzurra? E un maniero.»
«Adesso faccio i tarocchi. Aspetta un attimo...» «Mamma, siamo al telefono e spendi un capitale... I tarocchi li farai un'altra volta...» «Mai rimandare le cose importanti!»
«Ti prego, ragiona. Claudio ha uno stipendio da professore, io mi arrabatto con le supplenze... e tra poco non potrò più fare nemmeno quelle, dato che i figli saranno due. Casa Azzurra non è alla nostra portata.» «Sono venute delle carte splendide!» Ti pareva.
«Intanto per le pulizie non c'è problema: ho pagato a Paco lo stipendio di un anno in anticipo.» «Cosa? Sei ammattita? Credi che i soldi si riproducano con la fotocopiatrice?» «Poverino, doveva comperare non so quali macchinari per la tintoria del figlio... E comunque come costo fisso è rimasto solo lui e la sua famiglia. In pratica, sto risparmiando.» Chiara si era messa a ridere. Era sempre stata piuttosto spiritosa.
«Bollette del telefono a parte...» «Poi ho avuto un'idea geniale, si vede che me lo sentivo che doveva succedere qualcosa di straordinario: gli ho promesso di poter abitare la casetta nel parco.» «Pure!» «E un affare, credimi. Siccome risparmierà sull'affitto ti farà da giardiniere gratis, e la moglie da baby-sitter per Camilla e per...
come lo chiamiamo, il pupino?» «Matteo.» «Mi piace, ma per saperne di più devo andare a vedere sul Libro dei nomi. Però devi dirmi con precisione l'ora e il giorno del concepimento. Credimi, è importante quanto la data di nascita.» «Come no.»
«Domani ti ritelefono per aggiornarti. Comunque dovrebbe nascere sotto il segno del Sagittario, che per un maschio va meglio che per una femmina.» «Perfetto. Ma prima di consultare i tuoi oracoli, mi spieghi chi lo paga il riscaldamento di ottocento metri quadri?» «Quello lo offro io per festeggiare la nascita di Matteo, che più ci penso più è un'ottima scelta come nome.
Il Vangelo secondo Matteo è il mio preferito.» «Claudio non permetterà che tu paghi il riscaldamento.» «Perché? E un semplice atto di giustizia. In fondo sborso fior di quattrini per il liceo privato di Emma e per i suoi svaghi... e farei lo stesso per l'università di Sofia se lei me lo permettesse, se non avesse deciso di arrangiarsi sempre da sola.» La voce di Chiara si era incrinata, al pensiero di quella figlia che non l'amava affatto.
«Ha vinto una borsa di studio a Ca' Foscari perché è brava... e come tante ragazze della sua età adora essere indipendente.» «Come sei buona Benedetta. Non so come ho fatto, però mi sei riuscita da dio!» «Mamma!» «E tua sorella è un mezzo genio, sono tanto orgogliosa di lei.» «...E poi Emma è un capolavoro ambulante. Se non ci hai guastate tu, non ci guasta più nessuno.» «...Modestamente.» «A proposito, come sta il nostro adorato leprotto?
Sempre più bello?» «Eccome, è sempre più incantevole! Ma non cambiare discorso. Oggi mi voglio occupare solamente di te.» «Devo iniziare a preoccuparmi?»
«Ascoltami, Casa Azzurra è la soluzione ideale, ed è tutto pagato per dodici mesi.
Offre la ditta Benatti. Poi si vedrà, qualche santo provvederà...» «Qualche santo provvederà?» E qualche santo aveva provveduto. Forse dal cielo nonno Riccardo aveva deciso che qualcosa del patrimonio Amendola si dovesse preservare, e che quella nipote mansueta fosse il timoniere ideale per la raffazzonata scialuppa di salvataggio.
Così, senza nemmeno rendersene conto, Benedetta si era ritrovata sul gobbo l'ingombrante cimelio di famiglia, la scomoda testimonianza degli agi di un passato che non sarebbe tornato, la gravosa responsabilità di conservare almeno un pezzo di eredità per sé e per le sue sorelle. Che non avevano mai chiesto nulla, soprattutto Sofia, soprattutto adesso.
Che buffo: in fondo lei e Claudio, nei sondaggi prediletti dai giornali allarmisti, appartenevano alla categoria dei nuovi poveri. Entrambi insegnanti, con la somma dei loro stipendi, comprese le ripetizioni private, raggiungevano in un mese la cifra che papà si sarebbe speso in due notti di follie. Eppure in quella villa da ricchi avevano finito col risiederci loro, per nulla attratti dai beni materiali.
Ma la cosa ancora più buffa era che l'idea di trasformare in bed & breakfast Casa Azzurra era partita dai suoceri Greggio. Che, stanchi di tenere la pensione a Milano, si erano offerti di trasportare nella nuova dimora del figlio tutte le attrezzature della cucina, i tavoli della sala da pranzo, i letti delle camere. Soprattutto, si erano offerti di dare una mano nei primi mesi di gestione.
E, come sempre, lo avevano fatto con entusiasmo e generosità.
Insomma, in soccorso dei superbi Amendola erano arrivati i paria salvifici Greggio, quella «famiglia di portinai» che Edoardo si era rifiutato persino di conoscere.
I primi anni erano stati galvanizzanti. Con i figli ancora piccoli, i suoceri ancora giovani, Paco e i suoi parenti a disposizione, Emma che andava e veniva adorata dai nipoti, la mamma che partiva entusiasta e ritornava con la coda tra le gambe, Benedetta si era sentita utile, importante, il capobanda, il centro del suo mondo d'amore, una fucina di creatività.
A Casa Azzurra si organizzavano feste a tema per bambini e pranzi esotici per adulti (la moglie di Paco si era rivelata una cuoca eccellente); a Casa Azzurra si imbandivano merende nel parco e cene a lume di candela; a Casa Azzurra - ritornata in grande spolvero - soggiornavano clienti scelti ed ex colleghi che non potevano credere ai loro occhi. Perché i due professori Greggio erano un raro caso di individui passati dalle stalle alle stelle, dalle stamberghe dell'hinterland milanese alle ville liberty in zona Crimea con vista sul Po. Claudio osservava compiaciuto i giochi di prestigio di sua moglie, ma con un sorriso dolce le ricordava sempre che di tutto questo avrebbero potuto fare a meno.
Infatti. Pian piano, lentamente, tutto aveva iniziato ad andare a rotoli, e non solo sul tetto. La mamma era morta in quel modo straziante e Sofia si era sentita la principale colpevole: non sarebbe tornata mai più. E il leprotto Emma si era dato alla macchia, con la scusa degli impegni e dei contratti capestro nel fagocitante mondo della TV.
Adesso la situazione era la seguente: gestire le esigenze di due figli adolescenti risultava più complicato che sollazzare un'orda di bambini scalmanati; zigzagare tra gli impegni da professoressa e quelli da albergatrice part-time, un surmenage sfiancante; stare al passo con internet e le sue offerte a prezzi stracciati, un lavoro frustrante e poco remunerativo.
Lo specchio con la cornice dorata e tarlata rimandava a Benedetta l'immagine di una signora che dimostrava i suoi quarantatre anni senza il minimo sconto. Il suo viso dai lineamenti delicati, regalo di mamma, era provato, per non dire sciupato: le piccole borse sotto gli occhi si erano trasformate in solchi di stanchezza. I chili di troppo erano almeno cinque, e i capelli viravano al grigiastro: tra i fili bianchi e il biondo stinto si era stabilito un patto scellerato, che la faceva somigliare a una strega sciatta, priva di personalità.
Nel salottino accanto, il televisore continuava a macinare servizi di attualità: una voce stridula informava che le cinquantenni di oggi - 2008 - sono delle eterne ragazze, basti pensare a Madonna, un miracolo programmatico a partire dal nome.
Peccato che accanto a lei non ci fosse Chiara, che con il significato dei nomi ci andava a nozze.
Altro che i prodigi di Madonna: semmai bisognava preoccuparsi delle cosiddette circostanze favorevoli.
Perché era vero che Torino aveva vinto la sua scommessa e che a furia di restauri e migliorie era diventata una città attraente per i turisti: ma era anche vero che Benedetta stava diventando sempre meno attraente, sfinita da prenotazioni telematiche e pacchetti convenienza; da conti che non tornavano mai e che difficilmente avrebbero coperto le spese del rifacimento del tetto. Perché era vero che la sonnolenta città sabauda si era riciclata in luogo ameno e vivace dove passare un week-end cultural-gastronomico, scorrazzando tra musei, negozi e mercatini: ma era altrettanto vero che a questo punto era lei a sentirsi un reperto archeologico. E poiché si era ridotta a una chiavica, come avrebbe ironizzato Sofia, e il «mal comune mezzo gaudio» spesso funziona, stava riscuotendo un consenso preoccupante presso i suoi clienti, uno sciame di individui rassegnati che si integravano in quel bed & breakfast dal sapore antico (sarebbe stato più corretto affermare che stava perdendo i pezzi).
Casa Azzurra era diventata la sede ideale per pensionati relativamente pimpanti e per dipendenti logorati, per coppiette fané e per zitelle prive di qualunque appeal.
L'aspetto retro (o meglio, fatiscente) rassicurava gli animi sopraffatti dagli eventi e faceva sentire speciali le persone comuni, abituate agli anonimi condomini delle vie periferiche...
Ma che ora aveva fatto, in compagnia dei fantasmi?
Accidenti, mancavano venti minuti alle diciotto: tra poco sarebbe arrivato Claudio e non voleva farsi trovare abbacchiata, soprattutto non voleva gravarlo di ulteriori fardelli.
Basta lamentele, era giunto il momento di rientrare nei ranghi. Doveva serrare le file della famiglia, placare gli spiriti ribelli, sedare le ansie, dimenticare le proprie istanze per ascoltare pazientemente le rogne altrui.
Quindi bisognava farsi forza, alzarsi dalla poltrona, spegnere il televisore, portare fuori Randi rv a fare la pipì, e inviare l'sms che sapeva di dover inviare.
EMMA
UNO
L'uomo in giacca e cravatta, azzimato se inquadrato da lontano ma viscido e untuoso se messo bene a fuoco, stava snocciolando un compendio di banalità allucinanti: a occhio e croce, un ciarlatano che campava di espedienti da una vita. I tratti somatici parlavano chiaro, a conferma del sospetto: passati i quaranta, la fisiognomica diventa una scienza esatta, l'unica bussola di riferimento per decifrare adulti allo sbando. Il volto del sedicente esperto trasudava abbattimento da ogni poro, e una flaccidità esausta, tendente al crollo verticale, faceva a pugni con la supposta autorevolezza. Grossi baffi scuri e tinti cercavano di nascondere sotto la bocca sottile alcune rughe profonde. «Disperazione espansa» era il sottotitolo giusto per una faccia così depressa, per quegli occhi torvi che denunciavano un pessimismo prosperato nei fallimenti.
«Ciò che insegno nei miei seminari e nei miei corsi di autostima... che, ci tengo a precisare, stanno per partire al centro Abilità nell'esistenza in questo autunno 2008, in via...» «Dottor Vitanza, la prego, sia sintetico...» «Allora, ciò che insegno è questo: dobbiamo far risalire ogni esperienza significativa alla nostra famiglia di origine.»
«Interessante...» «Infatti, come ho scritto nel mio saggio Non solo figli, che il dottor Bruno Pittaluga mi ha fatto l'onore di recensire la settimana scorsa sul "Gazzettino del Sud", possiamo chiaramente capire il carattere e i problemi di una persona da ciò che io chiamo "posizione di nascita".
Che è assai più attendibile della posizione astrale.» «Posizione di nascita? Ci può spiegare, brevemente, che cos'è?» Titti Scarlatti, la conduttrice raccomandata da Alleanza Nazionale, era stata distratta per un nanosecondo da una ciocca di capelli che rischiava di far ombra sul volto gonfio di acido ialuronico. Ma non per questo dimenticava la sua missione, resa ardua dalla logorrea dell'ospite: arrivare al bandolo della matassa in tempi strettissimi, come sempre in TV. «Sia conciso, dottor Vitanza, non me lo faccia ripetere ancora, la prego.» L'ospite redarguito stava seduto sulla punta della poltrona, in una posizione che doveva essere parecchio scomoda, con la postura di chi ha appena ingoiato un manico di scopa. Aveva la fronte imperlata di sudore: autocensurarsi, limitare il suo momento di gloria, doveva essere uno sforzo al di sopra delle sue possibilità.
«Certo, certo... E un identikit familiare semplicissimo: il primo figlio (o figlia) è affidabile, ordinato e conformista, a volte persino bacchettone; il secondo è rivoluzionario e immaginifico, un boss in pectore; il terzo è un freelance a trecentosessanta gradi, un po' sconclusionato, precario negli affetti e nella professione...» Ecco perché troppi cialtroni riescono a sbarcare il lunario, o addirittura a passare per guru illuminati. Perché talvolta, per gli effetti del caso tanto amato da Chiara, ci azzeccano. La diagnosi rimane un miraggio nel deserto, ma l'ansia si placa quando la colpa è imputabile a cause esterne.
Con un flash involontario il counsellor Mimmo Vitanza aveva fatto il ritratto delle tre sorelle Amendola: dove lei, Emma, risultava la più scombinata, un quadro surreale in cui sentimenti e doveri, lavori e ambizioni si mescolavano in maniera confusa.
Naturalmente mancavano alcuni dettagli: per esempio che Sofia aveva sperimentato il suo spirito dinamitardo in casa propria, piazzando una serie di mine che avevano sconquassato tutti, e dilaniato sua madre. E poi che Benedetta, più che conformista, era una creatura eccezionale, l'unica capace di mettere un po' di ordine, se non di pace, in quel guazzabuglio di istanze contorte che è qualunque famiglia. La primogenita era stata la sola davvero coraggiosa: trasformando Casa Azzurra in un bed & breakfast, e sobbarcandosi tutti i sacrifici che la situazione richiedeva, si era ribellata alla dittatura del tempo, cercando di opporsi alla dissipazione definitiva del patrimonio Amendola. Perché la villa era rimasta intestata a loro tre, e non c'era stato verso di fare cambiare idea ai filantropici coniugi Greggio.
Infine che lei, il soave leprotto, più che precaria negli affetti, era una libertina dilettante, e a fasi ondivaghe.
Un'attrice (eredità materna?) capace di recitare un'unica parte, quella della bella bambina dalle trecce bionde da vezzeggiare. Perché solo chi ti vuole portare a letto è disposto a raccontarti tante bugie, e lei era stata troppo abituata all'amore di Chiara per saper vivere senza adulazione.
La sera prima aveva aggiunto alla sua lista un altro amante. In che modo definirli?
Secondo Sofia, un ovvio turnover di uomini deludenti e ridicoli, adatti a un pamphlet satirico; secondo Benedetta, una sfilza di errori evitabili e auspicabilmente non ripetibili; secondo lei, un gruppetto di compagni di giochi con cui seguitare a credere di essere la principessa preferita, proprio come la faceva sentire la mamma.
Amichetti più o meno simpatici, più o meno affettuosi, con cui inventare storie per sconfiggere la paura, e ingannarsi ancora riguardo a una giovinezza che di rado si vuole lasciare andare via. Lupi più o meno cattivi con cui inscenare la favola della bambina carina e originale, che preferisce andare in giro con tipacci poco raccomandabili.
«Emma, puoi venire in redazione? C'è un'emergenza.
Con il crollo delle borse qui non si capisce più niente...» Marcello, uno degli autori principali del programma, l'aveva raggiunta in studio trafelato.
«Che novità... Qui non si capisce più niente da sempre.» «Mi sa che salta un servizio, e quindi dobbiamo rifare i lanci per la Scarlatti...» «What a nightmare!»
«Che?» «Un incubo: chissà cosa riuscirà a dire...» «Non oso nemmeno immaginarlo...» Marcello aveva sorriso divertito e per un attimo era tornato a essere il ragazzo intelligente e ironico che Emma conosceva, quello che da regista teatrale underground si era riciclato in autore televisivo per sbarcare il lunario. Un uomo di spessore, come si suol dire, che era rimasto invischiato negli ingaggi polposi e nel luccichio dei lustrini.
«Io sì: un sistema per rompersi un po' meno le scatole.» «Dai, Emmi, non c'è tempo per scherzare, è un delirio, e al montaggio non c'è nessuno.» «E il bello della diretta, darling!» «Altro che bello della diretta, sono quasi le diciotto, dobbiamo rifare tutto e non abbiamo margine per organizzare la scaletta di domani.» «Possiamo sempre fare notte fonda... mica è una novità.» «Mi rifiuto: se arrivo un'altra volta alle due mia moglie mi sbatte fuori casa.» «Figurati: trovare un marito oggigiorno è un miraggio...
E tu sei un miraggio coi controfiocchi!» «Possibile che non riesci a prendere mai niente sul serio?» «Se avessi preso sul serio certe cose, mi sarei sparata.» «Non capisci che siamo nella merda?» «Ma no! Siamo al solito punto di non ritorno: una conduttrice cagna che di fronte agli imprevisti si mette ad abbaiare.» «Guarda, punto di non ritorno o no, vedi di andare al montaggio e di risolvere qualcosa...»
DUE
A proposito di punto di non ritorno.
C'è un punto di non ritorno per ogni donna, soprattutto per ogni donna che sia stata molto bella. Quando smette di credere nel proprio potere di seduzione e si riduce a mendicare le frottole di qualche baby fidanzato o di qualche spasimante rapinoso.
Oppure, quando decide di sorbirsi a pagamento le pozioni o le fandonie di qualche sedicente Maga Magò.
Il giorno in cui era arrivata da Londra la grossa busta che la mamma aspettava con trepidazione, era un giorno particolare per Emma: il suo agente da Milano l'aveva appena chiamata per comunicarle che aveva fallito l'ennesimo provino della pubblicità. Nessuno lo diceva apertamente, ma ormai l'aveva capito: la scartavano perché era inflazionata, e piuttosto attempata per il ruolo della bambina tutta trine e moine. Se c'è una cosa che si impara subito nello show business, è che non è mai troppo presto per sentirsi vecchie.
Ma da brava incosciente volubile, Emma era eccitata all'idea di cambiare giro. Era stufa di reclamizzare merendine e caramelle, stufa delle lunghe code ai casting, stufa di viaggi in treno e in aereo, stufa di essere sballottata di set in set, di location in location. Quello che la preoccupava, anche se a livello inconscio, era ben altro: il suo declino di ministar stava coincidendo con la frana degli ultimi argini emotivi della mamma. Nell'inverno precedente all'indegna morte di papà, con Benedetta sposata, Sofia emigrata a Venezia, e lei, Emma, mestruata e detronizzata dall'infanzia, a Chiara non era rimasto che farsi consolare da Julianne Green, una signora specializzata in «analisi psicologica degli oroscopi». La migliore amica della mamma a tariffa fissa, una venditrice di fumo professionale che ogni quindici giorni intasava la cassetta della posta con le sue premonizioni sibilline: usando il computer, in largo anticipo sui tempi, per stabilire la posizione dei pianeti e delle case, trasformava il presente fallimentare di Chiara in un futuro roseo e sexy. Ciò che era affermato in quel dattiloscritto con la copertina azzurra piena di stelle era diventato il centro scentrato di un mondo interiore assurdo, ma in qualche modo suggestivo.
IL GUSTO DEL DRAMMATICO
ASSOCIATO A UN'EMOTIVITÀ ECCEZIONALE
I DONI DELL'IMMAGINAZIONE
E LA PERCEZIONE DELLE POSSIBILITÀ FUTURE,
ASSOCIATI IN LEI ALLA SENSIBILITÀ E ALL'EMPATIA, HANNO COME RISULTATO UNA COMPRENSIONE
RARA E PROFONDA.
LEI POSSIEDE UN IMMAGINARIO
E UN SENSO DEL ROMANTICO SVILUPPATI,
E TENDE AD ARRICCHIRE CON LA FANTASIA LA QUOTIDIANITÀ.
LEI DOVREBBE LAVORARE IN CAMPO ARTISTICO,
E POTREBBE ESSERE UN'ATTRICE MOLTO DOTATA
O MUOVERSI BENE IN AMBITO EDITORIALE.
ESISTE QUALCOSA DI SFUGGENTE E DI ULTRATERRENO IN LEI, E ANCHE SE LA SUA RISPOSTA AGLI ALTRI È SEMPRE AFFETTUOSA, POTREBBE
VIVERE COME CASTRANTE L'IMPEGNO FAMILIARE.
INFATTI LEI TEME DI RIMANERE INTRAPPOLATA IN UN GRIGIORE
CHE POTREBBE SOFFOCARE IL SUO TALENTO,
PERCHE' TENDE A CONSIDERARSI
COME IL PERSONAGGIO PRINCIPALE DI UN ROMANZO
O DI UNA STORIA FANTASTICA...
Che danni possono fare le parole, e non solo quelle di Sofia. Chissà a quante donne normali, normalissime, straordinarie solo nell'infelicità, Julianne aveva mandato quel testo. E chissà se la mamma aveva deciso di finanziare la casa editrice Venti dello Spirito e l'agghiacciante commedia Inquieti e perturbati dopo la lettura di quei consigli farneticanti.
Povera Chiara, era convinta che la sua adorata figlia minore fosse l'unica di famiglia a credere nelle profezie e nei calcoli di Bakul, e lei glielo aveva lasciato credere.
In fondo crediamo a tante di quelle puttanate, compresi i lanci di Titti Scarlatti, che una più o una meno... Ma il punto era che tra letture di tarocchi spagnoli e vaticini di scombiccherate indovine, tra sedute di terapeuti dell'anima andata a finire in un tombino, tra amanti straordinari nella capacità di farsi rilasciare assegni e amiche ciarlatane attratte dal suo portafogli, il «dono» di Chiara, quello che raccomandava alle figlie di seguire, si era disperso chissà dove.
Perché la mamma era semplicemente una donna buona. La sua forza era quella: non la straordinaria bellezza, né la velleitaria inclinazione artistica.
Sua madre aveva sempre creduto nell'amore, e chi crede sempre sbaglia spesso.
L'errore commesso non era stato di aver barattato una possibile carriera di attrice con un ambiguo posizionamento sociale. L'offesa l'aveva recata al suo cuore, non al suo talento: aveva tradito la mitezza del suo spirito. E infatti le pagine che aveva scritto negli ultimi giorni della sua vita erano struggenti: in tutto quel ciarpame esoterico, di essenziale rimaneva soltanto il testamento di Gaia, che altro non era se non l'inconscio di Chiara.
Il suono inconfondibile dell'arrivo di un SMS.
Chi la stava pensando? Alberto, Franz, Gianni o Marco, l'ultimo arrivato? In tempi passati avrebbe scommesso su Marco, perché la manfrina del giorno dopo doveva prevedere un minimo di convenevoli. Ma da un paio d'anni aveva imparato a contare esclusivamente sulla propria energia, per usare un'espressione cara a Gaia.
Oppure sul suo «intuito primario», per usare un'espressione cara a Mimmo Vitanza.
Lei era stata drogata di vizi, e da una simile droga ci si disintossica di rado.
Però, a rifletterci, non è indispensabile lo sballo da sostanze stupefacenti per sentirsi unici. Basta entrare in una parte scelta, intensa, recitare in una pièce che strappa l'applauso, o almeno il sorriso. Proprio come aveva fatto Chiara all'inizio e poi ogni volta, con i suoi doni e i suoi diari straordinari, con quella predilezione per un'astrologia che prevedeva solo eventualità splendide. Poi, chissà come e quando e perché, ogni cosa era andata in frantumi, e ben prima della morte di papà, ben prima del successo di Sofia.
Per quale masochistico motivo ci insegnano a mistificare le cose? Come aveva scritto Chiara in quelle pagine sospese ma piene di saggezza: «Quello che è rimane sempre e solo quello che può essere». Della serie: se un uomo ti dà buca dopo averti portato a letto, ciccia.
Però le persone sorprendono comunque, in positivo e in negativo: e questo sarebbe un punto di vista quasi ottimistico da cui partire. «A pensar male non si sbaglia mai»
dovrebbe essere corretto in «A presupporre si sbaglia sempre».
Chissà chi le aveva mandato il messaggio.
Oggi è il sette. Di magico c'è solo che ti ho pensato e che mi manchi. Hai voglia di passare qualche giorno a Casa Azzurrai Fammi sapere. Baci Ben Altro che Marco. A fare i conti con chi accudisce per vocazione e si sobbarca delle rotture per bontà d'animo, si sbaglia sempre. Gli egoisti non prevedono le mosse degli altruisti, gli individualisti non immaginano lo scenario di chi si tiene un passo indietro per favorire le esigenze altrui. E bisognava proprio essere generose per amare quelle due sorelle minori così egocentriche: Sofia il genio cattivo di casa, ed Emma la regina del capriccio infantile traslocato in età adulta.
"Che tu sia benedetta, sorellona mia. Benedetta di nome e di fatto."
TRE
«Eccomi qui, al montaggio è tutto a posto. E le correzioni ai lanci le sta finendo Simone... Scusate, ma perché questa faccia da funerale?» Emma era appena rientrata in redazione, dove un capannello di autori e di adattatori testi stava discutendo animatamente.
«C'è un'altra emergenza.» «Ancora?» «Sì, oggi Kafka ci fa una pippa.» Di nuovo Marcello la stava rassicurando con il suo sarcasmo, immunizzandola dal delirio adrenalinico da diretta TV.
«Un suggestivo impasto tra cultura alta e bassa... chapeau.» «Per favore, Emma.
Siamo alla frutta. Calvi ci ha dato buca.» «Bene, un cialtrone in meno. Oggi pomeriggio credo di avere fatto il pieno.» «Complimenti: visto che sei brava a sdrammatizzare, mi dici dove lo troviamo uno psicologo libero in meno di mezz'ora?» intervenne piccato Filippo, un lecchino molesto che stava facendo carriera a furia di sviolinate ai capi e di sgomitate fra i pari ruolo.
«Lo troviamo. Non lo sai che quelli che vengono sempre in TV non vedono un paziente manco col binocolo?
Di lavoro fanno gli ospiti, mica i terapeuti», rispose infastidita Emma.
«No, che non lo troviamo. Nessuno ammette di non avere un tubo da fare...»
Ancora una volta Marcello aveva innalzato il livello rasoterra della bega giornaliera a una summa paraesistenziale.
«Messa così... chi può darti torto?» «Senza il commento di un opinionista la docu-fiction non regge. E siamo nel rush finale, quello con più audience!» aggiunse Filippo con tono grave e aria da grande intenditore.
«Ma va'?» A Emma era scappata una delle sue faccette stupite da attrice della pubblicità. Era evidente che non sopportava Filippo.
«Sei esasperante...» «Mi faccio perdonare subito. Mettiti calmo. Lo troviamo, un opinionista. Magari non un luminare della scienza, ma uno scrittore sfigato o una giornalista di costume li pinziamo di sicuro. E anche senza gettone di presenza.»
«Non in questi tempi.» «Senti, posso dire una cosa?» «Avanti...» «Ospite o no, commento o no, la docu-fiction non regge comunque.» «Perché?» «Fa veramente schifo.» Aggredire per non essere aggrediti. Mimmo Vitanza avrebbe commentato così il suo atteggiamento? O era più corretto sostenere che la spavalderia aiuta a sopportare le situazioni insensate?
La giornata di Emma era stata piuttosto sconclusionata, in barba a ogni astratto ottimismo. Il suo lavoro di autrice in TV rimaneva un lavoro in TV, effimero, precario e anche ripetitivo, nonostante la patina abbagliante.
I suoi ventinove anni oggi pesavano il doppio, perché il passato doloroso era spuntato così, senza chiedere il permesso, in mezzo ai tremila casini di un programma in diretta.
E poi quell'idea vanagloriosa di comporre un puzzle d'uomo esemplare mettendo insieme i pezzi migliori di vari campioni, quell'utopia di una relazione multipla, senza rischio di abbandono (mica ti possono mollare tutti in contemporanea!)... Una vernice ideale per coprire un'esigenza prosaica: Emma aveva bisogno di un serraglio di cacciaballe per blandire al massimo il suo ego di bambina viziata.
Attualmente erano in carica: Alberto, lo sposato, adagiato in una pigra relazione adulterina; Franz, l'indipendente, con il vessillo della sua libertà assoluta da difendere; Gianni, il nevrotico, divorziato e separato non si sa quante volte, in preda al panico davanti alla pianificazione di due giorni da sfangare assieme; Marco, il nuovo acquisto, un acquisto così recente che solo a pensarlo si poteva compromettere l'integrità del pacco sorpresa. Più che una pièce brillante, era un film visto e rivisto.
Per fortuna quell'angelo di Benedetta la stava salvando da un week-end squallido e da una cena raffazzonata tra amiche single finto-ciniche: ragazze esauste dalle aspettative tradite e dalle carriere che non sarebbero mai decollate, goffe equilibriste dei sentimenti e delle professioni. Un'altra tappa al sushi bar Dixi, con quegli arredi anni Settanta color carota, un altro parcheggio difficoltoso e multabile all'angolo del Naviglio maleodorante, no, non li avrebbe potuti reggere...
Se prendo la macchina venerdì sera e mi fermo tre notti c'è problema ? Mia stanza libera o Azzurra full of old babbions ?
Bastava aspettare un attimo. Benedetta, a differenza dei suoi amanti, rispondeva subito, cioè quando serviva.
Stanza c'è. Invito fatto apposta. Arriva quando vuoi. È tutto pronto.
Sì, Chiara c'era ancora. Sentiva il profumo di mamma nella sollecitudine senza smancerie di Benedetta. In quella costante voglia di dare amore cercando in cambio soltanto amore. In quelle lenzuola croccanti che la aspettavano, ricordandole che lì, in quella stanza e in quella casa, non si sarebbe mai sentita sola. Né perduta.
Senza bisogno di recitare nessuna parte brillante per sopportare la triste manfrina di stare al mondo.
SOFIA
UNO
"Non ci siamo. Non ci siamo proprio." Sofia si fermò irritata e si tirò indietro i capelli, legandoli a coda di cavallo. Poi iniziò a mangiucchiarsi un'escrescenza d'unghia e a tamburellare con le dita sulla tastiera del computer, gesto automatico per esprimere dubbi o scacciarli. Non riusciva ancora a trovare la chiave del nuovo saggio, benché l'argomento fosse ben presente nella sua testa, ma anche, penosamente, nel talamo coniugale.
L'ultimo sesso, quello che non c'è era un'idea ottima, e un probabile asso pigliatutto in termini di vendite. Uno spunto ghiotto per polemiche e dibattiti sui giornali. I matrimoni bianchi si moltiplicavano a ritmo vertiginoso, dividere il materasso solamente per rigeneranti dormite era una scioperata oggettività di molte coppie di lungo corso (ma anche di medio corso...). Ma chi aveva ancora voglia di scrivere la verità?
Sofia Amendola era abbonata ai progetti temerari, ma il successo del suo disgraziato esordio aveva dopato ogni aspettativa: quando un suo libro tardava a svettare in classifica, con numeri inferiori alle centomila copie, subito si paventava il fiasco (o ci si rallegrava per il fiasco), e gli uccelli del malaugurio pronosticavano una crisi di ispirazione. Quanta invidia, e quanta monotonia nel doverla sempre constatare.
Chiara lo aveva previsto: a trentasei anni Sofia si sentiva stremata.
Dove ti incamminerai tra poco, quando avrai visto il panorama desolato che si scorge dopo essere arrivati in cima da soli e troppo in fretta!
Che sforzi dovrai compiere con tutta quella zavorra di riserve mentali e di giudizi impietosii E il successo esagerato che stai ottenendo, quanti timori aggiungerà al tuo bagaglio già pesante? Perché avere successo rende schiavi degli altri e delle circostanze...
Le conosceva quasi a memoria, le parole della mamma: aveva inciso nella mente il suo testamento, quello in cui le aveva promesso che si sarebbero perdonate tutto senza bisogno di ribadire nulla. Magari.
Ma era lei, Sofia, che non voleva e che non poteva perdonarsi. Era lei l'errore fatale.
Era lei l'impostora, a partire dal cognome che portava e che non le spettava. Lei che non aveva capito nulla e che aveva creduto di spiegare ogni cosa, brutalmente, sbagliando pedine e mosse, distorcendo fatti e pensieri.
Lei che invece di essere riconoscente a quella madre che l'aveva voluta con immenso amore, e a quel padre che comunque l'aveva accolta, mantenuta e sopportata, si era schierata dalla parte dei peggiori. Aveva addirittura arricchito il figlio dell'inqualificabile Giulio Agresti (l'uomo che aveva sedotto e abbandonato Chiara, senza offrirle una sola alternativa) con i copiosi ricavi del suo becero Diario straordinario. No, non avrebbe mai chiamato Carlino Agresti fratello, nemmeno sotto tortura. Non poteva nemmeno pensarlo come fratello. Le sue sorelle erano Benedetta ed Emma.
Se un dio sadico avesse deciso di ordire una beffa gigantesca, non avrebbe potuto fare meglio: in fondo Sofia aveva seguito alla lettera quello che sua madre le aveva ripetuto fino alla nausea. Chiara aveva sempre raccomandato alle tre figlie di seguire il loro dono, e lei, la più secchiona, si era adeguata sprigionando il dono letale di uno spirito caustico e corrosivo.
«Seguite il vostro dono, bimbe, non trascurate mai il vostro talento. Che sia dipingere o suonare, scrivere o dilettarvi nel giardinaggio, giocare a tennis o a golf, coltivare un vivaio di pretendenti o le rose della serra, non perdete mai di vista ciò che amate fare, e che vi riesce al meglio senza fatica... Capito Emmi?» «Ma se proprio tu hai fatto l'esatto contrario: perché hai smesso di recitare? Non avevi talento?» «Sofia!» «Non ti filava nessuno, eh? E dunque qual era il tuo dono? Non dirmi sposare papà, perché allora eri messa proprio male.» «Stasera parlo a Edoardo, e poi vedremo se continuerai a comportarti così.» «E come gli parli se non torna mai a casa? Chi lo vede?
Come dea sei in ribasso ultimamente... E le tue piroette da saltimbanca non funzionano più.» «Che cos'è una saltimbanca, Sofi?» «Una che si esibisce con le sue capriole davanti al pubblico, Emmi. Ma se il pubblico non c'è, a che serve farle?»
Chiara era impallidita, e il trucco spesso con cui si impiastricciava il viso ogni santo giorno non era bastato a mascherare il disagio, lo smarrimento, per non dire il panico.
Forse sapeva già della relazione tra Edoardo e Caroline Steinbeck, forse era solo consapevole del capolinea a cui era arrivato il suo matrimonio. Fatto sta che un aguzzino meno fanatico avrebbe avuto un pizzico di pietà per quella donna fragile: ma non Sofia, genialoide quanto complessata, una ragazzina che si viveva malissimo in quella famiglia di splendidi. Di anno in anno aveva aggiunto livore, e acredine, e rimostranze, e ribellioni per sentirsi qualcosa di più di una nullità fisica.
Detestava il proprio naso a patata, la faccia larga, quei tratti che sembrava aver preso solo lei da chissà quale avo disarmonico. E il proprio corpo, dal giorno del fatidico costume a quadretti, aveva preso a odiarlo e a coprirlo con maglioni extralarge e pantaloni sformati. In pratica, subiva e sottolineava per sfregio la sua condizione di racchia intelligente. No, non c'erano altri aggettivi: perché soltanto il successo rende affascinanti le persone brutte.
Così aveva deciso che sarebbe diventata la migliore, a qualunque costo.
«Sofia, stai diventando intollerabile...» «Mammina, non ti arrabbiare, andiamo a giocare...» Emma stava tirando la manica della camicetta della mamma per liberarla da quella sorella inopportuna, con la lievità di un carattere incantevole. «Andiamo a prendere Susanna, mami...» «Sì, tesoro, intanto vai tu: prima devo chiarire una cosa con Sofia... Non ti permetto di parlarmi in questo modo, capito? E quando torna tuo padre faremo i conti.» «Non vedo l'ora.» «Oh, almeno se ci fosse qui Benedetta, lei sa placarti, lei è l'unica che tu ascolti, e che risparmi nelle tue requisitorie...» «Mamma, stai recitando.» «...Chissà perché ha voluto fare l'università a Milano!
Dico, Torino non andava bene? Con tutte le entrature di papà...» «Cosa vuol dire
"entrature"?» «Emmi, gioia, mia, sei ancora qui? Non dovevi andare a prendere la bambola? Vai, cara, vai...» «Vuol dire raccomandazioni, lepri. Secondo me è proprio per evitarsi le "entrature" di papà, che Benedetta ha telato... Si può solo scappare da questa galera camuffata da eden.» «Basta, mi è venuta un'emicrania tremenda, ho bisogno di respirare un po' d'aria in giardino. Vieni Emma, meno male...» «Meno male che ci sei tu, leprotto: sei il nostro dono quotidiano. Come possiamo dimenticarlo?» «Lo sapevo che ho sbagliato mese: novembre è il mese dello Scorpione. Dovevo rimandare il parto, e farti nascere a dicembre. Per fortuna Emma è della Bilancia e Benedetta del Cancro...» «Lo sapevo che ho sbagliato madre...» A quel punto, tardivo ma energico, era partito un ceffone. Lei si era girata di scatto, per provocare il disastro, non certo per difendersi: infatti l'anello con gli smeraldi della mamma l'aveva graffiata proprio sotto l'occhio. Un rivolo di sangue era apparso assieme al suo sorriso trionfante.
Erano passati più di vent'anni da quell'episodio, ma Sofia sentiva ancora nella pelle la propria rabbia cieca e sorda, la sofferenza di sua madre, le lacrime di sua sorella.
Da lassù, Chiara l'aveva perdonata? Oh, se davvero fosse esistito quel cerchio magico degli amori sospesi, quel cerchio di cui Chiara delirava alla fine del suo percorso in terra: Spezzerò il cerchio magico degli amori sospesi (quelli che non ho saputo vivere) in un punto preciso, in modo da farlo diventare una linea retta. Oh, se davvero fosse stato possibile rompere il maleficio!
E le sorelle, l'avevano perdonata? In apparenza sì: i loro rapporti erano sporadici, e soltanto telefonici, ma, viste le circostanze, ottimi. Benedetta, poi, non aveva mai smesso di stupirla: aveva rifiutato la parte di Casa Azzurra che Sofia si era offerta di intestare ai nipoti.
Con ferrea dolcezza aveva ribadito: «Questa è casa tua, Sofia. Tu non devi cedere la tua parte, né a Camilla e Matteo né a me, né a Emma. Sei ancora giovane, e forse avrai dei figli tuoi. Forse un giorno vorrai tornare qui. E qui ci sarà sempre il tuo posto. Questo era il desiderio della mamma, e anche il mio. E, sono sicura, anche quello di Emma».
Altolà. I rimorsi, i rimpianti, la bontà delle sorelle e di Chiara l'avrebbero ammazzata. Possibile che non arrivasse qualche telefonata salvifica, magari una giornalista affannata con le sue domande idiote?
Il suono del cellulare: nessuna segreteria usata come filtro, Sofia si catapultò a rispondere, con incredulo stupore di chi la cercava.
«Parlo con Sofia Amendola?» «Sofia Amendola Meis...» Da qualche anno aveva scelto di firmarsi anche con il cognome del marito. Un gesto che pareva una provocazione in controtendenza, ma che nasceva dal suo bisogno di sopravvivenza, di prendere le distanze da qualcosa di usurpato e deflagrato.
«Che fortuna, non ci speravo proprio... Ha per caso due minuti per me?» «Diciamo per caso. Sì, diciamo per caso.»
DUE
«Mi dica, cosa vuol sapere da me?» «Ecco... saprà del grande successo di Goffredo leoneschi.
Ha appena pubblicato La famiglia degli errori... allora io volevo chiederle...»
Naturale che volessero intervistarla riguardo ai suoi pessimi rapporti familiari: erano passati «soltanto» otto anni dalla pubblicazione di Diario straordinario. Da poco Sofia aveva compiuto trentasei primavere, ovvio che le domandassero ancora come se la passasse da giovane arrabbiata ed esordiente della narrativa italiana. Quel giorno era un piovoso giovedì di novembre, e a Venezia era prevista acqua alta per tutta la settimana: nemmeno le condizioni climatiche le avrebbero dato tregua. Tanto valeva vendicarsi e tirarla per le lunghe, cercando di dissimulare i suoi patemi.
«Guardi, La famiglia degli errori è un vecchio romanzo di Boneschi, mi pare del 2000, più o meno l'anno della pubblicazione di Diario straordinario...» «Ah sì?»
«L'hanno ristampato perché l'ultimo libro di Boneschi, Ogni scusa è buona per essere infelici, ha avuto un grosso riscontro. Peraltro meritato. A me è piaciuto molto... a lei?» «Veramente... non l'ho ancora letto... ma io volevo chiederle un'altra cosa, se è d'accordo con lo scrittore, il suo collega...» «Collega? Non mi sembra una parola adatta...» «L'accostamento la offende?» «Non dica sciocchezze. Goffredo è un amico.
Ma la parola collega la userei per un bancario.» «Sì, in effetti... però, mi scusi, io volevo chiederle se anche lei la pensa come Goffredo, che i legami di sangue sono una calamità...» «Boneschi dice questo nel romanzo?» «Credo di sì...» «Crede di sì?
Io credo di no, ma potrei sbagliarmi...
Ho letto La famiglia degli errori tanto tempo fa, dovrei riguardarlo più attentamente...» «Io ho bisogno solo di due battute, in fondo lei è la scrittrice che ha meglio descritto il marcio che si annida in ogni famiglia...» Sofia si era messa nella sua postazione panoramica preferita, seduta sul bracciolo del divano: quello che vedeva dalle vetrate del soggiorno - i tetti delle case del Ghetto ebraico - la rassicurava. Le ricordava che qualcosa di bello rimane sempre, anche dopo i peggiori patimenti.
«Io sono la meno indicata a parlarne.» «Come no!» «Per affermarmi ho calpestato parecchi cadaveri, e tutti di famiglia: di solito non si sentono le ragioni dei persecutori, ma quelle delle vittime.» «Però lei con il suo libro ha vendicato...»
«Guardi, si risparmi il panegirico. Ero una ragazza troppo ambiziosa e troppo ingarbugliata. Inoltre appartenevo a una famiglia in vista... avevo bisogno di vincere contro tutto e tutti per dimostrare di valere qualcosa, per farmi notare anch'io.» «Bel concetto, me lo può ripetere?» «Perché? Ogni vittoria lascia dietro di sé morti e sconfitti, ed è ipocrita negarlo. A rifletterci bene, vincere è una faccenda molto volgare.» «Questa autocritica le fa onore, ma per tornare alla mia inchiesta...» «Uno scrittore che amo parla di "imprevedibili curve della vita". La famiglia è un posto come un altro da dove partire per la propria maratona esistenziale. Ma non dovrebbe essere necessario appiccare il fuoco a tutti i componenti...» «Ecco, sì, perfetto... Ma Diario straordinario era una storia decisamente autobiografica, per cui potremmo dire che...» «Mi scusi, mi sono rimaste solamente due sorelle. Le amo e spero che loro mi sopportino malgrado tutto.
Malgrado quello che hanno passato per causa mia.» «Splendido, perché non ne parliamo?» «Perché non ne ho voglia: sono fuori target per la vostra "inchiesta".»
Sofia si era alzata dalla postazione privilegiata e si era messa a camminare nervosamente per la stanza, a passi lunghi, formando circoli e figure geometriche. Il piccolo cellulare che teneva all'orecchio le dava una notevole possibilità di movimento. Dopo il successo di Diario straordinario, da quando avevano preso a intervistarla cani e porci, sgranchire le gambe per non alzare la voce era diventato un salutare bisogno.
«Lei è in target, eccome se è in target!» «Non direi: forse avete bisogno di una conduttrice televisiva nipote di nonni divorziati; o di un'attrice fotogenica che vuole promuovere il suo film in uscita raccontando nei minimi particolari la sua infanzia traumatica.» «Ma no! E proprio l'esperienza di Sofia Amendola che ci interessa... il suo spessore intellettuale, la sua ironica lucidità.» «Sì? Allora mi state chiedendo a cosa sto lavorando adesso?» «In un certo senso...» «Ho pensato che sarebbe stimolante rompere un tabù: vorrei scrivere un saggio su tutte le donne racchie che sono state chiamate divine - molto ipocritamente — solo in quanto famose. Maria Callas, per esempio. Se non fosse diventata la Callas nessuno si sarebbe mai sognato di trovarla affascinante.» «Fantastico... però, ne potremmo parlare un'altra volta?»
«Oppure. Si è chiesta perché L'invisibile eleganza ha avuto questo incredibile successo?» «No, però...» «Glielo spiego io. Perché la protagonista, quella sentenziosa e molesta pastìcciera, è una racchia colossale. E scattato l'effetto immedesimazione con la caterva di racchie in circolazione.» «...Molto spiritosa, come sempre...» «Se la pasticciera fosse stata una donna bellissima, avrebbe dovuto sopportare le molestie dei clienti marpioni, le ostilità delle signore invidiose, e via dicendo...» «Non ci avevo pensato... Mi perdoni, ma l'argomento esula... l'inchiesta tenderebbe a dimostrare quanto sia dannoso...» «Sì, mi ricordo, le interessa qualcosa che sia legato ai rapporti familiari esplosivi...» «Appunto.» «Ha visto Dopo l'incendio di Pedro Arroz?» «Veramente... no.» «Racconta la storia di un'adolescente che appicca il fuoco a una baracca dove si incontra clandestinamente una coppia. La ragazzina fa partire la miccia e l'uomo e la donna muoiono arsi vivi.» «Terribile...» «Aspetti: la donna è sua madre, ed è una donna bellissima.» «...Accidenti.» «Molti critici cinematografici l'hanno bollata come una storia melodrammatica, poco verosimile, ma non è così. Di inverosimile c'è solo la giovane attrice che interpreta l'adolescente. Troppo carina...»
«Mi scusi, ma ho la sensazione che stiamo andando fuori tema...» «Niente affatto: non voleva sapere qualcosa sui rapporti familiari infernali?» «Sì, però...» «Io ho fatto come la protagonista del film: ho bruciato viva mia madre.» Sofia aveva serrato in un pugno le dita della mano sinistra, come per stritolare un ricordo tremendo. Poi aveva chiuso gli occhi per qualche istante, in cerca di pace nel buio, in un bisogno di oblio assoluto.
«Ma...» «Il falò si chiamava Diario straordinario. Non sempre i genitori hanno colpa di tutto, talvolta gli nasce soltanto un figlio sbagliato.» «I figli però nascono dopo i genitori, e la psicoanalisi insegna che...» «Piantiamola con questa mitizzazione della psicoanalisi, che di danni ne ha fatti fin troppi. Io sono stata in terapia per anni e guardi il risultato.» «Mi sembra un risultato... straordinario, per parafrasare...» «Lasci perdere. Piuttosto, vuole sapere con che cosa mi sto misurando ora come ora?» «No, cioè sì...» «Mi sono resa conto che devo misurarmi col vuoto.
L'ho eluso, rinviato, camuffato, ma adesso è lì, mi osserva sornione e non lo posso più ignorare.» «Ah, molto intrigante...» «Mi chiedo perché non se ne parli mai sui settimanali come il vostro, del vuoto... perché per una volta non lo mettete in copertina, al posto di una modella?» «Magari. Sì, la prossima volta...» «E c'è un'altra cosa che mi sta a cuore, da tanto tempo: lo zen è una faccenda per signore sfiorite?»
«...?» «Lo chiedo a lei. Mi dica. Secondo lei lo zen è una faccenda per signore sfiorite?» Nessuno poteva più fermare Sofia: la povera giornalista, di sicuro una precaria sottopagata, era stata travolta da un fiume in piena di sarcasmo e dileggio.
Con i sassi contundenti dell'intelligenza portata alle estreme conseguenze.
«Non saprei...» «Certo che sì: ha mai visto una diciottenne smaniare per trovare l'equilibrio a suon di mantra?» «No, ma...» «In questa ricerca dell'armonia interiore contro il caos esterno, noi donne partiamo avvantaggiate, dato che siamo inclini per natura a misurarci con carenze fisiche e morali...» «L'argomento è molto...»
«"Accattivante"?» «Accattivante, appunto...» «A essere onesta, però, la traversata del deserto impaurisce tutti gli esseri umani: hai voglia a ribadire che è una terra ricca di colori e di sfumature, un luogo pieno di oasi sperdute e magiche...» «...» «Mia madre adorava la metafora del deserto. L'aveva suggestionata il suo spirito guida.» «Il suo spirito guida?» «Sì, si chiamava Gaia. Le interessa anche questo?» «Molto, però non vorrei perdere il filo del discorso...
Sa, l'inchiesta era su altro...» aveva ribattuto stremata la collaboratrice culturale.
Ma ormai Sofia era partita per la tangente. Era palese che alla ragazza interessava solo estorcerle due battute da inserire in un pezzo raffazzonato. E lei si vendicava facendo la gnorri, in una lunga tiritera di estrose variazioni sul tema.
«Me l'ha già detto, che era su altro. Mi segua per un secondo: annullato ogni miraggio, non resta che affidarsi alla forza d'animo, alla propria capacità di reggere una simile traversata.» «Mi scusi, ma io devo proprio...» «Preferisce la parola
"prova"?» «...» «Bene, la prova è questa: bisogna togliere dalla zavorra dell'ego ogni genere di conforto superfluo.» «E... tutto fantastico, ma forse è meglio se ci risentiamo un'altra volta.» «Ma non voleva sentire proprio me, e tassativamente oggi?» «Vado un po' di corsa, dobbiamo chiudere il giornale, propongo il pezzo per il prossimo numero al mio direttore e...» «Le regalo il titolo: "La via crucis bisex".»
«...» «Anche Gesù ha cercato di allontanare da sé l'amaro calice: se si ragiona fino in fondo la via crucis è il percorso che si fa prima di arrivare alla morte, passando per la vecchiaia, se si è fortunati.» «Non... non ci avevo mai pensato.» «Per forza: siamo una società che rimuove i pensieri negativi, viviamo nel culto del giovanilismo, ma la realtà vince su ogni espediente e vira al succo della questione, ovvero al peggio.»
«Lei è sempre molto tranchant. Ripeto, spiritosissima...» «Gesù Cristo non era spiritoso: quante volte è caduto e si è rialzato nel suo viaggio verso la croce? Così è la vita degli esseri umani: dopo una crisi ci si rimette in piedi, in un'estenuante altalena di energie tradite o rinnovate.» «Non sarà troppo pessimista?» «No, non direi. Più si va avanti con l'età, più la tentazione di non rialzarsi cresce, tanto che se da adulto decidi di non rialzarti più la diagnosi è semplice: suicidio premeditato.» «Vuole suicidarsi, signora Amendola?» «Amendola Meis, prego.» «Certo. Vuole suicidarsi, signora Amendola Meis?» «No, la voglia di suicidarmi mi è passata dal giorno in cui ho ricevuto lo schiaffo che volevo ricevere. E ora mi scusi, ma ho da fare.» Chiudere bruscamente la conversazione con quella cretina integrale era un atto dovuto, ma non le arrecò alcun sollievo. Come non le aveva dato soddisfazione irridere l'ignoranza crassa di quella cronista imprestata alle pagine della cultura.
In fondo, poveraccia, in quel saliscendi emotivo di precariato ansiogeno e deprimente doveva esserle scappata ogni voglia di prepararsi e di documentarsi. Sì, erano passati anni luce da quando Sofia si divertiva a schernire la stupidità del prossimo con il suo sarcasmo. Adesso il sostantivo «sarcasmo» rimandava soltanto a un'immagine: l'assassinio di sua madre. E il boia con la scure in mano era lei. Sofia Agresti. La grande impostora.
TRE
«Salutatemi Sofia.» Quelle due parole le avevano trapanato il cervello e si era svegliata di soprassalto nel cuore della notte, madida di sudore e spossata dalla tachicardia. Nel sogno Chiara si era congedata così, raccomandando a Benedetta ed Emma di darle un addio per interposta persona. Un ultimo pensiero delicato per quella figlia scomoda che l'aveva fatta tanto soffrire. Sempre nel sogno, Sofia si trovava chissà dove, in un luogo esotico indefinibile, un fritto misto di Giappone tecnologico, Messico e nuvole e Africa nera. Una strana segretaria vestita da geisha e una specie di ambasciatore con le stimmate da intellettuale si davano un gran daffare perché lei potesse partire al più presto. Ma ogni sforzo era risultato vano: era stata imbarcata tardi sul primo volo disponibile ed era arrivata tardi all'ultimo appuntamento. Anche nel sogno, Sofia aveva mancato l'incontro più importante della sua vita.
L'amore era un treno che lei avrebbe sempre perso, per destino e per vocazione.
Nel suo DNA era prevista la realizzazione professionale, con vari abbuoni su articoli di pregio: per esempio, e per il solito discorso che il successo rende attraenti anche gli spaventapasseri, era considerata all'unanimità una donna di fascino e di spessore. Ma in quella pagella dai voti lusinghieri spiccava un penoso zero in amore.
Il lapsus sentimentale l'aveva contraddistinta fin da quando era un embrione in pancia; poi da ragazzina quando aveva iniziato a infatuarsi degli Alessio Bussey e dei vari fidanzati di Chiara e di Benedetta; poi da donna, quando aveva smarrito il sonno
- mai il peso - dietro a individui che non la vedevano neanche. Un'odissea dove gli uomini sbagliati erano stati le sue sirene e le sue maghe Circe, e dove, dopo un lungo peregrinare, aveva trovato la sua Penelope in Stefano Meis, amico insostituibile e omosessuale convinto; filosofo genialoide e marito assertore della poesia delle unioni bianche, esenti dalla gabella del sesso e della convivenza coatta. Per quanto, avere qualcuno nel letto in quella notte terribile, quasi quasi...
Ormai il sonno era fuggito per altri lidi, tanto valeva alzarsi e accendere il computer. Forse c'era ad attenderla una delle spassose missive di Stefano.
Da: Benamendola@tin.it A: Sofimei@gmail.com Oggetto: Natale 2008, insieme Cara Sofia, tra poco saranno sette anni che la mamma se ne è andata.
Sai che non ho mai dato molto credito alle sue fissazioni numerologiche ed esoteriche, ma i morti hanno questo vantaggio sui vivi, che vengono presi sul serio anche quando tacciono.
Perché non la smettiamo di stare lontane e non esaudiamo l'ultimo desiderio di Chiara?
Non credi sia arrivato il momento di ricomporre la magica somma ventuno?
Non credi sia arrivato il momento di tornare a casa?
Smettila di colpevolizzarti, Sofia, anche questa è una forma di protagonismo indisponente: se vuoi essere umile, per una volta prova a fare quello che fanno tutti.
Prova a perdonarti, e ricomincia da capo.
Le cose vanno un po' come vogliono andare, e nemmeno un demonio patentato ha il potere di cambiare un destino.
La mamma era malata, era stanca di vivere e ha smesso di farlo. Ma è morta a modo suo, con grazia, con un inchino di saluto che era anche una piccola acrobazia.
E uscita di scena come voleva, il giorno in cui nasceva Gesù: perché non la facciamo rientrare alla stessa maniera?
Il 25 dicembre saremo tutte riunite a Casa Azzurra, a ricordare soltanto quanto era bella, e straordinaria (anche nelle sue mattane...).
Apriremo il suo diario e leggeremo solo le pagine più divertenti, quelle dove racconta che si è drogata di Xanax, oppure la pacchia dell'indigenza.
Davvero, Sofia, ascoltami: ci sono trapassi peggiori. Io l'ho vista, la mamma, quando ha chiuso gli occhi, ed era serena, composta, quasi felice.
Anch'io mi sono straziata a ricordarla da sola, nel misero appartamento abitato per tanti anni da quella vecchina che nessuno aveva avuto l'impudenza di mandare via.
Un giorno di ottobre, poi, sono stata malissimo: il tetto perdeva, il soffitto era fradicio e anche il mio cuore sembrava un colabrodo. Ma quel giorno (il 7 ottobre, e dagli col sette!) ho preso finalmente una decisione: avrei ricomposto la nostra trinità. Per una volta la modesta Benedetta prendeva una decisione unilaterale, senza interpellare le sorelle rompiscatole.
Ti vorrei qui, a Natale, assieme a Stefano, che Claudio ammira e legge senza perdersi un suo saggio, una sua riflessione.
Assieme a Matteo e Camilla che stanno crescendo e che rischi di non riconoscere.
Assieme a Emma che si presenterà senza un «bravo ragazzo», voglio dire un fidanzato fisso (ormai ho perso le speranze).
Ho bisogno di te, Sofia: Casa Azzurra sta andando in pezzi e io non so più come arginare il tracollo. L'aiuto economico che mi hai offerto tante volte e invano, questa volta lo accetto, e ben volentieri. A patto però che tu rientri a far parte della nostra famiglia.
A patto che tu venga qui.
Quando sarai stanca dell'acqua alta di Venezia o delle conferenze in giro per l'Oriente; quando ti sarà venuta a noia la parte della grande e vorrai ricordarti di come eri da bambina; quando deciderai di rendere il presente accettabile facendo pace col passato; quando...
Ho bisogno di te Sofia, anche perché spero che tu possa dare una mano a Emmi.
Vorrei tanto che il leprotto si rimettesse a scrivere sceneggiature e la smettesse con quel lavoro precario, frastornante e superficiale di autrice televisiva. D'accordo, lei è difficilmente fagocitabile, cresciuta com'è senza mitizzazioni di sorta, sbatacchiata tra un esperimento materno e la prematura sparizione della figura paterna. Ed è anche la meno provinciale di noi tre, passata dallo snobismo degli habitué Sisto alla cafonaggine dei cinematografari, dalle ville con venticinque stanze in collina ai miniappartamenti metropolitani da single.
Però è anche vero che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, o almeno smette di camminare con la postura corretta (ed Emma ha un linguaggio vivace, fresco, non vorrei che lo perdesse continuando ad assemblare copioni e a imbeccare conduttrici negate).
Stai sorridendo? Sì, lo capisco, sono diventata noiosa. Come tutte le mamme normali, eccetto la nostra. Che infatti normale non era.
Ancora un'ultima cosa: Chiara diceva che tu sei la più intelligente di noi tre, Emma la più libera e io la più buona. Non è dipeso da noi, ma dalle circostanze (io sono nata nell'armonia, tu nella passione lacerante, Emma nel casino totale), mentre dipenderà da noi essere capaci di comporre insieme una donna straordinaria.
La stessa che era nostra madre, nel bene e nel male.
Tua Ben
Indice
Parte prima
Lo straordinario mondo della carta ventuno
Parte seconda
Diario straordinario
Parte terza
Un anniversario straordinario