Rex Stout
TROPPE DONNE
Alla Naylor-Kerr gira voce che uno degli impiegati, morto in un incidente stradale, sia stato in realtà assassinato. Il presidente della compagnia assume Archie perché risolva la questione sotto le vesti di un consulente dell'Ufficio Esecutivo - dove 500 splendide donne sono riunite sotto un unico tetto.
Too Many Women - 1946
Casa editrice: Mondadori
Anno di pubblicazione: 1995
Numero di pagine 159
1
Era la solita storia. A volte mi divertiva, a volte mi seccava, a volte mi dava un profondo senso di nausea, specialmente quando avevo dovuto subire Nero Wolfe un po più di quanto non fosse igienico.
Stavolta fu davvero piacevole, all'inizio, ma poi la cosa ebbe sviluppi addirittura detestabili. Il signor Jasper Pine, presidente della Naylor Kerr, voleva che Nero Wolfe andasse a trovarlo per parlare di un affare. Io gli spiegai pazientemente che Wolfe era troppo pigro, troppo grasso e soprattutto troppo genio per lasciarsi convocare con tanta facilità. Il signor Pine telefonò di nuovo nel pomeriggio insistendo per parlare personalmente con Wolfe, e Wolfe lo mandò a farsi benedire senza tanti complimenti. Un'ora più tardi, dopo che Wolfe era già salito nella serra, tanto per passare il tempo chiamai il numero della Naylor Kerr. Ottenni la comunicazione diretta con Pine e gli chiesi perché non veniva lui da noi. Mi rispose seccamente: "Ma voi chi siete?"
Gli risposi che ero Archie Goodwin, cuore, fegato, polmoni e viscere dell'ufficio privato d'investigazioni di Nero Wolfe, dal momento che Wolfe fungeva esclusivamente da cervello. Pine mi chiese in tono sarcastico se per caso ero un genio anch'io, ma lo rassicurai: dopo tutto ero un tipo relativamente umano.
"Potrei fare un salto da voi ora" soggiunsi. Rispose in tono asciutto ma abbastanza cortese: "Venite domattina alle dieci. Anzi, meglio alle dieci e mezzo".
2
La Naylor Kerr era al n. 914 di William Street, in quel settore del quartiere di Wall Street dove un palazzo di trenta piani è considerato una capannuccia. Il nome della Naylor Kerr mi era vagamente familiare, ma rimasi ugualmente meravigliato quando appresi dalla tabella guida nell'atrio che pagava l'affitto di tre interi piani. Gli uffici della direzione erano al trentaseiesimo piano.
Alle dieci e diciannove venivo scortato da un'impiegata lungo un corridoio fino all'ufficio del presidente.
Il signor Jasper Pine aveva circa la stessa età dell'impiegata che mi aveva ricevuto: era un po sotto la cinquantina, ma portava bene i suoi anni. "Cercherò di spiegarvi in breve come stanno le cose" disse. "Poco tempo fa, esaminando alcuni rapporti, ho notato che nel 1946, qui in sede centrale, avevamo sostituito il ventotto per cento dei nostri impiegati, escluso il personale tecnico. Era veramente troppo. Ho deciso di studiare a fondo la questione. Per prima cosa, ho fatto ciclostilare in duemila copie un modulo apposito e ne ho mandato un quantitativo a tutti i capisezione, dando ordine che ne riempissero una copia per ogni impiegato che aveva lasciato la ditta durante il quarantasei. I moduli dovevano essermi restituiti direttamente. Eccone uno di quelli che mi ha mandato il capo del reparto merci."
Mi porse un foglio. "Date un'occhiata, leggetelo fino in fondo."
Era un foglietto formato lettera, ciclostilato con molta chiarezza da una parte sola. L'intestazione diceva:.
DA RESTITUIRE ALL'UFFICIO DEL PRESIDENTE ENTRO IL 10 MAGGIO
Gli spazi vuoti erano stati riempiti a macchina. Veniva, innanzitutto, il nome dell'ex-impiegato, che in questo caso era Waldo Wilmot Moore.
Età: anni 30. Celibe. Residenza: Churchill Hotel. Entrato in servizio: 8 aprile 1946. Assunto a cura di: Presentatosi personalmente. Mansioni: Controllo corrispondenza. Stipendio: Dollari, cento settimanali. Aumenti: Dollari 150 in data 30 settembre 1946. Ha lasciato l'impiego il: 5 dicembre 1946.
Seguivano altre risposte circa il suo rendimento nel lavoro, le sue relazioni con gli altri impiegati e i suoi immediati superiori, eccetera; infine, nell'ultima riga, stava la domanda chiave: Ragione della cessazione dell'impiego: (specificare) C'erano sei centimetri buoni di spazio, dopo queste parole, e vi si sarebbero potuti annotare tutti i particolari possibili, ma per Waldo Wilmot Moore era bastata una parola sola: Assassinato.
3
Alzai gli occhi su Jasper Pine: "È successo qui?" chiesi.
Pine tentennò il capo.
"Moore fu investito da un'automobile che fuggì subito dopo. Il fatto è avvenuto qui a New York in un punto della città alta. Credo che questo si chiami omicidio colposo, non assassinio, che richiederebbe premeditazione. Non sono un avvocato, ma me ne sono occupato quando questo rapporto... quando ho visto questo." Fece un gesto d'impazienza. "Il guidatore non è mai stato trovato. Vorrei che Nero Wolfe scoprisse se c'è qualche elemento per sospettare un assassinio."
"È solo curiosità?"
"No. Ho discusso la cosa col capo del reparto merci che ha fatto questo rapporto perché non ritengo opportuno che nei nostri archivi rimanga la dichiarazione che uno dei nostri impiegati è stato assassinato, a meno che non sia realmente il caso. Volevo anche sapere da lui che ragioni aveva, se pure ne aveva, per fare una dichiarazione simile. Non ha voluto dare nessuna ragione. Si è mostrato d'accordo con me sulla definizione di assassinio e di omicidio colposo, ma si è rifiutato di mutare il suo rapporto o di farne un altro usando altre parole."
La cosa mi fece impressione.
"Perdinci!" dissi. "Rifiuto al presidente di una ditta da parte di un semplice caporeparto! Ma chi è costui? Il signor Naylor? o il signor Kerr?"
"Il suo nome è Kerr Naylor. È figlio di uno dei fondatori di questa impresa. È stato chiamato Kerr in omaggio all'altro fondatore. Ha avuto una carriera molto... ehm... movimentata. È fratello di mia moglie. Ha sotto il suo controllo un grosso pacchetto di azioni della società, ma queste azioni non sono più di sua proprietà perché le ha date via. Rifiuta la carica di consigliere delegato della ditta e non vuol far parte del consiglio direttivo."
"Capisco. È un rifiutatore congenito."
Pine fece di nuovo un gesto d'impazienza. "Come vedete la situazione non è facile" disse. "Dopo il rifiuto del signor Naylor, sia di spiegare, sia di mutare il suo rapporto, io avevo una mezza intenzione di lasciar cadere la cosa e di distruggere senz'altro il rapporto, ma poi ho accennato la cosa a due miei colleghi della direzione e a un membro del consiglio e tutti sono stati del parere che si dovesse darle un seguito. Inoltre, tra gli impiegati si era diffusa la storia del rapporto e della parola che c'era scritta, probabilmente per opera della stenografa che lo aveva battuto, e ora circolano una quantità di pettegolezzi. Quel Moore era proprio il tipo da far nascere pettegolezzi negli ambienti in cui viveva, ed ora a quattro mesi dalla sua morte, ne sta facendo nascere altri. È una cosa che a noi non garba e vogliamo che finisca al più presto."
"Ah. Prima avete detto che il signor Wolfe dovrebbe scoprire se c'è qualche elemento per sospettare un assassinio. Ora volete che si facciano tacere i pettegolezzi. Dovreste decidervi."
"È la stessa cosa, no?"
"Non necessariamente. Se scopriamo che è stato assassinato e la notizia trapela, le chiacchiere saliranno al cielo, senza contare le altre possibili conseguenze."
Pine riprese: "Accidenti, devo proprio spiegarvi che il fatto che sia stato Kerr Naylor a firmare il rapporto complica maggiormente le cose? È una tremenda seccatura e mi fa perder del tempo, che dovrei impiegare lavorando. Suo padre, il vecchio George Naylor, è ancora vivo ed è presidente del consiglio direttivo, sebbene abbia devoluto le sue azioni ai figli molto tempo fa. La nostra è la più antica e la più grande società nel suo campo, è la più grande del mondo e si è creata una fama e una tradizione. Ma si è anche creata delle... ehm... complicazioni. La direzione effettiva e il consiglio, che curano attualmente i suoi affari, e di cui io faccio parte, desiderano che si chiarisca questa faccenda e io desidero che sia Nero Wolfe a condurre le indagini."
"Intendete dire che la società vuole assumerlo?"
"Certamente."
"Per far cosa? Vediamo un po. Noi dovremmo avvalorare quella parola sul rapporto o in caso contrario far sì che il signor Naylor se la rimangi. È questo il lavoro che ci affidereste?"
"Più o meno, sì."
"Avremo una posizione ufficiale?"
"Sarete aiutati entro i limiti del possibile. I particolari dovranno essere stabiliti con me. Bisognerà agire con cautela e discrezione. Pensavo che Nero Wolfe potrebbe impiegarsi all'ufficio merci, naturalmente sotto un altro nome e... che c'è ora?"
"Niente, scusatemi."
Mi alzai. Il pensiero di Nero Wolfe che si faceva strada tra la folla per William Street tutte le mattine, anche se condotto in macchina da me, che firmava il cartellino a una data ora e lavorava tutta la giornata al reparto merci, era stato troppo forte perché potessi dominare i miei muscoli facciali.
"Benissimo" dissi. "Credo di saperne abbastanza per sottoporre la cosa al signor Wolfe. Escluse le condizioni finanziarie. Devo avvertire che le sue tariffe non si sono adeguate ai prezzi del dopoguerra solo perché erano già tanto alte che un ulteriore aumento sarebbe stato di cattivo gusto.
"La Società non si aspetta un buon lavoro per delle retribuzioni basse."
4
Wolfe abitava con me nella vecchia casa di pietra scura sulla Trentacinquesima Strada Ovest. Era di nostra proprietà e ci serviva da abitazione e da ufficio. Un tizio del New Hampshire, che doveva a Wolfe della gratitudine, gli aveva mandato in dono tre cespi di un nuovo tipo di begonia chiamata Thimbleberry, e Wolfe aveva riservato per quelli un bel po di spazio nella serra; Teodoro Horstmann, il balio delle piante, per il quale tutto ciò che non era un'orchidea era zizzania, era fuori dalla grazia di Dio.
L'atmosfera di casa era quindi più o meno polare, e, mentre mi avviavo all'ascensore, mi venne in mente all'improvviso che questo affare Naylor poteva servirmi di scusa per starmene lontano dal freddo per qualche giorno. Perché non avrei potuto esser io a impiegarmi al reparto merci? Mentre soffiavo un tassì sotto il naso di due probabili clienti, considerai la cosa. Una breve conversazione amichevole col ragazzo dell'ascensore mi informò che la Naylor Kerr trattava equipaggiamenti e forniture per tecnici e io non ne sapevo perfettamente niente. Avevo una vaga idea che, forse, fabbricassero tute. Comunque il lavoro avrebbe dovuto lasciarmi molta libertà per le indagini, altrimenti sarebbero occorsi dei mesi e io non ci tenevo affatto.
Poiché l'idea mi piaceva, e poiché, per contro, non potevo ammettere che qualcosa che avesse una lontana rassomiglianza con un assassinio rimanesse all'oscuro, ordinai al conducente di portarmi alla sede della Squadra Omicidi, sulla Ventesima Strada Ovest. Fui fortunato, perché Purley Stebbins, il mio sergente preferito, era disponibile, e questi molto cortesemente mi procurò tutto ciò che mi occorreva con solo tre o quattro grugniti di protesta. Una telefonata a un sergente, collega di Purley, nella città bassa, ci informò che la morte di Waldo Wilmot Moore era avvenuta verso la mezzanotte del 4 dicembre. Il corpo era stato scoperto da due persone, marito e moglie, nella Trentanovesima Strada, a una quarantina di metri dalla Undicesima Avenue. La donna aveva telefonato, mentre il marito rimaneva di guardia, e una macchina della polizia era arrivata sul posto all'una e diciannove antimeridiane del 5 dicembre. Moore era già morto, col capo schiacciato e le gambe spezzate. La macchina investitrice era stata rintracciata al mattino seguente, nella Cinquantaquattresima Strada Ovest. Il proprietario era stato interrogato in lungo e in largo ma non c'entrava per niente. La macchina gli era stata rubata la sera del 4 dal parcheggio della Ventiquattresima Strada. Non si erano trovati testimoni dell'investimento ma l'autopsia e un minuzioso esame in laboratorio dei residui attaccati alle gomme e ai parafanghi della macchina non lasciarono dubbi a nessuno circa l'accaduto. Il caso era passato agli archivi come uno dei soliti omicidi colposi con fuga, ma era ancora aperto. Dopo la telefonata, Purley uscì e, al suo ritorno, mi disse che la cosa era ancora di pertinenza della Squadra Omicidi, che stava occupandosene.
"Già già" gli sghignazzai sul muso. "Immagino tutto: lunghe discussioni, i più piccoli indizi sottoposti a minuziose indagini..."
Purley imprecò. Poi disse, ironico: "Accomodatevi alla mia scrivania e fate voi il lavoro. Ora ditemi: chi è il vostro cliente?"
Scossi il capo.
"Non ho niente da dire per ora. Qualcuno ha fatto un sogno, ecco tutto. Se e quando salterà fuori qualcosa di buono avrete un bocconcino anche voi. Moto obbligato, eccetera, i miei omaggi al vostro capo supremo."
Ebbi comunque l'occasione di compiere personalmente questo atto di cortesia. Mentre mi avviavo per uscire, m'imbattei nell'ispettore Cramer che entrava a gran passi dall'atrio, assorto e frettoloso.
Mi vide e domandò soffermandosi: "Che cosa volete?"
"Ecco, signor ispettore" dissi in tono supplichevole "pensavo che aveste un posto libero qui, da qualche parte. Vorrei cominciare da agente e poi farmi strada."
"Pagliaccio nato, siete qui per il caso Meredith? Wolfe ha rotto la consegna e..."
"Nossignore. Wolfe riterrebbe la cosa indiscreta. Come dicevo appunto ieri, se mai il signor Cramer..."
Se n'era andato. Io guardai con rimprovero il suo ampio dorso virile e mi avviai verso l'uscita.
5
Seduto alla mia scrivania, in ufficio, riagganciai il ricevitore e riferii a Nero Wolfe: "La banca dice che la Naylor Kerr è solvibile sino a venti milioni" Wolfe, che era alla sua scrivania, sospirò. Gli avevo dato il resoconto degli avvenimenti in tono distaccato e ufficiale.
Io parlai, stando sempre sulle mie.
"Immagino che l'ipotesi più probabile sia che Pine stesso abbia ucciso Waldo Wilmot Moore e ora stia facendo la commedia. Cosa, questa, che noi dovremmo ignorare, ma che forse non tutti ignorano. Comunque, saremo pagati dalla ditta e non da lui. Il consiglio che voi vi impieghiate al reparto merci sotto un altro nome dimostra che ci ha pensato su parecchio. Potete farvi chiamare Clarence Camambert, ad esempio, o Percy Picherel. Se all'ufficio vi daranno troppo da fare, potrete portarvi del lavoro a casa. Sarò ben lieto di aiutarvi. Dovrebbero pagarvi a peso..."
"Archie, il vostro taccuino."
"Sissignore."
Presi il mio notes e lo apersi a una pagina bianca.
"Indirizzate al signor Pine, presidente, eccetera eccetera. Il signor Goodwin mi ha riferito in merito alla vostra conversazione di stamane. Accetto di investigare, per conto della vostra ditta, intorno alla morte del vostro ex-impiegato, Waldo Wilmot Moore. È inteso che lo scopo dell'indagine consiste nell'accertare, in base a testimonianze plausibili, le cause di detta morte, se sia avvenuta per incidente o per atto deliberato e intenzionale di una o più persone. Il mio compito non giunge, per quanto ho compreso, a scoprire l'identità dell'assassino, se assassinio vi è stato, né a fornire le prove della sua colpevolezza. Se vorrete affidarmi anche questo incarico, la cosa dovrà essermi notificata. A capo.
Per ottenere al più presto risultati soddisfacenti sarebbe bene che includeste il signor Goodwin nel registro paghe della società, in qualità di esperto del personale. Potrete giustificare la sua presenza presentandolo come addetto alla vostra campagna per la riduzione dei licenziamenti. Così potrà trascorrere le sue giornate presso di voi senza dar adito a commenti o accrescere i pettegolezzi che lamentate. Vi consiglio di assegnargli un salario settimanale di duecento dollari. A capo.
L'ammontare del mio credito dipenderà, naturalmente, dalla quantità di tempo impiegato per voi e dalle quantità e qualità del lavoro richiesto. Non diamo nessuna garanzia. Non sono necessari anticipi, a meno che voi non lo preferiate, nel qual caso la somma è di 2000 dollari..."
Wolfe che, come sempre, si era sollevato a metà sulla sedia, per dettare, tornò ad appoggiarsi all'indietro.
"Dopo pranzo farete un salto a portargliela."
6
Cominciai il mio lavoro di esperto del personale per la Naylor Kerr, il giorno seguente, mercoledì, 19 marzo.
Sapevo solo ciò che avevo appreso da Jasper Pine e nient'altro.
Il martedì pomeriggio, quando gli avevo portato la lettera di Wolfe, Pine si era mostrato in vena di collaborazione e si era lasciato fare una quantità di domande, ma mi aveva dato ben poche risposte esaurienti. Gli era piaciuta la linea di condotta suggerita da Wolfe e aveva dato prova di essere un buon realizzatore, mettendola immediatamente in esecuzione. Non fu una cosa complicata, gli bastò chiamare un vicepresidente aggiunto; mi presentò, gli parlò di me e gli diede istruzioni perché mi iscrivesse nel registro del personale e mi presentasse ai capi di tutte le sezioni. La presentazione avvenne in quello stesso pomeriggio, nell'ufficio del vicepresidente dove i capireparto erano stati convocati. Durante il colloquio, trovai il modo di accennare che, dopo aver dato un'occhiata al rapporti e ai documenti, avrei cominciato col reparto merci.
Il mercoledì mattina, ero al lavoro nel reparto merci, al trentaquattresimo piano. Era una sala delle dimensioni dello Yankee Stadium, con centinaia di scrivanie, a ciascuna delle quali sedeva una ragazza. Ai lati di questa specie di arena c'era una serie di uffici separati. Non c'era, in vista, merce di nessun genere, da nessuna parte.
Bastò un'occhiata e il mio lavoro mi piacque. Che ragazze! Tutte belle, sane, e fresche, vivaci e cordiali.
Me ne stavo impalato, beandomi gli occhi, cercando di sembrare distratto. Era un oceano di occasioni.
Una voce al mio fianco disse: "Dubito molto che ci sia una sola vergine in tutta la sala. Se volete seguirmi e venire nel mio ufficio...".
Era Kerr Naylor, il capo del reparto merci.
Al mio arrivo, mi ero recato da lui come d'accordo, e mi aveva presentato a una dozzina di capisezione, suoi collaboratori. Esclusi due, erano tutti uomini. Avevo osservato con particolare interesse il capo dell'ispettorato corrispondenza, dato che Moore era stato addetto a quell'ufficio, però avevo cercato di non dedicargli, inizialmente, troppo tempo né troppa attenzione. Si chiamava Dicherson, aveva gli occhi acquosi e avrebbe potuto benissimo essere mio nonno. Durante il nostro breve colloquio appresi che i compiti di un ispettore della corrispondenza consistevano nel girare per gli uffici, pescare una lettera a caso, quando ne aveva l'estro, portarla all'ispettorato e dare un giudizio sulla forma, il contenuto, il tono, lo stile e la battitura. Si poteva supporre, a ragione, che, negli uffici, un ispettore della corrispondenza godesse della stessa popolarità di un cane in chiesa.
Era quindi probabile che tutti i corrispondenti e le stenografe del reparto avessero avuto voglia di tirare il collo a Moore, ivi compresi quelli che avevano perso il posto.
Anche l'ufficio di Kerr Naylor era una stanza d'angolo, ma molto più modesta della stanza del presidente, due piani più sopra. Un'intera parete era coperta fino al soffitto di scaffali d'archivio; c'erano pile di carte su tutti i tavoli e persino su due sedie. Quando ci fummo seduti, chiesi: "Perché? Siete contrari ad assumere vergini?"
"Che cosa?" domandò, poi sorrise. "Era una semplice osservazione. No, signor Truett, questo ufficio non ha prevenzioni contro le vergini. Ora, dite, da dove volete cominciare?"
"È il primo giorno, e credo che andrò in giro a curiosare un po" dichiarai. Poi soggiunsi: "Non c'è neanche una vergine? Chi mai ha colto tutti i fiori? Potete chiamarmi Peter. Mi chiamano tutti così."
Mi facevo chiamare Peter Truett, poiché Pine pensava che il mio nome potesse suonare familiare a qualcuno.
"A quanto ho compreso, voi state per intraprendere lo studio di tutto il problema impiegatizio, passato, presente e futuro. Se volete cominciare con un caso particolare e partire da quello, vi suggerisco il nome di Waldo Wilmot Mooue. È stato con noi l'anno scorso, dall'otto aprile al quattro dicembre, come ispettore della corrispondenza. È stato assassinato."
La fiammella dei suoi occhi danzò fino a me, poi tornò al suo posto.
"Perdinci!" esclamai. "Nessuno mi ha detto che le cose erano arrivate a questo punto. È stato assassinato? Proprio qui?"
"No, no, nella Trentaquattresima Strada, di notte. È stato investito da un'automobile. Gli hanno schiacciato la testa." Rise silenziosamente. "M'invitarono all'obitorio, con altre persone, per identificare il cadavere. Vi assicuro che è stata un'esperienza ben strana... è come cercare di identificare una cosa che si è conosciuta solo come sferica, un'arancia, ad esempio, dopo che è stata compressa fino a diventare una superficie piana."
"Avete potuto identificarlo?"
"Certo. Non c'erano dubbi possibili."
"Perché dite che è stato assassinato? Gli son corsi dietro apposta per investirlo?"
"No, so che la polizia ritiene che si tratti di un incidente... quello che loro chiamano "omicidio colposo con fuga"."
"Allora non è un assassinio, dal punto di vista tecnico."
Naylor mi sorrise. "Signor Truett, se dobbiamo lavorare insieme è bene che impariamo a conoscerci. Che cosa vi ho detto, riguardo a ciò che è successo a quel Moore?"
"Avete detto che è stato assassinato."
"Benissimo: volevo proprio dir quello."
"D'accordo, signor Naylor."
Avevo la netta impressione che, quali si fossero le sue ragioni per sbattermi in faccia le cose tanto chiaramente, se avessi condotto bene la faccenda avrei potuto venirne a capo quella mattina stessa. Mi ci provai. Gli sorrisi.
"Se voi dite che è stato assassinato, questo significa, credo, che il guidatore sapeva che era Moore, voleva ucciderlo, o almeno fargli del male, e gli ha diretto l'automobile contro. Non veniamo a questa conclusione?"
Naylor guardò l'orologio.
"Sono già le dieci e venti" disse in tono contrariato. "Se non erro, signor Truett, il signor Pine vi ha assunto per studiare i problemi del nostro personale."
Carognetta velenosa! Incassai il colpo, mi alzai e dissi sogghignando: "Avete ragione, sono un terribile chiacchierone, siete stato troppo buono ad ascoltarmi"
Me ne andai. Se le "complicazioni" di cui aveva parlato Pine comprendevano il desiderio, da parte sua e dei suoi colleghi della direzione, di dare un bel po di seccature al signor Naylor, io ero dispostissimo a collaborare.
Era certamente un essere basso e malizioso. Mi aveva messo così di cattivo umore che, dal mio ufficio, mi avviai direttamente al salone principale; camminai a casaccio, attraversai il labirinto di scrivanie, guardando in tutte le direzioni, facce, spalle e braccia, finché scelsi una ragazza che, probabilmente, era stata una modella di Powers ed era stata mandata via perché faceva sfigurare le colleghe. Mi sedetti su un angolo della sua scrivania e lei alzò su di me due chiari occhi azzurri da angelo e da vergine.
Mi chinai verso di lei: "Mi chiamo Peter Truett, e sono stato assunto qui come esperto del personale. Se il vostro caposezione non vi ha ancora parlato di me...".
"Me ne ha parlato" rispose con una dolce e melodiosa voce da contralto.
"Allora, per favore, volete dirmi se, ultimamente, avete sentito pettegolezzi intorno a un certo Moore? Waldo Wilmot Moore? L'avete conosciuto, quando lavorava qui?"
Scosse il capo.
"Sono davvero desolata" disse ancor più dolcemente di prima "ma ho cominciato a lavorare qui l'altro ieri, e me ne vado venerdì perché faccio errori di ortografia. Li ho sempre fatti." Le sue adorabili dita riposavano sul mio ginocchio, e il suo sguardo mi andava dritto al cuore.
Non ricordo esattamente come trovai la forza di allontanarmi.
7
M'avevano assegnato una stanza particolare, di giuste dimensioni per un setter irlandese, ma non abbastanza spaziosa per un cane danese. Era a metà della fila di uffici, lungo il lato superiore del salone. Conteneva una piccola scrivania, piuttosto graziosa, tre sedie e un mobiletto da schedari di cui mi avevano dato la chiave.
Andai nel mio ufficio e mi sedetti. A quanto pare, avevo preso le cose con leggerezza, senza tenere nel dovuto conto la tattica e la strategia, e, come tutto risultato, avevo già preso due cantonate. Quando Kerr Naylor aveva scoperto le batterie tirando in campo Moore e l'assassinio, io sarei dovuto passare oltre come uno che è abituato a badare soltanto ai fatti suoi. E quando mi aveva teso un trabocchetto e mi aveva fatto perdere l'equilibrio avrei dovuto ritirarmi e non farci caso, invece di prendermela tanto calda e andare a parlare di Moore a una visione di sogno, insufficiente in ortografia.
D'altra parte, non volevo perdere una settimana solo per farmi credere un esperto del personale.
Ci pensai sopra un poco, poi aprii il mobiletto d'archivio e ne trassi un paio di raccoglitori. L'etichetta del primo diceva:
REPARTO MERCI
SEZIONE STRUTTURE METALLICHE
e quella dell'altro:
REPARTO MERCI
ISPETTORATO CORRISPONDENZA
Con i due raccoglitori sotto il braccio, entrai nel salone, lo attraversai e bussai alla porta di un ufficio dall'altro lato. Una voce all'interno mi disse di entrare.
"Scusatemi, siete occupato!" dissi.
Il signor Rosenbaum, capo della sezione strutture metalliche, era un uomo calvo, di mezza età, con gli occhiali cerchiati di nero. Mi accennò di farmi avanti.
"E con ciò?" disse. "Se mi dovesse succedere di dettare una lettera senza venire interrotto, credo che non saprei più collegare le idee. Nessuno bussa, qui; piombano dentro, semplicemente. Accomodatevi. Vi chiamerò più tardi, signorina Livsey. Questo è il signor Truett di cui si parla nell'ordine del giorno che abbiamo distribuito. La signorina Hester Livsey, la mia segretaria."
Mi chiesi come avesse potuto passarmi inosservata, anche nella bolgia del salone; poi, d'improvviso, mi venne in mente che, come segretaria di un caposezione, aveva probabilmente un ufficio per sé. Non era un tipo di bellezza chiassosa, non poteva essere paragonata alla nemica dell'ortografia, ma c'erano due cose in lei che colpivano al primo sguardo. Si aveva subito l'impressione che avesse qualcosa di bello che solo noi potevamo scoprire e, insieme, che si trovasse in un guaio, un autentico guaio, che solo noi potevamo comprendere e dal quale noi soli potevamo aiutarla a uscire. La ragazza uscì col suo taccuino e io mi sedetti.
"Grazie per avermi permesso d'interrompervi" dissi a Rosenbaum, togliendo alcuni fogli dal raccoglitore. "Non ci metterò molto: vorrei soltanto farvi alcune domande in generale e una o due in particolare, a proposito di questi rapporti. Credo che ci sia troppa burocrazia, con tutte queste sezioni e sottosezioni. Bisognerebbe semplificare un po le cose."
Anche lui la pensava così.
"Comunque" dissi "stabilito questo, abbordiamo l'argomento del personale. A proposito del quale, ho notato che la vostra segretaria non sembra al colmo della felicità. Non sarà stata licenziata anche lei, spero."
Rosenbaum scosse il capo. "No, credo proprio di no. Il suo fidanzato è morto qualche mese fa. È stato ucciso in un incidente." Scrollò il capo di nuovo. "Se fa parte del vostro lavoro rendere felici i nostri impiegati, non credo che avrete il primo successo con la signorina Livsey. Ed è una così buona segretaria... Se avessi quel maledetto autista tra le mani gli farei provare un po io..."
"Sarei felicissimo d'aiutarvi" dissi con aria comprensiva, e voltai alcuni fogli. "L'uomo cui era fidanzata era tra questi? Lavorava qui?"
"Sì, ma non nella mia sezione. Era all'ispettorato corrispondenza. È stato un colpo terribile per lei... Ma io divago e voi non siete qui per ascoltare le mie chiacchiere. Che cosa volevate chiedermi, signor Truett?"
Poiché avevo smesso di fare l'esuberante, avevo deciso di non toccare mai quel tasto, se non era il caso; ma sembrava che, dovunque andassi, dovessi imbattermi in Waldo Wilmot Moore. Ci occupammo di affari. Avevo preparato alcune domande abbastanza buone, pensavo, per non farmi cogliere in fallo, e ritenni opportuno rimanere con lui più di venti minuti.
Poi me ne andai, lungo il corridoio, all'ufficio del capo dell'ispettorato corrispondenza.
Nonno Dicherson non era tanto vecchio da non capire che vento tirava. Non appena ci fummo scambiati i convenevoli di prammatica e io mi fui seduto aprendo il raccoglitore, s'informò, in tono perfettamente amichevole: "Perché iniziate da me, signor Truett?"
"Ma voi non siete il primo, signor Dicherson. Ho avuto proprio ora una seduta col signor Rosenbaum."
"Comunque" disse "io ho meno dipendenti di tutti i capisezione del reparto merci, non ho che sei uomini, mentre alcune altre sezioni superano il centinaio. Inoltre non ho avuto cambiamenti di personale da più di otto anni, escluso in un caso: un impiegato che è rimasto ucciso ed è stato sostituito. Ho le migliori intenzioni di aiutarvi, ma non so come potrei esservi utile."
Tentennai il capo. "Dal vostro punto di vista avete perfettamente ragione; col problema generale del personale voi non avete niente a che fare. Ma la vostra sezione è qualcosa di speciale; tutti gli impiegati giudicano i vostri sei uomini luride spie, e voi siete il capo degli spioni."
Non gli feci molta impressione. Per tutta risposta, si limitò a tentennare il capo. "Come credete di poter cambiare le cose?"
"Ah, non so, ma certo questo fa parte della difficoltà del personale. Prendiamo, ad esempio, quell'uomo che è stato ucciso. Non vi risulta che sia stato detto in giro che non si tratta di un incidente?"
"Scemenze, chiacchiere!" Diede un colpetto al tampone. "Sentite un po, giovanotto, state insinuando che questa sezione, direttamente o indirettamente, è stata la causa di un delitto?"
"Sì."
Gli tremò la mascella, poi spalancò la bocca e la lasciò aperta.
"Questo, secondo me, non è il modo di impostare la cosa" disse con enfasi.
"Ma siete voi che la impostate così. Io direi piuttosto che le chiacchiere intorno alla morte di un individuo fanno parte dei problemi del personale, e il signor Naylor in persona mi ha suggerito di farne uso come punto di partenza. Vi spiace che vi faccia alcune domande su Moore?"
"Ogni insinuazione che l'operato di questa sezione sia stato ingiusto o causa di legittimi desideri di vendetta, mi offende."
"D'accordo. Ma chi ha detto che fossero legittimi? I desideri di vendetta nascono in tutti gli ambienti. Ma, per ritornare a quel Moore, come andava con voi? Era un elemento che rendeva?"
"No."
"No? Che cosa c'era che non andava?"
"Mi sono occupato di questa sezione sin da quando è stata istituita, più di vent'anni fa. Nell'aprile scorso, avevo alle mie dipendenze cinque uomini, e mi sembravano sufficienti. Però venne assunto un nuovo impiegato, e mi dissero di farlo lavorare. Era un incompetente. Io riferii in merito, ma il rapporto venne ignorato: fummo costretti a sopportarlo. In alcuni casi, i suoi errori avrebbero screditato la sezione, se non fossimo stati più che attenti."
"Santo cielo, ci siamo" dicevo tra me. Stavo facendo di tutto per stringere le fila ed ecco che mi si aggiungevano altri sei nomi alla lista. Dicherson in persona e cinque leali ispettori che potevano essersi sentiti in dovere di uccidere Moore per l'onore della sezione. Ormai erano implicati tutti, escluso Kerr Naylor.
"E i regolamenti d'assunzione?" chiesi. "Ho saputo che qui non c'è un ufficio centrale per il controllo del personale, e che il caporeparto stabilisce le sue regole, in teoria, mentre in pratica i capisezione hanno l'ultima parola. Chi ha assunto Moore e ve l'ha appioppato?"
"Non lo so. Questa è una grandissima impresa" disse "la più grande del mondo, nel suo campo, e, senza paragoni, la migliore. Naturalmente, il potere direttivo è strettamente organizzato. Nessuno, su questo piano, è mio superiore, eccetto il caporeparto, il signor Kerr Naylor, figlio di uno dei fondatori. Perciò qualunque atto di autorità può essere esercitato su di me solo attraverso il signor Kerr Naylor."
"Allora chi ha assunto Moore?"
"Non lo so."
"Ma è stato Naylor a dire che avevate bisogno di un elemento in più e a volere che Moore lavorasse per voi?"
"Certo, la gerarchia funziona, come vi ho detto."
"Che cosa potete dirmi di Moore, oltre che era incompetente?"
"Mah! Niente."
Il tono e l'espressione di Dicherson mostravano che giudicava stupida la mia domanda. Cavò l'orologio da una tasca del panciotto, e dichiarò:
"Il mio turno di mensa ha inizio alle dodici, signor Truett."
8
Uscito dall'ufficio di Dicherson, voltai a sinistra, verso il fondo del salone; ma, improvvisamente, mi venne un'idea e mi fermai di colpo. La studiai sotto tutti gli aspetti e, visto che non presentava difetti evidenti da nessun lato, girai sui tacchi e mi avviai nella direzione opposta. Quando giunsi alla porta di Rosenbaum la trovai ancora chiusa, ma poiché lui mi aveva detto di non bussare, girai la maniglia ed entrai. Avevo intenzione di chiedergli dov'era l'ufficio della sua segretaria, ma non lo feci perché la ragazza era là, seduta a un'estremità della scrivania con un taccuino in mano.
Quando entrai lei non si voltò. Rosenbaum mi diede un'occhiata e disse imperturbabilmente: "Di nuovo buon giorno".
"Ho tratto una lunga serie di deduzioni" dissi "e volevo sentire che cosa ne pensa la signorina Livsey."
La ragazza mi guardò. Nulla era mutato in lei durante l'ora trascorsa. Era sempre evidente che nessuno al mondo, all'infuori di me, poteva comprenderla e aiutarla.
"Le cose stanno così" spiegai. "Il mio lavoro richiede che io discorra col maggior numero possibile di unità del personale. Devo farlo cercando di intralciare il meno possibile il lavoro del reparto. Se pranzassimo insieme e facessimo la nostra chiacchierata durante il pranzo, il vostro lavoro non verrebbe danneggiato. Pagherò il pranzo e me lo farò rifondere dalla ditta."
Rosenbaum rise sotto i baffi. "Poiché si è dato la pena di architettare tutto questo per voi, Hester, il meno che possiate fare è permettergli di comprarvi un panino."
"Può giovare a qualcuno?" chiese lei con una voce che sarebbe stata una gioia ascoltare, se fosse stata soltanto un po più vivace.
"A me no" dichiarò Rosenbaum "ma forse a voi stessa. Il signor Truett mi sembra il tipo capace di farvi sorridere. Anche se si tratterà di un sorriso anemico, perché non lasciate che ci provi?"
La ragazza si volse verso di me e disse cortesemente: "Grazie, ma preferisco di no."
Ammetto che cominciavo a esser geloso di Waldo Wilmot Moore, anche da morto.
Hester Livsey era tornata a occuparsi del suo taccuino e Rosenbaum la guardava, con le labbra strette, scrollando il capo filosoficamente. Era come se io non ci fossi stato, quindi pensai bene di andarmene.
Avevo già voltato le spalle e stavo con una mano appoggiata alla maniglia della porta, quando la signorina Livsey soggiunse: "Perché avete chiesto a una delle ragazze se aveva sentito pettegolezzi sul conto del signor Moore?"
Era stato proprio come tirare un sasso in un vespaio. E pensare che erano passate meno di due ore! Mi voltai.
"Avete visto? Non vi avevo detto che non volevo intralciare il vostro lavoro? Avreste potuto chiedermelo durante il pranzo, tra il pollo novello e il gelato di frutta."
"Benissimo, allora verrò all'una. Incontriamoci nell'atrio."
"Brava, figliola, riservatemi un sorriso" dissi, e me ne andai.
Così avevo sistemato tutto, ed ero riuscito ad ottenere un appuntamento con Hester Livsey, ma, ormai, le cose si erano guastate, sebbene non fosse colpa né mia né sua. Tornai al mio stanzino, rimisi a posto 4 raccoglitori, chiusi a chiave il mobilio e mi misi a rimuginare.
Naturalmente, più ci pensavo e meno trovavo la via da seguire. Se fosse stato Nero Wolfe, mi dicevo con ironia, avrebbe finito tutto per mezzogiorno e sarebbe tornato a casa a bere birra. Io, invece, ero riuscito soltanto a suscitare un vespaio. Ero veramente impressionato. Erano passate meno di due ore e non c'era ancora stato l'intervallo della colazione perché gli impiegati avessero agio di spettegolare. Certo, le chiacchiere si diffondevano dallo spogliatoio delle ragazze.
Quando il telefono squillò, sobbalzai. Sembrava un suono così forte in una stanza tanto piccola. Tornai alla scrivania e dissi "pronto".
"Il signor Truett?"
"In persona, dite pure."
"Parla Kerr Naylor. Vorreste venire a pranzo con me, se non avete altri impegni? Vi è possibile passare dal mio ufficio?"
Gli dissi che sarei stato lietissimo e riagganciai. Diedi un'occhiata all'orologio e vidi che mancavano dieci minuti all'una. Alzai di nuovo il ricevitore e chiesi di esser messo in comunicazione con la signorina Hester Livsey, del reparto merci. Dopo un momento, una voce rispose: "Parla Hester Livsey".
"È Peter Truett" risposi. "Questo è il giorno più sfortunato da quando un mio zio ricco ha cambiato medico. Il signor Kerr Naylor mi ha telefonato un momento fa chiedendomi di andare a pranzo con lui. Posso venire a pranzo con voi, come d'accordo, naturalmente, per poi tornare in sede e farmi licenziare."
"Ma io non voglio che siate licenziato. Andate pure col signor Naylor. Il mio ufficio è di fianco a quello di Rosenbaum, a sinistra."
Presi cappello e cappotto e andai all'ufficio d'angolo; Kerr Naylor mi venne incontro sulla porta. Avevo portato con me soprabito e cappello perché, sebbene il vicepresidente mi avesse detto che, normalmente, potevo mangiare nel reparto della direzione al ristorante della Naylor Kerr, al trentaduesimo piano, avevo l'impressione che il figlio del fondatore avesse altri progetti. Non mi ero sbagliato. Naylor portava il cappello e aveva il soprabito sul braccio. Ci dirigemmo a un ascensore e, raggiunto l'atrio a pianterreno, lui mi guidò verso una via laterale. Voltammo l'angolo e ci dirigemmo a una porta su cui spiccava una scritta a grosse lettere verdi: "ALLA SORGENTE DELLA SALUTE!".
Era un ristorante per vegetariani.
" Ho provato una volta per caso, cinque anni fa, e da allora ho sempre mangiato qui. Ho scoperto che giova moltissimo, fisicamente, moralmente e persino spiritualmente. Ci si sente leggeri e puliti. Che cosa prendete, signor Goodwin?"
9
Dopo pochi minuti dissi alla cameriera di portarmi tre mele e un bicchiere di latte, poi domandai al mio compagno: "Stavate dicendo qualcosa? Sono spiacente, ma temo di non avervi seguito."
"Stavo parlando di diete" disse piuttosto seccamente "e voi mi avete udito benissimo. Non bisogna aspettarsi da principio che questo cibo vi piaccia, signor Truett. Non piace a nessuno. Ma, dopo un po, vi meraviglierete di esser riuscito, un tempo, a mangiare dell'altro."
"Sì. Ma credo che quando mi piacerà imparerò a nitrire, Ora, vorrei che decideste chi è il vostro ospite: Goodwin o Truett?"
"Preferisco di gran lunga Goodwin" disse con un sorriso. "Vi ho invitato a pranzo, principalmente per dirvi che l'unico modo per andare d'accordo con me è trattare apertamente e lealmente e per pregarvi di dire a Nero Wolfe che avete fatto dei grossi pasticci sul lavoro. Stamattina, quando ho parlato dell'assassinio del mio ex-impiegato, non avreste dovuto dimostrare alcun interesse per la cosa."
"Capisco. Obbligatissimo. Immagino che questo vi abbia messo in sospetto e che abbiate fatto indagini." Lo guardai con ammirazione. "Indubbiamente avete colto nel segno. Da dove avete cominciato?"
"Suvvia" disse in tono di rimprovero, tentennando il capo "voi siete straordinariamente trasparente, signor Goodwin, e devo dire che per me questa è una sorpresa e una deduzione. Mi avrebbe fatto piacere vedere un buon elemento mettersi a lavorare su un delitto. Vi avrei seguito coi più profondo interesse."
"Sentite un po" gli dissi amabilmente "non potete aspettarvi che io porti il vostro messaggio al signor Wolfe. Perché non fate una scappata da noi stasera dopo cena e non glielo dite personalmente?"
"Volentieri" rispose, e masticò. "Ma non stasera. Sarò lietissimo di venire lunedì venturo."
"Benissimo, vi fisserò un appuntamento con Wolfe." Cominciai una mela senza preoccuparmi di sbucciarla. "Ma per quel giorno può darsi che io abbia finito in ditta" dissi. "Secondo me, e credo che il signor Wolfe sarà del mio parere, c'è una sola cosa da fare: riferire il fatto alla polizia e lasciare che metta in moto la sua macchina, Un'accusa di omicidio è una cosa troppo delicata per affidarla a un pasticcione come me."
Smise di masticare e domandò: "Chi ha pronunciato un'accusa del genere?"
"Voi."
"Io no. Ho semplicemente dichiarato che Moore è stato assassinato. La polizia? Macché! Hanno messo in moto la loro macchina nel momento stesso in cui è stato scoperto il cadavere, ma han lasciato che si fermasse subito. Naturalmente, avevate intenzione di farmi fare delle rivelazioni, minacciando di sguinzagliarmi la polizia alle calcagna. Caro signor Goodwin, temo proprio che quest'affare sia molto al di sopra delle vostre possibilità. Una settimana fa, ho fatto una visita al vicecommissario O'Hara, che conosco da anni, e gli ho dichiarato che Moore è stato assassinato. Lui, naturalmente, voleva qualche particolare, e io, naturalmente, mi son rifiutato di dargliene. Gli ho detto che tutto ciò che potevo fornirgli era il fatto in sé, e che il procurare le testimonianze e l'arresto del criminale era compito del suo dipartimento." E rise.
Tornò a concentrarsi nella pietanza supervitaminica.
"Benissimo" dissi in tono amichevole. "Le minacce sono fuori discussione, e di rivelazioni non se ne parla più. Piuttosto, ho osservato che sul rapporto diretto al signor Pine (quello riguardante Moore), dove si chiede come sia stato assunto, avete scritto: presentatosi personalmente. A chi si è presentato? Al caposezione Dicherson?"
Naylor inghiottì, poi disse: "Sì è presentato a mia sorella."
"Oh, a quale sorella?"
"Ne ho una sola." La fiammella dei suoi occhi ricominciò a brillare. "Mia sorella, signor Truett, è una donna interessante e dotata di una notevole personalità, ma è molto più convenzionale di me. Nostro padre ha dato a ciascuno di noi un quarto delle sue azioni della ditta perché voleva liberarsi dalle responsabilità e dalle preoccupazioni. Io ho dato via le mie, senza compenso, ad alcuni vecchi impiegati dell'azienda, perché loro se le erano guadagnate, e io no. Non mi piace possedere cose sulle quali altre persone possano vantare diritti, specialmente diritti morali: i diritti legali non m'interessano. Mia sorella, che è un tipo più convenzionale, ha tenuto le sue azioni per sé. Questo è stato un colpo di fortuna per suo marito, Jasper Pine, che credo abbiate conosciuto, altrimenti avrebbe avuto ben poche possibilità di diventare presidente della società."
"E Moore ha ottenuto l'impiego per tramite di vostra sorella?"
La fiammella oscillò un momento.
"Voi avete l'abilità, signor Goodwin, di far le vostre osservazioni nel modo più spiacevole. A mia sorella piace fare favori alla gente. Mandò Moore da me, io gli parlai, lo misi a contatto con Dicherson e ottenne l'impiego."
Da quel momento, mostrò di giudicare il cibo come l'unico argomento di conversazione degno di interesse. Tutte le domande riguardanti Moore, gli assassini e le sorelle furono bellamente ignorate.
Tornati a William Street, ci separammo nell'atrio. Mi diressi a una cabina telefonica, chiamai il numero della "Gazette" e chiesi di Lon Cohen. Quello sapeva più cose del dipartimento di polizia e della biblioteca civica messi insieme.
Quando venne all'apparecchio, gli dissi: "Stavolta tocca a voi farmi un favore. Che cosa sapete dirmi della moglie di Jasper Pine? Da giovane si chiamava Naylor. Suo marito è presidente di una grande ditta di forniture industriali, che ha gli uffici nella città bassa. Avete mai sentito parlare di lei?"
"Certo. È cibo."
"Che cosa intendete per cibo?"
"Noi chiamiamo così tutta la gente che una volta o l'altra può fornire un pasto a un giornalista sotto forma di una notizia. Fino ad oggi questa signora si è tenuta al di fuori della lista delle vivande, escluso che per le notizie mondane di terza pagina, ma nessun giornale della città ha perso le speranze. Dovete sapere che l'oggetto delle vostre indagini è una protettrice di giovanotti. Non li protegge tutti, naturalmente, anzi li sceglie con cura, ma è un caso cronico. Ha quattrini in abbondanza, è ben conservata e quasi certamente non è una stupida, altrimenti avrebbe perso l'equilibrio molto tempo fa. Vi consiglierei di farvi proteggere un po. Quanti anni avete? Trenta? È proprio quel che ci vuole per lei."
"D'accordo, vi darò il dieci per cento. Potete ora fornirmi un elenco dei protetti?"
Lon Cohen sghignazzò.
"Non abbiamo tenuto una registrazione completa, non arriviamo a tanto. Pensate che il nostro giornale sia solito ficcare il naso negli affari altrui? Ohi, dico, aspettate un minuto. Al diavolo voi, Nero Wolfe e i vostri delitti... quel nome me ne ricorda un altro... accidenti com'è? Murray? No, Moore!!!"
"Signor Cohen" dissi con riverenza "come al solito avete colpito nel segno. Moore è stato investito da un autista la notte del 4 dicembre. Potete assicurarmi che era stato un protetto della signora Pine?"
"Sì."
"Vi dispiacerebbe spiegarvi un po più diffusamente?"
"Ecco, il cibo era pronto per essere servito, mi capite? Con l'individuo ridotto in frittata a quel modo nel cuor della notte, ci siamo resi conto che era nostro dovere verso la comunità fare il massimo sforzo per coprire gli altarini."
"Santo cielo, andate avanti."
"Così abbiamo fatto noi, e così pensiamo abbia fatto anche la polizia. Ormai, i particolari, col tempo, si sono confusi, ma praticamente non c'è stato niente da fare per la stampa. Ricordo solo che la supposizione, che in questi casi è abituale, ci portò in secca. Il marito non aveva certo commesso un atto disperato per riscattare il suo onore o per vendicarsi. Moore non era che uno dei tanti... sette, otto, non so, e, oltre tutto, era stato licenziato mesi prima. Il protetto di turno era... non ricordo il nome ma non importa. Inoltre, erano anni che il marito sapeva. Questo è stato accertato, senza ombra di dubbio, dal nostro reparto investigativo. Ora, io mi metterò al lavoro e lo farò chiedendovi di sputare qualcosa di interessante per i miei appunti. Chi ha assunto Wolfe?"
"Non ora" ribattei. "Avrete i frutti non appena saranno maturi, se non vanno ai cani prima. Se vi facessi una visitina mi sarebbe possibile parlare con la persona che ha lavorato su questo "caso"?"
"Sarebbe bene che telefonaste prima."
"Lo farò. Ringraziamenti vivissimi e cordialità."
10
Avendo due cose da fare, sarebbe stato in carattere, da parte mia, serbare la più bella per ultima, anzi avevo proprio deciso di far così, ma non mi fu possibile. Contavo, infatti, di telefonare a Jasper Pine, e di accordarmi per andare da lui alle tre, ma quando mi ci provai tutto ciò che ottenni fu la parola d'onore di un certo signor Stapieton, il quale mi assicurò che il signor Pine non sarebbe stato libero fino alle quattro e un quarto. Questo mi obbligò a cambiare programma. Ma prima di fare una visita alla signorina Livsey, pensai che avrei dovuto procurarmi una macchina da scrivere con la carta e tutti gli accessori. Ci riuscii. Ciò fatto, attraversai il salone, trovai aperta la porta a sinistra dell'ufficio di Rosenbaum ed entrai.
Richiusi la porta, mi diressi a una sedia all'estremità della scrivania e mi sedetti. La stanza era grande il doppio della mia, ma non c'era molto spazio libero in più perché gli scaffali d'archivio la occupavano quasi completamente.
"È stato disgustoso" dissi. "Il signor Naylor mangia avena e cortecce tritate."
Lei annuì senza sorridere. "Sì, è famoso per questo. Avrebbero dovuto avvertirvi."
"Già, ma nessuno lo ha fatto. Avete molto da fare prima dell'ora di chiusura?"
"No, ho ancora otto o nove lettere." Guardò l'orologio. "Sono appena le tre."
"Benissimo." Misi le mani in tasca. "Penso che sia meglio cominciare seguendo le regole. Da quanto tempo lavorate qui?"
"Tre anni. Anzi, per essere precisi, due anni e otto mesi. Ho ventiquattro anni, quasi venticinque, guadagno cinquanta dollari alla settimana e stenografo più di cento parole al minuto."
"Meraviglioso. Quali sono le tre cose che vi dispiacciono maggiormente, o che meno vi piacciono, del vostro lavoro?"
Non sorrideva ancora, ma gli angoli della bocca le si contrassero.
"Posso chiedervi qualcosa io? Volete chiedermi qualcosa intorno a Waldo Moore, no?"
"Che cosa ve lo fa credere?"
"Santo cielo, un altro po e lo trasmettevate per radio! Chiedendolo a quella ragazza lo avete fatto sapere a tutta la città in un minuto."
"Va bene. Che volevo chiedervi?"
"Non lo so. Sono qui: interrogatemi."
"Non dovreste fare la stenografa" dissi con ammirazione. "Dovreste essere un'esperta del personale, la direttrice di una scuola media o la moglie di un detective. Siete molto in gamba e mi riuscirebbe difficile farvi delle domande su Moore senza che capiste dove voglio andare a parare. Perciò, non mi ci proverò nemmeno. Voi e Moore eravate fidanzati?"
"Sì, da un mese o poco meno."
"Naturalmente, la sua morte è stata un brutto colpo per voi."
"Sì."
"Vi dispiacerebbe dirmi che tipo era?"
"Ma... è una domanda strana. Era il tipo che mi sarebbe piaciuto sposare."
"Moore era già stato sposato?"
"No."
"Da quanto tempo lo conoscevate?"
"Ci siamo incontrati qui."
"Com'era? Alto, basso, bello, brutto, magro, grasso..."
Aprì un cassetto della scrivania, prese la sua borsetta, ne trasse una custodia e me la porse.
Dunque portava ancora con sé la sua fotografia. Ai miei occhi, Moore non era niente di speciale; era un uomo circa della mia età e della mia corporatura.
"Grazie" dissi, rendendole il ritrattino. "Questo dimostra che non vi faceva la corte per ripiego, innanzitutto perché voi non siete un ripiego, poi perché era piuttosto un bel ragazzo. Immagino che questa fosse anche l'opinione di quelli che lo conoscevano."
"Sì, tutte le donne che lo vedevano ne erano attratte."
"Quindi ne avrà avuto dietro una quantità, e questo a voi faceva male..."
"Che sciocchezze" disse. "Andate avanti."
Tolsi le mani di tasca, le incrociai dietro la testa e la guardai. "Andrei avanti molto volentieri, signorina Livsey, se solo sapessi che direzione prendere. Così, proviamo da un'altra parte. Avete mai avuto ragione di supporre o di sospettare che la morte di Moore non fosse stata un incidente?"
"No!" disse recisamente.
"Ma ci sono state molte chiacchiere in proposito. Che cosa ha dato origine ai pettegolezzi?"
"Non so chi abbia cominciato. Credo che le chiacchiere siano nate da sole, come succede sempre in questi casi. Poi si sono calmate e sono cessate del tutto, per quanto ne so io, ancora molto tempo fa. Improvvisamente, la settimana scorsa, sono ricominciate."
"Sapete chi è stato? Non immaginate perché l'amico abbia scritto quella parola sul rapporto?"
"No. Non lo so e non riesco a capirlo... So che mi piacerebbe..." S'interruppe.
"Che cosa?"
Non volle dire che cosa le sarebbe piaciuto. Non disse niente del tutto. Per la prima volta, dacché ci conoscevamo, era emozionata.
Si alzò di scatto, venne verso di me, mi pose una mano sul cocuzzolo e cominciò a carezzarmi.
"È strano" disse, per metà sorpresa e per metà irritata. "Sono sempre riuscita a far fare agli uomini tutto quel che volevo. Non è una vanteria. Sono sempre riuscita a ottenere tutto dagli altri, piccole cose, intendiamoci; voi sapete come sono le ragazze... Ora voglio ottenere qualcosa da voi e... guardate un po! Non è colpa vostra. Voglio dire, non avete niente che non va. Siete un bel ragazzo e non siete affatto antipatico. Non so se siate un poliziotto o che altro... ma siete un uomo, dopo tutto."
Approvai caldamente.
"Perbacco, sì, lo sono, fin nelle più intime fibre. Potrei darvi un suggerimento, per ottenere quello che volete se sapessi di che cosa si tratta. Cominciate col dirmelo."
"Bene, innanzitutto non voglio perdere il mio posto qui."
"D'accordo, ne terrò conto nel mio rapporto. E poi?"
Aveva la voce stanca in quel momento.
"È strano" disse, divagando. "Non so chi siate o chi non siate, ma capisco che state cercando di scoprire qualcosa intorno alla morte dell'uomo che dovevo sposare. E questo oltrepassa il limite della mia sopportazione. Voglio dimenticare tutto quel che è successo, voglio dimenticare tutto di lui. Voi non sapete che cosa voglia dire avere intorno centinaia e centinaia di ragazze, stare insieme per tutta la giornata nello stesso posto. Non so perché il signor Naylor abbia voluto far ricominciare tutto questo. Ma sento che non potrò resistere molto a lungo, e non resisterò. Eppure ho bisogno di lavorare, e mi piace lavorare qui, mi piace anche il mio principale, il signor Rosenbaum."
Tornò alla propria sedia, si sedette, coi pugni stretti, appoggiati sulla scrivania di fronte a lei, ed esclamò rivolgendosi non a me ma a tutto il mondo: "Maledizione!!"
"E intanto, non so ancora che cosa volete da me" protestai.
"Ma sì che lo sapete!" Mi guardò quasi con odio. "Voi potete far terminare i pettegolezzi. Potete dimostrare che il signor Naylor non è che un vecchio stupido e squilibrato. Potete mettere in tacere la cosa, dicendo che Waldo è stato ucciso in un incidente, e farla finita una volta per sempre."
"Capisco: volete questo, dunque?"
I suoi occhi tornarono a posarsi su di me, e i miei furono pronti a incontrarli. Continuammo a fissarci e io avevo la sensazione, non so se condivisa da lei o no, che cominciassimo a fare conoscenza.
"Non sono un poliziotto" dichiarai. "Chiunque io sia, non posso stabilire come è stato ucciso Moore, poiché questo è stato deciso quattro mesi fa, la notte del quattro dicembre. È tutto scritto da qualche parte, e io posso solamente scoprire quello che basta per soddisfare tutti gli interessati. È già qualche cosa sapere che voi siete soddisfatta così."
"Voi lavorate per il signor Naylor!" dichiarò lei, in tono che indicava chiaramente come non mi avesse mai ritenuto capace di cadere tanto in basso.
"No, no davvero" protestai.
"Mi assicurate che non è così?"
"Parola d'onore."
"Ma allora..." Hester aggrottò le sopracciglia. "Però, lui vi ha parlato di Waldo, vero?"
"Per la verità, sì."
"Che cos'ha detto?"
"Che Moore è stato assassinato."
"Lo sapevo; lo ha scritto su quel rapporto." Era ancora accigliata. "Lo sa tutto il reparto, ed è proprio quel che voleva lui; per questo lo ha dettato a una stenografa di questo piano invece che alla sua segretaria. Che cos'ha detto ancora?"
"Nient'altro d'importante che riguardi Moore. Soltanto, insiste nel dire che è stato assassinato: è un'idea fissa."
"E non ha detto altro?" insisté la ragazza.
"Niente. Neanche una parola. Ha fatto solo un'osservazione che poteva lontanamente riguardarvi. Stamattina, mentre eravamo a un capo del salone, ha detto che lì non credeva che ci fosse una sola vergine e poiché voi avete un ufficio particolare, probabilmente vi aveva escluso."
La questione della verginità, evidentemente, non la turbava, poiché lei insistette: "Davvero non ha parlato di me?"
"Non ancora." Diedi un'occhiata all'orologio. "Voi dovete terminare le vostre lettere, e anch'io devo sbrigare qualche faccenda; mi spiace che le cose non possano già essere definite come vorreste voi. Onestamente, me ne dispiace. Ma è proprio vero che volete dimenticare tutto di Moore?"
"Sì, ve lo assicuro."
"Benissimo, faremo un appunto speciale sull'agenda."
La prima delle faccende che intendevo sbrigare era un lavoro di dattilografia. Quindi, tornai nel mio ufficio e mi misi all'opera.
Guardai l'orologio. Erano le quattro meno un quarto, e mancava solo mezz'ora all'appuntamento con Jasper Pine. Dovevo sbrigarmi. Infilai nel carrello un sandwich composto di tre fogli di carta e due di cartacarbone e scrissi, in tutte maiuscole, nell'angolo a destra in alto.
RAPPORTO DALL'UFFICIO DI NERO WOLFE
e, quattro spazi, più sotto, nel mezzo:
ALLA SOC. AN. NAYLOR KERR 914 WILLIAM STREET NEW YORK CITY RISERVATO
Riferii che Kerr Naylor aveva tirato in ballo il nome di Moore nei primi tre minuti di conversazione, che mi aveva invitato a pranzo e mi aveva messo in imbarazzo chiamandomi col mio vero nome, e che insisteva sul fatto che Moore era stato assassinato, rifiutando ogni spiegazione in merito. Aggiunsi che aveva accettato di andare a parlare con Wolfe; che aveva detto di aver segnalato al vicecommissario O'Hara che Moore era stato assassinato, e che aveva dichiarato che Moore gli era stato raccomandato dalla propria sorella perché gli desse un impiego.
Oltre ai fatti che riguardavano Naylor aggiunsi un breve resoconto del mio colloquio con Dicherson, il capo dell'ispettorato corrispondenza. Dichiarai che nel reparto si era sparsa la voce che stavo investigando sulla fine di Moore, e aggiunsi un paragrafo brevissimo in cui si diceva che avevo parlato con una certa Hester Livsey (la quale era stata la fidanzata di Moore), senza alcun risultato degno di nota.
I soli incidenti che il mio rapporto taceva erano: il mio breve colloquio con la nemica dell'ortografia, che non mi sembrava molto importante, e la mia telefonata a Lon Cohen della "Gazette" che d'importanza ne aveva anche troppa.
Quando ebbi terminato di scrivere, firmai l'originale, lo piegai e me lo misi in tasca; così feci per una delle copie. L'altra copia non la piegai. Girai la chiave dell'armadietto, aprii il cassetto che usavo di solito, levai tutti i raccoglitori e pulii ben bene col fazzoletto l'interno del cassetto di metallo. Mentre riponevo i raccoglitori, che erano fatti di cartone verde liscio, li ripulii a uno a uno, su tutte le quattro facce. Nel terzo raccoglitore, cominciando dall'alto, sopra le carte che già vi erano dentro, misi la seconda copia del rapporto e vi disposi sopra quattro minuzzoli di tabacco che avevo tolto dal mozzicone della sigaretta. Chiusi il cassetto, ripulii tutta la facciata anteriore del mobile. Erano le quattro e dodici, e dovevo trovarmi di sopra entro tre minuti.
Era meglio lasciare aperto il mobiletto o dimenticare la chiave nella serratura? Scelsi la prima soluzione e mi infilai la chiave in tasca. Mi affrettai verso l'ascensore e quando fui al trentaseiesimo piano mi venne un altro dubbio che avrei dovuto risolvere subito e bene, ma che, nella fretta, avevo trascurato: per l'impiegata che stava nell'atrio della presidenza, chi ero io? Il giorno prima, quando avevo fatto visita a Pine, ero stato Goodwin. Potevo, questa volta, presentarmi come Truett aspettandomi che la ragazza fissasse dubbiosa il mio volto intelligente e ritenesse plausibile che non conoscessi il mio proprio nome? Impossibile. Mi accostai alla sua scrivania e le dissi che il signor Goodwin aveva un appuntamento col signor Pine, per le quattro e un quarto. Dopo un poco venni introdotto.
Pine aveva l'aria indaffarata, stanca e seccata. Rimase seduto e cominciò a parlare prima ancora che gli arrivassi vicino.
"Posso concedervi solo pochi minuti" disse in tono asciutto. "Il mio programma è già completo e gli impegni si accumulano continuamente. Che cosa c'è?"
Gli tesi l'originale del rapporto e rimasi in piedi.
Diede una scorsa al rapporto, tre volte più in fretta di quanto non legga Wolfe, poi tornò indietro e rilesse alcuni paragrafi. Mi lanciò una rapida occhiata.
"Sapevo che il signor Naylor era stato dal vicecommissario di polizia."
"Ma certo" gli concessi di buon grado. "È ben vero che non ne avete parlato, ma un uomo non può ricordarsi di tutto. A proposito: questo fatto mi richiama un piccolo problema: quando il signor Wolfe leggerà la copia del rapporto, mi domanderà innanzitutto perché la sorella del signor Naylor gli abbia chiesto di dare un impiego a Moore e, se le cose stanno così, perché voi non me lo avete detto."
Mi era sembrato più diplomatico dire "la sorella del signor Naylor", anziché "vostra moglie"
"Naturalmente, se voi non..." M'interruppi.
"Certo che lo sapevo, cosa c'entra questo?"
"Niente ch'io sappia. Ma ho bisogno del vostro consiglio. Come vi ho detto, conosco Wolfe: mi dirà subito di telefonare alla sorella di Naylor per chiederle di venire nel suo ufficio, poi, se lei non vorrà venire, mi ordinerà di andarla a trovare, e io dovrò andarci; che cosa mi consigliate di fare?"
"Fate quello che vi dirà lui."
"Va bene, grazie. Voi non avete istruzioni o consigli?"
"No." Pine fece il piccolo gesto d'impazienza che gli era abituale. "Se pensate ch'io possa desiderare di proteggere mia moglie da qualche seccatura, quando la conoscerete vi accorgerete che è inutile, capirete perché. Piuttosto, vorrei sapere coma ha fatto il signor Naylor a scoprire chi siete. Sapete dirmelo?"
"Se lo sapessi l'avrei scritto nel rapporto. Anche a me piacerebbe saperlo. Ci sono due probabilità: la mia fotografia è stata sui giornali un paio di volte; potrebbe darsi che lui si fosse ricordato di me fino al punto di riconoscermi, o potrebbe avermi riconosciuto qualcun altro e averglielo riferito. Io preferisco la seconda ipotesi. Quanta gente, qui attorno, sapeva di me? L'impiegata qui fuori e chi altro? Ricordo che avete detto d'aver parlato a due vostri colleghi della direzione e a un membro del Consiglio Direttivo."
"L'impiegata no" disse aspramente. "Le ho spiegato ogni cosa. Sono vent'anni che la signorina Abrams è con noi e non è neanche il caso di discuterne."
Sembrava abbastanza soddisfatto al pensiero che ci fosse almeno una persona di cui poteva fidarsi.
"Allora?" chiesi in tono significativo.
Annuì più per sé che per me. "Ci penserò sopra, non vi preoccupate. Cosa ne dite della ragazza che Moore voleva sposare? Come si chiama?" alzò l'ultima pagina del rapporto. "Hester Livsey. Non vi ha dato qualche... ehm... informazione?"
"Niente di rilievo. Tenterò ancora con lei, se dovrò continuare. Volete che io ritorni domani?"
"Certamente. Perché no?"
"Ecco, dal momento che Naylor mi ha scoperto e che, probabilmente, per domani a mezzogiorno lo sapranno tutti..."
"Non ha importanza. Venite senz'altro. Per oggi non ho più tempo, ma telefonatemi, verso le dieci. Ora che abbiamo cominciato, dobbiamo arrivare in fondo."
Salutai e uscii.
L'ora di chiusura, alla Naylor Kerr, era alle diciassette. Erano le 16,46 quando percorsi di nuovo il corridoio della direzione.
Nulla indicava che ci fossero state visite durante la mia assenza. Chiusi la porta, aprii il cassetto del mobiletto per dare un'occhiata e trovai che i minuzzoli di tabacco erano ancora al loro posto. Rimasi per un po alla finestra, riandando col pensiero agli sviluppi della faccenda, compreso il mio ultimo colloquio con Pine, e considerai l'opportunità di telefonare a Wolfe per avvertirlo che sarebbe forse stato bene ch'io andassi subito a far visita alla signora Pine, prima che suo marito tornasse dal lavoro. Votai per il no.
Poi mi diressi all'ascensore e scesi in strada. Non c'era neanche da pensare di poter trovare un tassì, da quella parte della città, a quell'ora, così svoltai verso Wall Street, verso la ferrovia sotterranea.
Mi succede di essere pedinato senza accorgermene, ma questa fu la prima volta buona. La ragazza, probabilmente, era rimasta in agguato nell'atrio a pianterreno, tenendo d'occhio gli ascensori, e poi mi aveva seguito per la città.
Non sono una lumaca, cammino tutt'altro che adagio e dovetti costringerla a trottare per un bel po per tenermi dietro. Mi accorsi di lei quando sul marciapiede, in mezzo alla fiumana di gente che si avviava verso casa, avvertii un contatto che non era una gomitata né un urto accidentale, ma una autentica e deliberata stretta a un braccio. Mi fermai e la guardai.
Era più piccola di me di almeno venti centimetri. Mi aveva preso per un braccio.
"Che crudeltà!" protestai. "Mi fate male!"
11
"Voi non mi conoscete, signor Truett" disse. "Oggi non mi avete notata."
"Sto notandovi ora" ribattei. "Lasciatemi andare il braccio!"
Aveva un corpo che non poteva certo essere usato per dimostrare l'assioma geometrico che la linea retta è la via più breve tra due punti.
"Devo parlarvi."
"Non qui. Andiamo" dissi, e ci avviammo insieme. "Prendete, qualche volta, la ferrovia sotterranea?"
"Solo un paio di volte al giorno. Dove andiamo?"
"Come posso saperlo? Non immaginavo che saremmo andati in qualche posto, finché non me lo avete detto voi." Mi fermai di botto. "Aspettatemi qui un momento, devo fare una telefonata."
Entrai da un tabaccaio, attesi un paio di minuti che venisse libera una cabina telefonica e chiamai il numero che conoscevo meglio. Sapevo che non mi avrebbe risposto Wolfe personalmente poiché riservava il periodo dalle quattro alle sei del pomeriggio, per le sue visite alle orchidee nella serra.
"Fritz? Parla Archie. Dite al signor Wolfe che non mangio a casa, questa sera, perché son trattenuto in ufficio."
Tornai, sul marciapiede e chiesi alla ragazza: "Quanto credete che durerà questo nostro colloquio?"
"Fintantoché mi ascolterete, signor Truett. Ho moltissime cose da dirvi."
"Benissimo. Cenate con me?"
"Volentieri, ma ora è presto."
Risposi che non me ne importava e ci avviammo alla sotterranea. La portai da Rusteman.
Quando ci sedemmo nel separé, avevo già raccolto qualche informazione preliminare: sapevo che si chiamava Rosa Bendini e che era vicecapo archivista nella sezione macchinari e pezzi di ricambio. Ero anche giunto ad alcune conclusioni personali e cioè: che doveva avere ventiquattro anni, che non si era mai trovata a disagio in nessun ambiente.
Quando restammo soli, non perse tempo: "Siete un poliziotto, signor Truett?"
Sogghignai: "Ascoltate: io sono un tipo facile da pescare, come avete scoperto, ma è difficile tenermi. Mi avete assicurato che avevate un mucchio di cose da raccontarmi. Ditele e dopo vedremo quel che avrò io da dire a voi. Che cosa vi fa pensare ch'io sia un poliziotto?".
"Avete fatto delle domande su Waldo Moore, e l'unica cosa che si dica ancora di lui è che è stato ucciso." Ebbe un lampo negli occhi e soggiunse: "Era un mio amico".
"Ah! Ed è stato assassinato?"
"Sicuramente."
"Da chi?"
"Non lo so."
Con un gesto improvviso coprì la mia mano, sulla tovaglia, con entrambe le sue. Erano mani calde e ferme, né troppo umide né troppo secche.
"O forse lo so" disse. "E se lo sapessi?"
"Be, giudicando dal vostro carattere, come mi par di conoscerlo, penso che fareste la brava bambina e lo direste a papà."
Continuò a tenermi la mano e mormorò: "Vorrei che mi aveste condotta in un posto dove potevamo essere soli. Io non so come parlare a un uomo finché non mi ha presa tra le braccia e non mi ha baciata. Allora capisco che tipo è. Dopo, potrei dirvi tutto quel che volete."
La valutai rapidamente. Se mi ero lasciato intrappolare in un separé da una ninfomane cronica potevo almeno salvare la mia dignità facendo in modo che la cosa non mi costasse più di venti dollari del denaro di Wolfe. Ma mi domandavo se fosse ninfomane davvero.
Mi alzai, tirai la tenda all'ingresso, m'inginocchiai sul sedile vicino a lei e l'abbracciai ben strettamente. Aveva le labbra come le mani: calde e compatte, né troppo umide né troppo secche. Quando fu il momento giusto, mi ritrassi, tirai la mia tenda e tornai al mio posto. Mentre stavo sedendomi, il cameriere entrò col nostro pompelmo. Quando ci ebbe serviti e se ne fu andato, Rosa domandò: "Che cosa avete fatto oggi nell'ufficio di Hester Livsey? Quello che avete fatto con me poco fa?".
"Siamo da capo" protestai. "Avete detto che dovevate raccontarmi molte cose, non che volevate chiedermele. Come sapete che Moore è stato assassinato?"
Inghiottì un boccone di pompelmo.
"Come sapevo che sarebbe stato meraviglioso se mi aveste baciata?"
"Chiunque se ne sarebbe accorto, guardandomi; grazie per il riconoscimento, comunque. Ma voi non potevate dire che Moore era stato assassinato, solo a guardarlo con la testa schiacciata. Persino la polizia, gli esperti e i periti medici della città non hanno potuto."
Si era fermata col cucchiaio a mezz'aria.
"Avete detto una cosa terribile."
"Certo, ma è anche terribile dire che un tizio è stato assassinato, specialmente quando era vostro amico. Fino a che punto vi era amico?"
"Lo chiamavo Wally, perché Waldo non mi garba, sa troppo di intellettuale, e poi mi piacciono i nomignoli. Per esempio, mio marito si chiama Harold, ma io lo chiamo Harry. Io e Wally eravamo amici molto intimi, lo siamo stati sempre, fin quando... venne ucciso. Non vi avevo promesso che vi avrei detto tutto?" E prese una cucchiaiata di pompelmo.
"Vostro marito?" domandai sorpreso. "Sì chiama Bendini?"
"No, si chiama Harold Anthony. Lavoravo già alla Naylor quando mi sposai, circa tre anni fa, e non mi presi la briga di cambiar nome. Son contenta di non averlo fatto, perché spero che Harry, una volta o l'altra, mi lascerà divorziare. Quando tornò dalla guerra aveva l'aria di credere di avermi lasciata in custodia nella naftalina. Wally non sarebbe stato così stupido da pensare una cosa simile. E nemmeno voi."
"Mai, assolutamente" dichiarai. "Vostro marito lavora alla Naylor Kerr?"
"No, è un agente di cambio; cioè, lavora per un agente di cambio in Nassau Street. Ha studiato in un'università, non ricordo mai quale... Non vivo più con lui da molti mesi, ma lui non è ancora rassegnato all'idea di perdermi, e non riesco a persuaderlo che tra noi c'è incompatibilità di carattere."
Depose il cucchiaio.
"Voglio dirvi una cosa, signor Truett. L'uomo che amavo veramente e sinceramente era Wally Moore. Lo avevo scoperto perché non sono mai stata gelosa di nessuno in vita mia, ma di lui lo ero. Ero gelosa di tutte le sue altre ragazze, e pensai che avrei voluto ammazzarle. Voi non avreste creduto ch'io fossi così, vero?"
La mia risposta non fu molto coerente perché arrivò il cameriere con la bistecca. Presi coltello e forchetta, ma Rosa mi interruppe.
"Scommetto che la tenda si è impigliata e non si può più chiudere."
Mi alzai e tirai la tenda. Durante tutto quel tempo, il profumo invitante della bistecca giungeva fluttuando alle nostre nari misto all'aroma del Borgogna. Fu un'esperienza davvero piacevole. Finalmente dissi: "Non dobbiamo lasciare che si raffreddi tutto".
Approvò, dimostrando di essere dotata di un certo buon senso, e io tirai indietro la tenda per lasciar entrare un po d'aria.
Gli abbracci erano serviti per spazzar via le ultime reticenze. Alla fine del pasto, ne sapevo abbastanza da riempire sei cartelle a spazio semplice.
Sin dal primo giorno d'impiego, Waldo Wilmot Moore era passato attraverso il personale femminile del reparto merci come un delfino fra le onde. Non c'era in archivio una lista completa delle sue conquiste perché, a quanto pareva, erano state troppo numerose e si erano alternate troppo rapidamente. Conquiste a parte, chiacchierando con Rosa, vennero fuori quattro nomi:
Gwynne Ferris, secondo Rosa, era una autentica sgualdrina. Era una civetta nata, e aveva tentato il colpo con Moore, ma aveva fatto fiasco e aveva dovuto troncare, o almeno interrompere per un certo tempo, la sua promettente carriera di adescatrice. Aveva circa l'età di Rosa, e dopo due anni, faceva ancora parte del personale di riserva, come stenografa.
Benjamin Frenkee era un giovanotto serio e passionale. Era vicecapo sezione, e tutti lo giudicavano uno dei migliori corrispondenti del reparto. Era stato adescato e illuso da Gwynne Ferris, finché non aveva capito che vento tirava. Aveva odiato Waldo Moore con tutta la serietà e la passionalità di cui disponeva, e forse anche un poco di più.
Hester Livsey era una bugiarda, un'illusa e una stupida. Moore l'aveva presa in giro e non si era mai sognato di volerla sposare. Non si sarebbe mai sposato, ma lei era troppo scema per accorgersene. Per un certo periodo, si era illusa che Moore fosse di sua proprietà privata, e quando era venuta a sapere che lui godeva ancora della fratellanza di Rosa, per non parlare delle altre, era diventata matta e non era mai più tornata in sé.
Sumner Hoff era un personaggio importante, poiché era ingegnere civile e consulente tecnico di tutto il reparto merci. Era stato l'eroe o il fellone secondo i punti di vista, del più drammatico episodio di tutta la storia di Moore. Un giorno d'ottobre, pochi minuti prima dell'ora di chiusura, di fronte all'ufficio di Dicherson, in fondo al salone, Sumner Hoff aveva dato un tremendo pugno alla mascella di Moore e l'aveva fatto volare in grembo alla ragazza della scrivania vicina, rovinando irrimediabilmente la lettera che costei stava scrivendo. Prima di colpirlo, aveva dichiarato di essere seccato per un rapporto fatto da Moore su una lettera che lui aveva dettata, ma secondo Rosa era una scusa, e quel che gli bruciava veramente era il fatto che Moore fosse riuscito a conquistare Hester Livsey. Sumner Hoff aveva corteggiato Hester Livsey per oltre un anno con le più onorevoli intenzioni.
Cominciavo a capire perché Pine aveva detto che Moore era un tipo che dava esca ai pettegolezzi.
Rosa però aveva solo rimpolpato un po la storia, ma quando arrivammo al punto cruciale, cioè come faceva a sapere che Moore era stato assassinato e chi, secondo lei, lo aveva ucciso, tergiversò e disse un mucchio di sciocchezze.
Sapeva che era stato assassinato perché sapeva chi voleva ucciderlo. Benissimo. Chi allora? A questo punto mi ricordava la storia dell'uovo e della gallina. Avrebbe giurato per Hester Livsey se non fosse stato per Gwynne Ferris, e avrebbe giurato per la Ferris se non fosse stato per la Livsey. Per quanto riguardava le circostanze relative alla morte di Moore, aveva una quantità di voci, di opinioni e di giudizi incrollabili, e una buona riserva di sospetti e di supposizioni, ma nemmeno un fatto che io non sapessi già.
Ciononostante la ritenevo capace di nascondere un asso nella manica.
Perciò dissi: "Sono passate da poco le otto; ora potremmo andare a ballare da qualche parte, oppure al cinema, o anche a prendere la mia automobile e fare un giro. Ma c'è sempre tempo, per questo. Credo che per stasera dovremmo occuparci esclusivamente di Wally Moore. Avete mai sentito parlare di Nero Wolfe?".
"Nero Wolfe il detective? Ma certo!"
"Buona cosa. Io lo conosco benissimo. Come vi ho detto, non sono un poliziotto, ma sono una specie di investigatore anch'io, e consulto spesso Nero Wolfe. Ha l'ufficio in una casa della Trentacinquesima Strada. Che ne direste se andassimo a fare quattro chiacchiere con lui? È un tipo che sa il fatto suo."
Fino a quel momento era stata a suo agio, ma ora mi guardò allarmata. Scosse il capo.
"Mi avete giudicata male, signor Truett. Non andrei mai in una casa dove non sono mai stata, insieme con un uomo che non conosco ancora abbastanza bene per chiamarlo col suo nome di battesimo."
"Siete voi che avete giudicato male me" l'assicurai. "Qualora vi chiedessi di darvi al bel tempo con me, non lo farei con la scusa del lavoro. Ma credo che non ne avrò voglia fintanto che non avrete tirato fuori tutta la storia di Waldo Moore. Proprio per questo, forse, mi preme di condurvi a discuterne con il signor Wolfe."
Non era testarda. Un quarto d'ora dopo, prendevamo posto in un tassì. Durante quei quindici minuti avevo firmato il conto, avevo chiuso ancora la tenda per un discreto lasso di tempo, e avevo telefonato a Wolfe per avvertirlo di quanto l'aspettava.
In tassì Rosa era molto nervosa. Mi accorsi che qualcuno ci seguiva. Eravamo alla Sessantesima Strada, all'altezza della Quinta Avenue. Un altro tassì ci si era accodato, seguendoci attraverso la città, e ora voltava con noi nella Decima Avenue. Il nostro autista non era evidentemente un tipo perspicace, e poiché Rosa aveva creduto opportuno di alzare una barriera tra noi, non le dissi nulla.
Quando svoltammo nella Trentacinquesima Strada, il nostro inseguitore accelerò, cosicché, nel momento in cui prendevamo la curva di fronte alla casa di Wolfe, non c'erano che pochi centimetri tra lui e noi.
Pagai l'autista dal mio posto e, intanto che aiutavo Rosa a scendere sul marciapiede, dall'altro tassì emerse un tipo maschio vigoroso con un cappello di feltro.
Mentre si avvicinava, lo apostrofai: "Prego, non ho capito bene il vostro nome"
Mi ignorò e si rivolse a lei.
"Dove stai andando con quest'uomo?"
Nonostante la sua aria marziale, non la spaventò affatto.
"Diventi più stupido ogni giorno, Harry" dichiarò in tono estremamente annoiato. "Ti ho detto mille volte che non è affar tuo dove vado e con chi."
"E io ti dico che lo è! Stavi entrando in quella casa con lui."
L'afferrò per una spalla. Rosa diede un piccolo grido, ma non era un grido di paura: probabilmente lui le stringeva il braccio fino a farle male. Col volto contratto dal dolore, Rosa si rivolse a me.
"Signor Truett, questo è il marito di cui vi parlavo. È tanto grosso!"
Era come se dicesse che non potevo farci niente. Mi rivolsi a lui.
"Sentite, fratello, vi do un consiglio. Noi staremo qui dentro non più di tre o quattro ore, quel tanto che basta. Aspettateci sui gradini d'ingresso, e quando lei uscirà potrete accompagnarla a casa.
Reagì immediatamente, lasciando andare la spalla della moglie, preliminare necessario per la sua seconda mossa: un classico e potente pugno, diretto proprio al centro della mia faccia.
Scostandomi dalla traiettoria, pensai che non mi sarebbe stato tanto difficile cavarmela, dato che lui non conosceva abbastanza bene il pugilato per mirare un bersaglio più facile e più vulnerabile che non il viso; ma avevo torto.
Ne sapeva anche troppo, ed evidentemente, pensando a sua volta che gli sarebbe stato facile prendere il sopravvento, non si era preoccupato della tattica. Quando piegai semplicemente il capo da un lato per mandare a vuoto il colpo e gli piantai con tutto il mio peso un sinistro all'altezza dello sterno, informandolo con questo che anch'io sapevo l'abicì, diventò un altro uomo.
Nello spazio di un minuto, mi aveva piazzato tre colpi al torace e uno alla mascella, e io mi ero reso conto che, coi suoi otto o dieci chili in più, aveva su di me tutti i vantaggi, meno uno: cioè che lui era fuori di sé e io no.
Alcuni autisti si erano appoggiati al parafango di uno dei due tassì, e si godevano uno spettacolo fuori programma.
Sembrava che il marito avesse dei polmoni di misura extra. Non c'era un gong che annunziasse gli intervalli, e io cominciavo a desiderare di poter respirare per le orecchie, mentre lui non teneva nemmeno la bocca aperta. Come mi si fece incontro, gli dissi: "Anche se mi mandate a dormire mi sveglierò... e così farà lei... non tre ore insieme... tre giorni e tre notti... e sarà una cosa sublime...".
Col destro mi allungò un colpo alla testa tenendo il sinistro all'altezza dei fianchi. L'aveva già fatto prima e io ero stato più lento di un decimo di secondo. Il mio colpo migliore è un destro all'addome, il classico pugno alla milza che misuro portandovi dietro tutto il mio peso. Quando si valutano bene il tempo e la distanza, è quasi infallibile.
Questo arrivò in pieno. Non lo abbatté ma gli tagliò le gambe e, per un momento, gli paralizzò le braccia; gli fui sopra, martellandolo continuamente, col viso a meno di dieci centimetri dal suo, e, quando vidi che si era scoperto di nuovo, arretrai e gli misurai altri due pugni alla milza. Il secondo arrivò un po alto perché lui stava già cadendo.
Rimasi in piedi, coi pugni ancora chiusi, e mi accorsi che tremavo da capo a piedi. Sentii la voce di, uno degli autisti dire: "Che ragazzo! Ha lavorato come un dio. Gli ultimi due, mi è sembrato di sentirli arrivare."
Mi guardai intorno. Quell'isolato non era mai affollato e, a quell'ora, era deserto. Battendoci, non avevamo fatto molto rumore. Oltre agli autisti, non c'era un'anima.
"Dov'è la signora?" domandai.
"È scappata come una lepre, quando lui vi ha sbattuto contro la mia macchina" disse uno degli autisti accennando al pollice. "È andata da quella parte. Non vorrei litigare con voi. Accidenti, potreste fare il pugilatore professionista."
Stavo ancora cercando di riprendere fiato. Il marito si appoggiò su un gomito: evidentemente, voleva alzarsi. Mi rivolsi a lui: "Ehi, voi, maledetto insegui-mogli, vi avverto che nel momento stesso che vi rimettete in piedi ve ne do altrettanti, se non di più. Sapete chi abita in questa casa? Nero Wolfe. Stavo conducendola da lui per un affare. Adesso se ne è andata e, piuttosto che salire da solo, condurrò voi. Oltretutto, avete bisogno di una tazza di tè e di una buona spazzolata".
"È proprio vero? La stavate conducendo qui per vedere Nero Wolfe?"
"Sì."
"Allora sono davvero spiacente. Vi prego di scusarmi." Si alzò in piedi a fatica. "Quando si tratta di lei non so quel che mi faccio. Non ho voglia di, tè, gradirei una bibita forte, e vorrei darmi un'occhiata in uno specchio."
"Allora, avanti, salite per quella scala. So dove trovare uno specchio." Pilotai verso l'ufficio. Wolfe era dietro la sua scrivania. Ricevette il marito con una rapida occhiata, poi volse lo sguardo su di me e domandò: "Si può sapere cosa state combinando? È questa la giovane signora che ha cenato con voi?".
"Nossignore." Mi sentivo stanco, ma soddisfatto. "Questo è suo marito, il signor Harold Anthony che lavora in borsa, e ha fatto l'università. L'ha seguita da quando è uscita dal suo ufficio e ci ha pedinati sin qui, immaginando che ve la portassi per i vostri piaceri. Evidentemente, vi conosce di fama. Poi, sul marciapiede qui di fronte, ha mirato alla mia faccia e non l'ha colpita. Lui ha preso lezioni di pugilato, cosicché ho perso dieci minuti e anche più per sistemarlo, il che ho fatto con tre pugni alla milza. È caduto di schianto. È vero tutto questo, signor Anthony?"
"Sì."
Lo condussi verso il bagno.
"Ma dov'è la signora Anthony?" sbraitò Wolfe.
"È andata per i fatti suoi" gli comunicai dalla soglia del bagno. "Dovrete mortificare i vostri desideri, per stanotte. È andata a fare una passeggiata."
12
Poco lontano dalla scrivania di Wolfe c'è un'ampia poltrona di cuoio rosso, di fianco alla quale sta un solido tavolino di legno esotico, la cui funzione principale consiste nel servire da sostegno ai libretti degli assegni, mentre i clienti li firmano. Harold Anthony si sedette sulla poltrona, con la bottiglia di cognac al suo fianco, sul tavolino, e Wolfe se lo lavorò per più d'un'ora.
Il signor Anthony aveva una convinzione: il reparto merci della Naylor Kerr era una immonda cloaca d'iniquità e di lussuria dove gli appetiti primitivi germinavano come le gemme delle patate dolci.
Il signor Anthony deteneva un record: da quando era stato congedato, in novembre, aveva preso a pugni quattro diversi esemplari maschili, che aveva scoperto nell'atto di accompagnare sua moglie da qualche parte; uno di loro era finito all'ospedale con una mascella spezzata. Non sapeva se una delle vittime si chiamasse Wally o Moore.
Il signor Anthony aveva un alibi: aveva trascorso la notte del quattro dicembre in una sala da bigliardo con gli amici. Si erano lasciati alle undici e mezzo e lui era andato direttamente a casa. Quando Wolfe gli fece osservare che avrebbe avuto tutto il tempo per portarsi nella Trentanovesima Strada a investire Moore con un'automobile, ne convenne senza esitazione, ma osservò che non poteva aver preso quell'automobile, dal momento che era stata rubata prima delle undici e mezzo, ora in cui il proprietario, uscendo da teatro, era giunto al parcheggio e aveva scoperto il furto.
"Sembra che abbiate seguito i resoconti della morte di Moore con assiduità e interesse" commentò Wolfe. "Li avete letti sui giornali?"
"Sì."
"Perché ve ne siete occupato?"
"Perché i giornali riportavano le fotografie di Moore e io lo riconobbi come l'uomo che avevo visto con mia moglie, pochi giorni prima."
"Dove?"
"In Broadway, mentre prendeva un tassì."
"Gli parlaste?"
"Sì, gli dissi qualcosa, poi gli rinfrescai le idee."
"Ah, sì? Con quale procedimento?"
"Lo presi a pugni e portai via mia moglie"
"Avete fatto questo?" gridò Wolfe. "Cosa vi è successo al cervello? Vi si sta sciogliendo? Mi avevate detto di non sapere se qualcuno dei cavalieri di vostra moglie che avete malmenati si chiamava Moore!"
"Infatti." Il marito non sembrava affatto imbarazzato. "Perdinci, allora non immaginavo che voleste arrivare a questo."
Aveva veramente una doppia personalità. Seduto con un paio di uomini a bere del buon cognac era una persona equilibrata, sapeva il fatto suo. Se non fosse stato per il cerotto che aveva sulla guancia, avrei stentato a riconoscerlo per quella specie di alce maschio infuriato che aveva perso completamente il controllo di sé alla vista di una vicecapo-archivista che si faceva aiutare da me a scendere da un tassì.
Da principio, quando era tornato dalla stanza da bagno, era stato cupo e sospettoso finché non si era convinto che stavo accompagnando Rosa da Wolfe, per un affare. Poi, quando aveva saputo che l'affare era nientemeno che un'indagine sulla morte di Moore, ci aveva messo meno di un minuto per decidere che la migliore via da seguire era una completa e franca cooperazione, se voleva che l'aiutassimo a tener sua moglie il più lontano possibile da tutta la faccenda. Per lo meno, a me fece quest'impressione e, quando arrivammo al suo alibi del quattro dicembre, ero già sul punto di considerarlo un essere umano.
Ci lasciò verso le undici e un quarto, non perché la bottiglia fosse vuota o perché Wolfe avesse finito, ma perché arrivò Saul Panzer.
Feci entrare Saul e, mentre si avviava all'ufficio, il marito di Rosa uscì.
Saul Panzer era piccolo di statura, ma era il miglior agente avventizio di tutta New York. Era l'unico dei miei colleghi cui avrei affidato un assegno in bianco senza pensarci più. Era venuto a fare un rapporto, e, a giudicare dal tempo che impiegò a farlo, Wolfe doveva averlo chiamato e messo al lavoro quella mattina stessa, non appena ero uscito di casa.
Ma di quel rapporto si poteva solo dire che era lunghissimo: Saul aveva parlato con gli agenti che si erano occupati del "caso" Moore, aveva fatto passare le raccolte di tre giornali, si era fatto mostrare il rapporto del capitano Bowen e aveva persino parlato col proprietario dell'automobile, ma tutto ciò che aveva raccolto formava la più completa collezione di elementi negativi ch'io avessi mai vista. Non vi erano impronte digitali sull'automobile, nessuno sapeva dire che cosa fosse andato a fare Moore nella Trentanovesima Strada, nessuno, dopo il fatto, aveva visto la macchina fermarsi nella Novantacinquesima Strada. Non si era trovato il più piccolo indizio, da nessuna parte. La polizia sapeva dell'amicizia di Moore con la signora Pine, della sua carriera sentimentale alla Naylor Kerr e alcuni altri fatti che mi risultavano nuovi, ma nessuno portava luce sufficiente perché si potesse vedere qualcosa.
"C'è ancora una cosa" disse Saul che aveva l'aria di non essere troppo soddisfatto di sé. "Il corpo fu rinvenuto all'una e dieci del mattino. Il perito medico arrivò all'una e quarantadue. Appena lo vide giudicò che Moore fosse morto da due ore, e l'autopsia gli diede ragione. Così abbiamo tre alternative: prima, il corpo è rimasto sulla strada da mezzanotte all'una e dieci senza che nessuno lo vedesse; seconda, il rapporto del perito medico è sbagliato e la morte risaliva a un tempo relativamente breve; terza, il cadavere è rimasto in un altro posto per tutto il tempo intercorso tra l'ora della morte e quella del rinvenimento nella Trentanovesima Strada. Ho fatto questa osservazione all'ufficio di polizia, ma non hanno preso la cosa in considerazione. Si sono fissati sulla prima o sulla seconda ipotesi, a scelta, o forse su una combinazione di tutt'e due. È facile, dicono, che la Trentanovesima Strada, trovandosi tra la Prima e la Diciottesima Avenue, possa rimanere deserta dalla mezzanotte in poi." Allargò le braccia. "Potete pagarmi le spese e dimenticare tutto."
"Sciocchezze" ribatté Wolfe. "Non sono io che vi pago, è il cliente. Gli occhi di una tigre non possono far luce, Saul, possono solo rifletterla, e voi avete passato una giornata al buio. Ritornate domattina, forse avrò qualche consiglio da darvi."
Saul se ne andò.
"Credo che andrò a letto" feci io.
"Non ancora" obiettò Woffe. "Sono appena le dieci e mezzo. Domattina, dovete andare in ufficio e non mi avete ancora fatto il vostro rapporto. Avanti."
Si appoggiò all'indietro e chiuse gli occhi.
Tre ore più tardi, all'una e mezzo del mattino, eravamo ancora là e io stavo ancora tenendogli il mio rapporto. Mi chiese ancora: "Che ne pensate, voi?".
Tentai di sogghignare, ma non sono sicuro d'esserci riuscito.
"Credo" dissi "che il momento più emozionante di questo caso verrà tra un mese o poco più, quando dovremo decidere se smettere e mandare il conto, o tirare avanti ancora un po."
"Allora voi non pensate che Moore sia stato vittima di un delitto?"
"Non lo so. Ci sono, per lo meno, duecento persone che possono averlo ammazzato. Se una di esse l'ha fatto, e se c'è la possibilità di scoprire chi è stato, naturalmente ho i miei favoriti. Vi ho detto di Pine. Mi piacerebbe che fosse stato lui, perché fa sempre piacere scoprire un bluff. E se è stato lui, ha certamente tentato un bluff, assumendovi. Ma se è un individuo capace di tirarsi da parte quando sua moglie si mette a carezzare agnellini con due gambe, solo perché lei è la maggiore azionista della società che gli paga lo stipendio, a che cosa gli sarebbe servito commettere un delitto? D'altra parte, lei aveva già dato il benservito a Moore. Il mio favorito è Kerr Naylor."
"Davvero?"
"Sissignore. È una questione di psicologia. Aspettate fino a lunedì, quando lo conoscerete. Durante le sue ultime dieci reincarnazioni, è stato un gatto e detiene ancora il primato mondiale di gioco col topo. Aggiungete che gli assassini provano sempre l'istinto di confessare... e che cosa concludete? Sebbene il caso sia stato archiviato come investimento, l'autista colpevole non sia stato trovato, e vi siano ben poche probabilità che venga scoperto in avvenire, lui sente questo impulso e informa tutto il mondo, compreso il vicecommissario capo di polizia, che si tratta di un delitto. Questo soddisfa il suo istinto, non gli costa niente e, per di più, continua la tradizione dei suoi ascendenti felini. Figlioli, che razza! Eh sì, Naylor è il mio favorito!"
"Ne avete altri?"
"Una quantità: Dicherson, ad esempio, per l'onore della sezione; Rosenbaum, che è affezionatissimo alla signorina Livsey, per sottrarla a un Casanova da quattro soldi, e via di seguito. Ma questa è tutta teoria. Dovremmo venire a una conclusione qualsiasi, ma poi? Le onde del tempo hanno cancellato tutte le tracce e, come ho detto prima, tutto ciò che dovremo risolvere sarà la questione di quando ci toccherà piantarla e mandare il conto. La mia sola consolazione è che ci guadagnerò una moglie. Ho intenzione di far dimenticare Waldo alla signorina Livsey."
"Maledizione!" Wolfe cercò il proprio bicchiere e vide che era vuoto. Alzò la bottiglia di birra, vide che era vuota anche quella, e guardò l'una cosa e l'altra con ferocia. "Penso che sarà meglio andare a letto. Domani vorrei vedere la signora Pine. Potrebbe venire in mattinata, verso le undici, o subito dopo pranzo. Cercate di mettervi d'accordo per mezzo di Jasper Pine."
Il telefono suonò. Feci perno sulla sedia, senza mugolare, e alzai il ricevitore.
"Ufficio di Nero Wolfe; parla Archie Goodwin."
"Oh, il signor Goodwin? Mio marito mi ha parlato di voi. Sono Cecily Pine, la moglie di Jasper Pine."
"Dite pure, signora."
"Sono tornata ora da una cena dopo teatro, e mio marito mi ha parlato dell'inchiesta su Waldo Moore. Vorrei aiutarvi, se mi è possibile, e credo che queste non siano cose da rimandare. Ho deciso di venir subito da voi in automobile... Ho il vostro indirizzo."
"Credo che sia meglio rimandare a domani, signora Pine. È abbastanza tardi ora e il signor Wolfe..."
Ma Wolfe mi guastò ogni cosa. Ascoltava col suo apparecchio in derivazione, e ora s'intromise.
"Parla Wolfe, signora Pine; è molto meglio che veniate ora, un'ottima idea. Avete l'indirizzo, vero?"
13
Considerando quel che sapevo della signora Pine, non potevo credere ai miei occhi quando aprii la porta per farla entrare.
Quando mi trovai di fronte un viso roseo, liscio e rubicondo e un'intelaiatura da buona massaia di misura media, ricevetti un vero colpo.
"Voi siete Archie Goodwin" disse con una voce bassa e raffinata.
Lo ammisi. Mi fissava apertamente e fece anche un passo avanti per vedermi meglio.
"Che cosa vi è successo alla faccia?" domandò. "È tutta rossa e ammaccata!"
"Sì, lui sono azzuffato con un tale, e lui mi ha dato qualche pugno..."
Wolfe era in piedi, probabilmente si era alzato per stiracchiarsi. La signora Pine gli andò incontro per stringergli la mano, rifiutò la poltrona rossa perché preferiva le sedie dure, si lasciò aiutare da me a togliersi il mantello di visone platinato, o di zibellino argentato, o di quel che era, e infine si sedette.
"Volevate parlarmi, signora, vero?
La signora si voltò verso di lui.
"Sì" disse in tono stizzoso "disapprovo profondamente che mio marito vi abbia assunto per investigare sulla morte di Waldo Moore. A che cosa può servire?"
"Io certo non lo so. È una domanda che dovreste rivolgere a vostro marito. Se non vi piace che mi abbia assunto, ditegli di licenziarmi."
"Non posso, ho provato, ma si è dimostrato terribilmente testardo. Per questo son venuta da voi. Immagino che mio marito si sia impegnato a suo nome o abbia impegnato il nome della ditta. Se voi vi ritirate ora, non ci sarà nessuna difficoltà. Pagherò tutto quello che sarà necessario."
"E a che cosa servirà?" chiese Wolfe caparbiamente. "Vostro marito assumerebbe qualcun altro."
La signora Pine si voltò verso di me: "Che tipo è, Archie? È cocciuto come sembra?" Quell'"Archie" detto da lei sembrava perfettamente naturale.
"Dato il suo carattere" risposi "direi che questa è arrendevolezza."
"Santo cielo!" La signora Pine osservò Wolfe con interesse, ma senza dar segno di scoraggiamento, e riprese: "Immagino che sappiate che c'è stato un tempo in cui io e Waldo Moore eravamo molto amici"
Wolfe annuì. "Me l'ha detto il signor Goodwin. A quanto pare, la cosa è risaputa."
"Naturalmente. E non tento nemmeno di nasconderlo. Ma da questo a permettere che si sappia tutto e che se ne facciano pubbliche discussioni sui giornali ci corre. Vi par possibile, signor Wolfe, che io stia con le mani in mano?"
"Certo che no, signora" ribatté Wolfe sempre ostinato. "È chiarissimo che non avete intenzione di rimanere con le mani in mano. State già correndo ai ripari. Siete venuta a trovarmi alle due e mezzo del mattino. Tra l'altro, dovete aver rivolto la stessa domanda a vostro marito. Che cosa vi ha risposto?"
"Dice che la faccenda non diventerà di dominio pubblico. Dice che vuole soltanto far cessare i pettegolezzi in ufficio e impedire a mio fratello di farli ricominciare."
"Che cosa dice vostro fratello? Ne avete parlato con lui?"
Questo la toccò sul vivo. Poiché non mi era stato detto di prendere appunti, potevo dedicare tutta la mia attenzione al suo viso, e in quel momento, notai in lei il primo segno di vero interessamento.
Finalmente parlò: "Non so che cosa pensi esattamente mio fratello. Non ha voluto dirmelo, sebbene sia solito farlo. È un uomo molto... originale. Detesta mio marito e tutti i membri della direzione della ditta, escluso forse uno o due".
"Detesta anche voi?" brontolò Wolfe.
"No, no, assolutamente!"
"Allora, perché non la smette coi suoi vaneggiamenti sul delitto, se glielo chiedete voi?"
"Lui non..." Si fermò, poi riprese: "Mio fratello dice esattamente ciò che dice mio marito: che non c'è pericolo che la cosa diventi di pubblica ragione, ma a me non importa il loro parere; ho sempre creduto giusto far tutto il possibile per evitare i rischi inutili. Se mio marito e mio fratello contano di comportarsi come bambocci viziati facendo, secondo me, la figura degli idioti, è necessario che prenda le cose in mano io". Mi guardò e diventò subito un'altra persona. "Mi pare un po freschino qui, Archie, volete darmi la mia pelliccia?"
Gliela drappeggiai attorno alle spalle, poi alzai di un punto il termosifone elettrico. Lei mi sorrise per ringraziarmi e tornò ad occuparsi di Wolfe.
"Ho pensato che la miglior cosa fosse trattare direttamente con voi. Forse avete ragione: se abbandonate il lavoro, come vi ho chiesto, mio marito assumerà qualcun altro. Allora, perché non gli lasciamo ottenere ciò che vuole? Sembra che gli faccia piacere che voi investighiate, e pare che ci tenga anche mio fratello. Dunque, perché no? Voi sarete pagato come avete stabilito e, in più, vi darò un mio assegno personale. Non potrete dire che vi pago per non far niente, perché vi chiedo solo la garanzia che sulle vostre indagini non sarà fatta pubblicità. L'assegno potrà essere di... diecimila dollari?"
Wolfe scosse il capo.
"Per l'amor del cielo" mormorò. "Vi rendete conto che state offrendomi di pagarmi per mantenere un segreto?"
Lei fece tanto d'occhi.
"Ma no! Che segreto?"
"Non lo so, per ora. Ma vostro marito, o la sua ditta, della quale voi siete la più importante azionista, mi pagano perché io scopra qualcosa, e voi volete pagarmi per nasconderla, se e quando la scoprirò. Voi chiamate idioti vostro marito e vostra fratello, ma come chiamate voi stessa? Mi offrite diecimila dollari e ritenete che io sappia fare il doppio gioco. Se ne fossi capace, perché dovrei fermarmi qui? Perché non chiedervi centomila dollari, perché non un milione? Signora, voi mancate di senso comune."
Lei ignorò il complimento e si concentrò sul lato logico della faccenda.
"È una sciocchezza" disse con ironia. "Credete che sarei venuta a farvi quest'offerta se non avessi conosciuto la vostra reputazione? Se lo faceste, sarebbe un ricatto, e voi non siete un farabutto."
Wolfe rimase senza parole, il che prova che conosceva le donne assai meno degli uomini.
Vedendo che c'era disparità di opinioni e scarsissima possibilità di accordo, m'intromisi: "Signora Pine, credetemi, è inutile. Non ne farete niente. Non potete né corromperlo né minacciarlo".
Mi fissò, ed era evidente che non ero più Archie per lei, o almeno, non lo ero in quel momento.
"Non ho tentato di minacciarlo."
"So che non l'avete fatto, l'ho detto per preavvisarvi."
Lei guardò Wolfe, poi tornò a guardare me.
"Ma..." stava studiando un'idea. "Ma sarebbe possibile fargli ritirare la licenza. Con le tasse che pago e la gente che conosco, potrei riuscirci. Un detective non deve avere la licenza?"
"Certo che deve avere una licenza. Anch'io l'ho, per esempio. Potete tentare questo gioco, Alice, ma dubito molto che arriviate a fare qualcosa."
"Mi chiamo Cecily."
"Lo so, ma io intendevo Alice nel Paese delle Meraviglie. Me la fate ricordare."
"È un libro splendido; l'ho riletto ultimamente. Voi due siete soci?"
"No, io lavoro per lui."
"Non vedo perché. Non capisco come lo possiate sopportare. Quanto verrebbe a costarvi ad aprire un ufficio per vostro conto?"
"Pfui" interruppe Wolfe, "queste sono corbellerie. Se faceste un minimo sforzo, signora, vi accorgereste che sono un tipo molto ragionevole. Volete un consiglio?"
"Non so" ribatté lei con aria ragionevole. "Ditemi prima che cos'è."
"È questo: voi non otterrete mai niente con le chiacchiere, né dal signor Goodwin né da me. Comunque, anche se io accettassi la vostra ridicola offerta, potrebbe darsi che sprecaste il vostro danaro. Le vostre supposizioni possono essere errate. Evidentemente, pensate che, se io faccio un'indagine come si deve sulla morte di Moore, è certo, o almeno molto probabile, che ne nasca uno scandalo. Perché ne siete tanto sicura?"
Lo guardò con ammirazione.
"Siete astuto" disse generosamente. "Se io ne fossi veramente sicura e vi dicessi il perché, sarebbe un grande aiuto per voi. Ma non sono affatto sicura."
"Pensate anche voi, come vostro fratello, che Moore sia stato assassinato?"
"No, è stato un incidente."
"Avete visto il signor Moore il giorno in cui venne ucciso?"
"No, non lo vedevo da mesi."
Rise e fu una risata veramente sincera.
"Doveva sposarsi! Con una ragazza dell'ufficio, che si chiama Livsey, Hester Livsey. Mi telefonò un giorno per dirmelo. Naturalmente, voi non capite come tutto ciò fosse grottesco perché non lo conoscevate."
"Gli consigliaste di non sposarsi?"
"Cielo, no! Non sarebbe servito a niente. Se avessi conosciuto la ragazza avrei potuto dare a lei dei consigli, ma non certo a Waldo!" La signora Pine si voltò verso di me. "È un suo sistema, Archie? Ha detto che voleva darmi un consiglio, e ora mi sta sottoponendo a un vero e proprio interrogatorio."
"Sì, ma non lo fa apposta: il suo cervello è lanciato sulla traccia."
"Il mio consiglio" disse Wolfe ignorandomi, "è di genere contingente. Non è buono, a meno che non mi abbiate detto la verità. Se siete a conoscenza dei fatti la cui scoperta può provocare uno scandalo, e se volete solo essere certa che non sarà fatta pubblicità, perché non vi affidate alla mia discrezione? Perché non mi aiutate? Il nocciolo della questione sta nella caparbietà di vostro fratello, in quel suo ostinarsi nell'idea del delitto, o almeno nella parola. Perché non ci aiutate per quel che lo riguarda? Perché non cominciate, in questo momento stesso, a parlarcene? Ad esempio, ho saputo che gli chiedeste di dare un impiego al signor Moore. Non fece nessuna obiezione?"
Fu un tentativo abile, ma andò a vuoto. Sembrava che Wolfe non avesse notato che la signora Pine detestava di parlare di suo fratello, ma non credo, perché di solito si accorge sempre di tutto. Ad ogni modo fu un buco nell'acqua. La signora Pine non troncò bruscamente il colloquio, anzi, sembrava che volesse rimanere a chiacchierare tutta la notte, ma non aveva la minima intenzione di fornirci una biografia di suo fratello. La più concreta affermazione che ci riuscì di cavarle fu che suo fratello era un tipo originale, ma questo lo aveva già detto e, in una maniera o nell'altra, ce ne eravamo già accorti.
Finalmente, Wolfe afferrò il bordo della sua scrivania, spinse indietro la sedia e si alzò. Anche la signora Pine si alzò e io l'aiutai ad infilare la pelliccia.
Nell'atrio, mentre avevo già la mano sul pomo della porta di strada, la signora si fermò in un punto dove non potevo aprire la porta senza sbattergliela sul naso, e mi disse con simpatia: "Non mi avete detto quanto vi occorrerebbe per metter su un ufficio per conto vostro"
"È vero. Ci penserò."
"Vi piacciono i concerti sinfonici?"
"Sì. A volte, quando posso starmene sdraiato, li ascolto per radio."
Rise.
"D'altra parte, siamo quasi in aprile. Qual è lo sport da voi preferito? Il canottaggio, il golf, il baseball?"
"Il baseball. Ci vado tutte le volte che mi è possibile."
"Vi manderò i biglietti per la stagione. In confidenza, Archie, credo che mio fratello sia pazzo. Non riferite al signor Wolfe che ve l'ho detto."
"Non gli dico mai niente."
"Allora, questo è il nostro primo segreto. Buona notte."
Dopo averla accompagnata all'automobile, rientrando dicevo tra me che non dovevo dimenticare di telefonare a Lon Cohen, in mattinata, per informarlo che, ormai, l'affare era fatto, ma che del dieci per cento non se ne faceva più niente, perché il mio successo si basava esclusivamente sul mio fascino personale.
14
L'indomani mattina, giovedì, nel salone del reparto merci, trovai un'aria diversa, per ciò che mi riguardava. Ogni volta che mi mostravo per andare in qualche posto, il cambiamento era chiaro, visibile e palpabile. Il mercoledì mattina non ero che un nuovo maschio da osservare e catalogare, nonché un intruso che, probabilmente, avrebbe guardato le care fanciullette solo come unità del personale, il giovedì mattina ero un detective alla caccia di un assassino.
I minuzzoli di tabacco nel raccoglitore non erano stati mossi. Non fu una grande delusione, perché non immaginavo che qualcuno del personale avesse avuto voglia di farlo, e lasciai tutto come stava. Alle dieci telefonai al signor Pine, gli riferii l'episodio dei coniugi Anthony, e soggiunsi: "Vostra moglie è venuta a trovarci, ieri sera."
"Lo so" disse, e lasciò cadere il discorso. Evidentemente era inutile che chiedesse che cosa aveva detto sua moglie perché lei doveva avergli già riferito ogni cosa. Quando lo informai che tutto l'ufficio mi aveva classificato come un segugio, rispose che, in quel caso, era bene ch'io agissi come tale, e mi sguinzagliò sulla pista.
La mia prima corsa, però, fu interamente fuori pista: andai alla "Gazette" da Lon Cohen al quale avevo telefonato in precedenza.
Non solo m'incuriosiva l'atteggiamento di Pine verso le tendenze protettive di sua moglie, ma volevo anche sapere qualcosa di preciso su lei e su Moore. Desideravo un rendiconto circostanziato il più possibile, e me ne andai soddisfatto di averlo ottenuto, dopo una lunga discussione con Lon e una chiacchierata con due cacciatori di notizie.
Non c'era da scegliere. Evidentemente Pine, anni prima, era diventato un seguace del credo filosofico che considera le abitudini private della moglie non di competenza del marito, e, in ogni caso, le giudica innocue. La signora Pine, per parte sua, si era completamente disinteressata di Moore, se non per trovargli un impiego, fin dai primi mesi del 1946. Altrimenti si sarebbe dovuto pensare che i ragazzi della "Gazette" vivessero nel mondo della luna, il che non mi sembrava molto probabile.
Li invitai a pranzo da Pietro e tornai a William Street. Nel mio ufficio, nessuna novità: non c'erano messaggi da parte di Wolfe, né di Pine e nemmeno da parte di Kerr Naylor. Il cassetto del mobile d'archivio non era stato toccato. Ero ancora senza una traccia precisa e potevo seguire la direzione che volevo: l'ufficio della signorina Livsey, sul lato opposto del salone, era una direzione come tante altre.
La porta era aperta e lei era in ufficio intenta a scrivere a macchina. Entrai, chiusi la porta e mi lasciai cadere su una sedia.
"Che ne pensate di Rosa Bendini?"
"Che cosa vi siete fatto sulla faccia?" chiese lei di rimando, fissandomi meravigliatissima.
"Potrei pensare che state tentando di cambiare discorso; ma non è vero. C'è un collegamento. È stato il marito di Rosa a decorarmi il viso in questo modo. Che cosa pensate di lei, in un migliaio di parole?"
"Che cosa avete detto: Rosa Bendini?"
"Così, siete voi che fate domande a me. Benissimo. Rosa chiama Moore: Wally. Dice che lui non ha mai avuto la minima intenzione di sposarvi e che voi siete diventata letteralmente matta - sono parole sue - quando avete scoperto che la frequentava ancora, e che non siete mai più tornata in voi. Devo dire che non credo a tutto quel che ho udito, perché, altrimenti, dovreste essere ancora pazza e in questo caso voto senz'altro per il no."
"Avreste dovuto chiedermi un elenco dei più esperti pettegoli della città: Rosa sarebbe stata in cima alla lista, ma l'avete trovata da solo."
Avrei potuto dirle tante cose: ad esempio che era stata Rosa a pescare me, e non io lei, ma risparmiai fiato e me ne andai.
Ormai, era già trascorsa metà della giornata e non avevo ancora incominciato a lavorare sui nomi che avevo saputo da Rosa. Tornai nel mio ufficio, chiamai al telefono il capo personale di riserva, dissi che avrei voluto parlare con la signorina Gwynne Ferris, della sua sezione, e gli chiesi di mandarla da me. Lui rispose che era spiacente: la signorina Ferris, in quel momento, era occupata a scrivere lettere per un caposezione la cui segretaria era assente. Non avrei potuto attendere più tardi?
Gli dissi che qualsiasi momento di loro gradimento andava benissimo e riappesi il ricevitore. Mi accorsi, allora, che qualcuno oscurava il vano della porta. Il nuovo venuto era un giovanotto alto e magro, con una quantità di capelli arruffati che avrebbero avuto molto bisogno d'una buona pettinata e forse anche delle forbici di un barbiere.
Aveva l'aspetto del poeta che sta cercando di penetrare nelle intime membra di qualcosa e poiché i suoi occhi, senza possibilità d'errore, erano fissi su di me, il "qualcosa" da sviscerare, evidentemente, ero io.
"Posso entrare, signor Truett?" chiese con una voce rombante come un tuono al limite dell'orizzonte. "Sono Ben Frenkel, Benjamin Frenkel. Ho saputo che state cercando chi ha ucciso Waldo Moore."
Dunque, se non ero riuscito a pescare Gwynne Ferris, avevo ottenuto quanto di meglio c'era nella lista; il passionale giovanotto che era stato adescato e tenuto a bada da Gwynne finché non aveva capito che aria tirava.
Dovetti concentrarmi per evitare i suoi occhi, ma avevo l'impressione che mi attraversasse con lo sguardo fino a vedere fuori dalla finestra alle mie spalle.
"Io non metterei le cose in questo modo, signor Frenkel, ma se lo dite voi..."
Mi sorrise con dolce tristezza.
"Va bene così per ciò che intendo" affermò. Non mi aspetto che vogliate compromettervi, signor Truett. Sono venuto da voi molte volte, dacché ho saputo perché siete qui, ma non vi ho mai trovato in ufficio. Volevo dirvi che sono ossessionato dall'idea di aver ucciso Moore. Ho avuto quest'impressione fin dalla notte del delitto, o almeno dal giorno seguente."
S'interruppe. Io dondolai il capo con aria incoraggiante.
"Tocca ancora a voi, signor Frenkel. Quel che mi avete detto è troppo vago. È proprio solo un'impressione, o avete qualche base solida per affermarlo?"
"Nulla di convincente, temo."
Trasse un profondo sospiro.
"L'odio che provavo per Waldo Moore" cominciò "era uno dei più forti sentimenti che io abbia mai provato in via mia. Forse il più forte. Non ve ne dirò le ragioni perché non ho il diritto di fare il nome di un'altra persona. Credo che nessuno abbia mai odiato un suo simile come io odiavo Moore. Ecco perché, come conseguenza, fui ossessionato dal pensiero della morte di Moore, e ci pensavo a lungo, continuamente, in termini precisi e concreti. La visione di un'automobile che lo investiva e gli toglieva la vita mi si presentò molte volte, non so quante, ma senz'altro parecchie."
"Non è stata una visione a investirlo, è stata una "due posti""
"Certo. Non sto cercando di farvi credere qualcosa di soprannaturale. Io vivo in una stanza ammobiliata nella Novantaquattresima Strada vicino alla Broadway. Una sera ero seduto nella mia camera e la visione di cui vi ho parlato dominava i miei pensieri. Era, come sempre, una esperienza debilitante. Mi doleva il capo e mi buttai sul letto."
Cominciavo ad annoiarmi... "Poi vi siete addormentato e avete sognato..."
"No, mi sono addormentato, ma non ho sognato. Cioè, sono stato sopraffatto dall'impressione di aver dormito. Ma al mattino, leggendo sui giornali la notizia della morte di Moore, improvvisamente fui dominato, completamente dominato, dall'impressione di averlo ucciso. Naturalmente, fu un'esperienza che mi sconvolse al massimo grado. Una circostanza insignificante, poi, contribuì, più di ogni altra, a far nascere in me questa impressione: l'automobile che lo aveva investito era stata trovata ferma nella Novantacinquesima Strada, a un isolato di distanza dalla mia abitazione."
"Pensateci meglio, signor Frenkel. L'automobile fu ritrovata soltanto verso mezzogiorno, quindi è impossibile che il fatto sia stato riportato nei giornali del mattino."
Rimase sconcertato.
"Non avete mai confidato a nessuno la vostra impressione di aver ucciso Moore?"
"Mai. Quando la polizia stava svolgendo le indagini, subito dopo il fatto, un investigatore venne da me e mi domandò se ero uscito a passeggio a sera avanzata, se non avevo notato nessuno parcheggiare un'automobile nella Novantacinquesima Strada. Naturalmente s'interessava di me perché abitavo a un solo isolato di distanza. Quel poliziotto m'interrogò anche a proposito di certe... a proposito delle mie relazioni personali con Moore. Gli dissi francamente che lo odiavo."
"Ma non gli parlaste della vostra impressione?"
"No, perché avrei dovuto farlo?"
"Non dovevate infatti. Perché, anzi, ne parlate a me?"
"È molto difficile a spiegarsi" disse in tono addolorato. "Può sembrare stupido, ma quando seppi che stavate svolgendo indagini sulla morte di Moore cominciai a sperare vagamente che, se vi avessi detto tutto, sareste riuscito a mettere le cose in chiaro. Siete un investigatore e sapete come fare: forse, interrogando la padrona di casa e l'altra gente del luogo, potreste stabilire definitivamente che quella notte non ho lasciato la mia camera." Sembrava incerto. "Forse, potreste sollevarmi lo spirito. Forse, mi potreste dire se il signor Naylor ha fatto nomi a proposito di quel pazzo rapporto che ha mandato al signor Pine. Ha citato il mio, in particolare?"
Non mi annoiavo più, ma se i miei occhi mostrarono qualche luce di interessamento, fu certo contro la mia volontà.
"Be" dissi con aria distratta "naturalmente, sono stati fatti moltissimi nomi. Avete qualche motivo per credere che il signor Naylor dovesse prestare un'attenzione speciale proprio a voi?"
"No, non è che io abbia delle buone ragioni." Si sporse in avanti. Evidentemente si era ripreso poiché stava trivellandomi di nuovo con lo sguardo.
"Le cose stanno così, signor Truett. L'impressione di aver ucciso un uomo è l'elemento dominante del mio processo mentale da circa quattro mesi. È vitale per me, assolutamente vitale, convalidare o distruggere questa impressione, nel minor tempo possibile. Vorrei andare dal signor Naylor per..."
La porta si aprì e Kerr Naylor entrò.
La vista del volto incolore di Naylor e dei suoi occhi scintillanti e sbiaditi destò il mio istinto di protezione non solo in favore di Frenkel, ma dell'intero reparto merci. Mentre Frenkel all'apparire del nuovo venuto si alzava con eccessiva precipitazione, disse a Naylor: "Buon giorno. Non vi ho visto oggi. Stavo parlando col signor Frenkel del personale di questa sezione. Penso che...".
"Non è lui il caposezione" interruppe acidamente Naylor.
"Già, ma, lavorando come esperto del personale, ho scoperto che, tante volte, si ottiene di più da un collaboratore che da un capo. Desiderate qualcosa?"
"Potete finire più tardi con Frenkel."
"Certo" dissi cortesemente "ma mi pare che Frenkel volesse domandarvi qualcosa a proposito di una questione che era sorta..."
Senonché, Frenkel non ci teneva molto: infatti stava già affrettandosi verso la porta, scomparendo.
"Li fate saltare tutti come tanti merli" dissi con rispettosa ammirazione. "Anche i tipi grandi e grossi come Frenkel, che potrebbero buttarvi a terra con una mano."
Naylor sorrise, con quel suo sorriso formato ridotto.
"A lui sarebbe piaciuto farlo, oh sì, Frenkel ci proverebbe gusto a malmenarmi."
"Perché? C'è una ragione particolare?"
"Vedete, Frenkel pensa che io abbia ostacolato la sua promozione, in gennaio." Poi trasse di tasca un opuscoletto.
Lo presi. Il titolo sulla copertina diceva: Enzimi e Proteine. Visto che voleva attaccarmi un bottone su quell'argomento, gli dissi che ero desolato, ma che avevo un appuntamento ed ero già in ritardo. Volle sapere con chi. Gli dissi il primo nome che mi venne in mente: Summer Hoff. Annuì, alzandosi dalla sedia.
"Ah, è uno dei nostri migliori elementi, un ottimo ingegnere e un bravo organizzatore. È veramente un peccato che stia mettendo a repentaglio la sua carriera per colpa della Livsey. Gli era capitata l'occasione di andare in Brasile e di assumere laggiù un incarico per la ditta, ma non ha voluto partire per via di quella ragazza. Sapete dov'è la stanza di Hoff?"
"La troverò."
"Venite con me. È vicino alla mia, ve la mostrerò."
Percorremmo l'ampio corridoio che separava il salone dalle file degli uffici e, quando fummo quasi in fondo, Naylor si fermò di fronte a una porta chiusa.
"Questa è la stanza di Hoff" annunziò. "A proposito, c'è qualcosa che quasi mi dimenticavo di comunicarvi. Ieri vi ho detto che, riguardo all'assassinio di Waldo Moore, potevo fornirvi solo il fatto nudo e crudo. Non era completamente vero e poteva mettervi su una falsa via. Sono in possesso di un altro elemento: il nome della persona che lo ha ucciso. So chi è stato, però non posso dire di più. Non è né corretto né conveniente accusare una persona di omicidio, senza una prova che giustifichi l'accusa. Così, tutto ciò che posso dirvi è questo..."
Mi sorrise... "Dite al signor Wolfe che mi dispiace tanto."
Girò sui tacchi, mi voltò le spalle e si diresse al suo ufficio in fondo al corridoio.
Il mio primo impulso fu di seguirlo, ma mi soffermai a pensarci su. Aveva fatto le cose con stile, col suo solito stile, aspettando a sbattermi in faccia quel po po di roba quando eravamo proprio davanti all'ufficio, con la prima fila di scrivanie così vicina che mi sarebbe bastato fare un passo per toccare la spalla rivestita di rayon di una bellezza brunochiomata che usava rossetto color rosso-magenta. Ora che il gran capo se ne era andato, la bella mi stava osservando e così facevano tutte le altre che potevano godere una buona prospettiva del fiero segugio. Dedicai loro un sorriso collettivo e, decidendo di non seguire Naylor perché non ero sicuro di potermi trattenere dallo strangolarlo, aprii la porta dell'ufficio di Hoff ed entrai.
Lui alzò gli occhi, mi fissò un momento e tuonò: "Fuori di qui!" Mi sarei aspettato che l'uomo che aveva dato un pugno alla mascella a Moore per ragioni sentimentali e che, per di più, era ingegnere civile, fosse bello e ben fatto, invece niente. Era già piuttosto pesante. Mi accostai alla scrivania proponendo ragionevolmente: "Lo farò se mi direte il perché."
"Uscite di qui, maledetto spione. E state alla larga!"
Ero là perché avevo detto a Naylor, sull'ispirazione del momento, che avevo un appuntamento con lui. Non avrei voluto perdere l'opportunità di fare un'osservazione tagliente (anzi due o tre mi erano già venute alla labbra tutte insieme), ma la sua faccia diceva chiaramente che lui aspettava soltanto che io tentassi di rimanere per poter aggiungere qualche osservazione sua personale. Perciò, girai i tacchi e me ne andai, battendolo al suo stesso gioco.
Nel mio ufficio, rimasi in piedi vicino alla finestra, studiando da capo a fondo l'ultima carta che Naylor aveva giocata. Mi venne in mente di uscire e di cercare una cabina telefonica per chiamare Wolfe, ma erano le quattro passate, lui sarebbe rimasto nella serra fino alle sei e non c'era cosa che gli facesse meno piacere di dover usare il proprio cervello quando era a colloquio con le orchidee. Così, scartato questo programma, infilai della carte nella macchina da scrivere, battei la stessa intestazione che avevo scritto il giorno prima sul rapporto alla Naylor Kerr, e scrissi:
"Il signor Naylor è venuto nel mio ufficio alle 3,24 pomeridiane. Ha parlato di cose senza interesse, poi improvvisamente ha dichiarato di sapere chi ha ucciso Waldo Moore. Afferma che non può dir altro perché non è corretto né conveniente accusare una persona di omicidio, senza una prova che giustifichi l'accusa. Mi ha incaricato di esprimere al signor Wolfe il suo rincrescimento. Avrei voluto tentare di convincerlo a non attendere fino a lunedì per andare dal signor Wolfe, ma lui era ritornato nel suo ufficio e, in vista del suo atteggiamento e dei suoi modi, ho pensato che sarebbe stato inutile seguirlo."
Avevo da aggiungere un paio di paragrafi che riguardavano Ben Frenkel e Sumner Hoff, tanto da riempire la pagina, ma mi pareva un po poco, per un'intera giornata di lavoro. Avevo fatto una seconda copia a carbone del rapporto sempre nella speranza che qualcuno fosse tanto curioso o tanto spaventato da cercare di spiare nelle mie carte. Misi anche questa copia sopra le altre, nel terzo raccoglitore a cominciare dall'alto e disposi i minuzzoli di tabacco al solito posto. Quando terminai erano le quattro e mezzo. Raggiunsi il trentaseiesimo piano con l'ascensore e dissi alla signorina Abrams che non avevo appuntamento con Pine, ma che avrei desiderato vederla un momento per dargli qualcosa. Mi rispose che era in riunione e che non sarebbe stato libero per un'ora e anche più. Pensai che se Pine si fidava di lei potevo fidarmi anch'io; mi feci dare una busta, vi chiusi il rapporto e glielo lasciai perché lo consegnasse al presidente. Mentre tornavo al reparto merci, mi venne un'idea luminosa. Non avevo ancora visto Gwynne Ferris. Se una unità del personale poteva tendermi un agguato il mercoledì, perché non potevo restituire il complimento, il giovedì? Non appostandomi, ma seguendo la burocrazia. Volevo vederla prima di decidere se dovevo invitarla da Rusteman o condurla a casa con me a far lavorare un po anche Wolfe.
Ma non riuscii a vederla. Il capo del personale di riserva si mostrò spiacente, ma la signorina Ferris aveva tanto lavoro straordinario, che era costretta a rimanere dopo l'orario di chiusura.
Wolfe leggeva tre libri alla volta. L'aveva sempre fatto, dacché ero con lui, e a me seccava perché mi pareva un'ostentazione.
Prima di cena gli avevo riferito tutti gli avvenimenti della giornata e poteva anche darsi che mi avesse ascoltato, ma non aveva fatto né una domanda né un commento.
Seduto alla mia scrivania, lucidavo e oliavo il mio arsenale: due rivoltelle e un fucile mitragliatore. Gli chiesi rispettosamente: "Dov'è Saul?"
"Saul?" Si sarebbe detto che cercasse di stabilire se alludevo al Saul della Bibbia o a un altro. "Oh, mi sembrava inutile sprecare il danaro dei clienti. Perché, ne avete bisogno? Credo che stia lavorando a un caso di falsificazione per il signor Bascom."
"Così, io sto facendo un "a solo" Posso andare a dormire, o ci tenete a dar l'impressione che entrambi guadagniamo del denaro?"
Depose il libro.
"Archie! Non ho nessuna intenzione di mettermi a riordinare un caos. Per ora, questo "caos" è incomprensibile come il vocio della torre di Babele. Probabilmente ne sapremo molto di più dopo che avrò parlato con il signor Naylor, lunedì sera."
15
Alle nove e trentacinque del mattino seguente, venerdì, stavo davanti al mobiletto d'archivio della mia stanza, nel reparto merci della Naylor Kerr, fissando il cassetto aperto con autentica soddisfazione. Non solo i minuzzoli di tabacco erano spariti, ma il bordo del rapporto di giovedì era un centimetro buono più sotto del rapporto di mercoledì, mentre io li avevo lasciati perfettamente pari. Assaporai la mia soddisfazione per qualche secondo, poi sentii il desiderio di prendermi a calci. Giovedì avevo portato con me tutti gli accessori, ma poi li avevo riportati a casa perché non volevo che restassero in giro, ed ora li avevo lasciati a casa; questa dimenticanza mi costò altri quaranta minuti. Chiusi il cassetto e girai la chiave. Fuori, trovai subito un tassì e volai alla Trentacinquesima Strada. Entrai in casa e ne uscii quasi immediatamente, senza incontrare Wolfe, poiché le ore della mattinata dedicate ai fiori erano dalle nove alle undici. Il tassì mi attendeva e tornai di corsa a William Street.
Poiché vigeva l'abitudine di entrare senza bussare avrei voluto chiudere l'uscio dell'ufficio, ma la chiave non c'era; così mi barricai spingendo la scrivania contro la porta. Trasportai con amorosa cura i raccoglitori sul tavolo, aprii la busta degli accessori e mi misi al lavoro.
Era come cogliere frutta da un albero stracarico. Anche un ragazzino avrebbe mietuto facilmente tutto quel ben di Dio. In venti minuti ero in possesso di tre dozzine di esemplari, alcuni sulla parte lucida del primo raccoglitore, altri sul secondo, in numero maggiore sul terzo e una vera collezione sui fogli dei due rapporti.
Ora, avrei dovuto procurarmi dell'altro materiale, possibilmente all'ingrosso, e mettermi a rilevare le impronte digitali di tutto il personale di quel piano. Ammettendo che tutti volessero collaborare, se avessi dovuto far tutto da me ne avrei avuto per quattro o cinque giornate lavorative di almeno otto ore. Troppo tempo. Cercai il telefono, che avevo deposto sul pavimento quando avevo spostato la scrivania, e chiesi di parlare col signor Pine.
Mi ci volle un po per averlo al telefono. Quando fu in linea, dissi: "Ho bisogno di chiedervi una cosa che non vorrei domandare a nessun'altro. So che alcune grandi ditte hanno adottato il sistema di prendere le impronte digitali dei loro dipendenti. Lo avete fatto anche voi?"
"Sì, abbiamo cominciato durante la guerra. Perché?"
"Dovreste permettermi di dare un'occhiata all'archivio delle impronte."
"Perché?"
"Qualcuno è andato a curiosare nel mio ufficio e ha ficcato il naso tra le mie carte: vorrei sapere chi è stato."
"Mi sembra un po eccessivo, no? Oh, a proposito, ho ricevuto il vostro rapporto. Sarà discusso oggi, nel pomeriggio, durante una riunione di alcuni dirigenti. E il signor Hoff ha insistito per vedermi. Se n'è andato pochi minuti fa. Dice che la vostra presenza demoralizza tutto il reparto merci. Accidenti, vi assicuro che avrei voglia di investire il signor Naylor con un'automobile. Forse, sarebbe bene che aveste un colloquio col signor Hoff, voglia o non voglia."
"Ne sarò felicissimo. E per le impronte che cosa decidete?"
"Fate pure, se pensate che ne valga la pena. Andate dal signor Cushing e ditegli che vi ho dato il permesso."
Il signor Cushing era il vicepresidente aggiunto che mi aveva presentato a tutti quando avevo cominciato a lavorare. Lo chiamai al telefono. Ci si poteva aspettare che mostrasse una certa curiosità, vedendo un esperto del personale interessarsi di impronte digitali; ma non fece una piega. Evidentemente, la notizia della mia vera identità aveva oltrepassato le soglie del reparto merci. Si mostrò ansioso di compiacermi fino al punto di mandarmi un ragazzo con una scatola di cartone e della carta telata perché potessi trasportare senza danni i miei esemplari. I cartellini con le impronte digitali erano archiviati entro una scansia chiusa a chiave in una stanza del trentaseiesimo piano.
Non mi lasciarono mai solo con le schedine. Una donna di mezza età rimase sempre a meno di due metri da me.
Sapevo quel che facevo, ma non ero un esperto e dovevo andar piano per non sbagliarmi e non dover ricominciare da capo. Avevo il vantaggio di possedere una vasta collezione di esemplari perfetti, ma, anche così, la via da percorrere era lunga.
Erano le quattro passate quando suonai il campanello. Forse emisi un mugolio di soddisfazione o i miei modi mi tradirono, fatto sta che la donna venne al mio fianco e chiese: "Avete trovato quel che cercavate, vero?".
Per non sprecare una bugia, le dissi di sì, ma potevo farlo perché coprivo con la mano il nome sulla schedina. Quando si allontanò, riposi il cartoncino nell'archivio, chiusi il cassetto e collocai il materiale nella scatola con la carta telata. Dopo di che ritornai nel mio ufficio al trentaquattresimo piano con la scatola sotto il braccio. Deposi il fardello tra la finestra e la scrivania che avevo rimessa al solito posto, chiamai al telefono il capo del personale di riserva e gli chiesi: "E la signorina Ferris? posso vederla ora?".
"Temo di no" rispose in tono di scusa. "Sono davvero spiacente, signor Truett, ma ha ancora moltissimo..."
"Scusatemi tanto, sono spiacente anch'io, ma ormai ne ho avuto abbastanza. È la terza volta che la chiamo e, se devo essere costretto ad andare dal signor Naylor o dal signor Pine..."
"Ma no! Senz'altro no! Certamente no! Non sapevo che fosse una cosa tanto importante!"
Dopo un poco la ragazza entrò, richiuse l'uscio alle sue spalle e mi si avvicinò. Rimasi sbalordito. Lei domandò con voce musicale: "Avevate bisogno di me?".
Era la nemica dell'ortografia che aveva appoggiato una deliziosa manina sul mio ginocchio quando ero alla Naylor Kerr da meno di un'ora.
16
Dopo il primo stupore le dissi: "Lì c'è una sedia: SE-D-I-A. Accomodatevi pure: P-U-RE."
Lo fece con grazia, senza dimenarsi, accavallò le gambe, ponendole quasi parallele, nella classica posa del ventesimo secolo, diede la tiratina di prammatica all'orlo della gonna, riuscendo così a coprire una superficie di ginocchio delle dimensioni di un fiammifero; e sorrise, con le sue belle labbra rosse e con gli occhi azzurri e luminosi.
"Oggi è venerdì" dichiarai. "Dunque, è il quinto e ultimo giorno che passate qui, vero?"
"Ma..." sembrava imbarazzata.
"Io, per natura, sono magnanimo" continuai. "E non mi offendo se mi prendono un po in giro. Tutti i miei migliori amici sono dei buontemponi, me compreso. Parlando d'altro, dev'essere stato un bel colpo per voi, quando mi sono seduto improvvisamente al vostro tavolo tempestandovi di domande su Waldo Moore, se si considera che eravate stata... bene, non vorrei essere frainteso, dicendo che avevate una relazione: RE-L-A-Z-I-O-N-E."
"Smettetela di compitare" disse lei in tono molto meno musicale e niente affatto dolce. "Piuttosto, spiegatemi che cosa volete dire. Se intendete quel che penso io, è una bugia, e so chi ve l'ha detta."
"Provate. Chi è?"
"Hester Livsey, e voi le avete creduto! Non vi siete fermato a considerare il mio buon nome, il buon nome di una ragazza! Questo, per voi, non conta! Non conta, se lo ha detto Hester Livsey, perché lei è la segretaria di un caposezione e quindi non può mentire. Oh no! Che vi ha detto? Quali sono le sue precise parole?"
Scossi il capo. "Non avete colto nel segno. La signorina Livsey non vi ha neanche nominata e, comunque, io non credo affatto che la segretaria di un caposezione non dica mai bugie." Le rivolsi uno sguardo sincero. "Voi conoscevate Moore, vero?"
"Certo, tutti lo conoscevano. Era un bel miracolo, se una ragazza, di qualunque tipo, non faceva la sua conoscenza."
"Uscivate spesso con lui?"
"No, no... Mi ha portata un paio di volte al cinema, ed è stato tutto. Un'altra volta abbiamo fatto una gita a Long Island con la sua auto: abbiamo avuto un incidente e mi sono leggermente ferita. Naturalmente, tutti l'hanno saputo."
"Figurarsi... ma non eravate in intimità con lui?"
"Dio mio! Intimità? Ma niente affatto!"
"Quindi immagino che la sua morte non sia stata poi un gran colpo per voi."
"No, non me ne sono quasi accorta. Naturalmente, non dico di essere rimasta del tutto indifferente."
Assentii. "Anch'io sono come voi. Volete dire che sarebbe stato ben più grave se si fosse trattato della morte, ad esempio, di Ben Frenkel."
Alzò il mento di scatto.
"Chi ha nominato Ben Frenkel?" chiese in tono aggressivo. "Io, proprio ora. È venuto a trovarmi, ieri, e abbiamo parlato un po. Non è vostro amico?"
"Non intimo" mormorò lei, con diffidenza. "Perché? Ha detto che lo eravamo?"
"No, no, non è il tipo da fare una cosa simile. Mi servivo di lui come esempio per dimostrare come abbiate sentito poco la morte di Moore. Che cosa pensate di quel che si dice in giro, che Moore è stato assassinato?"
"Penso che è una cosa terribile e non ne voglio sentir parlare. I pettegolezzi sono tanto meschini!"
"Ma non vi interessavano? Non ne eravate curiosa? Penso che le donne intelligenti dovrebbero esser incuriosite da tutto, anche dai delitti."
Scosse la testa d'angelo. "Non io; non fa parte del mio carattere, credo."
"È strano. Mi sorprende veramente, perché, quando ho scoperto che siete venuta qui di nascosto, avete esaminato da cima a fondo il mobiletto, avete curiosato fra i raccoglitori e avete letto i miei rapporti su Moore, mi son detto: "Questo vuol dire che Gwynne Ferris è una ragazza intelligente che si è tanto incuriosita di tutta la faccenda da non saper resistere alla tentazione di indagare". Ora, voi mi dite che non siete affatto curiosa; è veramente strano."
"È certamente strano" fu la sua risposta.
Accennai di sì.
"Quindi, dato che non siete curiosa, immagino che abbiate qualche ragione speciale per desiderare di sapere dove sono arrivato. Vi parlo da solo a sola perché penso sia meglio così, altrimenti se riferissi la cosa vi trovereste alle calcagna un drappello di cretini che vi abbaiano dietro... Sapete bene che tipi sono i poliziotti."
Si alzò con un grazioso gesto impulsivo, avanzò, si protese in avanti e mi strinse le mani fra le sue.
"Non potete crederlo" disse. La sua voce non era più che un mormorio contro il mio viso. "Pensate davvero onestamente che io sia una ragazza di questo genere? Vi sembra possibile che le mie mani possano insudiciarsi in tali bassezze? Volete proprio credere a tutte le cattiverie che vi dicono di me? Solo perché qualcuno vi ha raccontato che mi ha vista entrare o uscire dal vostro ufficio, voi osate onestamente guardarmi negli occhi e dirmi che ci credete? È possibile?"
"No" dissi "è impossibile."
Volevo proseguire, ma non potei perché, in quel momento, la porta si spalancò e vidi Kerr Naylor che entrava nella stanza. La mia seduttrice balzò via e si voltò di scatto verso la porta.
"L'orario di lavoro è terminato, signorina Ferris", disse Naylor.
Mi rivolsi alla fiammella ironica che danzava nei suoi occhi: "Posso esservi utile in qualcosa?"
Naylor sorrise, si accostò alla sedia che era ancora calda di Gwynne e si sedette.
"Forse potrò esservi utile io, invece" disse con quella sua voce che sembrava un fischietto. "Sarò lietissimo di prendere parte alla conversazione."
Scossi il capo con aria d'importanza.
"Tante grazie, ma si tratta di una questione privatissima. No, signorina Ferris, non andatevene, vi prego di rimanere. Quindi, se siete venuto soltanto per augurarmi la buona sera, ebbene, buona sera!"
La rabbia lo rese muto. Poi disse: "Va bene. Lunedì potremo definire la vostra posizione qui; se pure lunedì ci sarete ancora. Ero venuto per dirvi una cosa, e, sebbene la signorina Ferris non sia la più adatta allo scopo, può sempre servire da testimone. Mi è stato detto che avete riferito in un rapporto che io so il nome dell'assassino di Waldo Moore. È vero?"
"Sì."
"Allora avete riferito una bugia. Io non vi ho fatto una dichiarazione del genere, né altre dichiarazioni che potessero venire interpretate in quel modo."
Andò alla porta, poi si voltò sorridendo: "Ora, potete riprendere la conversazione che ho interrotta. Buona sera."
Gwynne mi si accostò e prese a dire: "Vedete, non importa se vi hanno riferito che mi hanno vista entrare di nascosto nel vostro ufficio; voi non dovete crederci..."
"Zitta un momento, tesoro, sto studiando una cosa."
Obbedì. Fissai le vicinanze delle sue labbra, ma constatai che mi distraevano e mi volsi a qualcosa di più riposante.
Esaminai rapidamente la situazione: quest'ultima mossa improvvisa di Kerr Naylor mi sembrava l'inizio di una grande ritirata. Una volta che avesse cominciato ad abbandonare le sue posizioni, avrebbe probabilmente continuato e, a metà della settimana seguente, sarebbe stato al punto di dire che Moore non era stato affatto ucciso, forse nemmeno ferito.
Mi rivolsi a Gwynne: "Per tornare a noi, quando Naylor è entrato, volevo dirvi che stavate sciupando una buona quantità di munizioni, perché nessuno mi ha riferito che vi ha vista entrare o uscire di qui. Sono state le impronte digitali. Ne avete lasciato in giro più di un centinaio, sparse un po dappertutto, sui raccoglitori e sui rapporti. Anzi conto di tenerle per vostro ricordo. Che cosa mi direte ora?".
Corrugò la fronte, si concentrò e finalmente rispose: "Impronte digitali?"
"Proprio così... sapete, quelle righette sottili in cima alle dita che lasciano giù dei bei disegnini quando toccate qualcosa... I-M-P-R-ON-..."
"Non siate offensivo" interruppe lei risentita. "Tutto ciò che posso fare è dirvi la verità, anche se non ve la meritate. Ieri avevate detto che volevate vedermi e io non son potuta venire. Dovevo fare un mucchio di lavoro per il signor Henderson, perché la sua segretaria è a casa ammalata, e sono stata costretta a rimanere oltre l'orario. Quando ho finito, sono venuta qui perché pensavo che poteste esser rimasto ad attendermi, o che, se ve n'eravate andato, mi aveste lasciato del lavoro nel mobiletto. Allora l'ho aperto per vedere se c'era qualcosa per me naturalmente ho dato un'occhiata ai raccoglitori perché era il posto più probabile. E ora voi mi accusate di aver agito male solo perché ho cercato di fare il mio dovere anche se erano già quasi le sette!"
Mossi lentamente il capo su e giù tenendo sempre gli occhi fissi nei suoi.
"Non c'è male. È una birbonata, ma sarebbe veramente buona se da principio non aveste negato d'essere venuta qui..."
"Ma... credo di non poter fare a meno di prendere in giro la gente... è un po colpa del mio carattere."
"Dunque questa è la vostra storia, vi piace, e ci state attaccata, eh?"
"È la verità."
Mi sarebbe piaciuto sottoporla alle più raffinate torture in una segreta, attrezzata di tutto punto.
"Questa stanza non è adatta per prestarvi il genere di attenzione che richiederebbero il vostro carattere e le vostre abilità. Ma ci sono sempre altre stanze. I poliziotti si arrabbiano molto prima di me, coi bugiardi esperti e fantasiosi come voi. Domani è sabato e questo ufficio sarà chiuso, ma la polizia lavora sette giorni alla settimana. Mi farà piacere, incontrarvi in altri paraggi. E ora andate pure."
"Voi non siete poliziotto" dichiarò come se mi contraddicesse. "Siete troppo bello e troppo educato."
Si alzò ed uscì.
Portai la scatola di cartone a casa con me: non mi fidavo, neanche col mobiletto chiuso a chiave.
17
Quella sera, dopo cena, Wolfe continuava a leggere i suoi tre libri.
Gli feci il rapporto della giornata, cui reagì come il giorno precedente, cioè per niente affatto, e quando gli espressi volonterosamente l'opinione che Kerr Naylor avesse preso atto della ribellione di sua sorella e ora agisse per vie traverse, mi rispose con un grugnito. Allora decisi di andare al cinema.
Arrivai a casa alle undici e mezzo e trovai l'ispettore Cramer che, sprofondato nella poltrona rossa, parlava con Wolfe. Evidentemente non era una conversazione molto piacevole, perché Cramer mi accolse con un'occhiata tutt'altro che cordiale.
"Dove diavolo vi eravate cacciato?" domandò come se fossi stato un suo dipendente.
"È stato un film meraviglioso" lo informai sedendomi alla mia scrivania. "C'erano solo due persone con l'amnesia. Quella bellissima ragazza con..."
"Archie" m'interruppe Wolfe, anche lui di pessimo umore. "Il signor Cramer vuole domandarvi qualche cosa. Immagino che abbiate visto l'articolo che parla di noi sulla "Gazette" di questa sera."
"Certo; vi ritrae piuttosto malamente, ma..."
"Non me lo avevate detto."
"Stavate leggendo e, d'altra parte, non valeva la pena di parlarne."
"È una vergogna" protestò Cramer "è un flagrante tradimento della fiducia del cliente!"
"Storie!" rimbeccai. I miei occhi dovevano muoversi continuamente per incontrare gli sguardi malevoli di tutti e due. "Io non sono citato e non dicono di avermi intervistato. Dicono solo che Archie Goodwin, il brillante luogotenente di Nero Wolfe, sta investigando sulla morte di Waldo Wilmot Moore, e perciò si può supporre che qualcuno sospetti un delitto. All'infuori di questo non sono stati fatti nomi. Dato che alla Naylor Kerr lo sanno almeno mille persone, potete ritirare questo "tradimento" e usarlo da qualche altra parte; comunque anche in questi termini Lon Cohen non avrebbe fatto l'articolo senza chiedere il mio benestare. È stato quel maledetto Nonsochì, il cronista della città."
Wolfe e Cramer cominciarono a parlare contemporaneamente e Wolfe ebbe la meglio.
"L'articolo usa veramente la parola "brillante" parlando di voi e questa è l'unica cosa che io giudico riprovevole; ma il signor Cramer è molto seccato, e sembra che il signor O'Hara, il vicecommissario capo, sia seccato anche lui. Tutti e due desiderano che abbandoniamo il caso."
Cramer fece di nuovo per parlare, ma Wolfe lo fermò con un gesto.
"Vedete, Archie, dicono che l'articolo della "Gazette" è l'apertura di una campagna di critiche alla polizia per un delitto non risolto, e che questa è una pazzia perché non c'è la minima prova che la morte del signor Moore non sia stata un incidente. Dicono che la sola scusa buona della "Gazette" per iniziare e continuare questa campagna è il fatto che noi abbiamo intrapreso le indagini. Dicono che o ci siamo fatti prendere per il naso da quel vecchio pazzo di Kerr Naylor, oppure, se non ci siamo lasciati ingannare, stiamo sfruttando la situazione per guadagnarci sopra. Dicono che vi siete spinto fino a dichiarare che il signor Naylor vi ha detto di sapere chi ha ucciso Waldo Moore (cosa che non ha mai detto), perché avevamo bisogno di inventare un pretesto per giustificare il nostro impiego continuato. È tutto qui, signor Cramer?"
"A grandi linee, sì, tanto per dare un'idea" disse Cramer aspramente. "Io voglio sapere da Goodwin..." E rivolgendosi a me: "Insomma vi ostinate a dire che Naylor vi ha dichiarato di sapere chi ha ucciso Moore?"
"No. Non lo dico, o almeno non lo dico a voi. Questa è una indagine privata: io faccio il mio rapporto al signor Wolfe e al nostro cliente. Che cosa c'entrate voi? Siete il capo della Squadra Omicidi, ma dite voi stesso che la morte di Moore è stata un incidente. Quindi, non deve importarvi che cosa affermo e che cosa nego."
Cramer allora rispose: "Voglio che la smettiate di sollevare sospetti di assassinio quando non ci sono prove per farlo, e voglio che la smettiate di vendere luridi pettegolezzi ai giornali"
"Non ho venduto niente, sono andato dai ragazzi della "Gazette" per avere informazioni, e le ho ottenute. Quanto al sollevare scandali, intendete dire che volete impormi di piantare il lavoro della Naylor Kerr?"
"Sì. Voi non avete bisogno di far denaro con quello sporco sistema."
"Non lo so. Queste sono cose che riguardano il signor Wolfe, lui mi tiene al suo servizio e io eseguo i suoi ordini."
"E io" interruppe Wolfe "sono a mia volta al servizio della Naylor Kerr per tramite del suo presidente, il signor Jasper Pine. Tengo a credere che, nell'assumermi, tanto lui quanto i suoi colleghi della direzione avessero qualche scopo speciale che non mi hanno rivelato. Perché non interrogate il signor Pine in proposito? Gli avete parlato?"
"Gli ha parlato il vicecommissario." Cramer aveva tirato fuori un sigaro e ora lo mordicchiava nervosamente. "Gli ha parlato oggi, nel pomeriggio. So che hanno trattato principalmente delle bugie di Goodwin su ciò che gli ha detto Naylor. Non credo che il vicecommissario gli abbia chiesto apertamente di licenziarvi. Questa parte della faccenda è stata lasciata a me."
"Non mi sentirei a posto con la coscienza se abbandonassi un "caso" senza l'approvazione del cliente" disse Wolfe virtuosamente.
"Benissimo, allora fatevela dare. Telefonategli subito. Gli parleremo entrambi. Io per primo."
Wolfe mi fece un cenno col capo.
"Chiamatemi il signor Pine, Archie. Però, non voi per primo, signor Cramer, voi per secondo."
Trovai il numero nella rubrica e chiamai. Dopo una breve attesa, udii una voce che ben conoscevo. Mi meravigliai che una donna munita di abbastanza denaro per allevarsi dei protetti rispondesse personalmente al telefono. Le dissi chi ero. La sua reazione fu immediata.
"Oh, vi ho riconosciuto subito dalla voce, Archie! I biglietti del baseball ci saranno la prossima settimana..."
"Mi dispiace disturbarvi a un'ora così avanzata" dissi "ma... io volevo soltanto sapere se c'è vostro marito. Il signor Wolfe vorrebbe parlargli."
"Sì, c'è, ma credo che dorma. Va a letto molto prima di me. Rimanete all'apparecchio. Vado a vedere."
Ci mise un po. Finalmente, fu di ritorno.
"Mi dispiace, ma dorme come un ghiro. Pensavo che stesse leggendo. Volevate parlargli a proposito della cosa per cui sono venuta da voi?"
"Sì, ma gli parleremo domattina. Grazie mille."
"Non posso aiutarvi? Che c'è di nuovo?"
"Non credo, è solo un particolare; aspettate un minuto."
Coprii il ricevitore con la mano e annunziai: "Lui dorme e lei chiede se può esserci d'aiuto. Ci terrebbe molto".
"No" disse Wolfe fermamente.
"Il signor Wolfe vi ringrazia per la vostra offerta, signora Pine, ma telefonerà a vostro marito domattina."
"Allora, ditemi solo di che cosa si tratta, Archie, così potrò discuterne con lui prima che telefoni il signor Wolfe."
Mi ci vollero tre minuti buoni per farla finita senza apparire maleducato.
Cominciò poi una rissa da ragazzini: Cramer sosteneva che avrei dovuto persuadere la signora a svegliare Pine, e Wolfe, che detesta anche più di me d'avere il sonno interrotto, disapprovava violentemente.
Cramer tornò al punto che gli stava a cuore: avremmo o non avremmo rotto i nostri rapporti con la Naylor Kerr? Evidentemente, il vicecommissario O'Hara, chiamatolo a rapporto, lo aveva messo sui carboni ardenti.
"Non è poi tanto urgente, vero?" chiese Wolfe con un'aria di esagerata sollecitudine che aveva fatto schiumare di bile uomini più vecchi di me e di Cramer.
"Per molto tempo, il signor Kerr Naylor..."
Squillò il telefono. Prima di alzare il ricevitore lo guardai con disgusto pensando che era certamente la signora Pine.
Invece no. Una burbera voce maschile chiese di parlare con l'ispettore Cramer e io gli lasciai libera la sedia perché potesse prendere la comunicazione alla mia scrivania. La conversazione si svolse, per così dire, da una parte sola: Cramer vi contribuì unicamente con pochi mugolii, e, verso la fine, con tre o quattro domande. Disse al suo interlocutore che sarebbe arrivato entro cinque minuti, poi si voltò verso di noi.
"Kerr Naylor è stato trovato morto nella Trentanovesima Strada vicino all'Undicesima Avenue, a quattro isolati da qui. A quanto pare è stato investito da un'automobile. Ha la testa sfracellata. Hanno trovato il suo nome sui documenti che aveva in tasca. Volete venire con me per identificarlo?" brontolò rivolgendosi a me.
"Una strana coincidenza davvero" mormorò Wolfe. "Anche il signor Moore è morto là: dev'essere una strada pericolosa."
18
Poiché per quanto ne sapevo, dipendevo ancora dalla Naylor Kerr, era una gran bella cosa che si facesse vacanza al sabato; infatti, quel sabato mattina mi alzai a mezzogiorno suonato. Eppure, ero rimasto a letto meno di sei ore, poiché ero tornato a casa quando il sole cominciava già a inondare la Trentacinquesima Strada.
"Coincidenza" era la parola giusta. Sulla Trentanovesima Strada, meno di dieci metri dal luogo in cui, quattro mesi prima, era stato trovato morto Waldo Moore, un'automobile aveva investito Kerr Naylor schiacciandogli la testa e spezzandogli le ossa.
Compresi allora, molto meglio di quando me ne aveva parlato, le difficoltà incontrate da Kerr Naylor quando era andato all'obitorio a identificare i resti di Waldo Moore. Ma era certamente Naylor.
Per continuare con le coincidenze, il corpo, che era stato scoperto da un autista di tassì alle dodici e quaranta antimeridiane, era rimasto là senza che nessuno lo notasse per un certo periodo di tempo, certo più di mezz'ora, se l'ipotesi del perito medico sull'ora della morte era giusta. Non solo, ma l'automobile che l'aveva investito era stata trovata nella Novantacinquesima Strada, ferma di fronte a una lavanderia proprio nello stesso punto dove era stata trovata la macchina che aveva investito Moore. Era davvero un po troppo. Ma quest'ultimo fatto lo scoprì Cramer. Appena giunto sul posto, abbaiò a un agente della squadra investigativa di perlustrare tutta la Novantacinquesima Strada, e di esaminare tutte le automobili ferme di fronte a quell'isolato, dimostrando che un ispettore di polizia sa riconoscere una coincidenza quando ne incontra una. Prima che io tornassi a casa a dormire un poco, il proprietario della macchina era già stato portato all'ufficio di polizia da Bedford Hills e interrogato in lungo e in largo. Ma l'interrogatorio si era dimostrato del tutto inutile, perché si era potuto facilmente stabilire che il proprietario, alle undici e diciotto, aveva denunziato alla polizia che la sua automobile era stata rubata dal luogo dove l'aveva lasciata ferma nella Quarantottesima Strada.
Ci vollero due agenti dell'ufficio tecnico per stabilire che quella era proprio la macchina che aveva investito Naylor. Lavorarono nella Novantacinquesima Strada, sul luogo stesso dove la macchina era stata trovata, esaminando i copertoni alla luce delle lampade tascabili e questo fu un particolare in più che venne ad aggiungersi al quadro delle coincidenze. Per un po di tempo fui solo un intruso, ma, ben presto, fui addirittura il benvenuto perché l'ispettore Cramer mi voleva sempre con sé per farmi rispondere a qualche domanda in più, quando trovava tempo di rivolgermene, tra un lavoro e l'altro.
Durante tutte quelle ore, non fece alcuna allusione al deplorevole contegno tenuto da me e da Wolfe quando avevamo fatto di tutto per far sorgere il sospetto di un delitto dove e quando un delitto non c'era stato; e io, sapendo che era occupato, glielo ricordai solo otto o nove volte perché non volevo disturbarlo. Ma anche allora, nonostante tutto, non mi fece sbatter fuori perché aveva bisogno di me. Durante il primo colloquio, io mi impuntai sul fatto che sarebbe stata una vergogna da parte mia tradire la fiducia del cliente, ma, quando vidi che prendeva un certo atteggiamento, mi affrettai a snocciolargli ciò che sicuramente sarebbe venuto a sapere da qualche altra parte. Gli dissi tutto, o quasi tutto, sulle persone che avevo incontrato alla Naylor Kerr, compresi naturalmente i particolari dell'ossessione che il signor Ben Frenkel portava in giro con sé fin da dicembre.
Quando avevo tentato di far cantare Gwynne Ferris, minacciandola che avrei avvertito i poliziotti e avrei lasciato fare a loro, non immaginavo davvero che l'avrei fatto veramente meno di dieci ore dopo.
Cramer cambiò quartier generale tre volte, conducendomi sempre con sé. Per un'ora e mezzo circa lavorò all'aperto nella Trentanovesima Strada, poi andò al posto di polizia del Diciottesimo Distretto, nella Cinquantaquattresima Strada. Verso le tre si mosse ancora e andò nella sua tana, l'ufficio della Squadra Omicidi, nella Ventiquattresima Strada e, un'ora dopo, si trasferì di nuovo, stavolta nell'ufficio del vicecommissario O'Hara in Centre Street. Là trovammo O'Hara e le cose cominciarono veramente a marciare. Io assistevo a tutti gli avvenimenti e mi fu concesso persino l'onore di un colloquio col vicecommissario in persona. Da come mi parlò, si poteva supporre non solo che mi considerava un incallito bugiardo, ma che, segretamente, sospettava che avessi fatto io tutto il pasticcio e che, quando ero tornato a casa alle undici e mezzo e avevo trovato Wolfe e Cramer, non fossi stato di ritorno dal cinema ma dall'aver parcheggiata l'automobile omicida nella Novantacinquesima Strada.
La sorella di Kerr Naylor, naturalmente, era stata avvertita, non per telefono, ma mandando direttamente il tenente Rowcliff a casa sua, nella Sessantasettesima Strada. Quando Rowcliff tornò eravamo sul posto di polizia del Diciottesimo Distretto. Con lui c'era Jasper Pine, il cui sonno, dopo tutto, era stato interrotto.
Prima di venire da noi, Rowcliff aveva condotto Pine a identificare il cadavere, e poiché l'avevo già fatto io e sapevo quanto fosse spiacevole, non lo biasimai per essere un po pallido. Non sembrava un uomo sopraffatto dal dolore, ma neanche il capo di una grande ditta con tutti i nervi a posto. Quando Cramer seppe che né Pine né sua moglie conoscevano i movimenti di Naylor nella serata di venerdì e non avevano la minima idea di quel che fosse andato a fare nella Trentanovesima Strada, perse ben poco tempo con lui e lo passò a Rowcliff perché continuasse l'interrogatorio. Mentre se ne andava col tenente, Pine, passandomi accanto, mi domandò: "È proprio vero che Naylor vi ha detto quel che mi avete riferito? Che sapeva chi ha ucciso Moore?"
"Sì" risposi. "Se avessi voluto inventare qualcosa, avrei saputo fare di meglio."
Prima che la notte terminasse, incontrai altre conoscenze. Ma non Hester Livsey. L'agente che era stato mandato a cercarla a Brooklyn, dove abitava, riferì che la madre di Hester aveva dichiarato che sua figlia non c'era e quella sera non era nemmeno tornata a casa perché era andata direttamente dall'ufficio alla Stazione Centrale a prendere il treno per passare la finesettimana con degli amici di Westport, nel Connecticut. Aveva fornito il nome degli amici, e l'agente aveva telefonato loro senza ottenere risposta. Ma Cramer e i suoi ragazzi si muovevano in fretta e in tutte le direzioni. Telefonarono alla polizia di Westport, che telefonò agli amici, e costoro dissero che Hester Livsey era arrivata col treno che giungeva a Westport all'una e nove antimeridiane, e ora era a letto. Dato che un treno ci mette settanta minuti, e non otto ore, per andare dalla Stazione Centrale a Westport, il funzionario aveva insistito per parlare con la signorina Livsey. Lei aveva dichiarato che aveva deciso di prendere il treno più tardi e che il modo in cui aveva passato la serata a New York era affar suo. Informata della morte di Kerr Naylor, aveva ripetuto la sua dichiarazione, aggiungendo che non sapeva niente del signor Naylor e che i suoi rapporti con lui erano molto lontani, in quanto Naylor era il direttore di un grande reparto e lei una semplice stenografa. Invitata a ritornare a New York in mattinata perché la polizia potesse interrogarla, si era rifiutata, affermando di non aver nulla di utile da riferire.
Poi ci fu il rapporto di un sergente che aveva avuto un colloquio con Sumner Hoff, nel suo appartamento. Hoff non aveva avuto niente da dire, ma si era mostrato desideroso, da buon cittadino, di collaborare con la polizia.
Scampanellate e colpi alla porta non avevano dato nessun risultato nella camera con bagno dove abitava Rosa Bendini, a Greenwich Village. Nel suo caso, non c'erano madri da interrogare, e nessuno nel palazzo sapeva dove si trovasse. Io avevo la sana convinzione, conoscendo la sua predilezione per la fratellanza come la conoscevo, che quando fosse stata la sua volta, Rosa non avrebbe ricordato nulla di quanto aveva fatto nella notte di venerdì, ma non comunicai la cosa a Cramer per non abbassare la sua stima della femminilità americana. Speravamo di poterla trovare presso suo marito che viveva coi genitori in Washington Heights, ma non c'era. Harold Anthony balzò dal letto, si vestì e si presentò a Centre Street senza esserne richiesto. Ci disse che non aveva più visto sua moglie da mercoledì sera, quando aveva lasciato lui e me a batterci sul marciapiede, di fronte alla casa di Wolfe. Quanto a lui non conosceva Kerr Naylor e aveva passato la notte di venerdì a una partita di pallacanestro al Garden, dove si era recato da solo, e donde era tornato a casa a piedi per fare un po di moto.
Questo però era successo verso la fine. Prima c'era stato un colloquio con Ben Frenkel: era stata una delle prime cose che avevamo fatte, appena giunti all'ufficio di O'Hara. In quel momento, Cramer era seduto alla scrivania e io, in piedi dietro di lui, guardavo, al di sopra della sua spalla, le copie dei miei rapporti alla Naylor Kerr che ero andato a prendere all'ufficio di Wolfe. Un agente rimorchiò Ben Frenkel e lo depositò in una sedia a un lato della scrivania. Tentava di non guardare nulla e nessuno, cosa che non si può fare per bene, a meno di lasciare le mezze misure e chiudere gli occhi del tutto.
"Benvenuto" gli dissi.
Non diede segno di avermi riconosciuto.
Cramer brontolò rivolgendosi a lui: "Siete Benjamin Frenkel?"
"Sì, questo è il mio nome."
"Voi siete dominato dall'impressione di aver ucciso Waldo Moore?"
Frenkel lo fissò sinistramente, poi fece un altro tentativo di non guardare nulla e nessuno, e non parlò.
"Dunque è vero?"
Frenkel mi guardò dritto in faccia e gridò: "Mascalzone! Spia! Ve lo avevo detto in confidenza!"
"No" ribattei. "Vi avevo avvertito che non potevo tener segreta la confessione di un delitto!"
"Io non ho confessato un delitto!"
"Fatelo ora" incalzò Cramer. "Confessatelo adesso. Avanti, ditelo, levatevi quel peso dallo stomaco e vi sentirete subito meglio."
Presentato così, un invito a confessare un delitto sembrava proprio il più bel dono che Frenkel potesse desiderare per il suo compleanno. Ma fu un buco nell'acqua. Frenkel abbandonò i suoi tentativi di non guardare niente, appoggiò tranquillamente le larghe spalle ossute allo schienale della sedia e la sua voce, sebbene ancora vibrante, era del tutto priva di panico, quando disse: "Mi è stato detto di venir qui per rispondere a delle domande: quali sono queste domande?".
E sorrise con dolcezza.
Cramer allora lo interrogò ed egli rispose.
Aveva visto per l'ultima volta Kerr Naylor in ufficio, verso le tre del pomeriggio di venerdì e non aveva più saputo niente di lui. Dopo il lavoro, era andato nella sua camera nella Novantaquattresima Strada, aveva fatto il bagno e si era cambiato d'abito, poi aveva cenato solo in un ristorante all'angolo di Broadway e aveva preso la ferrovia sotterranea verso la città bassa per andare a trovare una giovane che abitava nella Ventunesima Strada, con la quale aveva un impegno per la serata. Preferiva non farne il nome. Erano andati al Moonlight nella Cinquantottesima Strada dove erano rimasti a ballare fin verso la mezzanotte. Aveva accompagnato a casa la signorina, poi era tornato a casa anche lui e vi era giunto verso l'una.
Come spiegava la sua impressione di aver ucciso Waldo Moore?
Quella, aveva detto, era una delle fantasie morbose cui gli uomini sensibili e nervosi come lui vanno soggetti. Ne era già stato tormentato altre volte.
Non era venuto da me allo scopo di scoprire se Naylor aveva fatto il suo nome a proposito della morte di Moore? No, non era vero. Non ci aveva neppure pensato finché non gli era venuto in mente, durante il nostro colloquio.
Conosceva Gwynne Ferris?
Sì, era una delle stenografe del reparto merci.
Aveva parlato con lei, venerdì?
Probabilmente sì, non ricordava.
Non gli aveva detto che Naylor aveva dichiarato di sapere chi aveva ucciso Waldo Moore?
No, che lui ricordasse, no. Ma, naturalmente, gli era venuto all'orecchio che il signor Naylor aveva fatto quella dichiarazione. Lo sapevano tutti. Se ne parlava in tutto il reparto.
Per me era una novità. Lo guardai con tanto d'occhi e, togliendo l'iniziativa dell'interrogatorio a Cramer, chiesi: "Quando?".
"Ma... oggi. Anzi ieri, venerdì."
"A chi fece questa dichiarazione, Naylor?"
"Non lo so, cioè, so solo quel che ho sentito. Mi è stato riferito, che l'aveva detto a voi e che voi lo avete riportato all'ufficio del presidente."
"Da chi l'avete saputo?"
"Non ricordo."
Frenkel si era ripreso del tutto.
"Non è una proprietà specifica della mia mente ritenere particolari materiali di questo genere. Al contrario, le questioni che hanno un contenuto spirituale..."
"Balle" interruppe Cramer, amaramente disgustato. "Ve lo ha raccontato Gwynne Ferris, vero?"
"Vi ho già detto di no."
"E io vi dico di sì. Per caso ho saputo... Che volete?"
La domanda era rivolta a un agente che si era avvicinato alla scrivania. Questi rispose: "Il sergente Gottlieb è arrivato con la Ferris, signor ispettore".
Cramer lo guardò con cipiglio severo.
"Fatela attendere finché avrò finito... No... aspettate..." Guardò Frenkel poi guardò me... "Perché no?"
"Sicuro, perché no?" risposi.
E Cramer disse all'agente: "Portatela qui"
19
Gwynne Ferris entrò, senza accorgersi, o forse senza badare, che un agente era al suo fianco. Si fermò un momento per guardarsi intorno, poi si avvicinò alla scrivania.
"Salve, Ben" disse con la sua voce dolce e musicale. "Perché sei qui?" Ma non si aspettava risposta. Lanciò un'occhiata a Cramer, poi a me.
"Oh, dunque siete un poliziotto!"
Dovetti ammettere che era all'altezza di tutte le situazioni, e questo si riferiva non solo ai suoi nervi saldi, ma anche al suo aspetto. Dopo essere stata tirati fuori dal letto da un poliziotto alle quattro di notte, essersi vestita in fretta e furia mentre quello aspettava, ed essere stata trascinata al Commissariato in una macchina della polizia, appariva fresca, bella e pura come quando aveva alzato gli occhioni azzurri verso i miei e aveva dichiarato di non sapere l'ortografia.
"Sedetevi, signorina Ferris" disse Cramer.
"Grazie" rispose lei in tono ironico, e si sedette su una sedia che distava due passi da quella di Frenkel.
"Hai una cera tremenda, Ben, Non hai dormito affatto?" Si rivolse a Cramer e a me. "Glielo chiedo perché l'ho visto poche ore fa. Ma immagino che ve lo avrà già detto lui. Meno male che domani è vacanza. Che cosa siete, signor Truett, un ispettore?
"È una cosa indefinibile, assolutamente indefinibile" dichiarò Ben Frenkel con profonda passionalità. "Io non ho voluto dire con chi sono stato a ballare, perché pensavo che ti avrebbero dato la caccia per verificarlo, ma loro l'han fatto ugualmente, senza nessunissima ragione. Sono stati cortesi con te? Ti hanno trattata bene?"
"Sì, sono stati molto cortesi" asserì Gwynne generosamente.
Cramer guardava ora l'uno ora l'altro, in fine esordì: "Dunque, voi due siete stati insieme tutta la sera? È vero, Frenkel?"
"Sì, dal momento che ve lo ha detto la signorina Ferris."
"Il signor Frenkel vi ha accompagnata a casa, signorina Ferris?"
"Sì, naturalmente."
"A che ora siete arrivata a casa?"
"Be, mancava un quarto all'una quando sono arrivata nella mia camera. Sono salita sola, naturalmente. Abbiamo parlato un po dabbasso."
Ma Cramer, di un colpo: "Quando Waldo Moore vi riaccompagnava a casa, non salivate da sola, vero?"
Ben Frenkel balzò dalla sedia coi pugni chiusi e gli occhi fiammeggianti. Un agente che era in fondo alla stanza si avanzò, io m'irrigidii un poco non sapendo fin dove sarebbero potute arrivare le manifestazioni passionali di Ben. Ma, evidentemente, Gwynne lo sapeva perché balzò in piedi, e lo afferrò per i risvolti del cappotto.
"Suvvia Ben, tesoro." Quando metteva del calore nella voce, la si sarebbe potuta usare come fiamma ossidrica. "Sai bene che non è così, non te l'ho detto? Sta solo tentando di essere maligno."
Lo spingeva cercando di farlo sedere.
Alla fine, Frenkel si abbandonò di nuovo sulla sedia. Lei tornò a sedere e si rivolse a Cramer.
"È stata fatta una quantità di pettegolezzi e di malignità su me e Waldo Moore, ma io ho qualcosa di meglio da fare che arrabbiarmi ancora per cose di questo genere. Le ignoro e basta."
Cramer allora cambiò tattica e domandò: "Perché eravate tanto curiosa di sapere quel che Goodwin aveva riferito in direzione sulla morte di Moore?"
"Goodwin? Quale Goodwin?"
"Truett" spiegai io. "Il mio nome è Goodwin."
"Ah, sono contenta che me l'abbiate detto. Dunque agivate sotto falso nome!"
"Vi ho chiesto" interruppe Cramer rudemente, "perché eravate ansiosa di sapere che cosa aveva scoperto Goodwin sulla morte di Moore."
"Non ero curiosa, proprio per niente."
"Allora, perché vi siete intrufolata nella sua stanza per esaminare le sue carte?"
"Non è stato così" ribatté la Ferris guardandomi con aria di rimprovero. "Non gliel'avete detto che credevo che foste rimasto ad aspettarmi?..."
"Sì, sì" interruppe Cramer. "Ho già sentito questa storia."
"Diamine, è la verità!" Cramer la guardò fissamente.
"Ascoltatemi, signorina Ferris" disse in tono molto più calmo "tutto questo andava bene fintantoché si trattava di investigare su una morte avvenuta qualche mese fa, e che poteva anche essere un incidente. Stando così le cose, non ci sarebbe stato niente di male se non aveste detto la verità quando Goodwin vi chiese perché avevate guardato le sue carte. Ma ora è diverso; ormai sappiamo che si tratta di un delitto, e io voglio dirvi appunto questo: che si tratta di un delitto. Tutto cambia, no? Non volete aiutarci? Se non siete implicata, e io non credo che lo siate, non vorreste aiutare, dicendoci per che motivo avete fatto quel sopralluogo?"
"Devo dirvi la verità? Non mi servirebbe a niente dirvi una bugia, vero?"
Cramer esplose: "A chi l'avete raccontato?"
"Raccontato che cosa?"
"Quello che avete letto nel rapporto... a proposito di Naylor che aveva detto di sapere chi aveva ucciso Moore. A chi l'avete detto?"
"Vediamo un po..." A quanto pareva, la ragazza ci pensava intensamente. "L'ho detto a una ragazza... non ricordo più quale, e anche a uno degli uomini, era... no, non era il signor Henderson."
Guardò Cramer con l'aria di scusarsi. "Temo proprio di non ricordare..."
Il vicecommissario capo O'Hara entrò a gran passi nella stanza: dopo tutto, era il suo ufficio. Cramer si alzò e disse: "Andremo in un'altra stanza a terminare la discussione, signorina Ferris. Per ora, abbiamo finito, signor Frenkel, ma potremmo aver bisogno di voi in qualunque momento. Teneteci informati dei vostri movimenti."
O'Hara disse: "Voi siete Archie Goodwin? Voglio parlarvi"
20
Come ho detto, il sabato non mi alzai dal letto fino a mezzogiorno. Dopo la colazione andai in ufficio e Wolfe mi raggiunse quasi subito.
Si accomodò alla sua scrivania, sulla poltroncina fatta su misura per lui e domandò: "Che cosa hanno deciso a proposito di Naylor? Morte accidentale?"
"Nossignore, pensano che qualcuno volesse nuocergli. Ma più in là, sembra che Cramer non voglia andare. Non riesce a scoprire niente nella Trentanovesima Strada, né nelle vicinanze, che giustifichi la presenza di Naylor in quel luogo. Si rifiuta di credere che Naylor giacesse sul selciato e se ne stesse immobile per permettere all'autista di schiacciarlo proprio negli stessi punti (la testa e le gambe), dove era stato schiacciato Moore. Ha concluso che Naylor è stato ucciso altrove, probabilmente con uno o più colpi alla testa, che il cadavere, portato in seguito nella Trentanovesima Strada, è stato deposto nella via e investito dall'automobile: le ruote avrebbero cancellato il segno o i segni del colpo o dei colpi che l'hanno ucciso. Quelli dell'ufficio tecnico stanno esaminando l'interno dell'automobile, col microscopio, per trovare una prova che il cadavere è stato trasportato con quel mezzo; Cramer non lo dice ai quattro venti, ma rimpiange, con tutta l'anima, di non aver fatto lo stesso con la macchina che ha ucciso Moore."
"È stato arrestato qualcuno?"
"Fino alle sei, quando me ne sono andato io, no! Il vicecommissario O'Hara voleva arrestare me, ma Cramer aveva bisogno di avermi sotto mano. Sono stato di grande aiuto."
"Il signor Cramer pensa ancora che abbiate mentito nel rapporto al signor Pine?"
"Lui no, ma O'Hara, sì. Ammetto di avergli detto qualche bugia."
Wolfe sospirò e si appoggiò all'indietro.
"Penso che fareste meglio a raccontarmi tutto."
E così feci. Poiché voleva tutto, gli dissi proprio ogni cosa, ivi compresi non solo gli avvenimenti, ma anche le mie interpretazioni e analisi personali. Era ovvio, gli spiegai, che, ora, Cramer prendeva le mie parole per Vangelo, dato che si era occupato esclusivamente delle unità del personale di cui gli avevo parlato, sebbene avesse fatto uso anche degli archivi della polizia che erano senz'altro quanto c'era di meglio in proposito per documentarsi sulla morte di Waldo Moore. Diedi un'interpretazione personale di Gwynne Ferris, osservando che quella sua iniziativa di rifischiare a tutti ciò che aveva scoperto nei miei rapporti, poteva essere una mossa astutissima per coprire i suoi piani e le sue intenzioni, ma poteva anche essere solo un pettegolezzo generale, e mi rifiutai di prendere una posizione decisa, finché non l'avessi potuta frequentare un po di più; cioè, almeno per altri cinque anni. In ogni caso, comunque stessero le cose, il risultato era il medesimo: ammettendo che Naylor fosse stato ucciso perché aveva dichiarato di sapere chi aveva ammazzato Moore, chiunque poteva essere l'assassino. Alle sei del mattino, quando me n'ero andato, non erano ancora terminati né gli interrogatori, né l'esame della macchina, sebbene Cramer avesse lanciato tutti i suoi giannizzeri a verificare alibi, a stabilire i movimenti delle persone interessate, compreso Naylor, e a cercare qualche testimone ai fatti nella Trentanovesima Strada. Non avevano trovato nessuno che volesse ammettere di aver visto Kerr Naylor dopo che aveva lasciato il palazzo di William Street, nel pomeriggio di venerdì, né avevano trovato altre notizie di lui. Questo era interessante perché lasciava supporre che io e Gwynne Ferris fossimo stati gli ultimi che lo avevano visto vivo. Erano circa le cinque e mezzo, quando Naylor era venuto, di sorpresa, nel mio ufficio per informarmi che ero un bugiardo. Tutti gli altri se n'erano già andati e nessuno dei ragazzi dell'ascensore ricordava di averlo portato giù. Una delle più ferme convinzioni di O'Hara era che io e Naylor avessimo lasciato il palazzo assieme, e che io l'avessi bellamente fatto fuori. Quando ebbi esaurito i fatti e le notazioni personali, osservai: "Dobbiamo considerare ancora una cosa; sapete bene che siamo stati assunti per stabilire come sia morto Moore. Ricordate la vostra lettera a Pine? Bene, ora la faccenda sembra chiusa, almeno per ciò che riguarda la polizia. Così stando le cose, il cliente lo abbiamo ancora?"
Wolfe assentì.
"Ci avevo pensato anch'io, naturalmente. Ho telefonato al signor Pine, stamane, e mi sembra un po indeciso. Dice che ci sarà una riunione dei direttori, lunedì in mattinata, e che ce lo farà sapere. Tra parentesi, sua moglie è venuta a trovarmi questa mattina.
"Chi? Cecily? In circolazione prima di mezzogiorno? Che cosa voleva?"
"Non ne ho la minima idea. Lei forse lo sa, ma io no. Sospetto che sia isterica e che si dia un gran da fare per nasconderlo. Il suo scopo apparente era di sapere che cosa vi ha detto suo fratello nei suoi ultimi giorni di vita. Voleva saperlo, parola per parola, e voleva pagare per questo. Mi ha detto di informarvi che i biglietti del baseball vi arriveranno giovedì o venerdì."
Il campanello all'ingresso squillò.
Andai alla porta di strada e mi trovai di fronte a una delle facce che mi sono più simpatiche: quella di Saul Panzer.
"Dov'è il signor Wolfe?" chiese tetro.
"È in ufficio. Che vi succede? Vi è andato qualcosa di traverso?"
Si avviò e io lo seguii. A Wolfe, con aria desolata, disse: "Credo sia il peggior lavoro che ho fatto per voi".
"Questo può sempre essere vero anche se avete lavorato bene" dichiarò Wolfe con aria generosa. "Al telefono mi avete detto che lo avete perduto di vista. Che cos'è successo? Sapeva di essere seguito?"
"Non è andata male fino a questo punto" affermò Saul. "È difficile che una persona si accorga che la seguo, e son sicuro che non se n'è accorto. O forse può darsi di sì, ma ormai non glielo possiamo più domandare. Comunque ecco qua. Stava camminando lungo la Trentatreesima Strada, verso la città alta, tra la Prima e la Seconda Avenue..."
"Stava pedinando Naylor" mi informò Wolfe.
"Quando?" chiesi.
"Ieri, la notte scorsa. Continuate, Saul."
Saul riprese: "Ero dall'altro lato della strada, a circa trenta passi di distanza. Aveva passeggiato in su e in giù per due ore e non sembrava che volesse smetterla. Non c'era nulla che lo facesse prevedere, come, ad esempio, se avesse fatto il gesto di guardarsi indietro per vedere se arrivava un tassì. Lo fece come se l'idea gli fosse venuta all'improvviso. Un tassì mi passò davanti e, quando gli fu accanto, lui lo chiamò con un grido, ci saltò dentro e se ne andò in volata. Io rimasi a piedi. Lo rincorsi fino all'angolo della Seconda Avenue, ma il semaforo era verde e la macchina proseguì. Non c'era in vista un altro tassì per me, perciò continuai a correre, ma lui doveva aver detto all'autista di affrettarsi, o forse al conducente piaceva la velocità". Saul scosse il capo. "Si direbbe che si fosse accorto di me, lo ammetto, però non posso crederlo. Penso che, all'improvviso, gli sia venuto in mente qualcosa. Non mi spiace particolarmente di perdere qualcuno, capita a tutti, una volta o l'altra, ma perderlo proprio tre ore prima che venga ammazzato... è questo che mi dispiace. Tentai due o tre tracce che avevo: il suo Club Scacchistico e altri due o tre posti; ma non lo vidi più. Tornai a casa, pensando che avrei ripreso stamane. Appena ho visto i giornali vi ho telefonato e voi m'avete detto..."
"Non importa quel che vi ho detto" interruppe Wolfe vivamente. Dunque, pensai, sta mettendo in scena un altro rebus.
"Che ora era?" domandò Wolfe.
"Erano le otto e trentaquattro quando smise di correre, quindi dovevano essere circa le otto e mezzo quando lui prese il tassì."
"Chiamatemi il signor Cramer, Archie."
Tentai di farlo, ma Cramer non era reperibile. Chiesi del sergente Purley Stebbins. Wolfe prese la comunicazione.
"Il signor Stebbins? Come va? Ho un'informazione per il signor Cramer. Ieri sera alle otto e mezzo, Kerr Naylor ha fermato un tassì nella Trentatreesima Strada tra la Prima e la Seconda Avenue. È salito in macchina e ha proseguito in direzione ovest lungo la Seconda Avenue. Era solo. Per favore, lasciatemi finire." Consultò un foglietto che gli aveva dato Saul. "Era una Sealect, piuttosto scassata, e il numero era WX uno-nove-sette-quattro-quattro-zero. Va bene... come diavolo potrei sapere il nome dell'autista? Non vi basta?... Prego... Sciocchezze. Se l'autista nega portatelo da me."
Stavo pensando che, finalmente, non ero più io l'ultima persona che aveva visto Naylor vivo, ma non era un gran miglioramento perché l'onore era passato a Saul.
"Che cosa è successo prima che lo perdeste di vista? Avevate cominciato a seguirlo a William Street?" domandò Wolfe; Saul accennò di sì.
"Sissignore, lasciò il palazzo alle cinque e trentotto, andò al City Hall Park, comprò un giornale della sera, si sedette su una panchina e lesse fino alle sei e un quarto. Poi andò al ponte di Brooklyn, prese la ferrovia aerea della Terza Avenue e scese alla Cinquantatreesima Strada. Sembrava che ora avesse fretta e camminava rapidamente. All'angolo della Prima Avenue con la Ventinovesima Strada incontrò una ragazza che, evidentemente, lo stava aspettando. Si avviarono insieme, chiacchierando, verso ovest, nella Ventinovesima Strada. All'altezza della Seconda Avenue voltarono a destra, poi voltarono di nuovo a destra nella Cinquantatreesima Strada e passeggiarono ancora nella Prima Avenue. Per un'ora buona andarono avanti e indietro per le vie sempre chiacchierando. Non saprei dire se stessero bisticciando o che cosa facessero."
"Non avete sentito proprio niente?"
"Nossignore, se mi fossi avvicinato si sarebbero accorti di me."
"Erano amici? Innamorati? Nemici? Si sono abbracciati o si son stretti la mano?"
"Non credo che avessero simpatia l'uno per l'altro, almeno per quanto dimostrava il loro contegno, e questo è tutto ciò che posso dire. S'incontrarono alle sei e trentotto e si separarono alle sette e quarantuno, all'angolo della Cinquantatreesima Strada con la Seconda Avenue. Naylor camminò verso est nella Cinquantasettesima Strada. Si fermò a un chiosco che vendeva frutta all'angolo della Prima Avenue, comperò un cartoccio di banane, andò verso la Riverside Drive, si sedette su una panchina e mangiò nove banane una dopo l'altra."
Wolfe rabbrividì. "Abbastanza per ammazzare un uomo!"
"Sissignore, ci mise un po di tempo, poi riprese a passeggiare per la città. Non aveva fretta. Andò dalla Prima alla Seconda Avenue, tornò alla Cinquantaquattresima Strada, poi si diresse nuovamente a ovest per la Cinquantatreesima. Pensavo che andasse avanti dritto sino alla Battery e forse fui un po disattento. Comunque, alla Cinquantatreesima Strada fece segno a quel tassì e lo persi di vista."
Scosse il capo. "E stava andando a farsi ammazzare. Maledetta scalogna!"
"Non è colpa vostra. Non c'è niente da dire. E la ragazza?"
"Sissignore. Aveva circa ventitre o ventiquattro anni, era alta un metro e sessantacinque e doveva pesare sui cinquantatre chili. Portava un leggero cappotto di lana marrone su una sottana, o forse su un vestito, di lana color bronzo. Aveva un cappellino marrone scuro con un fiore di panno bianco, e un paio di scarpette marrone chiuse. Capelli scuri e, mi pare, occhi scuri, ma non ne sono certo. Bella figura e bel portamento, camminava un po ancheggiando, ma non esageratamente."
Wolfe si voltò verso di me: "Dunque, Archie?"
"Sì" dissi. "Si chiama Hester Livsey."
"Benone! Quella che passa la fine settimana nel Connecticut? Ha detto alla polizia di Westport che non sa niente del signor Naylor e che le sue relazioni con lui erano molto lontane."
"Sissignore."
"Trovatemi il signor Cramerà o il signor Stebbins."
21
Dissi a Wolfe: "Ho fatto il nome della signorina Livsey soltanto basandomi su una descrizione. Penso che bisognerebbe verificarla, facendo in modo che Saul le desse un'occhiata, prima di metterla nei guai".
"Non siamo stati ancora assunti per catturare l'assassino del signor Naylor e non ho nessuna intenzione di pagare la trasferta fino a Westport per Saul e per voi."
"Non è necessario. Saul potrà vederla lunedì mattina in ufficio."
"Non sarebbe corretto trattenere una informazione."
"Sentite un po: volete farmi il piacere di ascoltarmi? Una delle principali ragioni per cui vi piace tanto ricevere delle informazioni è che potete tenerle nascoste alla polizia. State dimostrandovi stupido e testardo e se telefonerete a Stebbins personalmente, cosa che non farete perché il moto vi è nocivo, io ritirerò la mia identificazione."
Wolfe mi guardava male: "Che cosa vi ha fatto quella ragazza? Vi ha ammaliato? Vi ha fatto diventare matto?"
"Sissignore."
Questo bastò a calmarlo completamente.
"Lunedì andrà benissimo" dichiarò come se solo uno stupido avesse potuto affermare il contrario. "Sono stato troppo impulsivo." Guardò l'orologio a muro.
"Verrete qui lunedì mattina, Saul, e andrete con Archie nella città bassa. Ho un paio di consigli da darvi."
Se ne andarono.
Ero rimasto in arretrato anche di sonno, ma quella notte mi rifeci. Però non dormii tanto quanto credette Wolfe. Non appena lui era salito nella serra con Saul, avevo preso l'automobile ed ero andato nella Ventesima Strada a vedere che cosa bolliva in pentola. Il sergente Purley Stebbins non credette opportuno, solo perché avevo coperto per qualche ora l'importante ruolo di ultima persona che aveva visto viva la vittima, di svelarmi tutti i segreti della polizia. Però ebbi il permesso di gironzolare qua e là quel tanto che mi bastò per rendermi conto che non era successo niente di importante.
L'autista del tassì non era ancora stato trovato, sebbene il numero della macchina avesse condotto la polizia direttamente dove avrebbe dovuto trovarsi. Si seppe che era andato nel Connecticut alla pesca delle aringhe ed era stato mandato un agente a prenderlo; io speravo soltanto con tutta l'anima mia che non lo trovassero a passeggiare su e giù in riva al fiume insieme a Hester Livsey. Proprio a causa di Hester, Wolfe pensò che sabato notte avessi dormito più di quanto non dormii realmente. Portai un piatto di ciambelle, della marmellata di mirtilli e un boccale di latte in camera mia, mi sedetti nella poltroncina che avevo scelto e pagato da me, e ripensai un po a tutto. In base alla descrizione degli abiti, e specialmente del cappellino marrone col fiore bianco di panno, sapevo anche troppo bene che la ragazza vista da Saul con Naylor era proprio Hester Livsey. Non voglio dire che mi fosse girata la testa, ma quando una donna ha accarezzato un uomo sui capelli lui può ben desiderare di cacciarsi in qualche pasticcio per trovarle una via d'uscita. Poteva darsi che la passeggiata di Hester con Naylor riguardasse un affare privato, che non c'entrava affatto con quanto stava per accadere. Ero andato nella mia camera principalmente per considerare se valesse la pena di prendere l'automobile e di fare una corsa a Westport per parlare un po con lei. Alla fine, decisi per il no; mi spogliai e andai a letto.
L'indomani mattina, domenica, squillò il campanello d'ingresso.
Era Rosa Bendini, quanto mai arrendevole e spaventata. Mi si fece incontro attraverso l'atrio e praticamente mi ordinò: "Per amor di Dio, abbracciatemi!".
Parlava tutt'altro che a bassa voce, e Wolfe faceva colazione in camera sua, appena un piano più sopra. La presi in braccio, la portai in ufficio, la depositai sulla poltrona rossa e le dissi ruvidamente: "Sembra che siate stata inseguita da un'orda di lupi affamati! Che cosa è successo? Vi è corso dietro vostro marito? Dopo che mi siete scappata, l'altra sera, gli ho dato una scarica di pugni e l'ho addomesticato un po. L'avete veduto, da allora?"
Non rispose nemmeno; pareva che il marito fosse l'ultima delle sue preoccupazioni.
"Sono inseguita dalla polizia!"
Prima che potessi far nulla per difendermi, schizzò fuori dalla sedia e mi balzò in grembo chiedendomi, per la seconda volta, di abbracciarla. Mi sembrò meno faticoso compiacerla che discutere. Finalmente si quietò, alzò il viso un paio di centimetri e mormorò al mio orecchio: "Avevo tanta paura, che volevo buttarmi giù dal molo. Ho sempre avuto paura della polizia!" Mi stringeva sempre. "Quando sono tornata a casa e il portiere e Isabel (la ragazza che abita di fronte a me sullo stesso piano) mi hanno detto che la polizia era venuta già tre volte e poteva tornare da un momento all'altro... no, tenetemi stretta, non importa se faccio fatica a respirare... non sono entrata nemmeno nella mia stanza. Me la sono data a gambe immediatamente. Sono corsa alla ferrovia sotterranea (non so dove pensassi di andare), poi, su un espresso che portava alla città alta, mi sono ricordata di Nero Wolfe. Sono venuta qui... e ho trovato voi! Come mai? Oh, ma io so perché siete qui! Il vostro nome è Archie Goodwin, e siete il brillante luogotenente di Nero Wolfe."
"Appunto. E voi siete proprio nella casa dove non volevate venire con me. Dove siete stata la notte tra venerdì e sabato?"
Mi morsicò il collo.
"Avanti, ragazzina" dissi realisticamente "dato che dovete dirlo alla polizia, tanto vale che facciate pratica con me."