NÉ NATURA NÉ CULTURA: QUALCOS'ALTRO

È ora di andare a vedere che cosa dice la psicologia conservatrice a proposito dell'innamoramento, giacché quella è la situazione in cui il fato sembra chiamare con voce più forte e in cui sembra decidersi il destino di un individuo. Ma per prima cosa dobbiamo studiare come la psicologia concepisce l'individualità. Come possiamo sostenere che ciascuno di noi è, appunto, un «ciascuno»? Non siamo invece profondamente uniformi, a causa dell'ereditarietà genetica e dell'ambiente iniziale? Gli studi sui gemelli, che concentrano l'attenzione precisamente sul problema dell'individualità, riscontrano differenze anche tra le biografie di gemelli geneticamente identici e cresciuti nella medesima famiglia. Oltre alla natura e alla cultura, sembrerebbe esserci qualcos'altro. Perciò, per approdare all'innamoramento, partiremo dalla ricerca scientifica. 

La psicologia scientifica taglia il regno delle cause in due parti soltanto, natura e cultura. Ed elimina per definizione la possibilità di un qualcos'altro. Dal momento che le scienze comportamentali, compresa la biologia molecolare e la psichiatria farmacologica, situano tutte le ragioni del nostro carattere in quelle due categorie, e dal momento che noi ci stiamo immaginando una terza forza nella nostra vita, questo tertium non può che manifestarsi nascosto dentro gli altri due. Perciò dovremo non soltanto guardare per così dire la facciata di quello che le scienze comportamentali dicono, ma anche esaminare bene il come lo dicono. Dovremo procedere come se fossimo dei detective alla ricerca di indizi che rimandino all'invisibile persona scomparsa dentro le deposizioni rilasciate da testimoni che dal canto loro non credono che sia scomparso alcunché. 

Una cosa dobbiamo riconoscere subito: che la divisione in due alternative è una comoda abitudine della mente occidentale. Al livello più elementare la troviamo nella Bibbia: Noi o Loro. Abele e Caino, Giacobbe ed Esaù - il buono e il cattivo - personificano quella divisione. Il ragionamento antagonistico non l'ha inventato la televisione nei suoi dibattiti urlati, e il bipartitismo del nostro sistema politico non è certo venuto dal nulla. Il numero due, con tutte le sue dicotomie e sdoppiamenti e duplicità e accoppiamenti e contrapposizioni, alimenta la «passione della mente occidentale», per citare il titolo della storia del pensiero occidentale di Richard Tarnas. 

La logica aristotelica è incapace di pensare per triadi. Dal principio aristotelico di non contraddizione, detto anche del terzo escluso, fino alla logica binaria - 0 o 1 - dei programmi del computer, la nostra mente organizza i suoi sistemi per pro e contro, per aut-aut. Cartesio a dire il vero un posticino a un tertium l'ha concesso, giusto nel mezzo del cervello. Ha collocato l'anima nella ghiandola pineale, confermandone così l'irrisorio valore a fronte dei due giganteschi contendenti del suo sistema, la mente pensante, all'interno, e lo spazio esteso, all'esterno. 

Perciò questo capitolo si troverà a combattere con consolidati e tranquillizzanti abiti mentali del pensiero per opposti, che dicono: se il comportamento non è del tutto il risultato dell'eredità genetica, allora quel che rimane può essere spiegato solo da influenze ambientali, o viceversa. L'introduzione di un «qualcos'altro» viola la nostra modalità di pensiero e la convenienza delle sue operazioni abituali. Un «qualcos'altro » turba le menti che confondono il pensare comodo con la chiarezza di pensiero.  

In fondo, a tutti noi risulta con chiarezza, dall'evidenza dei nostri sentimenti e di personalissimi eventi fatali, che nella vita umana interviene qualcos'altro che non può essere contenuto entro i confini né della natura né della cultura. La straordinaria singolarità degli individui, le differenze esistenti tra i miliardi di persone sulla terra, perfino tra bambini appena nati, tra fratelli, tra gemelli identici, così come tra persone allevate nelle medesime condizioni e sottoposte alle medesime influenze, tutti questi dati di fatto propongono l'interrogativo dell'unicità ed esigono una risposta. 

I gemelli

Occupiamoci innanzitutto dell'ereditarietà. La prima grande ondata di ricerche genetiche, da Gregor Mendel (1822-1884) a James Watson e Francis Crick, si è ormai ritirata, ma non senza avere lasciato tracce indelebili. Quasi tutti, in fondo in fondo, siamo convinti di essere costituiti dalla struttura genetica ereditata e iscritta nei nostri cromosomi tanto quanto di essere creati da Dio (teologia), dall'economia (Marx), dalle vite precedenti (induismo, buddhismo), dalla storia (Hegel), dalla società (Durkheim e altri). Infatti è arrivata la prova incontestabile: la doppia elica del dna è la portatrice del codice che più di ogni altra cosa governa la nostra vita, fisicamente, psicologicamente e anche spiritualmente. 

Adesso siamo alla seconda ondata di ricerche, più differenziata nei metodi e più raffinata nelle domande che si pone. La ricerca adesso si interroga di più sulle differenze, anche tra soggetti geneticamente vicini. Come mai i gemelli hanno caratteri diversi, destini diversi? 

Gli studi sulla differenza trovano il loro materiale ideale nei gemelli identici (monozigoti). Quesd sono individui che si sono sviluppati a parure da un unico ovulo fecondato, non da una coppia di ovuli, come è il caso dei cosiddetti gemelli fraterni (una designazione dal sapore patriarcale, che insinua che quelli che contano nella covata sono i maschi). I gemelli monozigoti hanno lo stesso dna, geneticamente sono identici; hanno iscritte dentro le stesse informazioni genetiche. A parte i gemelli monozigoti, ciascun individuo è geneticamente diverso da tutti gli altri. 

Si potrebbe pertanto dedurre che i gemelli identici siano esattamente uguali. Invece no. In dieci caratteristiche fisiche, per esempio colore e attaccatura dei capelli, gruppo sanguigno, colore degli occhi, posizione dei denti, conteggio delle creste cutanee nelle impronte digitali, essi concordano soltanto al novanta percento. E la concordanza incomincia a diminuire quando si arriva a fattori di ordine più psicologico. Ma nemmeno l'altezza e il peso e la carnagione raggiungono quel livello di concordanza, il quale si riduce ulteriormente quando si considerano l'espressività facciale e la suscettibilità a malattie come il diabete, l'ulcera, il tumore al seno e l'ipertensione. Viene sempre più in primo piano l'individualità. 

Come mai i gemelli «identici» identici non sono? Da che cosa dipendono le differenze addirittura fisiche tra questi gemelli? «Una risposta semplice è: dall'ambiente». «Con il termine ambiente si intende qualsiasi influenza che non sia ereditaria». Insomma, se non è la natura, sarà la cultura. Dell'ambiente ci occuperemo tra breve, per il momento fermiamoci ancora sull'ereditarietà. 

Quando si arriva alle abilità cognitive, come il ragionamento astratto, la fluidità verbale e la memoria, le differenze si fanno ancora più marcate. Per i fratelli e le sorelle normali, cioè non gemelli né mono né eterozigoti, «le correlazioni sono molto basse in tutti i tratti di personalità». Insomma pare che le persone siano individui a dispetto del fatto di avere gli stessi genitori e un'educazione simile. Perfino il morbo di Alzheimer (che è una malattia del cervello e non un disturbo della personalità) presenta una differenza di incidenza tra fratelli del novanta percento!  

Negli ultimi cinquant'anni, le ricerche sulla schizofrenia hanno assorbito enormi risorse di tempo e di denaro, anche se la diagnosi differenziale di questo disturbo (ne esistono forme diverse) rimane piuttosto incerta. Ciò nonostante, i risultati prevalenti degli studi su gemelli identici e schizofrenia possono riassumersi in questa chiara affermazione: « Più della metà delle coppie di gemelli geneticamente identici presenta discordanza riguardo alla schizofrenia». Se un gemello diventa schizofrenico, l'altro ha maggiori probabilità di non diventarlo che di diventarlo a sua volta. Interviene qualcos'altro, a differenziare i gemelli.  

Questo qualcos'altro non è certo l'educazione, come potrebbe affrettatamente concludere qualcuno. Se in una coppia di gemelli che sono stati adottati e allevati dalla medesima famiglia uno dei due ha una diagnosi di schizofrenia, non è che l'altro abbia più probabilità di ammalarsi degli altri membri della famiglia adottiva. «L'ambiente familiare in comune non sembra avere peso ... Questo risultato» scrivono Judy Dunn e Robert Plomin, due esperti ricercatori nel campo degli studi sui gemelli, «implica che la ragione principale per cui una persona riceve una diagnosi di schizofrenia e un'altra no deve trovarsi in influenze ambientali che non sono quelle condivise nell'ambito della famiglia» (il corsivo è mio). Dato che il fattore che influisce sulla diagnosi di schizofrenia non è né un gene ereditato né l'ambiente familiare in comune, vuol dire che c'è qualcos'altro, che non è in comune, cioè è qualcosa di individuale e di unico, specifico di quella particolare persona.  

Altri tre risultati di questi studi ho trovato particolarmente intriganti; essi hanno a che vedere con la nostra teoria della ghianda. Vi invito a dedicarci anche voi un po' di pensiero immaginativo. I risultati in questione riguardano la creatività, il tradizionalismo e il dato secondo il quale il fattore genetico sembra rafforzarsi negli anni centrali dell'infanzia.  

«Una dimensione della sfera cognitiva [memoria, fluidità verbale, ragionamento astratto] nella quale sembra scarsa l'influenza genetica è la creatività». Non staremo a impelagarci nel tentativo di definire questo vago e mitizzato termine, né ci metteremo, qui, a criticare i metodi usati per la sua misurazione. Sappiamo però, dai dati accumulati e dagli aneddoti biografici, che di solito le persone eminenti spiccano isolate rispetto alla loro famiglia, i loro coetanei, il luogo di nascita, i loro stessi figli. Le persone eminenti di solito sono «diverse», dissimili dai parenti più prossimi (natura) e dal loro ambiente (cultura). In altri termini, né i geni né l'ambiente possono dirsi con certezza tra le cause dell'eminenza. La straordinaria individualità della persona eminente, che comunemente presumiamo essere esempio o portatrice di «creatività» (comunque la si definisca), non è attribuita né alla natura né alla cultura. Che c'entri qualcos'altro? Un fattore indipendente?  

Per evitare di dover analizzare quel «qualcos'altro» e dichiararsi in favore di un fattore indipendente, le spiegazioni comportamentistiche mescolano insieme natura e cultura. Ipotizzano un misterioso intreccio di fili neri e bianchi, il cui risultato è così sottilmente intessuto che ci si para davanti uno schermo grigio di incertezza e si capisce meno di prima se la creatività sia prevalentemente genetica oppure ambientale. Rispetto all'eterno mistero della creatività umana, questa spiegazione «in grigio» riduce il rischio di scardinare il bipartitismo con l'introduzione di una componente autenticamente diversa: la vocazione, come propone la teoria della ghianda. Però riduce anche la soddisfazione per la mente immaginativa.  

Se la creatività mostra di essere scarsamente influenzata dalla genetica, il «tradizionalismo» parrebbe, sorprendentemente, a forte componente ereditaria. Gli studi usano il termine «tradizionalismo» per indicare la « tendenza a ubbidire alle regole e all'autorità, e a invocare elevati standard morali e una disciplina rigorosa».  

I dati, come ama ripetere la scienza, sono apolitici e quindi il « tradizionalismo » genetico non viene direttamente ricollegato con una precisa posizione politica (Partito repubblicano) o religiosa (fondamentalismo, ortodossia). Eppure quella descrizione del tradizionalismo non può non far pensare a un qualche messaggio genetico al fondo di affiliazioni partitiche e confessionali di tipo conservatore quando non reazionario. Gli studi di Jerome Kagan sul carattere innato .parleranno prudentemente di inclinazione temperamentale; l'astrologia si immaginerà un'influenza di Saturno sui cromosomi; il femminismo prenderà tristemente atto di quanto siano inestirpabili gli atteggiamenti patriarcali; i marxisti capiranno come mai è così difficile risvegliare contadini e proletari alla rivoluzione; e la Chiesa potrà rassicurarsi: ci sarà sempre una riserva genica a cui il Vaticano possa attingere.  

Già una settantina di anni fa, l'antropologo Paul Radili spiegò la nascita del monoteismo dicendo che esso non costituisce una naturale fase evolutiva delle religioni; al contrario, il pensiero monoteistico è espressione delle caste sacerdotali e della loro mentalità: il monoteismo trae origine da un particolare «temperamento». Radin aveva intuito il ruolo determinante dell'atteggiamento tradizionalista presente nel carattere molto prima che la genetica saltasse fuori con i suoi dati sul tradizionalismo.  

A questo punto si capisce meglio perché è così difficile cambiare le cose. Forse il tradizionalismo è quella vena conservatrice presente nella natura umana che si esprime in tutte le culture come fondamentalismo e rigidità mentale ed è personificata nella figura archetipica del Vecchio Re. Personalmente, trovo che sia un sollievo sapere che l'insistenza su elevati standard morali e una disciplina rigorosa non viene dall'angelo o dalla voce che chiama, ma fa parte della nostra struttura fisica, come il cranio o le ossa.  

Se consideriamo il fatto che il tradizionalismo ha una forte componente genetica, questo dato ci aiuta a capire perché il genio chiama lontano dalla vita tradizionale? Per molti secoli, dai Problemata di Aristotele sulla follia melanconica (o furor, lo stato mentale fuori della norma delle persone «creative»), giù giù fino a Cesare Lombroso nell'Ottocento, la vocazione è sempre stata accostata o addirittura identificata con l'anti tradizionale e l'anormale." Nell'immaginazione popolare, novità e originalità sono il contrario di tradizione, come se l'ispirazione dovesse per definizione opporsi all'ordine, alla disciplina, alle regole, all'autorità, insomma al «tradizionalismo». Dunque è lecito quanto meno azzardare la conclusione che tra gli atteggiamenti conservatori, che sono genetici, e un qualcos'altro, che chiama contro e lontano, può crearsi un forte conflitto.  

Un terzo risultato molto curioso dice che l'influenza dell'ereditarietà sull'intelligenza (quale è misurata dal qi) aumenta via via dopo i primi mesi di vita, fino agli anni centrali dell'infanzia. Anzi, «le prove sembrano indicare che l'ereditabilità del qi aumenta con l'età, e continua a crescere dalla prima infanzia fino alla tarda età adulta».  

Io avrei detto che il fattore genetico dovesse essere più forte e più determinante per le nostre abilità, per esempio l'intelligenza, al momento dell'arrivo sulla terra, prima che inizi il bombardamento di stimoli dal mondo esterno, quando ancora non si è in grado di operare una selezione. Avrei detto che fossero i primi mesi e i primi anni quelli in cui i fattori genetici svolgono il ruolo più importante. Invece gli studi sul Qi dei bambini mostrano che è fra i tre e i sei, sette anni che l'ereditabilità esplica il maggiore influsso. In seguito, dopo i sette anni circa, incomincia a decrescere di nuovo. Non solo, «i valori del qi aumentano in misura sostanziale durante l'infanzia, benché il qi sia fortemente correlato con l'ereditabilità». (Al problema del Quoziente d'Intelligenza arriviamo fra un attimo).  

Perché il fattore ereditario è meno potente all'età di due o tre anni che non a sette o otto anni? Forse che l'individualità dell'intelligenza è più pronunciata alla nascita, per poi affievolirsi gradualmente negli anni centrali dell'infanzia? Una congettura che si potrebbe avanzare in base al risultato di questi studi è che il neonato sia meno sottoposto all'influenza così della natura come della cultura di quanto lo sia il bambino più grandicello, più debitore, almeno per ciò che riguarda l'intelligenza innata, alla propria dotazione originaria. Questa lettura dei dati confermerebbe il mito platonico, secondo il quale ciascuna persona nasce con un innato paradigma, che non coincide con la dotazione genetica e che recede gradualmente negli anni centrali dell'infanzia, quando entrano di prepotenza in campo i fattori genetici. Inoltre, alla fine dell'età adulta, quando la vocazione, il carattere e il destino sono diventati più ineludibili, ecco che anche allora l'intelligenza, e tutto ciò a cui essa si dedica, torna ad appartenere di più al codice dell'anima che non a quello genetico. 

Anche «durante la prima adolescenza l'ereditabilità sembra declinare». Questo conferma le nostre aspettative: molte biografie testimoniano dell'irrompere improvviso e inatteso della vocazione in quegli anni. Riassumendo, la vocazione sembra più vicina nel periodo fra i tre e gli otto anni e poi di nuovo nell'adolescenza: questo, cioè, se immaginiamo che la vocazione sia più in evidenza quando le influenze genetiche recedono. E infatti alcune delle biografie raccontate in questo libro mostrano il daimon che emerge nei primi anni di vita e nell'adolescenza.  

Riflessioni e congetture come quelle esposte sono le bollicine di champagne degli studi sperimentali e statistici; ne rendono divertente la lettura. Presi in sé, gli studi statistici pietrificano la mente, Perciò io presento i loro risultati non come sono presentati a me, come prove volte a consolidare il concreto: li offro per accendere la scintilla del pensiero congetturale. Il quale diventa tanto più importante quanto più le scienze della biologia molecolare e della statistica si affinano e i loro campioni diventano più ampi. Per tenere dietro ai dati, l'immaginazione deve espandersi. Ogni anno negli Stati Uniti nascono undicimila coppie di gemelli identici. Diventa sempre più evidente dal loro studio come le influenze genetiche siano estremamente complesse e varie, anche se noi vorremmo tracciarne il grafico o rinchiuderle sotto la campana della curva di Gauss.  

E con ciò siamo atterrati dritti sopra il cespuglio spinoso del Quoziente d'Intelligenza. «Benché la questione dell'influenza genetica sul qi sia tradizionalmente una delle zone più controverse delle scienze comportamentali, un recente sondaggio condotto su un migliaio di scienziati e educatori indica che la maggioranza degli intervistati oggi è convinta che le differenze individuali di qi siano almeno in parte ereditarie»».  

Si noti la parola che ho voluto sottolineare: individuali. Differenze non di genere, non di colore, non di razza, non di classe, non di gruppo, bensì tra un individuo e l'altro.  

Perciò adesso voglio muovere quattro critiche generali a chi mette a confronto le misure del qi di bianchi e neri (cosiddetti).  

Chi, geneticamente, è nero e chi bianco nella nostra cultura che viene da trecentocinquant'anni di incroci, a non voler contare le mescolanze genetiche precedenti all'invasione delle Americhe da parte degli europei e all'importazione degli africani? 

Che cosa misuriamo in realtà nei test che misurano quello che poi chiamiamo «qi»?  

Qual è il significato psicologico di «test» nelle varie collettività sociali e quale relazione esiste fra il test di intelligenza come rito e altri riti che sono dei test?  

Accanto a queste domande, che si ritrovano anche nel dibattito infinito sul Quoziente d'Intelligenza e la sua misurazione e i suoi test, ce n'è un'altra che nasce direttamente da questo libro. Se è vero che esiste una ghianda, un daimon, e se è vero che in molti casi questo fattore oppone resistenza alla socializzazione, non vuole collaborare, come mostrano spesso le storie delle persone eminenti, non potrebbe tale resistenza abbattere il rendimento ai test che misurano il qi? Il daimon non tenderebbe anzi a scegliere proprio quei test per il suo rifiuto, visto che un punteggio elevato è di solito il passaporto giusto per essere collocati in una zona più accettabile della curva a campana? 

L'individualità

L'identità individuale di ciascuna persona è non solo un articolo di fede religiosa e un assioma della mente occidentale: l'individualità umana è anche poco meno che una certezza statistica. 

« Ciascuno di noi ha la capacità di generare dieci alla tremillesima ovuli o spermatozoi. Se pensiamo ai dieci alla tremillesima possibili ovuli che vengono generati da una singola donna e allo stesso numero di spermatozoi prodotti da un singolo uomo, le probabilità che esista qualcun altro con il mio stesso genotipo, nel passato o nel futuro, diventa infinitesimale». 

Inoltre, la ricerca genetica stessa mette in guardia contro le spiegazioni troppo semplificatone sulla natura dei geni. La modalità del loro influsso è caratterizzata da improvvisi scatti alternati a lunghi periodi di latenza, l'interazione con la situazione ambientale è estremamente intricata, Perciò, dopo gli anni Ottanta, la ricerca si è sempre più spesso rivolta alle vite singole, alle differenze comportamentali, agli orientamenti non condivisi, insomma a ciò che io e voi chiameremmo l'individualità. 

A spiegazione dell'aspetto genetico dell'individualità, tre sono le teorie, le idee esplicative che sono andate acquistando preminenza. E anch'esse sono orientate verso un «qualcos'altro». 

La prima si chiama «emergenesi» e si basa in parte sulla sorprendente scoperta che esistono tratti genetici che non si trasmettono nelle famiglie e tuttavia compaiono nei gusti, negli stili, nelle idiosincrasie di gemelli identici allevati in luoghi diversi. Ecco alcuni esempi di questa straordinaria concordanza tra gemelli allevati separatamente: 

« Due gemelli monozigoti maschi, quando si videro per la prima volta da adulti, scoprirono che usavano entrambi il dentifricio Vademecum, il dopobarba Canoe, il tonico per capelli Vitalis e che fumavano entrambi le sigarette Lucky Strike. Dopo quell'incontro, si spedirono per posta il regalo per il compleanno; i pacchi si incrociarono e risultarono contenere il medesimo regalo, scelto indipendentemente in due diverse città. 

«Nel gruppo dei gemelli c'erano due uomini con l'hobby delle armi, due donne che indossavano d'abitudine sette anelli... due persone con la mania ossessiva di contare le cose, due che si erano sposate cinque volte, due vigili del fuoco volontari con il grado di capitano, due disegnatrici di moda, due uomini con l'abitudine di lasciare in giro per casa bigliettini d'amore per le rispettive mogli ... e si trattava in ciascun caso di una coppia di gemelli monozigoti... 

«Al contrario i gemelli eterozigoti separati nei primi mesi di vita e allevati in famiglie diverse che noi abbiamo studiato presentavano raramente simili "coincidenze"». 

La teoria dell'emergenesi spiega questi fenomeni di convergenza dicendo che le similarità devono essere a) di origine genetica (perché si manifestano in gemelli identici) e b) il risultato di una configurazione di geni che emerge in modo unico in questa o quella ' coppia. Se tali abitudini e gusti si manifestassero in persone singole, non potremmo pensare a un'influenza genetica. Ma dal momento che essi compaiono in gemelli identici allevati separatamente, la concordanza può essere dovuta soltanto all'ereditarietà.  

La teoria dice che la dotazione genetica dà luogo a una configurazione assolutamente unica, ereditata dal materiale genico di entrambe le linee genitoriali. «Io posso ricevere il dieci e il re di picche da papà e il fante, la donna e l'asso di picche dalla mamma, tutte carte che non hanno mai contato molto in nessuno dei due alberi genealogici, ma la cui combinazione in me potrebbe produrre ... un nuovo record olimpionico». A determinare l'unicità non è tanto il mazzo di materiale genico, la mano di carte che ho ricevuto, quanto il modo in cui le carte si dispongono, formando una particolare, e vincente, configurazione.  

La parola che avevamo usato per «configurazione» era «disegno» o «immagine», il particolare paradeigma che ci è toccato, secondo il mito platonico. L'emergenesi dà una spiegazione genetica, e, presumo io, casualistica, del paradigma che ti appartiene. Chi può sapere, infatti, che cosa ti ha indotto a pescare le carte vincenti? O meglio, lo sanno le Moire: la tua configurazione è il destino che la tua anima ha scelto prima ancora che tu vedessi la luce.  

La seconda teoria è nota con il nome di « epistasi » e si riferisce all'effetto inibitorio dei geni che interagiscono gli uni con gli altri in una sbalorditiva varietà di combinazioni.  

«Le differenze comportamentali tra gli individui coinvolgono moiri geni, centinaia probabilmente. Ciascun gene può dare il proprio piccolo e autonomo contributo alla variabilità esistente tra gli individui ... L'episiasi ... è una sorta di lotteria genetica. Un sorteggio fortunato al momento del concepimento può dare luogo a certe combinazioni di geni uniche, che producono effetti straordinari non riscontrabili nei genitori o nei fratelli». 

Nel «chi siamo» gioca dunque la sua parte un imprevedibile «sorteggio fortunato». In Platone, questa causa aleatoria aveva nome Ananke, la terribile dea della necessità, che sfidava la ragione e, nel mito platonico, aveva il potere supremo sul destino scelto dalla nostra anima. Altri suoi nomi erano Tyche e Moira, tutte personificazioni del fato; dall'epoca romana fino a tutto il Rinascimento, questo principio era chiamato la dea Fortuna. E certo sembra buffo che si ritorni, alla fine, a queste figure archetipiche per dare conto dello specifico carattere e destino dell'individuo. Come se l'avessimo sempre saputo, solo che adesso abbiamo trovato un nuovo nome per indicarlo; la teoria del caos, ed è appunto questa la terza idea che emerge oggi negli studi sull'ereditarietà. 

« Nei sistemi non lineari [e indubbiamente la vita è un sistema non lineare], minuscole differenze, apparentemente trascurabili, nell'input possono portare a enormi differenze nell'output... I sistemi caotici non sono prevedibili [e altrettanto indubbiamente l'imprevedibilità è una caratteristica della vita] e tuttavia, nelle loro configurazioni irregolari, sono stabili». Inoltre, la teoria del caos attribuisce grande importanza alla «dipendenza significativa dalle condizioni iniziali». 

Insomma, siamo o non siamo ritornati all'influenza dell'angelo, del genio, e alle situazioni apparentemente trascurabili attraverso le quali esso opera, come il capriccio del piccolo Yehudi Menuhin alla vista del violino giocattolo, come l'estemporaneo cambiamento di programma di Ella Fitzgerald ai concorso per dilettanti? Vi prego inoltre di notare l'espressione usata all'inizio del brano citato: «Nei sistemi non lineari». Non possiamo più pensare alla nostra biografia come a un sistema vincolato dal tempo, come a una progressione lungo una linea retta dalla nascita alla morte; la dimensione temporale, la dimensione lineare, è soltanto una delle dimensioni della nostra vita.  

L'anima si muove in cerchi, dice Plotino. Di conseguenza, le nostre vite non progrediscono in linea retta, bensì indugiano, oscillano, tornano indietro, si rinnovano, sì ripetono. I geni operano per latenze e scatti. La sensazione di essere presenti, in contatto, aperti, con la mente espansa, dì vedere e di sapere va e viene in modo assolutamente imprevedibile e tuttavia secondo configurazioni stabili.  

Sono diverso da tutti gli altri e uguale a tutù gli altri; sono diverso da quello che ero dieci anni fa e uguale a quello che ero dieci anni fa; la mia vita è un caos dotato di stabilità, è caotica e ripetitiva insieme, e io non posso sapere in anticipo quale minuscolo e insignificante bit in input produrrà effetti enormi e significativi in output. Devo rimanere sempre vivamente ricettivo verso le mie condizioni iniziali, cioè verso l'essere che è venuto al mondo con me e ogni giorno mi accompagna nel mondo. Da quell'essere rimango dipendente. 

L'amore

Nell'amore non siamo così unici come ci piacerebbe credere. Pare che la gente abbia stili amorosi molto simili. I gemelli identici adulti mostrano nel modo più evidente questa similarità, tendono a concepire l'amore nello stesso modo. 

Dicendo stili amorosi, mi richiamo ai modelli usati nelle ricerche sull'amore. Il concetto generale di « amore» viene distribuito in vari contenitori, come cura altruistica responsabile (agape), solidarietà pratica (pragma), intimità erotica (eros), e così via. I gemelli identici mostrano convergenze in queste categorie. E tuttavia il motivo di tale similarità non è di ordine genetico.