GLI INGLESI
La carrozza mandata dai Sommers arrivò all'hotel con mezz'ora di ritardo. L'autista aveva alzato parecchio il gomito, ma Jacob Todd non aveva alternative. L'uomo lo portò verso sud. Aveva piovuto per un paio d'ore e le strade erano diventate impraticabili in alcuni tratti in cui le pozzanghere d'acqua e fango celavano trappole fatali, buche certamente in grado di ingoiarsi un cavallo distratto. Sui bordi della strada stazionavano bambini con coppie di buoi pronti a recuperare le carrozze impantanate in cambio di una moneta, ma nonostante la miopia dell'ebbrezza, l'autista riuscì a eludere le buche e presto iniziarono a salire le pendici di una collina. Arrivando a Cerro Alegre, dove viveva la maggior parte della colonia straniera, la città mutava radicalmente d'aspetto e scomparivano le catapecchie e le case brulicanti di gente della parte bassa. La carrozza si fermò davanti a una villa di ampie proporzioni, ma dall'aspetto tormentato, una mostruosità costruita con torrioni pretenziosi e inutili scale, conficcata tra i dislivelli del terreno, illuminata con una quantità tale di torce che alla notte non era rimasto che indietreggiare. Venne ad aprire la porta un servitore indio con indosso una livrea troppo grande, che dopo essersi fatto consegnare soprabito e cappello condusse Todd in una sala spaziosa, arredata con mobili di buona fattura e tendaggi un tantino teatrali di velluto verde, sovraccarica di ornamenti, priva di un centimetro libero su cui far riposare la vista. Immaginò che in Cile, come in Europa, una parete nuda fosse considerata segno di povertà e si ravvide solo molto tempo dopo, quando visitò le case buie dei cileni. I quadri erano stati appesi con un'inclinazione che permettesse di apprezzarli dal basso e la vista si perdeva nella penombra dei soffitti alti. L'imponente camino che bruciava grossi ceppi e i vari bracieri a carbone distribuivano in modo disuguale un calore che lasciava i piedi gelati e rendeva la testa febbricitante. Era presente poco più di una dozzina di persone vestite alla moda europea e diverse cameriere in divisa che giravano con i vassoi. Jeremy e John Sommers gli si fecero incontro per salutarlo.
"Le presento mia sorella Rose," disse Jeremy accompagnandolo in fondo alla sala.
E in quel momento Jacob Todd vide, seduta a destra del caminetto, la donna che avrebbe messo a ferro e fuoco la pace della sua anima. Rose Sommers lo colpì immediatamente; più che per il suo piacevole aspetto, perché gli parve sicura di sé e allegra. Non aveva nulla della grossolana esuberanza del capitano né della fastidiosa solennità del fratello Jeremy, era una donna dall'espressione scintillante che sembrava sempre sul punto di scoppiare in una risata civettuola. Quando ciò avveniva, una rete di rughe sottili le appariva intorno agli occhi e per qualche strana ragione fu soprattutto questo ad attrarre Jacob Todd. Non fu in grado di attribuirle un'età; tra i venti e i trenta probabilmente, ma immaginò che in capo a dieci anni sarebbe stata identica, perché era ben fatta e aveva un portamento regale. Sfoggiava un abito di taffetà color pesca ed era priva di gioielli, fatta eccezione per dei semplici orecchini di corallo. Il più elementare galateo suggeriva di limitarsi ad accennare il gesto di baciarle la mano, senza toccarla con le labbra, ma gli si offuscò il giudizio e senza sapere come ci stampò sopra un bacio. Quel saluto risultò talmente inappropriato che per una pausa lunga un eternità rimasero in sospeso nell'incertezza, lui trattenendole la mano come chi impugna una spada e lei osservando la traccia di saliva senza osare pulirla per non offendere l'ospite, fino a quando non li interruppe una ragazzina vestita da principessa. Allora Todd reagì all'inquietudine e mentre si raddrizzava riuscì a cogliere l'espressione ironica che i fratelli Sommers si stavano scambiando. Tentando di sviare i sospetti, si girò verso la bambina con un'attenzione esagerata, deciso a conquistarla.
"Questa è Eliza, la nostra protetta," disse Jeremy Sommers. Jacob Todd commise il secondo errore.
"In che senso protetta?" chiese.
"Vuol dire che non sono della famiglia," spiegò Eliza pazientemente, col tono di chi sta parlando a un tonto.
"Ah no?"
"E che se mi comporto male mi manderanno dalle monache papiste."
"Ma cosa dici, Eliza! Non le faccia caso, Mr Todd. Ai bambini vengono sempre in mente idee strane. Certo che Eliza è della nostra famiglia," si intromise Miss Rose, alzandosi in piedi.
Eliza aveva trascorso la giornata a preparare la cena con Mama Fresia. La cucina si trovava in cortile, ma Miss Rose l'aveva fatta congiungere alla casa mediante una tettoia per evitare l'umiliazione di servire piatti freddi o decorati dalle colombe. Quella stanza annerita dall'unto e dalla fuliggine dei fornelli era il regno indiscusso di Mama Fresia. Gatti, cani, oche e galline passeggiavano a loro piacimento sul pavimento di mattoni rustici non incerati; lì ruminava per tutto l'inverno la capra che aveva allattato Eliza, ormai molto anziana, che nessuno aveva osato sacrificare perché sarebbe stato come uccidere una madre. Alla bambina piaceva l'aroma di pane crudo nelle forme quando il lievito sospirando realizzava il misterioso compito di rendere spugnosa la pasta; quello della glassa di zucchero per la decorazione delle torte; quello delle scaglie di cioccolato che si scioglievano nel latte. I mercoledì dei ritrovi, le due domestiche - giovani indie che vivevano nella casa e lavoravano alla preparazione dei pasti - pulivano l'argento, stiravano le tovaglie e tiravano a specchio i vetri. A mezzogiorno mandavano il cocchiere in pasticceria a comprare i dolci preparati su ricette gelosamente custodite dai tempi della colonia. Mama Fresia ne approfittava per appendere a una guarnizione dei cavalli una borsa di cuoio contenente latte fresco che, trottando all'andata e al ritorno, si trasformava in burro.
Alle tre del pomeriggio Miss Rose chiamava Eliza nella sua camera, dove il cocchiere e il cameriere personale avevano collocato una vasca da bagno di bronzo con piedini di leone; le domestiche la ricoprivano poi con un lenzuolo e la riempivano d'acqua calda, profumata con foglie di menta e rosmarino. Rose ed Eliza sguazzavano come due bambine fino a quando l'acqua non si era raffreddata e a quel punto ritornavano le cameriere con le braccia cariche di indumenti e aiutavano entrambe a indossare calze e stivaletti, pantaloni a mezza gamba, camicia di batista seguita da una sottoveste imbottita sui fianchi per accentuare la snellezza della vita, e subito dopo tre sottovesti inamidate per finire poi con il vestito, che le copriva interamente, lasciando scoperte solo la testa e le mani. Miss Rose utilizzava anche un corsetto rigido fatto con stecche di balena, talmente stretto da non consentirle di respirare in profondità né di sollevare le braccia oltre le spalle; non riusciva nemmeno a vestirsi da sola né a chinarsi perché le stecche si sarebbero rotte e le si sarebbero conficcate come aghi nel corpo. Questo era l'unico bagno della settimana, una cerimonia paragonabile solamente al lavaggio dei capelli del sabato, che qualsiasi pretesto poteva annullare dal momento che si riteneva pregiudizievole per la salute. Durante la settimana Miss Rose utilizzava il sapone con cautela, preferiva frizionarsi con una spugna imbevuta di latte e rinfrescarsi con dell'eau de toilette alla vaniglia, seguendo così, come aveva sentito dire, una moda che in Francia vigeva dai tempi di Madame Pompadour; Eliza era in grado di riconoscerla a occhi chiusi in mezzo a una moltitudine di gente grazie alla sua particolare fragranza da dessert. A trent'anni passati, Miss Rose manteneva la pelle trasparente e fragile tipica di alcune giovani inglesi prima che la luce del mondo e la loro peculiare arroganza la trasformassero in cartapecora. Si prendeva cura del suo aspetto utilizzando acqua di rose e limone per schiarire la pelle, miele di amamelide per ammorbidirla, camomilla per dar luce ai capelli e una collezione di balsami e lozioni esotiche portate da suo fratello John dal lontano Oriente dove, a quanto si diceva, vivevano le donne più belle dell'universo. Si inventava vestiti ispirati alle riviste londinesi e se li faceva da sé nella sua stanza del cucito; con un pizzico d'ingegno e di fantasia modificava il suo abbigliamento grazie agli stessi nastri, fiori e piume che venivano utilizzati per anni senza invecchiare. Quando usciva non usava, come le cilene, un mantello nero per coprirsi, abitudine che le sembrava aberrante, ma preferiva le sue mantelline corte e la sua collezione di cappelli, anche se per strada erano soliti guardarla come fosse una cortigiana.
Felice di vedere un volto nuovo nella riunione settimanale, Miss Rose perdonò a Jacob Todd il bacio impudente e presolo per il braccio lo condusse a un tavolo rotondo situato in un angolo della sala. Gli fece scegliere tra vari liquori, insistendo perché assaggiasse la sua miscela, uno strano intruglio di cannella, acquavite e zucchero che lui, non riuscendo a inghiottirlo, versò di nascosto in un vaso di fiori. Poi gli presentò i convenuti: Mr Appelgreen, costruttore di mobili, accompagnato dalla figlia, una giovane scolorita e timida; Madame Colbert, direttrice di una scuola inglese per fanciulle e infine Mr Ebeling, proprietario del miglior negozio di cappelli per uomo e per signora, che si avventò su Todd chiedendogli notizie della famiglia reale inglese come se si stesse parlando dei suoi parenti. Conobbe anche i chirurghi Page e Poett.
"Questi dottori operano con cloroformio," dichiarò con ammirazione Miss Rose.
"Qui è ancora una novità, ma in Europa ha rivoluzionato la pratica della medicina," spiegò uno dei medici.
"A quanto ne so, in Inghilterra si utilizza regolarmente nell'ostetricia. Non lo usò forse la regina Vittoria?" aggiunse Todd, tanto per dire qualcosa visto che non sapeva niente dell'argomento.
"Qui l'opposizione dei cattolici in materia è forte. La maledizione biblica impone alla donna di partorire con dolore, Mr Todd."
"Non vi pare ingiusto, signori? La maledizione dell'uomo è di lavorare col sudore della fronte, ma in questa sala, tanto per non andare troppo lontano, il sudore con cui i gentiluomini si guadagnano da vivere è quello degli altri," replicò Miss Rose arrossendo violentemente.
I chirurghi sorrisero imbarazzati, ma Todd la osservò rapito. Sarebbe rimasto con lei tutta la serata, benché, a quanto ricordava, a Londra l'atteggiamento più consono per un incontro era restare insieme solo una mezz'ora. Si rese conto che in quella riunione la gente sembrava disposta a fermarsi e immaginò che la cerchia sociale dovesse essere molto limitata e che probabilmente quella dai Sommers era l'unica riunione settimanale. Era immerso in simili congetture quando Miss Rose annunciò che si sarebbe dato inizio all'intrattenimento musicale. Le cameriere portarono altri candelabri che illuminarono la sala a giorno, collocarono le sedie intorno al pianoforte, una viella e un'arpa; le donne si sedettero a semicerchio e gli uomini si sistemarono dietro in piedi. Un paffuto gentiluomo si accomodò al piano e mentre dalle sue mani da macellaio si sprigionava un'incantevole melodia, la figlia del fabbricante di mobili interpretò un'antica ballata scozzese con una voce talmente aggraziata che Todd dimenticò completamente il suo aspetto da topino spaventato. La direttrice della scuola per fanciulle recitò un poema eroico, inutilmente lungo; Rose invece cantò un paio di canzoni picare in duetto con il fratello John, nonostante l'evidente disapprovazione di Jeremy Sommers, e poi reclamò da Jacob Todd che li dilettasse con qualche pezzo del suo repertorio. L'ospite ebbe dunque l'opportunità di mettere in mostra la sua bella voce.
"Lei è una vera sorpresa, Mr Todd! Non ci sfuggirà: si consideri condannato a venire tutti i mercoledì!" esclamò lei una volta terminato l'applauso, senza badare all'espressione imbambolata con cui l'ospite la guardava.
Todd sentiva i denti appiccicosi di zucchero e la testa che gli girava, non sapeva se soltanto a causa dell'ammirazione per Rose Sommers o anche per la complicità dei liquori ingurgitati e del potente sigaro cubano fumato in compagnia del capitano Sommers. In quella casa rifiutare un bicchiere o un piatto era un'offesa; presto avrebbe scoperto che quella era una caratteristica nazionale in Cile, paese in cui l'ospitalità si esprimeva obbligando gli invitati a bere e a mangiare oltre i limiti dell'umana possibilità. Alle nove venne annunciata la cena e tutti si trasferirono in processione nella sala da pranzo in cui li attendeva un'altra serie di piatti impegnativi e di nuovi dessert. Verso la mezzanotte le donne si alzarono da tavola e proseguirono la conversazione nel salone, mentre gli uomini degustavano brandy e fumavano in sala da pranzo. Finalmente, quando ormai Todd era sul punto di venir meno, gli invitati iniziarono a chiedere i loro soprabiti e le carrozze. Gli Ebeling, profondamente interessati alla sua presunta missione evangelizzatrice in Terra del Fuoco, si offrirono di accompagnarlo in albergo e lui accettò immediatamente, terrorizzato all'idea di ritornare con il buio pesto per quelle strade da incubo con il cocchiere ubriaco dei Sommers. Il viaggio gli sembrò eterno, si sentiva incapace di concentrarsi sulla conversazione, aveva il mal di mare e lo stomaco sottosopra.
"Mia moglie è nata in Africa, è figlia di missionari che in quelle terre diffondono la vera fede: sappiamo quanti sacrifici tutto ciò comporti, Mr Todd. Speriamo che ci voglia concedere il privilegio di aiutarla nel nobile compito che svolgerà tra gli indigeni," disse con solennità Mr Ebeling quando si congedarono.
Quella notte Jacob Todd non riuscì a dormire; la visione di Rose Sommers lo tormentava con crudeltà e prima dell'alba aveva preso la decisione di corteggiarla sul serio. Non sapeva niente di lei, ma non gliene importava, perché forse il suo destino era di perdere una scommessa e di arrivare fino in Cile per conoscere la sua futura sposa. Ci si sarebbe dedicato dal giorno successivo, ma, in preda a violente coliche, non fu in grado di alzarsi dal letto. Rimase in queste condizioni per un giorno e una notte, passando da intervalli in cui era privo di conoscenza a momenti di agonia, fino a quando non riuscì a radunare le forze per affacciarsi alla porta e invocare aiuto. Su sua richiesta, il direttore dell'albergo fece avvisare i Sommers, gli unici conoscenti che aveva in città, e chiamò un ragazzo per pulire la stanza che puzzava di letamaio. Jeremy Sommers si presentò all'hotel a mezzogiorno, accompagnato dal flebotomo più noto di Valparaiso; questi, che si rivelò padrone di alcuni rudimenti d'inglese, dopo avergli salassato gambe e braccia fino a lasciarlo esangue, gli spiegò che, come mettevano piede per la prima volta in Cile, tutti gli stranieri si ammalavano.
"Non c'è motivo di allarmarsi; a quanto ne so, sono pochissimi quelli che muoiono," lo tranquillizzò.
Gli prescrisse del chinino da prendere in ostie di carta di riso, ma la nausea che lo piegava in due gli impedì di inghiottirle. Era stato in India e conosceva i sintomi della malaria e di altre malattie tropicali curabili con il chinino, ma quest'indisposizione non assomigliava nemmeno lontanamente ad alcuna di esse. Appena il flebotomo se ne fu andato, tornò il ragazzo per portami via gli stracci e pulire di nuovo la stanza. Jeremy Sommers aveva lasciato gli estremi dei dottori Page e Poett, ma non si fece in tempo a chiamarli perché due ore più tardi apparve in albergo un donnone che pretese di vedere il malato. L'accompagnava per mano una bambina vestita di velluto blu, con stivaletti bianchi e un cappellino bordato di fiori, simile al personaggio di una favola. Erano Mama Fresia ed Eliza, mandate da Rose Sommers che aveva poca fiducia nei salassi. Irruppero nella stanza con una tale sicurezza che il debilitato Jacob Todd non osò protestare. La prima veniva in qualità di guaritrice e la seconda di interprete.
"La mia mamita dice che le toglierà il pigiama. Io non guarderò," spiegò la ragazzina; e si girò verso il muro mentre l'india lo denudava con due zampate e procedeva a frizionarlo completamente con acquavite.
Gli misero nel letto mattoni caldi, lo avvolsero nelle coperte e gli diedero da bere a cucchiaiate un infuso di erbe amare dolcificate con miele che doveva placare i dolori dell'indigestione.
"La mia mamita adesso si metterà a romancear la malattia," disse la ragazzina.
"E cosa sarebbe?"
"Non si preoccupi, non fa male."
Mama Fresia chiuse gli occhi e iniziò a passargli le mani sul torace e sulla pancia sussurrando parole magiche in lingua mapuche. Jacob Todd si sentì invadere da un torpore irresistibile e prima che la donna avesse finito si era addormentato tanto profondamente che non si accorse quando le due donne sparirono.
Dormì per diciassette ore e si svegliò madido di sudore. La mattina successiva Mama Fresia ed Eliza tornarono per somministrargli un'altra vigorosa frizione e una tazza di brodo di gallina.
"La mia mamita dice che non deve più bere acqua. Prenda solo del tè ben caldo e non mangi frutta, altrimenti le torneranno le voglie di morire," tradusse Eliza.
In capo a una settimana, quando riuscì a reggersi in piedi e si guardò allo specchio, si rese conto che con quell'aspetto non poteva presentarsi a Miss Rose: aveva perso diversi chili, era emaciato e non riusciva a fare più di due passi senza crollare su una sedia boccheggiando. Quando fu in grado di mandare un biglietto a Miss Rose in cui la ringraziava per avergli salvato la vita e dei cioccolatini per Mama Fresia ed Eliza, venne a sapere che la donna era partita con un'amica e la domestica per Santiago, un viaggio rischioso viste le cattive condizioni della strada e del clima. Miss Rose percorreva quel tratto di trentaquattro leghe una volta all'anno, sempre all'inizio dell'autunno o in piena primavera, per andare a teatro, ascoltare buona musica e fare gli acquisti annuali al Grande Magazzino Giapponese, profumato di gelsomino e illuminato con lampade a gas con globi di vetro rosato, in cui comperava le quisquilie difficili da trovare al porto. Questa volta, tuttavia, c'era una buona ragione per recarvisi d'inverno: avrebbe posato per un ritratto. Per far scuola agli artisti nazionali, era arrivato in Cile, su invito del governo, il celebre pittore francese Monvoisin. Il maestro dipingeva solo il volto, il resto era opera dei suoi aiutanti, e sempre per guadagnare tempo venivano applicati direttamente sulla tela i pizzi; ma nonostante questi truffaldini escamotage, niente dava tanto prestigio quanto un ritratto firmato da lui. Jeremy Sommers insistette per averne uno della sorella da far troneggiare nel salone. Il quadro costava sei once d'oro e una supplementare per ogni mano, ma in un caso del genere non si poteva andare al risparmio. Come dicevano i suoi clienti, l'opportunità di avere un'opera autentica del grande Monvoisin non si presentava due volte nella vita.
"Se la spesa non è un problema, allora voglio che mi dipinga con tre mani. Sarà il suo quadro più famoso e finirà esposto in un museo invece di stare appeso sul nostro caminetto," fu il commento di Miss Rose.
Quello fu l'anno delle inondazioni, che rimasero registrate sui libri scolastici e nella memoria dei nonni. Il diluvio rase al suolo centinaia di case e quando alla fine la burrasca si placò e l'acqua iniziò a calare, una serie di piccole scosse, che vennero vissute come un castigo divino, distrussero completamente tutto quello che i rovesci avevano rammollito. Gli sciacalli vagavano fra i detriti approfittando della confusione per rubare nelle case e i soldati ricevettero l'ordine di giustiziare senza indugi chi fosse stato sorpreso a commettere tali soprusi ma, esaltati dalla crudeltà, iniziarono a distribuire sciabolate solo per il gusto di sentire i lamenti delle vittime e si dovette revocare l'ordine prima che perdessero la vita anche gli innocenti. Rinchiuso nell'hotel a curarsi un raffreddore, e ancora indebolito dalla settimana di coliche, Jacob Todd trascorreva le giornate nella disperazione provocata dall'incessante rumore di campane delle chiese che chiamavano a penitenza, intento a leggere vecchi giornali e a cercare qualcuno con cui giocare a carte. Fece un'incursione in farmacia alla ricerca di un tonico che rinvigorisse lo stomaco, ma il negozio si rivelò essere uno stanzino caotico gremito di polverose boccette verdi e blu in cui un commesso tedesco gli offrì olio di scorpione e spirito di lombrichi. Per la prima volta rimpianse di trovarsi tanto lontano da Londra.
Di notte riusciva a malapena a dormire a causa della gazzarra e delle risse tra ubriachi e dei funerali, che si svolgevano tra mezzanotte e le tre di mattina. Il nuovo cimitero si trovava in cima a una collina e si affacciava sulla città. Con il temporale si aprirono dei buchi e alcune tombe rotolarono dai pendii in una confusione d'ossa che livellò tutti i defunti alla medesima indegnità. Molti commentavano che i morti stavano meglio dieci anni prima, quando le persone facoltose venivano sepolte nelle chiese, i poveri nelle scarpate e gli stranieri sulla spiaggia. Questo è un paese bizzarro, concluse Jacob Todd, con un fazzoletto legato sul viso perché il vento trasportava i miasmi nauseabondi della catastrofe che le autorità combattevano con grandi falò di eucalipto. Non appena si sentì meglio, si affacciò per vedere le processioni. In genere non richiamavano l'attenzione perché ogni anno si ripetevano identiche durante i sette giorni della Settimana Santa e nelle altre festività religiose, ma in quell'occasione si trasformarono in vere celebrazioni di massa nelle quali si chiedeva al cielo la fine del diluvio. Dalle chiese uscivano lunghe file di fedeli guidate da confraternite di cavalieri vestiti di nero che trasportavano sulle portantine le statue dei santi vestiti con splendidi abiti ricamati d'oro e tempestati di pietre preziose. Una colonna portava un Cristo in croce con la corona di spine intorno al collo. Gli spiegarono che si trattava del Cristo di Maggio, che era stato trasportato per l'occasione da Santiago, perché era la raffigurazione più miracolosa del mondo, l'unica in grado di modificare il clima. Duecento anni prima, un terribile terremoto aveva raso al suolo la capitale e la chiesa di Sant'Agostino era interamente crollata, salvo l'altare in cui si trovava quel Cristo. La corona era scivolata dalla testa al collo e lì l'avevano lasciata, perché ogni volta che si era cercato di ricollocarla al suo posto la terra aveva ripreso a tremare. Le processioni riunivano una moltitudine di frati e monache, di beate esangui per i numerosi digiuni, di gente umile che pregava e cantava a squarciagola, di penitenti con sai di tela grezza e di flagellanti che si fustigavano le schiene nude con sferze di cuoio alle cui estremità si trovavano affilate borchie metalliche. Alcuni cadevano esanimi e venivano curati da donne che pulivano le piaghe aperte e offrivano loro da bere, ma non appena si riprendevano venivano nuovamente spinti nella processione. Passavano file di indigeni che si martirizzavano con insano fervore e bande di musicisti che suonavano inni religiosi. Il rumore delle suppliche lamentose sembrava un torrente d'acqua impetuosa e l'aria umida sapeva d'incenso e di sudore. Sfilavano processioni di aristocratici vestiti lussuosamente, ma di nero e senza gioielli, e altre del popolino, scalzo e ricoperto di stracci, che si incrociavano nella stessa piazza senza toccarsi né confondersi. A mano a mano che avanzavano, il clamore e le dimostrazioni di compassione aumentavano e si facevano più intense. I fedeli ululavano chiedendo perdono per i loro peccati, certi che il maltempo fosse il castigo divino per le loro mancanze. I pentiti accorrevano in massa, le chiese risultarono poche e per consentire loro di confessarsi alcuni sacerdoti si collocarono in fila sotto tendoni e ombrelli. All'inglese lo spettacolo parve affascinante: in nessuno dei suoi viaggi aveva presenziato a qualcosa di tanto esotico e al contempo lugubre. Abituato alla sobrietà protestante, gli sembrava di essere tornato in pieno Medioevo; i suoi amici di Londra non gli avrebbero mai creduto. Persino da una prudente distanza poteva cogliere il fremito da bestia primitiva e sofferente che percorreva a ondate la massa umana. Si arrampicò a fatica sulla base di un monumento nella piazzetta, di fronte alla chiesa della Matriz, da cui poteva godere una visione panoramica della folla. All'improvviso sentì che veniva tirato per i pantaloni, abbassò lo sguardo e vide una bambina spaventata, con una mantella sul capo e il viso rigato da sangue e lacrime. Si scansò bruscamente ma era troppo tardi, gli aveva già sporcato i pantaloni. Imprecò e cercò di allontanarla a gesti, visto che non ricordava le parole adatte per farlo in spagnolo, ma rimase sorpreso quando lei replicò in perfetto inglese che si era persa e che forse lui poteva accompagnarla a casa. Allora la guardò più attentamente.
"Sono Eliza Sommers. Si ricorda di me?" mormorò la ragazzina.
Approfittando del fatto che Miss Rose si trovava a Santiago per farsi fare il ritratto e che Jeremy Sommers, cui si erano inondate le cantine degli uffici, appariva molto di rado a casa in quei giorni, aveva pensato di andare alla processione e aveva tanto tormentato Mama Fresia che quest'ultima, alla fine, aveva ceduto. I padroni le avevano proibito di menzionare riti cattolici o indigeni davanti alla bambina e meno che meno di farvela assistere, ma anche lei moriva dalla voglia di vedere il Cristo di Maggio almeno una volta nella vita. I fratelli Sommers non sarebbero mai venuti a saperlo, aveva concluso. E quindi le due se l'erano svignata in silenzio da casa, erano scese per la collina a piedi, erano salite su un carro che le aveva lasciate vicino alla piazza e si erano unite a un gruppo di indios penitenti. Tutto sarebbe andato secondo il programma se nel tumulto e nel fervore di quel giorno Eliza non si fosse liberata dalla mano di Mama Fresia che, contagiata dall'isteria collettiva, non se n'era accorta. Aveva iniziato a gridare, ma la sua voce si era persa nel clamore delle invocazioni e dei tristi tamburi della confraternita. Si era messa a correre in cerca della sua tata, ma tutte le donne sembravano identiche sotto le mantelle scure e i suoi piedi scivolavano sull'acciottolato ricoperto di fango, di cera di candele e di sangue. Ben presto le diverse colonne erano confluite in un unico ammasso di persone che si trascinava come un animale ferito, mentre le campane rintoccavano impazzite e le sirene delle barche in porto suonavano. Non fu in grado di capire per quanto tempo fosse rimasta paralizzata dal terrore, poi a poco a poco nella sua mente erano iniziate a schiarirsi le idee. Nel frattempo l'esagitata processione si era calmata, si erano tutti inginocchiati e su un palco di fronte alla chiesa il vescovo in persona stava officiando una messa cantata. Eliza pensò di incamminarsi verso Cerro Alegre, ma temette di essere sorpresa dal buio prima di arrivare a casa; non era mai uscita da sola e non sarebbe stata in grado di orientarsi. Decise di non muoversi fino a quando la folla non si fosse dispersa, allora forse Mama Fresia l'avrebbe trovata. In quel momento i suoi occhi avevano incrociato un uomo dai capelli rossi aggrappato al monumento della piazza e aveva riconosciuto il malato di cui si era presa cura con la tata. Senza esitare si era fatta strada fino a raggiungerlo.
"Che cosa fai qui? Sei ferita?" domandò l'uomo.
"Mi sono persa; mi può riportare a casa?"
Jacob Todd le pulì il viso con un fazzoletto e la esaminò rapidamente, verificando che non aveva riportato ferite evidenti. Concluse che il sangue dovesse essere quello dei flagellanti.
"Ti porterò all'ufficio di Mr Sommers."
Ma lei lo pregò di non farlo, perché se il suo protettore fosse venuto a sapere che era stata alla processione, avrebbe cacciato Mama Fresia. Todd iniziò a cercare una carrozza a nolo, operazione non semplice in quel frangente, mentre la bambina camminava silenziosa stringendogli la mano. Per la prima volta nella sua vita, l'inglese provò un sussulto di tenerezza per quella piccola mano tiepida avvinta alla sua. Di tanto in tanto la guardava di nascosto, commosso da quel viso infantile dai neri occhi a mandorla. Alla fine si imbatterono in un carretto trainato da due muli e il conducente accettò di portarli sulla collina per il doppio della tariffa normale. Fecero il viaggio in silenzio e un'ora dopo Jacob Todd lasciava Eliza di fronte a casa. Lei si congedò ringraziandolo, ma senza invitarlo a entrare. Lui la guardò allontanarsi, piccola e fragile, coperta fino ai piedi dalla mantella nera. All'improvviso la bambina fece mezzo giro, corse verso di lui, gli gettò le braccia al collo e gli stampò un bacio sulla guancia. Grazie, disse ancora una volta. Jacob Todd ritornò all'hotel con lo stesso carretto. Di tanto in tanto si toccava la guancia, sorpreso da quel sentimento dolce e triste che la bambina gli ispirava.
Le processioni servirono non solo ad accrescere il pentimento collettivo, ma anche, come poté verificare lo stesso Jacob Todd, a mettere fine alle piogge, giustificando per l'ennesima volta l'ottima reputazione del Cristo di Maggio. In meno di quarantotto ore il cielo si schiarì e un timido sole spuntò a portare una nota di ottimismo nel concerto di disgrazie di quei giorni. Per colpa delle burrasche e delle epidemie erano passate in tutto nove settimane prima che riprendessero gli incontri del mercoledì dai Sommers, e ne dovettero passare altre ancora prima che Jacob Todd osasse alludere ai suoi romantici sentimenti con Miss Rose. Quando infine si decise, lei finse di non aver sentito, ma messa alle strette dalla sua insistenza se ne uscì con una risposta mortificante.
"L'unica cosa positiva del matrimonio è la vedovanza," disse.
"Un marito è un abito che, per quanto brutto, veste comunque," replicò lui, senza perdere il buonumore.
"Non nel mio caso. Un marito sarebbe un intralcio e non potrebbe darmi niente che io già non abbia."
"Figli, magari..."
"Ma quanti anni mi dà, Mr Todd?"
"Non più di diciassette!"
"Non si prenda gioco di me. Fortunatamente ho Eliza."
"Sono testardo, Miss Rose, non mi do mai per vinto."
"Gliene sono grata, Mr Todd. Ma a vestire non è un marito, sono i molti pretendenti."
Comunque fosse, Rose fu la ragione per cui Jacob Todd si fermò in Cile ben oltre i tre mesi pattuiti per la vendita delle bibbie. I Sommers furono un tramite sociale perfetto e grazie a loro gli si aprirono facilmente le porte della prospera colonia straniera, disposta ad aiutarlo nella presunta missione religiosa in Terra del Fuoco. Si ripromise di documentarsi sugli indios patagoni, ma dopo aver dato uno sguardo sonnolento ad alcuni libercoli in biblioteca, capì che era irrilevante sapere o non sapere, dal momento che a tale proposito l'ignoranza era collettiva. Bastava dire quello che la gente desiderava sentire e per far ciò poteva contare sulla sua comunicativa. Per piazzare il carico di bibbie ai potenziali clienti cileni dovette migliorare il suo spagnolo incerto. Grazie ai due mesi passati in Spagna e al suo buon orecchio, riuscì a imparare meglio e più velocemente di quanto non avessero fatto molti britannici arrivati in Cile vent'anni prima. All'inizio celò le sue idee politiche troppo liberali, ma notò che a ogni riunione sociale lo incalzavano con le domande e che si trovava sempre circondato da un gruppo di ascoltatori stupiti. I suoi discorsi abolizionisti, egualitari e democratici scuotevano dal torpore quelle brave persone, offrivano spunti per interminabili discussioni tra gli uomini e per terrorizzate esclamazioni delle signore mature, ma attiravano irrimediabilmente le più giovani. L'opinione generale lo definiva fanatico e le sue idee incendiarie erano considerate divertenti, mentre il suo dileggiare la famiglia reale britannica non piaceva per niente ai membri della colonia inglese per i quali la regina Vittoria era intoccabile, come Dio e l'Impero. La sua modesta ma più che accettabile rendita gli permetteva di vivere piuttosto agiatamente senza aver mai lavorato sul serio e ciò lo ascriveva alla categoria dei cavalieri. Non appena si scoprì che era libero da legami, non mancarono solerti fanciulle in età da marito che cercarono di acciuffarlo, ma dopo aver conosciuto Rose Sommers, Todd non aveva occhi che per lei. Si chiese migliaia di volte perché mai la giovane fosse rimasta nubile e l'unica risposta che quell'agnostico razionalista seppe darsi fu che il cielo l'aveva destinata a lui.
"Fino a quando mi tormenterà, Miss Rose? Non ha paura che mi stanchi di inseguirla?" scherzava con lei.
"Non si stancherà, Mr Todd. Inseguire il gatto è molto più divertente che catturarlo," replicava.
L'eloquenza del falso missionario fu una novità in quell'ambiente e non appena si venne a sapere che si era studiato con coscienza le Sacre Scritture, gli venne offerto di predicare. Esisteva un piccolo tempio anglicano, malvisto dalle autorità cattoliche, ma la comunità protestante si riuniva anche nelle case private. "Quando mai si è vista una chiesa senza vergini e diavoli? I gringo sono tutti eretici, non credono nel papa, non sanno pregare, passano il tempo a cantare e non fanno neanche la comunione," borbottava Mama Fresia scandalizzata quando toccava ai Sommers organizzare la funzione domenicale. Todd si preparò a commentare brevemente la fuga degli ebrei dall'Egitto, per poi fare riferimento alla situazione degli immigrati che, come gli ebrei biblici, dovevano ambientarsi in terra straniera, ma Jeremy Sommers lo presentò al pubblico come missionario e gli chiese di parlare degli indios della Terra del Fuoco. Jacob Todd non sapeva né situare la regione né l'origine di quel nome così suggestivo, ma riuscì a commuovere fino alle lacrime l'uditorio con la storia di tre selvaggi catturati da un capitano inglese per essere portati in Inghilterra. In meno di tre anni quei poveri infelici, che vivevano nudi nel freddo glaciale ed erano soliti compiere atti di cannibalismo, disse, giravano vestiti decorosamente, si erano trasformati in buoni cristiani e avevano appreso le buone maniere civilizzate, arrivando persino ad apprezzare la cucina inglese. Non specificò, tuttavia, che non appena furono rimpatriati tornarono immediatamente alle antiche abitudini, come se non fossero mai stati sfiorati dall'Inghilterra o dalla parola di Gesù. Su suggerimento di Jeremy Sommers, venne organizzata all'istante una colletta per finanziare l'impresa della divulgazione della fede; i risultati furono talmente incoraggianti che il giorno successivo Jacob Todd fu in grado di aprire un conto nella succursale di Valparaìso della Banca di Londra. Il conto veniva settimanalmente alimentato dai contributi dei protestanti e continuava ad aumentare, nonostante i frequenti prelievi con cui Todd finanziava le sue spese personali quando la sua rendita non era sufficiente a coprirle. Più denaro veniva depositato, più si moltiplicavano gli ostacoli e i pretesti per rimandare la missione evangelizzatrice. E così passarono due anni.
A Valparaiso Jacob Todd arrivò a sentirsi a suo agio come se vi fosse nato. Cileni e inglesi avevano in comune vari tratti dei carattere: risolvevano qualsiasi cosa con avvocati e curatori fallimentari; erano abitudinari e assurdamente legati alla tradizione e ai simboli della patria; si vantavano di essere individualisti e avversi all'ostentazione, che disprezzavano in quanto simbolo dell'arrivismo sociale; erano apparentemente gentili e controllati, ma capaci di grande crudeltà. A differenza degli inglesi, però, i cileni erano terrorizzati dall'eccentricità e non c'era cosa che temessero quanto rendersi ridicoli. Se parlassi un castigliano corretto, pensava Jacob Todd, mi sentirei davvero a casa. Si era sistemato nella pensione di una vedova inglese che offriva protezione ai gatti e sfornava le tolte più rinomate del porto. Dormiva con quattro felini sul letto, in buona compagnia come non era mai stato, e tutte le mattine la colazione offriva le torte tentatrici della padrona di casa. Entrò in contatto con cileni di ogni classe sociale, dai più umili, che conosceva durante le scorrerie per i bassifondi del porto, ai più elevati socialmente. Jeremy Sommers lo presentò al Club dell'Unione dove fu accettato come membro invitato. Solo gli stranieri di riconosciuta importanza sociale potevano fregiarsi di tale privilegio, dato che si trattava di una piccola enclave di proprietari terrieri e di politici conservatori, in cui il valore dei soci si misurava dal cognome. Le porte gli si spalancarono grazie alla sua abilità con le carte e i dadi; perdeva con tale grazia che erano in pochi ad accorgersi di quanto guadagnava. Divenne amico di Agustin del Valle, proprietario di terreni agricoli in quella zona e di greggi di pecore nel Sud, dove non aveva mai messo piede, perché poteva contare su fattori giunti appositamente dalla Scozia. Questa nuova amicizia gli consentì di visitare le austere dimore delle famiglie aristocratiche cilene, magioni quadrate e buie dalle ampie stanze semivuote, arredate senza raffinatezza, con mobili pesanti, candelabri funerei e una serie di crocefissi sanguinanti, vergini di gesso e santi vestiti come antichi nobili spagnoli. Erano case proiettate verso l'interno, chiuse verso la strada da alte grate di ferro, scomode e rustiche, ma dotate di freschi corridoi e di patii interni disseminati di gelsomini, aranci e rosai.
Quando sbocciò la primavera, Agustin del Valle invitò i Sommers e Jacob Todd in una delle sue tenute. Il viaggio si rivelò un incubo; un cavaliere poteva coprire quel tragitto a cavallo in quattro o cinque ore, ma la carovana della famiglia e degli ospiti partì all'alba e non arrivò se non a notte inoltrata. I del Valle si spostavano su carri trainati da buoi in cui erano stati collocati tavoli e divani di felpa. Erano poi seguiti da una processione di muli con i bagagli e di braccianti a cavallo armati con primitivi schioppi per difendersi dai banditi che erano soliti tendere agguati alle curve delle strade. Alla snervante lentezza degli animali andavano aggiunte le buche della strada in cui le stanghe dei carri si dissestavano e le frequenti soste per riposare, durante le quali i domestici servivano le vivande contenute nelle ceste in mezzo a un nugolo di mosche. Todd non s'intendeva di agricoltura, ma era sufficiente uno sguardo per capire che su quella terra fertile regnava l'abbondanza; la frutta cadeva dagli alberi e marciva per terra senza che nessuno si prendesse la briga di raccoglierla. Nella proprietà ritrovò lo stesso stile di vita conosciuto anni prima in Spagna: una famiglia numerosa unita da intricati legami di sangue e da un codice d'onore inflessibile. L'anfitrione era un potente patriarca di tipo feudale che teneva in pugno i destini dei suoi discendenti e che ostentava con arroganza un albero genealogico riconducibile fino ai primi conquistatori spagnoli. I miei trisavoli, raccontava, percorsero più di mille chilometri rivestiti di pesanti armature di ferro, attraversarono montagne, fiumi e il deserto più arido del mondo, per fondare la città di Santiago. All'interno della famiglia era simbolo di autorità e dignità, ma al di fuori della sua classe aveva fama di essere una canaglia. Vantava una prole di bastardi e la cattiva fama di aver liquidato più d'un fittavolo in uno dei suoi leggendari accessi di malumore, ma di queste morti, come di tanti altri peccati, non si faceva mai parola. Pur essendo sulla quarantina, la moglie sembrava un'anziana tremula e sottomessa, sempre in gramaglie per i figli morti nell'infanzia e soffocata dal peso del corsetto, dalla religione e da quel marito che la sorte le aveva riservato. I figli maschi trascorrevano la loro vita oziosa tra messe, passeggiate, sieste, giochi e baldoria, mentre le figlie galleggiavano come ninfe misteriose per stanze e giardini, tra fruscii di sottovesti, sempre sotto l'occhio vigile delle governanti. Erano state preparate sin da piccole a un'esistenza di virtù, fede e abnegazione; i loro destini erano matrimoni di convenienza e maternità.
In campagna assistettero a una corrida di tori che non assomigliava neanche lontanamente al brillante spettacolo di coraggio e morte della Spagna; nessun abito ricamato da torero, niente fanfare, passione e gloria, ma solo un'accozzaglia di ubriachi temerari che tormentavano l'animale con lance e insulti e che venivano catapultati nella polvere dalle cornate, tra imprecazioni e risate. Il momento più pericoloso della corrida fu quando si dovette portar fuori dall'arena la bestia infuriata e ferita, ma ancora viva. Todd ringraziò il cielo che al toro venisse risparmiata l'infamia definitiva della pubblica esecuzione perché il suo buon cuore inglese preferiva veder morto il torero piuttosto che l'animale. Di pomeriggio gli uomini giocavano a carte a tresillo e a rocambor, riveriti come principi da un autentico stuolo di camerieri cupi e umili, i cui sguardi non si levavano da terra e le cui voci non andavano mai al di là di un mormorio. Pur non essendo schiavi, lo sembravano. Lavoravano in cambio di protezione, di un tetto e di parte della semina; in teoria erano liberi, ma rimanevano con il padrone, per quanto fosse un despota e le condizioni di vita fossero dure, perché non sapevano dove andare. La schiavitù era stata abolita dieci anni prima senza tanto chiasso. Il traffico di africani in quelle zone prive di piantagioni non era mai stato redditizio, ma nessuno denunciava il destino degli indios, privati delle loro terre e ridotti in miseria, né degli affittuari dei campi, che come gli animali venivano venduti ed ereditati con la terra. Non si menzionavano neppure i carichi di schiavi cinesi e polinesiani destinati alle guaniere delle Isole Chinchas. Se non sbarcavano, non c'erano problemi: la legge proibiva la schiavitù sulla terraferma, ma non diceva niente a proposito del mare. Mentre gli uomini giocavano a carte, Miss Rose si annoiava discretamente in compagnia della signora del Valle e delle sue numerose figlie. Eliza, invece, galoppava in aperta campagna con Paulina, l'unica figlia di Agustin del Valle che sfuggisse al modello languido delle donne di quella famiglia. Aveva parecchi anni più di Eliza, ma quel giorno con lei si divertì, come se avessero la stessa età, entrambe con i capelli al vento e il viso al sole, intente a spronare le loro cavalcature.