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Tu, viandante dell'universo
che attraversi la vita come una meteora,
non rendere vana la tua caduta nel vuoto
non giungere nulla nel nulla
ma dai un senso alla tua effimera presenza
in questa effimera realtà
coltivando la più sublime delle realizzazioni
e la meta più alta della Coscienza che rende grande la Materia: l'amore attraverso il non attaccamento.
Un huddha è dentro di te: fallo crescere fino a divenire un 'altra sua incarnazione.
Nell'eterno fluire dal nulla al nulla fa' che fra uri nulla e l’altro la Coscienza e l’Amore prendano il loro posto nell'evoluzione di questo universo.
Questo manuale non tratta della religione buddhista.
Esso ripropone il metodo psicologico insegnato originalmente dal Buddha.1
Tale insegnamento ebbe come unico interesse e obiettivo la liberazione dalla sofferenza.
Io insegno soltanto ciò che serve a realizzare la Via. Ciò che è inutile non lo insegno. Ai di lei del fatto che /'universo sia finito o infinito, temporaneo o eterno. c'è una verità che si deve accettare: la realtà della sofferenza. La sofferenza proviene da cause che possono essere comprese ed eliminate. Ciò che io insegno e utile all. ottenimento del distacco, dell'equanimità, della pace e della liberazione. Ma di ciò che non è utile al conseguimento della Via, io non parlo.2
Ovviamente non si tratta della sofferenza fisica, altrimenti
0 Buddha sarebbe passato alla storia come medico.
Si tratta evidentemente della sofferenza psichica.
Il Buddha era quindi uno psicologo
Come si vede, la sofferenza psichica era molto diffusa già duemilacinquecento anni fa. E infatti la tradizione stessa l’ha definita «la condizione umana».
La prima Nobile Verità, la prima dichiarazione del Buddha, afferma precisamente questo: la diffusione della sofferenza.
Ma cosa produce la sofferenza?
E questa, la domanda che si è posto il Buddha.
La risposta che egli ha dato è: una visione errata della realtà.
Il Buddha ha proposto in alternativa una visione della realtà e un comportamento capaci di darci serenità, pace, allegria, gioia, amore.
In altri termini, benessere e felicità.
La sua efficacia è provata dall’enorme diffusione del buddhismo in tutto il mondo.
La forma che essa ha assunto è quella di una religione.4
' In un mio precedente libro (.Alia ricerca delle coccole perdute, Ponte alle Grazie, Milano, 2004) facevo notare (.nota pag. 46) che Gesù, essendosi rivelato, oltre che figlio di Dio, anche un ime psicologo, aveva, come tutti i figli, fregato il proprio padre naturale col non seguire il mestiere paterno (falegname) ma dedicandosi a un lavoro intellettuale (meno faticoso ma molto più pericoloso, come si è visto). E facevo notare come fosse un latto entusiasmante per noi psicologi che fra tutti i mestieri esistenti Gesù avesse scelto proprio il nostro. Questa categoria annovera dunque fra i suoi membri anche il figlio di Dio! Che adesso risulti esservi compreso anche il Buddha, be', lasciatemelo dire, è un vero colpo gobbo! Non mi stupirei se ci fossero an che Gandhi e Golda Meyr.
4 La versione religiosa del buddhismo è efficace per coloro che sono animati da una ione religiosità ma è una via diversa da quella psi cologica.
INTRODUZIONE
Ma l'insegnamento originale del Buddha era, come vedremo, un metodo psicologico.
Un metodo capace di eliminare la sofferenza e quindi di renderci capaci di vivere costantemente in uno stato di serenità.
Cioè di diventare un buddha.
L’insegnamento del Buddha è semplice e praticabile da chiunque.
Persino dai bambini.
Siete bambini intelligenti e sono certo che potete comprendere e mettere in pratica quanto vi dirò. La Grande Via che ho scoperto è sottile e profonda, ma chiunque sia disposto a impegnare il cuore e Lì mente sarà in grado di capirla e di seguirla:
La tradizione lo ha trasformato in una teoria,6 Esso invece è una pratica.
Il mio insegnamento non è una teoria né una filosofia, ma il frutto dell’esperienza. 'Tutto ciò che dico viene dalla mia esperienza e lo puoi verificare anche tu attraverso la tua esperienza. Le parole non descrivono la realtà: solo l'esperienza ci rivela il suo vero volto.'
La pratica proposta dal Buddha consiste oel realizzare cinque poteri che ognuno di noi possiede già ma semplice-mente non usa.
7 Suttapitaka. Majjhima-Hikaya, Satipatthana Slitta. ri La filosofia buddhista, o meglio le filosofie buddhiste proliferate dopo la morte del Buddha sono moltissime: E.G. Gonze, uno dei maggiori studiosi del buddhismo, ne conta quattordici. tutte in contrasto tra loro.
' Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Digbanakha Slitta.
Essi sono: U controllo della mente, la presenza nella realtà, la consapevolezza del cambiamento, il non attaccamento, l'amore universale.
Vedremo come la realizzazione di questi cinque poteri costituisca effettivamente l’insegnamento originale del Buddha e cosa tu debba fare per realizzarli.
La loro realizzazione richiede cinque settimane.
Una settimana dedicata a ognuno dei cinque poteri.
L'uso di questo manuale è il seguente.
Per prima cosa dovrai leggerlo tutto, semplicemente con lo scopo di afferrare il procedimento nel suo insieme.
Poi rileggerai il capitolo dedicato alla realizzazione del primo potere e ti applicherai per la prima settimana a realizzarlo.
Cosi farai, nelle quattro settimane seguenti, per i rimanenti quattro poteri.
Al termine della quinta settimana la tua buddhità sarà diventata reale, anche se a uno stadio iniziale.
Tu sarai diventato un buddha.H
Nel seguito avrai soltanto da accrescerla e. rafforzarla con i richiami che io ti indicherò.
LI merito di questo manuale non è soltanto quello di riesumare l’insegnamento originale del Buddha, per troppo tempo dimenticato, ma tinche e soprattutto quello di
* Per quanto riguarda le signore, dovrei dire «una buddha», ma olire a essere bruttissimo è scorretto grammaticalmente perché il lem -minile di buddha (che è un aggettivoI è huddhìnt. Che è ancora più penoso. Già «buddhino» (piccolo buddha) si scambia facilmente con «budino». Da «buddhini» a «budini» il passo e breve. Cosi ho lasciato « un buddha », anche perché rispetta la verità storica: è stato un uomo, il primo a diventare buddha. Non ti dispiace, vero, cara? Per te userò illuminata', mi sembra decisamente pili carino.
INTRODUZIONE
avere ricostruito in forma scientifica quello stesso insegnamento, in modo da renderlo comprensibile e praticabile da tutti.
Il mio ringraziamento va a Siddhartha Gautama Sakya-muni che ha aperto la Via e a mio figlio Yuri che seguendola nella sua pur breve vita vi ha condotto pure me.9
^ Mio figlio Yuri è morto all’elà <li ventisette anni: l’età esana in cui il Buddha raggiunse l’Ul umiliazione. Yuri era un buddha. una di quelle incarnazioni del Buddha {Bodìmattva) che, secondo il buddhismo. compaiono ogni canto sulla Terra. Sin dalla sua nascita egli si è rivelato di una serenità e di un amore incomparabili. In tutti i suoi ventisette anni di vita non l’ho mai visto una volta adirarsi o inveire contro qualcuno, Al contrario egli era sempre sorridente e tollerante con tutti e comunicava a tutti il suo amore incondizionato senza neppure parlare: con un sorriso e con un tocco della mano. Ma tu lo sen tivi fortissimo dentro di te. Chiunque lo sentiva. Qualunque cosa tu facessi, egli ti era sempre vicino e ti faceva sentile il suo amore, assoluto e incondizionato. E morto di una banale influenza. Ma morendo lui compiuto un miracolo. Ha trasformato suo padre, questo vecchio peccatore, in un buddha. Egli ha passato a me la sua buddhita, che dunque ho acquistato senza alcun merito. La mia vita si è trasformata. Ho visto l'illuminazione. Ho visto e inciso nella mia carne totalmente e definitivamente l’assoluta precarietà dell’esistenza, l'unica realtà del qui e ora e l’importanza assoluta ed esclusiva dell’amore, dell'allegria e della gioia. Ho visto così che diventare buddha si può. H mio buddhismo da teorico è divenuto reale. Così è nato questo libro. Vivendo nella mia came l'insegnamento del Buddha, che conoscevo già teoricamente. ho realizzato quella buddhità che chiunque, senza bisogno che gli muoia un figlio, può realizzare.
Cos e un buddha?
Un buddha non è un dio, un santo, un superuomo o un essere sovrumano.1
E uno di noi.
Uno qualunque.
E semplicemente uno che ha eliminato la sofferenza.
Attenzione: non dal mondo, ma da dentro di sé.
Non soffre più.
Non s'adira.
Non odia.
Non prova gelosia, invidia, rancore.
E neppure tristezza, ansia, angoscia.
E neppure bramosia, avidità, egoismo.
Ma cosa vuol dire: che è un apatico, indifferente, senza sentimenti?
Nossignori.
I sentimenti ce li ha.
Tutti.
Ma non li esaspera.
Non li fa crescere.
Non se ne fa schiavo.
Non li alimenta.
Parlo di quelli negativi.
Alimenta soltanto quelli positivi.
Che sono serenità, pace, allegria, gioia, armonia, amore.
Riesce cioè a rimanere sereno dentro di sé nutrendosi di sentimenti positivi, godendosi i sentimenti positivi e neutralizzando i sentimenti negativi.
La sua mente è sempre serena, calma.
Il suo corpo è sempre rilassato.
Non ba più stress, tensione.
Vive di gioia, di allegria, d’armonia, d’amore.
E infonde intorno a sé gioia, armonia, amore, allegria, buonumore.2
Perché ha conquistato la serenità.
Un buddha è colui che ha conquistato la
serenità
e la mantiene in qtialunque situazione.
Ma come fa?
Lo vedremo.
Questo libro è stato scritto apposta per mostrartelo.
E per farti diventare come lui.
Un buddha.
Vedrai che è possibile.
Diventare un buddha non è difficile.
Basta applicarsi.
Per ora accontentati di sapere che è possibile, diventare un buddha.
Che è possibile per tutti, anche per te.
Perché, come ha detto il Buddha.
Ogni essere umano ha natura di buddha.
Cioè ogni essere umano può diventare un buddha.
Ogni essere limano può infatti realizzare la huddhità, ossia Ja capacità di essere sempre sereno qualunque cosa accada.
Ma è davvero possibile?
Sissignori.
Perché, per quanto incredibile ti possa sembrare,
La nostra serenità non dipende dalle situazioni ma dalla nostra reazione a esse.
Una stessa situazione produce infatti reazioni diverse in persone diverse.
Non solo.
Tu stesso, nella medesima situazione, hai avuto reazioni diverse in periodi diversi della tua vita.
La nostra reazione alle situazioni è infarti condizionata dalla nostra esperienza, ossia dal nostro passato.
Questo condizionamento, nella cultura orientale, è stato indicato come legge del karma3
Karma significa ‘azione".
Questa legge mostra come ogni nostra azione è condizionata dalla nostra esperienza.
Quindi il nostro presente è condizionalo dal nostro passato.
Ma ciò comporta anche che il nostro futuro è condizionato dal nostro presente.
Quindi, intervenendo sul nostro presente, noi siamo in grado di determinare il nostro futuro.
Se è vero infatti che la nostra reazione alle situazioni è condizionata dalla nostra esperienza passata, è altrettanto vero che noi siamo in grado con la consapevolezza e la volontà di fare si che la nostra reazione alle situazioni si svincoli dal condizionamento e rimanga positiva, mantenendo la nostra serenità.
Questo farà sì che il nostro futuro sarà condizionato in senso positivo e il mantenimento della serenità diventerà per noi un comportamento spontaneo.
E cosi che si diventa un buddha.
U Buddha è stato definito infatti proprio così: il non condizionato, colui che si è sottratto aJ condizionamento del passato.
Noi possiamo dunque già da adesso costruire la nostra serenità.
Possiamo già da adesso costruire la nostra personalità di huddhiì.
Certo, questo richiede esercizio.
Ma cosa, non richiede esercizio?
Qualcuno è mai riuscito a imparare a sciare, a scrivere a macchina, a guidare l'auto, a usare il computer, senza esercizio?
Tutto, richiede esercizio.
E perché applicare il proprio esercizio per imparare a sciare, a scrivere a macchina, a guidare l auto, a usare il computer, e non per diventare un buddha?
Che ci dà molta più soddisfazione, perché ci permette di rimanere sereni in qualunque situazione.
Lo stesso Buddha lo ha detto: dovrai fare uno sforzo, il « Retto Sforzo ».
Ma soltanto inizialmente.
Poi, con l’abitudine, diventerà spontaneo e naturale.
Allora tu sarai diventato un buddha.
L’importante è che tu cominci a imparare a neutralizzare le tue reazioni negative e a coltivare quelle positive.
L’importante è che tu cominci a mettere in moto il processo che ti porterà a diventare un buddha.
Poi, col tempo, diventerai un buddha sempre più completo.
E soltanto questione di tempo e di applicazione.
Ti serve soltanto una cosa: la costanza.
Se credi di non averla, c’è un trucco, per ottenerla e svilupparla:
Poni il tuo progetto di buddhita al centro della tua vita.
Se lo farai, la tua costanza sboccerà come un fiore, crescerà come un tornado, si solidificherà come una montagna.
Se porrai al centro della tua vita iJ tuo progetto di buddhità, tu svilupperai spontaneamente e senza fatica una costanza invincibile che ti porterà al sicuro successo.
E soltanto questione di far diventare abitudine un atto di volontà che inizialmente sarà incerto e faticoso ma che poi, con l'esercizio, diventerà sempre più facile e spontaneo, fino a diventare automatico.
Il Buddha ha colmato la sua vita di serenità, di pace, d’armonia, di buonumore, di gioia, d’amore.
Così hanno fatto molti altri dopo di lui.
E quello che potrai fare anche tu.
Essi sono infatti stati mentali.
E tutti abbiamo il potere di realizzare e rendere permanenti, o quanto meno frequenti, codesti stati mentali.
Essi possono essere riassunti in uno solo: serenità.
La serenità è la caratteristica principale del Buddha ed è quella che tu potrai conquistare per tutto il resto della tua vita se seguirai le indicazioni di questo manuale.
Non è necessario che tu ti rada i capelli a zero e ti vesta d’arancione e nemmeno che ti ritiri in un monastero a quattromila metri sulle montagne delTHimalaya.
Per quanto questo, cosi come una bella vacanza a Cortina, aiuti.
Come ha detto il Dalai Lama, il Buddha è dentro di te qualunque cosa tu faccia e in qualunque posto tu vada.5
Il che significa che tu puoi realizzare lo stato di buddhità in qualunque luogo e in qualunque condizione.
Non so dove e quando l'ha detto ma, per la pancia di Buddha, deve averlo pur detto da quakhe parte!
Non è impossibile come potrebbe sembrare né poi così diffìcile.
Perché la tua serenità è uno stata mentale e i tuoi stati mentali non soltanto sono un fatto tuo, ma dipendono da te!
Perché la serenità esiste già, dentro di te: essa è in potenza dentro di te.
Tu sei cioè già capace di realizzarla.
Devi soltanto imparare a realizzarla praticamente.
Come lare te lo spiegherò nel seguite) di questo manuale.
Adesso non pensarci.
La cosa fondamentale, per adesso, è che ai capisca che anche tu puoi diventare un buddha.
1 buddha, fra di noi, ci sono.
Molti più di quanto tu immagini.
E una piccola spiaggia di pescatori.
Le barche, piccole e tozze, sono allineate sulla battigia e si lasciano accarezzare le larghe pance colorate dall’onda pigra del mare.
I vecchi trascinano le reti gonfie e palpitanti di pesci traendole dai ventri colmi delle barche e scambiano di tanto in tanto qualche parola fra loro, di cose che soltanto loro sanno, di pesci, di mare, di barche, di donne.
Le donne muovono le dita esperte e veloci fra le spire dei pizzi e parlano linamente, a volte a voce alta concitate, a volte sommesse, raccolte in segreto ira loro, a volte esplodendo tutte insieme in fragorose risate, che si alzano nell'aria come scoppi eh mortaretti.
I bambini corrono fra le barche incitandosi con piccole grida e alcuni di essi sono nudi.
I gatti, sdraiati sugli scogli, socchiudono gli occhi al riverbero del sole, ma non distolgono lo sguardo dalle reti, ricolme di pesci.
T gabbiani volteggiano sopra la spiaggia ispezionando le barche con i loro occhi acuti e riempiendo dei loro stridii di protesta per il furto subito l’aria tersa e luminosa del mattino.
v
E un giovane uomo di ventisette anni.
Ha i capelli di un biondo scuro che riflettendo i raggi del sole diviene di un oro quasi platino, gli occhi di un grigio-azzurro in cui si rispecchia tutta la luminosità e la profondità del cielo.
Ha un sorriso appena accennato, che gli allarga le labbra in una curva che tutto accoglie con pace, gioia, armonia, accettazione, comprensione, amore.
E come se con i suoi occhi, con il suo sorriso, abbracciasse quel piccolo angolo di mondo, la spiaggia, le barche, le reti, i vecchi, le donne, i bambini, i gatti, i gabbiani, e li accarezzasse con tenerezza e dolcezza infinite.
Il tempo scorre nel suo alveo profondo ma quel giovane uomo è in ogni punto delle sue sponde, in ogni dirupo, in ogni spiaggia, in ogni sasso, in ogni cespuglio.
Egli è in ogni punto del fiume della vita e dell'universo.
Quel piccolo angolo di mondo diviene allora il mondo intero, raccoglie l'intero universo, e le barche, le reti, i vecchi, le donne, i bambini, i gatti, i gabbiani, divengono tutti gli esseri viventi, gli uomini, le donne, gli animali, le piante, e tutte le cose, i sassi, le nuvole, le stelle, che l'universo ha riversato nel fiume del tempo, che ha sommerso nelle sue acque prima calde e spumeggianti e poi fredde e immobili.
11 giovane uomo guarda e sorride.
11 suo sguardo, come il suo sorriso, è antico più delle barche, delle reti, dei vecchi, delle donne, dei bambini, dei gatti, dei gabbiani.
Nel suo sguardo e nel suo sorriso c'è il silenzio della pace, della gioia, dell'armonia, dell'accettazione, della comprensione e dell’amore universale.
Siddhartha Gautama Sakyamuni detto 4il Buddha’ (il risvegliato) è un personaggio storico.
Egli nacque nel 563 a.C. a Kapilavatthu, capitale del regno dei Sakya di cui suo padre Suddhodana era il sovrano, in una regione himalayana prossima all’attuale Nepal.
Secondo la tradizione, la madre Mahamaya, che gli diede il nome Siddhartha, morì otto giorni dopo la sua nascita ed egli fu allevato dalla sorella di lei Pajapati Gorami, seconda sposa del re, dalla quale prese il suo secondo nome.1
Dai Sakya, la tribù alla quale apparteneva, prese il suo terzo nome.
Narra la leggenda che -a suo padre, il re Suddhodana, era staro vaticinato che il figlio primogenito (Siddhartha appunto) avrebbe abbandonato il regno e rinunciato alla successione al trono,
Egli, per scongiurare questa che considerava una grande iattura, aveva tenuto confinato Siddhartha nella reggia impedendogli ogni contatto con il mondo esterno,“
Siddhartha ebbe un’infanzia e una gioventù spensierate. A ventanni gli fu combinato un matrimonio con sud cugina, la principessa Yasodhara, figlia del re Dandapani del regno dei Koliya e della regina Pamita, sorella del re Suddhodana.
Subito dopo la nascita del figlio Rahula, in seguito alla scoperta della sofferenza presente nel mondo esterno, che fino ad allora egli aveva ignorato, a ventidue anni Siddhartha abbandonò la famiglia, la reggia e la sua carica resale e andò alla ricerca della via che conduce alla liberazio-
ne.
Per cinque anni vagò nel suo regno alla ricerca di maestri e praticò la forma tradizionale di ascesi della cultura indica, lo Yoga.
Divellile dapprima discepolo dell’asceta Al ara Kalama, poi dell'asceta Uddaka Ramaputta, e sperimentò sorto la loro guida degli stati sempre più profondi di trance in cui la sofferenza è trascesa.
~ Siddhartha aveva un fratello, ma evidentemente anche in India i secondogeniti erano considerali meno che la cacca delle mosche, in ( kcidente hanno dovili o inventarsi le Crociate, per avere qualcosa da lare.
Come rutti i grandi (e come lutti gli adulti) egli si comportò, come si vede, da vero stronzo. Ma forse lo lece soltanto per dimostrare che le profezie funzionano.
Si avvide tuttavia che la liberazione dalla sofferenza era limitata allo stato di trance e quindi non era risolutiva.
Praticò allora per sei mesi l’ascesi più spinta, la mortificazione del corpo, finché comprese che neppure questa via con duceva alla liberazione definitiva dalla sofferenza.-4
Si dedicò allora all osservazione di sé, delle proprie sensazioni, delle proprie emozioni, dei propri pensieri, attraverso la consapevolezza dei fenomeni che si presentano alla coscienza.5
Vide che essi continuamente nascono e muoiono in un continuo divenire: scoprì così che la vera natura della realtà è una continua trasformazione/’
Questa fu la sua prima scoperta.
La seconda fu che nessuna cosa può esistere senza l'esistenza di tutte le altre ma tutte sono legate fra loro in una rete universale d’interdipendenza o causazione reciproca universale. '
Seduto sotto un albero di pippala, in una foresta vicina al villaggio di Uruvela, Siddhartha approfondì l’analisi della realtà.6
Gli portavano il cibo due adolescenti: Svasti, un orlano poverissimo guardiano di bufali, e Sujata, figlia del capo-villaggio.''
Un giorno, dopo che Svasti Pebbe lasciato per ricondurre i bufali a casa, Siddhartha fu invaso dalla sensazione che quella notte stessa avrebbe ottenuto il Grande Risveglio.
Grazie alla consapevolezza, la sua mente, il suo corpo e il suo respiro erano perfettamente unificati.
La pratica della presenza mentale l’aveva reso capace di sviluppare un grande potere di concentrazione che ora poteva usare per illuminare di consapevolezza il suo corpo e la sua mente.
Senza vacillare, Siddhartha illuminò di consapevolezza k propria mente.
Vide che gli esseri viventi soffrono perché non comprendono che partecipano della stessa natura di tutti gli esseri: Yignoranza dà origine a un’infinità di pene, di contusione e difficoltà; avidità, ira, arroganza, dubbio, gelosia e paura, affondano tutti le radici nell’ignoranza.
Imparando a calmare la mente per vedere più a fondo nella vera natura delle cose, Siddhartha giunse alla comprensione globale che dissolve ogni ansia e ogni dolore, sostituendoli con l’accettazione e l’amore.
vincitori verrà riservato un corso lampo su come raggiungere l'illumina-zinne, da tenersi sul inio yacht nel Porto Antico di Genova. Sono sollecitate a partecipare specialmente le signore che meritano di essere illuminate.
Questa del parassitismo è l’unica caratteristica del Buddha (il quale non ha mai lavorare un giorno in vira sua) che ti esorto a non imitare. Non perché ci sia qualcosa di male nel fare i mendicanti. Ma questa è una via troppo orientale, che tende alla passivila, lo ti propongo una via occidentale al buddhismo, una via attiva che ri permetta di creare, di costruire e di competere. Ma senza stress. E quindi anche più efficacemente.
Vide che comprensione e amore sono un’unica cosa: senza comprensione non vi può essere amore e senza amore non vi può essere giusta azione.
Vide che per sviluppare la chiara comprensione è necessario vivere in presenza mentale, in diretto contatto con la vita nel momento presente, vedendo con consapevolezza che cosa realmente avviene dentro e fuori di noi.
La presenza mentale e la consapevolezza conducono alla liberazione definitiva dalla sotterenza.
Siddhartha capì di avere trovato la Grande Via.
Non era una via intellettuale ma di esperienza, non una via teorica ma pratica.
Sujata, portandogli il cibo il giorno dopo, lo vide radioso.
Cento volte l’aveva veduto sedere sotto il pippala in dignità e maestosità, ma oggi aveva qualcosa di diverso.
Mentre lo guardava, Sujata sentiva svanire pene e preoccupazioni.
Una felicità fresca come la brezza primaverile le colmò il cuore.
Sentì dì non desiderare nient’altro di quello che c’era, che tutto nell’universo era buono e benevolo e che nessuno doveva temere o disperarsi mai più.
Fece alcuni passi e depose tl cibo davanti a lui.
Poi si inchinò, sentendo che la pace e la gioia che pervadevano Siddhartha si trasmettevano anche a lei.
«Siedi vicino a me» la invitò Siddhartha con un sorriso. « Ti ringrazio del cibo e dell’acqua che mi hai portato in tutti questi mesi. Oggi è il giorno più felice della mia vita perché, questa notte, ho trovato la Grande Via. Dividi con me questa felicità. Presto insegnerò la Via a tutti».
Sujata giunse le mani per chiedere il permesso di parlare.
«Tu sei il risvegliato, colui che indica come vivere in consapevolezza. Possiamo chiamarti il 'Risvegliato'?»
Siddhartha annuì.
«Ne sarei davvero contento».
Gli ocelli di Sujata brillarono.
«Nella lingua magadhi» continuò la fanciulla, «usiamo la parola bitdh per dire ‘svegliarsi'. Una persona risvegliata sarebbe quindi chiamata buddha. Possiamo chiamarti ‘il buddha? »
Siddhartha annuì di nuovo.
Aveva ventisette anni.
Il Buddha dedicò tutto il resto della propria vita a diffondere le sue scoperte affinché anche gli altri esseri umani raggiungessero l'illuminazione e la liberazione dalla sofferenza.
Percorrendo il suo regno e scendendo poi lungo il corso del Gange nei regni limitrofi dei Koliya, dei Malia, dei Rosala, dei Licchavi, degli Anga, dei Magadha, dei Kasi e dei Vatsa, convertì migliaia di persone fondando comunità (Sarigbcì) di monaci (Bh/kkhu), alle quali espose in una serie di sermoni (Si/tta) la sua disciplina, il Dbarma.
Dando un magnifico esempio di amore universale, a seguito dell'insistenza della regina Pajapati, sua madre adottiva, la quale evidentemente non era del tutto soddisfatta del suo matrimonio, lasciò che essa fondasse un sangha femminile, a capo del quale ovviamente mise se stessa.
All’età di settantadue anni, nel 491 a.C, dopo uno scisma avvenuto nel sangha a opera del discepolo Devadatta, due attentati alla sua vita nel secondo dei quali rimase ferito, e una grave malattia poi superata, il Buddha stesso annunciò, tre mesi prima, la propria morte, che avvenne in una foresta vicino a Kusinara, un villaggio nel regno dei Malia confinante con il suo paese di origine. 0
Dopo sei giorni c sei notti di cerimonie a cui parteciparono con offerte eli fiori, combustione di incenso, musiche e danze, non soltanto i bliikkhu ma anche gii abitanti di Kusinara e della vicina citta di Pava, dove fu trasportato poi per il funerale, il corpo del Buddha venne avvolto in teli, deposto in una bara di ferro, issato su una grande pira di legno profumato, e cremato alla presenza di diverse centinaia di persone.
Le sue ceneri vennero divise in otto parti che furono poste all'interno di altrettanti stupii (monumenti funebri) a Kusinara e a Pava nel regno dei Malia, a Kapilavatthu nel regno dei Sakya, a Rajagaha nel regno dei Magadha, a Ve-sali nel regno dei Licchavi, ad Allakappa nel regno dei Bu-li, a Ram agama nel regno dei Koliya e a Vethadipa nel regno dei Vetha.11
essi si facciano fuori per dunosi rare di avere ragione.
11 Questa breve biografia è basata sull'opera di Thicb Nhat Hanh. Old Path Wbite Claudi, 1991; trad. it. Vita di Siddhartha il Buddha narrata e ricostruita in base ai testi canonia pali e cinesi, Ubaldini, Roma. 1992.
Capitolo terzo L'insegnamento originale di Buddha
Dedurre Vinsegnamento originale di Buddha dall’enorme letteratura buddliista non è impresa facile.7
1 Canoni (tradizioni) principali sono tre: Pali, Cinese e Tibetano, nelle rispettive lingue.
f] Canone Pali è il più antico e quindi dovrebbe essere il più attendibile.-
Ma anch’esso è stato scritto molto tempo dopo la morte di Siddhartha: oltre due secoli.v
È probabile quindi che i discorsi attribuiti al Buddha siano stati Ln parte rimaneggiati, in parte addirittura inventati.
Essi sono raccolti nel Sutlapitaka, una delle tre parti in cui è diviso il Canone Pàli, detto appunto Tripitaka («tre canestri »).8
I tre Canoni sono diversi tra loro e attribuiscono al Buddha enunciazioni diverse.
Ma vi sono due enunciazioni, che sono riportate da tutti i Canoni: le Quattro Nobili Verità e gli Otto Nobili Sentieri.
Le Quattro Nobili Verità
Fratelli, vi sono quattro verità: l’esistenza della sofferenza, la causa della sofferenza, l’estinzione della sofferenza e il sentiero che conduce all’estinzione della sofferenza. Le chiamo le Quattro Nobili Verità.
Fratelli‘ la Prima Nobile Verità è l’esistenza della sofferenza.
Nascita, vecchiaia, malattia e morte, sono sofferenza.
Tristezza, ira, invidia, timore, ansia, paura e disperazione, sono sofferenza.
L’assenza di ciò che si ama, è sofferenza.
La presenza di ciò che si odia, è sofferenza.
II desiderio, è sofferenza.
L’avversione, è sofferenza.
Questa, è la Prima Nobile Verità.
Fratelli, la Seconda Nobile Verità è la causa della sofferenza.
La causa della sofferenza è Vattaccamento.
Vattaccamento a sua volta é causato dall'ignoranza.
L'ignoranza che causa l'attaccamento è l'ignoranza della realtà, c l ignoranza che la realtà è impermanente.
L'ignoranza della realtà produce l'attaccamento perché si crede permanente ciò che è impermanente.
L'attaccamento produce la tristezza, lira, rinvidia, i.1 timore, l'ansia, la paura e la disperazione.
Questa, é la Seconda Nobile Verità.
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yen za.
La sofferenza può estinguersi con l'estinzione della sua causa, cioè dell’ignoranza e quindi dell'attaccamento.
Questa, è la Terza Nobile Verità.
Fratelli, la Quarta Nobile Verità é la via che conduce all'estinzione della sofferenza: sono gli Otto Nobili Sentieri. Questa, è la Quarta Nobile Verità?
Gli Otto Nobili Sentieri
Trateili, chiamo Retti Sentieri gli Otto Nobili Sentieri della Retta Comprensione, del Retto Pensiero, della Retta Parola, della Retta Azione, dei Retti Mezzi di Sussistenza, del Retto Sforzo, della Retta Presenza Mentale, della Retta Concentra-zione,6
Seguendo gli Otto Nobili Sentieri ho raggiunto la comprensione, la liberazione e la pace.
Frateili, perché chiamo questi sentieri i Retti Sentieri?
Sut t<i pi tabu, A tu/fhi/m-Nikdw. Sacca vibhangu Sulla. h I termini usati nelle definizioni degli Otto Nobili Sentieri cambiano nelle diverse tradizioni e quindi nei diversi Canoni, e sono diversi anche nelle diverse traduzioni occidentali. Quelli riportati qui sopra sono quelli usati nel già citato Vita di Siddhartha il Buddha di Thich Nhat Manli, in quanto più facilmente reperibile dal lettore occidentale.
Li chiamo Retti perché non negano la sofferenza ma indicano nell'esperienza diretta della sofferenza il mezzo per superarla.
Gli Otto Nobili Sentieri sono la via della consapevolezza, fondata sulla Retta Presenza Mentale.
Con la pratica della Retta Presenza Mentale si sviluppa la Retta Concentrazione, che consente di ottenere la Retta Comprensione.
Mediante la Retta Concentrazione si realizzano la Retta Comprensione, il Retto Pensiero, la Retta Parola, la Retta Azione, i Retti Mezzi di Sussistenza, il Retto Sforzo.
La consapevolezza che se ne sviluppa libera dai ceppi della sofferenza e dà nascita alla vera pace e alla vera gioia.1
Le Quattro Nobili Verità e gli Otto Nobili Sentieri costituiscono dunque il nucleo dell insegnamento originale del Buddha.
Ma non credere che le Quattro Nobili Verità e gli Otto Nobili Sentieri siano troppo poco, per costruire una cosa come il buddhismo.
Essi costituiscono importanti e impegnative prescrizioni
di atteggiamento psicologico e di comportamento.
E sono più che sufficienti.
Naturalmente con alcuni approfondimenti che possiamo rinvenire nella stessa letteratura buddliista.
Poiché le Quattro Nobili Verità e gli Otto Nobili Sentieri costituiscono l’essenza del buddhismo e descrivono la pratica alla quale dobbiamo applicarci per realizzare la buddhità, è necessario chiarire e approfondire bene in cosa essi consistono.
Cominciamo con l’esaminare le Quattro Nobili Verità.
Suitdpitaka. Mtf/jhimti-Nikdya. Ptisamsi Sufta.
Le Quattro Nobili Verità parlano della sofferenza.
Sono enunciazioni riguardanti: 1 la diffusione della sofferenza: 2 la sua causa: 3 il mezzo della sua estinzione: 4 la modalità della sua estinzione.
Chiariamole meglio:
l’esistenza delia sofferenza
CONSTATAZIONE DELLA DIFFUSIONE DELLA SOFFERENZA
la causa della sofferenza INDIVIDUAZIONE DELLA CAUSA DELLA SOFFERENZA: IGNORANZA DELLA NATURA IMPERMANENTE DELLA REALTÀ
3
/’estinzione della sofferenza INDICAZIONE DEL MEZZO DI ESTINZIONE DELLA SOFFERENZA: CONSAPEVOLEZZA DELLA NATURA IMPERMANENTE
DELLA REALTÀ 4
il sentiero che conduce all’estinzione della sofferenza MODALITÀ DI ESTINZIONE DELLA SOFFERENZA: PRATICA DEGLI OTTO NOBILI SENTIERI
Le Quattro Nobili Verità costituiscono la premessa del buddhismo.
Esse affermano che la sofferenza è molto diffusa, che è dovuta a una visione errata della realtà, che può essere eliminata mediante una visione corretta della realtà, che quest "ultima si può realizzare e mantenere con la pratica degli Otto Nobili Sentieri.
Poiché la sofferenza cui si riferisce il Buddha è una sofferenza sistematica e permanente, è sottintesa Faffermazione che si tratta di una sofferenza nevrotica.
L'assetto delllo, e quindi l’assetto normale della personalità umana, è infatti, secondo la psicologia buddhista, un assetto nevrotico.9
Questa affermazione apparentemente paradossale può essere dimostrata sia teoricamente sia sperimentalmente.
Teoricamente, essa si riferisce all’assetto psichico di una personalità attratta e assorbita nell'espansione simbolica deW'Io e nello sviluppo abnorme del pensiero.
Da quando l’essere umano ha iniziato l’evoluzione psichica che ha fatto del pensiero la sua principale attività
percettiva, il suo lo, cioè l’immagine che J essere umano ha di se stesso, ha travalicato i limiti naturali del suo corpo.
Il nostro Io si è esteso ai nostri possessi materiali, alla nostra consistenza economica, ai nostri legami affettivi (quindi ad altri esseri viventi), ai nostri ruoli sociali, ai nostri stati psichici, ai nostri protocolli comportamentali, alle immagini stereotipate della nostra cultura.
In altri termini, a dei simboli concettuali.
Così noi oggi non ci identifichiamo soltanto con il nostro corpo, ma anche con la nostra casa, la nostra automobile, il nostro televisore, il nostro conto in banca, i nostri parenti, i nostri amici, la nostra professione, il nostro prestigio, il nostro ruolo sociale.
Questa è, secondo la psicologia buddhista, la radice della nevrosi e quindi della sofferenza umana.
Essa costituisce un processo nevrotico perché costituisce un processo di allontanamento dalla realtà, cioè dalla naturale coincidenza dell Yo con il corpo.
Nella nevrosi Ylo si identifica con una serie sempre più numerosa e complessa di simboli mentali costruiti sulla base di valori sociali o culturali ma non naturali.
La sofferenza deriva evidentemente da una dilatazione dello stato di vulnerabilità dell lo, che aumenta con l'aumentare del numero degli oggetti con cui egli si identifica.
Sperimentalmente lo stato ricorrente ili sofferenza psichica dell’essere umano è chiaramente osservabile da chiunque.
Attualmente, con l'avvento della cultura consumistica basata non soltanto sul possesso e sul prestigio sociale, come è sempre stato nella storia umana, ma anche sulla capacità di produzione e di consumo, la situazione è certamente peggiorata: la diffusione della nevrosi e conseguentemente della sofferenza psichica è un fatto constatabile da chiunque.10
Lo stato di buddhità è semplicemente lo stato naturale
di non nevrosi.
Ecco allora spiegato perché la buddhità può essere conseguita da chiunque, come ha dichiarato il Buddha: perché non è uno stato eccezionale, sovrumano, ma semplicemente lo stato naturale, che essendo poco diffuso viene comunemente considerato eccezionale
Lo stato di buddhità può dunque essere conseguito seguendo gli Otto Nobili Sentieri.
Esaminiamoli quindi a uno a uno.
Sorrise e levò lo sguardo a una foglia di pippala staglia/a contro il cielo azzurro, la cui punta ondeggiava verso di lui come se lo chiamasse.
Osservandola in profondità, Cauta ma vi distinse chiaramente la presenza del sole e delle stelle, perché senza sole e senza stelle quella foglia non sarebbe mai esistita.
E vide la terra. il tempo, lo spazio: tutti presenti nella foglia.
In verità, in quel momento preciso, l'universo intero si manifestava nella foglia.
La realtà della foglia era un miracolo stupefacente.
Vide che è l'esistenza di tutte le cose a rendere possibile resistenza di ciascuna cosa.
L'uno contiene il tutto e il tutto è contenuto nell'uno.
La foglia e il suo corpo erano una cosa sola.
Nessuno dei due possedeva un sé permanente e separato, nessuno dei due poteva esistere indi pendentemente dal resto dell'universo.
Vedendo la natura interdipendente di tutte le cose, Sid-dhartha ne vide perciò la natura vuota: tutte le cose sono vuote di un sé separato e isolato.
Comprese che la chiave della liberazione sta nei due principi dell'interdipendenza e del non sé.
LA RETTA COMPRENSIONE
Illuminando i fiumi delle percezioni. Siddhartha comprese che limpernianenza e lassenza di un sé sono le condizioni indispensabili alla vita.
Senza impermanenza, senza mancanza di un sé, nulla potrebbe crescere ed evolversi.
Se un chicco di riso non avesse la natura dell impermanenza e del non sé, non potrebbe trasformarsi, in una piantina.
Se le nuvole non fossero prive di un sé e impermanenti, non potrebbero trasformarsi in pioggia.
Senza natura impermanente e priva di un sé, un bambino non potrebbe diventare un adulto.
Quindi accettare la vita significa accettare /'impermanenza e l'assenza di un sé.
La causa della sofferenza è la falsa nozione della permanenza e di un sé separato.
Vedendo ciò, Siddhartha giunse alla comprensione che non c'è né nascita né morte, né creazione né distruzione, né uno né molti, né dentro né Juori, né grande né piccolo, né puro né impuro.
Sono tutte false distinzioni create dall'intelletto.
Penetrando nella natura vuota delle cose, le barriere mentali vengono scavalcate e ci si libera dal ciclo della sofferenza. 11
La Retta Comprensione è stara tramandata dalla tradizione con il nome di illuminazione.
Ma cos’è in concreto la Retta Comprensione?
Evidentemente è la comprensione della vera natura della realtà.
Per meglio chiarirci le idee, possiamo dire più propria-
mente che la Retta Comprensione consiste nella conoscenza (iella vera natura della realtà.
L'ignoranza della realtà, che è l'esatto opposto della conoscenza , è infatti considerata dal Buddha la causa della sofferenza:
Fra lei li, la causa della sofferenza è l'ignoranza. A causa dell'ignoranza, gli uomini, non vedono la realtà della vita e si lasciano imprigionare nelle fiamme del desiderio, dell'ira, dell1 invidia, dell'angoscia, del timore, della paura e della disperazione1
Quindi più propriamente possiamo chiamarla retta conoscenza. ?
La retta conoscenza consiste dunque in una conoscenza corretta della realtà, non alterata dall'ignoranza.
Ma cos’è veramente la realtà?
La definizione che la tradizione attribuisce al Buddha è chiara.
La realtà è continuo cambiamento.
La realtà e continuo cambiamento.
In altri termini, la realtà è, come dice il Buddha, impermanente.
I urta la nostra esperienza ce lo dimostra: le cose e le persone intorno a noi cambiano continuamente e noi stessi cambiamo continuamente.
Sutiapilaka, Samyutia-Nikaya, Dhammacakkapavattana Situa.
1 In una autorevole traduzione italiana dei Canoni Antichi, La rivelazione del Buddha, voi. l. I Meridiani, Mondadori, Milano, 2001, essa e definita «"Remi Visione» (pag. 7).
LA RETTA COMPRENSIONE
Le situazioni, cambiano continuamente.
Il nostro corpo, cambia continuamente.
La nostra mente, cambia continuamente.
L’universo intorno a noi, cambia continuamente.
Ma La scoperta del Buddha non si è fermata qui.
Egli ha scoperto anche che l'esistenza di ciascuna cosa è condizionata dall'esistenza di tutte le altre.
Ogni cosa è condizionata da tutte le altre.
Anche questa verità è dimostrata da tutta la nostra esperienza.
Potrebbe esistere un animale senza gli animali che lo hanno generato e senza tutti gli animali che lo hanno preceduto nell’evoluzione?
E potrebbero esistere gli animali senza le piante che li nutrono?
E potrebbero esistere le piante senza l’acqua e il sole?
E potrebbero esistere il nostro pianeta e il nostro sole senza il resto dell'universo?
E potresti esistere tu senza l’universo?
Pensa anche a questo, che è bellissimo: questo universo non potrebbe esistere senza di te 4
Infatti non sarebbe questo universo.
Tu sei necessario o necessaria all’esistenza di questo universo, come questo universo è necessario alla tua esistenza.
Perché ogni cosa è col legata con tutto il resto.
Nulla può esistere indipendentemente da tutto il resto.
A È quello che dico sempre ai depressi. Per un attimo gli dà sollievo. ma poi ricadono nel loro pensiero ossessivo: che l’universo sia stalo creato al solo scopo di fregarli.
Questo è il senso dell'espressione «privo di un sé» o « non sé»: nessuna cosa è capace di esistere di per sé, cioè da sola, senza il resto dell’universo.
Come abbiamo visto, la scoperta che la realtà è fatta di cose in continua trasformazione e tutte collegate fra loro costituisce la famosa illuminazione.
La retta conoscenza dà luogo dunque all'illuminazione.
La famosa illuminazione del Buddha altro non è che la Retta Comprensione o Conoscenza.
Siddhartha considerò la scoperta della vera natura della realtà talmente importante e centrale da costituire una vera e propria illuminazione, un evento che lo portò a definire se stesso come il Buddha, l’illuminato.
Perché?
Evidentemente non è la conoscenza della verità in sé, a essere così importante.
Noi sappiamo che l’interesse del Buddha non era la conoscenza ma la liberazione dalla sofferenza.
Un interesse pratico.
Va bene, io ho capito che la realtà c fatta di cose in continua trasformazione e tutte collegate fra loro.
E allora?
Cosa me ne taccio, di questa scoperta?
Cosa ne ricavo?
Quello che ne ricavo è questo: che se rutto è in continua trasformazione, io non posso attaccarmi, a nulla.
Noi non possiamo attaccarci a nulla.
Perché non esiste nulla di immutabile, che rimanga uguale a se stesso nel tempo.
LA RETTA COMPRENSIONE
li crederlo costituisce un’illusione?
Quindi noi siamo obbligati, per evidenza esistenziale e coerenza mentale, a sviluppare il non attaccamento.
11 non attaccamento è la chiave psicologica che apre la porta della liberazione dalla sofferenza.
Il non attaccamento porta alla liberazione dalla sofferenti.
È evidente infatti che se io non mi attacco più a nulla, tutte le mie preoccupazioni, i miei problemi, le mie ansie, le mie paure, la sofferenza psichica appunto, svaniscono come neve al sole.
1 Se nella realtà non esiste niente di immutabile, perché noi ci convinciamo ai contrario che vi siano cose immutabili? Come fa il nostro cervello a creare una tale illusione? La nostra vita è come un f ilm, un processo dinamico non reversibile, ma nella nostra memoria noi registriamo delle istantanee, dei fotogrammi statici e immutabili delle cose, delle persone e degli avvenimenti. E sono proprio questi fotogrammi, che noi assumiamo come nostra rappresentazione della realtà, in cui vi sono cose e persone fermate nel tempo, immutabili. Esse sono le sicurezze mentali al le quali la nostra personalità infantile si attacca per soddisfare la propria esigenza di protezione e sicurezza die soltanto l'immutabilità scevra da cambiamenti può soddisfare. Ma si tratta di un'illusione che la conoscenza della vera natura dinamica della realtà, esplicitata dal Buddha, cancella inesorabilmente. 11 problema diventa allora l'accettazione della realtà nella sua continua trasformazione e quindi nella sua assenza di sicurezze immutabili. Di questa accettazione la nostra personalità infantile è incapace c quindi Lì conoscenza della realtà (e il buddhismo a questo ci spin ge) ci costringe a identificarci con la nostra personalità adulta, la quale essendo autosufficiente in quanto londata su se stessa non ha alcuna necessità di attaccarsi a sicurezze esterne immutabili. Ecco allora che il buddhismo diventa anche un veicolo di crescita psicologica, di passaggio dalla personalità infantile alla personalità adulta, promuovendo la nostra evoluzione psicologica naturale, Per un approfondimento di questo tema, vedi il mio libro Alla ricerca delle coccole perdute, op. cit.
Perché la sofferenza deriva dalXattaccamento a una situazione diversa da quella che c’è: dal desiderio di qualcosa che non ho o dall'avversione a qualcosa che ho.
La sofferenza, dice infatti la tradizione buddhisra, deriva o dalla separazione da ciò che si ama o dall'unione con ciò che si odia.
11 non attaccamento assolve quindi il compito iniziale a cui il Buddha si era applicato: eliminare la sofferenza.
D li n q uè. com pi ut amente:
La Retta Conoscenza ( illuminazione,) consiste nella consapevolezza che le cose e le persone cambiano continuamente
e sono tutte collegate fra loro e quindi nello sviluppo del non attaccamento
Basterebbe questo primo precetto, il non attaccamento, per realizzare il buddhismo predicato dal Budelli a ed eliminare la sofferenza psichica dalla nostra vita.
E evidente che esso è un precetto psicologico, in quanto prescrive un particolare atteggiamento mentale-, il vedere la realtà per quello che è.
Ma il Buddha, da fine psicologo quale era, si era reso conto che una persona comune non riesce facilmente a conquistare e mantenere la consapevolezza dell’impermanenza della realtà e a comportarsi e ad agire di conseguenza.
Una persona comune ha bisogno di sapere concretamente come comportarsi e come agire, per mantenere e rendere operante quella consapevolezza.
Ed ecco allora gli altri sette Nobili Sentieri.
Capitolo sesto Il Retto Pensiero
7 rate Ili praticate il Retto Pensiero.
Il Retto Pensiero consiste nel pensiero in cui non c'è né confusione né distrazione, né ira né odio, né desiderio né libidine. 12
Fratelli, il Retto Pensiero consiste nel pensiero in cui c'è l'amore universale 13
Ma cosa è concretamente il Retto Pensiero?
Evidentemente un pensiero in cui non ce sofferenza.
E cosa è che costituisce la sofferenza, nel nostro pensiero?
Il Buddha Lo ha detto: confusione, distrazione, ira, odio, desiderio e libidine.
Occorre eliminarli.
Ma come?
Fratelli, la confusione e la distrazione, l’ira e l’odio, il desiderio e la libidine si superano praticando le Quattro Contemplazioni.
Per superare la confusione e la distrazione, pratica la contemplazione del respiro: con essa la tua mente si schiarirà e la tua concentrazione diventerà potente.
Per superare l'ira e l'odio, pratica la contemplazione della compassione: essa fa luce sulle cause dell'ira e dell'odio presenti nella tua mente e in quella di coloro che li hanno suscitati in te.
Per superare il desiderio, pratica la contemplazione deltimpermanenza: essa fa luce sull’inizio e la fine di tutte le cose
Per superare la libidine, pratica la contemplazione della morte: essa fa luce sul disfacimento di tutte le cose. '
Confusione, distrazione, ira, odio, desiderio e libidine costituiscono evidentemente pensiero negativo.
Ma eliminare il pensiero negativo non e sufficiente. Occorre anche costruire pensiero positivo.
Quali sono i pensieri positivi?
La gentilezza amorevole, la compassione, la gioia compartecipe e il non attaccamento sono meravigliosi e profondi stati mentali.
Io li chiamo i Quattro Incommensurabili.
Praticandoli, diventerai una sorgente di vitalità e di felicità per tutti gli esseri4
In una parola, Xamore universale.
n Retto Pensiero consiste dunque nel l'eliminazione siste-
V/Hiiyapttaka, Vihhanga Sta tu.
4 SuUiip/hiktì, WdiihtnKi-ìsikiìw. Otlaruhulovdtla Sulla.
matica del pensiero negativo e nella costruzione sistemati ca del pensiero positivo.
Il Retto Pensiero consiste nella eliminazione del pensiero negativo e nella
costruzione del pensiero positivo.
La Retta Parola La Retta Azione I Retti Mezzi di Sussistenza
La Retta Parola, la Retta Azione e i Retti Mezzi- di Sussistenza consistono nel non fare violenza a nessun essere vivente, né agli altri né a noi stessi, né con il pensiero, né con le parole, né con gli atti.14
Come si vede, la Retta Parola, la Retta Azione e i Retti Mezzi di Sussistenza costituiscono più dei precetti morali che dei veri e propri procedimenti psicologici.
Essi sono concretizzati dalla tradizione buddhista nei Cinque Precetti.
I miei discepoli si sforzano di vivere semplicemente e in coscienza e si impiegano ad applicare i Cinque Precetti che sono: non uccidere, non rubare, non fare violenza, parlare secondo verità e astenersi dall'assumere sostanze che oscurano la menter
1 Cinque Precetti sono norme di vita che tendono a porci in condizione di non generare sofferenza, ma non sono in grado, di per sé. di liberarci dalla sofferenza nevrotica, una volta instaurata.
Quindi, possiamo escluderli dal nostro metodo di realizzazione della buddhità.
Piuttosto, è utile una precisazione.
Cosa sono i Retti Mezzi di Sussistenza?
Nient’altro che la professione che si pratica per procurarsi appunto i mezzi di sussistenza.15
Senza pretendere che tutti facciano i monaci, occorre, secondo la tradizione buddhista, esercitare una professione che non porti a trasgredire i Cinque Precetti.
Quindi, ad esempio, killer, spacciatori di droga e trafficanti d’armi non possono raggiungere lo staro di buddhità.
Non per il fatto che tali mestieri sono immorali.
E buddhismo non fa questioni di moralità.
Ma perché il senso di colpii, sia pure inconscio, che può derivare dilli'esercizio di tali professioni è causa di sofferenza psichica ineliminabile anche con la pratica del buddhismo, in quanto continuamente rinnovato dall esercizio della professione.
Infatti applicarsi a una professione che produce sofferenza agli altri dà luogo, alla lunga, a sofferenza anche in noi, proprio perché produce in noi un senso di colpa.
Occorre quindi praticare una professione che non produca sofferenze né a noi né agli altri.
E ovvio che il senso di colpa dipende dalla morale nella quale si è stati educati.
Nel buddhismo non vi è un’istanza morale di tipo kantiano, tipicamente occidentale, dove si afferma che il bene morale è un valore di per sé.
Vi è invece J attribuzione di lui valore strumentale alla moralità.
Non per questo esso è tuttavia meno imperativo.
Esso è infatti finalizzato al benessere psichico e quindi alla sopravvivenza.
In altri termini, occorre fare il bene, o meglio non fare
il male, cioè non provocare la sofferenza di esseri viventi, non in quanto questo è un bene assoluto di per sé, ma perché il provocare la sofferenza di esseri viventi crea in noi un senso di colpa che diventa causa di sofferenza per noi stessi.
Questo approccio alla moralità, che è propriamente psicologico, tiene conto, diversamente da quanto accade nella tradizione occidentale, della dimensione storica e culturale della morale.
Per un tagliatore di teste dell’Àmazzonia, infatti, il decapitare il nemico, rimpicciolirgli la testa e attaccarsela alla cintura è un atto di alto merito sociale e non produce alcun senso di colpa.
Lo stesso è accaduto, e accade, a tutti i combattenti di tutti i tempi e di tutti i paesi quando uccidono altri esseri umani in nome dei più diversi ideali o interessi sociali per
i quali combattono.
La locuzione «fare il male», e quindi soffrire di senso di colpa, assume in definitiva significato in relazione alla morale corrente della società nella quale si è stati educati.
La cosa importante è dunque eliminare le cause più o meno inconscie del senso di colpa e quindi della sofferenza psichica, che non possono essere eliminate con la pratica del buddhismo, ma che devono essere non generate at-
Aiv/.i, nelle discoteche dell'Amazzonia, più test ne secche hai nella cintura, più cucchi, Come da noi i dollari.
traverso una condotta di vita non contraria alla morale nella quale si è stati educati.
Le regole morali riportate dalla tradizione buddliista sono le regole morali comuni alla quasi totalità delle culture umane, che quindi il Buddha ha potuto assumere come assolute.5
’ Vedi ad esempio le Tavole della Legge.
Capitolo ottavo Il Retto Sforzo
Fratelli, so eh e la post ni attenzione e imprigionata nel mondo immaginario del vostro pensiero.
Fratelli, so che guardare dentro voi stessi richiede uno sforzo di volontà.
Fratelli, fate lo sforzo di guardare dentro voi stessi.
Concentrate la vostra attenzione sul vostro pensiero, osservate come esso nasce, cresce e muore, come esso è impernia natte e come i suoi fantasmi non sono reali.
['rateili, facendo lo sforzo di guardare dentro voi stessi vi libererete dai fantasmi del vostro pensiero.
Allora la vostra attenzione potrà rivolgersi alla realtà che vi circonda ed essa si rivelerà a voi in tutta la sua bellezza e la sua gioia.
Scoprirete che nella realtà non vi è sofferenza: la sofferenza è soltanto nel vostro pensiero.
Fratelli, attuate il Retto Sforzo della concentrazione def fattenzione sulle vostre sensazioni, sulle vostre emozioni e sul vostro pensiero e realizzerete la Retta Concentrazione.16
Dunque
// Retto Sforzo consiste nella volontà di attuazione della Retta Concentrazione.
L’osservazione del proprio pensiero richiede infarti uno sforzo.
Perché?
Perché la nostra arrenzione è normalmente calamitata dai nostri pensieri al punto che noi diventiamo i nostri pensieri.
Quando un pensiero ci attraversa la coscienza (ad esempio «Io sono un fallito»), noi assumiamo quel pensiero per vero e diventiamo quel pensiero.
E per questo, che soffriamo.
Il nostro Io si identifica con i nostri pensieri.
E calamilato dai nostri pensieri.
Codesta calamita è potentissima.
Occorre davvero fare uno sforzo per sottrarvisi.
L’abitudine, o meglio Xautomatismo, ci tiene prigionieri del nostro pensiero, della nostra mente.
L’uscire dalla mente, diventare l’osservatore del nostro stesso pensiero, attuare la Retta Concentrazione, non è di per sé difficile da realizzare: il difficile è ricordarsi di farlo.
E per questo che il Buddha ha annoverato addirittura fra gli Otto Nobili Sentieri il Retto Sforzo, quasi fosse un sentiero a parte, affiancato agli altri sette.
Ma esso è semplicemente propedeutico all’Ottavo Sentiero, l'ultimo e il più importante: la Retta Concentrazione.
Siete bambini intelligenti e sono ce Ho che ootete comprendere e mettere in pratica quanto vi dirò.
Bambini, mangiando un mandarino, potete mangiarlo con consapevolezza o distrattamente.
Cosa significa mangiare un mandarino con consapevolezza?
Mangiando un mandarino, sapete che lo state mangiando.
Se gustate pienamente la fragranza e la dolcezza.
Bambini, cosa significa mangiare un mandarino senza consapevolezza?
Mangiando un mandarino, non sapete che lo stale mangiando.
Non ne gustate la fragranza e la dolcezza.
Così facendo, non potete apprezzare la natura splendida e preziosa del mandarino.
Se non siete consapevoli di mangiarlo, il mandarino non è reale
Se il mandarino non è reale, neppure chi lo mangia è reale.
Ecco cosa significa mangiare un mandarino senza consapevolezza.
Bambini, mangiare il mandarino con presenza mentale significa essere davvero in contaito con la realtà.
La vostra mente non rincorre i pensieri riguardo allo ieri
o al domani, ma dimora totalmente nel momento presente.
LA RUTTA PRESENZA MENTALI'.
Vivere con presenza mentale e consapevolezza vuol dire vivere nel momento presente, con il corpo e la mente che dimorano nel qui e ora.17
La Retta Presenza Mentale consiste dunque nel rivolgere la propria attenzione alla realtà che ci circonda, qui ora, e interagire con esssa.
La chiameremo allora più propriamente presenza nella realtà.
La Retta Presenza Mentale consiste nella presenza nella realtà.
La presenza nella realtà è fondamentale, per la realizzazione della buddhità, in quanto, non essendo rivolta ossessivamente all'interno dei propri pensieri ma all’esterno, alla realtà, essa è uno stato psicologico non nevrotico.
Occorre dunque portare sistematicamente la propria attenzione alla realtà.
E vivere, nella realtà.
Fratelli, praticate la Retta Concentrazione.
La Retta Concentrazione e il più nobile degli Otto Nobili Sentieri.
lui Retta Concentrazione consiste nella concentrazione sul pensiero.
La concentrazione sul pensiero consiste nell'osservazione distaccata dei propri pensieri.
Osservate con distacco i vostri pensieri come osservate con distacco il volo lontano degli uccelli nella pace della sera.
Imparate dalla terra: se la si cosparge di fiori fragranti o la si ricopre di feci, la terra riceve agni cosa con equanimità, senza preferenze o avversioni.
Quando nasce un pensiero, piacevole o spiacevole, non fatevene intrappolare e non diventatene schiavi.
Osservatelo con distacco e lasciatelo andare: esso non crescerà dentro di voi e non produrrà il frutto avvelenalo della sofferenza.
Se voi fate crescere i vostri pensieri, essi divengono potentissimi e si impadroniscono di voi e vi rendono schiavi.
Osservando con distacco il vostro pensiero, voi scoprirete una grande insospettata verità: che il vostro pensiero non è il prodotto della vostra volontà ma è una pianta autonoma e
indipendente da voi, alimentata dal vostro attaccamento. e che le sue radici affondano nella vostra paura.
Praticando l'osservazione distaccata del pensiero, i pensieri vani cesseranno e voi dimorerete nella Pura Coscienza.
La coscienza distaccata del pensiero, se praticata costante-mente. conduce alla Liberazione.
Fratelli, prima di imparare a osservare con distacco il pensiero, dovete imparare a osservare e a calmare il vostro respiro, il vostro corpo e le vostre emozioni.
Quando avrete calmato il vostro respiro, il vostro corpo e le vostre emozioni, praticate con continuità l'osservazione distaccata del pensiero.
La coscienza distaccata del pensiero, insieme con l’osservazione consapevole del respiro, rafforza la concentrazione.
Con la concentrazione, potrete vedere in profondità nella natura delle cinque modalità della percezione: le sensazioni, le emozioni, i pensieri, la volontà e la coscienza.18
Le cinque modalità della percezione sono come cinque corsi d'acqua in cui non è dato di trovare nulla di separato e di permanente: il cosiddetto « sé ».
Meditando sulle cinque modalità della percezione presenti in voi, vedrete l'intima e stupefacente relazione fra voi stessi e tutte le cose dell'universo.
In particolare, osservate le vostre emozioni.
Le emozioni sono la materia stessa della vostra sofferenza.
Esse hanno origine dal pensiero.
Vedendo l'origine delle emozioni nel pensiero, ne comprenderete la natura impermanente.
Vedrete come le emozioni nascono e muoiono, come il pensiero e come tutti i fenomeni mentali e materiali.
Vedendo che le emozioni sono impermanenti, a poco a poco resterete equanimi di Ironie al. loro nascere e ni loro morire.
La maggior parte delle emozioni scaturisce dal pensiero erroneo. il quale considera permanente ciò che è impermanente.
Sradicando le visioni erronee. la sofferenza cessa.
Quando avrete imparato a praticare la coscienza del respiro c del pensiero, otterrete facilmente il vuoto mentale.
Il vuoto mentale è la condizione naturali della mente, cosi come il riposo e la condizione naturale del corpo."
Se definiamo «mente» l’insieme dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e delle nostre sensazioni, possiamo dunque definire la Retta Concentrazione come l’osservazione distaccata della mente ’
La Retta. Concentrazione consiste nella osservazione distaccata della mente.
Sultiifi/lcika, A1 ajjhì>>ui■ Sikaya. Cutarahukwada Slitta.
Sia chiaro clic il termine «mente» non indici! un oggetto ma un allo o meglio un insieme di atti, ossia un processo o una funzioni', precisamente la 1 unzione della percezione, che la psicologia buddhista suddivide nei cinque Sl'andba, già tirati.
- L}essenza degli Otto Nobili Sentieri
- Capitolo sedicesimo La consapevolezza del cambiamento ovvero lIlluminazione
- Capitolo diciannovesimo
Questo ti permette di evitare di raderti i capelli a zero, di chiedere l’elemosina e soprattutto di vestirti sempre di arandone. Il che, per chi preferisce anche altri colori, presenta un non piccolo vantaggio.
" Suttapitaka, McV/himà-Nikaya, Upakkilesa Slitta.
1J Buddha non è considerato una divinità nemmeno dalla religione buddhista, che lo vede come il funtore della liberazione dalla schiavitù delle rinascite.
e contrazione muscolare (non è un caso che il Buddha sia tappresenta-to sempre po’ grassottello). Ma quando sei diventato un buddha o
Da non confondersi con la Legge del Menga. La legge del karma è stata scoperta dalla cultura orientale in tempi molto antichi (anteriori persino a quello del Buddha); dopo l’avvento della scrittura è stata descritta nella Bhagavad Gita, opera che fa parte del poema epico indiano Mabahbarata, che risale al V sec. a.C.. e nel trattato classico del
lo Yoga, lo Yoga Su tra, che è del ili sec. a.C. Nella cultura occidentale la legge del karma è stata scoperta soltanto nel XX secolo da Sigmund Freud (che ha così scoperto, come si dice, l’acqua calda), il quale nel condizionamento della memoria (inconscio) del passato sul presente ha individuato la causa della nevrosi.
Qui i miti intomo alla nascita dei Buddha si sprecano, come per ogni grande. La fantasia popolare si è sbizzarrita tino alle lacrime: « Si narra che. dopo trentadue mesi di matrimonio, la madre, ancora vergine (è un destino di tutte le madri dei grandi di restare inesorabilmente e incredibilmente vergini nonostante l'evidente gravidanza) perché aveva osservato un assoluto ascetismo (ma cosa si sarà sposata a fare?!), vide in sogno un elefante che la colpì a un fianco. Dieci mesi dopo {gli elefanti, si sa, hanno una gravidanza un poco più lunga della nostra) le nacque un figlio uscendole dal fianco (gravidanza extrauterina?) mentre essa, in piedi, si aggrappava ai rami di un fico (albero notoriamente traditore)» 1/ grandi di tutti i tempi. Buddha, Mondadori, Milano, 1976, pag. 14).
Inventò, come si vede, la psicoanalisi,
Cosa diavolo è un albero di pippala? Per mantenere la tradizione iniziata con Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita. è indetto un concorso fra i lettori per la soluzione di questo mistero. Ai
« La massa degli scrini buddlusti è veramente enorme, e copre decine di migliaia di pagine. 11 Canone Pali, che è limitato a un’unica setta, riempie 45 enormi volumi nella edizione completa siamese, esclusi i commenti. I Canoni Cinese e Tibetano, dall’altra parte, comprendono l’opera di tutte quelle scuole che lasciarono il loro segno in (lina e in Tibet. Nella più recente edizione giapponese le Scritnire Cinesi constano di 100 volumi di 1.000 pagine stampati con caratteri minuscoli, mentre quelle Tibetane occupano 325 volumi» (E. Gonze. Buddhist Scrìptures, 11>59: trad. it. Scritture biuldbiste, Ubaldini, Roma, ll?73, pag. 7).
~ La lingua Pali era la lingua parlata (versione popolare del sanscriti)) nella regione in cui visse il Buddha: quindi quella ila lui effettivamente usata. Assumerò questo Canone, in quanto universalmente riconosciuto il più attendibile, come fonte per le citazioni.
Precisamente fra il secondo e il terzo concilio tenutisi dalla comunità buddhista rispettivamente a Vesali nel 340 a.C. e a Patalipuita nel 246 a.C.
Le altre due parti sono il Vmayapttaka. che riguarda le regole di condotta dei monaci, e 1 'Ahbidhammapitaka, che espone la dottrina (intesa come teoria).
«Potremo iniziare discutendo l’origine di rutti i problemi psicologici, L’origine della mente nevrotica. È una tendenza a identificarsi con i desideri e i conflitti che hanno a che Fare con un mondo esterno. E immediatamente si pone la domanda se questi conflitti esistono realmente all'esterno o se invece sono interni» (Chògyam Trungpa, Gtim-ps.es of Abhidhama, 1975; trad. it. Lineamenti dell''Abhidharma. Ubai-dini, Roma, 1980, pag. ]3).
Ciò che ci rende nevrotici non è tanto la vita, concitata che Facciamo quanto 1 atteggiamento mentale che assumiamo nei suoi confronti: come se dal successo dipendesse davvero la nostra felicità. Questo produce in noi stress, che è l’esatto opposto della serenità. La felicità è essenzialmente serenila e quindi è la serenità il termometro della nostra felicità, non il successo. Lo stato di buddJhità ci permette di realizzare proprio la serenità, senza rinunciare al successo.
« Noi non siamo normali e naturali. Siamo assolutamente anormali, siamo malati, siamo pazzi! Solo che, poiché tutù sono come noi, non ce ne rendiamo conto: la pazzia è così normale che non essere pazzi sembra anormale. Buddha è anormale» (Osho Reineesh, Tantra, spiriiualiiy and sex, 1984; trad. it. Commenti al Vigyana Bhairava. ecig, Genova, 1992).
Buddhacarita, ili, 22 (poema composto probabilmente nella prima metà del i secolo d.C. da Ashvaghosa).
Vinayapitaka, Vibhanga Sulla,
Sutiapitaka, Majjhitm-N ìkaya, Pryajatika Sut tu.
Vinayapitaka, Mahavagga Su/ta. ìbidem.
Ne Lei rivelazione del Buddha, op. de., il quinto Nobile Sentiero è definito «Retto Modo di Vivere» (pag. 7L
Suttapitakiì, Xiajjhima-Nikayti, Sutipatthana Sulla.
Sufi api lakcu /Vf d ijbiwii-Niki iyd, Sdliput/bdfhi Suini.
Si tratta dei cinque Skandha. 1 termini qui usati differiscono da quelli tradizionali per maggiore chiarezza. Per un loro approfondimento, vedi Chògyam Trungpa, .incarnenti dell'Abbidharnia, op. cit.