Il bacio latale.
Così, con quel bacio, io avevo nuovamente disfatta la nostra amicizia; e stavolta, senza rimedio!
Dopo quel fatale avvenimento, bastava ch'io entrassi in una stanza dov'ella si trovava (anche se non le rivolgevo nemmeno la parola, anche se andavo là semplicemente per fatti miei che non la riguardavano) - bastava ch'io le comparissi dinanzi! - e subito ella perdeva ogni sicurezza e spontaneità. La fierezza naturale del suo contegno, che in lei si univa così gentilmente alla mansuetudine, cadeva di colpo, sopraffatta da una strana paura. Questa sua paura, ripeto, appariva d'una specie insolita, non la stessa che già ella aveva mostrato in altre passate occasioni, per esempio dinanzi a mio padre. Se dovessi inventare un'immagine per questa nuova paura, non saprei paragonarla che a una fiammella, la quale d'un tratto la investiva della sua rosea luce infida, e le lambiva le membra; e alla quale essa cercava di sfuggire con dei modi smarriti, inconsulti. Un rossore improvviso, poi un pallore le saliva alla faccia; si aggirava per la cucina, raccogliendo e lasciando, senza scopo, questo e quell'oggetto, con le dita che le tremavano; poi si risedeva presso Carmine, e si dava a cantargli le solite sue canzoni, con una voce timida e fredda, come se non ascoltasse, lei medesima, le parole che diceva. E quelle canzoni fossero un pretesto, o addirittura una piccola cantilena magica, per distrarre da se stessa la propria paura, e l'impaccio della mia presenza. A volte si sarebbe detto ch'ella si riparava dietro la cesta di Carmine, o lo stringeva fra le braccia, per difendersi da un intruso che la impauriva. Ed ero io, l'intruso! Ma il fatto più strano, che ancora non ho detto, è questo: che io stesso, in presenza di lei, avevo paura!
Dico paura, perché allora non avrei saputo definire con altra parola più vera il mio turbamento. Sebbene avessi letto libri e romanzi, anche d'amore, in realtà ero rimasto un ragazzino semi-barbaro; e forse, anche, il mio cuore approfittava, a mia insaputa, della mia immaturità e ignoranza, per difendermi contro la verità? Se ripercorro col pensiero, adesso, fin dal principio, tutta la mia storia con N., imparo che il cuore, nelle sue gare contro la coscienza, è estroso, avveduto e fantastico quanto un maestro costumista. Per creare le sue maschere, gli basta magari una trovata da niente; a volte, per travestire le cose, sostituisce semplicemente una parola con un'altra... E la coscienza si aggira in questo gioco bizzarro come uno straniero a un ballo mascherato, fra i fumi del vino.
Da quando l'avevo baciata, io non potevo rivederla senza provare un batticuore mortale (che mi incominciava fin dalla strada, appena mi si mostrava là in fondo - sempre più vicina a ogni passo! - la Casa dei guaglioni). Quest'ansia poi mi diventava, in presenza di lei, anche uno struggimento, quasi un'amarezza d'ingiustizia, e una rabbia. Il fatto era questo: che di tutti gli innumerevoli minuti che componevano il nostro passato comune, io, rivedendola, ne ricordavo uno solo: quello in cui l'avevo baciata. Mi pareva che il mio bacio le avesse lasciato un segno visibile per tutto il corpo, attorniandola d'una specie d'aureola complice, radiosa, morbida, dolce, e mia! e là io desideravo tornare a rifugiarmi, come nel mio nido. Come se ella fosse, ormai, la prigioniera incantata del mio bacio; e io fossi chiamato a dividere questa affettuosa prigionia con lei. Ormai, non potevo rivederla senza risentire la necessità, veemente e irresistibile, di stringerla e di baciarla ancora. Ma come potevo imporle questa mia necessaria pretesa, anzi questo mio diritto, se lei mi s'era fatta nemica proprio a causa del mio bacio? e proprio quell'unico nostro bacio, che a me sembrava una presenza così luminosa, per lei era diventato, invece, una figura di minaccia e di spavento? Avevo la sensazione (tanta era la sua paura) che, se l'avessi abbracciata e baciata un'altra volta, l'avrei uccisa! Un giorno, ch'ella tagliava del pane con un coltello, io, che in quel mentre col solito batticuore la fissavo, incontrai il suo sguardo; e credetti di leggere, nel suo dolce viso tremante, proprio queste parole: "Bada, se ti accosti a me, io mi trapasso con questo coltello, e cado qua morta".
La sua paura, così, diventava una paura anche mia. E io e lei, insieme, dentro la stessa stanza, ci muovevamo sperduti, come attraverso un fragore prorompente, che ci urtava, ci avvicinava e ci separava, vietandoci d'incontrarci mai. Dopo un poco, io uscivo senza salutarla, incapace di esprimerle il mio struggimento amaro e la mia rivolta. Il suo rifiuto dei miei baci mi appariva nient'altro che una negazione della nostra amicizia e parentela: una condanna, che voleva relegarmi ingiu-stamente nella solitudine.
Questa ingiustizia, di cui accusavo la matrigna, incatenava tuttavia la mia volontà, con un potere grave, e un prestigio misterioso; però, nessuno scrupolo o consapevolezza di colpa visitava la mia mente. Nei miei sentimenti verso di lei, io non avvertivo niente di proibito. E nemmeno nel mio bacio! Io, nel baciarla, avevo ubbidito a un impulso di allegrezza e di gloria, spensierato e senza rimorso. Fra le mie Certezze Assolute, non ce n'era una che dicesse: E’ un delitto baciare gli amici e i parenti.
Non ignoravo, si capisce, che i baci non sono tutti gli stessi. Avevo letto, fra l'altro, anche il Canto di Paolo e Francesca, per esempio. Senza contare le dozzine di canzoni che sapevo, e che parlavano tutte di carezze e baci d'amore. E avevo inoltre avuto occasione di scorgere, giù al porto, qualche rivista illustrata di cinema, con fotografie di coppie che si baciavano (apprendendo, dalle didascalie, pure il nome di qualche divo)... Ma ero stato troppo avvezzo, finora, a venir considerato un ragazzino, per mettermi d'improvviso al posto di Paolo, il dannato del Girone Infernale, oppure dell'eroe Clark Gable (il quale, fra l'altro, mi riusciva anche antipatico, perché aveva una faccia schiacciata, e per di più era moro). L'amore vantato nelle canzoni, nei libri e nelle riviste illustrate, per me era rimasto una cosa remota e leggendaria, fuori della vita vera. Come si sa, la sola donna dei miei pensieri era stata sempre la Madre: e se avevo sognato dei baci, erano stati sempre i baci santi di una madre al figlio.
Così, adesso che N., proprio con la paura che aveva di me, mi faceva, in realtà, il massimo onore sempre sospirato (di trattarmi da uomo, e non più da ragazzino), io non sapevo riconoscere quest'onore!