La conversione.
In quei giorni, trovandomi spesso presente alle conversazioni di N. e di sua madre, venni a conoscere diversi particolari della loro vita a Napoli: vicende, amicizie, conoscenze, ecc.
Ma il fatto più straordinario ch'io appresi attraverso le loro conversazioni fu uno riguardante Wilhelm Gerace. Sebbene per me quasi incredibile, tale fatto era pura verità; e all'apprenderlo, io potei spiegarmi che cosa aveva inteso dire N., il lontano giorno del suo arrivo con quella frase: tuo padre, però, adesso è cristiano, alla quale, allora, non avevo dato importanza. Si trattava di questo: mio padre, per ammogliarsi con N., si era convertito alla religione cattolica!
Lui, di nascita, come ho già detto altre volte, era protestante. Ecco adesso la storia della sua conversione, come potei ricostruirla dai discorsi uditi.
Già da più d'un mese mio padre aveva chiesto N. in moglie; e lei, dopo molte incertezze, s'era appena decisa ad accettarlo, con soddisfazione di sua madre, e stava per comunicargli, finalmente, la propria decisione, allorché aveva saputo che lui non era cattolico, e che il matrimonio si farebbe soltanto al Municipio. A questa notizia, essa era rimasta tanto atterrita, che non aveva più voluto nemmeno vedere il suo pretendente; e quando sua sorella o certe sue compagne incaricate da lei, la avvisavano che egli arrivava su dal-l'incrocio della strada verso il vicolo, lei usciva subito di casa, tremando, correndo come una pazza, e andava a rifugiarsi dentro qualche altra porta. Sua madre cercava di trattenerla perfino con le cattive maniere, perché le stava a cuore di non disgustare quel pretendente, possessore d'un castello; ma lei sviluppava una forza da tigre, per liberarsi dalle mani di sua madre; e le ripeteva, come già le aveva detto ormai una volta per sempre, che era impossibile, lei non voleva uno sposo non cristiano, piuttosto di maritarsi senza il sacramento sarebbe morta. La madre però non osava dare simile notizia al giovanotto; e allorché lui le domandava e ridomandava:
- Insomma, vostra figlia, perché non c'e' mai? e si può sapere quando mi darà la sua risposta? - cercava di rabbonirlo con delle cerimonie, senza mai spiegarsi. Allora, sempre più egli si spazientiva, e si meravigliava di non trovare mai la ragazza, esclamando ogni volta: - Ma che razza di storia è questa, che vostra figlia sta sempre fuori di casa? - e la madre doveva inventare ogni volta qualche nuovo pretesto, del quale lui pareva poco convinto. Egli si metteva ogni volta là ad aspettare la sua fiamma, e la madre, sperando che ella si decidesse a ricomparire, e venisse almeno a salutarlo, si sforzava frattanto d'intrattenerlo meglio che poteva con la conversazione. Ma lui non diceva una parola, cupo, e neppure la guardava in faccia: rimaneva ad aspettare mezz'ora, e perfino un'ora, là fuori nel vicolo, seduto sulla sedia davanti alla soglia, a tirare calci ai barattoli, oppure dentro, sdraiato sul letto, a dare la caccia alle mosche. Finalmente se ne andava, più cupo di prima, e diceva alla madre: - A rivederci. Dite a vostra figlia di trovarsi qui domani, a quest'ora, perché io verrò per sentire la sua risposta.
Tanto meglio! A questo modo, lui stesso le aveva dato l'avviso in precedenza: e l'indomani, già molto prima che scoccasse l'ora fissata, ella provvedeva a non farsi trovare, scappando a nascondersi in qualche buco del vicolo. - Ha dovuto assentarsi... ci dovete scusare... chi sa quanto la tratterranno là adesso, questa guagliona, Madonna santa? ha detto che farà l'impossibile per tornare presto... ma chi lo può sapere? Forza maggiore! ci dovete scusare, - diceva la madre. Ed egli decideva di aspettarla, rimanendo là, nella posa di chi medita un assassinio; ma la ragazza non usciva dal suo nascondiglio finché qualche sua fidata non la avvisava ch'egli s'era stancato d'aspettarla, e se n'era andato via.
Alla fine, un giorno, arrivando senza preavviso, egli la colse nel momento ch'essa fuggiva cercando di nascondersi per il vicolo; e la agguantò e la risospinse dentro casa, e insieme a lei vi spinse anche sua madre. Poi chiuse l'uscio e disse: - Voi, fetenti maledette: se non finite questa commedia, di qua non uscirete altro che in barella o nella cassa da morto.
La fanciulla, che era già snervata da tanti giorni di lotta e di spavento, ebbe appena la forza di rispondere, con la voce che le veniva meno: - A mia madre, non fatele male. Sono io che devo morire. Piuttosto di accettare questo matrimonio, muoio -. E allora la madre s'intromise, e con parole opportune, cercando di non offenderlo nella sua religione, gli svelò la verità.
Quando l'ebbe udita, egli si rovesciò indietro sul letto, dove stava seduto, prorompendo in una di quelle risate che fa lui talvolta: come uno che assista a una scena comica, e, nello stesso tempo, morda un frutto agro. Poi, levandosi di nuovo a sedere guardò la ragazza con occhio risoluto, in aria pacificata, ma tuttavia minacciosa e ironica, e le domandò:
- Allora, tutta la storia sarebbe che tu ci tieni a sposarti in chiesa, secondo il rituale dei cattolici?
La ragazza annuì.
- E io sono d'accordo. Che me ne importa! - egli esclamò, - per me, possiamo sposarci pure in una moschea o in una pagoda, secondo il rituale dei cinesi. Posso farmi giudeo o convertirmi al profeta Maometto. Tanto, io non credo a nessun Dio, e, per me, uno o l'altro, fa tutto uguale.
Ella trasse un sospiro. Egli si alzò:
- Beh, - le disse, - allora siamo d'accordo.
Tremando, senza osare di guardarlo, ella mosse le labbra ma non emise parola. Allora trasse un altro sospiro e finalmente disse:
- Ma voi mica sapete, però...?
- Eh, che altro deve sapere! - intervenne la madre, - t'ha detto che ti fa contenta, che vi sposate in chiesa. Adesso, lascialo un poco che si riposi nella buona pace sua! perché adesso lo vai ancora sfruculiando?
- Oi mà, lasciami parlare, - pregò quasi piangendo la ragazza, - è meglio dire subito oggi tutte le cose, non lasciare niente -. E con una voce un poco aspra, incrinata, riprendendo fiato ogni tanto come se corresse, riprese a dire al suo innamorato:
- Voi però... lo sapete? che per fare la vera cerimonia delle nozze cristiane bisogna che gli sposi tutti e due siano cristiani della vera chiesa, proprio della vera famiglia che per capo tiene la Santità di Nostro Signore. Io sono stata pure dal prete, qua a San Raffaele, per sapere tutte le spiegazioni della vera cerimonia, e pure il prete così m'ha detto. Perché un vero matrimonio non basta che sia valido in questo mondo, bisogna che sia valido pure in cielo. Perché il Santo Matrimonio è un sacramento, e i sacramenti non si scrivono solo sulle carte, si scrivono pure in Paradiso. Là nel Paradiso stanno scritte solo le verità eterne, santificate dall'approvazione divina e da quella del Primo Apostolo. E così il Signore ci ha fatto questo dono dei Sacramenti apposta per assicurarci che una cosa, che si fa quaggiù in terra, diventa una verità eterna là in Paradiso. Due persone non si possono unire insieme senza la verità eterna: quella sarebbe una brutta unione. E allora così bisogna essere tutti e due Cristiani col santo Battesimo, la Cresima e l'Eucarestia della vera Chiesa presieduta dal Santo Padre che siede sulla cattedra di Pietro. Allora un matrimonio diventa proprio il vero sacramento cristiano! E io se un matrimonio non e così, non lo faccio.
Con questa conclusione del suo discorso, la fanciulla parve aver esaurito tutte le riserve d'audacia che le restavano in cospetto dell'innamorato. Da allora in poi, nei loro successivi incontri, fu molto se talvolta ella riuscì a dirgli quattro parole di seguito senza tremare.
Breve: l'invitto pretendente accettò quel giorno stesso anche l'ultima condizione ch'ella gli richiedeva: e cioè di farsi, da protestante, cattolico, eseguendo tutti gli obblighi imposti ai neofiti dalla chiesa romana, fino al sacramento nuziale... E stette a sentire, piuttosto incuriosito che preoccupato, le informazioni che lei, col poco fiato che le restava, credette bene di fornirgli in proposito: né fece obbiezioni, solo qualche commento accidioso, quasi che certe cose non riguardassero la sua anima, ma a mala pena il suo corpo. Fra l'altro, la fanciulla gli annunciò che avrebbe dovuto confessarsi: «Come! devo confessarmi!» - «Si, confessione universale: di tutti i peccati commessi nella vita... - gli spiegò lei, con voce roca per la timidezza, - e prima bisogna fare l'esame di coscienza...» A questa notizia, egli si mise un poco a meditare, come se intraprendesse il proprio esame di coscienza in quel momento medesimo; tuttavia, dal suo contegno si sarebbe detto che questo esame non gli dava molta pena: «Beh, è inteso, - dichiarò poi, nel tono di chi annuncia una prodezza favolosa, - farò la confessione universale! »
Così, divennero fidanzati. Ormai, che gli si era promessa, ella non pensava più a sfuggirlo, sebbene, solo al vederlo da lontano, si sentisse gelare di spavento. Ciò che soprattutto la impauriva, era di trovarsi sola con lui; né avrebbe saputo dire la ragione di questo fatto, giacché in realtà, quando non v'erano altre persone, egli la trattava alla maniera solita, senza farle molta attenzione né darle confidenza, al punto che, andando a spasso con lei, non la teneva neppure sottobraccio. In ciò, essi differivano da tutti gli altri innamorati, che si vedevano andare in giro abbracciati e stretti; forse, ella pensava, lui era diverso perché era nato in un paese forestiero, e là al suo paese i fidanzamenti andavano in questo modo. Se talvolta egli la toccava, era solo per farle male, come per esempio tirarle i ricci, o scuoterla per un braccio, o altri dispetti simili. Non erano dispetti terribili, ma pure bastavano a farla tremare. Ed egli allora la lasciava stare, e rideva fieramente dicendole: - Se hai tanta paura adesso, che siamo appena fidanzati, che sarà, quando ci sposeremo?
Intanto, ella lo seguiva nel suo tirocinio di cattolico, fra continue segrete apprensioni: giacché non dimenticava quel ch'egli aveva detto: di non credere a nessun Dio.
Lui, secondo l'accordo, compieva tutti gli atti e le pratiche necessarie per iscriversi alla nuova Chiesa, e dal suo umore indifferente e enigmatico era impossibile capire che cosa ne pensasse. Con la fidanzata, si ammantava di mistero, su questo soggetto; e una volta che lei osò esprimergli qualche sua inquietudine, assunse una posa feroce e solenne, e la rimbrottò per i suoi dubbi, asserendo perfino di avere presentemente quasi ogni giorno delle visioni di angeli che volavano per l'aria, e altri prodigi simili, a tal punto la sua conversione era santa e coscienziosa.
Giunse per lui il momento di fare la confessione universale, che fu di pomeriggio, alla vigilia delle loro nozze. Egli si fece accompagnare da lei alla chiesa, dove a quell'ora non c'era nessun altro fedele; e mentre lui stava alla grata del confessionale, essa rimase ad attenderlo inginocchiata su un banco poco lontano. Nell'intenso bisbigliare che faceva accosto alla grata, coi labbri celati dentro il cavo delle mani, lui, ogni tanto, per distrazione, parlava un poco più forte; e allora essa temeva assai di intendere qualche sua parola, che non sarebbe stato bene, perché la confessione è un segreto fra il sacerdote e il penitente, e nessun altro deve sorprendere questo segreto. Ma per fortuna, la sola frase che le giunse distinta fu questa: Parola d'onore! Parola d'onore! che il penitente, a intervalli, durante la confessione, ripeté più d'una volta. Che cosa, poi, egli affermasse sul proprio onore, soltanto il confessore l'ha udito.
Poiché sapeva che nessun'anima vivente non può peccare mai meno di sette volte al giorno, la fanciulla s'era preparata a un'attesa lunga, considerando che il fidanzato doveva dire tutti i peccati commessi nel corso della vita intera: e data la sua età! Ma invece, quella confessione durò assai meno del previsto: dovevano esser passati, forse, sei-sette minuti e non di più, quand'egli si levò dal confessionale e la raggiunse, dicendole di lasciare il suo banco, perché lui aveva finito. Ella ubbidì; ma al vederlo avviarsi sicuro all'uscita della chiesa, sussurrò interdetta: «Volete andare via subito? E... la penitenza? » - «Che penitenza? » egli domandò. «Come! La penitenza per la contrizione... voglio dire... le preghiere... il prete non v'ha dato da recitare dei Pater... delle Avemarie...» - «Ah, sì, è vero, - egli rispose, - mi ha detto infatti di recitare due avemarie, ma c'è tempo, fino a domani: le reciterò più tardi».
Erano ormai giunti fuori della chiesa, in fondo alla scalinata; ed ella rimase sospesa con un piede sullo scalino, tanto la notizia di quella penitenza le parve straordinaria: - Come! - esclamò confusa e stupefatta, - due Avemarie! due Avemarie soltanto, dopo una confessione universale!
Al suo stupore, egli si mostrò offeso: - Ehi, Nunziata, - le disse, - di che ti meravigli? forse ti aspettavi che m'avesse dato una penitenza più grossa? Ma allora, è segno che mi prendi per un peccatore!
- No, mica dovete pensare... - ella si scusò, - però, tutti quanti i cristiani, pure se sono bravi, si ritrovano sempre qualche mancanza, nell'intera loro vita...
- Tu mi fai affronto! a paragonarmi a tutti quanti gli altri! Ricordati, ragazza, che io sono un esempio raro della perfezione in terra: io merito complimenti, e non penitenze! e anzi il confessore mio dovrebbe sentirsi rimorso, per quelle due avemarie! Io fuori di qualche fandonia e qualche parolaccia che posso aver detto in vita mia, non ho altro da confessare! E darmi una penitenza per poche fandonie, magari grosse, enormi... e poche parolacce... - D'un tratto, a questo punto, un'allegria spontanea lo travolse. E buttandosi a sedere sullo scalino, egli proruppe in una risata che non finiva mai, così fresca e irresistibile, che lei medesima si sarebbe messa a ridere con futilità assieme a lui, se non si fossero trovati davanti a una chiesa, e in una circostanza così solenne.
Quella risata, come un velo misterioso, confuse agli occhi della fanciulla la persona già oscura del fidanzato, rendendolo (sembra strano), ancora più autorevole dinanzi a lei. - Perché ridete? - osò infine domandare. - Perché, - egli rispose, - parlando di fandonie e di parolacce mi son ricordato di certune che disse una volta un amico mio... - Tale spiegazione molto plausibile a lei bastò; e così la discussione, fra loro due, fu terminata.
Tuttavia, il fatto di quella penitenza irrisoria lasciava ancora perplessa la ragazza. Essa, a ogni buon conto, trascorse una parte di quella notte a recitare interi rosari all'intenzione di tutti i peccati che il fidanzato, magari per poca memoria, poteva forse aver dimenticato di dire in confessione. E siccome la madre, disturbata nel sonno da quel mormorio continuo, si mise a protestare, essa fu obbligata, per giustificarsi, a raccontarle tutta la scena della chiesa. (Difatti, è stato dalla madre che io, poi, l'ho udita descrivere. E non solo quest'ultima scena, ma anche il precedente racconto della conversione di mio padre - con pure altre scene meno importanti che qui tralascio - io, in massima parte, li devo a Violante, non a Nunz. Nunz., su questo argomento, non diceva molte parole, rattenuta, al discorrerne, da un riserbo estremo, lo stesso che aveva, altre volte, per le cose del cielo. E le poche parole che ne diceva, le diceva con un accento di rispetto solenne e favoloso, come se raccontasse una leggenda della Storia Sacra).
Io poi un giorno, dopo la partenza di Violante, ritornando sull'argomento con N., non seppi tenermi dal farle notare che, secondo me, la conversione di mio padre non significava nulla. Difatti, da quanto ne avevo inteso, mi pareva di capire che lui quella conversione l'aveva fatta senza cambiare le sue idee, e quasi per divertimento, come se facesse un gioco di nessuna importanza o una scommessa. E ciò, secondo me, non dovrebbe soddisfare, ma piuttosto offendere, la Chiesa, e anche (ammesso che esista) Dio! A questo mio discorso, N. mi guardò con un'aria profondamente grave (pur nella sua inconsapevole puerilità). E in un tono assolutistico, che non ammetteva repliche, mi rispose che lei pure, da principio, aveva avuto qualche pensiero simile; ma poi aveva capito che questi erano brutti pensieri, che vogliono tradire il primo pensiero di Dio. E il primo pensiero di Dio sono i sacramenti. Ciò che davvero avrebbe offeso Dio, sarebbe stato che mio padre si fosse sposato senza il sacramento nuziale; ma invece lui il sacramento l'aveva avuto: ecco l'importante! Qui, per dimostrarmi la vera intenzione di Dio nei sacramenti, essa mi dette l'esempio del battesimo, il quale viene impartito per lo più a delle creature piccerille, che ne capiscono quanto i gatti: eppure, le salva! E a proposito della straordinaria ignoranza delle creature, mi citò il caso di un guaglione capuano suo conoscente, di nome Benedetto. Costui, all'età di un mese, fu portato in chiesa a battezzarsi, non avendo addosso (per la poca moneta della famiglia), nient'altro che una vesticciola, che gli lasciava le gambe libere; e per prima cosa, al momento della cerimonia, egli sferrò un calcio sul mento al prete! E tuttavia, il prete non si ritenne offeso, e gli impartì il battesimo lo stesso: perché seppure quel guaglione, nella sua semplicità, non capiva la grande intenzione del sacramento, il prete, però, la capiva; e Dio la capiva: l'importante, era questo!