Regina delle donne.
L'autunno già s'annunciava, coi suoi tramonti precoci: arrivava ogni giorno più presto quel severo momento dell'oscurità, che mi scacciava dalla marina. Assai sovente, se arrivavo a casa prima di notte, mi avveniva, adesso, di trovarvi delle visite. La matrigna aveva legato conoscenza con due o tre donnette procidane, mogli di bottegai o di barcaioli, le quali venivano a trovarla e s'intrattenevano con lei, assistendola con aiuti e consigli mentr'essa lavorava al corredo per il mio fratellastro nascituro. Non so come avesse potuto indurle a passare la soglia della Casa dei guaglioni, e, dapprincipio, la loro presenza mi aveva sorpreso come un'apparizione inverosimile. Per lo più, sedevano tutte intorno alla tavola della cucina sparsa di panni e di fasciòle, e notai che la matrigna, così sottomessa con mio padre e con me, in mezzo a quelle donne, invece, mostrava una specie di autorità matronale e quasi di supremazia riconosciuta, nonostante la sua età più giovane della loro.
A paragone di loro, tutte di statura piccolina, ella appariva assai grande. E cuciva con una espressione di grave impegno, composta e taciturna, nel cerchio delle altre che ciarlavano fra molti gesti.
Le loro voci animate coprivano il rumore dei miei passi, mentre sopraggiungevo da fuori; ma, al mio entrare, si azzittivano subito, vergognose e diffidenti; e pochi minuti dopo, dileguavano tutte insieme, perché a Procida è usanza che le donne si ritirino tutte nelle proprie case, col discendere dell'oscurità.
Qualche volta, risalendo dal mare un poco prima del solito, e indugiandomi a godere il tramonto sullo spiazzo, mi capitò di udire le loro conversazioni. Trattavano quasi sempre gli stessi soggetti: vicende di famiglia, di parenti, oppure questioni riguardanti i diversi mestieri dei loro mariti, la casa, i figli, e in particolare la prossima nascita del mio fratellastro. Fu in una di tali occasioni che udii la voce della matrigna rivelare alle altre il nome da lei destinato a questo suo primogenito: se fosse stata una femmina, disse, l'avrebbe chiamata Violante (Violante era il nome di sua madre); e se fosse stato un maschio, l'avrebbe chiamato: Carmine Arturo. Veramente, spiegò, avrebbe preferito di chiamarlo Arturo, perché fin da piccerilla questo nome le era sempre piaciuto più di tutti gli altri; ma siccome in casa c’era già un Arturo, e due fratelli non possono chiamarsi allo stesso modo, s'era decisa per quel primo nome di Carmine, in onore della Madonna del Carmine, protettrice di Procida. Carmine suonava pure abbastanza bene, osservò, soprattutto a dire Carmeniello. CARMENIELLO-ARTURO! A questo doppio nome, poi, sul certificato di battesimo, intendeva di fare aggiungere Raffaele, e Vito, che erano i nomi di suo fratello e di suo padre.
Andate via le amiche, per solito, la matrigna seguitava ancora un poco a cucire, mentre io mi riposavo sulla panca. Durante molti mesi, ella aveva messo da parte tutte le piccole somme datele occasionalmente da mio padre, e s'era industriata a rimediare ritagli di stoffa nelle bottegucce di Procida, per apprestare questo corredo al mio fratellastro. Si trattava, in realtà, di cinque o sei capi di roba, che avrebbero forse potuto entrare tutti quanti dentro una scatola da scarpe; e inoltre parevano di qualità piuttosto andante, per quello che me ne intendevo io. Ma i fratelli piccoli di lei s'erano sempre accontentati, per tutto corredo, di cenci usati e di scialli da donna; e la fattura di un corredo come questo assumeva, ai suoi occhi, l'importanza di una cerimonia principesca, solenne. Nella severa attenzione con cui lo lavorava, si riconosceva, tuttavia, anche una certa imperizia, e inesperienza.
Io non dedicavo nessun particolare pensiero al mio fratellastro. La sua nascita ormai si approssimava; ma pure, egli rimaneva irreale, come un personaggio della Cina, che per noi non significa niente. M'era strana, l'idea che, in realtà, egli già esisteva fra noi, nella nostra casa. La matrigna stessa, benché gli preparasse il corredo, non parlava mai di lui, e neppure si fermava a pensare a lui, ne sono certo. A volte, si sarebbe detto che viveva quasi inconsapevole di portarlo in sé. Le gatte, le uccelle, le belve, anche loro, venuta la stagione della famiglia, come creature preoccupate e ispirate si affaccendano a preparare il nido, senza pensare a chi glielo comanda.