Ultimi avvenimenti.
Così, è passata la fanciullezza di Arturo. Al tempo che io stavo per compiere quattordici anni, Immacolatella, che ne aveva otto, trovò un fidanzato. Era un cane nero, riccio, con occhi appassionati, che abitava in una casa assai distante, dalla parte di Vivara, e se ne partiva di là ogni sera, proprio come i fidanzati, per far visita a lei. Aveva imparato le nostre usanze e, per trovarci in casa, veniva all'ora di cena. Se vedeva che la finestra della cucina era ancora buia, ci aspettava con pazienza; e se la vedeva illuminata, si annunciava abbaiando fin da lontano, e raspava all'uscio per farsi aprire. Appena entrato, ci salutava con una esclamazione altissima, dalle note squillanti, che pareva l'annuncio dei trombettieri reali, e poi galoppava tre o quattro volte tutto intorno alla cucina, come i campioni all'inizio dei tornei. Sapeva comportarsi con molta bravura e galanteria: ci guardava cenare agitando la coda senza chieder nulla, per farci capire che il solo motivo delle sue visite era il sentimento; e se io gli gettavo un osso, non lo toccava, aspettando che se lo prendesse Immacolatella. Doveva essere un incrocio con qualche cane da corsa: stava sempre con la testa all'aria, aveva un carattere audace, e Immacolatella era contenta. Io la mandavo fuori sotto lo stellato, a giocare con lui, e me ne stavo in disparte; ma dopo un poco essa lo lasciava e ritornava da me, a leccarmi le mani, come per dire: "La vita mia sei tu”
Venuta la stagione degli amori, Immacolatella rimase incinta, per la prima volta nella sua vita. Ma, forse, oramai era troppo vecchia, o era, da sempre, inadatta, per qualche malformazione nativa: morì, nel partorire i suoi cuccioli.
Erano cinque: tre bianchi e due neri. Speravo di salvare almeno loro, e mandai Costante in giro per l'isola, alla ricerca di una cagna che potesse allattarli. Soltanto dopo molte ore, egli tornò con una bestia rossa, magra, che pareva una volpe; ma forse era troppo tardi, i cuccioli non vollero attaccarsi. Pensai pure di nutrirli io col latte di capra, come aveva fatto con me Silvestro, ma non ebbi nemmeno il tempo di provare. Erano deboli, e nati prima dell'epoca loro: furono sepolti insieme alla madre nel giardino, sotto il carrubo.
Io decisi che non avrei mai più avuto nessun altro cane, al posto di lei: preferivo esser solo, e ricordarmi di lei, piuttosto che mettere un altro al suo posto. M'era odioso incontrare quel cane nero, che andava spensierato, come se non avesse mai conosciuto nessuna Immacolatella sull'isola. Ogni volta che esso mi si avvicinava, pretendendo di scherzare e giocare insieme a me come prima, io lo cacciavo via.
Quando, di li a qualche tempo, mio padre venne a Procida e mi fece la solita domanda: - Che novità? - io voltai la faccia senza rispondere. Non mi era possibile dire queste parole: "Immacolatella è morta".
Glielo disse Costante; e mio padre alla notizia provò dispiacere, perché amava le bestie e era molto affezionato a Immacolatella.
Quella volta, egli si trattenne a Procida appena un pomeriggio e una notte: era venuto soltanto per ritirare certi documenti dal Comune. Restò assente circa un mese, e poi riapparve, anche allora per ripartire il giorno seguente, dopo avere riscosso dal colono una somma di denaro. Ma, al momento di salutarmi, per la prima volta nella nostra vita mi informò sulla sua destinazione, e sulla data del suo ritorno.
Mi spiegò che da alcuni mesi era fidanzato con una napoletana, e che andava a Napoli a sposarsi. Le nozze erano fissate per il giovedì di quella settimana stessa, e, subito dopo, egli sarebbe ritornato a Procida, insieme con la sposa.
Perciò, mi disse, io dovevo andare a aspettarli, il prossimo giovedì, al piroscafo delle tre, sul molo.