Attese e ritorni.

 

Ma in verità c'era poi un'altra ragione, ancora più forte, che, quando uscivo al largo, mi faceva presto rivoltare la prua verso Procida: il sospetto che, nella mia assenza, potesse ritornare mio padre. Mi sembrava insopportabile di non essere anch'io sull'isola quando lui c'era; e per questo, sebbene fossi libero e amassi tanto le grandi imprese, io non uscivo mai dal mare di Procida, verso altre terre. Spesso ero tentato di fuggire sulla mia barca, alla ricerca di lui; ma poi capivo quanto fosse assurda la speranza di poterlo ritrovare, fra tante isole e continenti. Lasciando Procida, io potevo perderlo per sempre, giacché solo a Procida esisteva una certezza: prima o poi, lui sempre ritornava là. Non era possibile indovinare quando ritornerebbe. Certe volte, riappariva d'un tratto poche ore ,o la sua partenza; e certe volte non lo si rivedeva più durante molti mesi. E io, sempre, ogni giorno, agli arrivi del piroscafo, e di sera, rientrando alla Casa dei guaglioni, avevo una speranza di vederlo. Questa eterna speranza era un altro degli incantesimi di Procida.

Una mattina, io e Immacolatella, viaggiando sulla Torpediniera le Antille, avevamo deciso di arrivare fino a Ischia. Io remai per quasi un'ora; ma quando mi voltai, e vidi che Procida si faceva lontana, mi prese una nostalgia così amara, che non potei sopportarla. Rivoltai la prua, e tornammo indietro.

Mio padre non scriveva mai lettere, non faceva mai sapere sue notizie, né mandava nessun saluto. Ed era favolosa per me la certezza che pure egli esisteva, e che ogni istante da me vissuto a Procida, lo viveva lui pure in chi sa quale paesaggio, in chi sa quale stanza, fra compagni stranieri che io consideravo gloriosi e beati solo perché stavano con lui (non dubitavo, difatti, che la frequentazione di mio padre fosse il titolo di aristocrazia più ambito per tutte le società umane).

Appena pensavo: "Lui, in questo medesimo istante...", subito sentivo dentro di me un grande strappo, come se, nella mia mente, uno schermo nero venisse lacerato; e passavano baleni di romanzi meravigliosi. In queste apparizioni della mia fantasia, mio padre non era quasi mai solo: c'erano, intorno a lui, le persone indistinte dei suoi seguaci; e presso di lui, sempre al fianco suo come un'ombra l'eletto di quella aristocrazia, Pugnale Algerino. Mio padre, agitando la sua pistola in atto di sfida, balza sulla prua d'una immensa nave armata, e Pugnale Algerino, disfatto, forse ferito a morte, si trascina dietro di lui porgendogli le ultime cartucce. Mio padre avanza per la giungla intricata insieme a Pugnale Algerino, che, armato d'un coltello, lo aiuta ad aprirsi la strada fra le liane. Mio padre nella sua tenda di guerra si riposa disteso su un lettuccio da campo; e Pugnale Algerino, accoccolato in terra ai suoi piedi, gli suona sulla chitarra una musica spagnola...

"Aspetta d'esser grande, per partire con me”.

Nei miei giorni di solitudine, a volte un qualche inganno dei sensi mi faceva illudere d'un tratto ch'egli fosse tornato! Guardando il mare, un giorno di burrasca, mi pareva d'udire, nel frastuono dei cavalloni, la sua voce che mi chiamava. Mi voltavo di scatto verso la spiaggia: era vuota. Un pomeriggio, giungendo sul molo dopo l'arrivo del piroscafo, scorgevo da lontano un biondo seduto al Caffè della piazza. Mi dirigevo in fretta al Caffè, convinto di trovare lui, che, appena sbarcato, s'era fermato a bere un bicchiere di vino d'Ischia; e mi trovavo davanti un forestiero bruno, che portava in testa un cappelluccio di paglia... Cenando, una sera, in cucina, vedevo Immacolatella farsi attenta, e correre d'un balzo alla finestra; mi precipitavo, sperando di scorgere là fuori lui, arrivato di sorpresa! e facevo a tempo a scorgere un gatto che, affacciatosi a spiare la nostra cena, saltava giù dall'inferriata e fuggiva via.

Ogni giorno, Immacolatella e io assistevamo a quasi tutti gli arrivi del piroscafo da Napoli. I passeggeri che scendevano erano quasi sempre gente conosciuta, per lo più procidani che erano partiti la mattina e tornavano la sera: lo spedizioniere, la moglie del sarto, la mammàna, il padrone dell'albergo Savoia. Certi giorni, poi, si vedevano sbarcare, dopo i passeggeri comuni, i prigionieri destinati al penitenziario. Vestiti in borghese, ma ammanettati, e accompagnati dalle guardie, essi venivano subito caricati sulla camionetta della polizia, che li portava al castello. Durante il loro breve tragitto a piedi, io evitavo di guardarli: non certo per disdegno, ma per rispetto.

Intanto, i marinai ritiravano la passerella, il piroscafo ripartiva, verso Ischia: anche stavolta, il biondo che io aspettavo non era arrivato.

Ma una volta o l'altra, infine, lui arrivava. Magari proprio un giorno che io, per qualche motivo, non ero stato sul molo all'attracco del piroscafo. E allora, mi succedeva di trovare davvero, rientrando in casa, quello che sempre mi rappresentavo come le chimere: lui, seduto sul letto in camera sua, che fumava una sigaretta, con la valigia ancora chiusa ai suoi piedi.

Vedendomi, diceva:

- Alò. Ci sei?

Ma in quell'istante, Immacolatella, che s'era attardata indietro per la strada, entrava nella camera come il vento; e mio padre incominciava la solita lotta con lei, sempre esagerata nelle sue feste. Io pure intervenivo e le gridavo: - Cuccia. Basta! - Mi parevano un segno di poco giudizio, da parte sua, quei modi infatuati. Che si presumeva? Chi sa quanti cani meglio di lei aveva incontrato mio padre, in tutto quel tempo! E inoltre, secondo me, per lei quelle grandi accoglienze a mio padre erano solo un pretesto di far chiasso. A lei, in realtà, non importava molto che mio padre fosse tornato: per lei, ero io, il padrone.

Finalmente, essa si calmava. E mio padre, fumando la sua sigaretta, mi diceva:

- Che novità?

Ma non faceva molta attenzione alle novità che io gli raccontavo. Magari m'interrompeva fuor di proposito per domandare: - E in ordine, la barca? - oppure si metteva in ascolto delle ore battute dal campanile, e, confrontandole sul proprio orologio, protestava: - Che dice, le sei meno un quarto?! Ma no, sono quasi le sei! Quell'orologio là, sempre va pazziando -. Poi, seguito da noi due, taciturno, aggressivo, si dava a percorrere su e giù la Casa dei guaglioni, spalancando le porte e le finestre, per riprendere la sua padronanza. E già la Casa dei guaglioni pareva una grande nave piena di vento oceanico, in rotta su itinerari stupendi.

Infine, il mio Capitano ritornava nella sua camera, e si gettava sul letto, supino, con una espressione scontenta e distratta: forse pensava già di ripartire? Guardava il cielo, fuori della finestra, e osservava: - Luna nuova, - con l'aria di dire invece: "Sempre la stessa luna. La solita luna di Procida!”

 

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