La Legge quarta.
La Legge quarta, a me suggerita dall'atteggiamento di mio padre, fu, evidentemente, insieme forse a una mia inclinazione naturale, la causa originaria della mia solitudine procidana. Mi sembra i rivedere la mia piccola figura di allora che si aggira, al Porto, fra traffico e il movimento della gente, con un'aria di superiorità diffidente e scontrosa, come un forestiero capitato in mezzo a un popolo ostile. Il carattere più mortificante che notavo, in quel popolo, era la perpetua dipendenza di tutti dalla necessità pratica; e un tale carattere faceva risaltare ancora meglio la specie gloriosa e diversa di mio padre! Non soltanto i poveri, là, ma anche i ricchi, sembravano perennemente occupati dei loro interessi o guadagni presenti: tutti quanti, dai piccoli straccioni che si azzuffavano per una moneta, o per un avanzo di pane, o per un sassolino colorato, fino ai proprietari di barche da pesca, che discutevano sul prezzo el pesce come se questo fosse il valore più importante della loro esistenza. Nessuno, fra tutti loro, evidentemente, s'interessava di libri, o di grandi azioni! A volte, i ragazzini della scuola venivano schierati su uno spiazzo dal maestro per le esercitazioni premilitari. Ma il maestro era un grassone linfatico, i ragazzini non dimostravano né capacità né entusiasmo; e tutto lo spettacolo, dalle divise, ai gesti, alle maniere, appariva così poco marziale, a mio giudizio, che io ne distoglievo subito lo sguardo con un senso di pena. Mi sarei fatto rosso per la vergogna, se mio padre, sopravvenendo in quel momento, mi avesse sorpreso a guardare certe scene e certi personaggi!