Kate Wilhelm

La casa che uccide

1

In aprile accaddero tre cose che convinsero Beth Elringer a presenziare alla festa di compleanno del marito Gary. La prima fu che perse il lavoro a causa della rottura di una macchina da stampa della casa editrice presso la quale lavorava come editor. Beth e Margaret Long, la sua datrice di lavoro, erano sedute l’una di fronte all’altra nel séparé di un ristorante messicano. Mentre Margaret parlava, Beth giocherellava con il cibo che aveva nel piatto.

«Non ce la faccio più ad andare avanti così» disse Margaret con un’aria stravolta. «Siamo stati in piedi tutta la notte, poi quella maledetta macchina si è rotta e con lei sono saltate anche tutte le scadenze di lavoro.»

«Perché non mi hai chiamato?»

«Sai riparare una macchina da stampa? Si è rotta una puleggia motrice. Mike ha detto che ci vorranno tre settimane per sostituirla con una nuova, sempre ammesso che avremo i soldi per farlo.»

«Cosa pensi di fare?»

«Dio solo sa quanto vorrei saperlo. Beth, cara, è meglio che cominci a cercarti un altro lavoro. Non so davvero dirti se questa sarà la goccia che farà traboccare il vaso, ma ho la sensazione che sia così.»

A Beth piaceva lavorare come editor. Stava seguendo un libro di poesia che amava particolarmente, ma l’autore non avrebbe mai visto pubblicata la sua opera se la Long Press avesse chiuso.

La seconda circostanza si presentò due giorni dopo, quando suo fratello Larry le chiese un prestito. Ebbe un sussulto quando le disse di che somma aveva bisogno. Era sceso in sciopero, e lui e la moglie avevano contratto dei debiti. Avrebbe perso la casa e tutto quello che aveva se non li avesse estinti almeno in parte.

La terza circostanza avvenne qualche giorno dopo ancora, quando Beth trovò il suo gatto morto. Ne fu sconvolta e pianse. Sapeva che avrebbe potuto trovare un altro lavoro, e per aiutare il fratello aveva già chiesto un prestito alla banca, ma non c’era nulla che potesse fare per il gatto. Se non fosse stata così assorbita dal lavoro e dal prestito si sarebbe accorta che era malato, forse intossicato. Lo avrebbe portato da un veterinario invece di trovarlo morto stecchito sul pavimento della cucina.

Quella sera esaminò il contratto che aveva stipulato con la Bellringer Company quando Gary le aveva riservato una partecipazione azionaria. C’erano solo nove azionisti, e si diceva che la società valesse milioni di dollari. Beth sapeva che anche una sola azione valeva una fortuna, e lei possedeva una quota. Il contratto prevedeva che se avesse voluto cedere l’unica quota in suo possesso avrebbe dovuto offrirla prima a Gary, senza informare nessun altro della sua intenzione di vendere. Lesse il documento due volte e annuì. "Alla festa di Gary" decise. Era quello il momento giusto per dirglielo. Gary sarebbe stato di buon umore, felice per l’aria di festa di quel fine settimana, compiaciuto del fatto che fosse presente anche lei. Gary aveva previsto che sarebbe ritornata da lui, e la sicurezza con cui le aveva annunciato che si sarebbe pentita e sarebbe tornata a casa l’aveva fatta montare su tutte le furie. Rilesse nuovamente il contratto. Se lei e Gary non si fossero accordati su una cifra per l’acquisto della sua quota, allora avrebbe potuto comunicare le sue intenzioni alla successiva assemblea degli azionisti e accettare l’offerta che eguagliava o superava l’offerta del marito. L’assemblea degli azionisti si sarebbe tenuta il lunedì dopo i festeggiamenti per il compleanno di Gary. Se neppure allora fosse stato raggiunto un prezzo soddisfacente, un commercialista esterno alla Bellringer Company avrebbe fissato il valore di mercato delle azioni, e sarebbe stata l’intera società a liquidarle la cifra in base alla percentuale delle quote dei vari azionisti. In pratica si sarebbero divisi la sua quota. Beth però sapeva che non sarebbero mai arrivati a questo perché Gary avrebbe afferrato al volo l’occasione, e, se non lui, l’avrebbe fatto il fratello Bruce.

Due settimane dopo Beth saliva su un piccolo aereo per pendolari che da San Francisco l’avrebbe portata a Smart House. L’invito indicava semplicemente una località sulla costa dell’Oregon, e il biglietto aereo era per North Bend. "Non ti preoccupare" le aveva detto Gary al telefono "ti verremo a prendere." Beth guardava fuori dal finestrino e fissava con un’aria torva l’enorme distesa dell’oceano, grigio e spumeggiante vicino alla riva, mentre più al largo l’alternanza di chiazze scure e bagliori lucenti si perdeva all’orizzonte in un grigio omogeneo. Riusciva a distinguere dei pescherecci, delle piccole barche sottocosta, una grande nave da carico che solcava l’oceano, e tutte beccheggiavano, ondeggiavano, si spostavano all’interno del suo piccolo finestrino sul mondo scomparendo ora in alto ora in basso. Beth sentiva lo stomaco salire e scendere allo stesso ritmo dei natanti. Afferrò il bracciolo del sedile e chiuse gli occhi, ma fu anche peggio. Quando l’aereo sarebbe precipitato voleva essere sicura di accorgersene. Non sapeva spiegare per quale motivo fosse tanto importante, ma non le andava di piombare in mare con gli occhi chiusi. L’aereo veniva sballottato violentemente da una parte all’altra, prendeva e perdeva quota in maniera tanto imprevedibile da rendere impossibile qualsiasi compensazione. Proprio quando Beth era ormai preparata ad affrontare una caduta verticale, l’aereo si impennò violentemente e si abbassò di nuovo.

"Accidenti a Gary" non faceva che pensare. "Accidenti a lui." Gary aveva scritto frettolosamente sull’invito: "Il volo ti piacerà moltissimo. Non vedo l’ora di mostrarti Smart House!".

"Trent’anni" pensò Beth con un’aria accigliata. "Chi l’avrebbe detto che Gary sarebbe vissuto tanto a lungo?" L’aereo sobbalzò e si abbassò contemporaneamente. Beth si aggrappò al sedile e bisbigliò: «Maledizione a lui! Maledizione a lui!» L’essere rimasta sposata con Gary Elringer per dieci anni le dava dei privilegi. Chi più di lei aveva il diritto di mandarlo all’inferno?

A terra, ad aspettare l’aereo da San Francisco, c’era Madelaine Elringer, la madre di Gary. Maddie aveva sessantadue anni e, dopo aver combattuto contro qualche chilo di troppo per tutta la vita, aveva finalmente smesso di lottare scoprendo che, una volta stabilizzatasi su un certo peso, aveva assunto una nuova corporatura che intimamente pensava non fosse affatto sgradevole. Aveva un seno prominente, una vita ben delineata, gambe tornite, polsi e caviglie sottili. Si era detta che non era poi così male, e aveva tinto i capelli di un biondo rosato o, come diceva il parrucchiere, rosa champagne. Sapeva truccarsi con grande abilità e acquistava sempre vestiti molto belli, perfettamente adeguati al ruolo che le imponeva l’essere la madre di un genio miliardario. Era seduta nella sua BMW a fumare una sigaretta dietro l’altra in attesa della nuora. Era arrivato un fronte di aria fredda con venti irregolari e troppo gelidi per il mese di maggio. Il piccolo terminal era desolato e lei troppo preoccupata per dimostrarsi affabile con le poche altre persone che aspettavano l’aereo. Quel fine settimana era un terribile sbaglio, lo aveva capito fin dall’inizio. L’idea di radunare i nove azionisti la preoccupava, con Beth che solo il cielo sapeva cosa avesse in mente di fare in quei giorni, e con Bruce, poi, che in quella situazione si stava comportando da vero stronzo. Maddie temeva l’assemblea degli azionisti che si sarebbe tenuta lunedì più di qualunque altra cosa in quegli ultimi anni, forse in tutta la sua vita. Si accese un’altra sigaretta dal mozzicone della precedente e lo buttò fuori dal finestrino, ma provò subito un senso di rimorso e si guardò intorno fugacemente per vedere se qualcuno l’avesse notato.

Finalmente l’aereo atterrò, e sull’asfalto della pista comparvero tre passeggeri. Maddie uscì dall’auto ed entrò nel terminal. Ai suoi occhi Beth aveva lo stesso aspetto di quando lei e Gary si erano conosciuti. Aveva un’aria mascolina, capelli corti e scuri che il vento spettinò istantaneamente, era allampanata e aveva gambe troppo lunghe per essere davvero bella. Del resto lei non faceva nessun tentativo per fingere di esserlo. Indossava dei jeans neri su cui aveva abbinato, notò Maddie con un certo stupore, una felpa grigia. Non aveva approvato il matrimonio tra Gary e Beth, ma non aveva mai nemmeno causato loro dei problemi. Perché allora la ragazza pareva fare di tutto per sembrare sempre un po’ in disordine, mai a posto?

«Beth, sono così felice di vederti! Sono contenta che tu abbia cambiato idea!» Si fermarono entrambe nello stesso momento, colte all’improvviso da un reciproco imbarazzo.

«Ciao Maddie. Ti trovo benissimo! Come stai?»

Con grande sorpresa di entrambe Maddie scoppiò in lacrime.

Beth colmò la distanza che le separava e abbracciò Maddie, le accarezzò delicatamente la schiena emettendo piccoli suoni consolatori senza senso. Maddie cercò di riprendere il controllo avvertendo su di sé gli sguardi stupiti dei presenti. Accadeva spesso che la gente piangesse quando si rivedeva dopo una lunga assenza o quando salutava la partenza di una persona cara, si disse. Che la guardassero pure, quindi. Inspirò profondamente e fu scossa da un tremito.

Beth aveva solo il bagaglio a mano e una borsa di tela di grandi dimensioni. Uscirono dal terminal. Nel vedere la nuova automobile Beth emise un sibilo e Maddie, quasi a giustificarsi, spiegò che gliel’aveva comprata Gary per il suo compleanno. Si toccò le tasche in cerca delle chiavi e sospirò quando Beth le indicò che erano già inserite nel cruscotto. «Gary pensa che tutti i figli dovrebbero fare dei regali ai genitori il giorno del loro compleanno, intendo il compleanno dei figli. Per dire grazie, credo. Bruce è andato su tutte le furie per questo regalo.» Chiuse gli occhi e cercò di trattenere le lacrime. «Oh, cara, non mi ero resa conto di essere così turbata da tutta questa situazione. Forse è meglio che ci fermiamo a bere qualcosa prima di andare a casa.»

«Nonostante sia tuo figlio, Bruce è sempre stato un gran rompiballe. Cosa sta succedendo, Maddie? Perché questo raduno di tre giorni? Cosa ha in mente Gary?»

Maddie avviò la macchina con un sobbalzo, e quando toccò il freno l’auto sussultò ancor più violentemente. «Un bar, un locale qualsiasi» disse. «Dobbiamo parlare di tutto questo. Dopo sarà meglio che ti metta tu alla guida, non vado molto d’accordo con questa macchina.»

Maddie si fermò in un locale che serviva anche piatti di pesce. L’odore di pesce fritto, olio rancido e cipolle era asfissiante. Beth ordinò un caffè e ascoltò le farneticazioni di Maddie che bevve tutto d’un fiato un bourbon con ghiaccio. Erano già arrivati tutti, le disse Maddie. Bruce, l’altro suo figlio di sei anni più vecchio di Gary, il ragazzo prodigio, e poi Rich, Harry, Laura… Non sapeva cosa avesse in mente Gary, nessuno lo sapeva, ma Bruce stava cercando di organizzare una sorta di complotto, disse in modo minaccioso. Ora che era arrivata avrebbe cercato di convincere anche lei, la avvertì Maddie, e avrebbe anche potuto ottenere la maggioranza dei voti.

Beth ascoltò e cercò di riordinare quell’accozzaglia poco coerente di informazioni. C’erano troppi pezzi e frammenti, troppe parti mancanti. La Bellringer Company Incorporated aveva nove azionisti ma era indiscutibilmente la società di Gary, e lui la gestiva come meglio credeva. Nel corso degli ultimi anni era stato completamente assorbito dalla creazione di Smart House, una casa computerizzata e automatizzata che sino a quel momento nessuno aveva visto a parte quelli che vi avevano lavorato.

«La detesto!» gridò Maddie. «Sa dove ti trovi in ogni momento! Spia continuamente tutti, ascolta ogni cosa che si dice, accende e spegne le luci, riscalda l’acqua della vasca da bagno e la temperatura della serra. Fa tutto da sola e io non la sopporto!»

Beth annuì con aria comprensiva. Qualche mese prima Bruce l’aveva chiamata per incontrarla a pranzo, ma lei aveva declinato l’invito. Ora rimpiangeva di non esserci andata. Era davvero in corso un complotto? Le sembrò un’idea campata in aria. Dopo tutto quel tempo conosceva Maddie abbastanza bene da sapere che il suo sfogo contro la casa non era ancora terminato. Beth aveva capito che la casa era un pozzo senza fondo nel quale svanivano tutti i soldi della Bellringer Company. Dopo l’inizio della costruzione di Smart House la società aveva smesso di realizzare degli utili. Tutti gli azionisti, eccetto Maddie e Beth, erano anche alle dipendenze della società, e Beth si era convinta che i loro stipendi fossero stati aumentati dopo la scomparsa dei profitti. Ora però dubitava che le cose fossero andate davvero così, e questo avrebbe spiegato la rabbia di Bruce. Bruce avrebbe davvero avuto i voti necessari per scavalcare Gary? Qualunque cosa fosse successa all’assemblea di lunedì, la quota azionaria di Beth le dava diritto a un solo voto, troppo poco perché qualcuno si desse la pena di metterci sopra le mani.

Fu scossa all’improvviso dai suoi pensieri quando Maddie le prese la mano e disse: «Ti prego, prometti di aspettare fino a lunedì per chiedergli il divorzio.»

«Chi ti ha detto che voglio chiedere il divorzio?»

Maddie si guardò intorno con un’aria vaga come per cercare il suo informatore. «È così, vero?»

«Gary mi ha spiata? Oppure tu, o Bruce?»

Maddie finì di bere e posò rumorosamente il bicchiere sul tavolo. «Tesoro, non è un segreto che non vivete insieme. E non è un segreto che Gary è un pochino eccentrico. Voglio solo che aspetti la fine della festa, tutto qui. Ti prego, non rovinare la sua festa di compleanno.»

«Eccentrico! Maddie, è pazzo! Il tuo figlio adorato è fuori di testa!»

Beth si mise alla guida lungo una strada piena di curve costeggiata da piccoli edifici, baracche, case in legno divenute grigie col tempo, concessionari d’auto, punti di ristoro. Nessuna delle due donne parlava, tranne per le indicazioni che Maddie dava a Beth di tanto in tanto. L’oceano non era visibile, ma se ne avvertiva comunque la presenza. Al largo, il vento freddo e impetuoso portava nuove voci dall’est, e notizie dalle profondità di navi e balene di passaggio, di gamberetti e granchi. Il sole squarciò una coltre spessa di nubi, poi il bosco avvolse la strada e anche quella timida chiazza di luce venne oscurata. Su indicazione di Maddie, Beth lasciò la strada che stavano percorrendo e ne imboccò un’altra, sempre asfaltata ma molto più stretta, priva di segnaletica, una stradina privata i cui margini erano definiti solo dalla vegetazione che lambiva la superficie del manto stradale e si richiudeva al di sopra delle loro teste trasformando in notte la luce del primo pomeriggio. E ancora non si vedeva il mare. La strada saliva ripida e sempre più tortuosa.

Beth vide un cartello con scritto: STOP A 100 METRI e rallentò ulteriormente. Dietro una curva apparve un gigantesco cancello che sembrava di bronzo. Beth si fermò. Non c’era nessuno. Un’alta recinzione di pannelli grigliati scompariva tra gli alberi ai lati del cancello. Una scritta luminosa le chiese di aprire il finestrino e una robotica voce maschile disse: «Prego si identifichi e identifichi il suo passeggero.»

Beth lanciò un’occhiata penetrante a Maddie che si era tutta irrigidita.

«Beth Elringer, Madelaine Elringer» rispose alzando leggermente la voce.

«Grazie.» Il cancello si aprì silenziosamente, la scritta luminosa si spense.

«Ora capisci cosa voglio dire?» sussurrò Maddie.

«Capisco solo che Gary si sta comportando con una certa furbizia» replicò seccamente Beth. «È questo che dà tanto fastidio a Bruce? Che Gary stia sperperando i profitti della società investendoli in giocattolini?»

«Ha speso milioni e milioni di dollari» obiettò Maddie. «Non credo che qualcuno sappia nemmeno esattamente quanto. Penso sia questo che dà fastidio a Bruce, che non ci sia una vera contabilità. Un cancello parlante! Delle porte parlanti! Una cascata all’interno della casa!» La voce di Maddie divenne quasi un gemito.

Qualcuno sapeva dove andavano a finire i soldi, pensò Beth ignorando nuovamente la suocera. Milton Sweetwater era il legale della società, doveva pur saperlo. O Jake Kluge, un vero mago degli affari. Santo cielo, e poi c’era anche Harry Westerman, il commercialista. Qualcuno di loro ne era informato, o forse tutti. Se Bruce non sapeva nulla era perché Gary non voleva dirgli nulla. La strada cominciò a scendere, sempre stretta e tortuosa, ma ora la vegetazione sembrava seguire un progetto d’insieme, non era disordinata e infestante come al di là della recinzione. Si trattava di un intervento sul paesaggio su grande scala, rifletté Beth, e questa mentalità era tipica di Gary, suo marito. Masse di rododendri in fiore formavano immense macchie di colore rosso, rosa, giallo oro, contornate da un merletto di felci di un verde così scuro da sembrare nero nella crescente oscurità. Dietro l’ennesima curva, una sessantina di metri più in basso rispetto alla strada, apparve finalmente l’oceano che circondava su tre lati quel lembo di terra proteso verso il mare come la prua di una nave. Proseguì ancora per quasi mezzo chilometro prima di avvistare Smart House. Quando la vide Beth restò a bocca aperta e fermò l’auto per osservare meglio la costruzione.

Sebbene l’edificio fosse alto, sembrava avere solo due piani, una cupola splendente sul tetto, pareti di cristallo, legno di sequoia e metallo interrotte da un lungo balcone all’altezza del primo piano. Il fronte dell’edificio appariva curvo, mentre sul retro un alto muro di pietra si ergeva ritto e incombente come una scogliera. La cupola non copriva interamente il tetto e Beth si chiese se ci fosse stata una terrazza lassù, delle piante. Ripartì e la casa scomparve dietro agli alberi e ai cespugli. Oltrepassò un campo da tennis, dei giardini all’italiana dall’aspetto solenne e infine un ampio piazzale di cemento che dava accesso alla casa. A prima vista sembrava che tutte le stanze si affacciassero sull’oceano. Alle spalle della struttura si ergeva quasi verticalmente un dirupo.

Subito la costruzione le era apparsa quasi grottesca, poi le aveva ricordato uno strano albergo, forse una stazione climatica, mentre ora, vista da vicino, incombeva orrendamente su ogni cosa, come la visione di un folle divenuta realtà. Beth e Maddie scesero dall’auto, e nell’avvicinarsi all’ingresso principale videro pian piano spuntare dalla curvatura della facciata una veranda pavimentata con piastrelle rosse.

«Buongiorno» le salutò una gentile voce femminile mentre attraversavano la veranda. «Identificatevi, prego.»

Beth cercò di individuare delle telecamere ma erano ben nascoste. Maddie si fermò di fronte all’imponente porta d’ingresso minuziosamente incisa e levigata e disse con un tono mite: «Buongiorno. Sono Madelaine Elringer e lei è Beth Elringer. Siamo attese.»

«Sì. Prego, entrate. Se volete lasciare qui i bagagli manderemo qualcuno a prenderli.» La porta si aprì.

Maddie guardò Beth come a dire: "Lo vedi?".

Sulla sinistra del grande ingresso, dell’ampiezza di dieci metri per dieci, si dipartiva una scalinata curva, mentre sulla destra la parete era interamente coperta da opere d’arte di altissima qualità. Il pavimento di mattonelle rosse continuava anche all’interno. C’erano svariati piedistalli neri su cui poggiavano delle statue. Beth continuava a pensare che da un momento all’altro sarebbe spuntata fuori una guida in uniforme e avrebbe cominciato la tiritera delle spiegazioni.

«Non posso proprio mostrarti la casa» le disse Maddie con il suo nuovo tono dimesso lanciando nervosamente un’occhiata dietro di sé. «Sono tenuta solo a mostrarti la tua camera, niente di più, ma solo perché altrimenti non la troveresti mai.» La voce della donna divenne stridula, inspirò brevemente e afferrò il braccio di Beth. «In cima alle scale.»

Beth si trattenne dal fare commenti spiacevoli. Maddie si comportava come se Gary fosse diventato più temibile di Attila. Si avviarono su per le scale. «Sai cos’ha in programma per il fine settimana?» le domandò Beth.

Maddie scosse la testa. «Sembra che ancora non lo sappia nessuno. Ce lo dirà dopo cena. L’aperitivo è servito in giardino alle sei e la cena alle sette.»

Arrivati in cima alle scale Beth rimase a bocca aperta. Di fronte a lei si apriva un’altra vetrata che si affacciava su una vera e propria giungla. Si avvicinò e vide che la parte interna della casa si sviluppava intorno a un atrio gigantesco delimitato da una vetrata circolare alta quanto la casa. Al di là del vetro c’erano degli alberi, e in fondo una piscina. L’ambiente aveva l’aspetto di una grotta con vari ingressi al piano terra e la possibilità di accedere al primo piano attraverso scale che sembravano formazioni rocciose naturali. Dietro la piscina c’era un’alta e ripida parete formata da massi di qualità varia, un passaggio lungo il muro e una cascata che compariva, spariva e infine si riversava nella vasca della piscina.

«Mio Dio» riuscì infine a mormorare Beth.

«È… semplicemente grottesco» fu il commento di Maddie, e la tirò per un braccio. Ora sembrava avere fretta. «La tua camera è esattamente dalla parte opposta.»

Su un lato del corridoio si affacciavano delle porte chiuse, dall’altro c’era la vetrata, e mentre avanzavano Beth aveva una veduta in rapida successione di ciò che avveniva al piano inferiore. C’erano dei tavoli e delle sedie di vimini, un bar e una mezza dozzina di persone che si alzavano, si sedevano, bevevano e parlavano. Quello doveva essere il giardino, si disse. Era tipico di Gary disporre che non ci fossero visite guidate obbligando ciascuno a esplorare la casa senza alcun aiuto. D’accordo, pensò risolutamente, si sarebbe adeguata alla situazione senza mostrarsi più sorpresa di quanto avesse già fatto, avrebbe semplicemente accettato tutto ciò che quella dannata casa aveva da offrire, e tentato di trovare l’occasione giusta per parlare da sola con suo marito. Si fermarono di fronte a una delle porte chiuse.

«Questa è la tua camera» disse Maddie. «Posso dirti semplicemente questo: solo tu e il personale di servizio avete accesso alla stanza. Sta’ a vedere.» Poggiò una mano su un pannello contrassegnato con il numero due e con l’altra cercò di girare il pomo della porta che però non si aprì. «Prova tu. Non ti preoccupare. Sa già chi sei e quale stanza ti è stata assegnata. Sa anche dove sei, cosa stai facendo…» Si trattenne dal continuare e si fece da parte intrecciando nervosamente le mani come se fossero state animate da una volontà propria.

Beth appoggiò la mano sul pannello e girò il pomo. La porta si aprì.

«Ti lascio sola così potrai rinfrescarti un po’. Siamo tutti in giardino. Scendi quando sarai pronta.» Si allontanò frettolosamente lungo il corridoio come se fosse diretta verso la propria camera. Beth la osservò solo un istante, le gridò un grazie e rientrò in camera.

Si accorse che si stava muovendo il più silenziosamente possibile, quasi trattenendo il respiro, e capì che nessuno avrebbe desiderato fare conversazione in quella casa, non spontaneamente quantomeno. La casa li ascoltava, registrava ogni cosa? Chiuse la porta sbattendola ma non fece comunque alcun rumore, si voltò e vide che la valigia era già stata portata in camera, proprio come aveva annunciato la voce.

Passò parecchi minuti a esplorare la stanza e il bagno. I colori predominanti erano un rosa tenue e un giallo pallido. C’erano dei letti gemelli, una scrivania con un computer acceso senza alcun tasto per poterlo spegnere, settimanali, libri piuttosto vissuti, ovviamente di seconda mano, con le orecchie alle pagine. Prese una bella statuetta di quarzo rosa raffigurante una sirena e la riposò delicatamente sul tavolo. C’erano due lampade con le basi dello stesso quarzo rosa e un massiccio portacenere del medesimo materiale. Nonostante i suoi buoni propositi, si sentiva sopraffatta da quella casa. Con un piglio rabbioso si diresse a grandi passi verso il bagno dove trovò un assortimento di saponi e shampoo, un asciugacapelli, una vasca-doccia fornita di una serie di bocchette e un pannello di comando per scegliere la temperatura dell’acqua, gli abbinamenti di profumo e bagnoschiuma, tutti prodotti costosi, selezionati da qualcuno che sapeva bene cosa comprare. E pensare che lei aveva dovuto guardare al centesimo ogni giorno, considerò infuriata.

La stanza era esposta a sud. La parete sul lato del mare era una vetrata con tende a tutta altezza e una porta scorrevole che si apriva su un balcone. Rimase a lungo a fissare l’oceano. Era uscito il sole e ora stava tramontando a occidente all’estremità dell’angolo visivo che il riquadro della finestra della camera le consentiva. Sobbalzò al suono di quattro soavi, cristalline e melodiose note di campanelli, il logo musicale della Bellringer Company. Si voltò e vide che le note erano comparse sul monitor del computer.

«Sono le sei, Beth» disse la suadente voce femminile. «Desideri fare un bagno prima di cena? Se vuoi dirmi qual è la tua temperatura ideale sarò felice di preparartelo.»

«Posso spegnere l’audio del computer?» domandò Beth con una voce irritata.

«Sì, Beth. Ti segnalerò se ci sono messaggi per te.» Sul monitor apparve un messaggio:

L’AUDIO È STATO DISATTIVATO.

PREGO INDICARE SE SI DESIDERA ASSISTENZA.

Senza muoversi Beth disse: «Chiudi le tende.» Silenziosamente i pesanti tendaggi si chiusero oscurando la vista dell’oceano. Beth annuì. Il suo viso era contratto quando cominciò a disfare il bagaglio. Estrasse un maglione e una lunga gonna che sbatté per togliere le pieghe e quasi si strappò di dosso i jeans. Non c’era da stupirsi che Maddie avesse quell’aspetto. A dire il vero tutto sommato aveva dimostrato una notevole compostezza. Beth si fece la doccia, si vestì e uscì dalla stanza cercando la strada per il giardino.

Laura Westerman la vide avvicinarsi al gruppetto raccolto intorno al bar del giardino e la salutò da lontano. Laura aveva una trentina d’anni ed era molto bella. Indossava un vestito di seta verde chiaro che metteva in risalto un corpo e un seno perfetti. Aveva capelli castani che pettinava in modo disordinato secondo i dettami della moda, e usava il trucco con una tale abilità che alcuni sospettavano non ne mettesse affatto.

Al fianco di Laura c’era Jake Kluge, alto più di un metro e ottanta, allampanato, con capelli castani lisci e flosci. All’interno della società era l’uomo più potente, naturalmente dopo Gary. Si domandò se Gary lo avesse consultato riguardo a Smart House, e se lui avesse approvato i suoi progetti. Da tempo Jake era l’unica persona che Gary addirittura pretendeva di ascoltare. Fu questo che le passò per la mente mentre cercava di capire cosa ci fosse di diverso in Jake. Alla fine lo capì. Solitamente portava dei grossi occhiali che gli ingrandivano smisuratamente gli occhi, mentre ora indossava lenti a contatto e sembrava più giovane dell’ultima volta che lo aveva visto, nonostante fosse sempre più vecchio di Gary di cinque o sei anni. L’uomo le andò incontro a braccia aperte.

«Come stai?» Le afferrò saldamente le mani, le scrutò il viso poi la baciò sulla fronte.

«Sto bene» rispose, e per un attimo desiderò che Jake non fosse sempre così sollecito, che non si preoccupasse per lei, per Gary, per tutti quelli con cui aveva a che fare. Si liberò dalla sua stretta e dietro a Jake vide Milton Sweetwater, il bell’avvocato che si agghindava da avvocato o faceva di tutto per assomigliare a Gregory Peck nel ruolo di un avvocato. Beth aveva sempre nutrito delle grosse riserve sul suo conto, non aveva mai capito che cosa pensasse di lei, se in realtà disapprovasse il suo comportamento. Le maniere di Milton erano troppo educate per lasciare trapelare qualcosa che esulasse dalla cortesia. Dopotutto, pensò, avrebbe fatto finta di niente anche se Gary avesse zoppicato vistosamente. D’un tratto ebbe la sensazione di essere lei la gamba zoppa di Gary che Milton Sweetwater era troppo gentile per notare. Annuì verso di lui e si avvicinò al bar ma ebbe un attimo di esitazione. "Accidenti, è automatico" pensò seccata.

«Lascia, faccio io» le disse Milton avvicinandosi. «Mi pare di capire che anche tu ti senti in imbarazzo a parlare con una macchina.»

«Proprio così» ammise. «C’è del vino? Se bevo qualcosa di più forte rischio di svenire. Sono passate parecchie ore da quando ho fatto colazione.» Mentre Milton apriva il frigo e tirava fuori una bottiglia di vino bianco Beth si guardò intorno. «Dove sono… tutti gli altri?»

«A scoprire le meraviglie della nuova era dell’elettronica, credo. Nel seminterrato.»

Milton le porse del vino. «È tutto incredibile, vero?»

Beth annuì. Il vino era eccellente. «Scommetto che è a otto gradi» disse sollevando il bicchiere. «Vuoi scommettere?»

Milton rise. «È bello rivederti. Quanto tempo è passato? Quattro, cinque anni? Sei esattamente come allora, stupenda.»

«Anche tu» disse Beth, ed ebbe la sensazione che in lei fosse scattato qualcosa. Si ricordò che quando lo aveva conosciuto, dieci anni prima, Milton le ispirava soggezione con le sue maniere impeccabili, la sua eleganza, i vestiti costosi e un’istruzione davvero ammirevole. In sua presenza Beth si comportava timidamente e si ammutoliva perché non riusciva a vedere oltre quella facciata di buone maniere. Non era mai riuscita a cogliere la vera personalità di Milton al di là del sorriso. Ora, per la prima volta, si sentiva a suo agio con lui. Non che adesso si lanciasse in grandi conversazioni, semplicemente non le importava più. A San Francisco Milton aveva una moglie elegante e due ragazzi eccezionali che frequentavano ottime scuole e ottenevano ottimi voti. Si domandò di cosa parlasse gente come quella. Laura si avvicinò lentamente al bar.

«Milton, tesoro, c’è del ghiaccio?» La voce di Laura era carezzevole, proprio come Beth la ricordava. Laura si voltò verso di lei e le sorrise. «Ho sentito cosa ha detto Milton ed è vero, cara. Hai davvero un bell’aspetto. Mi è sempre piaciuta quella gonna.»

Beth strinse con più forza il bicchiere e annuì, distolse lo sguardo soffermandosi sul giardino e non replicò. La prima impressione era che avessero portato enormi quantità di terra per creare una collinetta artificiale; ora invece si accorse che tutte le piante erano poste in vasi sistemati a semicerchio su gradoni che arrivavano sino al primo piano, da cui si affacciava una balconata. L’illusione di essere ai piedi di una collina era magica, e sebbene fino a un certo punto fosse possibile penetrare con lo sguardo dentro all’intricata vegetazione, non si riusciva a vederne la fine. L’illusione era che il giardino si estendesse all’infinito. C’erano banani, palme e filodendri rampicanti con foglie lunghe un metro. C’erano orchidee che pendevano dagli alberi e crescevano dentro a piccole ceste o a tronchi d’albero. Aranci e limoni in fiore profumavano l’aria, ma l’odore che sovrastava tutti gli altri era quello del cloro della piscina. L’aria era pesante e umida, simile a quella di una giungla, e in sottofondo si sentiva sempre lo scroscio della cascata che si gettava nella vasca.

In fondo all’atrio apparvero Gary e Bruce Elringer. Sembravano due gocce d’acqua, pensò distrattamente Beth. I fratelli stavano litigando, il volume delle loro voci era alto e nessuno dei due ascoltava quello che diceva l’altro, nessuno dei due riusciva a sentirlo. Avevano entrambi capelli ricci e scuri e occhi azzurri, ma Bruce era poco più alto di Gary. Erano tutti e due paffuti con gambe un pochino troppo corte rispetto al busto.

«Che bello spettacolo» commentò Laura Westerman strascicando le parole.

«Sta’ zitta» le ordinò Harry Westerman.

Beth si voltò sorpresa. Non aveva visto entrare Harry che si era materializzato all’improvviso al fianco di Laura. Ancora più sorprendente per Beth fu l’espressione che attraversò il volto di Laura. La donna si irrigidì e per un attimo parve anche spaventata prima di riprendere la consueta maschera. Beth guardò Laura e il marito. Harry Westerman era un uomo solido sotto tutti i punti di vista, aveva capelli grigi e ispidi, un corpo duro come l’acciaio, occhi neri e penetranti. Non era grosso di corporatura, sia Jake Kluge che Milton erano più alti e massicci, ma dava l’impressione di possedere una grande forza. Sembrava un saltatore con l’asta l’attimo prima di spiccare il balzo. Emanava questo tipo di tensione, una travolgente energia che Harry tentava consapevolmente di contenere. Di lui si diceva che non avesse mai guardato una montagna senza provare l’irresistibile desiderio di scalarla, cosa che gli riusciva regolarmente. Se si fosse accorto o meno della presenza di Beth non lo diede a vedere, continuò semplicemente a fissare i due fratelli che venivano verso di loro, con uno sguardo remoto e indecifrabile.

Anche Beth si voltò a guardarli. Stavano ancora discutendo animatamente. Riuscì a cogliere alcune parole come: "Riesaminare il budget", "Andare in fallimento", "Rischiare di andare in rovina" o cose simili, ma prima che comprendesse il senso del discorso Gary la vide e interruppe bruscamente ciò che stava dicendo. Si affrettò verso di lei, l’afferrò per le braccia e la scosse leggermente.

«Era ora che tornassi» le disse. «Lo sai che ho bisogno del tuo incoraggiamento. Il posto di una moglie è a casa sua.»

2

Se non fosse stato per Laura Westerman, Beth gli avrebbe dato uno schiaffo, ma sapeva che la cosa avrebbe enormemente divertito la donna. Digrignò i denti e si ritrasse bruscamente rovesciando addosso al marito parte del vino. Gary lo asciugò facendo finta di niente e si rivolse a Laura.

«Hai già qualche idea per la campagna pubblicitaria?»

«Gary, tesoro, me l’hai affidata solo due ore fa!»

«D’accordo, d’accordo, ma senti questa: "Alice nel Paese delle Meraviglie" che ne pensi? Una ballerina che esplora il Paese delle Meraviglie, ovvero Smart House.» Prese Laura per mano e la trascinò verso un tavolo tirando fuori dalla tasca un taccuino. «Il più illustre personaggio della letteratura inglese esplora la più illustre casa mai costruita…»

Beth si accorse che Milton le aveva preso il bicchiere di vino per riempirglielo di nuovo e sospirò profondamente. Stava tremando. Gli altri si spostavano lentamente qua e là, tutti presi dai vari discorsi, immersi nella conversazione o in un cupo silenzio, ma Beth non vi badò neppure. Grazie a Milton, Beth continuò a sorseggiare vino e decise che sarebbe partita l’indomani. Era stato stupido aspettarsi un cambiamento da parte di Gary. Avrebbe assunto un avvocato per occuparsi di tutta la faccenda, incluso il divorzio, pensò con una certa sorpresa. In realtà lo aveva deciso al momento, ma si rese conto che uno dei motivi per cui si trovava lì era proprio la speranza di arrivare a quella determinazione.

A cena si ritrovò seduta tra Alexander Randall e Jake Kluge. Alexander aveva ventisette anni, era penosamente magro e affetto da una timidezza patologica, talmente puerile sotto tutti i punti di vista che era un supplizio dover passare con lui anche poco tempo. Aveva tutte le unghie rosicchiate e le dita rosse e irritate. Era terrorizzato dalle donne. Quando la conversazione ritornava sui computer, come avvenne ripetutamente, si metteva ad ascoltare immobile come una statua, ma quando si toccava qualunque altro argomento si chiudeva nuovamente in se stesso. Mangiò con una foga furibonda, senza quasi alzare gli occhi dal piatto. Jake Kluge sembrava preoccupato, oppure assorto profondamente nei suoi pensieri, o completamente assorbito dalla conversazione che si svolgeva all’altro capo del tavolo, dove Gary continuava a esporre progetti per il lancio di Smart House. Naturalmente avrebbero utilizzato la tv, i giornali a tiratura nazionale, avrebbero organizzato delle visite. Lo sguardo di Jake era fisso su Gary, ma Beth era convinta che non lo stesse veramente ascoltando. Come lei, del resto. Provò una perfida soddisfazione nel vedere Laura sulle spine mentre Gary vanificava l’unico motivo per il quale la donna faceva parte della società. Se Gary si fosse fatto carico della pubblicità, oltre che di tutti gli altri aspetti della gestione della società di cui già si occupava, il valore di Laura in quanto risorsa della compagnia sarebbe stato comparabile a quello di Maddie, ovvero praticamente nullo.

Beth non prestò attenzione al cibo che le venne messo nel piatto né alla coppia di mezz’età che servì la cena, presumibilmente marito e moglie d’origine messicana. Si rese vagamente conto che quello che stava mangiando era buono e il servizio eccellente. La cena sarebbe terminata per le nove, pensò, e lei avrebbe seguito Gary per parlargli del suo pacchetto di azioni, sempre che fosse stato a sentirla. Se non avesse voluto ascoltarla lo avrebbe comunque seguito, gli avrebbe augurato buon compleanno e annunciato che l’indomani mattina sarebbe partita immediatamente. Gary sarebbe andato su tutte le furie e Maddie avrebbe di nuovo pianto, ma a Beth non importava più. Andare lì era stato uno sbaglio e restare sarebbe stato anche peggio. Sapeva per certo che se l’avesse bistrattata ancora una volta lo avrebbe picchiato, anzi, si corresse, massacrato di botte. D’un tratto Bruce, seduto di fronte a lei, sbatté il cucchiaio sul piatto. «Cosa cazzo ti fa pensare che avrai un altro milione di dollari da investire in pubblicità, coglione?» urlò a Gary.

«Bruce, controllati!» gli gridò Maddie.

«Questo non è proprio il momento e il posto per fare una scenata» disse freddamente Milton,

In fondo al tavolo Gary rise. Aveva sempre avuto una risata sguaiata, animalesca, simile a un raglio. Beth ebbe un sussulto nell’udire quel suono a lei tanto familiare. «Lo serviamo noi il caffè» disse Gary al maggiordomo. «Porti le tazze e tutto il resto in soggiorno e lei e Juanita ritiratevi non appena avrete sparecchiato.» Gary si alzò e lasciò la stanza.

Gli altri cominciarono ad allontanare le sedie dalla tavola e seguirono Gary in un silenzio imbarazzante.

La stanza in cui si spostarono era grande come la hall di un hotel e, come ogni altro ambiente della casa, stupendamente decorata. Lì i colori usati erano un rosso cupo molto scuro e un azzurro chiaro con striature dorate. C’erano numerosi gruppi di divani, comode poltroncine e tavolini bassi. Gary era già in poltrona di fronte alla vetrata. La cameriera stava sistemando un vassoio con tazze e caffè mentre l’uomo si occupava del cabaret di pasticcini. Quando ebbero finito, si allontanarono silenziosamente prima che tutti gli azionisti si fossero accomodati. Maddie era tesa, ma da perfetta padrona di casa si avvicinò al vassoio e cominciò a versare il caffè.

«Entro lunedì avrò i voti» disse Bruce. Sembrava più calmo adesso, più controllato, ma il suo sguardo era freddo e fiero. Accettò il caffè che gli veniva offerto e si sedette.

Gary sorrise. A mano a mano che Maddie li serviva, si sedevano sui divani o sulle varie poltroncine sistemate a semicerchio di fronte alla vetrata. Il sole era tramontato, il cielo aveva un colore viola scuro, il mare era plumbeo con cavalloni dalle creste bianche di schiuma. S’infrangevano sulla costa, pensò Beth, ma la casa non lasciava trapelare alcun rumore esterno.

«Entro lunedì» disse Gary dopo che tutti si furono seduti «avrete visto Smart House all’opera. Per allora non sarà importante chi avrà più voti. Infatti» proseguì guardandoli con un sorrisetto che sembrava troppo divertito, troppo superiore, come se avesse avuto davanti degli idioti «per dimostrarvi quanto sia certo della fiducia che mi accorderete lunedì, ho organizzato un piccolo passatempo per il fine settimana.» Nessuno si mosse. «Un gioco chiamato "L’assassino".»

Maddie lasciò cadere il cucchiaino sulla tavola e quello fu l’unico suono che si udì. Gary rise e posò la tazzina. «Le regole sono molto semplici. Ve le esporrò brevemente e se vorrete studiarle le troverete sul computer in camera vostra. Lo scopo del gioco è eliminare una vittima designata davanti a un unico testimone, registrare l’uccisione sul computer e richiedere l’assegnazione di una nuova vittima. Ogni giocatore ha in dotazione un solo voto che il suo assassino erediterà dopo l’uccisione. Se una vittima ha già collezionato altri voti, il suo assassino erediterà anche quelli.»

«Sei pazzo» disse aspramente Bruce.

«È solo un gioco» replicò Gary con un’alzata di spalle. «Un modo per costringere ognuno a sperimentare Smart House. Come ho già detto, lunedì non avrà alcuna importanza chi deterrà la maggioranza dei voti. Per allora vedrete tutti Smart House come la vedo io, ma lunedì qualcuno potrebbe aver collezionato qualche voto in più e far pendere le decisioni dalla sua parte. Naturalmente, se non ve la sentite di rischiare, non dovete giocare.»

Ma lui doveva giocare, pensò Beth raggelata dalle parole di Gary. Dovevano giocare tutti quanti. Quando Gary diceva: "Mangiate" loro mangiavano, quando diceva: "Camminate" loro camminavano. Questa volta aveva detto loro di giocare e loro avrebbero giocato.

«Gary, tutto questo è ridicolo» commentò Maddie nervosamente. «Degli adulti non fanno giochi così infantili. Questo è un gioco per bambini, ho letto da qualche parte che ci giocano gli adolescenti.»

Gary parve accigliarsi. «I bambini giocano a un sacco di cose che vanno bene anche per gli adulti. Ricordati che non ho mai avuto la possibilità di giocare molto da bambino e ora voglio recuperare il tempo perduto. Ognuno avrà a disposizione un voto. Le armi saranno al piano inferiore, nella sala d’esposizione. Potete prendere solo un’arma alla volta e dovrete registrarla sul computer altrimenti la morte della vostra vittima non sarà convalidata. Il computer terrà il punteggio e le sue decisioni saranno irrevocabili.»

«Che tipo di armi?» domandò Milton Sweetwater.

«Pistole ad acqua, freccette avvelenate, pillole avvelenate, palloncini di gas tossico, cose di questo tipo. Digitate "Armi" sul vostro computer, vi mostrerà cosa c’è di disponibile. Le armi si trovano tutte al piano inferiore nella sala d’esposizione, in una teca apribile solo tramite computer. Dopo che avrete scelto un’arma non potrete riutilizzarla anche se con essa non sarete riusciti a uccidere nessuno al primo tentativo. Dovrete restituirla e prenderne un’altra. Siete tenuti a non dire nulla a nessuno, né chi è la vostra vittima, né quale arma avete scelto, né se siete già stati uccisi. Nulla!»

Maddie scuoteva la testa. Si alzò e disse: «No, Gary, non voglio avere niente a che fare con questa faccenda.»

«Allora il tuo voto può andare a Laura. È l’unica che non ha niente da perdere.» Gary guardò l’ora. «Il gioco incomincia in questo momento e finisce domenica sera alle dieci. Come già tutti sapete, nessuno può entrare nelle vostre stanze a parte voi. La vostra camera è un posto sicuro, l’unico assolutamente sicuro, a meno che non invitiate a entrare il vostro assassino. Ricordatevi che avete bisogno di un testimone, e vivo o morto che sia qualunque giocatore può testimoniare, ma non più di uno. Appena commesso l’assassinio dovrete comunicarlo al computer insieme alla vittima e al testimone. Il computer vi darà le istruzioni necessarie.»

Gary si alzò e li scrutò. Nessuno sollevò obiezioni. D’un tratto, in maniera del tutto inaspettata, esplose nella sua folle e sguaiata risata, e la interruppe così bruscamente da dare l’impressione che fosse controllata da un interruttore e non da un’emozione, poi lasciò la stanza.

«È veramente pazzo» commentò Bruce con un tono basso e pieno di animosità. «Da ricovero!»

Milton Sweetwater si voltò verso Alexander Randall. «È a questo che stava lavorando? A programmare un dannato gioco?»

Alexander sembrava sulle spine. «Non ne sapevo niente. Gary temeva che nessuno di voi avrebbe dato a Smart House la possibilità di dimostrare le sue potenzialità. Credo sia vero quello che ha detto: se parteciperete al gioco scoprirete cosa può fare.»

«Invece tu, stronzetto, lo sai già» gli disse sgarbatamente Harry Westerman. Fissò con odio prima Alexander poi Rich Schoen. «Pure tu. Cosa sapete di questa storia voi due?»

Rich Schoen era l’architetto. Lui, Alexander e Gary avevano vissuto nella casa per mesi, avevano lavorato insieme al progetto fin dall’inizio. Prima d’allora Beth aveva incontrato Rich solo una volta e le era parso distaccato, distratto, esattamente come le sembrava distaccato e distratto in quel momento. Era un uomo di costituzione robusta, con un’ampia gabbia toracica, mani e polsi grandi, e una testa particolarmente grossa quasi del tutto pelata. La moglie e la figlia erano rimaste vittime di un incidente stradale un paio d’anni prima che cominciasse a lavorare per Gary sul progetto della casa. Con grande calma guardò Harry e disse: «Stasera è la prima volta che sento parlare del gioco. Se non è di tuo gradimento, non giocare.»

Osservandolo, Beth pensò che era esattamente ciò che Rich avrebbe fatto se non gli fosse piaciuto il gioco. Avrebbe semplicemente detto di no, ma Rich non aveva più niente da perdere. Quello che lei aveva scambiato per distacco e distrazione in realtà era un atteggiamento di facciata per coprire un enorme vuoto. Gary le aveva raccontato che per Rich esisteva solo il lavoro, e guai a chi si frapponeva tra lui e il suo lavoro. Lo osservò in silenzio alzarsi e uscire senza voltarsi indietro.

«Sta andando a scegliere un’arma» disse Laura, e si alzò in piedi. «E così farò io» aggiunse prima di andarsene.

Con qualche imbarazzo e qualche esitazione gli altri cominciarono ad alzarsi e a gironzolare per la stanza, finché uno dopo l’altro lasciarono l’ampio salone.

Tornata nella sua stanza rosa e gialla, Beth la percorse a lungo avanti e indietro. Gary era veramente pazzo? Alla fine concluse che non era possibile. Beth sospettava che avesse detto loro semplicemente la verità. Prima da bambino e poi da adolescente non aveva avuto tempo di giocare, e ora voleva recuperare le occasioni perdute. Cosa voleva dire quando aveva spiegato che il gioco serviva a obbligarli a "sperimentare Smart House"? Diede uno sguardo al computer e non fu affatto sorpresa nel vedere sul monitor un menù: REGOLE, ARMI, VITTIME, COME REGISTRARE UN PUNTO, PIANTA DI SMART HOUSE, CUCINA. Si sedette, selezionò la prima voce del menù e lesse le regole del gioco. Gary le aveva esposte in modo conciso, ma senza omettere nulla. Poi Beth esaminò le armi, ognuna delle quali apparve sullo schermo con un breve testo che ne spiegava l’utilizzo.

Pistola ad acqua. Portata un metro e mezzo. Non può sparare attraverso il vetro o qualunque altro materiale solido come una porta o un muro.

C’era la sezione di un filo di plastica e Beth lesse le istruzioni:

Filo elettrico da collegare a una presa di corrente. Può essere usato in tutti i modi in cui un vero filo elettrico può trovare impiego.

C’era un pugnale autoadesivo di gomma, tre pillole di veleno delle dimensioni di un quarto di disco color cioccolata, un nastro chiamato garrotta con del velcro alle due estremità. Per avere il punto doveva essere messo intorno al collo della vittima fissando il velcro. C’era poi una borsa di rete a trama larga che doveva essere usata come una pellicola di plastica. Passò in rassegna tutto l’assortimento di armi, poi selezionò la pianta della casa. Quando comparve il piano seminterrato domandò, digitandolo sulla tastiera, se ci fosse uno stampato.

Lo stampato è nel primo cassetto della scrivania

le rispose il computer sullo schermo.

Beth si chiese quale altra informazione fosse programmato a fornire il computer, ma non diede seguito alla sua curiosità. Prese lo stampato e lo aprì sulla scrivania per studiarlo. C’erano i disegni della pianta della casa, disegni eseguiti con grande abilità, probabilmente da Rich. Vide un ascensore e due rampe di scale poste a ogni piano sul fronte e sul retro, mentre la terrazza che circondava la cupola sul tetto era raggiungibile a piedi o in ascensore.

Studiata la pianta della casa, ritornò al menu con una certa riluttanza e selezionò "Vittime". Sul monitor apparve la scritta:

La tua prima vittima è Rich Schoen. Buona fortuna.

Il messaggio svanì, Beth si ritrovò nuovamente davanti al menù e si mordicchiò il labbro. Beth pensò che compiendo quella stessa operazione uno degli altri doveva aver letto il suo nome sullo schermo. Uno di loro stava selezionando un’arma, stava mettendo a punto un piano. Il computer la abbagliò con un nuovo messaggio e Beth chiuse istintivamente gli occhi.

Desideri che ti mostri ancora le armi?

«No» rispose bruscamente. «Sai dov’è Gary?»

«SÌ, BETH.»

«Dov’è?»

«MI DISPIACE. NON MI È PERMESSO FORNIRTI QUESTA INFORMAZIONE.»

«Va’ al diavolo» mormorò, e si voltò verso la porta. Solo allora si accorse di aver comunicato con quella dannata macchina senza la tastiera. Quindi Gary aveva messo a punto un computer geniale, pensò, un computer che capiva un linguaggio parlato non programmato. Beth si rese conto che quella era una delle cose che Gary voleva sperimentassero da soli. Ma cos’altro dovevano sperimentare?

Aprì la porta e uscì dalla stanza appena in tempo per scorgere qualcuno in fondo alla curva del corridoio che si ritraeva e rientrava in fretta nella stanza, ma non riuscì a identificare chi fosse. All’improvviso provò una fitta allo stomaco, forse causata dalla paura, dall’ansia o dal nervosismo. «Per l’amor di Dio» mormorò «è solo un gioco!» In quel momento però capì che altri avrebbero preso il gioco seriamente e avrebbero fatto di tutto per vincere, per guadagnare punti e far pendere le decisioni a proprio vantaggio all’assemblea degli azionisti di lunedì. Per la prima volta dalla nascita della società il suo voto era importante per qualcuno, abbastanza importante da motivare un assassinio. Per la prima volta era percepita da qualcuno come una minaccia. Sentì che stava per cominciare a ridere e fece un profondo respiro. "Accidenti a Gary" pensò nuovamente così come le era accaduto molte altre volte nel corso degli anni. "Accidenti a lui."

Beth vagò per la casa per qualche tempo ma non riuscì a trovare suo marito. Provò l’ascensore, andò sul tetto a vedere la terrazza, diede uno sguardo alla cucina e infine s’imbatté nella sala d’esposizione nel seminterrato dove si trovava la teca in cui erano esposte le armi. C’erano delle stupide pistole ad acqua a forma di drago, una cerbottana con le pallottole, i dischetti avvelenati. Beth giunse alla conclusione che ogni arma doveva trovarsi in uno scomparto monitorato dal computer. Non avrebbe saputo come altro spiegare il fatto che la macchina sapesse chi aveva prelevato un certo tipo di arma, dal momento che non era riuscita a individuare alcuna telecamera. Si allontanò dalla teca e osservò la stanza. Erano esposti tutti i computer della Bellringer Company a partire dal primo, che ora aveva un aspetto antiquato e assomigliava più a un giocattolo che a una macchina realmente funzionante, fino al più recente, che aveva tutta l’aria di costare centinaia di migliaia di dollari. Ogni software di base era stato esposto su un impeccabile supporto in resina acrilica. Appese ai muri campeggiavano le foto ingrandite dei chip di silicio. Misuravano almeno un metro e mezzo per due ed erano bellissime.

«Di grande effetto, vero?»

Si voltò di scatto e vide sulla soglia Harry e Laura Westerman. Nessuno dei due sembrava avere in mano un’arma. Poi, alle loro spalle, vide Alexander e tirò un sospiro di sollievo ricordandosi che il gioco prevedeva un solo testimone. Sarebbero stati al sicuro in gruppi di quattro o più persone.

Laura rise. «Abbiamo deciso di andare in giro a gruppi. È come trovare il quarto giocatore per una partita a bridge. Hai già scelto l’arma?»

Beth si strinse nelle spalle. «Forse. E tu?»

Alexander avanzò strascicando i piedi e guardando ripetutamente Laura, Beth e Harry Westerman. «Ora siamo in quattro, prendiamo le armi così me ne vado. Devo sbrigare ancora alcuni affari, stasera.»

Beth lo fissò, poi si voltò verso Laura e Harry. Erano tutti d’accordo! Annuì con rassegnazione e si avviò con Alexander verso la porta, fermandosi di fronte alla sala giochi. Nella parte centrale del seminterrato c’erano tavoli da ping-pong, da biliardo, giochi elettronici, hockey, flipper… Gary stava veramente cercando di recuperare l’infanzia perduta, pensò amaramente. La sala giochi era deserta. Alle sue spalle Beth udì Laura chiedere a Harry di voltarsi e di non sbirciare, poi la voce del computer disse: «Grazie Laura. La tua arma è stata registrata.» La stessa operazione fu ripetuta da Harry. Quando Harry e Laura ebbero finito Beth e Alexander rientrarono nella stanza.

Alexander le fece segno di andare avanti e si voltò di schiena quando lei si avvicinò alla teca. Non sapeva dire cosa mancasse. Prima aveva notato che c’erano più esemplari della stessa arma ed era ancora così. Dal momento che sul computer della sua camera non aveva ancora selezionato nulla, non era nemmeno sicura di poter prendere un’arma.

Dopo un attimo di esitazione sollevò il coperchio della teca e prese uno dei palloncini. La voce la ringraziò personalmente, così come era avvenuto anche per gli altri. Chiuse il coperchio e cercò di risollevarlo ma senza riuscirci. "D’accordo" pensò, e infilò il palloncino nella tasca della gonna.

«Tocca a te» disse ad Alexander che si muoveva nervosamente mostrando tutta la sua impazienza.

«Dopo» disse. «Prenderò qualcosa dopo. Sentite, ho davvero un sacco di lavoro da sbrigare…»

Laura rise emettendo nuovamente un suono gutturale. «Potresti aspettare un attimo? Dacci un minuto per andare via da qui. Voglio proprio assaggiare il dolce che prima ci siamo persi. Vieni anche tu, Harry?»

In due erano al sicuro, pensò Beth distrattamente, o in quattro, ma non in tre. Aspettarono che Laura e Harry si fossero allontanati, quindi Alexander assunse un’aria elettrizzata e quasi attraversò di corsa la sala giochi dileguandosi in un corridoio. Beth si avviò lentamente verso le scale per ritornare al piano terra. Nella tasca il palloncino sembrava pesante come piombo.

Al pianterreno un gruppo di persone si era radunato nel corridoio accanto alla porta della cucina. Beth si avvicinò e Milton la salutò con un cenno mentre Maddie disse che aveva portato in cucina il vassoio con le torte. Maddie aveva in mano un bicchiere pieno di cubetti di ghiaccio. Quando Laura la invitò a unirsi a loro Maddie rispose con un gesto vago. «Vado a vedere un film» disse. «Buon film» le augurò Laura. Maddie si allontanò verso l’atrio lasciando aperta la porta scorrevole. L’odore del cloro invase il corridoio. Laura richiuse la porta a vetri scuotendo la testa, guardò Milton e Beth e sollevò una mano con quattro dita. Harry entrò in cucina per primo con un’aria disgustata. In cucina c’erano un tavolo da lavoro in legno di quercia lungo quattro metri e mezzo, un frigo a doppia porta, una cella freezer, il più grande forno microonde che Beth avesse mai visto e un’infinità di altre cose. Beth si soffermò stancamente a esaminarle, poi si voltò verso il tavolo in cerca di un biscotto. Un robot si staccò dalla parete per asciugare il latte che Laura aveva deliberatamente versato con l’intento di dimostrare come entrava in funzione. Milton la osservò attentamente annuendo di tanto in tanto. Harry la ignorò e andò a prendere del ghiaccio in frigo. C’erano finestre autopulenti ovunque, spiegò Laura masticando rumorosamente un biscotto. Se si desiderava un caffè era sufficiente schiacciare un pulsante. Se si voleva del latte, un altro pulsante. Harry prese un decanter da una credenza e si versò da bere.

«Lo porto su in camera» disse.

Laura balzò in piedi. «Lo sai che non ci resto qui insieme ad altre due persone» disse, e si mise a ridere, ma nessuno rise insieme a lei.

«Questa maledetta storia durerà per tutto il fine settimana» borbottò Beth guardandoli allontanarsi. «Vorrei riuscire a trovare Gary. Devo parlargli.»

«Potrebbe essere ovunque» le rispose Milton stringendosi appena nelle spalle. «In piscina a nuotare, nella Jacuzzi, a lavorare, a dormire, a guardare il film con Maddie. In questo momento potrebbe essere impegnato a uccidere qualcuno, oppure sta per essere ucciso. Sai, pensa che tu sia qui per chiedergli il divorzio. Mi ha domandato se c’è un modo per evitarlo.»

Beth fece un respiro profondo. «E tu cosa gli hai risposto?»

«Che non è il mio campo. Beth, dovresti farti rappresentare da un avvocato. Non affrontarlo da sola.» Milton si avviò verso la porta. «A domani. Buonanotte.»

Beth finì di bere il latte riflettendo su Milton e sull’inquietante sensazione che non fosse affatto preoccupato per lei, ma piuttosto volesse evitare di assistere a una scenata durante la permanenza forzata in quella casa. Non era cambiato nulla, pensò stancamente. Avevano ancora tutti paura di Gary e delle sue sfuriate. Mise il bicchiere nella lavastoviglie. Gary era ancora sveglio, ne era certa. Non andava mai a letto prima delle due o addirittura le tre del mattino. Non si alzava mai prima dell’una, e alle due riprendeva a stento delle fattezze umane. Se non gli avesse parlato quella sera lo avrebbe rivisto soltanto il giorno seguente nel primo pomeriggio. Si sentiva così stanca che avrebbe anche potuto addormentarsi in piedi. "Cinque minuti" si disse. Se non lo trovava entro cinque minuti avrebbe lasciato perdere e sarebbe andata a dormire, ma se lo trovava avrebbero messo le cose in chiaro. Beth sorrise risolutamente. Lei e Rich, pensò, erano gli unici a non avere nulla da perdere.

Uscì dalla cucina e si diresse verso la sala tv. Prima di arrivarvi udì Maddie urlare con rabbia.

«Ti avevo detto di non includermi tra i giocatori! Davvero! Lasciami in pace!»

Beth si fermò sulla soglia a guardare. La stanza era illuminata da un gigantesco schermo sul quale stavano ballando Ginger Rogers e Fred Astaire. Il volume era stato tolto.

«Lo hai visto! L’ho colpito e tu lo sai!» urlava Gary. Bruce lo spinse bruscamente da parte e uscì a grandi passi. Beth si scansò. Bruce non si fermò nemmeno quando Gary lo inseguì urlandogli: «Figlio di puttana! Non andartene! Ti ho preso!»

«Gary!» gemette la madre.

«Non hai preso proprio nessuno, testa di cazzo!» gli urlò Bruce con una voce stridula.

Beth si premette le mani sulle orecchie, si voltò e corse via rifugiandosi nella sua stanza. Quando ebbe chiuso la porta si accorse che stava tremando, non per la paura ma per la rabbia, una rabbia che non immaginava fosse capace di provare.

3

Beth non riusciva a dormire e coprì il monitor del computer con un asciugamano, ma anche così per molto tempo le sembrò di udire dei passi prima sul balcone, poi nel corridoio e nella stanza accanto alla propria. Sapeva che tutto questo era dovuto alla sua immaginazione che continuava a lavorare anche a quell’ora, eppure non riusciva a smettere di stare in ascolto anche del minimo rumore. Poco dopo le sette si alzò, aveva il mal di testa ed era tutta indolenzita. Uscita dalla doccia, udì le quattro note della Bellringer Company e agguantò l’asciugamano scoprendo lo schermo. C’era un messaggio per lei.

BUONGIORNO, BETH. TRA POCHI MINUTI TI VERRÀ SERVITA IN CAMERA LA COLAZIONE. SONO STATE SCELTE PER TE LE VOCI CHE VEDI ILLUMINATE. SE VUOI APPORTARE DEI CAMBIAMENTI PER FAVORE SELEZIONALI DAL MENU.

Stava giusto dando una scorsa al menù quando le tende alle sue spalle si aprirono. Beth si voltò di scatto. C’era il sole e all’orizzonte, sul mare, si vedeva un banco di nebbia o di nuvole basse. Più vicino alla costa l’oceano era di un azzurro brillante e appariva calmo. «Quali sono le previsioni del tempo della giornata?» domandò a voce alta.

VUOI CHE OGGI UTILIZZI LA MODALITÀ AUDIO, BETH?

«No.» "Stavo solo facendo una prova" pensò, quindi si volse a guardare lo schermo. Le stava mostrando le previsioni del tempo che veniva annunciato soleggiato con rannuvolamenti nel tardo pomeriggio, temperatura massima venti gradi, minima sette gradi, vento da nord-est a dieci miglia all’ora con raffiche fino a venti. Si voltò verso la finestra e quando si girò nuovamente le previsioni sullo schermo erano scomparse. La osservava, pensò. Osservava e registrava ogni movimento. Decise di mangiare qualcosa e uscire. Sarebbe restata fino al pomeriggio.

Rientrò che era l’una passata. Aveva il viso arrossato dal vento e una fame da lupi. Si lavò e seguì le voci che provenivano dalla sala da pranzo dove era stato allestito un buffet con insalate, fette di salumi, formaggi e uno scaldavivande con del cibo fumante. Rich Schoen e Alexander Randall erano seduti a tavola e mangiavano, Jake Kluge si stava servendo. Quando Beth entrò sollevarono tutti lo sguardo e la conversazione s’interruppe per un istante. Rich scosse la testa e infilzò con la forchetta un pezzo di prosciutto.

«Brutto fine settimana per chi soffre di ulcera» disse. Sul tavolo c’era un grosso rotolo di copie cianografiche e Rich lo avvicinò a sé come per fare spazio a qualcun altro.

«Scusate» mormorò Beth raggiungendo Jake al buffet. D’un tratto avvertì nuovamente la consapevolezza della corporatura di Jake, di cui invece tendeva a dimenticarsi quando era seduto o in piedi in mezzo a una stanza. Era alto più di un metro e ottanta, aveva spalle larghe e un torso massiccio, ma in quello stesso istante Beth capì che non si serviva della sua stazza come un’arma, e questo era importante. Si sentiva confusa riguardo al peso che quella particolare riflessione poteva avere. In quel momento non riuscì a darsi una spiegazione, ma sapeva che era importante. Mio Dio, cosa sarebbe successo se allo smisurato ego di Gary fosse corrisposta una simile corporatura? Il solo pensiero la fece rabbrividire.

Jake le sorrise, le fece posto davanti al buffet, si voltò verso Rich e riprese la conversazione. «Quindi al momento la casa può operare su quattro modalità. Accidenti, è davvero impressionante. Sicurezza, gestione della casa, manutenzione e… giardino? Ma certo, perché no? Il computer controlla l’irrigazione automatica, la concimazione, la creazione di una dozzina di differenti microclimi. Rich, Alexander, mio Dio! Tanto di cappello.»

Rich mostrava un grande sorriso e Alexander si contorceva per l’imbarazzo e la soddisfazione. Jake era capace di avere questo effetto sulle persone, pensò Beth. Era prodigo di complimenti e sembrava non mostrare la minima invidia nei confronti dei risultati altrui. Una volta Beth aveva assistito alla fine di una partita a scacchi tra lui e Gary. Gary aveva vinto e se n’era vantato fino a diventare sgradevole, ma Jake aveva ricostruito le ultime dieci mosse per mostrarle la bellezza della trappola finale allestita dall’amico. Naturalmente Jake avrebbe accettato il folle gioco di quel fine settimana, l’avrebbe trovato eccitante e divertente esattamente come Gary. Ora però, osservandolo, Beth si rese conto che la causa della sua euforia era Smart House. Rimase nuovamente colpita da quanto Jake sembrasse più giovane con le lenti a contatto rispetto agli spessi occhiali con cui era abituata a vederlo. Quel cambiamento e il suo entusiasmo le diedero la sensazione che fosse diventato un estraneo, non più l’ospite di famiglia che di rado veniva a farle visita. L’eccitazione e la soddisfazione di Jake contagiarono anche Alexander e Rich, e Beth si sentì fuori posto, incapace di condividere le stesse emozioni.

Beth ascoltava senza prestare troppa attenzione alle parole, e mentre si preparava un panino si rese conto che stavano tutti sperimentando Smart House, ciascuno a proprio modo, esattamente come lei. «Quindi i due processori devono essere utilizzati in un sistema parallelo» proseguì Jake sedendosi a tavola con Rich e Alexander. «Il buon vecchio BOS e il nuovo arsenoid celsium, e questo costa una fortuna ma, buon Dio, li vale tutti quei milioni di dollari!» Rise in modo schietto e spontaneo mentre la risata di Rich fu più simile a un vago brontolio.

Beth terminò di comporre i vari cibi che avrebbero costituito il suo pranzo e lasciò gli uomini a parlare. Sulla soglia si voltò a guardarli cercando di capire se qualcuno di loro fosse già stato ucciso. Rich certamente no, era lei ad avere il suo nominativo, e al piano di sopra, nella tasca della gonna, aveva pronta l’arma del delitto, un palloncino.

Si fermò un istante nel corridoio in preda all’indecisione, poi scelse di andare a mangiare nell’atrio. C’era una gran tranquillità e dopo avrebbe potuto prendere il caffè al bar. Posò il piatto su un tavolinetto leggermente appartato.

Ora poteva apprezzare a pieno la cupola di vetro sul tetto dell’edificio che lasciava penetrare il sole illuminando il muro di pietra dietro alla piscina. Il colore delle pietre della parete variava, alcune erano grigie, altre nere, e Beth pensò si trattasse di ossidiane, altre di un rosa che avrebbe potuto essere sabbia. Sulle rocce crescevano muschi e licheni, l’acqua della cascata colava giù lentamente, poi svaniva e riappariva tuffandosi nella piscina. Terminò di mangiare e si stese sulla sdraio a contemplare i giochi di luce dall’altra parte dell’atrio.

Si assopì e quando si risvegliò si sentì disorientata, non sapeva più dove si trovava. Poi udì la cupa risata di un uomo e un’imprecazione. Era la voce di Gary.

«Se non sbaglio il tuo computer lo ha definito un corpo contundente. Sei morto. Harry, puoi testimoniare?» Questa volta era la voce di Rich.

«Certo» rispose Harry. «Possiamo usare il computer nel bar.»

Si avvicinarono al suo angolo di visuale. Gary aveva un’aria accigliata. Uno dopo l’altro digitarono qualcosa sulla tastiera e il computer li ringraziò chiamandoli per nome.

«E ora vado a conoscere la mia nuova vittima e a recuperare una nuova arma. Divertente questo gioco, Gary. Ci vediamo ragazzi.» Rich si diresse lentamente verso la porta sul retro. Poco dopo Harry fece altrettanto e Gary cominciò ad avanzare verso Beth. Come la vide, si fermò.

«Vorrei parlarti» gli disse Beth raggiungendolo vicino al bar.

«La prossima settimana.»

«Ora, Gary. Sediamoci un attimo e parliamo. Sei fuori dal gioco.»

«La sola cosa che importa è che tu sia tornata a casa. Sapevo che l’avresti fatto. Lunedì sera saranno partiti tutti e allora avremo tutto il tempo che vuoi.»

«Sarò partita anch’io, Gary. Non intendo restare. Dobbiamo parlare!»

«Non adesso» gridò con una voce stridula. «Perché mi stai facendo questo? Accidenti a te, non te ne andrai! Non hai visto Smart House? Sei proprio una stupida, non capisci cosa ho creato? Ti darò un lavoro. Da adesso in poi tutti avranno da lavorare. Non ci saranno più pasti gratis per te né per nessun altro. A lunedì!» Si voltò di scatto e se ne andò.

Beth si appoggiò stancamente al bancone del bar. Stringeva i pugni con forza e aveva il corpo completamente contratto. Di colpo sentì qualcosa avvolgersi intorno al collo e istintivamente lo afferrò.

«Scusa, Beth. Temo di averti ucciso.»

Il cuore le batteva nel petto all’impazzata, le ginocchia le cedettero. Se non fosse stata appoggiata al bancone sarebbe caduta. La striscia intorno alla gola venne sfilata via e, voltatasi, vide Jake Kluge che la guardava preoccupato. Jake le mostrò un nastro con del velcro alle estremità. «È una garrotta» disse. «Harry?»

«L’hai uccisa» rispose Harry con un tono carico di irritazione e persino di rabbia.

Beth non li aveva sentiti entrare. Si toccò il collo poi annuì. «Mio Dio» sussurrò «questo gioco è folle!»

Jake annuì e le diede l’impressione di essere turbato e scontento del gioco quanto lei, ma poi si rese conto che il suo volto era troppo rigido e che dietro alla sua apparente preoccupazione in realtà celava un sorriso. Quel folle gioco lo divertiva. Beth guardò Harry la cui rabbia e impazienza perlomeno erano evidenti e sincere. Per la prima volta da quando lo conosceva lo sentiva suo alleato più di chiunque altro all’interno della società. Jake la scavalcò, si portò sull’altro lato del bar e digitò le informazioni al computer. Le fece segno di avvicinarsi alla tastiera e Beth silenziosamente confermò che era stata strangolata con la garrotta. A sua volta Harry confermò l’omicidio. La suadente e profonda voce femminile del computer li ringraziò, si congratulò con Jake e manifestò a Beth il suo dispiacere per essere divenuta una vittima chiamandoli tutti per nome.

Beth si mise a leggere nella sua stanza finché l’inquietudine che provava le impedì di rimanere seduta. Aveva già esplorato tutta la casa e non aveva voglia di vedere nessuno ma si sentiva la pelle troppo riarsa dal vento per scendere nuovamente alla spiaggia. Alla fine uscì passando dal balcone e sì diresse verso la serra. Appena vi entrò, Jake e Gary si affrettarono a uscire dall’altra parte.

La serra misurava dodici metri per diciotto e aveva innumerevoli file di verdura, fragole, meloni e piante ornamentali. La struttura conteneva al suo interno altri ambienti costituiti da pareti di vetro che sconcertarono Beth. Erano come delle piccole serre all’interno di una grande serra. In quel momento era completamente sola. Percorse lentamente i vari corridoi avanti e indietro. C’erano frutti estivi, pomodori in maturazione, cetrioli. Era un ambiente senza stagioni, tenuto sotto controllo in ogni senso. Vide una zona su cui aleggiava una leggera nebbiolina e si avvicinò per capire cosa fosse. Si trattava di una vaschetta a circolazione d’acqua in cui veniva coltivato del crescione acquatico.

Quella sera la cena fu orribile. Beth si accorse che erano tutti nervosi, persino le vittime. Gary rispose male a Maddie e Bruce, e quando Laura rise e incominciò a raccontare qualcosa Harry la zittì. Gary guardava torvo Beth. Bruce parlò solo con Jake e Rich ignorando gli altri commensali. Milton aveva un’aria afflitta, come se avesse voluto essere in qualsiasi altro posto tranne che lì, e per questo non disse nulla e mangiò molto poco. Maddie non fece altro che bere per tutta la cena. Persino Laura si fece dimessa e, d’un tratto, la sua prorompente bellezza parve solo una maschera mal truccata. Studiandola, Beth pensò che i segni del tempo sul suo volto sarebbero comparsi all’improvviso. Le rughe avrebbero cominciato a evidenziarsi, la pelle ad afflosciarsi, e questo sarebbe accaduto di colpo. Laura rientrava esattamente in quella tipologia di donna. Beth giocherellava con il cibo nel piatto senza il minimo interesse, e fu un sollievo per lei quando Gary si alzò di scatto e lasciò la sala da pranzo senza dare spiegazioni. Dopo che Gary se ne fu andato nessuno si trattenne oltre a tavola.

«Andiamo a vedere un film» annunciò Maddie. «Prenderemo il caffè nella stanza della televisione.»

«Quale film?» domandò Laura.

«Che importanza ha?» rispose Maddie con un’alzata di spalle, e uscì portandosi via il bicchiere.

Era vero, e Beth lo sapeva, a nessuno importava di quale film si trattasse. Se fossero riusciti a far trascorrere la serata e il giorno seguente, finalmente sarebbe finito tutto. Qualsiasi cosa fosse stata proiettata sarebbe servita a questo scopo.

Il problema era che nessuno poteva restarsene tranquillamente seduto a guardare un film, qualunque esso fosse, pensò Beth poco dopo. Si erano subito messi a discutere se vedere Yellow Submarine o Topper. Decisero di vedere entrambi, ma durante la visione c’erano persone che continuavano ad alzarsi per andare all’angolo bar in fondo alla stanza, o che uscivano e poi rientravano. In una di quelle occasioni fu Laura a lasciare il suo posto, e Beth la udì soffocare un grido e poi ridere in maniera stridula. Beth pensò che fosse stata uccisa: un’altra vittima che mordeva il terreno. Non si voltò a guardare quello che accadeva dietro di lei. Maddie uscì e ritornò, Rich entrò e uscì piano dalla stanza. Beth andò nella sua stanza e passeggiò per qualche minuto. L’inquietudine la portò nuovamente a uscire, ma come vide Jake chiudere la porta della sua camera ebbe un attimo di esitazione. Il manifesto disagio di Jake era del tutto simile al suo, e quando la raggiunse e discesero le scale in un silenzio imbarazzato fu evidente che, come lei, non aveva molto da dire. Fu un sollievo per Beth quando, arrivati al grande corridoio, si divisero e lei ritornò nella stanza della televisione. Bruce disse qualcosa che Beth non capì e lei distolse lo sguardo chiudendo gli occhi. Poco dopo udì la risata di Gary a cui seguì un silenzio totale. Si sentiva odore di cloro e popcorn, pensò senza stupore. Ma certo, bastava schiacciare un bottone e voilà… i popcorn! Si trascinò in cucina senza un vero motivo, e bevve un bicchiere d’acqua controvoglia.

Quando i Beatles cominciarono a cantare Maddie uscì nuovamente. «Tenetemi il posto» disse a voce alta. «Torno tra un po’. Magari nel frattempo quei quattro si saranno dati una calmata. Non sapevo che fossero dei cartoni animati!»

Uscendo, Maddie udì Laura dire qualcosa che non riuscì a comprendere, sicuramente qualcosa di maligno o sgradevole. Maddie era stufa, stufa di tutti loro, di quello stupido gioco, delle scenate di Gary e del cattivo umore di Bruce. Era sólo stanca, pensò. Forse stava invecchiando. Era solita stare alzata quanto chiunque altro, bere quanto chiunque altro, divertirsi, ridere, scherzare. Ma quello era un fine settimana orribile, e lei si sentiva semplicemente stanca. Aspettò l’ascensore. Si sarebbe andata a sdraiare un pochino, si sarebbe riposata. Era troppo presto per andare a dormire, ma riposare un po’ le avrebbe fatto bene. La porta si aprì silenziosamente e Maddie si fermò.

«Per amor del cielo!» disse. Quel dannalo gioco! Quel maledetto gioco! Rich Schoen era sdraiato sul pavimento dell’ascensore e questo era troppo, davvero troppo. «Rich, alzati. Smettila.» Poi capì. Con una certa esitazione fece un passo indietro, poi un altro, e incominciò a gridare senza riuscire a fermarsi.

Accaddero troppe cose perché Beth riuscisse a coglierle tutte. Avrebbe voluto spiegare a chiunque che non poteva essere morto. Quella cosa sulla testa era un sacchetto di rete aperto, non poteva essere pericoloso. Quando Milton disse a tutti di andare in soggiorno e di restarci e nessuno fece discussioni, Beth pensò che questo avrebbe reso furioso Gary. Non sopportava che altri dessero ordini, quella era una prerogativa sua e di nessun altro. Bruce accompagnò Maddie in camera perché non la smetteva più di gridare. Era una reazione assurda perché era un gioco, pensò Beth, solo un gioco. Rich stava partecipando al gioco. Poi qualcuno la scosse leggermente e i suoi occhi misero a fuoco il volto di Jake.

«Fatti coraggio» disse. «Cerca solo di farti coraggio, d’accordo?»

Beth annuì e subito si sentì meglio. Il viso di Jake era grinzoso, con rughe profonde che gli solcavano i lati delle guance come un’incisione su legno, pensò, come se avesse indossato una maschera. «Pensi ci sia qualcosa che dovremmo fare?» domandò infine Beth. «Per esempio chiamare la polizia, un’ambulanza? Dove sono gli altri?»

«Milton li sta cercando. Ha già chiamato l’ufficio dello sceriffo. Puoi aiutarmi a preparare del caffè? Temo che ci aspetti una notte piuttosto lunga.»

Beth annuì. Laura era seduta su uno dei divani e sembrava uno zombi. Con lei c’erano anche Bruce e Harry.

«Stiamo andando a fare del caffè» disse loro Jake. «Milton vuole che aspettiamo tutti qui. Lo porteremo in soggiorno quando sarà pronto.»

Milton Sweetwater era il legale della società, pensò distrattamente Beth, una sorta di Perry Mason che aveva preso in mano la situazione. Beth seguì Jake fuori dalla stanza. Ma avevano appena cominciato a cercare il caffè quando Milton comparve sulla soglia e chiese loro di tornare in soggiorno.

«Non riusciamo a trovare Gary» spiegò. Era pallido e talmente adombrato da dare a Beth l’impressione che anche lui indossasse una maschera. Tutti loro indossavano delle maschere, pensò quasi con ferocia. «Mettiti al computer e apri la sua stanza» ordinò Milton ad Alexander.

Alexander Randall affrontò Milton mangiandosi nervosamente le unghie. «Mi ucciderà se toglierò la protezione alla sua porta» protestò.

«Ti ucciderò io se non lo farai.»

Alexander guardò i presenti con aria supplichevole, poi si sedette al computer del soggiorno e cominciò a digitare qualcosa. Si fermò e guardò Milton. «C’è un modo migliore per sapere dov’è, attraverso i sistemi di sicurezza. Almeno posso scoprire se è andato in camera sua.»

Mentre Alexander digitava le istruzioni gli altri fissavano lo schermo immobili. «Nella Jacuzzi» disse infine Milton.

Uscirono insieme dalla stanza. Beth, senza rendersene conto, li seguì. Attraversarono l’atrio e uno stretto corridoio rivestito di ossidiana, poi un altro corto corridoio prima di arrivare davanti a una porta chiusa che si aprì appena venne sfiorata. La copertura isolante era stesa sulla vasca Jacuzzi. La stanza era molto calda, l’aria intrisa di cloro, densa di vapore, più simile a una sauna che a una vasca idromassaggio. Per un istante nessuno si mosse, poi Milton trovò il pannello di controllo sul muro, lo studiò qualche secondo e premette un pulsante. La copertura della piscina si aprì liberando nuvole di vapore, e lì, nell’acqua, a faccia in giù, svelò il corpo di Gary Elringer completamente vestito.

4

Charlie Meiklejohn rimuginava tristemente sul tempo e sulla temperatura di quei giorni. Era la fine di agosto e li aspettavano ancora due settimane d’inferno prima di sperare in un po’ di sollievo. E cosa accidenti causava quella foschia tra gli alberi e lungo i contorni della collina in lontananza come una nebbia londinese? La pioggia continuava a non voler arrivare. L’erba del prato stava ingiallendo, ma mai e poi mai gli sarebbe saltato in mente di bagnarla, il prato era troppo grande. Constance annaffiava ogni sera una porzione di giardino intorno alla terrazza sul retro della casa, ma solo perché lambiva i suoi meravigliosi fiori colorati. Davanti a casa avevano una sorta di fondale verde, al di là del quale cominciava l’erba ingiallita. "Tanto meglio" pensò Charlie, almeno per quella stagione non avrebbe dovuto falciarla, e se c’era qualcosa che detestava più della neve da spalare era proprio falciare l’erba. "La si annaffia, la si concima e poi la si taglia" pensò scuotendo la testa. Era davvero una cosa stupida.

«Sembra morto» mormorò Constance raggiungendolo sulla terrazza, all’ombra di un glicine e di una clematis color porpora. Indicò Brutus, il loro gatto, sdraiato sulla schiena sotto un cespuglio di lillà, la testa reclinata da una parte, le zampe divaricate in una posizione apparentemente anchilosante.

«Dovremmo far installare l’aria condizionata» disse Charlie con un tono lamentoso. Non era giusto, pensò risentito, Constance sembrava sempre fresca come una rosa. Aveva una pelle chiara come l’avorio, non sembrava mai accaldata né si abbronzava eccessivamente e pareva avere sempre la cosa giusta da indossare con qualsiasi tempo. In quel momento indossava un ampio vestito di cotone che le aderiva solo alle spalle e in nessun altro punto, dell’esatto colore dei suoi occhi, un azzurro chiaro, imperturbabile. Era snella, aveva lunghe gambe color miele. La carnagione di Charlie invece era scura, aveva capelli neri e ribelli striati di grigio, una corporatura robusta, un torace possente, braccia e gambe poderose. Era molto muscoloso ma sapeva che perdendo quattro o cinque chili forse avrebbe sopportato meglio il caldo. Decretò che i magri non sapevano cosa volesse dire soffrire il caldo, e questo non era giusto.

Constance sorrise e si sedette su una sdraio. Riguardo all’aria condizionata non ebbe bisogno di dire: "D’accordo, caro" perché il suo sguardo esprimeva altrettanto chiaramente quelle parole. Ne avevano parlato la scorsa estate, e quella precedente. Ne avevano parlato molti anni prima, quando erano diventati proprietari di quella casa a nord dello stato di New York e riuscivano a venirci solo nei fine settimana e durante le vacanze. Ne avrebbero parlato anche l’estate successiva, Constance già lo sapeva. La donna sorrise soddisfatta. In camera da letto avevano un piccolo condizionatore collegato alla finestra, e un ventilatore che spostavano dal soggiorno alla cucina alla sala da pranzo. In passato, ogni volta che avevano affrontato l’argomento e avevano preso la decisione di installare l’aria condizionata, era arrivato un fronte freddo e piogge refrigeranti, o era cominciato l’autunno, o per un motivo o per l’altro erano dovuti partire.

«Quei poveretti» disse Charlie con un sospiro, e Constance capì che stava pensando alla gente in città.

«Meglio stare qui» gli rispose.

Se non avesse fatto così caldo si sarebbe voltato per lanciarle una delle sue occhiate, ma non si prese nemmeno il disturbo di farlo. Questo era il risultato di una lunga convivenza, pensò. Ormai potevano parlarsi in codice o attraverso dei numeri e comprendersi alla perfezione. A volte Charlie aveva nostalgia della città. Ci era vissuto fino a quando, dopo venticinque anni di servizio prestato prima nel dipartimento antincendio e poi come investigatore di polizia, era andato in pensione. Per la maggior parte di quegli anni Constance aveva insegnato psicologia alla Columbia University. In giornate come quella erano soliti ritrovarsi dopo il lavoro, entrambi sfiniti e sfatti, e pianificare il giorno in cui avrebbero mollato tutto per trasferirsi in campagna dove il clima era fresco e gradevole. Bah! Charlie però sapeva bene come si stava in città in quel momento. Il ricordo di Manhattan durante l’afa di agosto era ancora fresco nella sua memoria: edifici surriscaldati, marciapiedi surriscaldati, l’odore del metallo bollente, gli animi surriscaldati. Dio, quei caseggiati! Preso dall’irrequietezza cominciò ad agitarsi tentando di allontanare i ricordi. New York ad agosto decisamente non gli mancava.

«Dopo che il tipo se ne sarà andato andiamo a mangiare qualcosa da Spirelli.»

«Forse dovremmo sederci a parlare qui fuori» suggerì Constance. «Si sta meglio che in casa.»

Charlie annuì. «Probabilmente non ci vorrà molto. Guarda.» Un altro gatto, Ashcan, aveva individuato Brutus che giocava a fare il morto e gli si stava avvicinando di soppiatto. Brutus lo avrebbe fatto a pezzi, pensò Charlie. Quando Ashcan fu più vicino Brutus aprì gli occhi giallastri, fulminò con lo sguardo il mite gatto grigio e li richiuse. Ashcan cominciò a pulirsi la coda.

«Hai già dato un’occhiata a tutte quelle cose che ha mandato?»

«Non c’è un granché. Una casa computerizzata è impazzita e ha ucciso un paio di persone. Il caso è chiuso. È evidente che è stata la casa, non c’è ombra di dubbio.»

Milton Sweetwater aveva chiesto un appuntamento per discuterne, pensò Constance, sentendosi quasi dispiaciuta per lui nonostante fosse un estraneo. Quando si trattava di computer, Charlie si trasformava in un forcaiolo: prima la sentenza e poi, casomai, le domande. Per due settimane Charlie aveva dato battaglia alla società telefonica per un errore sulla bolletta. "Fatemi parlare con una persona!" aveva urlato al telefono esasperato. Poi aveva sbattuto giù la cornetta e aveva guardato Constance con un’espressione affranta.

"Cos’è successo?" gli aveva chiesto Constance.

"Era un computer che fingeva di essere una persona" le aveva risposto quasi in un sussurro. "Mio Dio, si spacciava per un essere umano!"

Milton Sweetwater si tolse la giacca senza esitazioni. La porse a Constance con un’espressione piena di gratitudine, la seguì sulla terrazza e strinse la mano a Charlie secondo un rituale tipico degli uomini che imponeva loro di scrutarsi attentamente. Accettò una birra e si sedette. "Gran bell’uomo" pensò Constance. "Ha un’aria da star del cinema, ricorda Gregory Peck." Ovviamente, così come Constance, anche lui li stava studiando. Charlie invece, pensò Constance, non le era affatto d’aiuto.

«Giornata calda per viaggiare» esordì Charlie. Milton Sweetwater ne convenne dopodiché calò il silenzio.

D’un tratto l’uomo rise e si lasciò andare contro lo schienale della sedia cominciando a rilassarsi. Fino a quel momento Constance non si era resa minimamente conto che fosse teso.

«Ho avuto il suo nome da Ralph Wedekind» spiegò, e bevve avidamente la birra. Il bicchiere era talmente coperto di condensa che quando lo prese in mano gli sgocciolò addosso tutta l’acqua. «A dire il vero ho tre nominativi. Ho già parlato col primo ma non mi è piaciuto. Lei è il secondo. Se non accetterà l’incarico contatterò una terza persona che si trova a New York. Stavo per scartarla per avermi fatto arrivare fin qui a casa sua anziché venire lei in città, ma dopo un paio di giorni a New York sono il primo ad ammettere che bisogna essere pazzi per vivere in quel posto, e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno a Smart House è un investigatore pazzo.»

«Perché un investigatore di New York?» domandò pigramente Charlie.

«Non ci interessa da dove viene la persona che lavorerà per noi, purché sia in gamba e con buone referenze. Wedekind l’ha raccomandata caldamente ed è per questo che sono qui.»

«È stato il computer a uccidere quei due uomini?» domandò Charlie senza mostrare un vero interesse.

«Naturalmente no, ma gli azionisti si trovano in un guaio. Ci sono già state tre riunioni e nessuno sa esattamente in che direzione muoversi, cosa fare. La società ha subito un crollo finanziario e psicologicamente la dirigenza è in uno stato di confusione. Beth Elringer grida all’omicidio, e suo cognato chiede a gran voce che si passi all’azione. È un vero disastro.»

Charlie sospirò e si versò dell’altra birra. «Ho letto la rassegna stampa che mi ha mandato. Cos’altro c’è da sapere? Gli articoli erano esaurienti?»

«Non del tutto» rispose Milton Sweetwater dopo una pausa quasi impercettibile, come se in quel breve lasso di tempo fosse giunto a una decisione. «Possiamo dare per scontato che il nostro incontro di oggi sia confidenziale; a prescindere dal fatto che lei accetti o meno l’incarico?»

Charlie fece un gesto con la mano. «Per noi è una prassi.»

Milton Sweetwater si sporse in avanti. «C’è una parte considerevole di quel fine settimana di cui abbiamo ritenuto di non parlare né alla stampa né alla polizia. Non credo abbia rilevanza, ma nell’ultima nostra riunione abbiamo deciso di raccontare tutto all’investigatore che avremmo assunto, e iniziare le indagini da lì.»

Charlie annuì, poi guardò nuovamente i gatti sotto il cespuglio di lillà. Le foglie del cespuglio erano tristemente afflosciate e i gatti sembravano morti. A Charlie si strinse il cuore.

«C’è qualcosa che deve sapere riguardo Gary Elringer e la società, altrimenti quel fine settimana le sembrerà totalmente assurdo» cominciò a dire Milton. «Gary era un genio. Immagino che gli articoli di giornale abbiano approfondito questo aspetto. Si costruì il primo computer prima di compiere dieci anni, andò a Stanford a quindici, si laureò a venti potendo già vantare una mezza dozzina di innovazioni o di vere e proprie invenzioni e scoperte. Aveva depositato decine di brevetti prima ancora di compiere l’età per bere alcolici. Aveva anche una personalità difficile. Viziatissimo prima da bambino e poi da adulto, era piuttosto paffuto, aveva il tatto di un elefante, era collerico, si prendeva tutto ciò che voleva e generalmente rendeva infelici le persone che gli stavano accanto. All’università incontrò Beth MacNair, una ragazza timida, assai brillante e fisicamente poco procace. In qualche modo si trovarono in sintonia e si sposarono. Questo accadde dieci anni fa. Nel frattempo Bruce Elringer, il fratello di Gary, aveva messo a punto un programma per comporre musica al computer, qualcosa di rivoluzionario, e decisero di fondare la Bellringer Company. Potevano contare su un hardware e numerosi software da utilizzare con un nuovo tipo di computer. Gary aveva già guadagnato un sacco di soldi, non abbastanza, ma molti. Coinvolsero nei loro progetti alcune altre persone tra cui me, e lanciammo la Bellringer Company Incorporated. Tutto cominciò otto anni fa e fu un successo spettacolare fin dall’inizio.»

L’uomo terminò la birra e sollevò la bottiglia per leggere l’etichetta.

«È una marca locale» spiegò Charlie. Entrò in casa e ritornò con altre due bottiglie. Constance invece beveva del tè freddo, consumava birra solo con il cibo messicano. Charlie cominciò a pensare alla cucina messicana, al maiale con salsa verde, ai petti di pollo con peperoncino rosso e salsa alla panna…

«La società fu gestita da Gary sin dall’inizio» proseguì Milton dopo essersi versato dell’altra birra. «Possedeva la maggioranza e nessuno ebbe mai nulla da obiettare. Sapevamo tutti che senza di lui la società non sarebbe nemmeno esistita. Anche quando cominciò a distribuire azioni per garantirsi la lealtà dei collaboratori, Gary continuò a mantenere il controllo dell’azienda, non ci sono dubbi a questo proposito.» Spiegò con dovizia di particolari l’atto costitutivo della società, come erano state distribuite le quote azionarie e come funzionava la compagnia. «Fino a tre anni fa non era molto importante chi ne avesse il controllo» disse. «Nei primi anni non vi furono profitti per gli azionisti, eravamo tutti stipendiati. A un certo punto però cominciammo ad avere degli utili da spartire, ma quando Gary iniziò Smart House i guadagni svanirono.»

Sebbene tentato, Charlie non sbadigliò. Non era così noioso, si disse, ma non riusciva nemmeno a provare interesse per l’assetto societario che l’avvocato gli stava illustrando. Cibo messicano o italiano, decise. Alla fin fine il cibo piccante e pepato era più rinfrescante di quello non piccante. Avrebbe ordinato una caraffa di marguerita. Sì, quella sera propendeva più per il messicano. Magari tra un paio di minuti Milton Sweetwater avrebbe finito e se ne sarebbe andato, e lui e Constance avrebbero potuto discutere su dove andare a mangiare finché non fosse arrivata l’ora di cena.

«Deve comprendere che tipo di dinamiche esistevano all’interno della società, altrimenti non capirà mai per quale motivo abbiamo accettato tutti il gioco dell’assassino proposto da Gary» disse Milton non del tutto inconsapevole dell’effetto che le sue parole avrebbero avuto sull’interlocutore.

Charlie spalancò gli occhi. «Mi racconti.»

Milton terminò di descrivere il gioco con Charlie che lo guardava incredulo e Constance inorridita.

«Lei è un avvocato, e nonostante questo ha accettato di giocare?» gli domandò Constance.

Milton Sweetwater si strinse nelle spalle. «Avrebbe dovuto conoscere Gary. Sarebbe stato peggio se non avessimo accettato. All’epoca mi dissi che era un gioco relativamente innocuo, inoltre servì esattamente allo scopo che Gary aveva annunciato: fece scoprire a ognuno di noi quale meraviglia fosse in realtà Smart House.»

«Una meraviglia che ha voluto entrare nel gioco» obiettò Charlie. «Vada avanti. Mi sembra di capire che sia proprio questa la parte che i giocatori hanno omesso di raccontare ai poliziotti.»

«Esatto, ci sembrava inutile. Pensi ai commenti su tutti i quotidiani, sui giornali scandalistici. E poi il gioco non aveva nulla a che fare con quanto è successo, avrebbe potuto trattarsi di qualsiasi altro gioco o addirittura di nessun gioco. Che differenza avrebbe potuto fare per le indagini?»

«Non lo so» rispose Charlie. «Me lo dica lei. Che differenza ha fatto?»

L’avvocato parve a disagio. «Tanto per cominciare divennero tutti paranoici. Ora mi sembra incredibile che sia accaduto, ma non appena il gioco iniziò diventammo tutti paranoici. In secondo luogo sapevamo che a causa del gioco la casa, o meglio il computer, sarebbe apparso responsabile di entrambe le morti. Vede, durante il fine settimana il computer registrò i movimenti di tutti i presenti, e quando la parte di registrazione che ci interessava fu esaminata, mostrò chiaramente che non c’era nessuno con Rich in ascensore, e che Gary era andato nella stanza della Jacuzzi da solo. La polizia concluse che c’erano delle anomalie nel programma e su questo fummo tutti d’accordo. Dopotutto si era trattato di un collaudo, un collaudo limitato al fine settimana, intendo. Inoltre nessuno portò a suffragio informazioni che contraddicessero quanto appurato, e, sebbene il caso non sia stato chiuso ufficialmente, ha subito una battuta d’arresto e si trova a un punto morto. Diranno che si è trattato di uno sfortunato incidente… di due incidenti, e si finirà col credere che la Bellringer Company fabbrica computer assassini» aggiunse amaramente.

Charlie scuoteva la testa. «La polizia aveva in mano ben più di un pessimo programma pieno di anomalie. Cos’altro ha scoperto?»

«Sì, è vero» ammise Milton. «Ha scoperto altre cose. Sa, per il modo in cui il gioco era stato congeniato e col fatto che ci comportavamo tutti in maniera così paranoica, evitavamo di restare anche solo un istante in compagnia di un’altra persona. Per la maggior parte del tempo stavamo in gruppi di quattro o più persone e ci tenevamo d’occhio a vicenda. Vede, se ci si trovava in compagnia di qualcuno, sarebbe potuta sopraggiungere una terza persona in cerca della sua vittima. In questo modo ci sarebbero state una vittima, un testimone e un assassino. Penso che tutti avessimo dei sospetti riguardo a chi tosse già stato ucciso e chi no, ma anche un atteggiamento apparentemente indifferente avrebbe potuto rivelarsi una strategia.» Allargò le braccia rassegnato. «A ogni modo sapevamo che Rich era solo, che non c’era nessuno con lui, e sapevamo che non era in un gruppo di quattro persone.»

«In che modo esattamente ne ha avuto la certezza?» gli domandò pazientemente Charlie.

Milton parve più a disagio che mai. «Stavo pedinando Laura Westerman» rispose imbarazzato. «Laura era seduta a guardare un film insieme ad altre persone. Era stato allestito un angolo bar nella stanza e lei aveva un bicchiere in mano. Pensai che prima o poi sarebbe tornata a riempirlo, così mi sistemai accanto al bar. E infatti ritornò. Rich si trovava nelle vicinanze, gli rivolsi la parola in modo da attirare la sua attenzione ed essere sicuro che fosse mio testimone. Quando Laura fu a portata di tiro, le sparai con la cerbottana.» L’uomo non guardò né Charlie né Constance ma corrugò la fronte con lo sguardo perso nel vuoto. «Nell’elenco delle armi figurava come dardo avvelenato in grado di procurare una morte istantanea.»

Charlie osservava l’acqua colare giù dal bicchiere, mentre Constance faceva ruotare il ghiaccio dentro al bicchiere da bibita. Alla fine Milton guardò Constance, poi Charlie, e riprese il racconto.

«Feci segno a Laura e Rich di uscire dalla sala tv dove gli altri stavano guardando il film. Andammo nella stanza accanto, la biblioteca, e usai il computer per registrare l’uccisione. Rich testimoniò e Laura confermò di essere stata uccisa. Sia io che lei lo vedemmo allontanarsi da solo. Immaginai che dovesse tornare nella sua stanza per farsi assegnare dal computer una nuova vittima, oppure che fosse diretto al piano inferiore per scegliere un’arma. Questo quantomeno è ciò che abbiamo pensato tutti. Lo tenevo d’occhio perché sospettavo che fossi io la sua vittima. Quella è stata l’ultima volta che qualcuno l’ha visto vivo.»

«Non c’è da stupirsi che non ne abbiate voluto parlare alla polizia o ai giornalisti» disse Charlie. «È la cosa più ridicola che abbia mai sentito. Che ore erano?»

« Le undici meno dieci. Rich è stato ritrovato alle undici e quaranta e hanno stimato che sia morto tra le undici e le undici e trenta.»

«Il resoconto che ho letto parla di una borsa di rete sulla testa della vittima» disse Charlie. «Si tratta di un’altra arma letale usata per il gioco?»

«Sì, penso che Rich fosse sceso in ascensore a prendere la sua nuova arma e che si trattasse proprio di quella.»

«Una borsa di rete?»

«Immagino dovesse sostituire un sacchetto di plastica simile a quello delle lavanderie, il classico sacchetto su cui c’è scritto di fare attenzione a non infilarlo in testa. A ogni modo sarebbe dovuto servire a soffocare la vittima. Era una rete di cotone morbido, intrecciata a maglie larghe.»

«Che però lo ha soffocato» replicò ironicamente Charlie. «La polizia ha cercato di dare una spiegazione riguardo al fatto che la borsa fosse infilata in testa all’uomo?»

Milton si strinse nelle spalle. «Come potevano? Pensano che l’aspirapolvere del sistema automatico di pulizia sia entrato in funzione mentre Rich si trovava in ascensore, e che abbia aspirato tutta l’aria facendogli perdere i sensi prima che si rendesse conto di quello che stava accadendo. Forse l’ascensore si è fermato e le porte si sono bloccate. Dal momento che era solo ed è morto soffocato, quella è stata l’unica spiegazione che sono stati in grado di fornire. Non aveva segni sul collo, né altri particolari indicavano che le cose fossero andate diversamente. Nessuno di noi è riuscito a trovare una spiegazione migliore» aggiunse.

«D’accordo. E Gary Elringer, invece, com’è morto?»

«Dopo cena nessuno lo aveva più visto. Un paio di persone che guardavano il film lo avevano sentito ridere ma nessuno aveva notato che ore fossero. L’ipotesi della polizia è che per qualche ragione sia dovuto passare nella stanza dell’idromassaggio cadendo dentro alla vasca, e che poi il computer abbia chiuso il telo di copertura imprigionandolo nell’acqua. Il computer inoltre aveva surriscaldato terribilmente l’acqua per cui non c’è da stupirsi che abbia attivato per sbaglio anche la copertura.»

«Non si parlava di acqua surriscaldata negli articoli di giornale. Quanto era calda?»

«Quando a qualcuno è venuto in mente di verificare la temperatura con un termometro segnava cinquantasette gradi, ma penso che fosse stata parecchio più calda all’inizio. Quando abbiamo aperto la copertura sono uscite nuvole di vapore. Il calore ha impedito che si potesse constatare con esattezza l’ora del decesso. Forse è morto anche prima di Rich. Hanno detto che nel caso di Gary si è trattato di una morte per annegamento.»

Nonostante il caldo d’agosto Constance rabbrividì.

«Ha detto che il computer ha memorizzato gli spostamenti di Rich e Gary per tutta la sera? Può fare una cosa simile?»

«Gliel’ho detto, è una vera meraviglia. Non ho mai visto niente di simile. Dal momento del nostro arrivo fino a quando Alexander ha bloccato il programma, il computer ha registrato gli spostamenti di ognuno all’interno della casa rilevando al contempo la loro identità. Secondo il tabulato, Gary andò nella sala idromassaggio da solo, e prima dell’arrivo della squadra di soccorso non entrò nessun altro.»

Charlie guardò l’avvocato con un’aria cupa, poi si voltò a osservare il terzo gatto, Candy, dal soffice manto arancio e bianco, che vagava sull’erba ingiallita. La coda ritta, camminava contraendone l’estremità. Quella gran cacciatrice dagli occhi color zucchero bruciato era come se stesse segnalando la propria presenza a ogni preda nel suo raggio d’azione. Ashcam raccolse le gambe sotto al corpo, pronto a spiccare un salto. Candy lo ignorò e Ashcam, attratto da qualcosa che si muoveva nell’erba, ci balzò sopra. Candy proseguì verso la terrazza e quando si accorse della presenza dello straniero si fermò, drizzò il pelo lungo la schiena, appiattì le orecchie e miagolò a Constance e Charlie con una voce graffiante e roca. Ashcan fuggì in preda al terrore mentre Brutus si alzò e si allontanò disgustato. Charlie ritornò a guardare Milton Sweetvvater.

«Che cosa ha fatto il computer per convincere la polizia che era veramente impazzito?»

Milton inspirò profondamente e annuì come a dire "Bravo!". «Negli articoli non si fa cenno a niente di tutto questo, ma naturalmente lei ha ragione. La polizia era arrivata da circa un’ora quando le luci hanno cominciato ad accendersi e a spegnersi qua e là. Porte che sino a poco prima si erano aperte solo sfiorandole rimanevano chiuse, mentre se ne aprivano altre. Alexander Randall era fuori di sé. Poi ci fu il tocco finale: nella serra venne immesso un potente insetticida in concentrazione sufficiente a uccidere chiunque si fosse trovato a respirarlo, e questo fece scattare un allarme. Fortunatamente a quell’ora non c’era nessuno nella serra. Penso sia stato questo a convincerli che la casa era un’assassina.»

«Ah. E lei cosa ne pensa?»

«Non è possibile» rispose Milton senza esitazione. «Se lo fosse saremmo rovinati.»

Charlie lo guardò, inarcò le sopracciglia e prese la bottiglia di birra ormai quasi vuota. «Che cosa vuole? Perché è venuto qui?»

«Giusta domanda. Quello che le ho esposto a grandi linee è lo scenario su cui stiamo lavorando. Dopo il funerale e dopo le formalità legali, si supponeva che le cose tornassero, per quanto possibile, alla normalità. Bastava solo riorganizzare e pianificare il futuro dell’azienda, ma improvvisamente Beth Elringer, la vedova, ha cominciato a sollevare delle obiezioni e Bruce Elringer si è schierato con lei. Ormai all’interno della società c’è una frattura ampia e profonda come quella che divise il Mar Rosso. Nella situazione in cui ci troviamo nessuno ha abbastanza voti per prendere delle decisioni. La società andrà a picco se non potrà progredire. Le cose funzionano così nell’industria informatica, nessuno può starsene a guardare e aspettare. Lo scorso giovedì c’è stata un’assemblea degli azionisti, e tutti hanno urlato agli altri le proprie ragioni per tre ore finché ho proposto di assumere un investigatore privato per chiarire la situazione. Bruce ha avuto anche un’altra idea, e alla fine abbiamo deciso di prendere in considerazione entrambe le proposte.»

«Bruce Elringer? Lui cosa crede che sia accaduto?»

«Pensa che Beth abbia ucciso il marito.»

Charlie emise un leggero sibilo.

«Gran brutta situazione» commentò Milton con una certa amarezza. «A ogni modo, Bruce ha invitato tutti a tornare a Smart House il prossimo fine settimana per ricostruire i momenti salienti di quell’ultimo giorno, e dimostrare che Beth ha avuto l’opportunità di uccidere Rich e Gary. Bruce ha anche individuato un movente e delle prove indiziarie. Alcuni di noi hanno protestato contro la richiesta di Bruce e preteso che accettasse la presenza di una figura professionale come la sua. Ecco perché sono qui.» Milton inspirò profondamente.

Senza dire nulla Charlie si allontanò e tornò con altre due bottiglie di birra. Constance si versò il tè rimasto e per molto tempo nessuno parlò.

«Se andiamo da Spirelli, non riusciremo a parlare perché quel dannato fisarmonicista comincia a suonare alle otto» disse infine Charlie con un’aria pensosa. «Io propongo di andare da El Gordo. Voi che ne pensate?» Poi, rivolgendosi a Milton con un tono quasi cordiale: «Temo di avere un sacco di domande da farle.»

5

A tarda sera Charlie e Constance si misero a parlare approfittando del fresco della camera da letto, i cuscini dietro la schiena, il televisore accesso, l’audio abbassato. Fuori dalla porta della stanza Brutus miagolava per entrare. I gatti non sopportavano che chiudessero la porta, e con l’aria condizionata accesa Charlie e Constance la tenevano chiusa.

«Se lo faccio entrare gironzolerà per la stanza cinque minuti e poi comincerà a miagolare per uscire di nuovo» disse Charlie. «Fai finta di non sentirlo. Che impressione ti ha fatto Sweetwater?»

«È spaventosamente viscido e scaltro. È un tipo affascinante. Assomiglia a Gregory Peck e sfortunatamente lo sa. Tocca a te ora.»

«È un genio del computer» disse Charlie, come se questo riassumesse le sue impressioni.

«Da quel che ha detto, lo sono tutti.»

«Lo so» borbottò. Brutus alzò la voce e Charlie imprecò contro di lui. Per un istante vi fu silenzio, poi Ashcan emise un verso stridulo e si udirono gli altri gatti correre all’impazzata per il corridoio. Charlie sospirò, si alzò dal letto e uscì in corridoio accompagnato dalla risatina di Constance.

Condusse i tre gatti verso la porta scorrevole che dava accesso alla terrazza, li fece uscire e rimase fuori per un minuto. I lampi giocavano con le nubi verso ovest, ma erano troppo distanti perché si potesse udire il rombo del tuono. L’aria era pesante, minacciosa e dannatamente calda, decretò Charlie. Poi un lampo balenò in cielo e questa volta il fragore del tuono si fece sentire distintamente, molto più vicino.

«Ho capito!» esclamò, e rientrò a chiamare Constance. Quell’estate erano stati investiti per tre volte da tempeste elettriche che avevano fatto saltare la corrente. Una scarica aveva danneggiato il televisore e la stufa elettrica dei Mitchum, i loro vicini.

Staccarono le spine dalle prese in tutta la casa e si sedettero in terrazza ad aspettare che il temporale li rispedisse dentro. Si stava alzando il vento. La temperatura sembrò aumentare e l’aria sapeva di ozono. Charlie si augurò che venisse un bell’acquazzone, che rinfrescasse l’aria e mettesse fine all’ondata di caldo che giorno dopo giorno lo stava facendo sciogliere come ghiaccio al sole.

«Se la casa, o il computer della casa, ha veramente ucciso due persone, non pensi che potrebbe essere un luogo pericoloso?» gli domandò Constance tra un rombo di tuono e l’altro. "La pioggia si sta allontanando" pensò con rammarico.

«Staremo alla larga da ascensori e vasche idromassaggio. Sei nervosa all’idea di andare in quella casa?»

«Non particolarmente, era solo una considerazione. Se si erano messi tutti in agitazione per un gioco, immagina come saranno stavolta quando si riuniranno. Ora sanno che la casa è in grado di uccidere o che tra loro c’è un assassino.»

«Quel dannato temporale passerà a sud di casa nostra» disse Charlie deluso. «Almeno sulla costa dell’Oregon farà fresco.»

Per un istante Constance ebbe la netta sensazione che il marito avesse accettato quel caso assurdo semplicemente per sfuggire all’ondata di caldo. Stava per dire qualcosa e protestare, ma rinunciò. Se quella gente era preoccupata quanto lo sarebbe stata lei nella loro situazione, probabilmente Charlie avrebbe fatto di tutto per tornare a casa molto velocemente.

«Charlie, ora che hai parlato con Milton e hai letto il materiale che ci ha fornito, pensi ancora che sia stato il computer?»

«Vedi, quando una persona vuole uccidere qualcuno di solito si serve di un’arma che gli è familiare: una pistola, una mazza, un mattone, del veleno o qualsiasi altra cosa, oppure afferra quello che ha a portata di mano, per esempio una padella, un’arma eccellente. La cara vecchia padella nera viene sbattuta sulla testa della vittima e la testa si rompe, ma utilizzare una borsa di rete o affogare qualcuno in una vasca idromassaggio mi lascia perplesso. Come ho detto a Milton Sweetwater, daremo una rapida occhiata, cercheremo di mantenere il più a lungo possibile una mente aperta a ogni ipotesi e alla fine addosseremo la colpa al computer. Andiamo a dormire. Non arriverà nessun acquazzone stasera, e c’è più caldo di un’ora fa.»

Quella mattina il benzinaio della stazione di servizio che si trovava nell’Oregon, poche miglia a sud di Bandon, aveva detto a Beth che gli abitanti della costa durante l’estate si spostavano nell’entroterra per scaldarsi. Era una giornata grigia e freddina. La nebbia fitta che poco prima avvolgeva ogni cosa si era dileguata non appena Beth aveva raggiunto quella zona. Da lì a Smart House c’era meno di un’ora.

"Devo essere pazza" si disse rabbrividendo mentre guidava verso Smart House, assalita da un déjà vu, lo stomaco talmente chiuso da non riuscire a rilassarlo nonostante le numerose inspirazioni. "Completamente pazza."

La porta d’ingresso si aprì ancor prima di aver scaricato la valigia dall’auto e Jake le venne incontro a grandi passi. Si fermò a poca distanza da lei, questa volta però senza arrivare a toccarla, esaminò il suo volto attentamente poi annuì. «Perché non hai risposto a nessuna delle mie telefonate?»

«Non lo so. Mi sembrava inutile, credo.»

Beth si voltò sfuggendo al suo sguardo inquisitorio e aprì la portiera posteriore, ma Jake la scavalcò e tirò fuori la valigia. Entrarono in casa senza dire una parola, e nessuno dei due propose di prendere l’ascensore. Mentre salivano le scale dell’ingresso, la casa pareva misteriosamente silenziosa. Raggiunto il corridoio del primo piano, Beth si affacciò a guardare l’atrio deserto e bello come sempre. La cascata era in funzione, gli spruzzi riflettevano una delle luci a soffitto, l’acqua scintillava e si frangeva creando un infinito effetto caleidoscopico. Qualcuno doveva aver lasciato aperta una porta, pensò Beth distrattamente, l’odore del cloro era penetrato dappertutto.

Avrebbe preferito che ci fosse stato qualcun altro ad accoglierla o anche nessuno. Poteva benissimo portarla da sola la valigia. In effetti, Jake aveva chiamato parecchie volte e aveva lasciato molti messaggi nella segreteria telefonica, ma lei l’aveva sempre spenta. "A cosa sarebbe servito?" si ripeté. Arrivarono davanti alla porta.

«Il… il computer è acceso?» domandò Beth con una certa esitazione.

«No» le rispose bruscamente. «Quella dannata macchina è stata spenta una volta per tutte.» Jake aprì la porta. «C’è una catena di sicurezza all’interno, una semplice antiquata, meccanica catena. L’ho montata poco fa.»

«Dovrò aprire da sola le tende e regolare la temperatura dell’acqua della vasca da bagno…» Beth trasalì. Aveva udito il suono di una risata, la risata di Gary. Beth si aggrappò allo stipite della porta.

«Non te la prendere» le disse Jake che l’aveva afferrata saldamente per un braccio. «Si è esercitato a lungo.»

«Era ora che arrivassi!» gridò Bruce dall’ascensore in fondo al corridoio. «Tra cinque minuti in giardino ci sarà una riunione di famiglia.»

«Oh, mio Dio!» mormorò Beth fissando Bruce. In passato Bruce aveva sempre cercato di mettere in risalto le piccole differenze tra lui e Gary: lui indossava la giacca, Gary i maglioni, Bruce portava scarpe lustre, Gary le scarpe da ginnastica, i capelli di Bruce erano relativamente ordinati, quelli del fratello sempre spettinati, una zazzera di ricci che tagliava solo quando gli scendevano sugli occhi. Quel giorno Bruce indossava un maglione, calzoni sportivi e scarpe da ginnastica con le stringhe slacciate, mentre i capelli erano scompigliati e arruffati.

"Persino le parole" pensò Beth. "Bruce ricordava persino quello che Gary aveva pronunciato l’ultima volta."

«Come ho detto» ripeté rabbiosamente Jake «ha fatto molta pratica.» Posò la valigia in camera mentre Beth si fermò sulla soglia.

Ora Jake sembrava impacciato. Beth si spostò per lasciarlo passare ma lui non si mosse. «Beth, non raccogliere le sue provocazioni, d’accordo? Hai degli amici all’interno della società, lo sai. Milton, io. Bruce è stato sgradevole ma non ha nessun potere e se ne rende conto. Non può fare assolutamente niente, per cui non te la prendere.»

Beth annuì. «Grazie, Jake, apprezzo il tuo interessamento.»

«Ci vediamo dopo.» E si allontanò in fretta.

Beth chiuse la porta e dopo un istante mise la catena. Solo allora avanzò nella stanza, la stessa stanza rosa e gialla in cui aveva dormito l’ultima volta. Aprì le tende e guardò il mare. L’orizzonte era indefinito, si vedevano solo l’oceano e il cielo grigio che si confondevano l’uno nell’altro. "Nessuna via di fuga in quel mare" pensò. "Si potrebbe prendere il largo sino all’orizzonte ma poi il cielo ti rispedirebbe indietro." Voltò le spalle. Il computer, silenzioso e vacuo, se ne stava lì e la fissava. Beth stava tremando. Con movimenti rapidi andò in bagno, prese un asciugamano e coprì lo schermo. «Ecco qui» sussurrò alla macchina. Senza fretta disfece la valigia, si lavò faccia e mani e s’infilò una felpa senza sapere se il freddo che provava fosse dovuto a un raffreddore o a una disfunzione del suo organismo. Ma questo non era importante, stava gelando.

Giunta al piano terra, scorse Maddie e Bruce vicino al bar. L’aria era calda e umida in quell’ambiente. Doveva essere fiorito qualche nuovo fiore, si ritrovò a pensare, qualcosa che emanava un profumo penetrante e dolciastro. Gardenie forse? Abbracciò Maddie che aveva uno sguardo vitreo, tranquillo, e sapeva di gin tonic. Sul bancone del bar c’era una caffettiera con delle tazzine. Beth annuì leggermente a Bruce e si versò del caffè.

«Bene» esordì Bruce. «Ti illustro la situazione e il piano. La società è in un mare di guai. Dobbiamo trovare i soldi per pagare quarantacinque quote azionarie e sinceramente non possiamo farcela in alcun modo. Naturalmente gli altri opteranno per liquidare la società, recuperare una minima parte del capitale e chiudere la questione.»

«Bruce, smettila!» gridò Maddie. «Eravamo d’accordo che avremmo parlato d’affari solo se fossero stati tutti presenti.»

Bruce proseguì come se non avesse nemmeno sentito. «Milton dice che prima di prendere qualsiasi decisione dovremmo darci un nuovo assetto. Sai chi prenderà il comando se lo faremo? Jake. A quel punto Milton si allineerà sulle sue posizioni e voteranno per liquidare la compagnia. Abbiamo due possibilità, quindi. Possiamo consegnare alla polizia l’assassino, cancellare tutte le prove sul computer e far sì che le azioni della società prendano un’altra direzione. Questo darebbe modo a me e a mamma di dividere le quote e rinunciare al pagamento sin da ora, oppure, Beth, e questa è la seconda alternativa, puoi decidere di differire il pagamento a tempo indeterminato?» Bruce s’interruppe e la fissò con aria di sfida. «Milton ha detto che la soluzione del pagamento differito è accettabile.»

«Di cosa stai parlando?» gli domandò Beth.

«Un assassino non può trarre vantaggio economico dal proprio crimine» rispose quasi stizzito. «Sai che è così. L’ho verificato con Milton. Questo significa che io e mamma divideremo il patrimonio di Gary. I soldi rimangono all’interno della società e potremo cominciare subito a far visitare Smart House…»

Beth provava una strana sensazione di estraneità, come se fosse stata la spettatrice di una scena per lei indecifrabile e di cui le veniva negata ogni possibilità di comprensione. Alla fine si alzò.

«Siediti!» le urlò Bruce. «Ti sto dando la possibilità di scegliere, maledizione! Tu firmi la rinuncia temporanea al pagamento e chiudiamo qui la faccenda. Non dirò una parola di quello che so.»

Beth si accorse che si stava muovendo prima ancora di aver dato ai suoi muscoli quel comando. Avanzò come un automa verso la porta scorrevole che dava sul corridoio. Bruce stava ancora gridandole qualcosa, ma le sue urla sembravano provenire da un attore alle prese con le prove di una commedia per lei di nessun interesse.

«Farai quello che ti dico o saranno cazzi amari per te!» le gridò Bruce.

Beth lasciò l’atrio diretta verso l’ingresso. Come fu lì non si fermò, raggiunse la porta d’ingresso e uscì. Non si accorse dell’uomo e della donna che si stavano avvicinando finché quasi non vi sbatté contro.

«Salve» disse Charlie. «Sono Charlie Meiklejohn e questa è mia moglie, Constance Leidl. Lei chi è?»

«Siete gli investigatori?» domandò loro, e strizzò gli occhi più volte.

«Lui è l’investigatore» rispose prontamente Constance. «E dalla descrizione di Milton Sweetwater direi che lei è Beth Elringer.» Beth annuì. «Senta, stavamo giusto chiedendoci se fosse possibile pranzare qui a casa. Arrivare a quest’ora non è molto educato, le pare? Avevamo detto che saremmo arrivati nel pomeriggio, e ufficialmente il pomeriggio è appena cominciato, è da poco passata luna, però non abbiamo avvertito che saremmo arrivati per pranzo. Verrebbe a mangiare con noi da qualche parte? Magari può indicarci lei dove.»

Charlie sollevò le sopracciglia perplesso, ma Constance aveva già preso sottobraccio la donna e la stava conducendo verso la loro auto. "Che bugiarda matricolata" pensò allegramente, afferrò delicatamente il braccio di Beth dall’altra parte e salirono tutti e tre in macchina.

«È meglio che faccia un giro» disse Beth seduta tra di loro sul sedile anteriore. «Se rientro in casa adesso potrei anche uccidere Bruce, e questo non sarebbe carino da parte mia, vero?»

«Decisamente no» concordò Constance. «Cosa le ha fatto Bruce?»

«Mi ha accusato di aver ucciso Gary.»

«Ed è così?»

«No.»

«Pensavo che fossero tutti d’accordo sul fatto che è stata la casa a uccidere i due uomini» la incalzò Constance.

«Lo dicono ma io non ci credo. Tutto sommato penso che sia stato Bruce.»

«Prima ne era convinta, poi ha cambiato idea e ora lo pensa di nuovo» disse Constance con un’aria assorta come se ne avessero discusso in precedenza.

«Sì. Prima non riuscivo a trovare una ragione per cui avesse potuto farlo, ma me ne ha appena fornita una. A dire il vero non conosco questa zona» disse guardando Charlie. «Non so dove siano i ristoranti né altri locali.»

«Non importa» rispose Constance con tono rassicurante. «Ne abbiamo visti parecchi mentre venivamo. Charlie sa dove andare. Qual è la ragione che Bruce le ha appena fornito?»

Charlie sapeva che Constance ce l’avrebbe fatta. Era arrivata proprio mentre Beth si trovava praticamente in stato di choc, aveva detto e fatto esattamente le cose giuste al momento giusto, e quella povera ragazza non poteva resisterle più di quanto vi riuscisse normalmente lui. Charlie non fiatò, continuò a canticchiare sottovoce e a cercare un ristorante ascoltando ogni parola.

«È piuttosto complicato» rispose Beth dopo una leggera esitazione. «Solo un minuto fa mi sembrava tutto chiaro, mentre adesso… credo che tutta questa storia abbia a che fare con la società e il modo in cui è strutturata.» Beth ripiombò in un tormentato silenzio.

«Non ho mai approfondito abbastanza le materie economiche per arrivare ad avere una conoscenza passabile del mondo finanziario» spiegò Constance. «È una società per azioni a conduzione famigliare, vero?»

«Esatto» rispose Beth, e da quel momento le parole le uscirono di getto. «Quando fondarono la società Bruce era ancora sposato a Binny. Hanno divorziato un paio di anni fa. Hanno due figli, dei piccoli mostri lagnosi, sempre luridi e appiccicosi. Che tristezza per Maddie, i suoi unici nipoti sono dei veri mostriciattoli. A ogni modo, Gary non sopportava Binny, e neppure gli altri avevano grande simpatia per lei. Persino Bruce, che l’aveva sposata, riuscì a resistere a lungo. Binny non è molto intelligente, e credo non sappia nulla di computer o di qualsiasi altro argomento. Così, quando Gary ha fondato la società, ha chiesto a Milton di stilare lo statuto societario in modo tale che, in caso di morte di uno degli azionisti, nessuna azione potesse andare a far parte dell’asse ereditario. Era terrorizzato all’idea che una come Binny potesse entrare in possesso anche di una sola azione, pretendesse di avere voce in capitolo o, come diceva lui, di dare il proprio contributo. Per statuto non è possibile nemmeno vendere la propria quota di azioni» aggiunse con un tono addolorato.

«In questo modo le azioni del socio deceduto ritornano in possesso della società, che deve corrispondere all’erede il valore di mercato delle azioni, a loro volta ripartite tra i soci secondo una formula basata sulla percentuale di partecipazione di ognuno. Per cui ora la società deve ricomprare le azioni di Gary e di Rich e ridistribuirle.»

«Se non sbaglio, è lei la principale beneficiaria dei beni di suo marito?»

Beth guardò Constance con un’aria confusa poi annuì. «Non posso avere le azioni, questo è il punto. Devono pagarmi il corrispettivo del loro valore ma non hanno abbastanza soldi. Penso che il tribunale imporrà loro di vendere o qualcosa del genere. Secondo Bruce è questo il mio movente.» Beth non sembrava più in grado di proseguire il ragionamento e arrivare a enunciare il motivo per il quale Bruce sarebbe arrivato a uccidere. La donna corrugò la fronte, immersa nei suoi pensieri.

Charlie rallentò e mise la freccia. Guardò Constance che gli rispose con un sorriso e uno sguardo che sembrava dire: "Ero sicura che sapevi dov’era un buon ristorante". Parcheggiò e scesero davanti a un locale su cui campeggiava la scritta LA ZUPPA DI MOLLUSCHI DI RAY E ALTRE PRELIBATEZZE. Charlie respirò profondamente l’aria di mare fresca e velata di foschia. A casa loro ci dovevano essere almeno trentasetle gradi, pensò con soddisfazione.

Il ristorante era piuttosto piccolo, e oltre alla sala principale comprendeva altri due ambienti con séparé. Si sedettero in uno dei séparé che si affacciavano sul parcheggio, consultarono il menù e d’un tratto Beth esclamò: «Oh, sì, ecco perché!»

«Prima ordiniamo» disse Charlie con decisione. «Voi due potete pure scegliere tra le altre prelibatezze, io prenderò una zuppa di molluschi.»

Ordinarono tutti e tre la zuppa e appena il cameriere si fu allontanato Beth disse: «Se mi accusa di assassinio non posso più ereditare nulla. Le azioni ritornano comunque alla società ma lui e sua madre ne ereditano la proprietà. Saranno loro i beneficiari delle azioni. Farà firmare a Maddie un piano di pagamento differito che anche lui accetterà, e la società non dovrà sborsare milioni di dollari per pagare le azioni di Gary. La società inoltre non verrà sospettata di aver inventato un computer pazzo che uccide la gente.» Beth annuì. «È questo il suo movente.»

«La società è veramente senza un soldo?» domandò Charlie.

«Praticamente sì. Come dicono loro, c’è stato un flusso di cassa. Immagino vi sia un fondo gestionale, del denaro a credito per ordinazioni inevase o cose simili, ma nulla più di questo. Gary ha speso per Smart House ogni centesimo su cui ha potuto mettere le mani. Se riusciranno a dimostrare che il computer di Smart House non c’entra niente, naturalmente per loro sarà come aver trovato una miniera d’oro. Dio solo sa quanto guadagneranno quando cominceranno a vendere i programmi avanzati, i sistemi informatici e tutto quello che ha a che fare con Smart House.»

Charlie la studiava con attenzione. «Se l’assassino è un uomo, mi sembra che si sia dato la zappa sui piedi da solo attirando i sospetti sul computer. Siete tutti coinvolti nella società, anche se lei quando ne parla si riferisce solo a "loro".»

Beth arrossì e abbassò la testa. «Credo di aver sempre pensato alla società come se non fosse stata una cosa che mi riguardava veramente» mormorò. «Era sempre qualcosa che riguardava Gary e loro, non me.»

«Per quanto tempo siete stati sposati?» le domandò Constance; e Charlie, sebbene quella non fosse il genere di domanda che avrebbe posto in quel momento, si appoggiò allo schienale per vedere dove voleva arrivare.

«Dieci anni» rispose Beth a bassa voce.

«Eravate due bambini» replicò Constance a voce altrettanto bassa e con un tono particolarmente comprensivo.

«Sì. Ci siamo conosciuti a diciannove anni. Gary stava già finendo il dottorato di ricerca ed era molto timido, aveva un’aria così buffa e goffa. Non aveva avuto ragazze prima di me, ma nemmeno io avevo avuto una gran vita sociale prima di incontrarlo. In un certo senso anch’io ero timida e avevo un aspetto buffo e goffo. Eravamo diversi dagli altri ragazzi e forse per questo riuscimmo ad andare d’accordo. Nessuno capiva cosa avessimo trovato l’uno nell’altro e adesso anch’io me lo chiedo, ma allora… In tutti quegli anni, in particolare per i primi sette, ho fatto esattamente tutto quello che ha voluto lui. Era un gran lavoratore, determinato a lasciare un segno nel mondo dell’informatica, era pieno di idee, alcune folli, altre semplicemente meravigliose. E un segno l’ha lasciato davvero. Voleva progettare dei nuovi computer e mettere a punto un pacchetto con mezza dozzina di software totalmente compatibili che occupavano una minima parte di memoria. Gary è riuscito a realizzare anche questo.»

Il cameriere arrivò con le zuppe. Il suo evidente apprezzamento nei confronti di Beth risultava stranamente rassicurante. Era giovane, probabilmente più giovane di Beth, eppure la trovava interessante. Beth però non si accorse di nulla. Constance la osservò mangiare qualche boccone poi, non appena sembrò perdere interesse nel cibo, le chiese: «Lavorava con lui sui computer a quel livello? Ha la mia completa ammirazione per questo. Le uniche cose che so dei computer è che si attacca la spina, si inserisce un programma e si spera che tutto vada per il meglio.»

Beth rise educatamente. «A dire il vero ho lavorato per lui solo i primi anni. In quel periodo mi sono laureata, e quattro anni fa gli ho detto che volevo ritornare a studiare per specializzarmi in letteratura inglese. Il primo anno in cui sono tornata all’università ho continuato a lavorare con lui, ma era troppo faticoso e pian piano ho lasciato perdere. Tre anni fa mi sono trasferita a Berkeley in un appartamento, e da quel momento ho visto Gary molto poco. Non so quanta strada abbia fatto in quel periodo, ma direi parecchia.»

«Gary ha avuto da ridire riguardo alla sua scelta?» domandò Charlie. «Ha dovuto affrontare delle discussioni per lasciarlo e tornare all’università?»

Beth spinse il cucchiaio intorno al piatto con un dito e scosse la testa. «Non abbiamo mai litigato» rispose. «Mai. All’inizio mi disse che tornare all’università era una buona idea e in seguito mi confermò che comunque non aveva tempo per me, non in quel periodo. Era completamente assorbito dal lavoro per Smart House. Naturalmente acconsentì ad aiutarmi finanziariamente, finché i soldi non cominciarono a scarseggiare. Non siamo mai stati separati nel modo in cui la gente pensava che fossimo. Semplicemente non stavamo insieme. Fino alla fine ha creduto che un giorno mi sarei stufata di lavorare per mantenermi e sarei ritornata.»

«E lei? Lo pensava anche lei?» le domandò Charlie senza riuscire a nascondere lo sconcerto che quella donna gli procurava. Non si rendeva conto che era una gran bella donna, peraltro dannatamente intelligente?

Beth lo guardò candidamente e sospirò. «Non lo so. Probabilmente alla fine sarei tornata da lui se avesse insistito molto. Una volta aveva detto che si poteva far fare qualsiasi cosa si volesse ai computer, il trucco consisteva nel trovare il linguaggio giusto, il metodo appropriato e la corretta sequenza dei comandi per comunicare loro cosa si desiderava. Gary era convinto che questo valesse anche per le persone. E aveva ragione, quantomeno riguardo alle persone. Facevano sempre esattamente quello che voleva lui, sempre.»

Charlie scosse la testa guardandola con un’espressione seria. «Per uno dei due non è stato così, Beth. Alla fine o un computer o una persona non hanno fatto esattamente quello che Gary voleva.»

6

«Come dolce c’è una torta di loganberry» annunciò Charlie «e ho tutta l’intenzione di assaggiarla. E voi signore?» Scossero entrambe la testa. «Bene. Mentre io mangio il dolce lei Beth mi racconterà un po’ di cose. Cominci con delle brevi e concise descrizioni dei giocatori di Smart House.»

Beth guardò Constance come per cercare aiuto, ma ricevette solo un sorriso d’incoraggiamento. Questo significava che si fidavano di lei o che la stavano mettendo alla prova? Sentì aumentare la confusione che provava e scosse la testa, ma Charlie stava facendo segno al cameriere di avvicinarsi mentre Constance non la guardava affatto. Congedato il cameriere, Charlie si voltò verso Beth ansioso di ascoltarla.

«Cominciamo dal fratello, Bruce» le suggerì vedendo che esitava a parlare.

«In Bruce» disse Beth dopo una pausa «sembra che genio e follia vadano di pari passo, ma è tutta una finzione. Gary non era pazzo» si affrettò a precisare senza sapere perché lo stesse difendendo anche adesso. In preda alla confusione si fermò, poi aggiunse prudentemente: «Non si rendeva conto di quello che ci faceva… che faceva a loro.» Dovette fermarsi nuovamente perché nemmeno questo era esatto. Charlie emise un vago brontolio e Constance si limitò ad aspettare. Beth provò a spiegarsi. «Le sue priorità erano diverse» disse infine. «Tutto ciò che aveva a che fare con problemi, rompicapi, giochi e ogni aspetto intellettuale aveva la precedenza, mentre le persone venivano dopo.» Rifletté un secondo poi annuì. «Vedete, non è che ignorasse le persone, piuttosto non rappresentavano una priorità per lui. Una volta» si affrettò a dire, domandandosi nuovamente perché si desse tanto la pena di far comprendere a Charlie e Constance com’era Gary, dal momento che non aveva più alcuna importanza «quando Jake era ancora sposato, la moglie gli diede un ultimatum. Poteva continuare a lavorare per sempre diciotto ore al giorno o poteva restare sposato con lei, le due cose insieme non erano compatibili. Gary capì perfettamente cosa stava accadendo e diede a Jake anche più lavoro. Volle metterlo alla prova pur rendendosi perfettamente conto delle conseguenze che questo avrebbe avuto, del costo che Jake e sua moglie avrebbero dovuto pagare. Quello per lui era un altro problema, niente di più. Aveva una buona comprensione dei meccanismi umani, ma li valutava con un metro tutto suo.»

Il cameriere portò il caffè e rimasero in silenzio finché non si fu allontanato. A quel punto Charlie disse: «Harry.»

Beth chiuse ripetutamente gli occhi e cercò di radunare i pensieri, di inquadrare Harry. «È sempre in tensione» disse lentamente. «È come se avesse avuto la visione di qualcosa che aveva sempre giudicato irraggiungibile, e all’improvviso si fosse convinto di poterci arrivare. Come la vetta di una montagna» aggiunse, e guardò alternativamente Charlie e Constance. «Dovete sapere che Harry è uno scalatore. Scala le montagne in maniera quasi ossessiva.» Charlie annuì. «A volte ho l’impressione che stia sempre scalando una montagna anche se ha i piedi per terra. Non vorrei mai trovarmi sulla sua strada, non esiterebbe a togliermi di mezzo, e se dovessi finire a terra, pazienza.»

«Anche Gary?»

Beth scosse la testa. «Lei non capisce, Gary era già arrivato in vetta e lo spronava, lo incoraggiava. Era il modello da imitare, la meta da raggiungere. Probabilmente nessuno lo ammirava più di Harry.»

«Povero Gary» mormorò Constance quando Beth ripiombò nel silenzio. «A nessuno importava di lui come persona?»

Beth arrossì e abbassò la testa, osservando il mulinello che il movimento del cucchiaino formava nella tazza di caffè. «A Maddie sì, naturalmente, e molto tempo fa anche a me. A Jake importava di lui.»

Il vortice nella tazza si allargò sempre di più finché il caffè raggiunse il bordo e si versò fuori. Beth stava ripensando al funerale di Gary. Erano ritornati tutti a casa di Maddie e l’avevano trovata piena di gente, di curiosi, di amici, di estranei, alcuni puramente interessati, altri sinceri, alcuni stretti in capannelli, uniti dai bisbigli, altri che volevano toccare, dare pacche sulle spalle, consolare, partecipare al dolore. Beth era scappata di corsa al piano di sopra, nel piccolo ufficio di Maddie, e si era voltata con le spalle alla stanza, la testa china, le mani premute contro la porta come se i convenuti potessero seguirla e riuscire a entrare.

Si era sentita toccare sulla spalla e si era irrigidita, si era voltata di scatto ritrovandosi tra le braccia di Jake Kluge. Jake l’aveva abbracciata, le aveva accarezzato i capelli come una bambina, e Beth si era sentita oppressa dal senso di colpa, dalla consapevolezza di non sentirsi in lutto, di non provare sofferenza né alcun coinvolgimento. Si sentiva in colpa per essere viva mentre Gary era morto, e forse era persino felice che lo fosse. Si sentiva in colpa perché non sapeva cosa avrebbe dovuto provare e si sentiva svuotata di ogni sentimento, come gli ospiti al piano di sotto, fredda come il ghiaccio. Jake le aveva mormorato parole senza senso e lei aveva pianto, non per Gary ma per se stessa e quel disastro che era la sua vita. Il senso di colpa era aumentato, raddoppiato; tanto che dovette allontanare bruscamente Jake non riuscendo più a sopportarne la vicinanza. Jake indossava gli occhiali e le lenti erano così spesse da distorcere i suoi occhi chiari, ma non riuscivano a nasconderne il rossore. Il dolore assolutamente autentico di Jake l’aveva fatta sentire ancora più in colpa.

Beth era corsa fuori e aveva vagato in auto per ore. Quando poi Jake l’aveva chiamata e lasciato un messaggio nella segreteria telefonica, lei l’aveva spenta. Beth sapeva che Jake voleva condividere il suo dolore, alleviare la reciproca sofferenza, ma lei non ne provava, se non per la ragazza che era stata tanto tempo prima.

Smise di fissare il caffè versato nel piattino e sulla tovaglia, sollevò lo sguardo e posò il cucchiaino. «Si staranno chiedendo dove sono finita» disse pacatamente. «È meglio che rientriamo.»

Mentre tornavano a Smart House, Charlie chiese a Beth di mostrargli il punto in cui si era fermata ad aspettare davanti al massiccio cancello di bronzo che ora invece era aperto. Charlie continuò a guidare e aspettò che Beth ripercorresse mentalmente i gesti compiuti il giorno del suo arrivo. Charlie cercò le telecamere proprio come aveva fatto Beth la prima volta, e con lo stesso risultato. Erano nascoste troppo bene. Arrivati a Smart House suonò il campanello del portone e si udirono le quattro note della Bellringer Company. Qualche secondo dopo, la porta decorata dell’ingresso principale si aprì e una donna di mezz’età si scostò per lasciarli entrare.

«I signori sono Mr Meiklejohn e Mrs Leidl» disse Beth. «Lei è Mrs Ramos.»

Era una bella signora dalla stazza robusta, aveva capelli ingrigiti dal tempo che teneva raccolti in uno chignon, non era truccata, non indossava gioielli e nemmeno un orologio. Charlie si ricordò che, la sera in cui erano morti i due uomini, la donna e il marito avevano effettuato un’interurbana durata dalle undici e qualche minuto fino quasi alle undici e mezzo. Mrs Ramos, infatti, era da poco diventata nonna. La donna inclinò leggermente la testa. «Vi mostro la vostra camera. Avete dei bagagli? Se volete lasciarci le chiavi della macchina provvederemo a scaricare i bagagli e a parcheggiarla nell’autorimessa. Mr Sweetwater ha chiesto di avvisarlo del vostro arrivo.» Aveva un timbro di voce molto gradevole, persino musicale, e non c’era traccia di alcun accento.

«Se vedrò Milton lo avviserò io» disse Beth. «A dopo.» Li salutò con la mano, girò loro intorno e attraversò il grande ingresso.

«Desiderate prendere l’ascensore per salire?» domandò Mrs Ramos.

«Certo che sì» rispose Charlie, e la donna li condusse nell’ampio corridoio con la grande vetrata che si affacciava sull’atrio. Charlie emise un fischio.

«Possiamo passare da qui» disse Mrs Ramos. «Lo fanno quasi tutti, è la strada più corta per andare da un capo all’altro della casa.»

Osservarono il giardino, la piscina, la sistemazione delle sedie, dei tavoli, del bar, il modo in cui l’ambiente era stato costruito per assomigliare a una collina rocciosa coperta da un’intricata giungla verde. L’aria era opprimente.

«Lei sa perché siamo qui?» le domandò Charlie fermandosi per studiare il muro di roccia da cui scendeva l’acqua che si riversava in piscina.

«Me l’hanno spiegato.»

«Mi sembra di essere nel palazzo di un pascià» fu il commento di Charlie, e riprese a camminare. «Sarà qui per il fine settimana? Potremmo avere bisogno di parlare con lei e suo marito.»

«Naturalmente» rispose. «Viviamo in un cottage all’interno della proprietà. Può venire quando vuole.»

Charlie pensò che si trattasse della tipica governante imperturbabile e impeccabile, e si chiese cosa nascondesse dietro quel volto sereno, quegli occhi neri e prudenti. Dopo aver attraversato l’atrio la donna si fermò nuovamente.

«Ecco l’ascensore» disse.

L’ascensore si trovava in fondo al corridoio e da lì si dipartiva un corridoio più piccolo, percorrendo il quale ci si allontanava dalla piscina. L’ascensore era al piano con le porte aperte e vi salirono. Sulla parete accanto alle porte il pannello di controllo era costituito da un pentagramma con note e pulsanti a filo del muro. Strisce di metallo dorato dividevano le pareti in sezioni irregolari, ognuna di un colore pastello differente che andava dall’azzurro al verde e al giallo. Per terra c’era una moquette di borgogna eccessivamente folta. Il soffitto color avorio era luminescente e costituiva la fonte di luce principale. Charlie aveva letto sui verbali che la cabina era lunga tre metri, larga uno e mezzo e alta due e mezzo.

«Dov’è l’aspirapolvere automatico?» domandò a Mrs Ramos.

«Nel pannello centrale della parete di fondo» rispose indicandolo con il mento. «A questo piano non posso mostrarglielo. Funziona soltanto quando l’ascensore è nel seminterrato. Questi sono gli indicatori di piano» spiegò loro, e premette una delle note. «La prima nota fa chiudere le porte.» Le porte si chiusero silenziosamente. «Quella successiva serve per farle aprire, e le note in scala corrispondono ai piani. Ora ci troviamo al pianterreno, la vostra stanza è al primo.» La donna premette un’altra nota. Non si percepiva alcun movimento e sembrava che la cabina fosse immobile. «Quando il computer è in funzione non è necessario premere alcun tasto, si dice semplicemente dove si vuole andare. È tutto automatico.»

Li condusse lungo il corridoio del primo piano avanzando tra la vetrata e le porte delle stanze; tra le porte delle stanze si aprivano ampie porzioni di muro su cui erano appesi quadri di valore, ognuno illuminato da una lampada posta al di sopra della cornice. Passarono davanti a parecchie porte chiuse prima che la donna si fermasse e ne aprisse una. Mrs Ramos non entrò, ma tenne loro aperta la porta. «Spero che starete comodi. Se avete bisogno di qualcosa potete chiamare la cucina digitando il numero sei sul telefono. Mi assicurerò che Mr Sweetwater venga messo al corrente del vostro arrivo.»

Durante il percorso e per tutto il tempo delle spiegazioni Constance era rimasta in silenzio e vigile. «Lavorava per Gary Elringer?» chiese d’un tratto a Mrs Ramos.

«No. Lavoro per la società. Mr Elringer stava qui solo in alcuni periodi. Mi occupo della casa per la società.»

«E le piace, Mrs Ramos? Mi riferisco a Smart House, al computer che controlla ogni cosa.»

Per un istante il volto amabile e ben allenato della governante lasciò il posto a un’espressione dura e severa. Ma se Constance non avesse osservato attentamente il viso della donna non se ne sarebbe accorta, tanto quel cambiamento fu impercettibile.

«Il computer è spento, non comanda più nulla.» Per dovere professionale diede uno sguardo alla stanza in modo da assicurarsi che fosse tutto a posto, si voltò e se ne andò.

Mentre Constance apriva le tende, Charlie esaminò la serratura della porta e la targhetta numerata all’esterno, cercando d’immaginare come quel marchingegno funzionasse quando il computer era operativo. Decise che non sarebbe mai riuscito a capirlo, così accostò la porta e cercò un modo a lui più familiare per chiuderla a chiave. Non trovò niente.

«Questa non è una casa!» esclamò Constance davanti alla vetrata. La finestra si affacciava sulla distesa grigia e bellissima dell’oceano coperto di foschia. La stanza era decorata con sfumature di colore che andavano dal violetto al lavanda e al blu scuro, e aveva qua e là oggetti cloisonné di squisita manifattura tra cui delle lampade, una statuetta raffigurante una gru, un portacenere. «È come uno di quegli hotel a quattro stelle che si vedono sulle riviste.»

C’erano due letti gemelli, una scrivania con computer, un televisore, dei cassettoni, un grande armadio a muro e una sala da bagno equipaggiata in modo stravagante. Sembrava proprio di essere in un costoso albergo, ne convenne Charlie dopo aver ispezionato la stanza, tranne che non c’era modo di chiudere a chiave la porta. Charlie però sapeva che sarebbe ricorso al vecchio trucco della sedia sotto la maniglia.

Uscendo dalla stanza trovarono Beth in corridoio. «Vi accompagno in soggiorno» disse. «Milton vi sta aspettando insieme a Bruce e a un paio di altre persone.» Si avviò lungo il corridoio con un’aria mesta. «Niente ascensore. Non mi ci voglio nemmeno più avvicinare.» Li condusse alle scale sul retro.

«C’è davvero bisogno di una guida in questa casa» disse Constance.

«La volta scorsa hanno distribuito delle piantine per ogni piano. Ce ne dovrebbe essere ancora qualcuna in giro. Milton saprà sicuramente dove.»

Entrarono in soggiorno e Beth fece le presentazioni. Alexander Randall pareva nervoso e non sapeva cosa fare delle mani. Milton, tenendo in mano una grande busta marrone, li salutò con un cenno del capo. Maddie Elringer annuì a entrambi e non disse nulla. Il suo trucco era un disastro: aveva messo troppo rossetto, peraltro sbavato, il mascara era sceso e lei sembrava non essersi accorta, come se da quella mattina non si fosse più specchiata. Aveva in mano un bicchiere alto, e ogni indizio diceva che non era il primo della giornata, nonostante fossero solo le quattro del pomeriggio.

Terminate le presentazioni, Milton Sweetwater porse la busta a Charlie. «Sono riuscito a trovare tutto quello che mi ha chiesto. Alexander ha lavorato al progetto della casa sin dall’inizio, qualsiasi cosa vogliate sapere lui sarà in grado di fornirvi ogni informazione.»

«Grazie.» Charlie mise la busta sotto il braccio.

«Cosa gli hai dato? Dei dossier su ognuno di noi?» domandò bruscamente una nuova voce alle sue spalle.

«Questo è Bruce» spiegò stancamente Beth.

«E questa non è una risposta» replicò Bruce asciutto. Raggiunse il gruppo accanto alla vetrata scrutando Charlie e ignorando Constance. «So chi è lei. Quello che voglio sapere è cosa le hanno detto circa il motivo per cui l’abbiamo assunta.»

«Bruce, ti stai rendendo ridicolo» sbottò Milton. «Gli ho detto esattamente quello che abbiamo deciso durante l’ultima riunione e gli ho fornito i rapporti del medico legale, della polizia, lo statuto della società, le clausole del testamento di Gary, un rendiconto della situazione finanziaria della società dello scorso anno, una piantina della casa e forse un paio di altri documenti, ma avrei fornito la lista completa alla successiva riunione.»

Constance osservava la scena con un interesse quasi clinico. Le mani di Maddie avevano cominciato a tremare talmente che la donna aveva dovuto posare il bicchiere, e ora le teneva strette tra loro con tale forza che la punta delle dita era diventata rossa, e le nocche bianche. Alexander si stava avvicinando pian piano alla porta pronto a fuggire.

«Gli ho già detto di cosa mi accusi!» intervenne freddamente Beth guardando Bruce con disprezzo.

Bruce cercò di afferrarla per un braccio ma lei si svincolò.

«Non mi toccare!» gli urlò con una voce soffocata dalla rabbia.

«Devi stare a sentire la mia versione. Non voglio che mi accusi di sparlarti alle spalle. Quella sera la tenevo d’occhio» disse rivolto a Charlie. «Quando abbiamo udito la risata di Gary l’ho osservata e mi sono accorto che l’aveva sentita anche lei. Infatti si alzò e uscì a cercarlo. Aveva tentato di parlargli tutto il giorno e quello, mentre tutti gli altri stavano guardando il film, era il momento giusto. Gary aveva intenzione di farla lavorare al progetto in modo che si guadagnasse i soldi con cui la stava mantenendo, ma Beth voleva il divorzio e un bell’accordo finanziario. Per Dio, so riconoscerle certe intenzioni! Quella sera l’ho vista uscire per andare a cercarlo. Chi altro avrebbe potuto portare Gary nella sala idromassaggio a parte Beth? Chi altro a parte Gary avrebbe potuto intervenire sul computer perché non ci fosse traccia della loro presenza in quella stanza? Gary era furente perché lei non mostrava alcun interesse per i suoi nuovi giocattoli. Così pensò di farle da guida, di pavoneggiarsi un po’. Cancellò entrambi dal programma di identificazione e le disse che voleva parlarle. Andarono nella stanza della Jacuzzi e lì Beth riuscì a mettere le mani sui comandi.» Alzò il tono fino a che divenne un falsetto e disse imitando Beth: «Oh, Gary, fammi vedere. Come sei intelligente…»

Beth emise un suono soffocato e scosse la testa. «Sei completamente pazzo!»

«Poi lo hai scaraventato in piscina e hai premuto il pulsante per attivare la copertura. Gary non ha avuto alcuna possibilità di reagire! Avevi in mano il computer portatile, potevi andare ovunque senza che i tuoi spostamenti fossero registrati. Non avrebbe permesso a nessun altro di toccarlo tranne che a te!»

«Cosa intende per computer portatile? Quant’è grande?» domandò Charlie.

«È piccolo, come un pacchetto di sigarette.»

«Come lo sai?» gli domandò stupito Alexander. «Aveva detto che non lo avrebbe mostrato a nessuno fino alla riunione di lunedì.»

Bruce lo guardò in modo sprezzante. «Lo sapevano tutti, coglione. Pensavi che sarebbe riuscito a non vantarsi?»

«Io non lo sapevo» intervenne Milton scandendo lentamente le parole e scuotendo la testa. «Non credo che lo sapessero tutti, altrimenti la cosa sarebbe venuta fuori prima.»

«Nemmeno io lo sapevo» gli fece eco Beth.

Bruce guardò uno dopo l’altro i presenti con un’espressione incredula. Maddie, sul punto di piangere, prese nuovamente il bicchiere con le mani che le tremavano visibilmente. «Lo sapevate tutti» disse Bruce con un tono aspro. «È l’unica spiegazione sensata. Ho immaginato perfettamente la scena e voi avete fatto altrettanto. Cosa state cercando di provare? Che è tutta una montatura? Non funzionerà! È stata lei! Solo lei aveva un movente per farlo!»

«Avete riferito alla polizia di questo piccolo congegno?» domandò Charlie cortesemente.

Alexander scosse la testa. «Credevo di essere il solo a conoscerne l’esistenza, e poi non sono più riuscito a trovarlo. In quei giorni non mi era nemmeno capitato di pensarci perché Gary stava partecipando al gioco proprio come tutti gli altri. Non lo avrebbe usato durante il gioco, avrebbe dato una dimostrazione delle capacità del computer portatile il lunedì successivo. Quel fine settimana tutta la casa era in prova, andava testata. Quel fine settimana ognuno di noi, senza rendersene conto, fungeva da test beta. Il computer portatile era solo un dispositivo di sicurezza, un congegno di supporto nel caso qualcosa fosse andato storto, si fosse bloccata una porta o si fosse verificata qualche altra disfunzione, ma non è successo nulla. Cioè, non è andato storto nulla. Ho pensato al computer solo in seguito.»

«Mi chiedo se non le dispiacerebbe accompagnare me e Constance in una visita guidata, fornendoci al contempo qualche spiegazione sulla casa, dal momento che lei più di chiunque altro sa cosa sia o non sia in grado di fare.»

Alexander s’inumidì le labbra, guardò prima Bruce, poi Milton, infine di nuovo Charlie e annuì.

Bruce lanciò ai presenti delle occhiate minacciose, poi si allontanò a grandi passi gridando senza voltarsi: «Qualsiasi hacker del mondo avrebbe immaginato che aveva un apparecchio simile. Lo sapevate tutti!»

Cominciarono la visita dal piano più basso in cui si trovavano laboratori informatici, uffici, una stanza con tavoli da biliardo classico e uno a sei buche, la sala giochi e infine la sala d’esposizione con la teca che durante il gioco conteneva le armi giocattolo. Charlie la fissò con uno sguardo assorto. In quel momento la teca era vuota.

«Come funzionava?» domandò infine. «Beth ha detto che si apriva solo se si aveva diritto a un’arma, e che poi il computer ringraziava il concorrente chiamandolo per nome. Come faceva?»

Alexander parve a disagio, cambiò posizione e disse: «Il principio era l’identificazione visiva, grazie allo scanner ottico all’ingresso e il peso dell’oggetto stesso. Era un metodo abbastanza efficace ma non perfetto, non del tutto almeno. Ci stavamo ancora lavorando.»

«Quindi avvicinandosi alla teca si veniva identificati dal computer.» Alexander annuì e Charlie si avvicinò alla teca. «A questo punto sarei abilitato ad aprire il coperchio?»

Alexander gli si avvicinò e indicò il soffitto. «C’è uno scanner lassù, e un altro da questa parte» disse. Charlie non riuscì a individuarli nemmeno dopo che Alexander glieli ebbe indicati. «È lassù» ripeté il ragazzo. «Ce ne sono anche fuori dalle camere da letto, dalla porta d’ingresso e dal cancello. Prima che la persona entri in casa viene fotografata due volte, mentre alla porta d’ingresso e davanti alla camera da letto viene rilevato il suo peso. Naturalmente le passatoie dei corridoi sono tutte provviste di sensori, così come l’ascensore, ma non le camere da letto. Dopodiché si tratta solo di incrociare i dati, tutto qui.»

«Le armi giocattolo erano appoggiate su una qualche bilancia?»

Alexander annuì. «Erano catalogate per numero, e non appena un’arma veniva sollevata il computer ne registrava l’utilizzo. A quel punto la teca non poteva più essere aperta, a meno che non ci provasse qualcun altro o si registrasse un’uccisione riacquistando quindi il diritto a scegliere una nuova arma. Questa parte era semplice.»

Charlie e Constance si scambiarono degli sguardi. Quello di Constance sembrava dire: "Semplice come una magia".

Mentre Alexander li conduceva lungo il corridoio, Constance domandò timidamente: «Che cos’è un test beta?»

Alexander la guardò quasi con sospetto, come se pensasse che si stesse prendendo gioco di lui. «È un test sull’utente finale» biascicò. «Qualcuno che non è tenuto a conoscere come funziona il programma ma solo a testarne il funzionamento.»

Constance annuì con serietà. La stanza successiva in cui entrarono era l’ufficio laboratorio di Gary. Un labirinto di cavi elettrici, computer senza telaio, altri con telaio, pannelli di controllo, tastiere di supporto, unità a disco e monitor sembravano sparsi qua e là a caso, ma Charlie era certo fosse stato seguito un metodo sebbene non riuscisse a individuarlo. Sul muro di fondo c’erano degli scaffali, uno schedario, un bancone da lavoro con altre apparecchiature che sembravano servire per testare i nuovi modelli.

«Cosa c’è dietro quel muro?» domandò Charlie dopo aver osservato la stanza per alcuni istanti.

«Una cella frigorifera per la frutta. Vi si accede dalla dispensa al piano di sopra.»

«Proseguiamo» disse Charlie. «Voglio vedere come funziona l’aspirapolvere automatico nell’ascensore.»

Alexander spiegò che era la cosa più semplice del mondo, una delle invenzioni migliori della casa per quanto concerneva l’aspetto commerciale. Le unità di aspirazione erano incassate nelle pareti di ogni ambiente. Ogni stanza aveva un dispositivo di comando, ma ogni singolo apparecchio o l’intero sistema poteva anche essere programmato tramite un timer. Alexander premette il pulsante di comando, una piccola barra posta sotto il pentagramma musicale che sembrava un elemento puramente decorativo. Appena premuto il pulsante il pannello di fondo dell’ascensore si staccò e scivolò sul pavimento attraverso rotelle orientabili nascoste dall’intelaiatura del macchinario. Tutto l’apparecchio era alto solo pochi centimetri, circa trenta per quaranta. La parte alta era costituita dallo stesso materiale delle pareti dell’ascensore, una plastica semilucida azzurro pastello. L’aspirapolvere cominciò a muoversi lungo il pavimento dell’ascensore. Raggiunta la fine della parete fece una curva ad angolo retto e proseguì ripetendo la stessa operazione alla fine della parete successiva, emettendo un leggero ronzio.

Sulla parete dove era contenuto c’erano due guide di metallo che servivano per aiutare l’aspirapolvere a rientrare nel suo alloggiamento, e un foro rotondo. Charlie indicò con il mento la parete. «È lì che viene svuotato?»

Alexander si chinò e capovolse l’aspirapolvere ronzante che subito smise di funzionare. Sul fondo del piccolo elettrodomestico si vedevano uno scopino, le quattro ruote con cuscinetto a sfere e un foro tondo da cui veniva aspirata la polvere. Parte del meccanismo era nascosta da una piastra di metallo. «Vede» disse Alexander indicando il foro. «Mentre pulisce questo foro è aperto. Quando è a riposo il coperchio si chiude aprendo l’altro foro in modo che l’aspirapolvere possa essere svuotato dal sistema di aspirazione. Qui ci sono le bocchette di ventilazione per supportare la fase di aspirazione.»

Le bocchette lungo le guide di metallo su entrambi i lati dell’apparecchio erano quasi invisibili. Charlie studiò l’aspirapolvere con un’aria dubbiosa. «Sono davvero convinti che da lì possa essere aspirata abbastanza aria da provocare anossia?»

Alexander posò la macchina e premette nuovamente il tasto a forma di barra. L’aspirapolvere si avvicinò silenziosamente alla parete e ritornò a posto. Il ronzio aumentò per qualche secondo, poi svanì.

«Questo è un esempio di come dovrebbe funzionare» fu il suo commento. «Hanno fatto misurare l’ascensore, calcolare i metri cubi e la quantità d’aria che può essere aspirata in un minuto e hanno concluso che, nel caso di un malfunzionamento dell’impianto, potevano verificarsi le condizioni per provocare un’anossia.»

«E secondo loro la vittima avrebbe semplicemente aspettato di morire.»

«Hanno detto che le cose sono andate così.»

«Mi sembra di capire però che lei non è d’accordo.»

Alexander Randall si mordicchiò l’unghia del pollice, spostò il peso da un piede all’altro, guardò Constance, Charlie, l’aspirapolvere e nuovamente il pollice. «Non lo so» rispose infine.

«Non importa. Riusciamo ad arrivare sul retro all’ascensore dove passano le condutture e tutto il resto?»

Il ragazzo parve sollevato da quella richiesta. «Certo. La strada migliore è attraverso l’impianto di riscaldamento.»

Riattraversarono la sala giochi, raggiunsero la parte opposta del seminterrato ed entrarono in un’altra grande area della casa. Passarono davanti a una caldaia a gasolio, un condizionatore d’aria altrettanto gigantesco e altri macchinari di grosse dimensioni. Allineate da una parte lungo il muro c’erano file di serbatoi da cui fuoriuscivano tubi che poi svanivano dietro un pannello. Cloro, antialghe, altri prodotti chimici per la piscina, biossido di carbonio.

Lo sguardo di Charlie si spostò dall’ultimo serbatoio ad Alexander. «A cosa serve quello?»

«È per la cantina interrata dove si conservano tuberi e radici, per le mele e l’uva della cella frigorifera e cose così. Il biossido di carbonio serve a conservarle più a lungo. In parte viene usato anche nella serra. Utilizzato per le coltivazioni nelle proporzioni di uno per mille, aumenta il rendimento del raccolto in maniera considerevole. In realtà non ne so molto al riguardo. Rich era più informato di me, e comunque c’è un orticoltore che si occupa della serra.»

L’espressione di Charlie era ferale. «Un uomo muore per anossia, voi avete dei serbatoi di biossido di carbonio accessibili a chiunque e a nessuno viene in mente di dirlo! Perché?»

«La polizia ha cercato di trovare una connessione, ma non c’è riuscita» si giustificò Alexander con una voce quasi stridula per il nervosismo. «Nessuno ha saputo spiegare come avrebbe potuto arrivare all’ascensore o in qualunque altra zona della casa. È impossibile.»

«Lo spero bene. Dove vanno a finire questi tubi?»

Alexander li condusse in una stretta intercapedine che correva tra il retro della casa e il muro di cemento della piscina. Il muro era un labirinto di tubi e condutture. Il sottile tubo del biossido di carbonio era di acciaio inossidabile e si immetteva in una condotta vicino al soffitto. A metà dell’intercapedine s’imbatterono in una rampa ripida di scale, ma le tubazioni proseguivano dritte oltre i gradini. La conduttura più grande si fermava in corrispondenza della tromba dell’ascensore, mentre altre tubature arrivavano fino alla fine dell’intercapedine.

«E laggiù?» domandò Charlie indicando proprio la fine dell’intercapedine. «Cosa c’è là dietro?»

«La cella frigorifera. Non vi si può accedere da qui, ma solo dalla dispensa accanto alla cucina.»

Charlie esaminò nuovamente la tubatura e non riuscì a individuare un modo in cui il gas sarebbe potuto arrivare da lì all’ascensore. Il tubo era un pezzo unico, senza valvole, senza saldature. Si voltò, e questa volta fu lui a far strada su per la scala stretta e ripida che li condusse sul retro della casa, vicino a un ingresso che si affacciava sulla parte posteriore del giardino. Di fronte alla scala c’era la porta che dava accesso alla Jacuzzi. La vasca idromassaggio era lunga tre metri e larga un metro e mezzo. Era coperta da un telo di plastica rigido con un rullo da una parte e dei binari lungo i bordi su cui scorreva la copertura.

«La apra» ordinò Charlie, e guardò il ragazzo avvicinarsi con un’aria scontenta al pannello di controllo sul muro. Alexander premette un tasto e la copertura si aprì, si arrotolò e scomparve.

«La chiuda di nuovo» borbottò Charlie osservando con attenzione la copertura scorrere sulla vasca. Sebbene si muovesse velocemente non era abbastanza veloce da impedire a qualcuno di uscire dall’idromassaggio, se avesse avuto l’intenzione di farlo. Una volta srotolato sarebbe stato impossibile rimuovere il telone per chiunque ci fosse rimasto intrappolato sotto. Tra il telone e la superficie dell’acqua c’erano meno di due centimetri. Osservò attentamente i binari, esaminò la copertura e alla fine disse scuotendo la testa: «Proseguiamo.»

«Per la cella frigorifera?» domandò Alexander. Il ragazzo aveva cominciato a rosicchiarsi l’unghia del secondo pollice. Le altre unghie erano ridotte alla carne viva.

«Naturalmente.» Charlie prese la mano di Constance e la premette leggermente sperando di rassicurarla. Da quando la visita guidata era cominciata Constance non aveva detto una parola. Charlie sapeva che lui e sua moglie avevano visto le stesse cose e più tardi ne avrebbero parlato, si sarebbero scambiati le impressioni. La mano di Constance era gelida.

Passarono davanti a uno spogliatoio e a un bagno e si ritrovarono nuovamente nel corridoio accanto all’ascensore. Un altro corridoio conduceva invece a una porta che dava sull’esterno. Alexander lo imboccò. Arrivati quasi in fondo videro due porte una di fronte all’altra, la prima conduceva in cucina, la seconda nella dispensa. Alexander aprì quest’ultima. Appena entrati si ritrovarono davanti un’altra porta estremamente massiccia e a tenuta stagna. Aperta la seconda porta, furono investiti da una corrente d’aria fredda che proveniva dal basso.

«È un vero frigo» spiegò Alexander cominciando a scendere i gradini. «Gary la chiamava cantina interrata, ma in realtà si tratta di un frigo.»

Sembrava di entrare in una caverna di ghiaccio. La stanza era così ben isolata che non penetrava alcun suono, le pareti erano di acciaio inossidabile, il pavimento di plastica. Da una parte erano stati allineati dei bidoni, dall’altra degli scaffali. Due neon a soffitto emanavano una luce bluastra. Constance rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo. In fondo alla stanza c’erano due carrelli d’acciaio e un’altra porta alta però solo un metro e mezzo circa. Charlie individuò il tubo d’acciaio che scendeva dal soffitto e scompariva dietro ai bidoni.

«Mi dia una spiegazione» disse bruscamente indicando con un ampio gesto i bidoni, la porticina e la stanza in generale.

«È un esperimento di Rich» rispose Alexander. «La stanza è un ambiente a bassa concentrazione di ossigeno e alta concentrazione di anidride carbonica. Non è pericoloso» si affrettò a precisare. «C’è un quindici per cento di ossigeno e l’un per cento di biossido di carbonio, non fa male, quantomeno se non lo si respira a lungo. I bidoni servono per conservare prodotti particolari come uva, pere e frutta di ogni genere, ognuna mantenuta nel proprio ambiente ideale per garantirne una lunga conservazione. I bidoni sono ermetici e la miscela di biossido di carbonio viene controllata dal computer.»

Charlie cercò di aprire uno dei bidoni ma Alexander gli afferrò il braccio.

«Non lo faccia. Guardi.» C’era un cartello con dei simboli che a Charlie non dicevano nulla. «Il cartello spiega che il bidone ha una concentrazione di biossido di carbonio del dodici per cento e che la temperatura è di cinque gradi e mezzo. È meglio aprirlo dopo aver aspirato il gas.»

Charlie esaminò altri bidoni con altri cartelli, tutti leggermente diversi, tutti contenenti biossido di carbonio. «E quella?» domandò indicando la porta in fondo.

«È un montavivande che arriva alla dispensa. Dovrebbe servire per portare una mezzena di bue, grosse quantità di frutta o cose troppo pesanti da trasportare giù per le scale.»

Charlie lo guardava con un’espressione incredula. «Spero che si riesca ad aprirlo» disse.

«Oh, certo. So cosa sta pensando, Mr Meiklejohn, mi creda. Uno stuolo di poliziotti ha esaminato la stanza, i bidoni e tutto il resto e non è riuscito a elaborare nessuna ipotesi plausibile che giustificasse i loro sospetti. Guardi, questo bidone è vuoto.» Alexander lo aprì. Era profondo circa una sessantina di centimetri e altrettanto largo, ma si restringeva verso il fondo. Lo richiuse e andò ad aprire la porta del montavivande, un vano di acciaio inossidabile sessanta per un metro e alto circa un metro e mezzo. Il pannello di comando era semplice, prevedeva un pulsante nero per la salita e uno per la discesa. Sulla porta esterna c’era una barra che fungeva da maniglia, mentre l’interno era tutto completamente liscio senza pulsanti né appigli.

Charlie ormai guardava Alexander con uno sguardo torvo. «Andiamo al piano di sopra a dare un’occhiata al montavivande» borbottò seccamente. Fu un sollievo uscire dalla cella frigorifera. Constance tremava e Charlie era piuttosto infreddolito. Il montavivande si trovava nella dispensa al di là di un’altra porta ben isolata. Sul muro c’erano due pulsanti di comando. Alexander allungò la mano per premerne uno ma Charlie scosse la testa. «Un momento.» Aprì la porta ed esaminò lo spazio interno. Dall’alto vide che c’erano delle prese d’aria sul tetto della cabina. Charlie si voltò verso Alexander con un’aria interrogativa.

«C’è una condotta che prende aria dall’esterno. Sa, in caso ci fosse una perdita. L’anidride carbonica è più pesante dell’aria e una volta arrivata in cima alle scale non potrebbe fuoriuscire dalla porta stagna, mentre potrebbe invadere il montavivande. Se il montavivande arriva quassù con dell’anidride carbonica, l’aria all’interno viene aspirata automaticamente prima che la porta si apra. Perlomeno è così che funziona quando il computer è acceso.» Alexander indicò una sorta di termometro senza mercurio appeso accanto ai pulsanti di salita e discesa. «Questo è un sensore di supporto per garantire maggiore sicurezza» spiegò. «Rileva la presenza di biossido di carbonio nel vano del montavivande.»

Charlie annuì e premette il pulsante di chiamata ma non accadde nulla.

«Non funziona con la porta aperta.»

Charlie chiuse la porta e riprovò. Il meccanismo si mise silenziosamente in funzione. Poco dopo arrivò il montavivande e la porta si aprì.

7

Charlie e Constance non si lamentarono quando Alexander cominciò ad accelerare per terminare velocemente il giro della casa. Mostrò loro come ogni porta fosse tenuta sotto osservazione durante il gioco, e come i sensori a pavimento fossero nascosti sotto la passatoia in modo che nessuno potesse entrare in una stanza senza che il suo passaggio venisse registrato.

«Rivoluzionerà sicuramente i sistemi di sicurezza» disse il giovane con convinzione.

«Il Grande Fratello è vivo ed è in mezzo a noi» fu l’amaro commento di Charlie.

«Se si deve garantire la sicurezza occorre anche utilizzare dei buoni impianti. La stanza di Gary era al piano di sopra. La volete vedere?» Sembrava aver assunto un atteggiamento difensivo e allo stesso tempo leggermente aggressivo.

«Hanno portato via tutto?» domandò Charlie.

«Intende dire se hanno preso i suoi oggetti personali? Quelli sì, ma l’arredamento è rimasto com’era e i computer che usava sono ancora lì. La stanza non è stata chiusa né l’accesso vietato.»

«Possiamo vederlo da soli, ma prima che lei vada mi dica qualcosa dell’apparecchio di cui parlava Bruce, l’unità di controllo. Ha detto che è grande come un pacchetto di sigarette, giusto? Cos’era in grado di fare esattamente con un congegno così piccolo?»

Alexander s’illuminò nuovamente. «A dire il vero ce n’era più di uno, e ognuno fungeva da computer dedicato.» Il ragazzo guardò prima Constance e poi Charlie come per verificare che fossero in grado di capire, ma ripiombò nella rassegnazione. «Avete presente i telecomandi per aprire le serrande delle autorimesse? Quel radiocomando portatile che le fa aprire e chiudere? Quella è una macchina dedicata, creata per svolgere una sola funzione. In un certo senso i computer portatili di Smart House sono così. Supponiamo che qualcuno cada in una delle camere da letto e non riesca a raggiungere la porta, oppure che scoppi un incendio o che vi sia una qualunque emergenza. Uno dei computer portatili fungeva da passe-partout, da chiave universale. Poteva aprire qualsiasi porta. Un altro computer era in grado di impedire, modificare o inserire alcune funzioni fondamentali di Smart House, per cui se lo spegnimento delle luci era programmato per le undici e si voleva farle spegnere più tardi, lo si poteva fare. Era possibile intervenire temporaneamente su alcune impostazioni pur mantenendo valide quelle di base in modo tale che poi il programma potesse ritornare alle funzioni originarie.»

«Cosa poteva controllare oltre alle luci?» domandò pazientemente Charlie quando Alexander tacque.

Con un vago gesto Alexander indicò tutta la casa. «Solo funzioni base come luci, sistema di condizionamento, temperatura dell’acqua nelle vasche da bagno e cose di questo genere.»

«La temperatura della piscina? Della Jacuzzi?» domandò Charlie a voce bassa.

Alexander si guardò attorno, era chiaramente agitato. Si trovavano ai piedi delle scale. La vetrata stava alle spalle di Alexander, ma di fronte a Charlie e Constance. Il ragazzo si voltò per guardare dietro a sé, e quando riprese a parlare lo fece con un filo di voce. «Mr Meiklejohn, onestamente non so cosa vi abbia programmato. Ce n’erano tre e non sono riuscito a trovarne neanche uno. Erano sempre rimasti giù in ufficio, ma dopo che Gary ha deciso di iniziare il gioco li ha portati in camera sua. E comunque, li ho visti per la prima volta questa primavera. Gary potrebbe averci aggiunto delle nuove funzioni, delle macroistruzioni di cui non sono al corrente, oppure potrebbe averli riposti da qualche parte ed essersene scordato. Non posso saperlo. Una cosa però la so: nessun altro era in grado di usarli. Il nostro programma è unico nel suo genere, e ognuna delle unità di controllo era programmata in un linguaggio completamente nuovo. Nessun altro qui potrebbe averle adoperate.»

Charlie lo studiò con grande curiosità. Non aveva ancora deciso se quel ragazzo era semplicemente ingenuo o estremamente astuto. «Ne riparleremo più tardi, Alexander» gli disse. «Al momento non ne so abbastanza per fare delle domande. Sono sicuro che me ne verrà in mente qualcuna.»

«Io invece vorrei farne una» disse Constance, mentre il ragazzo si allontanava visibilmente sollevato. «Lei ha detto che Gary avrebbe potuto programmare delle funzioni o delle macroistruzioni. Vorrebbe spiegarmi cosa significa?»

Alexander cambiò posizione come se fosse stato colto da uno spasimo, e dopo una pausa disse: «Vi descrivo una delle cose che abbiamo programmato, tanto per darvi un’idea di quello che si può fare. Supponiamo che nella stanza numero tre vi sia un fumatore. Naturalmente ogni stanza è provvista di un rilevatore di fumo, e sono tutti tarati per rilevare quantità di fumo minime, sia che si tratti di fumo di sigaretta o di pipa. Noi inseriamo una macroistruzione condizionata per la quale, se il rilevatore di fumo si attiva a un livello minimo di pericolosità, allora vengono compiute determinate operazioni. Per esempio il condizionatore d’aria viene riprogrammato per aspirare il fumo e cambiare l’aria più spesso, o altre cose simili. Questa è una funzione permessa da una macroistruzione, si tratta di una serie di comandi contenuti in un file permanente che viene attivato da un segnale, in questo caso il rilevatore di fumo. Naturalmente il fumo di un vero incendio mette in moto ben altre procedure: scattano l’allarme, l’impianto antincendio e tutto quello che serve in circostanze come questa. Ogni serie di comandi può essere attivata da un tasto, da una combinazione di tasti o da qualunque segnale sia stato programmato. È questo ciò che il computer portatile può fare, inviare segnali.»

Constance annuì con un’aria assorta. «Capisco. Quindi, proprio come ha suggerito Bruce, il computerino potrebbe essere stato usato per cancellare la presenza di qualche giocatore?»

Il ragazzo sollevò per un istante le spalle magre. «Certo, è questo il punto. Gary potrebbe aver programmato questa funzione o tante altre. Non so se l’abbia fatto, ma avrebbe potuto.»

«Grazie per averci fatto da guida» disse Charlie prendendo sottobraccio Constance. «Andiamo al piano di sopra. Ci vediamo dopo.»

Alexander si allontanò in un attimo. Charlie e Constance salirono le scale e, arrivati’in cima, Constance disse: «Charlie, l’avvelenamento da anidride carbonica è diverso dall’anossia, e tu lo sai.»

Charlie sorrise. «Pensavo che avrei dovuto spiegarlo io a te.»

«Ma perché hai dato seguito alla cosa quando eravamo nella cella frigorifera?»

Charlie appoggiò un dito sulla bocca. «Voglio che parlino tutti il più liberamente possibile. Se al nostro assassino occorrevano informazioni interne, chi meglio di Alexander avrebbe potuto fornirgliele? Mio Dio, in quella testa deve avere dei chip al posto del cervello. Guarda, è arrivato qualcuno, anzi, più di uno.»

Charlie stava guardando l’atrio dall’alto della vetrata. Constance lo raggiunse e vide Milton con tre persone che non conoscevano, due uomini e una donna. La donna era molto bella.

«Diamo un’occhiata veloce alla camera di Gary e al tetto dell’edificio, poi andiamo a conoscere i nuovi arrivati.»

La camera di Gary fu una delusione. Senza i suoi oggetti personali sembrava un’altra lussuosa suite d’albergo composta da due stanze: un piccolo ufficio con due computer e la camera da letto. C’era poi un gabinetto separato e una sala da bagno grande il doppio di quella della stanza di Charlie e Constance. Charlie si guardò intorno con un’aria insoddisfatta. «Ci ritorneremo. Ora andiamo sul tetto.»

Anche quello fu una delusione. La nebbia era diventata così fitta da inghiottire interamente il mare, e anche la terra era poco visibile. La cupola era di vetro, la pavimentazione in plastica ma Charlie si accorse che era costituita da pannelli solari. Una piccola costruzione di legno di sequoia alloggiava l’ascensore e un gran numero di sedie pieghevoli e tavolini da giardino. L’aria era talmente fredda e umida, lassù, che non indugiarono a lungo.

Ripresero l’ascensore per il pianterreno ed entrarono nell’atrio dove un piccolo gruppo di persone si era radunato al bar per bere qualcosa. L’odore di cloro, delle gardenie e dei fiori d’arancio rendeva l’ambiente troppo soffocante per Constance. Mentre si avvicinavano al bar si accorse di odiare quella casa. Per quanto bella, moderna, confortevole e comoda, era anche inumana nelle proporzioni, nella scelta dell’arredamento e dei colori, nella presenza di occhi nascosti che potevano spiarti ovunque.

«Constance, Charlie» li salutò Milton Sweetwater. «Vi presento Laura e Harry Westerman e Jake Kluge. Ora avete conosciuto tutti.»

Accadeva spesso che gli uomini d’affari verso la cinquantina si assomigliassero in alcuni particolari, per la leggera pancetta che avevano messo su, per l’incipiente calvizie o cose simili. Su questo rifletteva mestamente Charlie mentre si davano la mano e si scambiavano reciprocamente brevi occhiate indagatrici. Davanti a sé però aveva due esemplari di uomini d’affari in perfetta forma. Jake Kluge era alto e possente, aveva capelli castani e lisci piuttosto lunghi e flosci. Dietro alle lenti a contatto trasparivano occhi azzurro chiaro. Milton aveva detto loro che Harry Westerman era uno scalatore, e in effetti ne aveva tutto l’aspetto. Possedeva un corpo sodo, nerboruto e una muscolatura tonica, sotto la pelle non aveva nemmeno un filo di grasso. Gli occhi scuri e penetranti in quel momento sembravano irrequieti e impazienti. Laura Westerman era uno schianto. Trattenne la mano di Charlie una frazione di secondo più del dovuto, e la cosa non sfuggì a nessuno dei due. Per anni a New York Charlie aveva visto quel genere di donna camminare in strada con scatole per cappelli, borsette per il trucco, correre per incontrare il tal fotografo o arrivare in tempo alla sfilata di moda negandosi qualunque caloria in eccesso rispetto alla quantità accuratamente stabilita dal proprio nutrizionista. Aveva visto anche i mariti di queste donne, accecati dalla gelosia o così presi dai loro interminabili impegni da non accorgersi che le mogli si concedevano a ogni uomo che incontravano.

«La casa non le fa paura, spero» disse Jake a Constance. «All’ultima riunione abbiamo deciso di non attivare nessuna funzione durante questo fine settimana, tranne quelle più semplici a noi più famigliari. Non c’è niente di cui preoccuparsi, il rischio ormai è pari a quello di qualunque ascensore di Manhattan.»

«In un certo senso è un vero peccato» intervenne Charlie prima che Constance rassicurasse Jake riguardo ai suoi timori. «Mi sarebbe piaciuto vedere tutta la baracca in funzione.»

Harry Westerman si voltò di scatto e andò dietro al bancone del bar. «Stavamo bevendo un Martini, voi cosa desiderate?»

«Ottima idea» disse Charlie dopo che Constance ebbe risposto al suo sguardo annuendo. «E per le luci?» domandò indicando con un ampio gesto l’atrio e il giardino. «È stato programmato un timer o bisogna fare il giro per accenderle e spegnerle una per una?»

«C’è un quadro di comando generale» rispose Milton lanciando sguardi imbarazzati a Harry, intento a preparare i cocktail. «Oppure si possono spegnere singolarmente.»

Harry versò nei bicchieri gli altri due aperitivi e li posò sul bancone. «Di solito sono controllate da Smart House» disse. «Come tutto il resto.» Charlie porse il bicchiere a Constance e cominciò a sorseggiare il suo Martini. «Cosa pensa di riuscire a scoprire esattamente in un fine settimana, Mr Meiklejohn?» gli domandò Harry energicamente, come tutto ciò che faceva. «La polizia ci ha tenuto qui per giorni, e continua comunque a tornare per le indagini. Ho votato contro un suo coinvolgimento, volevo informarla di questo.»

«So già alcune cose di cui la polizia non è stata informata» rispose tranquillamente Charlie. «So del gioco e dei computer portatili che potevano intervenire sul sistema operativo principale. E ora so che la decisione di aprire un’altra indagine non è stata unanime. Direi che ho fatto dei progressi.»

Harry si rabbuiò e il suo sguardo si fece più penetrante. Laura rise sommessamente. «Harry però si è convinto» intervenne la donna. «Quando ne abbiamo discusso alla fine si è detto d’accordo con tutti gli altri.»

Harry le fece segno di tacere e Charlie notò che, nonostante Laura fingesse di ignorarlo, in realtà era incredibilmente attenta a ogni gesto e a ogni espressione del marito.

«Di che computer portatile sta parlando?» domandò Harry.

Charlie guardò Harry e poi Jake che rispose scuotendo la testa. «Gary non lo ha fatto vedere a nessuno di voi due?» Poi, rivolto a Laura: «Nemmeno a lei?»

Questa volta Laura fece una risatina nervosa, raggiunse il marito dietro al bancone e cominciò a esaminare attentamente le bottiglie. «Può aggiungere ancora un particolare al conto delle cose che sa e che non abbiamo raccontato alla polizia. Gary amava i segreti più di qualsiasi altra cosa. Le assicuro che se avesse avuto un giocattolino come quello lo avrebbe conservato gelosamente, quantomeno finché non fosse stato pronto per la grande dimostrazione di lunedì. Non è così, tesoro?» disse rivolta a Harry con un tono beffardo.

«Tutto quello che so è che non me ne ha parlato.»

«Mi venisse un colpo» mormorò Jake Kluge. «Ma è ovvio che doveva avere una cosa del genere, più di una. Dove sono? Lei li ha visti? Ce li ha Alexander?»

Charlie scosse la testa. «Temo di no. Alexander dice di non essere riuscito a trovarli. Perché ha detto che è ovvio?»

«Avremmo dovuto immaginarlo» rispose Jake. «È ovvio che ci debba essere un comando manuale. Un altro asso nella manica di Gary. Devono essere da qualche parte. Alexander li ha cercati?»

«Ha detto che non è riuscito a trovarli. Perché sono importanti, Mr Kluge?»

Jake trasalì poi sorrise. «La prego, Jake. Posso chiamarvi Charlie e Constance?» domandò. «Lo vede, Charlie, è già riuscito a spiegarci qualcosa. C’erano alcune funzioni svolte da questa dannata casa che non siamo stati in grado di immaginare, e questo spiega perché. Se Gary poteva sovrapporre un comando manuale al sistema principale, avrebbe avuto la possibilità di farlo funzionare secondo determinate caratteristiche. Harry, andiamo a cercare Alexander. Grazie, Charlie.»

Harry uscì da dietro al bar e si allontanarono insieme.

«Solo una cosa prima che andiate via» li fermò Charlie. «Mi sembra di capire che nessuno di voi due fosse molto entusiasta di chiarire una volta per tutte questa brutta situazione. Perché avete cambiato idea?»

Jake si strinse nelle spalle. «Io non ho mai detto di essere contrario.»

«Ma lo era?»

Per un istante guardò Charlie con curiosità, poi annuì. «Penso che ognuno di noi desideri solo lasciarsi tutto questo alle spalle e riprendere l’attività aziendale. Come ha detto Harry, crediamo poco nell’apporto di una nuova investigazione.»

«È stata la casa?» domandò Charlie quasi in un bisbiglio.

«Cristo santo!» sbottò Harry. Riprese a camminare ma Jake lo afferrò per un braccio.

«Aspetta un attimo» gli disse Jake. «Lo abbiamo assunto. La società lo ha assunto per fare domande e noi abbiamo accettato di rispondere.» Quindi lasciò la presa e volse lo sguardo verso Charlie, «No, Charlie, non nel modo che insinua con la sua domanda. La casa non poteva intenzionalmente uccidere nessuno.»

«Non ho parlato di intenzioni» borbottò Charlie. «Ma Jake, Harry, se non è stata la casa allora è stata una persona. Volete lasciarvi alle spalle anche questo? Volete lasciar perdere tutto anche nel caso in cui arrivassimo a stabilire che è stata una persona a uccidere due uomini?»

Harry lanciò un’occhiata rabbiosa a Milton Sweetwater, come se la responsabilità di avergli fatto cambiare idea fosse tutta dell’avvocato. «La Bellringer potrebbe andare a picco» rispose bruscamente Harry. «Non mi interessa un accidente chi sia stato. Voglio solo risolvere la faccenda una volta per tutte, così potremo tornare a occuparci della società. La soddisfa questo?»

Charlie annuì. «Assolutamente sì. Jake?»

«È vero, lei non ha parlato di intenzioni, ma nemmeno di morti accidentali. Questa è la terza ipotesi.»

«Lo terrò a mente» rispose Charlie in maniera conciliante. «E se scoprissimo che è stata una persona? Che effetto avrà sulle aspettative della società?»

Jake scosse la testa. «Non lo so. Nessuno di noi lo sa. Forse in un modo o nell’altro andremo tutti in rovina… comunque ci andremo di sicuro se non chiariamo questa storia. Collaboreremo, Charlie. È questa la vera domanda che le sta a cuore?»

«In parte, in parte. Ci vediamo dopo.» Si rivolse a Constance e disse: «Andiamo a disfare le valigie e a lavarci le mani.»

Milton li informò che la cena sarebbe stata pronta alle sette. Laura osservò Charlie prendere per mano Constance, e con l’accenno di un sorriso agitò le dita verso di lui per salutarlo.

Salendo le scale Constance cominciò a ridere sommessamente, Charlie emise una specie di brontolio. «Non ci troverai niente di divertente quando me la caricherò in spalla e partirò per il Messico.»

«No, tesoro» gli rispose Constance.

Ritornati in camera, Constance disfece le valigie méntre Charlie esaminava il contenuto della busta che gli aveva consegnato Milton. Studiò a lungo le piantine della casa, che trovò disegnate stupendamente. Lo statuto della società lo intimoriva, e le relazioni del medico legale erano troppo agghiaccianti per essere esaminate prima di cena. Di fronte alla lista dei giocattoli indicati come armi del delitto increspò le labbra, piegò il foglio e lo mise in tasca. Sollevò lo sguardo dai fogli sparsi sulla scrivania e vide Constance davanti alla finestra, intenta a osservare la nebbia fitta che saliva e calava, svelava, nascondeva, indispettiva. Le si avvicinò e le cinse la vita.

«Che cosa ne pensi?» gli domandò Constance.

«Sono come passeggeri di una nave che un capitano folle ha gettato in mezzo alla tempesta. Tutti loro avrebbero desiderato che Gary finisse a mare. Milton vuole che la società sia stabile come l’IBM o la Ma Bell, non ama il disordine. Jake è in lizza per la scalata al potere, ai soldi, al prestigio e a tutto quello che oggigiorno significa essere il grande capo di un’azienda. Dietro quella facciata da Monte Rushmore, Harry potrebbe nascondere un’invidia patologica. Bruce invece è pazzo, anche lui affetto da invidia ma per altre ragioni, si sente in debito con la vita. Beth voleva affrancarsi dalla schiavitù psicologica che Gary alimentava in lei. Per quanto riguarda Laura vedremo in seguito, ma non ho il minimo dubbio che anche lei avesse un motivo per eliminare Gary.» Charlie le premette le spalle. «Come sto andando?»

Constance accennò una risata. «Da dieci e lode. Sono uno strano gruppo» disse con un’aria assorta. «Non penso che avrebbero fatto qualcosa per sapere come sono morte le due vittime se non fosse stato per i profitti della società.»

«Scommetti che uno di loro tirerà fuori la possibilità che quella sera si sia introdotto in casa un estraneo, e che almeno altri due del gruppo sosterranno l’ipotesi?»

«Sai bene che sono moralmente contraria al gioco d’azzardo» gli rispose con un’aria sussiegosa. «E poi so già che Bruce solleverà l’ipotesi e sua madre la sosterrà. Charlie, non pensi sia strano che Alexander non abbia accennato prima ai computerini? Dei tre uomini che avevano lavorato alla casa e conoscevano l’intero sistema lui è l’unico rimasto. Probabilmente riesce a sfruttare al massimo le potenzialità dei computer senza il minimo sforzo, non credi?»

«Credo che l’unico modo per cavare qualcosa da quell’idiota sia inchiodarlo a terra e torturarlo» rispose risolutamente. «Sei pronta per un altro giro col gruppo?»

«Sapete, tutto sommato è possibile che quella sera sia entrato qualcuno, mi riferisco a un estraneo, naturalmente» esordì Bruce a cena.

Maddie annuì con enfasi. «Certo che è possibile. Non ho mai creduto che questo sistema di sicurezza fosse affidabile.»

Constance guardò Charlie con aria divertita, e il marito sospirò.

«Jake, Harry, pensate sarebbe stato possibile?» domandò loro Charlie, fingendo di non essersi accorto che Alexander aveva bloccato la forchetta a mezz’aria e stava per intervenire.

Jake scosse la testa. «Ne dubito. La polizia ha passato ore a esaminare l’impianto, prima al cancello sulla collina e poi agli accessi veri e propri della casa. È semplicemente impossibile che qualcuno sia entrato o uscito senza che i suoi movimenti venissero rilevati. Esiste un registro particolareggiato. La polizia ha anche cercato di aggirare il programma per verificare se qualcuno fosse riuscito a neutralizzare i sistemi di sicurezza.»

«E il tetto?» domandò Bruce.

«I balconi» disse Maddie. «Tutti quei balconi! Chiunque avrebbe potuto accedervi!»

Questa volta Alexander parlò prima che Charlie potesse intervenire. «Impossibile! È uno dei programmi che eravamo praticamente pronti a commercializzare.»

«Praticamente pronti?» domandò Charlie. «Vuol dire che non era stato completato?»

«Era ancora troppo specifico» spiegò Alexander. «Nel frattempo, prima di mostrare la versione definitiva, stavamo cercando di generalizzare il sistema. Ci servivano solo un paio di mesi in più. E comunque, per quanto riguarda le specifiche esigenze di Smart House, era già in funzione da maggio.»

«È questo il problema» disse Harry con rabbia. «Dovrebbe essere personalizzato per ogni cliente o azienda e questo significa costi e tempo. Pochi mesi? Penso che ci vorrà un anno o più per metterlo a punto.»

«Lei crede che possa non aver registrato la presenza di un intruso quella sera?» gli domandò Charlie.

«Certo, specialmente dal momento che Gary aveva un sistema di comando manuale. Avrebbe potuto disattivare tutto. Stiamo parlando di un sistema che controlla l’intera casa, il terreno circostante, la serra, e il computer portatile può attivare o disattivare qualsiasi funzione rientri nel sistema principale.»

«Qualcuno potrebbe essere salito dalla spiaggia» disse Maddie con un accenno di disperazione.

«Maddie, basta!» esclamò Milton, ma il suo tono era gentile. «Sappiamo tutti che non è entrato nessuno quella sera!»

«E perché escludere la spiaggia?» domandò Charlie con aria pensosa.

«Perché ci troviamo su un promontorio, e con l’alta marea non si riesce ad approdare» spiegò Milton. «C’è un’insenatura racchiusa tra scogliere rocciose, ma con l’alta marea è assolutamente impraticabile. La polizia ha ispezionato anche quella zona.»

Charlie si voltò verso Bruce. «Prima ha menzionato il tetto. In che modo qualcuno sarebbe potuto arrivare lassù?»

Bruce guardò Harry, l’uomo che collezionava scalate in montagna, ma sviò subito lo sguardo. «Oggi ho esaminato la parete di pietra sul retro della casa. Si può scalare» disse Bruce. «Un buon arrampicatore potrebbe arrivare fino al tetto da lì.»

Harry annuì. «È vero. Anch’io l’ho studiata, ma da un’angolatura diversa. Non solo un buon arrampicatore, ma praticamente chiunque. Ti ricordo però, Bruce, che una volta sul tetto si deve comunque superare uno scanner e attraversare dei sensori a pavimento.» Il tono di Harry era pungente. «Certo, Gary, Rich o qualcun altro avrebbero potuto disattivare il sistema di sicurezza ma non l’hanno fatto. Esiste una registrazione dei movimenti che avrebbe sicuramente mostrato la presenza di un intruso. Non cerchiamo di convincerci che uno sconosciuto possa aver eluso il sistema di sicurezza, che abbia avuto il tempo di impararne il funzionamento e riprogrammarlo.»

«Secondo la mia esperienza» intervenne tranquillamente Charlie «ogni azione compiuta da un soggetto in un ambiente chiuso viene sempre notata da qualcuno, anche in una casa grande come questa.»

«La polizia ci ha fatto ricostruire quanto è successo quella sera già molte volte» sbottò Laura. «Sono stufa marcia di ripensare a tutto quanto, a chi era dove e a che ora. Nessuno ha visto niente.»

«Penso che la gente veda più di quanto si renda conto al momento. La polizia ha accettato le vostre dichiarazioni perché non era al corrente del gioco, ma io sì. Scommetto che vi tenevate d’occhio l’uno con l’altro. Se lo aveste ammesso davanti alla polizia sarebbe sembrato un atteggiamento sospetto, ma ora potete confessarlo liberamente. Propongo di ricostruire le varie fasi del gioco così come si è svolto a maggio. Ripercorrere le stesse azioni potrebbe stimolare la memoria in un modo che il semplice parlarne non potrebbe mai riuscire a fare.»

«No!» esclamò Maddie, e si alzò di scatto. Cercò a tentoni il tavolo e, scontrato il bicchiere di vino, si lasciò ricadere sulla sedia fissandolo inorridita. «Guardi cos’ho fatto. Guardi cosa mi ha fatto fare!»

«Non ha partecipato al gioco allora, e di sicuro non sarà costretta a partecipare stavolta» la rassicurò gentilmente Constance.

«Nessuno dovrà partecipare» disse Laura Westerman. «Se quel dannato computer verrà riacceso me ne andrò via» e guardò il marito con un’aria torva. «Non sono nemmeno un’azionista. Non sono obbligata ad accettare nulla.»

«Ma abbiamo bisogno di lei» protestò Charlie. «Il voto di Mrs Elringer deve passare a lei. Non è andata così la volta scorsa?»

«È stato Gary a insistere» rispose seccamente Laura. «Non dava a nessuno la possibilità di scegliere. C’è un’altra cosa che dovrebbe sapere riguardo a Gary: nessuno osava mai contraddirlo. Nessuno! Voleva giocare il suo folle gioco e tutti hanno detto: "Bene, uccidiamoci a vicenda per finta!". Se avessi rifiutato Harry me l’avrebbe rinfacciato per mesi! È soddisfatto? Temo che lei non abbia questo tipo di potere su di noi.»

«Certo che no» le rispose in tono conciliante. «Né lo vorrei un simile potere.» Charlie li guardò con aria meditabonda. «Confesso che sto ancora cercando di capire come mai avete acconsentito a tutto questo, come mai avete giocato per avere i voti.»

Vi fu un lungo silenzio. Alla fine Jake si schiarì la voce. «Era un’assemblea importante. Gary, Rich, Alexander e un paio di altre persone della società stavano lavorando sui sistemi informatici di Smart House riguardo alla possibilità di utilizzare un’intelligenza artificiale, e sembrava che fossero arrivati a una svolta. Altri soci però consideravano le ricerche un vero pozzo senza fondo che in breve avrebbe prosciugato le risorse finanziarie della compagnia. È un tipo di ricerca che avrebbe bisogno di sovvenzioni statali, di ingenti somme di denaro di cui una società piccola come la nostra non può disporre. Era un incontro importante quindi, e la tentazione di acquisire abbastanza voti per influire sulla decisione finale è stata irresistibile per molti di noi.»

«E Gary era pronto a rischiare tanto?» domandò Charlie. «Avrebbe accettato un voto contrario? Una decisione che lo avrebbe obbligato a sospendere la ricerca?»

«Non correva alcun rischio!» gridò Alexander. «Sapeva che se i soci avessero colto la possibilità che veniva offerta loro avrebbero visto cosa era riuscito a compiere in questa casa. Aveva realizzato la maggior parte dei progetti ai quali aveva cominciato a lavorare, e quel fine settimana avrebbe provato che era sulla strada giusta. Chi riuscirà a collegare un computer digitale a un computer analogico attraverso un sistema globale e parallelo che sia al contempo logico diretto e obiettivo diretto diventerà l’eroe informatico del secolo. Gary lo stava facendo!»

«Ci saranno in ballo un mucchio di soldi» disse Charlie.

Jake scoppiò in una risata e posò energicamente il tovagliolo sul tavolo. «Un mucchio di soldi non rende affatto l’idea, Charlie. È per questo che non abbiamo preso in considerazione il fatto che lo avesse ucciso uno di noi. Naturalmente è questo ciò di cui lei sta parlando, di un omicidio commesso da uno di noi. Vede, Gary era la gallina dalle uova d’oro, e sebbene nessuno di noi abbia le sue capacità intellettive, a questo tavolo non ci sono nemmeno degli idioti. In questa fase stiamo rivedendo tutto il lavoro svolto da Gary, in parte correggendone ed eliminandone i difetti con l’aiuto di Alexander e di altri che, inizialmente scettici, ora sono dei veri sostenitori del progetto. Se riusciremo a venire fuori da questa situazione, i sistemi informatici di questa dannata casa varranno molti soldi, un mucchio di soldi, e quel sabato pomeriggio, molte ore prima della morte di Gary, non c’era una sola persona che non si fosse resa conto di questo. Insomma, Charlie, è questo il dilemma.»

«Allora non dovrebbero esserci obiezioni alla mia proposta di simulare nuovamente il gioco, giusto per vedere se qualcuno nota qualcosa di diverso rispetto ai ricordi precedenti.»

Bruce spinse indietro la sedia. «D’accordo. Spostiamoci in soggiorno a bere il caffè e ad ascoltare le regole del gioco, proprio come la volta scorsa. Laura, hai intenzione di tirarti indietro?»

Laura gli lanciò un’occhiata sprezzante. «Dico sul serio, se quel computer viene riacceso me ne vado.»

«Non useremo il programma del gioco» la rassicurò Charlie. «La mia proposta è che sia io a svolgere la funzione del computer. Ci trasferiamo in soggiorno? Vi dirò cosa ho in mente mentre beviamo il caffè.»

8

Il servizio da caffè era sulla credenza e questa volta ognuno si servì da solo. Charlie aspettò che si fossero seduti tutti poi disse: «Ho chiesto a Mrs Ramos di procurarmi queste matite e questi taccuini.» Su un tavolino c’erano una pila di blocchetti gialli e un portapenne di peltro pieno di matite. Charlie li prese, e mentre cominciava a distribuirli domandò affabilmente: «A proposito, di chi è stata l’idea di cancellare il gioco dalla memoria del computer?» Nessuno rispose. «Proverò a porre la domanda in un altro modo» disse. «È accaduto prima che arrivassero i poliziotti, durante o dopo?»

«Dopo» rispose Alexander. «Erano già andati via.»

«Capisco. Quindi, mentre erano qui, vi siete semplicemente limitati a non dire una parola riguardo al gioco e al tabulato dei movimenti registrati.» Terminò di distribuire i taccuini e sprofondò in una poltrona scura come la notte. Era così soffice, così comoda, quasi sensuale, tanto che dovette resistere all’istinto di accarezzarne il bracciolo. «Dove vi trovavate quando fu presa la decisione di cancellare tutto ciò che aveva a che fare col gioco?»

«Nella biblioteca» rispose Alexander. «Dicevano che avrebbero mandato qualcuno da Portland, un investigatore speciale, e che dovevamo restare tutti qui finché non ci avesse interrogato. Abbiamo indetto una riunione, ma non sapevamo quale fosse la nostra posizione legale, cioè quella della società.»

Charlie annuì con aria comprensiva. «Immagino. Quindi vi siete seduti al grande tavolo per le riunioni, da dove Mrs Ramos ha preso i taccuini, credo, e qualcuno ha detto: "Sbarazziamoci di ogni prova che riguardi il gioco". È andata così?»

«Lo sa che non è andata così!» gridò Laura Westerman con una voce stridula. «Nessuno ha mai pensato di cancellare delle prove di qualcosa che non fosse semplice stupidità. Io dissi che saremmo finiti su tutte le prime pagine dei settimanali scandalistici del paese. Saremmo stati ridicolizzati.»

«Credo che lei avesse ragione» ne convenne Charlie, e aspettò che qualcuno riprendesse il racconto.

Jake si strinse nelle spalle. «Forse sono stato io a suggerirlo, non lo ricordo, ma ricordo che all’improvviso ne parlavamo tutti. Mi ricordo anche che la polizia aveva preso il dischetto con i nostri movimenti dal programma di sicurezza di Smart House, un programma completamente diverso da quello del gioco. Noi però eravamo convinti che i nostri movimenti fossero stati registrati su quel dischetto, perlomeno è quello che pensavo io» aggiunse in modo perentorio. «Durante la riunione in cui si è discusso di lei, abbiamo deciso di fornirle uno stampato dei dati prelevati dalla polizia.» Guardò Milton con aria interrogativa e Milton annuì.

«Ce l’ho infatti» ammise Charlie. «Ma se Gary aveva una unità di controllo manuale mi domando quanto quello stampato possa essere accurato. A ogni modo, tornando alla simulazione del gioco, vorrei che cercaste di ricordare qualsiasi vostro movimento che abbia attinenza col gioco. Quando avete saputo qual era la vostra vittima, quando avete preso l’arma, quale arma avete scelto, quando e se l’avete usata.»

«A cominciare da che momento?» domandò Harry. «Io, per esempio, non sono in grado di fornirle un resoconto minuzioso di tutti i miei movimenti nell’arco delle ventiquattr’ore. Chi potrebbe farlo?»

«Per adesso mi interessano solo quelli più significativi» rispose Charlie tranquillizzandolo. «La vittima, il testimone, l’arma, l’ora. Sarete sorpresi nel constatare quante cose vi torneranno alla mente se davvero darete inizio a questo processo.»

«Che differenza fa?» insistette Harry. «Anche questo non ha alcun senso!»

Charlie lo guardò con un’espressione calma. «Qualcuno stava giocando per una posta molto alta. Qualcuno ha trovato i computer portatili e li ha usati. Lei sa chi è, Harry? Uno di voi lo sa sicuramente e altri sanno più di quello che lei crede. Se qui c’è un assassino, uno di voi o più di uno ha visto abbastanza da poter indicare di chi si tratta.»

«Mio Dio!» gemette Beth. «Durante il gioco ci siamo comportati come dei paranoici, ma questo… questo è mostruoso!»

«L’omicidio è qualcosa di mostruoso» ribatté Charlie, e passò in rassegna i loro volti osservandoli freddamente. Maddie era pallida come un cencio, le mani le tremavano troppo per riuscire a reggere una matita, del caffè o qualsiasi altra cosa. Alle parole di Charlie Laura aveva stretto il braccio del marito, ma Harry l’aveva allontanata con una scrollata e ora si fissava le scarpe con uno sguardo arcigno e lontano. Jake osservava attentamente Charlie e la sua espressione era distaccata e indecifrabile. Alexander rigirava la matita tra le dita, ne mordicchiava la gomma e ritornava a farla roteare. Solo Milton Sweetwater aveva un’aria rassegnata. Fu lui a rompere il silenzio.

«Charlie, quali sono i suoi sospetti? Cosa sa?» domandò.

«So che fin dall’inizio del gioco c’è qualcosa che non quadra nella lista dei movimenti. Se non aveste occultato delle prove alla polizia se ne sarebbero accorti anche loro. Venerdì sera Gary vi ha radunati tutti qui, vi ha descritto brevemente le regole del gioco ed è uscito dalla stanza. Il tabulato mostra che è salito in ascensore ed è andato in camera, dove sembrerebbe essere rimasto tutta la sera dal momento che non è più stata registrata alcuna uscita. In realtà però ho verificato che più tardi si trovava al primo piano, tutto preso dal gioco e dal tentativo di uccidere Bruce.» Charlie rise in maniera stridula. «Una magia. Sul tabulato risulta che quella sera è rientrato in camera una seconda volta.» Charlie li guardò nuovamente. Erano tutti immobili. «A meno che abbiate dei cloni segreti di cui non vi siete ancora dati la pena di informarmi, il sistema non ha registrato tutti i suoi movimenti, oppure è riuscito a mettere a segno un numero acrobatico praticamente impossibile. La polizia non ha chiesto di vedere l’intero tabulato?»

Alexander scosse la testa. La matita si spezzò all’improvviso tra le sue dita con un crac quasi assordante. Il ragazzo si schiarì la voce. «Non ho mai visto il tabulato completo. A nessuno è venuto in mente di risalire fino a venerdì, a cosa sarebbe servito? La polizia ha chiesto di avere il tabulato dei movimenti a partire da sabato dopo cena fino al momento del loro arrivo. Nessuno ha chiesto dei movimenti avvenuti prima di allora, perché avrebbero dovuto farlo?»

«Esattamente» rispose con ironia Charlie.

Harry balzò in piedi, scagliò per terra il blocco per gli appunti e guardò Jake con un’espressione furente. «È tutta una stramaledetta bugia! Quella registrazione non significa un accidente di niente! La prova che non c’era nessuno in ascensore con Rich, che Gary era solo nella Jacuzzi! Non significa niente! È tutta una stramaledetta bugia! Guardate cosa è successo a non dire niente su quel dannato gioco!»

«Il programma è pieno di errori» disse con rabbia Bruce. «Lo sapevo! Quel bastardo! Quel maledetto bastardo! Tutti soldi buttati al vento! Il programma è totalmente inaffidabile! Lo sapevo fin dall’inizio.»

«Non è vero!» gridò Alexander, balzando in piedi con i pugni serrati. «Un conto è se Gary l’ha disattivato, ma il programma non ha fatto errori né ha mentito. Maledizione, funziona!» urlò con voce stridula.

Constance li stava osservando. Quando Maddie prese un bel respiro e si alzò, lei fece altrettanto.

«Non mi sento molto bene» disse Maddie con un filo di voce. «Vado a sdraiarmi un po’.»

«Lasci che l’accompagni» le propose Constance. «Devo salire anch’io in camera per qualche minuto.»

Maddie e Constance lasciarono la stanza accompagnate dalla scia delle voci impegnate in un’animata discussione. Quando si aggiunse anche la voce acuta di Laura, Constance si chiese se Charlie non li avesse messi un po’ troppo sotto pressione. Constance gli aveva trasmesso con lo sguardo che avrebbe cercato di far parlare Maddie, e Charlie le aveva risposto con un cenno talmente veloce e impercettibile da dare a Constance la certezza che fosse passato inosservato agli occhi altrui. Tutti quei geni si erano comportati esattamente come Charlie aveva previsto, e ora lui si sarebbe seduto comodamente a osservare e ad ascoltare. Al momento giusto, poi, li avrebbe nuovamente punzecchiati fino a farli confessare o ricordare qualcosa di interessante. Maddie imboccò le scale senza esitazione e cominciò a salire. Sembrava che in quella casa nessuno volesse proprio prendere l’ascensore.

A metà della rampa, lontano da occhi e orecchie indiscrete, Constance disse: «Mrs Elringer, può smettere di recitare adesso.»

Maddie si fermò e la guardò in modo pungente.

«Mi riferisco alla sceneggiata del bere» spiegò Constance. Le prese il braccio e ricominciarono a salire. «L’ho osservata tutta la sera. Direi che non ha assunto più alcol di quanto ne abbia assunto io.»

«Tutti continuano a chiedermi di prendere posizione» disse Maddie a bassa voce. «Gary è morto da meno di tre mesi e loro si azzuffano come cani. Proprio come cani.»

Constance annuì. «Finché credono che sia sotto l’effetto dell’alcol la lasciano in pace, vero?»

«Credo di sì» ammise Maddie.

«Possiamo parlare qualche minuto?»

«Sono davvero stanca» rispose. Si fermarono davanti a una porta e la donna posò la mano sul pomo.

«Ed è anche terrorizzata» aggiunse gentilmente Constance. «Forse dovrebbe sfogarsi un po’.»

Il viso di Maddie si corrugò e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Constance le passò davanti per aprire la porta, ed entrarono nella camera da letto.

«Avrebbe dovuto essere figlio unico» disse Maddie qualche minuto dopo. La donna era andata in bagno a sciacquarsi la faccia e si era seduta su una delle poltroncine davanti al tavolino e alla vetrata. Constance era seduta di fronte a lei. Le tende erano tirate, la stanza illuminata solo da una fioca lampada a muro. «Era un bambino difficile. Molto difficile. Naturalmente anche molto precoce, ma Bruce… Aveva solo sei anni e non poteva capirlo. Mi dicono che sia una brutta età per accettare l’arrivo di un fratellino. Con la sua intelligenza vivace era stato per tanto tempo coccolato da tutta la famiglia poi, all’improvviso, è arrivato qualcuno ancora più in gamba di lui. Sin dall’età di tre o quattro anni non c’era una sola cosa che Gary non potesse fare meglio di Bruce. All’inizio era allo stesso livello del fratello maggiore ma poi lo superò in tutti i campi. Litigavano continuamente, i viaggi in macchina erano un inferno e restare a casa con loro due era anche peggio.» Scosse la testa, gli occhi chiusi, la fronte corrucciata.

«Non si rendeva conto di quanto potesse far soffrire la gente» continuò. «Suo padre, me, Bruce, poi Beth e alla fine tutti quanti. Non lo faceva apposta né per cattiveria. Semplicemente non se ne rendeva conto. Prendeva dalla gente quello che gli serviva, e quando aveva ottenuto ciò che voleva voltava loro le spalle senza esitazione.»

Sospirò profondamente e divenne immobile, avvolta da ricordi che le facevano assumere una smorfia di dolore. «Però gli siete rimasti tutti fedeli» disse Constance dopo un istante. «Vi siete messi in affari con lui, avete continuato a proteggerlo anche dopo che era diventato adulto.»

«Era anche così vulnerabile» si giustificò Maddie. «Non si accorgeva delle conseguenze che le sue scelte avevano sulle persone. Quella sera, quando ha tirato fuori la storia del gioco, era sincero. Per lui si trattava solo di un gioco. Avevo avuto una premonizione» disse quasi in un sussurro. «Non credo alle premonizioni, ma d’un tratto ho sentito distintamente che quel gioco sarebbe finito in una tragedia. Ne ho avuto la netta sensazione. Tutti erano risentiti e dentro di loro desideravano che fosse Gary la loro vittima. Ma non fu solo questo. Provai anche un sentimento di orrore, e dissi che non volevo saperne di partecipare al gioco. E così feci. Stasera, quando suo marito ha cominciato a parlare di nuovo del gioco, ho rivissuto quel terribile sentimento di orrore, di terrore.»

Quando Constance ritornò in soggiorno, Charlie la fissò con aria interrogativa.

«Sta riposando.»

Si mandarono alcuni messaggi con gli occhi, poi Charlie annuì leggermente e lei andò alla credenza per un caffè. A quanto pareva gli altri erano ancora tutti presenti. C’erano fogli di taccuino sparsi sui tavoli, sul pavimento accanto alle sedie, sul tavolino basso che Charlie utilizzava come piano di lavoro. Non fu affatto sorpresa nel vedere che stavano seguendo la proposta di Charlie.

«Bene» disse Charlie consultando gli appunti. «È l’una passata. Gary ha appena cercato di ucciderla ma vostra madre non può testimoniare perché non partecipa al gioco. Giusto?»

L’espressione di Bruce tradiva la sua impazienza, rispose di sì con una specie di gemito. Constance lo osservava e si chiese se avesse sviluppato quell’atteggiamento come reazione alla genialità del fratello. Si trattava del vero Bruce o dell’uomo che gridava, imprecava e urlava turpitudini un po’ a casaccio?

«Jake non collaborò» proseguì Bruce. «Quando capì cosa stava per fare Gary si allontanò.»

Jake annuì e prese appunti sul foglio. Anche Beth scrisse qualcosa. Quando anche Bruce ebbe terminato di scrivere, ognuno consegnò i propri appunti a Charlie che li aggiunse alla crescente pila di fogli.

«Qualcun altro vuole aggiungere qualcosa?» Non intervenne nessuno, allora Charlie chiese a Jake: «Perché non ha voluto testimoniare a favore di Gary?»

«Avevo cominciato a intuire l’importanza di ciò che Gary aveva realizzato con Smart House e volevo parlargli, seriamente però, non col gioco di mezzo. Quella sera pensavo che stessimo andando a discutere da qualche parte, ma sulla porta della sala tv Gary vide Bruce e disse qualcosa tipo: "Preso". Mi resi conto che sarei stato il testimone e, sinceramente, decisi di non aiutare Gary a vincere il gioco se potevo evitarlo, così mi allontanai.»

«Dov’è andato?»

«In giardino a prendere qualcosa da bere prima di andare a letto e poi in camera con il bicchiere.»

«Non ha più incontrato Gary quella sera?»

Jake scosse la testa.

Charlie si voltò nuovamente verso Bruce. «E lei dov’è andato?»

«Volevo andare in cucina a mangiare qualcosa, ma Gary continuava a venirmi dietro e a urlare così ho preso l’ascensore, sono andato in camera mia e lì sono rimasto. A quel punto penso che Gary si sia diretto in cucina.»

Charlie aprì il tabulato sul tavolo e corrugò la fronte. Picchiettò la gomma sui fogli con aria assente e disse: «Secondo il tabulato ufficiale Gary si è ritirato nella sua camera al secondo piano alle dieci e dieci di venerdì sera e non è più uscito. Risulta inoltre che è andato in cucina all’una e venticinque, e anche in questo caso non ne è più uscito. Forse le sue regole erano diverse da quelle che seguivate voi.»

«E cosa risulta quando ha preso quel dannato pugnale?» domandò Bruce alzandosi e avvicinandosi alle spalle di Charlie per consultare il tabulato.

Charlie scosse la testa. «Nulla.» Guardò Alexander con un’aria assorta. «Potrebbe aver programmato il computer in modo che cancellasse determinate funzioni, permettendogli comunque di aprire le porte?»

Alexander dovette ammettere miseramente di sì.

«D’accordo. Potrebbe aver programmato il computer in modo che non registrasse i suoi movimenti quand’era con un’altra persona, in questo caso Jake, per esempio?»

Alexander annuì.

«Non ne sono convinto» protestò Jake. «Insomma, anche se fosse stato in grado, perché farlo? Per l’amor del cielo, si trattava di un gioco! A cosa gli sarebbe servito programmare un gioco come questo e poi imbrogliare?»

«Non lo so» rispose Charlie. «Qualcun altro avrebbe potuto fornire al programma le stesse istruzioni, Alexander?»

Il ragazzo impallidì poi arrossì violentemente. «Sì. Io, o Rich. Nessuno conosceva ancora il programma, quantomeno nessuna delle persone che erano qui. A Palo Alto c’era un paio di tecnici che avevano lavorato al programma e anche loro avrebbero potuto modificarlo.»

«D’accordo» disse Charlie nel tono più cordiale possibile, il tono che a volte faceva rabbrividire Constance. «Siamo arrivati al momento in cui vi trovate tutti al sicuro nelle vostre stanze e nessuno sa dove sia Gary. Dopo cosa è successo?»

«Ha davvero intenzione di farci ripercorrere ogni minuto?» domandò Laura incredula. «È una follia. Che differenza fa?»

«Non so rispondere a questa domanda» ammise tranquillamente Charlie. «Visto che ha capito perfettamente quello che voglio fare, potrebbe sveltire l’operazione cercando di fornirci le informazioni riguardo al tempo mancante, evitandoci la fatica di ricostruirlo secondo per secondo? Ripensi a quando e dove è stata uccisa, chi l’ha uccisa e chi ha testimoniato. A quel punto faccia mente locale su ciò che è accaduto prima e poi prosegua la sua ricostruzione. Se quella sera non c’è stata nessun’altra attività andiamo avanti e passiamo al mattino seguente.»

Minuto dopo minuto, incontro dopo incontro, Charlie li condusse attraverso quella giornata di maggio. Di tanto in tanto interrompeva qualcuno per porre una domanda, ma per la maggior parte del tempo si limitò ad ascoltare. Quando Beth menzionò le copie cianografiche viste il sabato sul tavolo accanto a Rich Schoen, Charlie la interruppe.

«Immagino che Rich avesse nascosto il bastone di gommapiuma dentro ai fogli arrotolati» disse Beth. «È stata l’arma che poi ha usato su Gary.»

«Dove sono ora le copie cianografiche?»

Vi fu uno scambio di sguardi, poi Milton Sweetwater si strinse nelle spalle e disse: «Presumibilmente in uno degli uffici.»

«Rich li portò qui dall’ufficio di Palo Alto» spiegò Alexander. «Ce li avrebbe mostrati alla riunione di lunedì. Di solito li teneva là, non più a Smart House, ma non so dove siano adesso.»

Charlie annuì e lasciò che continuassero a descrivere il pomeriggio di sabato.

Poco dopo intervenne nuovamente. «Fino a questo momento nessuno ha riferito di aver incontrato Gary. Era normale alle tre del pomeriggio?»

Beth annuì. «Stava sveglio quasi tutta la notte, non si alzava mai prima di mezzogiorno o l’una e gli piaceva fare colazione da solo. Non mi ha allarmata il fatto di non vederlo in giro.»

«È per questo che cenavamo alle sette» disse Laura con un sorriso sarcastico. «Gary voleva che la cena finisse entro le nove così poteva rimettersi a lavorare.»

Proseguirono raccontando le loro avventure come assassini e come vittime, finché non arrivarono al momento in cui si erano ritrovati per l’aperitivo. A quel punto Charlie li interruppe.

«Basta così, è tardi» disse. «Per favore, consegnatemi i fogli se avete delle annotazioni sull’orario o delle osservazioni di qualsiasi genere. Finiremo domani.»

«Era quasi mezzanotte.»

9

Beth lo fissò costernata. "Dovevano sospendere tutto proprio adesso?" Si guardò attorno. Jake e Milton confabulavano a bassa voce. Bruce si aggirava per la stanza mentre Charlie radunava i fogli. Laura si era alzata per andarsene, ma poi sembrava essersi accorta che nessuno aveva intenzione di lasciare la stanza, allora aveva raggiunto Harry vicino alla credenza. Harry sembrava teso come una corda di violino, sarebbe bastato sfiorarlo per far esplodere tutta la sua tensione. Laura si tenne a debita distanza evitando di toccarlo.

Charlie diede uno sguardo ai presenti e raccolse i fogli alla rinfusa. Constance non si era mossa dalla poltrona.

D’un tratto Jake e Milton smisero di parlare e si avvicinarono a Charlie. «Charlie, è evidente, quantomeno a me» disse Milton con un tono autoritario «che è giunto alla conclusione che si sia trattato di un delitto, che quelle due morti non siano state accidentali.» Rimasero tutti immobili. «Se stasera lei se la sente di continuare, la esorto caldamente a farlo. Se dovrà saltar fuori qualcosa da questa storia, è meglio che mettiamo tutto in chiaro stasera. Se tra noi c’è un assassino e qualcuno lo ha visto fare qualcosa di sospetto, quella persona potrebbe essere in pericolo. Io, per esempio, ho intenzione di chiudere in qualche modo la porta della mia stanza stanotte.»

«Sono assolutamente d’accordo» gli fece eco Jake. «È riuscito a spaventarci a morte stasera» disse con calma. «Non voglio lasciare tutto in sospeso.»

Charlie sollevò entrambe le mani. «Per me va bene. Qualcuno ha qualcosa in contrario?» Non si fece avanti nessuno. «Facciamo una pausa, diciamo una ventina di minuti. Potremmo preparare dell’altro caffè e magari dei panini. Forse durante la pausa potreste annotare i particolari delle successive uccisioni, il nome della vittima, l’arma, il testimone, le altre vittime, l’orario e tutto ciò che può essere pertinente. In questo modo guadagneremo tempo. Alexander, nel frattempo le spiacerebbe mostrarci dove lavorava Rich Schoen quand’era a Smart House? Aveva un suo ufficio?»

Alexander balzò in piedi, sollevato all’idea di poter fare qualcosa. Ma, prima che avesse il tempo di rispondere, Harry disse: «Sappiamo tutti fin troppo bene che Rich non si sarebbe lasciato soffocare in quell’ascensore senza reagire. E il fatto che uno di noi potesse essere un assassino sono tutte palle! Sapevamo anche questo. Lo abbiamo sempre saputo» disse con un tono severo «e abbiamo scelto di far finta di niente.» Guardò Jake scuotendo amaramente la testa. «Esiste un luogo però dove l’aria può essere aspirata in pochi secondi: le zone destinate alla coltivazione con la tecnica della polivasatura all’interno della serra. Sono state progettate per essere a tenuta stagna con un sistema di scarico, un impianto per l’aspirazione di gas.»

«Ci ho pensato» replicò Jake con un certo disappunto. «Il problema è lo stesso. Perché Rich avrebbe dovuto restarsene lì mentre qualcuno si avvicinava e armeggiava con la valvola del gas o digitava comandi sulla tastiera del computer o chissà che altro? L’ha progettata lui! Sapeva cosa poteva fare!»

«Ma se l’assassino aveva il computer portatile, avrebbe potuto controllare anche ogni funzione della serra. Sarebbe bastato premere un pulsante per farlo» obiettò Harry. «Ricordati che quella notte è stato immesso del pesticida nella serra, le coltivazioni sono andate distrutte. Penso che l’assassino lo abbia fatto per depistare le indagini. Forse Rich ha reagito ma sarebbe stato impossibile verificarlo dopo i terribili effetti del veleno nella serra.»

Charlie si voltò verso Alexander.

Il ragazzo annuì sconsolato. «Sì, il computer portatile avrebbe potuto essere programmato per fare una cosa simile.» E aggiunse quasi in tono lamentoso: «Ma ci sarebbe voluto del tempo. Del tempo per imparare il sistema, il linguaggio, il programma che regolava quella funzione. Non sarebbe stato come accendere o spegnere l’interruttore di una luce.»

«Per Gary sarebbe stato esattamente così» aggiunse a bassa voce Harry. «Chi, più di lui, poteva avere il tempo per programmare tutto quello che voleva? Con chi altro potrebbe essere andato nella camera di coltivazione?»

«Oddio!» sussurrò Beth. «Gary? Perché?»

«Non lo so perché, ma chi altro avrebbe potuto predisporre in anticipo ogni cosa? Solo tre persone: Rich, Gary o Alexander.»

Alexander guardò alternativamente Harry e Charlie con un’espressione confusa. Il suo volto si contorse in una smorfia come se stesse per scoppiare a piangere. «Non siamo stati noi» disse scuotendo la testa. «Perché distruggere il nostro unico sogno? Rovinare tutto quello per cui avevamo lavorato?» E scosse la testa con convinzione.

«E poi il nostro straordinario e atletico Gary ha sollevato Rich di peso e lo ha portato in casa percorrendo tutto il corridoio, nella speranza che nessuno lo vedesse trasportare un cadavere di ottantacinque chili» disse Jake con sarcasmo. «Lo ha messo nell’ascensore ed è andato a gettarsi nella Jacuzzi per il rimorso prendendosi la briga di coprire la vasca in modo che la sua vista non risultasse sgradevole per nessuno. Tanto per confondere ulteriormente la situazione, durante il percorso ha fatto in modo di sbarazzarsi dei computerini.» Jake si avviò verso la porta. «Mi offro volontario per preparare il caffè e i panini, ma voglio che un testimone controlli che io non aggiunga dell’arsenico nella zuccheriera.»

«Non è divertente!» gli gridò Laura. «Hai un’idea migliore per spiegare quello che è successo? Almeno Harry ci sta provando.»

«Stai zitta!» le intimò Harry senza neanche guardarla in faccia.

Charlie indicò con un gesto la porta, Constance si alzò e uscì con lui e Alexander.

«È una situazione orribile» disse Alexander accigliato. «Peggiore di quanto mi aspettassi.»

«Lei dice?» domandò Charlie. «A me sembrava che stesse andando tutto abbastanza bene» aggiunse con un sorriso.

Alexander lo guardò allibito con un’aria di riprovazione. "Così giovane" pensò Constance "così intelligente e così ingenuo."

«Ti do una mano per il caffè» propose Beth a Jake. «Ammesso che riusciamo a trovarlo.»

«Vengo anch’io» disse Laura. «So dov’è.»

«Penso che tu sappia troppe cose di Smart House» disse d’un tratto Bruce. «E le sapevi sin dalla scorsa primavera. Eri già stata qui, vero? Alla fine ci sei riuscita ad accalappiare Gary, non è così?»

Laura gli lanciò uno sguardo carico di odio. Prima che avesse il tempo di rispondere, Milton la prese bruscamente per un braccio e la costrinse a distogliere lo sguardo da Bruce. «Vorrei scambiare due parole con te» le disse.

Beth si ritrovò a osservare Harry. Era impassibile come un pezzo di metallo e così anche il suo sguardo. Gli accadeva quando c’era Laura di mezzo, pensò Beth con un brivido. In qualche modo riusciva ad astrarsi. Si trasformava in un pezzo di ferro o in qualche altro metallo freddo e scuro che non lasciava trapelare nulla dei propri sentimenti. Bruce lanciò un’occhiata astiosa a Laura e Milton, si voltò di scatto come se volesse cercare un altro bersaglio su cui sfogare la propria ira ma incontrò lo sguardo granitico di Harry. Bruce si fermò di colpo e, dopo un istante, lasciò il soggiorno in silenzio. Beth esaminò nuovamente il volto di Harry, e capì che se l’avesse guardata con quell’espressione sarebbe fuggita anche lei. Non che avesse un aspetto particolarmente minaccioso, pensò, era qualcosa di peggio. Aveva un che di disumano.

Beth si accorse con sorpresa di essere dispiaciuta per Harry. Non le era mai piaciuto, le era sempre sembrato troppo brusco, troppo determinato, eppure ora gli faceva pena. Nessuno avrebbe dovuto essere costretto a rifugiarsi in un atteggiamento tanto disumano. Si ritrovò a chiedersi cosa provasse Harry quando era felice, quando stava per raggiungere la vetta di una nuova montagna e sapeva di avercela fatta. Beth non aveva mai conosciuto quell’aspetto del suo carattere.

Jake le sfiorò il braccio e Beth si allontanò con lui.

«Nei prossimi giorni verranno fuori molte cose spiacevoli» disse Jake a bassa voce mentre si avvicinavano alla cucina. «Capisco che sia necessario, e suppongo che non se ne possa fare a meno, ma mi dispiace che sia avvenuto in questo modo.»

Beth scosse la testa. «Non c’è problema. Lo sapevo già.» Lo sapeva. Non ne conosceva i dettagli, come quando era iniziata o da quanto tempo andava avanti, ma lo sapeva. «Però hai ragione» disse. «Ora le cose verranno tutte fuori. Ricorderemo particolari che avevamo dimenticato, li vedremo sotto una nuova luce. Charlie incute un po’ di paura, vero?»

«È intelligente, sa cosa sta facendo.»

Si erano fermati davanti alla porta della cucina. Beth lo guardò e disse quasi in tono di scusa: «Mentre ripensavo al gioco mi sono ricordata di quanto ero arrabbiata con te, non per il fatto che mi avessi uccisa, ma perché ti stavi divertendo.»

Jake si fece serio e pensieroso. «È vero, avevi ragione tu, Maddie e persino Harry. Quella sera, quando ci siamo incontrati in corridoio e abbiamo sceso insieme le scale, ero muto come un liceale il primo giorno di scuola. Pensavo che ce l’avessi ancora con me, mentre io ero tutto eccitato per la casa e per il gioco che mi stava davvero divertendo.»

Beth accennò un sorriso al ricordo di quanto fosse stato formale e impacciato il loro breve incontro, e rammentò il sollievo provato quando Jake se n’era andato lasciandola in mezzo al grande corridoio vicino alla sala tv.

«E poi abbiamo sentito la risata di Gary» disse Jake con una voce più roca. «Forza, cerchiamo il caffè e tutto il resto.»

«Mi parli di Rich» chiese Charlie ad Alexander mentre si dirigevano nell’ufficio di Rich. Era stato faticoso ma alla fine Alexander aveva raccontato loro qualcosa esprimendosi con esitazione, incespicando nelle frasi e lottando disperatamente con le parole. Raccontò del gruppo che Gary aveva cominciato a mettere assieme oltre cinque anni prima. Constance lo guardò in modo penetrante e Alexander si strinse nelle spalle.

«Andavo ancora all’università quando Gary ebbe l’intuizione di Smart House» disse. «Un sistema integrato che si serve di entrambi i tipi di computer…»

«Basta parlare di computer» lo interruppe Charlie. «Ha detto che Gary formò un gruppo di lavoro. Continui da lì.»

«D’accordo, ma quella è l’idea di base… Va bene. Rich era a capo di uno studio per lo sviluppo di un particolare CAD, un programma di disegno e progettazione per architetti» si affrettò a spiegare. «I giornali avevano parlato di lui, così Gary lo chiamò, si incontrarono, parlarono e Rich si unì al gruppo. Gary gli diede anche una percentuale delle sue azioni perché sapeva che, con l’andare del tempo, il denaro sarebbe scarseggiato, e voleva essere sicuro che Rich non mollasse tutto se la situazione si fosse complicata. Non sarebbe stato necessario, ma Gary era fatto così. Anche a me diede una percentuale di azioni, quando entrai nella squadra. Mi disse che lo faceva perché gli altri avrebbero potuto cercare di estrometterci, di smantellare la squadra, una volta scoperto cosa aveva in mente. In questo modo, invece, non sarebbero riusciti a farlo.»

«D’accordo, ho capito. Ormai la casa era quasi finita, il lavoro di Rich stava per terminare, cosa aveva intenzione di fare Gary?»

Il tormento di Alexander aumentò, e la sua voce divenne poco più di un sussurro. «Questo era un vero problema.» Li condusse attraverso il seminterrato, davanti alla vistosa sala giochi, i tavoli da biliardo e i vari trastulli. Mentre percorreva la stanza Alexander passò la mano sulle superfici lucide dei tavoli da gioco senza soffermarsi a guardarli. «Inizialmente l’intenzione era di costruire Smart House e di mostrarla a gente del settore alberghiero, turistico, a operatori immobiliari, a imprenditori edili. Potevano comprare l’intero sistema o solo una parte. Sarebbe stato Rich a occuparsi di tutto questo, avrebbe assemblato programmi nati separati o li avrebbe integrati a seconda delle necessità. Gary però continuava a cambiare strategia, perché detestava l’idea che gruppi di persone venissero a Smart House per le dimostrazioni. Decise che, quando sarebbe arrivato il momento, Beth avrebbe potuto accompagnare i gruppi durante le dimostrazioni. Odiava le persone che non conosceva e non voleva occuparsi minimamente di questo aspetto, però amava lavorare ai suoi progetti in questa casa. Sembrava convinto di poter continuare a occuparsi solo di questo, evitando contatti con chiunque.»

«E lei? Anche lei si occupava dell’intelligenza artificiale, vero?»

«Sì, insieme a Gary.» Indicò una porta con un ampio gesto. «È lì che Rich aveva il suo ufficio.»

Come le altre stanze, anche quella era spaziosa, corredata di numerosi computer, tavoli da disegno, larghi scaffali per conservare copie cianografiche, contenitori verticali per materiale da disegno. Una delle stampanti più grandi che Constance avesse mai visto era collegata a un computer. Tutto era minuziosamente ordinato, come se da mesi nessuno avesse più toccato nulla, cosa peraltro assai probabile, pensò Constance osservando ogni cosa. Nessun oggetto personale di Rich era visibile, non c’era nulla di umano. Avrebbe potuto essere una stanza allestita per un’esposizione, il perfetto ambiente di lavoro di un architetto. Constance guardò Charlie. «Comincio da là» disse la donna indicando la parete di destra attrezzata con scaffali su cui erano posate ordinatamente pile di carta millimetrata.

Per un attimo Alexander parve perplesso poi annuì. «State cercando le copie cianografiche?»

«Esatto» rispose Charlie.

«Non penso che siano qui.»

«Nemmeno io, ma da dove le deriva questa convinzione?»

«Si è presentato un avvocato per prendere le cose di Rich. Sa, per definire le questioni patrimoniali. Se le copie cianografiche fossero state qui le avrei trovate, e sarebbero state rispedite a Palo Alto, all’ufficio principale, dove sono conservate le altre copie. Invece non le abbiamo trovate. Certo, non le abbiamo nemmeno cercate accuratamente, a me non è proprio venuto in mente di farlo. Insomma, chi può aver bisogno delle copie cianografiche dopo che la casa è stata costruita? E poi ce ne sarà almeno una dozzina di copie.»

«Ottima spiegazione» disse Charlie, afferrò il braccio di Alexander e lo condusse alla porta. «Grazie ancora per averci fatto da guida. Ora torni su, d’accordo? Noi la raggiungeremo tra pochi minuti.» Charlie non arrivò a dirgli: "E ora fila via" ma il tono era esattamente quello. Alexander arrossì e si allontanò velocemente. Non appena Charlie chiuse la porta prese Constance tra le braccia e annusò il profumo dei suoi capelli. «Mi sei mancata» le disse. «Sei riuscita a sapere qualcosa dalla mammina?»

Constance rise amabilmente e lo allontanò con una leggera spinta. «Questa è una mossa astuta e sleale. E io che pensavo fosse una manifestazione d’affetto!»

Charlie l’avvicinò nuovamente a sé e la baciò. «Chi ha detto che amore e affari non vanno d’accordo? È una bugia. Raccontami tutto.»

Constance rise. «Proprio come diciamo noi del mestiere!»

Quando ritornarono in soggiorno trovarono un vassoio di panini su un tavolo basso e la caffettiera nuovamente piena. Charlie osservò gli ospiti di Smart House. Maddie era tornata. Era pallida, aveva il viso raggrinzito di chi si è appena svegliata, ma sembrava tranquilla e vigile. Gli altri stavano quasi tutti mangiando, bevendo caffè o alcolici. Charlie aspettò che si mettessero di nuovo a sedere.

«Allora» esordì energicamente. «Siamo arrivati a sabato sera, all’ora dell’aperitivo. E dopo?» Non si fece avanti nessuno. «Siete rimasti in gruppo per non essere uccisi finché è arrivata l’ora di cena. Poi cosa è successo?»

Bruce si schiarì la voce. Aveva un aspetto ancora più disordinato, come se si fosse scompigliato i ricci di proposito per farli stare sollevati. I polsini del maglione erano particolarmente allungati, con una manica tirata su sopra il gomito e l’altra fino alla punta delle dita. Sembrava imbronciato. «Probabilmente sono stato io il primo» borbottò. «Rich mi ha ucciso con un serpente velenoso messo dentro al secchiello del ghiaccio nel bar del giardino. Milton ha testimoniato.»

«A che ora?»

«Intorno alle dieci» rispose Milton. «Abbiamo registrato l’evento, poi sono andato in biblioteca.»

Charlie si rivolse a Bruce. «È rimasto lì con Rich?»

«Solo per qualche minuto. Poi Rich è andato via, immagino in camera a vedere chi fosse la sua nuova vittima e poi a prendere un’altra arma. Io ho finito di bere, sono andato a parlare con Alexander nel seminterrato e poi in cucina.»

«Chi è stata la vittima successiva?»

«Io, credo» rispose Milton dopo una breve pausa. «Sono andato in ascensore nel seminterrato per prendere un’arma alle dieci e dieci. Ho sentito Rich e Jake parlare, ma la porta dell’ufficio di Gary è stata chiusa quando mi sono avvicinato. Sono andato nella sala esposizione e quando sono uscito ho trovato Rich davanti all’ascensore. Mi sono assicurato che non ci fosse nessun altro e siamo saliti insieme.»

Charlie guardò Jake. «E lei dov’è andato?»

Jake diede uno sguardo agli appunti che aveva preso, poi disse con prontezza: «Ho aspettato che fossero saliti, poi sono andato nella mia stanza passando per le scale. Avevo capito che Milton doveva aver preso un’arma, mentre io non sapevo ancora nemmeno chi fosse la mia nuova vittima.» Allargò le braccia e aggiunse: «Si trattava di Rich.»

«In che modo Rich ha aperto la porta dell’ufficio di Gary? La chiusura era computerizzata come quella delle altre porte?»

Jake parve confuso e scosse lentamente la testa. «Non ci ho fatto caso. Forse sì, ed era programmata perché Rich potesse aprirla.»

«Non lo era» si affrettò a dire Alexander. «Gary aveva detto di essere il solo ad averne accesso. Il programma era gestito dal computer che si trovava nell’ufficio, io non potevo nemmeno entrare nella stanza.»

Jake parve ancora più confuso e si strinse nelle spalle. «Non lo so. Ha semplicemente aperto la porta.»

Charlie annuì. «D’accordo.» Si voltò verso Bruce e disse gentilmente: «Ha lasciato Rich ed è andato nel seminterrato a parlare con Alexander, giusto?»

«Sì» rispose Bruce svogliatamente. «Volevo delle informazioni. Gary era scomparso e pensavo che fosse lui a manovrare tutto dal suo ufficio, non il computer.» Rivolse uno sguardo sospettoso ad Alexander che provò un terribile imbarazzo.

«Gary mi aveva avvertito che Bruce avrebbe cercato di farmi delle domande» disse in fretta e furia Alexander. «Mi disse di non raccontargli nulla. Ho fatto solo quello che mi aveva raccomandato Gary.»

«Non voleva nemmeno che entrassi in quel cazzo di laboratorio» disse Bruce infuriato. «Raccontavano tutto a tutti, mentre io non potevo entrare nemmeno nei loro uffici! Alexander continuava a spingermi verso la porta, verso il corridoio. Mi ha persino accompagnato alle scale cercando disperatamente Gary o Rich o qualcuno che lo salvasse da quella situazione. Erano le undici meno dieci e sapevo che presto Gary sarebbe andato a preparare quei dannati popcorn, così sono salito in cucina per aspettarlo. Quando arrivai, però, lui era già lì e stava prendendo l’occorrente, la macchina per i pop-corn, il granturco, il sale. Mi chiese se mi piaceva la sua casa-giocattolo, se mi stessi divertendo, ma quando gli dissi quello che pensavo si mise a ridere e uscì con la macchina da popcorn e tutto il resto.»

Charlie sollevò una mano. «Alle undici meno dieci quindi si trovava nel seminterrato. Diciamo che ci ha messo un minuto per salire le scale e arrivare in cucina. Per quanto tempo avete parlato lei e Gary?»

«Due, tre minuti. Non abbiamo parlato, ha riso di me, mi ha sbeffeggiato. Non è così che si parla. Stava vivendo il momento più bello della sua vita, una vera festa di compleanno.»

«Da che porta è uscito suo fratello?»

«Che cazzo di differenza fa?» gridò. Gli altri lo guardarono impassibili.

«Sarebbe bello capire come mai non l’abbia visto nessun altro quella sera» rifletté Charlie a voce alta. «Il corridoio principale è come una vasca per i pesci.»

«Mi sono messo tra lui e la porta che dava sul corridoio principale, Gary ha riso ancora più forte ed è uscito dall’altra porta, quella del corridoio sul retro della casa. Lo ha fatto camminando sulle sue gambe, di sua volontà!» Con uno sforzo visibile cercò di riprendere il controllo di sé. «Decisi di verificare cos’altro fosse stato comprato con i miei soldi» proseguì. «Stavo dando uno sguardo in giro quando mamma entrò in cucina e cominciò a gridarmi di tutto. Per quella sera ne avevo sentite abbastanza di stronzate, e così imboccai il corridoio sul retro diretto verso l’ascensore e la lasciai lì a gridare. Volevo salire in camera a dormire ma quel cazzo di ascensore non arrivava, così andai in bagno passando dallo spogliatoio, mi preparai qualcosa da bere nel bar del giardino e poi…» Si strofinò gli occhi e scosse la testa. «Non lo so, passai per la sala della colazione, poi andai in biblioteca. Harry arrivò subito dopo ma non avevo voglia di parlare, così uscii e mi avviai verso la sala tv. Gary era in giardino e la sua risata mi investì in pieno. Dissi qualcosa a Beth e lei scappò via. Non sopportavo quello stupido film dei Beatles, così ritornai in biblioteca. Milton era già lì e subito arrivò anche Jake.» Per la prima volta consultò il foglio di carta colmo di appunti dalla grafia piuttosto infantile, fece scorrere il dito sulla pagina e la gettò a terra. «Questo è tutto.»

Charlie annuì. «Grazie.»

Alexander continuava a piegare e ripiegare il foglio di carta che aveva in mano come se volesse vedere fino a quali minuscole dimensioni riusciva ad arrivare. «Bruce venne nel seminterrato» disse il ragazzo «e poi arrivò anche Harry. Da quel momento non vidi più nessuno né salii al piano di sopra. Avevo troppo lavoro da sbrigare, rimasi nel laboratorio tutta la sera.»

«Tutta la sera?» ripeté Charlie. «Non ha accompagnato Bruce alle scale?»

«Sì, ma non sono salito. Siamo rimasti lì per qualche minuto. Non voleva andarsene e lasciarmi in pace. Dovevo accompagnarlo, altrimenti non sarebbe più uscito dal mio laboratorio, dove poi sono tornato e sono rimasto.» Alexander aveva ridotto il foglio a un francobollo. Charlie pensò che di lì a poco il ragazzo avrebbe cominciato a sminuzzarlo. Quindi rivolse la propria attenzione a Jake.

«Facciamo un passo indietro. Quanto tempo rimase nell’ufficio dopo che Rich andò via?»

Jake prese il foglio con gli appunti. C’era un’unica riga scritta con una calligrafia chiara e ordinata. «Non mi sono spremuto troppo le meningi per cercare di ricordare» commentò ironicamente. «Aspettai che le porte dell’ascensore si fossero chiuse e non ci fosse più nessuno nei paraggi. Forse trascorse un minuto, ma non feci molta attenzione all’ora. Andai in camera mia, consultai il computer e, dopo aver visto che la mia nuova vittima era Rich, decisi di mettermi sulle sue tracce. Stavo giusto lasciando la stanza quando vidi Beth uscire dalla sua e scendemmo insieme le scale. Lei andò nella sala tv e io proseguii per la biblioteca. Quando udii la risata di Gary immaginai che ci fosse anche Rich da qualche parte, e la biblioteca era un posto come un altro per iniziare la mia ricerca. Mi sedetti in modo da poter tener d’occhio la porta, convinto che alla fine sarebbe entrato o passato da lì, ma mi sbagliavo. Ero ancora seduto in biblioteca quando Maddie trovò Rich morto nell’ascensore.»

«Ha visto che ora era quando è entrato in biblioteca?»

Jake annuì. «Le unici e un quarto. Guardai l’orologio e pensai che avrei aspettato Rich fino a mezzanotte, se per allora non si fosse fatto vedere sarei andato a letto.»

«Ottimo» disse Charlie. «Chiaro e conciso. Milton, lei invece salì in ascensore con Rich per andare a cercare Laura, giusto?»

L’atteggiamento di Milton era quello di un avvocato serio e professionale intento a studiare un cliente facoltoso. «Esattamente. Sapevo che Laura stava guardando un film e andai ad aspettarla. Erano le dieci e quarantacinque quando riuscii a ucciderla, Rich fu il testimone. Ci spostammo nella biblioteca per registrare l’uccisione e Rich se ne andò subito dopo. Ebbi l’impressione che avesse fretta. Io e Laura invece ci trattenemmo a parlare qualche secondo.» Milton si schiarì la voce, guardò Laura e aggiunse tranquillamente: «Ci accordammo per vederci sul tetto alle undici. Rimasi nella biblioteca fino all’ora dell’appuntamento, poi mi avviai su per le scale e incontrai Laura. Sul tetto parlammo per circa dieci minuti. L’ascensore era occupato così scendemmo a piedi. Laura ritornò nella sala tv e io in biblioteca dove rimasi per il resto della serata.»

Laura aveva un’aria incredibilmente annoiata. Harry la osservava assorto.

«Laura?» la esortò a parlare Charlie.

Laura gli lanciò uno sguardo sprezzante e si strinse nelle spalle. «Non ne ho la minima idea. Sono stata qua e là tutta la sera. Non ho badato molto ai miei spostamenti.»

Charlie si soffermò a guardarla ancora un istante con un’espressione impassibile, poi si voltò verso Harry inarcando le sopracciglia.

Harry aprì il foglio su cui aveva annotato qualcosa e lesse quanto aveva scritto. «Nostra camera da letto. Ascensore per la sala della colazione. Non riesco a lavorare. Maddie e Bruce litigano. Laboratorio di Alexander per cinque minuti. Scale per salire al pianoterra e prendere qualcosa da bere in giardino. Mi avvio verso la nostra camera, vedo Laura che sta salendo, cambio idea e vado in biblioteca. Quando Milton ritorna, io esco, do un’occhiata alla sala tv poi salgo in camera e lì rimango.»

«Ha fatto caso asili orari?»

«No.»

«Come è salito l’ultima volta, a piedi o in ascensore?»

«L’ascensore era occupato. Ho usato le scale.» La sua voce era talmente monotona da sembrare meccanica.

«Ha sentito ridere Gary?»

«No.»

Se Charlie fosse rimasto deluso o meno dallo stringato resoconto di Harry non lo diede a vedere. Si voltò verso Beth, ma prima che le chiedesse di cominciare a parlare Harry intervenne nuovamente.

«Ho dimenticato una cosa. Quando stavo uscendo dalla mia stanza per scendere al piano di sotto ho visto salire Beth. Ho richiuso la porta un minuto e quando l’ho riaperta lei era entrata nella sua stanza.» Harry si strinse nelle spalle. «Se può servire a qualcosa.»

Charlie annuì con serietà. «Tutto può servire. Beth?»

«Ecco chi era» disse Beth a bassa voce. «Charlie, lei non si rende conto dell’atmosfera che si respirava quella sera. Tutti che si nascondevano per non farsi vedere, porte che si aprivano e si chiudevano, gente che svaniva nel nulla.»

«Sto cominciando a farmene un’idea» replicò. «Lei si trovava nella sala tv, vero? E poi?»

Beth diede uno sguardo al foglio. Le parole erano tali scarabocchi che a stento riusciva a decifrarle. Fece il resoconto dei suoi spostamenti di quella sera, prima nella sala tv, poi nella sua camera e infine nuovamente nel seminterrato. «Ero nella sala tv quando Bruce entrò, e poco dopo sentimmo la risata di Gary e un odore di cloro e popcorn. Andai in cucina a bere un bicchiere d’acqua e tornai a vedere il film» terminò di raccontare Beth.

Charlie scrutò il volto dei presenti. «Qualcun altro ha sentito l’odore di popcorn o cloro nella sala tv, nella biblioteca o in qualunque altra stanza?»

«Milton, lei l’ha sentito?» gli domandò Charlie.

«Sì. Sembrava che Gary avesse lasciato aperta la porta del giardino. Se resta aperta anche solo per un minuto l’odore del cloro penetra dappertutto, e quella sera era misto a quello dei popcorn.» Dal tono Milton sembrava leggermente spazientito, ma poi si raddrizzò sulla sedia e disse: «Erano le undici passate, perlomeno le undici e dieci o e un quarto. A quell’ora ero ritornato in biblioteca.» Rivolse a Charlie uno sguardo acuto. «Questo non era emerso prima.»

Charlie si era già voltato verso Maddie. «Lei è l’ultima» disse gentilmente. «Dopodiché potremo riposarci un po’.»

Maddie scosse la testa. «Non finché non avrà trovato l’assassino di mio figlio. Solo allora potremo riposare.» Il busto della donna era perfettamente eretto e le conferiva un aspetto quasi regale. «Non mi ci vorrà molto. Quella sera sono andata a sdraiarmi in camera per circa mezz’ora, poi ho preso l’ascensore e sono scesa giù. Mi sono messa a parlare con Bruce in cucina e di sicuro non abbiamo discusso animatamente né fatto molto rumore.» Lanciò ad Harry un’occhiata severa.

«Ho sentito come ti ha chiamato» replicò Harry con una punta di rabbia. «Vuoi che ripeta la conversazione che ho sentito prima di andarmene disgustato?»

Maddie sollevò leggermente la testa. «Mia madre diceva che non si può credere a una sola parola riportata da chi origlia. Non stavamo litigando.» Poi, rivolta a Charlie: «Dalla cucina sono ritornata nella sala tv a guardare il film. Cominciavo a sentirmi stanca, così decisi di andarmene a letto… e sa già cosa ho trovato quando ho chiamato l’ascensore.»

«Sì, lo so» disse Charlie, radunando energicamente i fogli. «Grazie a tutti e, per favore, consegnatemi i vostri appunti. Potreste scoprire che questa discussione ha risvegliato nella vostra memoria altri particolari che prima non ricordavate. Se dovesse succedere vi prego di farmelo sapere. Naturalmente dovrò parlare di nuovo con voi, ma questa volta lo farò singolarmente.»

10

Uscirono tutti velocemente senza scambiare una parola ed evitando di incrociare gli sguardi. Alexander si dileguò in un attimo. Harry e Laura salirono le scale insieme senza parlarsi né toccarsi. Nessuno prese l’ascensore.

Arrivati al primo piano Charlie e Constance si fermarono e guardarono nuovamente l’atrio. Alcune luci fioche brillavano, gli alberi e le piante in fiore sembravano quelli del giardino dell’Eden, mentre i fari azzurrini della piscina producevano un leggero luccichio sulla superficie dell’acqua. La cascata sollevava uno spruzzo scintillante ed emetteva bagliori con un flusso in eterno movimento. Milton comparve e svanì nel buio dietro alla piscina. Un istante dopo le luci della piscina si spensero. Milton ricomparve, si guardò attorno e uscì dall’atrio. Alcune deboli luci rimasero accese qua e là, l’oscurità aumentò e la stanza assunse una nuova dimensione, sembrò espandersi e diventare quello che loro chiamavano giardino. Charlie emise un leggero rumore gutturale, prese il braccio di Constance e andarono nella loro stanza.

Constance si tolse le scarpe con un calcio mentre Charlie aggiungeva gli ultimi fogli a quelli già impilati sulla scrivania. Guardò il mucchio di carta e aggrottò le sopracciglia.

«Charlie?»

«Uhm?»

«Perché qualcuno dovrebbe darsi la pena di rubare una serie di copie cianografiche dal momento che ce ne sono molte altre in giro?»

«Non lo so.»

«Non per le impronte digitali. Chiunque potrebbe averle prese in mano. Forse c’è una macchia di sangue o qualcosa del genere?»

«Non c’è stato spargimento di sangue» disse con un’aria cupa. Prese una sedia, attraversò la stanza, la incastrò sotto la maniglia della porta, fece un passo indietro e la guardò con aria insoddisfatta. «Lo sai cosa non sopporto? Le stanze d’albergo senza chiavi alla porta.»

«A me non piace Smart House» disse Constance. Si avvicinò alla porta scorrevole del balcone e si assicurò che fosse bloccata. Non era possibile chiuderla a chiave, ma sapeva che se qualcuno avesse cercato di forzare la serratura a scatto nell’anomalo silenzio di quella casa lei e Charlie lo avrebbero sentito. L’edificio era talmente massiccio che non si udiva neppure il rumore del mare, mentre oltre il balcone la nebbia era così fitta da formare una cortina impenetrabile sia alle luci sia a qualsiasi segno tangibile di civiltà. Constance rabbrividì e voltandosi trovò Charlie accanto a lei. La abbracciò e la strinse a sé.

«Non ho per niente sonno. E tu?»

Constance annuì. «Cos’hai in mente?»

«Un giretto per la casa. Aspettiamo un quarto d’ora in modo che vadano tutti a letto.»

Nei minuti successivi scartabellò tra i fogli che aveva accumulato, studiò a lungo le piantine della casa, radunò gran parte dei fogli e li mise in una delle valigie che chiuse a chiave e nascose nuovamente nell’armadio. Constance si era rimessa le scarpe e aveva trovato una piccola torcia portatile. Charlie sistemò i fogli rimanenti, la maggior parte in una pila, gli altri sparsi qua e là, poi li guardò per un istante. Si voltò con un sospiro verso Constance che chinò la testa senza protestare. Charlie le strappò un capello, tornò alla scrivania, sollevò il primo foglio di carta, posò il capello biondo sopra il foglio successivo sul quale il capello sembrò quasi scomparire e ricoprì tutto con il primo foglio.

«Lo sapevi che i peli degli orsi polari sono cavi all’interno?» le chiese. «Sono trasparenti.»

«Dovresti lavorare con un orso polare» gli rispose amabilmente.

Charlie scosse la testa. «Hanno un brutto carattere e poi non sanno cucinare.»

Tolse la sedia dalla porta, spense le luci e uscirono nell’ampio corridoio che proseguiva curvando in entrambe le direzioni, mentre di fronte a loro risplendeva la vetrata che si affacciava sull’atrio. Charlie prese Constance per mano e la condusse vicino alla vetrata.

«Voglio verificare quanto siano visibili laggiù gli spostamenti di una persona» le disse a bassa voce indicando col mento la piscina e l’atrio in generale. «Tu resti qui a guardare mentre io mi sposto qua e là, d’accordo?»

Le sfiorò lievemente la guancia con le labbra e si allontanò. Dopo pochi passi sparì dietro al corridoio curvo e riapparve dall’altra parte della vetrata. Appena raggiunto il primo piano dell’atrio quasi istantaneamente scomparve di nuovo.

Charlie si chinò nascondendosi dietro a una pianta, poi dietro a quella successiva. Riusciva ancora a vedere Constance, ma dal modo in cui lei si guardava attorno capì che lo aveva perso di vista. Rimase nascosto dietro a piante e alberi e continuò a scendere lungo gli ampi gradini che sembravano formare un terrazzamento naturale. Arrivato al pianterreno si fermò, non riusciva più a scorgere Constance dietro alla vetrata. Raggiunse il bar e i tavoli. L’illusione di trovarsi in una giungla era quasi totale. La debole illuminazione sembrava luce lunare filtrata attraverso una sottile coltre di nubi. Passò dietro a un’altra fioriera con un banano dalle foglie lunghe due metri e mezzo. Proseguì verso la piscina senza fermarsi, ne percorse il bordo e raggiunse il corridoio che portava alla sala idromassaggio e agli spogliatoi. Sul muro vide il quadro di comando delle luci. Accese quelle della piscina, entrò nella sala idromassaggio e si guardò intorno, riattraversò il corridoio, si affacciò nello spogliatoio e ritornò indietro passando nuovamente accanto alla piscina alla ricerca dell’uscita più vicina all’ascensore. Si sentiva molto indifeso e vulnerabile, avvolto da una pallida luce blu che gli sembrò più luminosa di quanto ricordasse. Arrivato alla porta si fermò e agitò le braccia facendo segno a Constance di raggiungerlo. Non era sicuro che lo potesse vedere, dal momento che lui non vedeva nulla al di là della vetrata.

Constance lo vide apparire e scomparire e poi ricomparire di nuovo dopo che Charlie ebbe acceso le luci della piscina. Quando le fece segno di scendere sospirò profondamente, e solo in quel momento si rese conto di aver quasi trattenuto il respiro per cercare di non fare rumore. Lasciò la sua postazione davanti alla vetrata e si avviò lungo il corridoio. Raggiunte le scale, iniziò a scenderle senza nemmeno prendere in considerazione l’ascensore in fondo al corridoio.

"C’è qualcosa" pensò. "C’è qualcosa di strano…"

Charlie le andò incontro, e Constance esclamò a bassa voce: «Ma certo!»

Come la raggiunse l’abbracciò, e non riuscì a spiegarsi la sensazione di sollievo che lo investì. «Allora?» le domandò.

«Tu che impressione hai avuto?»

«Che stessi osservando ogni mio movimento. Quanto sei riuscita a vedere?»

«È la stessa impressione che hanno avuto tutti durante il gioco, quella di essere spiati in ogni movimento. E non solo durante il gioco. È questa dannata casa» disse, e la indicò con un gesto. «Persino in questo momento ho la sensazione che ci siano centinaia di occhi puntati su di me.»

«Tesoro» la sollecitò pazientemente spingendola verso la cucina «dimmi cos’hai visto.» In cucina era stata lasciata accesa una tenue luce. Charlie trovò l’interruttore e ne accese qualche altra.

«Oh, be’, non molto. Ti ho visto al bar e poi, quando le luci si sono accese, ti ho visto camminare lungo il bordo della piscina e avvicinarti alla porta. Charlie, c’è dell’altro…» T pensieri le si affollavano nella mente, mentre Charlie la faceva sedere al grande tavolo di quercia e si accomodava a pochi centimetri da lei. Charlie non insistette perché lei continuasse, non le chiese nulla, si limitò ad aspettare e a fissarla.

«Ha a che fare con Gary» disse infine Constance a voce bassissima. «Persino adesso che il computer è spento, è come se la casa mi ascoltasse» disse storcendo la bocca in un sorriso che esprimeva tutto il suo disappunto. «Proviamo un irresistibile bisogno di sussurrare, di guardarci attorno per assicurarci che nessuno ci stia spiando o ascoltando. È la casa. Quanto sarà grande? Diecimila metri quadri, forse di più? Inoltre è tutta esposta alla vista, non c’è intimità da nessuna parte. Si ha la sensazione di essere osservati in ogni minuto, come se gli altri potessero vedere ogni cosa che fai. È colpa di tutto quel vetro, della posizione delle camere e di tutta una serie di cose. È un’enorme vasca per i pesci. A livello emozionale Gary era simile a un bambino, quantomeno questo è ciò che continuano a ripeterci. Gary era come un ragazzino pieno di segreti che amava i giochi, le sorprese e i misteri. Disponeva di molto denaro con cui giocare, non poteva resistere alla tentazione di mettere a punto un sistema segreto per spostarsi senza essere visto. Sono certa che è così, Charlie!»

«Le copie cianografiche scomparse» sussurrò. La guardò con un’espressione quasi intimorita. «Credo che tu abbia centrato il problema.»

«Potrebbe non avere nulla a che fare con gli omicidi» disse Constance. «Se ha visto Rich in giro con le copie cianografiche potrebbe aver fatto in modo di nasconderle per custodire il suo segreto finché non fosse stato pronto a rivelarlo.»

Charlie annuì. Stava ricostruendo mentalmente la camera da letto di Gary e il suo ufficio. La sua mappa mentale era molto accurata. Alcune persone definivano straordinaria l’abilità con cui riproduceva in ogni particolare i disegni degli edifici, delle stanze, dei corridoi, delle scale, dei ripostigli, dell’impianto elettrico, ma Charlie sapeva che si trattava solo di allenamento. Un impegnativo e accurato addestramento come vigile del fuoco lo aveva obbligato a sviluppare questa abilità di cui si era servito per molti anni. Allora lavorava a New York come investigatore specializzato in incendi dolosi, fu soltanto dopo che lasciò il dipartimento per diventare investigatore di polizia. In quel momento stava localizzando mentalmente l’impianto elettrico e idraulico della stanza di Gary. Charlie si alzò. Forse aveva capito dove si trovava la cubatura nascosta.

«Andiamo a dare un’occhiata» disse parlando a bassa voce come Constance.

Pochi minuti dopo Constance lo osservava esaminare la cabina armadio della stanza di Gary Elringer. Una grande porta scorrevole dava accesso alla cabina armadio pannellata di legno di cedro profumato. La cabina era vuota, c’erano solo alcuni attaccapanni di legno appesi a uno dei bastoni. La cabina era attrezzata con scaffali e cassetti, due bastoni per i vestiti e una luce a soffitto. Charlie tastò il legno della parete di fondo. Uscì dalla cabina armadio e passò a esaminare altrettanto minuziosamente la stessa parete dalla parte della camera da letto. Alla fine fece un passo indietro e annuì.

«Un metro per un metro» disse continuando a parlare a bassa voce. «Si tratta di una scala o di un ascensore. Scommetto che è un altro ascensore esattamente a fianco di quello grande che si trova oltre quel muro.»

«Riesci ad aprirlo?»

«No, non riesco nemmeno a trovare la porta, ma so che è lì da qualche parte. Probabilmente l’apertura è controllata dal computer.» Charlie prese Constance per un braccio. «Cerchiamo di seguire il percorso che fa e vediamo dove va a finire. Spostiamoci nell’ufficio di Gary.»

«Qui dietro c’è la cantina» disse misurando a passi lo spazio nell’ufficio di Gary. Al di là del muro c’era la cella frigorifera, i bidoni per la lunga conservazione di frutta e verdura e il montavivande. Nella misurazione i conti non gli tornavano per un metro. Charlie canticchiava sottovoce. Anche in quella stanza nulla faceva supporre che ci fosse una porta. L’ufficio era pannellato con un legno dalla tonalità ambrata, un legno costoso, esotico. Sebbene Charlie non fosse riuscito a capire di che qualità fosse, annuì approvandone la scelta. «Proseguiamo» disse infine. «Andiamo al piano terra, nella dispensa. Il tetto lo ispezioneremo domani alla luce del giorno.» Charlie era particolarmente allegro.

Nella dispensa il montavivande si trovava accanto a un freezer, e tra loro e l’ascensore principale c’era il solito metro di spazio apparentemente inutilizzato. Nell’ufficio la pannellatura nascondeva la porta che dava accesso a questo spazio, proprio come accadeva nella camera da letto con la porta scorrevole della cabina armadi. Lì al pianterreno la parete era rivestita alternando il legno bianco a quello scuro, un altro modo perfetto per mascherare una porta. Spense le luci del corridoio intenzionato a fare uno spuntino e andare a letto. Avevano fatto un buon lavoro quella sera, pensò. D’un tratto le dita di Constance si conficcarono nel suo braccio.

«Shh» gli sussurrò la moglie, e si diresse verso l’atrio. Le luci della piscina illuminavano la parte in cui si trovavano loro, mentre la rimanente era avvolta da un’oscurità pressoché totale, rischiarata qua e là da luci fioche. C’era sicuramente qualcuno nell’atrio.

Charlie e Constance si immobilizzarono, sforzandosi di vedere oltre alla vetrata e alle pallide chiazze di luce. Charlie aspettò qualche secondo, poi si avvicinò cautamente al corridoio principale. "L’atrio ha troppe uscite" pensò. "Quattro o sei al pianterreno e almeno quattro al piano delle camere." Un’ombra passò tra lui e uno degli spot.

«Sta’ attenta» le sussurrò. «E non ti muovere da qui.»

Charlie si allontanò velocemente lungo il corridoio e ritornò in cucina, da lì in sala da pranzo e nuovamente nel corridoio principale, ma questa volta arrivò ai piedi della scalinata. La salì di corsa sino al primo piano e si fermò rasente al muro. Anche a quel piano erano state lasciate accese delle luci fioche dislocate in modo irregolare. Fece una pausa per riprendere il fiato e uscì pian piano allo scoperto nel corridoio, si abbassò per non oscurare la luce dell’applique e cominciò a scrutare l’atrio dall’alto, ben sapendo che nessuno avrebbe potuto vederlo. In quello stesso istante attraverso la vetrata colse un movimento proprio di fronte a lui, al di là dell’atrio ma all’estremità del corridoio del suo stesso piano, e imprecò silenziosamente. Il misterioso individuo era riuscito a salire prima di lui. Corse dall’altra parte del corridoio curvo ma non vide più nessuno. Di sicuro però qualcuno era passato da lì, era entrato in una delle ultime due stanze o era sceso giù dalle scale. Si chinò davanti alla porta della penultima stanza e appoggiò l’orecchio ma non udì nulla. Oltrepassò le scale che conducevano nell’ingresso principale della casa e origliò attaccato all’ultima porta. Il risultato fu lo stesso. Lentamente sollevò la mano che aveva appoggiato sulla moquette di fronte alla porta, guardò le dita e poi la moquette. Era terra, terriccio per vasi. Senza far rumore prese il portafoglio ed estrasse una carta di credito con cui radunò la terra e la raccolse. Non ce n’era molta, non più di un cucchiaino, ed era umida al tatto, friabile, con piccoli granuli e palline d’argilla per la messa a dimora delle piante. Avvertì anche un odore di cloro.

Trovò l’accesso al primo piano dell’atrio e vi si infilò, chiuse la porta scorrevole e cominciò a scendere l’ampio scalone. Non riusciva a scorgere Constance, e probabilmente nemmeno lei poteva vederlo perché in quel punto la vegetazione era particolarmente fitta.

Charlie riemerse al piano terra del giardino e Constance, come lo scorse, abbandonò la propria postazione e gli andò incontro in corridoio. «Sei riuscito a vederlo?»

«No, e tu?»

«Di sfuggita, mentre saliva, ma non saprei descriverlo nei particolari. Cos’hai lì?»

«Della terra. Vediamo se in cucina riusciamo a trovare un sacchetto di plastica o qualcos’altro. E un paio di cucchiai magari.»

Ritornarono in cucina e Constance trovò il cassetto con la pellicola trasparente, il rotolo di alluminio e i sacchetti di plastica. Osservarono il terriccio prima che Charlie lo facesse scivolare cautamente in un sacchettino e lo chiudesse con un fil di ferro. Ripose la carta nel portafoglio e si infilò in tasca il sacchettino. «I cucchiai» disse.

Constance aveva un’aria dubbiosa. «Ci sono un infinità di piante in vaso in questa casa.»

«Lo so» rispose sconfortato. «Se entro un paio di minuti non troviamo niente rimanderemo tutto a domani e lasceremo che se la sbrighi il giardiniere. Ora però proviamoci almeno.»

Arrivati alla porta del giardino Constance si fermò nuovamente. «Sai dov’è l’interruttore generale delle luci?»

Charlie lo sapeva. Raggiunse il quadro elettrico che si trovava in corridoio dietro alla piscina, e provò diversi interruttori prima di trovare quello che accendeva tutte le luci del giardino. Fu come assistere a un’aurora. Lo sconforto di Charlie aumentò: era una giungla. C’erano vasi e contenitori di ogni forma e grandezza, alcuni simili a lunghi trogoli, altri a un mezzo barile, altri ancora semplicemente rotondi. Lo sfagno era ovunque, tra i vasi e sulla terra all’interno di essi. Lì per lì Charlie aveva pensato che sarebbe stato facile trovare il punto in cui lo sconosciuto aveva scavato perché sarebbe bastato guardare la superficie della terra. Adesso però si accorse che non era così semplice.

«Be’, gli è rimasta della terra sotto le scarpe e ha sporcato la moquette. Forse non lo ha fatto solo una volta.»

Constance annuì osservando attentamente ogni vaso. «Non ha preso qualcosa, lo ha nascosto. A seconda delle dimensioni dell’oggetto che ha nascosto potrebbe essere rimasta una montagnola di terra.»

«Perché pensi che non abbia disseppellito qualche cosa?»

«Semplicemente perché non avrebbe molto senso. Queste piante si possono spostare tutte, credo che vengano rinvasate spesso, che le si cambi spesso di posto. Se qualcuno ci avesse lasciato qualcosa, anche per pochi giorni, immagino che il giardiniere lo avrebbe trovato. I vasi più grandi poggiano su rotelle. Suppongo che per alcuni periodi dell’anno vengano messi a rotazione nella serra. Vegetano meglio nella serra» aggiunse quasi sovrappensiero. Pensava alla grande impresa che li aspettava senza decidersi a prendere l’iniziativa.

Charlie cominciò a salire i gradoni di pietra osservando in anticipo ogni gradino alla ricerca di altro terriccio smosso. Ogni alzata era in pendenza ma, a meno di osservarla da vicino, non lo si notava. A ridosso di ogni gradino c’erano dei canali di scolo e, con grande disappunto di Charlie, anche un impianto di irrigazione automatico, il tipo di impianto usato normalmente per i prati in cui la pressione dell’acqua faceva emergere degli spruzzatori che dopo aver bagnato scomparivano nuovamente nel terreno. Non era del tutto certo del motivo per cui la cosa lo rendeva furente, ma la reazione che ebbe fu esattamente quella. A un certo punto capì: se non avessero trovato il vaso giusto l’impianto si sarebbe messo in funzione all’alba cancellando ogni traccia, proprio come il piccolo aspirapolvere si sarebbe staccato dal muro e avrebbe pulito la terra sulla moquette.

Charlie salì un altro gradino, e poi un altro ancora. Il profumo era così intenso da essere nauseante. C’erano fiori bianchi e rosa e poi un vaso più grande con una pianta rampicante… Charlie borbottò qualcosa a bassa voce e si accovacciò. C’era della terra.

Constance lo raggiunse e, prima di concentrarsi sui vasi, osservarono la terra sparsa sul pavimento. Le gardenie erano in fiore ma molti boccioli non si erano ancora dischiusi. Ammassate tutto intorno c’erano piante di verbena e una bella lobelia strisciante interamente coperta di fiori azzurri. Charlie cominciò a rimuovere lo sfagno. Il terreno sotto al muschio del primo vaso sembrava intonso, ma quella terra doveva pur venire da qualche parte, pensò cupamente, e tolse dell’altro muschio.

«Aspetta un attimo» disse Constance. Prese un vaso di gardenia, afferrò la pianta, rovesciò il vaso e sollevò la gardenia scoprendo le radici strette in una massa compatta. La rimise a posto e sollevò quella successiva sotto lo sguardo attento di Charlie. Constance capì che Charlie non aveva mai visto una pianta costretta in un piccolo vaso. «Le gardenie amano riempire il vaso di radici prima di formare i boccioli» gli spiegò, e cominciò a rovesciare anche gli altri. Charlie la precedette per andare a liberare il grande vaso che conteneva la palma. In quello almeno c’era spazio per scavare, stava pensando, quando udì Constance esclamare sommessamente qualcosa. «Charlie! Guarda.»

In una mano reggeva la pianta, nell’altra il vaso, e quando Charlie ci guardò dentro vide un oggetto simile a una calcolatrice. Sapeva benissimo che si trattava del computer portatile. Lo tirò fuori pian piano tenendolo per l’estremità più stretta.

«Cosa cazzo state facendo?»

Bruce e Jake stavano scendendo gli ampi gradini di pietra. Jake era in vestaglia e pantofole, mentre Bruce indossava ancora gli abiti trasandati di quella sera, il maglione sformato, le scarpe da ginnastica con le stringhe slacciate, i jeans.

«È questo l’oggetto di cui parlavate stasera?» domandò Charlie affabilmente, osservandoli mentre si avvicinavano camminando tra la terra dei vasi rovesciata.

Jake emise un fischio e annuì. Bruce allungò la mano per prenderlo ma Charlie lo ritrasse. Jake guardò i vasi, il muschio rimosso e aggrottò le sopracciglia, «Era nelle piante? Come l’avete trovato?»

«Diciamo che è stato un tentativo fortunato. Andiamo in cucina, vorrei lavarmi.»

«Ce n’è solo uno? Magari…» Jake guardò i vasi lì intorno, poi l’intera stanza e alla fine si strinse nelle spalle. «Anche se ce ne fossero altri, potrebbero essere dappertutto» disse.

«Ammesso che ce ne siano altri, aspetteranno sino a domani» replicò Charlie. Attese che Constance rimettesse la gardenia nel vaso, poi li fece scendere e li condusse fuori dal giardino.

In cucina Constance prese un altro sacchettino di plastica e tutti osservarono Charlie infilarci dentro l’unità di controllo e chiudere il sacchetto.

«Merda!» gridò Bruce. «Proprio come nei film! Ha davvero intenzione di rilevare le impronte digitali? Non crede che un assassino intelligente le avrebbe cancellate tutte?»

«Cosa le fa pensare che sia intelligente?» domandò Charlie come se fosse sinceramente interessato a una nuova idea. S’infilò in tasca il secondo sacchetto e andò al lavello dove Constance aveva già cominciato a lavarsi le mani.

«Si dà il caso che fino a oggi gli ospiti di questa casa fossero tutte persone intelligenti» disse Bruce.

Charlie annuì e sorrise. «E casualmente voi due eravate svegli a fare la guardia alla piscina?»

«Io non ero sveglio» disse Jake con uno sbadiglio. «Ho sentito qualcuno sul balcone. Naturalmente ho controllato ma non ho visto nessuno. A quel punto ero più sveglio che mai, così ho deciso che mi ci voleva qualcosa da bere. Ho incontrato Bruce in corridoio, vi stava spiando.»

«È una dannata bugia!» gridò Bruce. «Da dentro non si riesce a sentire nessun rumore sul balcone. Stavo solo scendendo a mangiare qualcosa. Pensavo che foste dei ladri, vi è andata bene che non sono tornato in camera a prendere la pistola!»

Jake si sentì quasi soffocare. «Mio Dio!» esclamò incredulo. «Tu possiedi una pistola?» Fu percorso da un brivido e voltò la testa leggermente da una parte.

«Sì! E sono un ottimo tiratore, per cui stai attento, stronzo che non sei altro!»

Jake ruotò di nuovo la testa verso di loro, la scosse e si capì chiaramente che stava ridendo. «È meglio che mi prepari da bere, visto che sono sceso per questo. Ci dev’essere qualcosa anche qui in cucina. Di sicuro non ho intenzione di andare al bar del giardino, non finché qualcuno non lo avrà ispezionato tutto.» Cominciò ad aprire gli sportelli sorridendo e alla fine trovò una bottiglia di bourbon. «Charlie? Constance?»

Bruce cominciò a rovistare nel frigorifero. Jake versò da bere a Charlie e a Constance, si avviò verso la porta con il suo bicchiere in mano e lo sollevò. «Alla salute. Ci vediamo domani.» Poi, rivolto al socio: «Ah, Bruce, saprai anche da che parte sparare, spero» dopodiché si allontanò.

L’espressione di Bruce era più corrucciata che mai. Tirò mori dal frigo un vassoio di prosciutto affettato coperto da una pellicola trasparente e cominciò a prepararsi un panino. Charlie si unì a lui e mangiò un pezzetto di prosciutto. Era molto buono.

«Ha preso in mano l’unità di controllo quando suo fratello gliel’ha mostrata?» domandò a Bruce.

«No, non mi avrebbe mai permesso nemmeno di toccarla. Ci vuole un po’ di senape» disse, e tornò a prenderla in frigorifero.

«Sto solo cercando di capire cosa si poteva fare con quell’apparecchietto» spiegò Charlie. «Le ha mostrato come funzionava?»

Bruce lo guardò con disprezzo. «Lei non sa un accidente di computer, vero?»

«Esatto.» Charlie aveva assunto un atteggiamento allegro e scherzoso particolarmente crudele. Constance si sedette al tavolo e li osservò.

«D’accordo, d’accordo, le spiego come funziona. Allora, il computer principale opera con un programma e l’unità di controllo invia una sorta di radio segnale che può essere captato dall’unità centrale. Ha guardato l’apparecchietto? Ha una tastiera con dei numeri. Immaginiamo che lo si programmi per accendere le luci quando si preme il tasto A. Quindi parte un segnale che arriva al computer principale il quale riceve il comando e lo esegue. Il portatile viene programmato semplicemente per inviare dei segnali.» L’insofferenza di Bruce era scomparsa, ora il suo tono lasciava trapelare una rassegnata e paziente disponibilità che lo stesso Charlie assumeva quando spiegava qualcosa a uno studente particolarmente sprovveduto. «Questo significa» proseguì Bruce «che si possono usare tutte le lettere, i numeri e le possibili combinazioni per inviare un segnale, avendo come unico limite quello della memoria del computer principale. Il portatile può fare esattamente le stesse cose di quello grande, se viene programmato in anticipo.»

«Mi sembra un po’ rischioso» disse Charlie perplesso. «E se si preme per sbaglio il tasto A?»

Bruce diede un morso al panino e scosse la testa. «Prima bisogna attivarlo attraverso una sequenza di lettere per avvertire il computer principale che ci si sta connettendo con lui.» Bruce parlava con la bocca piena e le parole uscivano attutite.

Charlie prese un’altra fetta di prosciutto. «Quanto tempo ci vuole per modificare un programma, una volta stabilita la connessione col computer principale?»

Bruce si strinse nelle spalle. «Dipende. Per riprogrammare tutto un paio di minuti. Per uno o due comandi invece, se si conosce il programma da cui iniziare, qualche secondo. Non dimentichi che nessuno di noi lo conosceva, e quindi ci sarebbe voluto un po’ più di tempo.»

Charlie sembrò sorpreso. «Mi sta dicendo che qualcuno avrebbe potuto farlo anche senza conoscere il programma, il linguaggio e tutto il resto?»

«Non si può impedire a un bravo hacker di entrare in un programma, qualsiasi esso sia. Senta, sa qualcosa di musica?»

«So distinguere Wagner da Verdi» rispose Charlie con circospezione. «Perché?» Dall’espressione smarrita di Bruce si rese conto che i nomi erano quelli sbagliati.

«Facciamo finta che sappia qualcosa di musica» propose Bruce. «Diciamo per esempio che sa riconoscere lo stile di Springsteen da quello di Simon o di chiunque altro. Quelli bravi hanno uno stile riconoscibile per cui si capisce chi sta cantando, d’accordo? La stessa cosa succede con i programmatori. Quelli bravi hanno uno stile che alla fine diventa riconoscibile. Tendono a ripetere continuamente le stesse operazioni. Qualcuno magari è più stringato, altri più prolissi, altri ancora usano scorciatoie con le quali pian piano acquistiamo dimestichezza. Forse Alexander è il migliore e possiede uno stile ben preciso. Sa, era il responsabile del gruppo dei programmatori. Insomma, chi conosce il suo stile sa anche dove andare a cercare, sa quale sarà con ogni probabilità la sequenza successiva. Chiunque fosse stato abbastanza sveglio da maneggiare un computer avrebbe potuto penetrare nel suo programma, chiunque, e come ho già detto, fino a oggi gli ospiti di questa casa potevano essere considerati tutti dannatamente svegli.»

Charlie annuì distrattamente. «Mi chiedo perché nessuno ne abbia parlato prima.»

Bruce rispose con un’alzata di spalle e prese dell’altro prosciutto.

«Se era così facile, mi domando come mai suo fratello non abbia riprogrammato il computer per escludere sua madre dal gioco.»

Bruce si pulì le mani sui jeans.

«Oppure mi domando come mai suo fratello abbia pensato che vostra madre potesse confermare la sua tentata uccisione, Bruce, visto che aveva annunciato di non voler partecipare al gioco.» Bruce, nel frattempo, era divenuto immobile, la bocca increspata, lo sguardo penetrante.

«E questo cosa significa?» domandò. «Dove vuole arrivare?»

«Se solo lo sapessi. In quel frangente non le è parso curioso che suo fratello se la prendesse tanto pur sapendo che vostra madre non rientrava tra i giocatori?»

«Gary era uno stronzo.»

«Pensa che abbia manipolato il gioco facendo in modo che fosse lei la sua prima vittima?»

«È possibile. Sarebbe stato tipico del suo modo di fare.»

«A quel punto però, anche se il primo tentativo non era stato registrato, lei avrebbe saputo di essere la vittima di Gary, giusto? Quindi avrebbe potuto cercare di evitarlo. Quando le ha mostrato l’unità di controllo?»

Il volto di Bruce si rilassò di colpo, poi divenne tutto grinzoso come quello di un bambino sul punto di fare una scenata. Charlie si ricordò di come trattava sua sorella Jessica da piccola quando assumeva quell’espressione. "Temporale in vista" le diceva, e lei lo guardava sempre con un’aria sospettosa, aggrottava le sopracciglia e la maggior parte delle volte rinunciava a piangere solo perché lui se lo aspettava. Il ricordo di quelle scene era ancora estremamente vivido nella sua mente. Constance assomigliava a Jessica ogni giorno di più. Charlie si scosse e tornò a concentrarsi su Bruce.

«Non è stato Gary a parlarmene» mormorò Bruce. «Ho sentito che lo diceva a qualcun altro.»

Charlie inarcò le sopracciglia e non fece commenti.

«Pensavo che lo avesse detto a tutti tranne me, è per questo che… Insomma, pensavo che lo sapessero tutti. Mi trovavo al piano interrato e stavo esaminando i vari impianti, il sistema automatico per la manutenzione della piscina, l’aspirapolvere automatico, questo genere di cose. Andai dietro all’ascensore per dare un’occhiata alla presa di scarico e aspirazione, e udii la sua voce. Pensai che si trovasse nell’ascensore e di certo non mi sarei lasciato sfuggire l’occasione di origliare. Non so con chi fosse, non sono riuscito a vederli e l’altra persona non ha detto nulla. Gary rise e disse: "Non essere stupido. Certo che ho un supporto tecnico di sicurezza. È qui nella mia tasca, guarda!". Ho capito subito di cosa si trattava e quanto fosse grande. Era l’unica spiegazione plausibile. Sarebbe stato da idioti non avere un secondo sistema di controllo.»

Charlie annuì. «E poi?»

«E poi niente. Hanno smesso di parlare, forse l’ascensore è partito, oppure sono usciti. Sono salito dalle scale sul retro della casa, quelle che portano nei locali adiacenti alla sala idromassaggio, alla porta che dà sull’esterno.»

«Quello è il punto in cui passano tutti i tubi, i fili elettrici, le tubature che arrivano alla serra e alla cella frigorifera, vero?»

Bruce si strinse nelle spalle. «Per accedervi bisognava essere abilitati. Ovviamente lo avevo immaginato, così ritornai a esaminare gli impianti.»

«A che ora li ha sentiti parlare?»

«Che cazzo ne so? A un certo punto del pomeriggio. Se avessi saputo che sarebbe diventato un caso federale avrei preso appunti! Vado a dormire.»

Bruce uscì a grandi passi dalla cucina, Constance si alzò dal tavolo e si spostò al bancone dove il marito continuava a piluccare il prosciutto con aria assente. Constance allontanò il piatto. «Ti verranno gli incubi stanotte.»

«Probabile. Cosa ne pensi di Bruce?»

«È ossessionato dalla gelosia. Se le cose stanno così con il fratello morto, figuriamoci come dovevano essere quando era ancora vivo! Poverino.»

«Ricordati che quel poverino ha una pistola e anche qualche rotella fuori posto.»

Constance lo guardò sorpresa. «Non dirmi che hai creduto alla storia della pistola?»

«Tu no?»

«Certo che no. È la tipica minaccia del ragazzino che si vanta di qualcosa per intimidire chi ha di fronte. Non mi è neanche passato per la testa che fosse vero.»

In realtà neanche a lui era passato per la testa, pensò confusamente Charlie. «Dove lo stai portando?»

Constance aveva preso il piatto col prosciutto. «Nel frigorifero, e poi porto te a letto. Lo sai, più vedo questo genere di uomini e più ti apprezzo.»

«E tu sei proprio una gran brava moglie» replicò Charlie.

11

Il mattino successivo la nebbia turbinò davanti alla vetrata, fu portata in alto dalla brezza marina, si dissolse e si riformò. Charlie osservava questi cambiamenti con aria assorta, aspettando la colazione insieme a Constance.

«Ci sono problemi?» gli domandò Constance.

Charlie annuì. «Problemi di orario. Nel momento cruciale mancano dei minuti. Proviamo a ricostruire gli spostamenti e gli orari dei presenti come se fossero ciliegie lasciate cadere nella panna montata. Innanzitutto sappiamo che alle dieci e quarantacinque Rich era vivo e possiamo supporre che lo fosse anche alle undici, quando Maddie ha preso l’ascensore. Alle undici e dieci, undici e un quarto, Gary era ancora vivo. A quell’ora però tutti sanno dire all’incirca dove si trovavano. Dobbiamo fare un’altra ipotesi, che Rich sia morto per primo perché dalle undici e un quarto in poi gli altri si trovavano tutti assieme. Capisci cosa intendo quando dico che nel momento cruciale mancano dei minuti?»

Constance inarcò le sopracciglia con aria interrogativa, ma il marito stava fissando gli incessanti movimenti della nebbia. «Intorno alle undici» disse Charlie con un’aria insoddisfatta «Harry sente litigare Bruce e Maddie in cucina e l’ascensore è vuoto. Rich quindi dev’essere ancora vivo. Harry va a fare due chiacchiere con Alexander, Milton e Laura salgono sul tetto, Maddie e Beth guardano un film poi Beth va nella sua stanza, Bruce vaga da solo per la casa. Alle undici e dieci Milton e Laura si uniscono agli altri nella sala tv o nella biblioteca, Beth e Jake scendono insieme le scale, e Bruce si trova con gli altri nella sala tv quando sentono la risata di Gary e l’odore di popcorn. Nel frattempo Harry sale al piano di sopra e lì, contrariamente alla sua situazione precedente, si può muovere liberamente senza che nessuno lo controlli. Sembra che tutti abbiano avuto il tempo di uccidere Rich ma non Gary, e questo è un problema.»

«Alexander è rimasto da solo dal momento in cui Harry lo ha lasciato fino a quando è stato ritrovato il corpo di Rich in ascensore» gli suggerì Constance a bassa voce.

«Già» disse tristemente Charlie. «E probabilmente è l’unico che aveva davvero la necessità di mantenere in vita e in salute Gary, Rich e il progetto.»

«Allora» aggiunse Constance con un’aria preoccupata «in realtà, quando Harry dice di essere salito in camera sua dopo aver dato un’occhiata alle persone che stavano guardando il film nella sala tv e dopo aver parlato con Alexander, bisogna fidarsi solo della sua parola. È possibile che nessuno possa confermare i suoi movimenti anche prima del suo arrivo in camera.»

«No, Milton lo ha visto» disse Charlie con un certo disappunto. «Non lo ha detto ma è scritto sugli appunti in cui ha descritto i suoi spostamenti. Harry si è affacciato nella stanza pochi secondi dopo che Milton era tornato dal suo appuntamento sul tetto. Immagino non sia certo un particolare di cui Milton potrebbe aver voglia di parlare, però lo ha scritto negli appunti.»

«Nonostante questo avrebbe comunque avuto il tempo…»

Charlie scosse la testa. «C’è comunque il problema di Rich, e poi non voglio pensare che abbiamo a che fare con due assassini, con un complotto…» Mrs Ramos entrò con il vassoio della colazione e Charlie smise di parlare.

«Quando Gary faceva i popcorn, alla sera, che cosa usava? Una macchina per popcorn, una padella?» domandò Charlie alla donna intenta a sistemare le uova alla coque davanti a Constance, frittelle dolci e uova per lui.

La donna inarcò quasi impercettibilmente le sopracciglia e Charlie intuì che quella dovesse costituire il massimo dell’espressione sorpresa di Mrs Ramos.

«Utilizzava un congegno automatico.»

«Usava un contenitore particolare?»

«Sì, di acciaio inossidabile.»

«E il giorno seguente alla sua morte dove ha trovato il contenitore, dopo che la polizia se ne andò?»

Mrs Ramos terminò di servire la colazione e si fermò un attimo a riflettere. «Al suo posto, nella credenza, ma la macchina per i popcorn era in giardino, nella stanza della piscina.»

«Era stata utilizzata?»

La donna studiò Charlie per un lungo istante poi annuì. «Era piena di popcorn.»

Le chiese delle copie cianografiche e dei computer portatili, ma la donna non ne sapeva nulla. Come furono raggiunti da Laura e Harry Westerman, Mrs Ramos si allontanò.

Laura scrutò attentamente Constance, annuì leggermente e studiò Charlie con calma accennando a un sorriso, come se condividessero un segreto. Era una reazione automatica, pensò Charlie, e si chiese se la donna se ne rendesse conto. Harry indossava una felpa e dei pantaloncini. «È andato a correre?»

«Sì.» Harry si versò del caffè. Laura fece altrettanto e nessuno dei due si scambiò uno sguardo. Harry bevve un sorso, posò la tazza con un gesto deciso e domandò bruscamente: «Cosa diavolo sta succedendo nel giardino?»

Charlie si strinse nelle spalle e non diede spiegazioni. Prima delle sette era riuscito a trovare Mrs Ramos, e pochi minuti dopo aveva parlato con il marito della donna che ora, insieme a un aiutante, stava ispezionando ogni vaso. Riflettendoci su, per Charlie non fu una sorpresa il fatto che Harry fosse andato a correre. Non manteneva certo quel fisico muscoloso restandosene seduto tutto il giorno in un ufficio a sommare colonne di numeri. «Ho notato che ieri sera, durante la ricostruzione delle vittime e degli assassini, lei non ha partecipato molto attivamente» fu il commento di Charlie che ignorò la domanda di Harry.

Harry prese un sorso di caffè e quando parlò lo fece con un tono glaciale: «Ha notato bene. Quello stupido gioco! Io non ho nemmeno partecipato.»

«Ah sì? Però ha preso un’arma e ha testimoniato per la morte di due persone. A proposito, che arma aveva scelto?»

«Una pistola ad acqua. Una pistola ad acqua di plastica. Il giorno dopo le due morti, quelle vere intendo, sono andato sulla punta del promontorio e l’ho buttata nell’oceano più lontano che ho potuto. Non ci avevo messo nemmeno l’acqua.»

«Perché l’ha presa se non intendeva giocare?»

Harry finì il caffè, se ne versò dell’altro e non rispose.

«Non avevamo molta scelta» disse Laura. «Gary si era messo in testa che avremmo giocato e noi dovevamo assecondarlo, altrimenti avremmo rischiato che fosse di pessimo umore per tutto il fine settimana. Era capace di vagare per casa come una furia per giorni interi. Anche altri avevano deciso di assecondarlo solo per farlo contento. Alcuni prendevano le armi e poi le lasciavano in giro. Ne parlavamo ieri sera quando vi siete allontanati con Alexander. Bruce ha trovato una cerbottana al bar del giardino, Milton ha raccolto una pistola ad acqua mentre eravamo insieme sul tetto, io ho trovato due palloncini nella sala tv. Dovevamo prenderle, ma potevamo non usarle.»

«E pensavate che Gary sarebbe stato in grado di controllare ogni vostra mossa? Di barare?»

Laura inclinò leggermente la testa all’indietro e accentuò il sorriso. «Lei non lo avrebbe pensato? Insomma, ha scritto le regole, ha fornito le armi, ha programmato tutto quanto… È ovvio che l’abbiamo pensato.»

Charlie annuì. «Lei che arma aveva scelto?»

«La garrotta. Un bel nastro blu con del velcro alle estremità.»

«E anche lei ha gettato in mare l’arma che aveva scelto?»

«Non ho la minima idea di dove sia finita. Non ci ho nemmeno più pensato» rispose con studiato disinteresse.

Charlie si rivolse nuovamente al marito di Laura, notando contemporaneamente lo sguardo divertito di Constance. «Mi può dire cosa successe esattamente quando Rich Schoen uccise Gary? Durante il gioco, naturalmente.»

Prima che Harry potesse rispondere apparve Mrs Ramos con la colazione. Posò un mezzo pompelmo davanti a Laura e una scodella di una cosa che sembrava paglia davanti a Harry. Charlie fissò il contenuto della scodella. Erano barrette di frumento sminuzzato, pensò sorpreso. Erano più di vent’anni che non vedeva delle barrette di frumento.

Mrs Ramos si allontanò nuovamente e Harry disse: «Stavo parlando con Rich di Smart House, naturalmente. È quello che stavamo facendo un po’ tutti, cercavamo di saperne il più possibile. Rich vide Gary e mi fece segno di andare con lui. In giardino, accanto al bar, srotolò le copie cianografiche che aveva con sé e tirò fuori una specie di bastone di gommapiuma col quale colpì Gary uccidendolo. Andammo al computer del bar per registrare l’uccisione che io confermai. Rich si allontanò e io lo seguii. Gary era furibondo, davvero arrabbiato, e io non volevo restarmene lì con lui in quello stato. Gary non sapeva perdere.»

Charlie sollevò la mano. «Procediamo con calma. Che mi dice del bastone e delle copie cianografiche?»

Harry masticò rumorosamente le sue pagliuzze con un’aria corrucciata. «Non lo so. Ha posato le copie su uno di quei tavoli laggiù e forse il bastone sul bancone del bar. Non ci ho fatto caso. Mentre registravamo l’uccisione è arrivata Beth. Lo chieda a lei.»

«D’accordo. Lei è andato via con Rich ma poi è ritornato, e questa volta ha assistito all’uccisione di Beth da parte di Jake. Perché è ritornato?»

Harry sospirò in maniera esagerata. «Senta, cerchi di immaginarsi l’atmosfera di quel dannato fine settimana. Non eravamo certo contenti, nessuno di noi lo era. Era un gioco stupido e avevamo cose serie di cui discutere. Certo, la casa è un miracolo di innovazioni, ma è anche un vero buco nero. Gary si stava comportando come un bambino, nessuno sapeva che intenzioni avesse. Ero stufo di lui, del gioco, delle sue scenate e di tutto quanto. Anche di quel continuo nascondersi, inchiodati in questa casa per tre giorni. Non lo ha nemmeno sfiorato l’idea di quanto potesse essere inopportuno nei nostri confronti, per i futuri clienti, per i dipendenti, per tutti. Io di sicuro non meditavo ogni spostamento né guardavo l’ora ogni minuto. La maggior parte di noi stava solo cercando di capire quanto più poteva della casa stando alla larga da Gary. Non c’è un motivo per cui sono tornato, l’ho fatto e basta.»

«Perché Gary ha costruito qui la casa? Perché non in California?» domandò Charlie quando Harry tacque.

«Perché era un maledetto pazzo!»

«Perché sapeva che il mondo informatico era pieno di spie» rispose freddamente Laura. «Mi ha spiegato il perché. Aveva un contratto con una compagnia aerea privata in modo che lui e la sua squadra potessero spostarsi senza problemi, inoltre bisogna dire che siamo solo a un paio d’ore da Palo Alto, e qui sapeva che non sarebbe riuscita a entrare nessuna spia.»

Charlie annuì. «Viaggiava in aereo quando veniva qui?»

Se l’intenzione di Charlie era di scuoterla, di sicuro non ci riuscì. Laura si strinse nelle spalle. «Sì, l’ho fatto un paio di volte.»

Si rivolse nuovamente a Harry. «Il giorno del gioco, quando è tornato in giardino, Jake si trovava già lì?»

«Gesù!» Harry si strofinò gli occhi. «Sì, penso di sì. Stavo solo passando di lì e Jake mi ha fatto segno di seguirlo. Beth era al bar. Non stavamo nemmeno cercando di non fare rumore, camminavamo normalmente e lei non si è accorta della nostra presenza. Ovviamente aveva appena litigato con Gary. Ha passato tutto il fine settimana in preda alla collera. Beth voleva il divorzio, o almeno sembrava fosse questa la sua intenzione, e lui, Dio solo sa perché, non voleva concederglielo. Questione di orgoglio, credo.»

«Non solo per questo» intervenne Laura con freddezza. «Voleva impiegarla come accompagnatrice durante le visite guidate a Smart House. Gli piaceva utilizzare gente che conosceva.»

«Insomma, tutti sono convinti del fatto che Beth volesse divorziare ancora prima che lei lo avesse deciso» disse Charlie. «Per caso Gary ne aveva parlato a uno di voi due?»

«Ne aveva parlato a me» rispose Laura, e d’improvviso il suo tono divenne brusco e sgradevole, il viso tirato.

Harry la guardò sorpreso, e ritornò a fissare i cereali della colazione.

«Lei è stato l’ultima vittima di Rich, vero?» domandò Charlie a Harry.

«Non lo so» rispose Harry. «Le regole prevedevano che non si potessero dare informazioni agli altri concorrenti. Come diavolo faccio a saperlo?»

«Oh, sì, lo avevo dimenticato. Ma se Bruce aveva il suo nome, e sappiamo che era così, e se Rich ha ucciso Bruce, allora Rich ha ereditato lei come vittima.»

«Ha una buona memoria» commentò Harry teso.

«Sono nella media» replicò Charlie con modestia.

«Be’, allora cerchi di ricordarsi questo: chiunque avesse quell’accidenti di computer portatile poteva procurarsi un’arma in qualunque momento. Questa è una delle operazioni che avrebbe potuto compiere senza il minimo sforzo.»

Charlie guardò Constance. Pareva così tranquilla, così distaccata e assente da sembrare immersa nelle sue fantasticherie. Ma Constance avvertì lo sguardo di Charlie, si scosse e rispose a sua volta con uno sguardo che diceva: "Aspetta un attimo".

Constance guardò Harry e disse: «Conosceva Gary da molto tempo, vero? Per quale motivo pensa che abbia insistito perché partecipaste al gioco in quel particolare frangente?»

Harry posò il cucchiaio, si versò del caffè osservando i propri movimenti come se stesse decidendo se darsi la pena di rispondere, oppure stesse meditando su quale tipo di risposta potesse risultare più soddisfacente. O, più semplicemente, pensò Constance, fino a quel momento non si era posto la domanda.

«Penso che intendesse tenerci separati il più possibile e al contempo volesse farci cambiare opinione, in particolare a quanti di noi non volevano buttare altri soldi in questo progetto» rispose infine. «Per tutto il sabato Gary e Rich avevano fatto pressione su Jake per ottenere il suo appoggio. Se non fossero morti sarei stato io il prossimo da convincere. Penso che ogni singola mossa sia stata programmata in anticipo.»

«E la casa invece l’ha convinta?»

«No. Non scordi che sono l’economo della società e che più di chiunque altro sapevo quanto stava costando e quanto sarebbe continuata a costare.» La sua voce era nuovamente priva di intonazione. Prese il cucchiaio ma si limitò a esaminarlo. «Argento sterling» disse con quella voce monotona e dura, e gettò bruscamente il cucchiaio sul tavolo.

«Capisco» disse Constance con un’espressione assorta. «Mi sembra logico che un uomo alto come Jake abbia scelto una garrotta per una donna tanto più bassa come Beth. Lo ha visto tirare fuori il nastro?» domandò rivolto a Harry, che la stava guardando con avversione e forse persino con un po’ di disprezzo. Charlie fu colto di sorpresa per questo cambio improvviso di direzione della moglie.

«No, lo teneva nascosto, ma poi ho visto Beth portare le mani alla gola nel gesto tipico di chi viene strangolato…»

«Oh, ma certo, si tratta di un riflesso.»

Charlie la osservava attentamente. Poveretto chi avesse provato a strangolarla, pensò. Constance era cintura nera di aikido e per anni aveva tenuto delle dimostrazioni. Le sue mani avrebbero raggiunto parti e fatto cose che l’ipotetico assassino non avrebbe gradito.

«Conoscevate il nome della vittima prima di prendere l’arma?» domandò loro Constance.

Laura e Harry si scambiarono delle occhiate colme d’irritazione. Laura guardò l’orologio e disse: «Non era indispensabile. Non so gli altri ma io lo conoscevo. Dove vuole arrivare?»

«Semplice curiosità» rispose Constance allegramente. «Mi sembra così strano che una donna scelga una garrotta quando la sua vittima è tanto più grande di lei. Lei Laura quanto è alta, uno e settantatré, uno e settantasei? Jake è perlomeno uno e ottantacinque. Mi chiedevo se avesse provato a usare l’arma e non ci fosse riuscita, se fosse stata lei a far venire in mente a Jake di usarla in seguito per Beth.»

«Non sono nemmeno riuscita a trovarlo per tutto il giorno!» rispose Laura infuriata. «È rimasto chiuso con Rich o Gary o Alexander da qualche parte.»

Harry allontanò in modo brusco la sedia dal tavolo. «Se avete finito» disse sgarbatamente «avrei del lavoro da sbrigare» e uscì a grandi passi dalla stanza. Constance si voltò verso Laura che la guardava con astio.

«Pensavo di arrivargli di soppiatto alle spalle mentre era seduto, ma non ne ho mai avuto l’occasione.»

«Da quanto tempo lei e Harry siete sposati? Charlie sgranò nuovamente gli occhi. Laura avvampò di rabbia e contrasse le labbra.»

«Non sono affari suoi!»

«Ovviamente no» rispose amabilmente Constance, e i suoi occhi chiari e imperturbabili sostennero lo sguardo di Laura, mentre la consapevolezza della risposta rimasta in sospeso aleggiò tra loro finché Laura balzò in piedi e uscì di corsa dalla stanza.

«Cosa accidenti significa tutto questo?» le domandò Charlie a bassa voce, impressionato da come la moglie fosse riuscita a scuoterla tanto efficacemente, mentre lui no.

«Semplice curiosità. Mi chiedevo se stessero ancora dormendo insieme e la risposta è no.»

«Come lo sai?» le domandò scrutandola attraverso le fessure degli occhi.

«Lo so e basta» rispose. «Credo che Harry sia impotente, che non abbia nemmeno un briciolo di feromoni.»

«Dio mio!»

«Charlie, i segnali ci sono tutti» disse gentilmente. «Il modo in cui parla di Beth, in cui la guarda, in cui guarda me e tratta Laura. All’inizio pensavo fosse omosessuale, ma non credo che lo sia. Forse sarebbe più corretto definirlo asessuale. La moglie corre la cavallina, lui lo sa ma non fa nulla per impedirglielo. Laura lo tormenta con il suo atteggiamento, come quando ha tirato di nuovo fuori la storia dell’incontro tra lei e Milton sul tetto, o il fatto che abbia scelto appositamente un’arma che avrebbe implicato un contatto fisico con Jake. Se Harry cercasse di liberarsi di lei, Laura minaccerebbe di dirlo a tutti e lui morirebbe piuttosto che farlo sapere. E poi, tutte quelle montagne…» Constance sospirò. «Povero Harry. Laura avrà pure viaggiato con l’aereo della società, ma è stato Gary a mettere fine alla loro storia, non lei.»

Nel sentire quelle parole a Charlie andò di traverso il caffè. Constance lo guardò sorpresa. «Be’, è ovvio. Gary si garantiva la lealtà delle persone distribuendo loro delle quote di azioni, no? A lei non ne ha mai date, e da come si comporta direi che Laura è piuttosto risentita per il modo in cui Gary l’ha trattata. Credo le abbia detto che presto avrebbe dovuto affrontare un divorzio, e che le abbia confidato l’intenzione di voler usare Beth come accompagnatrice per le dimostrazioni a Smart House, un ruolo perfetto per Laura ma non per Beth. Oh, sì, è parecchio arrabbiata. E poi mi sembra evidente che non avrebbe mai cercato di sorprendere alle spalle un uomo. Si sarebbe avvicinata a Jake apertamente, gli avrebbe messo le braccia intorno al collo e poi avrebbe esclamato: "Preso!" non pensi, Charlie?»

«Hai detto che Harry non ha feromoni» disse cupamente. «Intendevi letteralmente nessuno? E come lo sai?»

«Da quell’aura verde carica di vibrazioni che avvolge la maggior parte della gente, da una piccola scossa qua e là, da un formicolio che si avverte alla punta delle dita quando ci si avvicina a loro. Naturalmente alcuni tipi di aura sono rosa, o azzurri, ma anche il verde è piuttosto comune. Harry invece non ne ha. Quella di Laura è color topo e molto compatta.»

Charlie era stato ad ascoltarla attentamente con grande serietà. Cominciò a ridere, e il suo viso si raggrinzì come accadeva sempre quando rideva, facendolo sembrare molto più giovane. «Così impara a farmi gli occhi dolci davanti a te.»

Constance assunse un’espressione innocente.

L’aria era decisamente troppo fredda quando uscirono per andare nella serra. La nebbia era rimasta impigliata tra le cime degli alberi e celava ancora l’orizzonte attardandosi sulle colline dietro a casa. L’erba, coperta di piccole gocce d’acqua, luccicava, e passando tra i rododendri sembrava che i cespugli scuotessero via quel che rimaneva dell’umidità notturna e si ergessero per affrontare un nuovo giorno.

«Che bello» mormorò Constance. Il brontolio dell’oceano, il fragore di un’onda, l’aria pungente del mare, era tutto molto bello, una mattina perfetta.

Mr Ramos li aspettava davanti alle porte aperte della serra, una costruzione sufficientemente grande e con un numero tale di piante da poter essere scambiata per un’attività commerciale. Charlie emise un leggero fischio. Non c’era da stupirsi che gli azionisti si lamentassero per tutti i soldi sperperati. Gary aveva fatto le cose davvero in grande.

Mr Ramos aveva un fisico forte e un viso aguzzo. I muscoli, i tendini e le ossa erano tutti in sintonia, tutti perfettamente armonici e ben marcati. Aveva una cinquantina d’anni, capelli grigi e occhi quasi neri e troppo piccoli. Nel vedere Charlie in soggezione sorrise, scoprendo una dentatura bianca e splendente con otturazioni d’oro brillante.

«È una gran bella serra» disse Mr Ramos. «Vuole visitarla?»

«Certo. Ha terminato di controllare le piante?»

«Tutte quelle all’interno della casa. Non abbiamo trovato niente, non sono state toccate. Questo è uno speciale ambiente a carattere sperimentale» disse, indicando una delle piccole aree delimitate dal vetro all’interno della grande struttura della serra. In tutto c’erano sei piccole aree, ognuna con un diverso assortimento di piante, una gran varietà di fiori o di frutti. «All’interno possiamo mantenere temperature differenti» spiegò Ramos. «E miscelare diverse concentrazioni di biossido di carbonio o eseguire altre operazioni. Là dietro c’è la stanza di propagazione.»

Attraversarono con lui la serra e l’uomo spiegò loro l’utilizzo delle varie aree. Arrivati davanti a un intrico di tubi, Charlie lo fermò. I pesticidi erano stivati in una stanza separata in fondo all’autorimessa, mentre l’anidride carbonica proveniva attraverso un tubo dalla casa. L’acqua e il fertilizzante arrivavano tramite altre tubature e l’intera gestione della serra poteva essere affidata al computer. «A parte in questo momento» soggiunse Ramos con un sorriso, facendo brillare i denti d’oro agli angoli della bocca. «Ora mandiamo avanti la serra alla vecchia maniera, grazie all’aiuto dell’intuito e di Dio.»

«La sera in cui sono morte le due vittime nella serra è stato rilasciato dell’insetticida» disse Charlie. «Penso sarà contento di sapere che il computer non controlla più nulla.»

«L’ho già detto alla polizia e lo dico a lei adesso. Non è stato il computer. Ci vuole la mano di un uomo per aprire quella valvola, non bastano gli ordini di un computer.»

«Me la faccia vedere» disse Charlie.

Ramos li condusse alla fine del muro su cui scorreva l’intrico di tubi. «Vede quello?» disse indicando un piccolo tubo d’acciaio. «Va nell’insetticida che si trova nel deposito. Dal serbatoio l’insetticida arriva in un miscelatore dove viene diluito con l’acqua e pressurizzato per poter essere spruzzato. Quella mattina avevo chiuso presto la valvola perché stavamo finendo l’insetticida e dovevo sostituirlo con un nuovo serbatoio. Non erano previsti trattamenti per cui, dopo aver cambiato il serbatoio, non ho più riaperto la valvola. Ho raccontato anche questo alla polizia, ma suppongo che abbiano deciso di non credermi. Hanno pensato che mi fossi dimenticato di averla riaperta.»

«Qual è la valvola che apre e chiude il flusso nel tubo?»

Ramos indicò nuovamente una delle tante valvole. «L’idea è di lasciarle sempre aperte, in modo che sia il computer a regolare l’afflusso di tutto ciò che passa nei tubi. Quando però qualche prodotto si esaurisce sono io a occuparmi di rimpiazzarlo, io o uno dei ragazzi. Porto dell’altro fungicida e lo sistemo nel deposito, o dell’altro pesticida, o del fertilizzante. Quando finisce un prodotto chiudiamo la valvola, altrimenti falsa tutte le letture dei valori come la pressione o altre cose. I veleni potrebbero essere pompati nel modo sbagliato, oppure potrebbe non essere vaporizzato abbastanza prodotto. Non mi dimentico cose simili.»

«Chi poteva saperlo oltre a lei?» domandò Charlie cercando di seguire la rete di condutture sparse per tutta l’ampiezza della serra. Era inutile, non ci riusciva.

«Mr Schoen o il dott. McDowd, l’orticoltore. È un consulente, viene qui due, tre volte a settimana. Oltre a me lo sapeva anche uno dei miei uomini, ma non era qui durante quel fine settimana.»

«Gary Elringer?»

«Non che io sappia, non il suo dipartimento. Non gli interessava cosa succedeva qui.»

«Come avete bonificato l’aria dopo l’immissione del veleno?»

«Possiamo cambiare l’aria della serra in quattro minuti netti, l’intero volume d’aria. Per le aree sperimentali invece occorrono pochi secondi. Era questo ciò che la polizia voleva sentirsi dire, non della valvola.»

Charlie lo studiò con una certa curiosità. «Pensano che Rich Schoen possa essere stato soffocato qui e poi spostato?»

«Ovviamente non mi hanno detto quello che pensano, però hanno esaminato le aree sperimentali e hanno chiesto in che modo si poteva aspirare l’aria all’interno.»

«C’era qualche altra valvola che non doveva essere aperta o chiusa e invece lo era?»

«No, io non ho notato niente di anomalo. Quando è scattato l’allarme, qualche dannato idiota ha rotto un vetro per fare uscire l’aria. Il tempo di arrivare e di organizzarmi per far partire il sistema di aspirazione e già c’erano vetri sparsi dappertutto, oltre al fatto che non si sa come abbiano potuto rompere un tubo per l’irrigazione… avevamo un dito d’acqua sotto i piedi. Un disastro! Hanno combinato un vero disastro.»

«Sono accorsi tutti?»

Ramos guardò verso la grande casa e si strinse nelle spalle. «In casa c’era una dozzina di poliziotti o forse anche di più. Il computer ha cominciato a segnalare l’allarme per il veleno, così Alexander e Bruce Elringer li hanno portati tutti qui. Credo sia stato Bruce a cominciare a rompere i vetri con una vanga.»

Proseguirono il giro, e intanto in Charlie aumentava sempre più il senso di frustrazione. C’erano troppe ipotesi plausibili per quella morte: il veleno della serra, la cella frigorifera, l’aspirapolvere automatico nell’ascensore e Dio solo sapeva cos’altro. Un trattore con una lama livellatrice venne messo in moto e il gruppetto si fermò. La macchina stava spostando una pila di corteccia sminuzzata che due uomini infilavano in grandi sacchi di plastica raccogliendola con delle pale. «Ne compriamo intere cannonate» disse Mr Ramos sovrastando il rumore del trattore. «Alcune piante non amano lo sfagno, per cui noi copriamo il terreno con la corteccia sminuzzata.» L’uomo guardò Charlie con un’aria scaltra. «La polizia ha voluto vedere le carriole, i carrelli agricoli.»

Charlie annuì quasi involontariamente. «Potrebbero interessare anche a me.»

C’erano due carriole, un carrello con grandi ruote su cui erano stati impilati dei sacchi di tela pieni di sfagno. Charlie li guardò e provò un grande senso di vuoto, poi prese sottobraccio Constance. «Grazie Mr Ramos. Ci è stato molto utile.»

«Accidenti se lo sono stato» rispose lui.

12

Charlie e Constance cercavano Alexander e invece s’imbatterono in Beth. Era pallida e sul punto di scoppiare in lacrime. «Non ce la faccio più» disse stancamente. «Mi stanno facendo impazzire.» Aveva una felpa appoggiata sul braccio e indossava dei jeans, una camicia scozzese e scarpe da ginnastica. «Scendo alla spiaggia.»

«Cos’è successo?» le domandò Constance.

Nell’udire il tono preoccupato di Constance si mise quasi a piangere e scosse la testa senza dire una parola.

«Ha fatto colazione? Andiamo, bisogna che metta qualcosa nello stomaco prima di uscire. Fa piuttosto freddo ed è ancora tutto bagnato per la nebbia. Charlie, ti raggiungo dopo.»

Charlie la guardò condurre la giovane donna nella sala della colazione e si mise alla ricerca di Alexander. Qualsiasi cosa stesse tormentando Beth, Constance lo avrebbe scoperto in cinque minuti, pensò, e ci avrebbe anche scommesso sopra se lì intorno ci fosse stato qualcuno a cui spillare dei soldi.

Charlie era già diretto verso le scale del seminterrato quando vide Harry e Bruce nell’ampio corridoio davanti alla porta della biblioteca. Sembrava stessero litigando. D’un tratto Harry afferrò Bruce per un braccio e lo sospinse verso la porta più vicina attraverso la quale passarono in giardino. Charlie cambiò meta e salì velocemente le scale fino al corridoio curvo, lo percorse ed entrò nel giardino dal piano superiore cercando di non fare rumore. Sapeva che dal basso nessuno poteva vederlo attraverso la fitta vegetazione. Era una giungla là in mezzo, pensò, e cominciò ad avanzare prudentemente costeggiando le piante, talvolta abbassandosi per evitare che Bruce o Harry lo vedessero nel caso in cui avessero sollevato lo sguardo.

Charlie dovette percorrere i due terzi del giardino per riuscire finalmente a udire le loro voci. I due erano al bancone del bar, uno di fronte all’altro. Ora Charlie riusciva a scorgerne dall’alto le teste. Spostandosi con cautela, scese lentamente i gradini avvicinandosi il più possibile al bar finché l’indistinto mormorio divenne abbastanza definito da poter afferrare le parole, e a quel punto si fermò. Un lussureggiante banano lo nascondeva alla loro vista. Una grossa protuberanza rossa indicava che la pianta stava fruttificando. Quella protuberanza aveva un qualcosa di stranamente osceno. Charlie si mise ad ascoltare.

Bruce aveva continuato a imprecare per quasi un minuto di fila, urlando una monotona serie di parolacce finché Harry aveva sbattuto la mano con forza sul piano del bancone.

«Chiudi il becco, per Dio, e stammi a sentire. Non c’è tempo per questo, ormai. Ce la fai a convincerla?»

«Certo, te l’ho già detto. Chiederò a mamma di darsi da fare con Beth, non ti preoccupare.»

«Non ti preoccupare! Bene, me lo ricorderò. Ascolta, dobbiamo diffondere una certa voce. Voglio far circolare la notizia che Bos e Bos2 fanno sembrare Unix un gioco da ragazzi. Ne annunceremo l’uscita in autunno e la dimostrazione in primavera. Questo è quanto.»

«Vaffanculo! Non abbiamo mai dovuto ricorrere al trucco di annunciare dei software che non andranno mai in commercio!»

«Vuoi stare zitto? Grollier potrebbe andare bene per mettere in giro la voce. Ci serve un’altra gola profonda che spifferi tutto quello che sa, chi potrebbe essere?»

«Non certo Beth, anche se l’avessimo già dalla nostra parte. Conosce troppe cose per parlare, e Grollier lo sa. Qualcuno della squadra di Alexander?»

«No, per lo stesso motivo.»

«Ma perché dare la notizia di un software che non verrà mai commercializzato? Perché in questo momento? Cosa cazzo cerchi di fare utilizzando questi squallidi sistemi?»

«Cristo!» gemette Harry disperato. «Usa un po’ di cervello! Abbiamo bisogno di liquidi, un bel po’ di liquidi, e ne abbiamo bisogno subito, altrimenti finiremo tutti gambe all’aria. Non possiamo chiedere soldi al dipartimento della Difesa, ma se fossero loro a venire da noi? Quali sarebbero le nostre condizioni di vendita? Lo sapevano tutti a cosa stava lavorando Gary. Dio santo, lo sa il mondo intero quello che stava cercando di fare. Ora noi mettiamo in giro la voce che c’è riuscito, così loro ci contattano. Devi assicurarti che Beth non cambi idea, devi farle tenere la bocca chiusa e restare tranquilla almeno per i prossimi tre, quattro mesi. Questo ci darà il tempo di valutare il risultato della voce che abbiamo messo in giro, e a quel punto ’fanculo Beth!»

«Il tuo piano è troppo vago» obiettò Bruce dopo una pausa. «Bos lo conoscono già ma vedranno Bos 2 come una trovata pubblicitaria e nulla di più.»

«Sbagliato» disse Harry. «Dobbiamo studiare quello che vogliamo far sapere con grande cura. A mettere in giro la voce deve essere qualcuno che non ne conosce il significato, ed è per questo che Beth non sarebbe adatta. Diciamo Bos 3.7 e Bos 2 2.4. Dovrebbe andare, non credi?»

Bruce fece una pausa ancora più lunga della precedente, poi cominciò a parlare con un tono più misurato: «Non può essere Grollier. Ci sono un paio di altre persone che fanno al caso nostro. Sal Vinton, per esempio, e anche Laura sarebbe adatta. Con Sal Vinton Laura sarebbe perfetta.»

Fino a poco prima Charlie si era accontentato di riuscire a sentire le loro voci, ma in quel momento desiderò anche di poterli vedere. Spostò leggermente la foglia di banano che aveva davanti al viso e colse un movimento con la coda dell’occhio. Guardò meglio e vide Jake che origliava, esattamente come lui, nascosto tra il fogliame del livello superiore. Ovviamente Jake doveva essersi accorto della presenza di Charlie già da qualche tempo, per questo si limitò ad annuire appena, restando immobile senza fare rumore.

«L’altra questione è quando iniziare a far circolare la voce» disse infine Harry senza il minimo cambiamento d’intonazione. «Dev’essere il prima possibile. Se iniziassimo questo fine settimana sarebbe un fallimento, naturalmente, ma Laura può cominciare da lunedì. Due, tre settimane dovrebbero essere sufficienti…»

Jake stava pian piano risalendo i gradini. Raggiunse la porta scorrevole più vicina, la aprì e si fermò sulla soglia come se fosse appena entrato nell’atrio. «Beth, sei qui?» urlò.

Charlie vide le teste di Bruce e Harry lasciare il bar e uscire dal giardino. Charlie si voltò verso Jake. «Tante grazie. Stavo assistendo a una lezione di etica informatica, credo.»

«Se avessimo voluto salvare anime ci saremmo dati al sacerdozio» rispose bruscamente Jake. Si voltò e si allontanò attraverso la porta scorrevole.

Beth si era sentita troppo imbarazzata per chiedere la colazione a Mrs Ramos, e aveva troppa paura di dare fastidio per andare in cucina a prepararsi qualcosa. Beth ammirò la sicurezza con cui Constance ordinò per lei uova strapazzate, pane tostato e caffè. «È l’idea di tutti quei soldi» disse d’un tratto, come se solo adesso si fosse resa conto di qualcosa d’importante. In effetti l’argomento era importante. I soldi stavano trasformando tutti in estranei, e lei era come una sconosciuta anche per se stessa. «Ho appena fatto una scenata a Maddie» disse con un filo di voce. «Che strano. Dopo tutti quegli anni con Gary e le volte che avrei potuto trovare delle scuse per prendermela con lei e non l’ho mai fatto, mentre adesso…»

«Maddie cosa vorrebbe che facesse?»

«Intanto vorrebbe che fossi più gentile con Bruce» disse amareggiata. «È come chiedere di essere gentile con un serpente a sonagli.»

Mrs Ramos apparecchiò, portò il caffè e si allontanò silenziosamente così come era arrivata. Constance versò il caffè a tutte e due benché ne avesse già bevuto parecchio quella mattina. In qualche modo, pensò, condividere il caffè o il cibo agevolava la conversazione. Agevolava le autorivelazioni, si corresse.

«Ha un comportamento che sfiora l’isteria» disse Constance vedendo che Beth non sembrava voler proseguire il discorso. «La gente in quello stato dice e fa cose che normalmente non direbbe o farebbe.»

«Credo sia così. Non siamo mai stati ricchi. La mia famiglia non ha mai avuto soldi. I miei lavoravano per l’amministrazione pubblica, mia madre è stata infermiera per qualche tempo ma ha lasciato il lavoro appena siamo andati all’università. Io e mio fratello, intendo. Avevamo una borsa di studio ma mio fratello ha smesso di studiare. Era troppo difficile finanziariamente, e poi voleva sposarsi. Anche quando Gary ha cominciato a guadagnare non avevamo soldi. Capisce cosa intendo? Se gli arrivava un assegno di mille dollari ne spendeva istantaneamente duemila. Poi è nata la società e siamo stati tutti assunti, ma neppure allora abbiamo visto il becco di un quattrino. C’era sempre qualcosa di più grande o migliore da comprare, un laboratorio più spazioso da affittare, altro personale da assumere e così via. Quando sono tornata all’università la situazione stava appena cominciando a migliorare. Pensavo che fosse finito il tempo delle economie, e credo che lo avessero pensato tutti. Nessuno di loro aveva grandi conti in banca. Avevano idee, progetti, sogni, speranze, ma neanche un soldo. A parte Milton, credo, ma di certo non gli altri.»

Constance si rese conto che quel discorso era fuori luogo. Non era ciò per cui avevano litigato Maddie e Beth. Aspettò. Quando la maniglia cominciò ad abbassarsi si alzò e con estrema gentilezza prese il vassoio dalle mani di Mrs Ramos, disse qualcosa e ritornò al tavolo con la colazione. Beth era ancora intenta a guardare fuori dalla finestra e non si era accorta di nulla.

«Maddie dice che se fossi stata più carina con Gary, se non lo avessi lasciato, non sarebbe successo nulla di tutto questo. Dice che si è incattivito a causa mia. Ora tutti trattano male Bruce, lui ne soffrirà e diventerà anche lui cattivo o chissà che altro. Maddie desidera che sia gentile con lui, che gli dica che non voglio soldi per le azioni, che aspetterò il momento più opportuno finché i guai non saranno passati.»

«Mangi la sua colazione» le disse Constance quando Beth ricadde nel silenzio.

Beth prese un boccone, poi un altro, senza nemmeno guardare il cibo. Posò la forchetta e bevve dell’altro caffè. «Mi ha detto che Bruce ha accettato delle pesanti condizioni economiche per gli alimenti della moglie, la sua ex moglie, perché pensava che non avrebbe avuto problemi di soldi. Se fossi rimasta con Gary non avrebbe pensato a quello stupido gioco. Uomini adulti che si aggirano furtivamente con palloncini, pistole ad acqua, fratello contro fratello. Ed è tutta colpa mia! Se fossi rimasta con lui e avessimo avuto dei bambini non avrebbe cominciato a occuparsi di Smart House!» Il mento le tremava di nuovo e aveva gli occhi lucidi e gonfi di lacrime.

Constance le appoggiò una mano sul braccio e le disse con fermezza: «Beth, Maddie è molto spaventata. Perché ha così paura?»

«Le è crollato il mondo addosso. Gary è morto, Bruce è… È convinta che Bruce abbia ucciso il fratello, credo. Gary era il sole, Bruce la luna, ed erano tutto per lei. Questa consapevolezza la spaventa a morte.»

Charlie e Alexander si trovavano nell’appartamentino di Gary. Charlie era al computer e lo stava detestando con tutte le sue forze. Alexander era seduto accanto a lui.

«Non c’è bisogno che le spieghi come lo so» disse Charlie rabbiosamente. «Le dico che aveva una serie di comandi separati, o qualcosa del genere, a cui poteva accedere attraverso questa dannata macchina, mi creda. Lei lo conosceva bene, cerchi di entrare nella sua testa. Se avesse una stanza segreta, per esempio, come aprirebbe e chiuderebbe la porta?»

Alexander si mordicchiava le unghie guardandosi intorno nervosamente e rifiutandosi di entrare nella testa di Gary anche solo per un istante. «Qualsiasi cosa. Avrebbe potuto programmare qualsiasi cosa avesse voluto. Come faccio a saperlo?»

Charlie inspirò brevemente. «Va bene, va bene. Facciamo un gioco. Attraverso questo computer possiamo colloquiare con quello principale, giusto?»

Alexander annuì stancamente.

«Immaginiamo che io voglia chiudere a chiave la porta e non mi voglia alzare. Cosa potrei fare?»

«Entrare nelle funzioni della sicurezza. È un programma separato che va sotto la denominazione sicurezza. È sufficiente che digiti la parola.»

«Bene. Di solito usava parole normali come questa? Nessun codice segreto o altri stratagemmi?»

«Dipende da cosa doveva fare.»

Charlie imprecò sottovoce e guardò il ragazzo. «Aveva creato un codice segreto, ammesso fosse questo ciò di cui si serviva?»

«Non lo so.»

«Lo deve sapere!» gli gridò Charlie, ed ebbe l’impressione che Alexander volesse scappare via, così lo afferrò per un braccio e lo trascinò sulla sedia di fronte alla tastiera. «Lei sa sicuramente qual è, e ora me lo cercherà. Non può essere sicurezza, quel programma è accessibile a tutti nel computer principale. Potrebbe trattarsi di un altro programma? Di un segnale? Di un codice di accesso o di un comando? Cosa potrebbe essere?»

Alexander sembrava terrorizzato e scosse la testa.

«Non si alzerà da qui finché non lo avrà trovato, ha capito?»

Sconsolato, Alexander iniziò a digitare sulla tastiera con due sole dita. Cominciò a scorrere un testo e il ragazzo guardò il monitor. Fece qualche operazione per cancellare la schermata, digitò nuovamente qualcosa e poi di nuovo, e di nuovo ancora. Qualche minuto dopo alzò lo sguardo pieno di speranza. In quel momento si udì bussare.

«Non si muova!» Charlie aprì appena la porta, vide che era Constance e la fece entrare.

Constance si accorse della presenza di Alexander e rivolse al marito uno sguardo interrogativo. Charlie aveva un’aria particolarmente corrucciata.

«Alexander sta cercando il codice che ha usato Gary» disse cupamente.

«È inutile» ribadì Alexander facendo appello alla comprensione di Constance. «Non può pretendere che gli dica qualcosa che non so.»

«Ha provato nella directory?» gli domandò Constance.

«Conosco tutti gli elementi che contiene, ma lui pensa che si tratti di qualcos’altro in aggiunta ai normali file.»

Constance annuì. Se Charlie era convinto di questo probabilmente aveva ragione. «Forse non in aggiunta, ma nascosto in uno dei file che già conosce.»

«È quello che sto cercando di verificare» rispose sconsolato.

Constance lo guardò per alcuni secondi poi disse: «A cosa era meno interessato? Alla serra? Alla cucina? A qualcosa fuori dalla casa? All’autorimessa?»

Alexander lanciò uno sguardo impaurito a Charlie e digitò un nuovo comando, e poi un altro ancora. Stava scorrendo i beni inventariati delle varie stanze tra cui la sala musica e la libreria. Era appena passato alla cucina quando all’improvviso trasalì nell’udire la voce di Charlie, ma questa volta il tono era gentile, sommesso e confortante come quello di un amorevole genitore. «Basta così, Alexander. Ora può andare. So che ha del lavoro da sbrigare.»

Il ragazzo guardò alternativamente Charlie e Constance, balzò in piedi e uscì quasi di corsa dalla stanza.

«Lo hai visto anche tu?» le domandò Charlie. Constance annuì e Charlie si sedette al computer e digitò "sala tv". Apparve una nuova schermata con sottocategorie riguardanti il mobilio e una lista di videocassette. Ad attirare Charlie e Constance era stata proprio quella lista la cui prima voce era "Sesamo". Charlie spostò il cursore su "Sesamo" e lo selezionò. Constance emise un suono soffocato. Una porzione di muro si stava spostando rivelando una porta.

«Sapevo che quel figlio di puttana era capace di farlo» mormorò Charlie, e Constance sorrise.

Charlie cominciò a canticchiare sottovoce, emettendo un suono monotono più simile alle fusa di un gatto che a una voce umana. Si chinò a esaminare la porta senza toccarla, tornò alla scrivania e prese una matita. Premette la gomma sul primo dei tre pulsanti posti sul rivestimento della porta e questa si aprì. Si ritrovarono davanti un altro ascensore non più grande di un metro per un metro, sul cui pavimento erano appoggiati un rotolo di copie cianografiche e due computer portatili perfettamente uguali a quello che avevano recuperato nel vaso di gardenia.

«Bene, bene» disse Charlie a bassa voce con un tono decisamente soddisfatto. «Che bella sorpresa!»

Beth si trovava in cima al lungo sentiero che portava alla spiaggia scendendo di una sessantina di metri. Il vento si era calmato e la temperatura era persino calda, un evento raro per la costa dell’Oregon. In lontananza vedeva le pozzanghere lasciate dalla bassa marea. Non c’era nessuno. Beth cominciò a scendere verso la spiaggia. In alcuni punti il sentiero era stato scavato nella roccia, in altri era ricoperto da una pavimentazione nera, e dove il percorso diventava pericolosamente ripido avevano costruito scale e ringhiere. L’ultima volta che era stata lì aveva capito che scendere era piuttosto facile, ma non risalire. Dopo aver parlato con Constance nella sala della colazione, si era sentita curiosamente vuota, senza energie. E i pensieri, così come erano arrivati, le erano sfuggiti senza lasciarle il tempo di fare delle considerazioni. Beth però sapeva che doveva ripensare alle cose che Maddie aveva farfugliato quella mattina. Continuava a ripetersi che non era giusto, questa volta cercando di fissare i pensieri nella sua mente ed esaminandoli a lungo. Se avesse accettato un pagamento differito per la sua quota azionaria sarebbe rimasta al verde per mesi, forse persino per anni, e di certo questo non era giusto. Se avesse preteso adesso quello che le spettava avrebbero dovuto vendere la società a un prezzo inferiore rispetto al valore di mercato, e anche questo non era giusto. Aveva lasciato il tetto coniugale a causa di quello che Gary era diventato. Non era diventato così perché lei se n’era andata. Tutto non era giusto! Bruce non era un suo problema, e nemmeno Maddie.

Quello che desiderava veramente, pensò, era ottenere parte del denaro che la società le doveva. Che le doveva, ripeté. Quei soldi li avrebbe investiti nella piccola casa editrice di Margaret Long, sarebbe tornata a occuparsi di quel genere di libri con cui nessun editore commerciale voleva avere a che fare. Nessuno considerava mai che anche lei aveva dei sogni, delle ambizioni, pensò tristemente.

Scivolò e afferrò la ringhiera. Sul sentiero c’era un tratto all’ombra attraversato da un rigagnolo d’acqua, che spariva tra i coriacei cespugli erbosi delle dune che scendevano fino al livello dell’alta marea. La marea era più bassa dell’ultima volta in cui si era spinta fino al mare. La spiaggia era più ampia di quello che immaginava potesse diventare. Era delimitata a nord da un promontorio, e sull’altro versante dalla scogliera su cui sorgeva Smart House. Quella mattina però Beth avrebbe potuto oltrepassare gli scogli in entrambe le direzioni e camminare per ore. Non era giusto, pensò nuovamente, e si morse il labbro per l’esasperazione. Fece l’ultima curva e lasciò il sentiero avanzando a fatica sulla sabbia, diretta verso la parte più compatta della spiaggia dove si poteva camminare agevolmente.

Nelle pozze d’acqua lasciate dalla marea c’erano stelle di mare rosa e rosse, e anemoni di mare multicolori che si chiusero ribollendo rabbiosamente appena li toccò. Piccoli granchi rosati correvano veloci spostandosi nella loro assurda andatura laterale. Si sedette sul bordo di uno scoglio, smosse l’acqua di una pozza e osservò le reazioni spaventate delle creature che l’abitavano finché fu assalita dalla vergogna e riprese a camminare.

Si arrampicò sugli scogli di basalto affiorati con la bassa marea, e guardò la spiaggia dalla tipica forma a mezzaluna che sorgeva oltre il confine a nord, deserta come quella in cui si trovava e con la stessa barriera di scogli all’estremità. Si voltò e ritornò sui propri passi. Non era giusto. Questa volta passò accanto alle pozze, alcune già traboccanti d’acqua per l’avanzare dell’alta marea, senza fermarsi. Camminava a passo svelto cercando di riflettere, di definire quali fossero realmente le sue responsabilità. Raggiunse l’altra estremità della spiaggia verso sud e si fermò ancora. La scogliera saliva quasi in verticale. Quando c’era l’alta marea, dall’alto si potevano vedere infrangersi le onde. Ora il livello del mare consentiva di arrampicarsi sui massi sparsi alla base della scogliera e arrivare fino in California, in Messico, andare avanti all’infinito.

Cominciò a inerpicarsi sugli spuntoni di roccia e si fermò nuovamente impietrita dal terrore, la bocca aperta ma incapace di emettere alcun suono. Era troppo spaventata, troppo sconvolta per gridare.

Incastrato tra le rocce c’era il corpo di un uomo con un vestito scuro, una mano appoggiata alla superficie di una pozza d’acqua rimasta imprigionata tre metri sopra il livello del mare. Beth riusciva a scorgerne la nuca, la parte superiore della schiena, le spalle, un braccio e una mano. L’uomo indossava un orologio d’oro. "Si è steso ad asciugarsi sugli scogli perché è bagnato" pensò. L’orologio d’oro brillava sotto il sole. L’altro braccio e l’altra mano non erano visibili. Poi, d’un tratto, si rese conto che erano stati certamente mozzati durante la caduta e si mise a vomitare.

Non ricordava di essersi inerpicata su per il sentiero né di essersi diretta verso Smart House, ma una volta entrata ebbe l’impressione che gli altri fossero già tutti presenti. Charlie cominciò a dare ordini in modo brusco e allo stesso tempo rassicurante. Era un bene che ci fosse Charlie a prendere in mano la situazione, perché Milton era morto. A quel punto Beth si mise a piangere.

Charlie mandò Bruce e Constance sul ciglio della scogliera di fronte al promontorio. «Non deve avvicinarsi nessuno» disse loro. «Alexander, chiami lo sceriffo e l’investigatore speciale dell’ufficio del Procuratore capo. Dica che se è morto non lo toccheremo, a meno che la marea non cominci a salire in fretta. Voglio che la squadra omicidi dello sceriffo si precipiti qui prima possibile. Jake, Harry, venite con me.»

«Dà per scontato che sia morto?» domandò Jake mentre raggiungevano quasi di corsa l’imboccatura del sentiero.

«Non lo so, ma quella dannata marea sta salendo e voglio che la squadra omicidi arrivi prima che l’acqua raggiunga il corpo. Se è vivo richiameremo la polizia.» Se fosse stato ancora vivo lo avrebbero trascinato in un punto più alto, ma Charlie sapeva che non poteva esserlo, e anche Beth lo sapeva.

Sulla spiaggia Charlie e Jake guardarono Harry arrampicarsi sulla parete nera di basalto, fino all’altezza della pozza e dello scoglio che aveva interrotto la caduta in mare di Milton Sweetwater. Harry procedeva con prudenza e grande sicurezza. Girò attorno alla pozza e allungò una mano per sentire il battito sul collo di Milton. La ritrasse subito e, colto da un attimo di esitazione, rimase qualche istante abbarbicato agli scogli prima di cominciare a scendere lentamente.

«Gesù» sussurrò Jake, e si voltò a guardare l’oceano. Aveva la schiena curva, le mani affondate nelle tasche come se fosse molto infreddolito.

Charlie si rammentò che l’ultima volta aveva visto Milton Sweetwater fare il giro della casa per spegnere le luci. Harry li raggiunse. Aveva un volto terreo e scuoteva la testa.

«Qualcuno deve restare qui ad assicurarsi che la marea non lo porti via» disse Charlie bruscamente. «Resterete tutti e due. Non tornate lassù e non lasciateci salire nessuno. Se viene raggiunto dall’acqua fate un grido e lo porteremo via da quella roccia.»

Non aspettò né la risposta né eventuali domande, lasciò Jake e Harry sulla spiaggia e cominciò a risalire il sentiero. Presto lo sceriffo sarebbe arrivato, ma c’erano ancora un paio di cose che Charlie voleva fare, e la prima era andare a dare un’occhiata in cima alla scogliera.

Rimandò Bruce a casa e, appena si fu allontanato, domandò a Constance: «Niente?»

«No. Voleva avvicinarsi al ciglio ma l’ho fermato. Anch’io volevo avvicinarmi, ma dubito che questo significhi qualcosa. È morto?»

«Sì.» Charlie guardò l’immensa costruzione stagliata contro la parete di roccia. Da lì erano visibili anche la serra e le due case del personale di servizio. La pavimentazione rossa del camminamento che correva tutto intorno alla casa spiccava da lontano poi, scendendo un paio di gradini verso il terreno ridisegnato dal paesaggista, c’erano sentieri coperti di frammenti di corteccia, lastricati con piastrelle o mattoni. Tra Smart House e il ciglio della scogliera non c’era alcun ostacolo, nulla che impedisse la vista, e per questo lui e Constance erano perfettamente visibili dalla casa. Voltò le spalle alla costruzione e studiò il terreno circostante. In quel punto il prato aveva ceduto il posto al basalto, e le rocce terminavano in un precipizio. Non c’erano ringhiere né protezioni di alcun genere, d’altronde perché avrebbero dovuto esserci? Non era una residenza per famiglie, ma una sorta di casa prototipo nata per essere visitata da uomini d’affari che presumibilmente avevano abbastanza buon senso per non finire giù da una scogliera.

Charlie si avvicinò lentamente verso il vuoto senza cercare nulla in particolare. Si fermò e appoggiò un ginocchio a terra per esaminare delle macchie marroni e opache che risaltavano sulla superficie lucida del basalto. Cercò ancora e trovò altre tre macchie marroni, vi passò accanto facendo attenzione a non calpestarle e proseguì.

«È sangue?» domandò Constance senza avvicinarsi.

«Probabile.» In due piccole porzioni di terreno c’erano quattro macchie a una trentina di centimetri dal ciglio. Fece un passo in avanti verso lo strapiombo e sentì una morsa allo stomaco, un fremito gli attraversò le viscere per la paura, così come gli accadeva sempre quando si avvicinava a un luogo posto a una certa altezza senza parapetto. Quando la paura passò, Charlie guardò giù. Lì la scogliera era a picco e in fondo, nel punto in cui la terra e il mare si scontravano con violenza, c’era un ammasso di scogli frantumati. Harry e Jake si trovavano ancora dove Charlie li aveva lasciati, entrambi rivolti verso il mare. A parte Milton Sweetwater, non si vedeva nessun altro.

«Potrebbe essere caduto» disse Constance.

«Oppure saltato giù.»

«Tu però non credi che sia andata così, vero?»

«Tu sì?»

«No.»

Charlie le cinse le spalle. «Possiamo pure ritornare in casa con gli altri, volevo solo dare un’occhiata.»

Lo sceriffo arrivò non appena Charlie e Constance rientrarono in casa, scelse due agenti e scese alla spiaggia seguito da Charlie. Nessuno gli chiese nulla. I tre agenti studiarono il corpo, si consultarono, e due di loro risalirono il sentiero. Jake, Harry e Charlie li seguirono a ruota. Lo sceriffo era sulla cinquantina, aveva profonde rughe sul viso dovute alla lunga esposizione all’aria aperta, la pelle lucida e coriacea. Aveva l’aspetto di un agricoltore o di un pescatore, pensò Charlie osservandolo lavorare. Lo sceriffo puntò dritto al telefono senza rivolgere la parola a nessuno dei presenti, chiamò un elicottero e la squadra di salvataggio della Guardia Costiera. Riattaccò e guardò Charlie con uno sguardo sconfortato.

«Vicino al ciglio della scogliera ci sono delle macchie che sembrerebbero essere sangue» lo informò Charlie.

«Non sono io a occuparmi del caso» rispose lo sceriffo. «Sono gli investigatori statali. Se non fosse che la marea sta avanzando velocemente, mi sarei limitato a mettere qualcuno di guardia e avrei aspettato il loro arrivo.» Lo sceriffo guardò gli altri componenti del gruppo che in quel momento, pur restando nella stessa stanza, si tenevano il più possibile lontani gli uni dagli altri. Lo sceriffo li scrutò con disgusto. «Nessuno dovrà muoversi da qui fino all’arrivo di Dwight.» L’uomo lasciò la stanza a grandi passi.

Questo risolveva il suo dilemma, pensò Charlie. In questo modo non era tenuto a mettere al corrente lo sceriffo del piccolo ascensore. Fino ad allora si era domandato quale fosse il momento giusto per dirglielo, ma sapeva che non ci sarebbe mai stato un momento giusto. "Dwight" pensò. "Dwight Ericson. L’investigatore del Procuratore generale." Charlie si sedette ad aspettarlo.

13

Trascorsero l’ora seguente aspettando. Di tanto in tanto qualcuno si alzava per andare in bagno, per prendere da bere o del caffè, sempre in compagnia di un agente dello sceriffo che li accompagnava fino alla porta. Le rare occasioni in cui qualcuno parlava, lo faceva a monosillabi. Più volte Maddie aveva provato a prendere un libro, ma poi aveva finito sempre col riposarlo. Bruce camminava, si sedeva, si rialzava e ricominciava a camminare. Alexander si contorceva e si dimenava. Laura faceva degli schizzi, girava velocemente le pagine e riprendeva a fare schizzi. Sia Harry che Jake erano immobili e sembravano aver talmente compresso i loro sentimenti che nessuna molla avrebbe potuto sopportare tanta tensione.

Charlie faceva un solitario con le carte e li osservava tutti. Stavano ognuno per conto proprio, il più possibile lontani l’uno dall’altro, come se avessero la percezione che uno sguardo o un contatto fossero sufficienti a innescare un’esplosione. L’elicottero era arrivato e dalla grande vetrata lo avevano visto volteggiare, fermarsi in un punto fisso, poi abbassarsi e scomparire in un crescendo di rumore, e infine ripartire. Ora non restava che aspettare l’investigatore speciale. Uno dei poliziotti guardava fuori dalla vetrata. Nessuno aveva avuto modo di chiedere a Charlie se intendeva parlare del gioco all’investigatore. Charlie radunò le carte, le mescolò e ricominciò il solitario.

Nella stanza si udì un leggero fruscio, come se avessero tirato un sospiro di sollievo collettivo, e finalmente fecero il loro ingresso due agenti statali in uniforme, più una terza persona in borghese. L’uomo indossava dei jeans, e sopra a una maglietta un giubbotto color cachi. Harry e Jake si alzarono, ma furono zittiti dallo sguardo glaciale con cui passò in rassegna i presenti. Il suo sguardo si soffermò su Constance e in particola!" modo su Charlie che aveva osservato la scena comodamente appoggiato allo schienale della poltrona.

«Conosce già gli altri» disse Jake. «Le presento Charlie Meiklejohn e sua moglie Constance Leidl. Sono… consulenti. Il capitano Dwight Ericson.» E terminò le presentazioni.

Osservando il nuovo arrivato Constance si rese conto che Dwight Ericson avrebbe potuto essere un perfetto fratello minore per lei. Quanto sarebbe stato felice suo padre con un figlio così. Suo padre non aveva mai fatto intuire in alcun modo la sua delusione per non aver avuto un figlio maschio, ma aveva insegnato alle figlie maggiori a sciare e sparare, ad andare a cavallo e a mungere le vacche, e aveva insistito perché frequentassero l’università e intraprendessero una carriera professionale. Gli sarebbe piaciuto un figlio come Dwight Ericson. Non aveva ancora quarant’anni, era alto più di un metro e ottanta, aveva delle ampie spalle e una vita stretta. I capelli erano biondi come quelli di Constance e gli occhi dello stesso colore azzurro chiaro. Constance si sedette e osservò Charlie e il capitano annusarsi e girarsi intorno come due cani randagi, sebbene nessuno dei due si fosse mosso. Constance trattenne un sorriso.

Charlie annuì. «Lei è un investigatore speciale?» Il tono della sua voce lasciava intuire che Dwight Ericson era troppo inesperto, troppo giovane e troppo ingenuo per la posizione che ricopriva. Charlie si alzò pigramente. «Sicuramente saprà già tutto dei giochi e dei divertimenti che si sono svolti in questa casa la scorsa primavera, per cui è inutile ritornare sugli stessi argomenti. Ora però c’è una terza vittima da prendere in considerazione. Gli hanno sparato?»

Ericson lo guardò attraverso le fessure degli occhi e annuì.

«Credo sia meglio che scambiamo due parole» gli propose Charlie.

Ericson esitò un istante, sì voltò e condusse Charlie nella biblioteca. Uno degli agenti statali restò con il gruppo e l’altro lo seguì. L’uomo dello sceriffo se ne andò, mentre Charlie e Constance seguirono Ericson. Constance sapeva che tutti gli occhi erano puntati su Charlie, e che ognuno voleva chiedere cosa avrebbe raccontato dello stupido gioco a cui avevano accettato di partecipare alcuni mesi prima. Non c’era modo di rassicurarli sul fatto che aveva deciso di non parlarne. Se solo avessero ascoltato si sarebbero accorti che lo aveva già detto chiaramente.

Nella biblioteca, Ericson si fermò davanti a un lungo tavolo e sembrò quasi studiarlo con interesse. Poi si voltò e guardò Charlie e Constance più attentamente. «Meiklejohn. Lei si è occupato di quel caso di omicidio di Ashland, vero?»

Charlie annuì.

«L’hanno coinvolta per indagare sulle due morti di maggio?»

«Per essere precisi, Milton Sweetwater è venuto a casa nostra e ci ha coinvolti.» Avvicinò una sedia per Constance e un’altra per sé. «Ericson, possiamo lavorare insieme oppure posso andarmene in giro da solo a curiosare, ma in un modo o nell’altro temo di dovermi occupare di questo caso.»

Dwight Ericson si sedette e si strofinò gli occhi. «Non la voglio ostacolare. Sa quanti abitanti ha l’Oregon? Quasi tre milioni, e si estende per un territorio enormemente vasto. Io sono l’investigatore speciale di questo stato, l’unico investigatore speciale. Sinceramente, Mr Meiklejohn, se mi potrà essere utile, mi creda, accetterò il suo aiuto.»

Charlie annuì cordialmente. «Tre, quattro milioni, poco cambia, lei rimane comunque sott’organico. Io posso mostrarle come Gary Elringer, e forse altri, si sono spostati in questa dannata casa senza essere visti la notte dei due assassinii.»

«Allora mi hanno mentito dicendo che il computer ha registrato ogni loro movimento.» Sembrava risentito, come un bambino a cui era appena stato rivelato che Babbo Natale non esiste.

«Non del tutto, o quantomeno solo alcuni le hanno mentito.»

«E che mi dice della ferita d’arma da fuoco? Come sapeva che avevano sparato a Sweetwater?»

«Non lo sapevo» ammise Charlie. «È stata una deduzione logica. Ho detto allo sceriffo delle macchie di sangue sul ciglio della scogliera ma non ho visto assolutamente nessuna arma. Sweetwater era un uomo robusto e in buona forma. Mi è sembrato poco logico supporre che qualcuno lo abbia semplicemente spinto giù, che sia caduto o si sia buttato. La presenza delle macchie di sangue mi ha fatto capire chiaramente che le cose non sono andate così. Non rimaneva molto altro a cui pensare se non a una pistola.»

«Va bene. E in che modo riuscivano a spostarsi senza che il computer registrasse i loro movimenti?»

«La cosa migliore per spiegarglielo è farle vedere cosa abbiamo scoperto nell’ufficio di Gary» rispose Charlie. «L’idea è venuta a Constance, è stata lei a sospettare che Gary Elringer avesse un passaggio privato per entrare e uscire.»

Scesero nel seminterrato.

«Vede» disse Charlie poco dopo nell’ufficio di Gary «basta selezionare "sala tv" nella directory del computer, digitare il codice segreto e guardi cosa succede!» Ericson emise un leggero suono gutturale. «Siamo arrivati qui solo ieri» disse Charlie quasi con un tono di scuse. «Non abbiamo ancora avuto il tempo di approfondire la cosa, ma non mi sembra male come inizio.» Premette il pulsante di apertura con la gomma della matita così come aveva fatto la volta precedente, e si ritrovarono a fissare il piccolo ascensore con le copie cianografiche e i computer portatili sul pavimento.

Ericson si avvicinò, poi chiese bruscamente: «Avete toccato qualcosa?»

«No. Lo avevamo appena scoperto quando Beth è rientrata a casa annunciando il ritrovamento del corpo di Milton Sweetwater. Non abbiamo avuto molto tempo per fare delle indagini. C’è una porta sulla parete di fondo dell’ascensore» aggiunse a bassa voce «e il solo posto in cui la si può aprire è al pianterreno, in corrispondenza dell’uscita dietro al grande freezer che porta nel piccolo corridoio dietro al bagno e allo spogliatoio. Da lì ci vuole un attimo per arrivare nella sala idromassaggio o per uscire fuori attraverso la porta che si trova in corridoio.»

Ericson fece segno di avvicinarsi all’agente in uniforme. «Voglio che verifichiate subito se ci sono delle impronte digitali. Passate al vaglio tutto quanto nella stanza.»

Quindi si voltò verso Charlie e Constance, mostrando la stessa considerazione per entrambi, e domandò a Constance: «È stata un’intuizione o glielo ha detto qualcuno?»

«Penso che la maggior parte di loro sarebbe sorpresa da questa scoperta» disse Constance con un’aria assorta.

Quando entrò il secondo agente si fecero da parte, e i due uomini si misero al lavoro nell’ascensore.

«Non lo sa ancora nessuno» disse Charlie. «Le ho detto che avevamo qualcosa per lei ed eccola qua. Forse vorrete rilevare le impronte anche su questo.» Tirò fuori dalla tasca il terzo computer avendo cura di reggerlo per l’estremità del sacchetto di plastica. Descrisse in che modo l’aveva ritrovato e spiegò cosa erano in grado di fare i computer portatili.

All’improvviso Ericson sorrise e parve ringiovanito di molti anni. «Va bene. Cos’altro avete scoperto?»

«Tocca a lei» disse Charlie con un’aria seria. «Per caso uno dei due uomini è stato spostato, trascinato, buttato a terra violentemente… Insomma, capisce perfettamente a cosa mi riferisco, no?»

Constance sapeva che stavano giocando a un gioco che entrambi conoscevano. Per il momento nessuno dei due aveva intenzione di cedere di un millimetro, e continuavano a sondarsi a vicenda cercando di valutare fin dove potevano spingersi.

«No» rispose Ericson.

«Ne è sicuro?» gli domandò Constance.

«Oh, sì. Si cercano graffi, indumenti in disordine, segni sul pavimento o sulla moquette, lucido da scarpe, frammenti di tessuto e cose di questo genere.» Guardò Charlie ma non proseguì. «Naturalmente ci abbiamo pensato anche noi.»

Charlie annuì. «Naturalmente.»

«E lei sa anche come funziona quell’aggeggio?» domandò Ericson indicando il computer nel sacchetto di plastica.

«Ne hanno parlato ieri sera» disse Charlie. «Bruce Elringer era convinto che gli altri ne fossero a conoscenza, e in effetti hanno quasi ammesso che era così, o che quantomeno avrebbero dovuto saperlo, ma poi gli era sfuggito di mente.»

Ericson emise un suono aspro e gutturale, simile al ringhio di un animale. «Cos’è accaduto ieri sera?»

«Ho fatto delle domande, e per alcune ho anche ricevuto delle risposte, poi siamo andati tutti a letto. Io e Constance potremmo essere stati gli ultimi a vedere Milton Sweetwater. Stava facendo il giro della casa per spegnere le luci. Dubito che riuscirà a saperne di più dagli altri. È inutile metterli troppo sotto pressione finché non avremo stabilito l’ora del decesso. Sa già qual è?»

Era una domanda ma anche un suggerimento, e assomigliava terribilmente a un ordine. Dwight Ericson lo studiò ancora per qualche istante, poi si strinse nelle spalle. «Faremo il possibile.» Si avviò verso la porta, poi si fermò. «Vuole assistere agli interrogatori?»

Charlie scosse la testa. «Grazie. Mi riservo di accettare l’invito per un’altra occasione. Scommetto che chi ieri sera è rimasto in camera dirà semplicemente di essere andato a dormire, e tutti affermeranno di non aver visto o sentito nulla.»

«Già. Invece Bruce Elringer e Jake Kluge erano svegli e gironzolavano per casa» disse Constance. «E Bruce ha sostenuto di avere una pistola.»

Ericson inspirò e riprese a camminare. «Scommetto che ora è scomparsa.»

Charlie sorrise. «Le spiace se do un’occhiata in giro per conto mio?»

«Faccia pure. Dopo che avrò finito al piano di sopra potremo sederci da qualche parte a bere una tazza di caffè, d’accordo? Ci vediamo più tardi.»

Charlie rise piano. Non era esattamente una proposta ma piuttosto un suggerimento, se non addirittura un ordine. Charlie decise che Dwight Ericson gli andava a genio. Prese il braccio di Constance e le disse: «Andiamo sul tetto a prendere una boccata d’aria.»

Uscirono dall’ufficio e si diressero in fondo al corridoio, verso l’ascensore principale che si trovava a cinque, sei metri da quello segreto. Al primo piano la disposizione era uguale a quella del seminterrato: la porta dell’ascensore nella cabina armadio dell’appartamentino di Gary era collocata alla stessa distanza dall’ascensore principale, rispetto a dove si trovavano in quel momento. Charlie sapeva che sul tetto i due ascensori erano l’uno accanto all’altro. Voleva dare un’occhiata alle due porte anche lì, voleva vedere come erano state camuffate dal momento che non aveva ancora avuto modo di esaminarle. La piccola costruzione sul tetto era una struttura di legno di sequoia. Charlie vi girò intorno lentamente, entrò nella parte destinata a magazzino e vide dei mobili da giardino accatastati, parecchi tavolini, delle sedie a sdraio. Dall’interno non era affatto evidente che ci fosse anche un secondo ascensore. Dall’esterno il piccolo ascensore era altrettanto invisibile, la porta perfettamente mimetizzata nel rivestimento di legno delle pareti.

«Stai cercando qualcosa in particolare?» gli domandò Constance dopo un istante. Charlie era inginocchiato e stava esaminando il legno.

«Se solo lo sapessi!» borbottò. «Credo che dovremo aspettare che gli uomini di Ericson finiscano i rilevamenti. Ti è venuta fame?»

«Sì, sono le due passate.»

«Che ne dici di continuare la ricerca in cucina?»

Mrs Ramos stava disponendo sui vassoi tacchino, prosciutto e formaggio sotto la supervisione di un altro agente in uniforme. All’arrivo di Charlie e Constance la donna perse per un istante la sua compostezza.

«Stupendo!» esclamò Charlie. «Sa che facciamo Mrs Ramos? Prepariamo dei panini e li portiamo nella sala della colazione, se lei è d’accordo.»

«Anche se non lo sono» rispose, e continuò a sistemare anelli di cipolla, sottaceti e lattuga su un piatto da portata.

Charlie annuì amabilmente e cominciò a preparare i panini. Senza dire una parola Mrs Ramos gli portò un vassoio, dei tovaglioli e delle tazze da caffè. Riempì di caffè una piccola caffettiera, la posò sul vassoio e ritornò a occuparsi della lattuga e dei sottaceti. Charlie si ritenne soddisfatto, prese il vassoio e si avviò verso la porta.

«Può dire al capitano che c’è un panino anche per lui nella sala della colazione?» chiese al poliziotto che osservava il vassoio con un’aria affamata. Poi, a bassa voce, aggiunse: «Mrs Ramos non sopporta di vedere la gente affamata. Vada a dare un paio di annusate al prosciutto.» Prima ancora che Charlie fosse arrivato al piccolo corridoio che separava la cucina dalla sala della colazione, il poliziotto si stava già dirigendo verso il tavolo da lavoro.

Stavano giusto finendo di mangiare i loro panini, quando Dwight Ericson li raggiunse e si sedette con un brontolio di disapprovazione. Guardò fuori dalla grande vetrata in direzione del mare, su cui stava cominciando a riformarsi la nebbia. Più vicino alla costa l’oceano brillava.

«Niente?» gli domandò Charlie con la stessa partecipazione mostrata in precedenza.

Dwight Ericson si strinse nelle spalle. «Per ora non li ho messi troppo sotto pressione, ma lo farò non appena conoscerò l’ora del decesso e l’arma del delitto.» Guardò Charlie e accennò un sorriso. «Bruce Elringer asserisce di non aver mai posseduto una pistola in tutta la sua vita. Naturalmente la madre sostiene la sua versione. Harry Westerman dice che Milton Sweetwater portava sempre con sé una pistola quando viaggiava, una calibro trentotto. Non l’abbiamo trovata però.»

Charlie guardò Constance che non ebbe bisogno di dirgli: "Te l’avevo detto".

«Potremmo procurarci facilmente una calibro trentotto, sparare un colpo dalla scogliera e vedere se il rumore arriva fino alle camere» disse invece Constance. «Però sarebbe meglio aspettare che cali la nebbia, non crede?»

Dwight Ericson guardò prima Constance e poi Charlie, il quale sollevò un sopracciglio e disse con tono gentile: «Dovrebbe mangiare qualcosa.» Non aggiunse altro, soprattutto non aggiunse che la particolarità di Constance era quella di captare le parole dalla mente delle persone e pronunciarle prima che queste avessero il tempo di farlo, suggerendone al contempo di nuove nella testa dei suoi interlocutori. Charlie non disse niente di tutto questo, non col capitano che guardava Constance con espressione così guardinga.

Ericson prese un panino. «È andata più o meno come avevate previsto. Jake Kluge dice che proprio mentre stava per addormentarsi ha sentito un rumore, e ha pensato potesse provenire dal balcone. Una porta sbattuta, un oggetto caduto, non sa dire cosa poteva essere. Non riuscendo più a riprendere sonno alla fine si è alzato, e mentre scendeva al piano di sotto ha sorpreso Bruce che vi stava spiando. Dopo aver preso da bere è ritornato a letto e si è addormentato subito. E questo è tutto. Bruce si è giustificato dicendo che a quell’ora era in piedi a lavorare e gli è venuta fame, ma quando vi ha visto nel giardino ha voluto capire cosa stavate combinando. Tutto qui. Bruce asserisce di non aver sentito nulla, così come gli altri del resto. A parte voi a quell’ora non c’era nessuno in piedi, dormivano tutti profondamente.»

«Quei due però sono riusciti a sporcarsi le scarpe con quella terra davanti ai miei occhi» disse Charlie, e prese un altro mezzo panino. «L’ultima stanza del corridoio appartiene a Bruce.»

«Sì, ma non gli ho detto che ha trovato della terra davanti alla sua stanza prima che lo vedesse ritornare in camera quella sera.»

«Dove sono finiti tutti quanti?» domandò Constance. La casa era di nuovo stranamente silenziosa. Non c’erano dubbi, Smart House non le piaceva proprio.

«Ho chiesto agli altri di restare nella sala da pranzo finché non avremo terminato di cercare la pistola. Non hanno fatto i salti di gioia, ma per il momento non si sono mossi. L’inferno scoppierà quando cominceranno ad arrivare i giornalisti.»

«È vero. Non c’è bisogno di essere chiaroveggenti per immaginare i titoli: SMART HOUSE ESIGE LA SUA TERZA VITTIMA.» Charlie terminò di bere il caffè e si appoggiò allo schienale meditando di fronte al luccichio dell’oceano e alla nebbia che avanzava verso la costa.

«Avete trovato delle impronte digitali sui portatili o sulle copie cianografiche?» domandò Constance senza nutrire grandi speranze. Gli abitanti di Smart House erano intelligenti quanto la casa, troppo scaltri per lasciare delle impronte. Provò una strana sensazione ma non volle nemmeno pensare che potesse trattarsi di qualcosa di più di un attimo di turbamento.

«Sono perfettamente puliti» rispose Ericson.

«Questo significa che molto probabilmente non sono stati né Gary né Rich a metterli lì» disse, augurandosi che la sensazione appena provata si ripresentasse in maniera più definita. Dwight Ericson la guardava con aria interrogativa, e lei proseguì la sua spiegazione. «Loro due avevano un motivo per maneggiare le copie cianografiche o i computer, l’assassino invece no. È per questo che ha dovuto eliminare tutte le impronte, per poter negare di conoscere il passaggio segreto o il modo per cancellare la registrazione dei suoi movimenti dal computer principale.»

«Se i suoi uomini hanno finito d’ispezionare il piccolo ascensore vorrei dargli un’occhiata» disse Charlie.

Ericson annuì, bevve il caffè un po’ troppo in fretta e si alzò. «Anch’io.»

Nell’ufficio di Gary, un giovane poliziotto li accolse con un energico saluto militare e si fece da parte perché Charlie e Dwight Ericson potessero avvicinarsi all’ascensore.

«Ho effettuato delle misurazioni, signore» disse il poliziotto guardando Charlie. Sembrava un adolescente a un campo estivo. «L’ascensore misura settantasei per settantasei per due metri e tredici di altezza. Ci sono delle prese d’aria sul soffitto e le porte non sigillano completamente, mi riferisco alle porte interne. In un primo momento ho pensato che la vittima avrebbe potuto rimanere soffocata qui dentro per poi essere spostata in un secondo tempo, ma è troppo grande e troppo ventilato… signore» aggiunse, e arrossì violentemente. Poi riprese la consueta espressione impassibile. Ericson lo fissò stizzito per un istante prima di proseguire verso l’ascensore.

«Grazie, Howie» disse Ericson. «Vai a prendere un panino in cucina.»

Il giovane poliziotto si precipitò quasi fuori dalla stanza. Ericson guardò Charlie e disse: «Sembra che abbiano sentito tutti parlare di lei.»

Charlie però non lo stava ascoltando. Era entrato nell’ascensore e lo stava osservando voltandosi lentamente per esaminare ogni parete. Sembrava pannellato con lastre di alluminio. Le due porte erano dello stesso materiale e Charlie immaginò che questo servisse a dare peso alla cabina tenendola in tensione. Toccò una parete e annuì: era fredda. Dall’altra parte c’era la cella frigorifera. La parete accanto confinava con il montavivande, mentre la seconda porta all’interno dell’ascensore, al momento chiusa, era a contatto con il muro della cella frigorifera in corrispondenza del punto dove si trovavano i carrelli. Annuì nuovamente soddisfatto, e si voltò per esaminare con più attenzione la porta aperta dell’ascensore. Il giovane poliziotto aveva ragione, in basso non aderiva completamente e nemmeno l’altra porta. C’era una fessura millimetrica, ma pur sempre una fessura. Sospirò e guardò in alto. Le prese di ventilazione gli parvero estremamente piccole ma nell’impianto di illuminazione c’era una ventola. Rich però era morto nell’ascensore principale, rammentò a se stesso, per cui ogni congettura era inutile. Charlie sospirò ancora più profondamente.

Ogni porta era fornita di piccole maniglie, e la cabina aveva dei pulsanti per salire, scendere, aprire e chiudere la porta, ma Charlie non si soffermò su nessuno di questi particolari. Provò ad aprire la seconda porta ma non vi riuscì. Era bloccata perché a quel piano non c’erano uscite sul lato posteriore. Uscì dalla cabina e lasciò entrare Ericson, restando lì a fissare l’ascensore con un’aria accigliata e le mani in tasca. Al momento quell’ascensore non rappresentava altro che un deposito per i computer portatili e le copie cianografiche.

«Proviamo a fare ancora una cosa» disse Charlie quando Ericson ebbe finito di esaminare la cabina. «Come si accendono le luci e il ventilatore?»

«Il computer è spento» disse Ericson. «Forse senza computer non possono funzionare.»

«Il computer però ha aperto la porta» gli ricordò Charlie. «E poi a cosa servirebbero i pulsanti se non lo si può azionare manualmente?»

«Provi» gli suggerì Ericson.

Charlie provò i pulsanti ma non accadde nulla finché non chiuse la porta. A quel punto la luce a soffitto si accese. Quando il pannello si richiuse e l’ascensore svanì, Constance rimase col fiato sospeso. Ericson soffocò un’imprecazione e si avvicinò per esaminare la parete che ora appariva perfettamente compatta. All’interno si udì un leggero rumore, il pannello si spostò ancora, un istante dopo la porta dell’ascensore ricomparve e si aprì. Charlie sembrava piuttosto teso.

«È claustrofobico» fu il suo commento. «Probabilmente la ventola si aziona solo quando è in movimento.»

«Ora tocca a me» disse Ericson. «Ci vediamo al piano terra, dalla porta sul retro.»

Questa volta fu Charlie a vedere il pannello tornare a posto silenziosamente, e altrettanto silenziosamente il marito condusse Constance fuori dall’ufficio e lungo il corridoio fino all’ascensore principale nel quale entrarono. Cercarono di sentire se dal piccolo ascensore accanto al loro provenisse qualche rumore, ma non udirono nulla. Arrivati al piano terra si portarono velocemente sul retro della casa, e quando giunsero dietro all’ascensore principale Ericson era già lì, con le porte dell’ascensore aperte alle sue spalle. Si trovavano nel corridoio stretto che terminava dietro al grande freezer della dispensa.

«La porta anteriore dell’ascensore non si apre a questo piano» spiegò Ericson. «Ritorno nell’ascensore per farvi vedere come funziona l’apertura della parete, poi verrò io a vederlo.»

«Potete stare fuori a guardare voi due» propose Constance. «Questa volta vado io a manovrare i comandi. Volete che salga fino alla camera da letto?»

«Sì, già che ci siamo» rispose Charlie con un’espressione cupa.

Appena ebbe chiuso la porta desiderò di non essersi offerta volontaria. Nell’ascensore faceva freddo e lei rabbrividì, ma provò anche un sentimento che non riuscì bene a identificare, un sentimento di inquietudine. Claustrofobia? Era possibile. La corsa fu molto dolce, la partenza e l’arrivo senza scossoni, la ventola funzionava silenziosamente. Ma quel sentimento si fece più intenso finché Constance riuscì a identificarlo: era terrore. Appena l’ascensore si fermò premette subito il pulsante per aprire la porta, ma quando questa non si aprì il terrore rischiò di diventare panico. Constance si ricordò che a quel piano si apriva l’altra porta, quindi si voltò di scatto e schiacciò il pulsante dall’altra parte. La porta si aprì silenziosamente come tutti gli altri meccanismi. Uscì dalla cabina come aveva fatto Dwight Ericson al piano terra, decisa a non passare là dentro un secondo più del necessario.

Charlie e Dwight ci misero almeno un minuto per raggiungere la camera da letto di Gary. Al loro arrivo Constance respirava ormai in modo regolare. Con grande fatica si obbligò a rientrare nell’ascensore, chiuse la porta per permettere a chi era fuori di verificarne il funzionamento a quel piano e salì sul tetto. Quando uscì dalla cabina e respirò l’aria fresca e pulita del mare si rese conto che non sarebbe più rientrata là dentro di sua spontanea volontà. Questa volta ci volle un po’ più di tempo prima che Charlie e Dwight la raggiungessero.

Charlie aveva la stessa aria tesa di quando era uscito dall’ascensore. "Tutto normale" pensò Constance. Se lei era in ansia anche lui lo era, funzionava così tra loro.

«Ti va di provare ancora una cosa?» le chiese cingendole le spalle.

«Quante ne vuoi» rispose sforzandosi di usare un tono allegro per alleggerire la tensione che attanagliava il volto di Charlie.

«Solo una» disse. «Promesso. Vorrei sapere se stando fuori si riescono a sentire due persone che parlano all’interno dell’ascensore. Dwight?»

Il capitano annuì e Charlie entrò con la moglie di nuovo nella cabina. Si stava piuttosto stretti in due. Charlie chiuse la porta, abbracciò Constance, la baciò, si scostò e disse con un tono di voce normale: «Sei una compagna perfetta, buona e leale. Usciamo da questo maledetto posto.»

Constance rise e aprì la porta, trovandosi di fronte Dwight che scuoteva la testa. «Niente, non si è sentito assolutamente niente.»

«Ora vediamo come si chiude quando dentro non c’è nessuno» disse Charlie, e osservò la porta aperta e il pannello di legno che si era spostato. «Proviamo.» Accostò la porta e sentì scattare il meccanismo di chiusura. Nello stesso istante il pannello di legno cominciò a muoversi. Era talmente ben costruito che una volta a posto nessuno avrebbe mai immaginato che potesse essere mobile.

Dwight sembrava nuovamente stizzito. «Gli alibi forniti dalla registrazione del computer in questo modo non valgono più nulla» disse. «Chiunque fosse stato a conoscenza di questo ascensore sarebbe potuto andare ovunque spostandosi più velocemente di chi prendeva l’ascensore principale o le scale, e senza lasciare alcuna traccia.» Guardò l’ora ed entrò nell’ascensore più grande. «Ci siamo divertiti abbastanza. Devo tornare alle perquisizioni, alla pistola scomparsa e ai rumori nel cuore della notte.»

14

Charlie e Constance passeggiavano per il terreno, nel giardino dietro a casa dove il muro di pietra si ergeva alto, simile a un’antica fortificazione. Charlie lo guardò con un’aria meditabonda. «Maddie pensa che un ladro abbia scalato questo muro e si sia introdotto in casa» disse. «Mi sembra altamente improbabile.»

«Non lo pensa davvero» gli rammentò Constance. «Probabilmente s’inventerà che Milton era andato a fare una passeggiata e che si è imbattuto nello stesso ladro, questa volta armato di pistola. Queste spiegazioni la rincuorano.»

«Lo so.» La prese sottobraccio e continuarono la loro passeggiata in mezzo ai rododendri. Il giardino sul retro di Smart House era troppo all’ombra. Con il muro della casa sul versante occidentale e la parete di roccia su quello orientale non poteva certo penetrare molto sole. Era piacevolmente fresco e umido, i sentierini erano cosparsi di corteccia sminuzzata.

«Non si può attraversare il giardino ed entrare in casa con un carrello, senza che la corteccia rimanga attaccata alle ruote o senza lasciare dei solchi nel terreno» disse Constance terminando il ragionamento cominciato da Charlie. «Ovviamente, se sono morti nel punto in cui sono stati ritrovati, allora questa considerazione diventa irrilevante.» Constance tacque, e Charlie la guardò aspettando chissà quali rivelazioni. «Lo voglio anch’io uno di quei carrelli da giardino» disse Constance con un cenno del capo, pensando alla raccolta delle mele. «Si può caricare molto peso e trainarlo facilmente.»

Charlie le afferrò il braccio e la spinse verso il fronte della casa. Da lì si godeva una vista sui campi da tennis e su un tradizionale giardino all’italiana con migliaia di rose, gigli e fiori che Charlie non aveva mai visto. Degli uomini stavano rovistando tra le piante. La nebbia era calata e si era fatta più vicina, mozzando la scogliera da nord a sud. Il sole appariva già pallido e informe e presto sarebbe stato completamente oscurato, mentre sulla costa sarebbe cominciato un altro giorno pieno di nebbia e foschia.

«Andiamo a fare una passeggiata sulla spiaggia» propose Charlie, e si avviarono verso il mare. Si fermarono in cima alla scogliera e Dwight Ericson li raggiunse. C’erano parecchi uomini radunati lungo il limite del livello dell’alta marea, in attesa che il mare si ritirasse completamente. Due di essi erano aggrappati alle formazioni di basalto su cui si era fermato il corpo di Milton.

Di fronte allo sguardo interrogativo di Charlie, Dwight si strinse nelle spalle. «Ancora niente. Per i vasi della casa stanno usando dei metal detector, ma l’oceano è grande. Con un buon lancio ci si può sbarazzare di un sacco di cose. Soprattutto cose pesanti.»

Osservarono in silenzio uno degli uomini impegnato nella ricerca della pistola scivolare tra gli scogli riuscendo però a trovare un appiglio. Per qualche istante l’uomo restò immobile, quando riprese a muoversi Constance tirò un sospiro di sollievo.

«È sicuro che Harry Westerman non abbia avuto la possibilità di raccoglierla?» domandò Dwight.

«Ne sono sicuro. E nemmeno di posarla, l’ho osservato attentamente.»

«Ma certo. Ho intenzione di trattenerli tutti in quanto testimoni chiave finché non avremo i risultati preliminari dell’autopsia, e comunque almeno fino a stasera. Non posso tenerli qui più a lungo.»

Arrivò uno degli uomini di Dwight e gli parlò a bassa voce. «Forse è arrivata la relazione preliminare su Sweetwater. Ci vediamo dopo.»

Né Constance né Charlie menzionarono di nuovo la passeggiata sulla spiaggia e continuarono a osservare gli uomini che si muovevano sugli scogli viscidi. Sebbene si stesse ritirando per la bassa marea, l’oceano sibilava e si frangeva rumorosamente sugli scogli bagnando gli uomini da capo a piedi. La foschia aveva coperto completamente il cielo, la temperatura era calata di colpo tanto che Charlie rabbrividì e si ritrovò a desiderare ardentemente il caldo sole di casa. In quel momento apparvero Jake e Beth.

Beth era pallida e aveva un’aria molto stanca, mentre Jake sembrava ancora troppo rigido, troppo teso.

«Hanno detto che possiamo andare dove vogliamo purché non usciamo dai confini di Smart House, stiamo alla larga dalla spiaggia, dall’atrio e…» La voce di Beth divenne stridula e lei si ammutolì. Guardò in basso, verso gli uomini sugli scogli, poi fissò lo sguardo sulla porzione di oceano ancora visibile, una distesa grigia punteggiata da schiuma bianca. «Stanno ancora cercando la pistola? Non la troveranno mai.»

«Probabilmente ha ragione» concordò tristemente Charlie. Guardò Jake che stava ancora osservando gli uomini in fondo alla scogliera, e gli domandò: «Secondo lei, quant’è intelligente Bruce?»

Jake parve sorpreso da quella domanda. «Maledettamente intelligente» rispose dopo un istante. «So che da quando siete arrivati Bruce ha fatto ben poco sfoggio delle sue doti intellettive, ma le assicuro che non aveva molto da invidiare all’intelligenza del fratello, e questo è certo.» Beth stava per dire qualcosa, ma Jake le prese la mano. «Un momento, c’è una cosa che va detta. Gary ha creato seri problemi emozionali o mentali a tutti quelli con cui è venuto a contatto.» Beth cercò di tirare via la mano ma Jake la trattenne. «In tutti questi anni vi ho osservati tutti quanti, quando eravate insieme a lui» disse. «Non sono cieco. Ha trasformato Maddie in una specie di serva sciocca. Anche Maddie invece è una donna molto intelligente. Suo marito lavorava all’ENIAC molti anni fa, e lei collaborava con lui. Maddie si è sempre tenuta aggiornata, ma Gary l’ha trasformata in una brava massaia con la farina sulle guance e la torta di mele nel forno. Era quella la madre che voleva, ed è ciò che Maddie è diventata per amor suo. Rich e Alexander lavoravano al progetto di Smart House per lui, non con lui. Noi possiamo definirci tutti persone abbastanza in gamba ma lui, Charlie, lui era un genio, un autentico genio, e questa consapevolezza ci ha spinto a rimanere al suo fianco fino alla fine.»

Beth continuava a dare dei piccoli strattoni per cercare di liberare la mano. Quando Jake si voltò a guardarla, la sua espressione non era più dura e irrigidita dalla tensione, ma piuttosto confusa e quasi ferita. Uno spasmo percorse il muscolo della guancia di Jake. «Perché non l’hai lasciato? Non l’hai lasciato sul serio, non hai divorziato?»

Di colpo Beth smise di tentare di liberare la mano. Un sentimento di grande confusione le attraversò il volto, e rispose allo sguardo di Jake fissandolo a sua volta. Jake lasciò la presa e infilò le mani in tasca.

«Scusa» le disse. «La mia domanda è fuori luogo.» Guardò prima Charlie e poi la grande distesa dell’oceano. «Il punto è che sapevo perfettamente cosa stava accadendo, lo sapevamo tutti, ma nessuno sì è tirato indietro. Nessuno poteva andarsene. In un modo o nell’altro Gary ha saputo trattenerci. A volte, quando si stava con lui, era come essere avvolti da un vortice di idee. Non semplici speranze o illusioni campate in aria, ma idee che potevano funzionare, che potevamo vedere realizzate. Noi eravamo consapevoli del fatto che nemmeno in un milione di anni avremmo avuto quelle intuizioni. Per alcuni era questa l’attrattiva principale di Gary. Era una persona stimolante e dinamica, ci faceva sentire migliori di quanto eravamo, migliori di quanto pensavamo di essere. Per quanto fossimo in gamba, lui era sempre molto più avanti rispetto a noi. Sapevamo che era irraggiungibile, e forse era proprio questo che ci attraeva, il fatto di sapere che eravamo nello stesso gruppo, che stavano accadendo grandi cose e altre ancora più grandi sarebbero accadute. Ci faceva compiere cose impossibili e, per Dio, era proprio questo il suo fascino! Anche quando a un certo punto ci siamo accorti che stava rovinando le nostre vite, lo abbiamo comunque lasciato fare.»

All’inizio le parole gli uscirono calme e misurate, poi il suo tono si fece sempre più affannato, infine la sua voce perse intensità fino ad arrivare quasi a un sussurro. «Se mai dovessi incontrare qualcuno come lui, scapperei il più lontano possibile. Se oggi Gary ritornasse in vita, conoscendo i suoi sogni, i suoi progetti, le idee che non aveva ancora nemmeno cominciato a sviluppare…» All’improvviso Jake smise di parlare, il volto pallido ed emaciato rivolto verso il mare. «Faremmo tutti esattamente le stesse cose» terminò la frase senza alcuna intonazione.

«Di nuovo dentro al sogno» sussurrò Beth.

Jake si scosse, la guardò e annuì. «Di nuovo dentro al sogno finendo per amare e odiare ogni minuto di quell’avventura. Riprendiamo la passeggiata.»

Beth annuì. In silenzio, ignorando Charlie e Constance, si allontanarono l’uno accanto all’altra senza alcun contatto fisico.

«Bene, bene» disse Charlie, e subito tacque nel vedere un poliziotto in uniforme che si avvicinava. Era Howie, l’agente che poco prima aveva relazionato Charlie nell’ufficio di Gary.

Il ragazzo accennò un saluto militare, arrossì e si bloccò prima di aver terminato il movimento. «Il capitano mi ha incaricato di dirvi che tra qualche minuto spareremo dei colpi di pistola per verificare se dall’interno si sente il rumore dello sparo.» E quasi senza volere terminò la frase dicendo: «Signore.»

Charlie annuì con serietà, Constance trattenne un sorriso e ritornarono a Smart House mano nella mano.

«Pensavo che potremmo piazzare qualcuno in varie stanze e vedere cosa succede» disse Dwight Ericson quando entrarono in casa. «Con le tende tirate e le porte chiuse per ricreare il più possibile le stesse condizioni della scorsa notte. D’accordo?» Dwight non aspettò la risposta. «Ho già spiegato agli altri cosa faremo, pensavano di dover tenere le porte aperte.»

Charlie finì nella camera di Laura e Harry. Diede un’occhiata al bagno e vide che era quasi identico a quello della sua stanza. La camera da letto, invece, era molto diversa. C’erano due letti, uno scrittoio, delle comode sedie e una libreria con dei bei libri e dei reggilibri di cristallo come anche i portacenere. Dentro a uno di questi c’erano delle graffette e due mozziconi di sigaretta. Charlie sapeva che appartenevano certamente a Laura, Harry non avrebbe mai messo a repentaglio la sua salute in quel modo. Sparpagliati sul tavolo da toeletta c’erano le solite spazzole e i prodotti di bellezza, oltre a due belle lampade; anche queste con la base di cristallo. La stanza aveva un’aria sfarzosa. In quella sua e di Constance, invece, l’uccello, il portacenere e le lampade erano cloisonné. Ogni stanza era stata arredata con cura, con raffinati accessori, a quanto pareva tutti diversi. "Un vero buco nero" pensò Charlie, e il termine stava assumendo sempre più significato.

Controllò la porta scorrevole, eliminò l’ultimo spiraglio di luce che filtrava tra le tende e aspettò di udire il rumore dello sparo. Un minuto dopo sentì bussare leggermente alla porta. Quando Constance entrò, scossero entrambi la testa.

Diede uno sguardo alla stanza, annuì in segno di approvazione e uscirono in corridoio ad aspettare Dwight Ericson che arrivò poco dopo con un’espressione estremamente delusa.

«Avete già portato via qualcosa dalla stanza di Milton?» domandò Charlie.

«No. Vuole dare un’occhiata?» Li condusse lungo il corridoio sino alla stanza numero tre, la porta accanto a quella di Beth che si trovava prima delle scale. Oltre le scale c’era la camera di Gary. Entrarono nella stanza e un poliziotto in divisa si alzò da una sedia a schienale alto guardando Dwight Ericson in attesa di ordini. Dwight gli fece segno di tornare a sedersi. La stanza, anch’essa diversa dalle altre, aveva pareti color avorio con intense sfumature mogano che emergevano qua e là, una moquette verde scuro e copriletti di un verde più chiaro. Gli accessori erano di rame lucido. Uno dei letti era stato preparato per la notte. Un pigiama di seta bianca lucente e una vestaglia in coordinato spiccavano sul copriletto verde. Una valigetta era appoggiata sull’altro gemello; sulla scrivania c’erano dei fogli, un portacenere di rame con un mezzo sigaro fumato e della cenere.

Appoggiati sulla scrivania inoltre c’erano anche un bicchiere con un dito d’acqua e un assortimento di penne e matite. Alcuni fogli erano impilati ordinatamente, altri erano sparsi sul tavolo come se Milton li avesse sfogliati più volte. La disposizione delle due spazzole e del pettine allineati con cura sul tavolo da toeletta rivelavano un ordine quasi militare, e lo stesso poteva dirsi di ciò che si trovava in bagno o nell’armadio. Un irritante pignolo che trattava con rispetto i propri oggetti personali, che amava l’ordine, fumava poco, beveva poco, sapeva di assomigliare a una star del cinema ed era morto troppo giovane. Charlie sospirò.

«Mi sono sentito esattamente così dopo aver esaminato la stanza, completamente disorientato» disse Dwight dando un ultimo sguardo in giro. «Non era ancora andato a dormire, stava lavorando ed è uscito finendo per farsi sparare e buttare nell’oceano. Qualcuno deve aver bussato alla sua porta, o forse l’assassino è stato colto di sorpresa dalla passeggiata a tarda notte di Sweetwater sul ciglio della scogliera, o magari aveva un appuntamento proprio laggiù.»

«Come avete fatto a entrare? Sweetwater aveva detto che avrebbe sbarrato la porta. Io per esempio nella nostra camera ho usato una sedia.»

«Credo che il problema non si sia nemmeno posto, siamo semplicemente entrati. Pensa che Sweetwater sia uscito dalla porta scorrevole del balcone?»

«In questo momento non credo un accidenti di niente» borbottò Charlie. Sentì le dita invisibili di Constance tra le scapole e la guardò. Constance era in piedi accanto alla porta, lontana da lui, ma Charlie aveva comunque avuto la sensazione della sua mano sulla schiena.

Constance scosse leggermente la testa, infastidita come lui da qualcosa che non le quadrava, e che non riusciva a identificare. «Avete rilevato le impronte in questa stanza?» domandò lentamente.

«E a quale scopo?» ribatté Dwight Ericson. «Anche se trovassimo delle impronte non significherebbe nulla. Chiunque avrebbe potuto entrare e uscire liberamente da una stanza all’altra.» È tutto troppo pulito «disse Constance.» Più pulito persino della nostra camera. Le pare possibile che Sweetwater si sia messo a lustrare ogni cosa? E se non ci fosse nemmeno un’impronta?

Dwight lece segno al poliziotto assegnato a quella stanza di avvicinarsi. «Fai venire qui Petey.» Appena l’uomo si fu allontanato, domandò a Constance: «Cosa le fa pensare che non ce ne siano?» Lanciò uno sguardo astioso alla camera come se per lui costituisse un oltraggio.

«Non lo so» rispose Constance. «Sembra ordinata in modo ossessivo, e non penso che Milton fosse un uomo con una personalità ossessiva. Naturalmente, però, potrei sbagliarmi.»

Mezz’ora più tardi, Dwight guardava Constance con una sorta di reverenza e Charlie con rassegnazione. «Non può essersi trattato semplicemente di un’intuizione» disse Dwight.

Non erano state rinvenute impronte né sulla scrivania, né sul tavolo da toeletta, né sulle lampade o sugli interruttori, né sui soprammobili di rame. Sul vetro invece avevano rinvenuto delle impronte piuttosto nitide, così come su varie superfici del bagno.

«Prima fai delle foto e poi svuota la stanza» disse Dwight al tecnico che stava ricercando le impronte. «Tutto quello che è trasportabile deve andare in laboratorio. Puoi lasciare qui il mobilio. Andiamo» disse poi a Charlie e Constance.

Nel grande corridoio fuori dalla stanza Charlie alzò una mano. «Non so voi, ma io ho intenzione di dirigermi al bar a bere qualcosa.»

«Mi piacerebbe poterlo fare» rispose Dwight con una sorta di ringhio. «Stasera magari.»

«A proposito di stasera» disse Charlie. «Tornerà a Portland quando avrà finito?»

«Il mio ufficio è là ma ho messo su bottega per un paio di giorni a Coos Bay, perché?»

«Avevo in mente una cena e uno scambio d’informazioni. Offriamo noi. Ci sta?»

«Mi sembra decisamente meglio di un McDonald’s.» Guardò l’ora e storse la bocca. «Facciamo alle sette e mezzo? Vi passo a prendere io.»

Sembrava che i poliziotti avessero terminato le ricerche nel giardino dell’atrio. Quando Charlie e Constance entrarono, Bruce li salutò dal bar con la mano e Maddie annuì. Sul bancone c’era un vassoio con formaggio, piccoli salamini e cracker. Charlie si avviò verso il bar e fece segno a Constance di sedersi a un tavolo.

«Oggi ti faccio da cameriere» le disse allegramente. «Cosa desidera, signora?»

«Del vino, per favore. L’accesso alla spiaggia è di nuovo consentito?» domandò a Maddie che pareva ben poco interessata al bicchiere di Martini che aveva in mano. La donna appoggiò le labbra al vetro senza bere e riposò il bicchiere.

«Penso di sì.» La voce di Maddie sembrava quella di una vecchia, era una voce roca, aspra, tremolante. «Secondo Harry i poliziotti non hanno trovato niente. Credo che siano ancora qui intorno da qualche parte.»

Charlie portò il vino e un piatto di stuzzichini, prese un salamino e ritornò al bar. Constance spalmò sul cracker del formaggio, un Brie molto cremoso. «Buono» disse, e con sua grande sorpresa si ritrovò a pensare a Brutus, uno dei loro gatti. Prima che lo trovassero era vissuto per le strade di New York e conosceva l’arte di arrangiarsi. Il suo cibo preferito era il Brie o qualunque altro formaggio che Charlie stesse mangiando. Per anni aveva tentato di far perdere al marito il vizio di lasciare il piatto di formaggio nel soggiorno. A New York costituiva un richiamo per un infinito numero di ospiti indesiderati, per questo Constance aveva preso l’abitudine di portare lei stessa il piatto del marito in cucina. Poi Brutus era arrivato nelle loro vite, e nel giro di una settimana Charlie aveva imparato a farlo da solo.

Constance si rese conto che era quella maledetta Smart House a farle venire voglia di tornare a casa, al caldo, dai suoi terribili gatti e da tutto ciò che significava vita casalinga, senza l’odore di cloro che penetrava dappertutto, lo stucchevole profumo delle gardenie e dei fiori d’arancio…

«Eccovi qui!» esclamò Laura a voce troppo alta. La donna si avvicinò al bar. «Se c’è un modo per mettere su un po’ di musica posso fornirla io.»

«Noi ce ne andiamo alla spiaggia» disse Charlie. «È da stamattina che cerco di fare una passeggiata. Forse questa è la volta buona.» Sollevò il bicchiere e ne verificò il contenuto. «Questo viene con me. Sei pronta?» Si alzò e tese la mano a Constance.

«Assolutamente sì.» Constance guardò Maddie. «A proposito, non ceneremo qui stasera. Penso sia meglio passare in cucina ad avvertire Mrs Ramos.»

«L’avvertirò io» disse Maddie con quella sua nuova voce da anziana.

«Vi serviranno dei maglioni» urlò loro Laura mentre uscivano dall’atrio. «E questa in Oregon la chiamano estate! Mah!»

Alla fine del sentiero che scendeva alla spiaggia videro Beth e Jake camminare lentamente verso di loro. Beth aveva la testa china e le mani in tasca. Jake, a qualche metro da lei, avanzava in riva all’oceano tirando calci alla schiuma e ai detriti portati dall’acqua. L’uomo alzò lo sguardo e li salutò per primo. Subito dopo li scorse anche Beth, li salutò e allungò leggermente il passo.

«Tranquilli» disse loro Charlie quando si furono avvicinati. «Siamo venuti a fare una passeggiata, niente di più.» Si guardò intorno soddisfatto. «Carino quaggiù.» Finsero tutti di non essersi accorti della presenza dei due uomini che proseguivano la ricerca dell’arma del delitto tra le asperità degli scogli, a mano a mano che la bassa marea si ritirava scoprendone una porzione sempre maggiore.

Jake annuì. «Ci sono quasi due chilometri fino alla successiva barriera di scogli. Facendo avanti e indietro di corsa si coprono circa cjuattro chilometri, un bell’allenamento giornaliero.»

«Direi proprio di sì» disse Charlie rabbrividendo leggermente. «Penso che faremo due passi prendendocela molto con calma.» Charlie era fermamente convinto che un adulto dovesse correre per sfuggire a una minaccia o per precipitarsi su un tesoro, e che in tutti gli altri casi dovesse semplicemente camminare. I bambini correvano solo perché riuscivano a farlo senza fatica.

«Abbiamo trovato delle pietre di agata» disse Beth in modo un po’ maldestro. «In estate però non ce ne sono molte. Se ne trovano di più d’inverno, soprattutto dopo una mareggiata.» Sembrava in imbarazzo. Quindi aggiunse con un tono allegro: «Be’, ho bisogno di farmi una doccia, sono tutta piena di sabbia.»

Beth e Jake ripresero a camminare, ma subito l’uomo si fermò e disse: «Se vi spingete oltre gli scogli tenete d’occhio la marea, o potreste rimanere bloccati. L’alta marea sale piuttosto velocemente.»

«Grazie per il consiglio» gli rispose Constance. «Staremo attenti. Ci vediamo.» E proseguì insieme a Charlie lungo la costa.

«Due chilometri» disse Charlie con un’espressione dubbiosa. «Non sembra così lontano, vero?»

L’insenatura formava una mezzaluna perfetta racchiusa tra due braccia di pietra protese verso il mare, le cui dita erano formate da un ammasso di scogli frantumati. La bassa marea si stava ancora ritirando, nel punto centrale dell’insenatura la spiaggia era larga una sessantina o anche una settantina di metri, ma il segno del livello dell’acqua indicava che la maggior parte di essa scompariva con l’alta marea. Ai piedi della scogliera c’erano tronchi sradicati dalla forza dell’acqua e trasportati fin lì dalla corrente, alcuni lunghi oltre due metri con un diametro di un metro, un metro e mezzo. Charlie li guardò con un certo rispetto. Un tronco di quelle dimensioni trascinato da un’onda avrebbe potuto essere letale per un uomo. Dalla sabbia emergeva lo scheletro bianco di un intero albero, e le radici rovesciate superavano in altezza i rami rimasti attaccati al tronco. L’insieme delle radici raggiungeva un’altezza di tre metri e mezzo, e ogni radice terminava con una punta simile a un pugnale resa affilata dall’azione dell’acqua.

Camminavano lentamente fermandosi di tanto in tanto a raccogliere qualcosa che, dopo aver esaminato attentamente, restituivano alla sabbia. La marea ritirandosi formava pozze d’acqua sempre nuove, ognuna con i suoi affaccendati abitanti, ognuna che meritava di essere osservata con calma, con stelle di mare rosse, vistosi anemoni di mare che si richiudevano di scatto comunicando tutta la loro insofferenza, pesci che guizzavano fuori dall’acqua e granchi disorientati che correvano veloci attraverso la vita avanzando lateralmente. Percorsero i due chilometri abbastanza in fretta e si arrampicarono su un affioramento roccioso per osservare l’insenatura successiva, identica a quella in cui si trovavano, altrettanto isolata, altrettanto nascosta. La distesa di scogli si estendeva verso il mare e le onde vi si infrangevano con fragore producendo schiuma e un’eruzione di spruzzi simile a una tempesta in miniatura. Charlie e Constance non si spinsero oltre.

Videro scogliere di arenaria e basalto nero messe a nudo come a rivelare le fondamenta stesse della terra, e poi la sabbia chiara che sembrava d’argento attraverso il velo di foschia, l’oceano luccicante, grigio, bianco di schiuma. In cima alla scogliera c’era un bordo nero formato dagli alberi, e tutt’intorno non una presenza umana. Tornando indietro, Charlie fece scivolare il braccio intorno alla vita di Constance che fece altrettanto con il marito, e cominciarono a camminare sincronizzando i passi.

«Sai cosa cambierei della mia vita, se potessi?» disse Charlie dopo qualche istante.

«Che cosa?»

«Ti sposerei prima. Pensa a tutti gli anni in cui non siamo stati sposati. Anni buttati, solo tempo perso.»

«Charlie, eravamo praticamente dei bambini quando ci siamo sposati. Avevamo appena finito l’università!»

«Forse tu eri troppo giovane» disse con un’espressione assennata. «Io invece ero un ragazzo maturo, responsabile e con forti pulsioni sessuali.» Ignorò la risata di Constance e aggiunse: «Beth e Jake stanno bene insieme, vero? Pensi che stia nascendo qualcosa tra loro?»

«Se è così non si sono ancora abituati all’idea. Sembrano ragazzini sorpresi sul sedile posteriore di un’auto.» Constance serrò con più forza il braccio intorno alla vita del marito e gli domandò a bassa voce: «Cosa c’è che non va? Cos’hai sentito, visto, fatto, pensato?»

Charlie si fermò, si voltò verso l’oceano e le raccontò della conversazione tra Bruce e Harry che lui e Jake avevano ascoltato nascosti nel giardino.

Constance fu percorsa da un brivido, e questa volta fu Charlie ad abbracciarla più stretta. «Harry ha mandato qui Laura perché scoprisse cosa aveva in mente Gary, vero?» disse infine Constance. «Ora questo…»

«Dubito che sarebbero disposti ad ammetterlo» disse Charlie «ma sono pronto a scommettere. Stanno giocando una partita a scacchi con la realtà, usandosi a vicenda, formando alleanze…»

Constance annuì. «Questo spiega anche altre cose. Per esempio il risentimento di Laura per il fatto che, dopo aver parlato di divorzio, Gary l’avesse scaricata. Gary doveva aver capito le intenzioni di Laura, anche lui faceva il loro stesso gioco.»

«È un miracolo che Gary sia arrivato fino al trentesimo compleanno» fu il commento di Charlie. Ripresero a camminare e dopo un istante Charlie disse dispiaciuto: «Sai, quando parlano di computer non capisco una sola parola. E non stanno nemmeno discutendo di questioni tecniche, solo di strategie commerciali, di losche manovre aziendali. Ma anche quella per me è una lingua incomprensibile. Mi sembra di aver capito che vogliano fare in modo che il governo li spinga ad accettare una sovvenzione. Accidenti, avrei dovuto prendere appunti, un giorno o l’altro potrei mettermi in affari anch’io.»

Ritornati nelle loro stanze, Constance disse di sentirsi piena di sabbia e sale. S’infilò sotto la doccia e Charlie la raggiunse poco dopo. Constance gli fece notare che c’era il tempo per due docce, ma lui le fece notare che aveva in mente ben altre cose. Quando Dwight Ericson arrivò a prenderli erano entrambi piacevolmente umidi e profumati, i loro occhi brillavano.

Dopo che si furono seduti e il cameriere ebbe confidato loro che si chiamava George ed era nato per servirli e allietare la loro serata, Charlie decise che il ristorante in cui Dwight li aveva portati era troppo elegante. Charlie sospirò e guardò Constance tutta presa dalla lettura dell’elaborato menù, la bocca contratta per la fame o per mascherare un sorriso. Charlie diede anche lui una scorsa al menù, e rimpianse i grandi piatti di frutti di mare al vapore che avevano mangiato l’ultima volta sulla costa dell’Oregon. In quel locale il cibo costava sicuramente troppo, era pieno di salse e servito da George.

Quando arrivarono gli aperitivi che avevano ordinato, perfettamente dosati e alla giusta temperatura, si sentì molto più ben disposto. Ordinarono la cena, poi Charlie guardò il giovane cameriere con aria severa.

«George» disse Charlie. «Sono un anziano signore piuttosto irritabile e molto, molto attaccato alle mie abitudini. Tra venti minuti esatti voglio vedere sul tavolo un altro Gibson uguale a questo, ma senza che sia seguito da alcuna conversazione. A lei servirà un altro daiquiri e a lui un altro Scotch con acqua. In quel lasso di tempo non voglio vedere né cibo, né insalate, né pane. Nulla di nulla. Ha capito bene?»

George parve più spaventato che offeso. Abbassò la testa e si allontanò in fretta. Charlie sorseggiò il suo cocktail con gusto e disse a Dwight: «Forse riusciremo a stare in pace senza essere disturbati per venti minuti. Novità?»

«Qualcuna» rispose Dwight, e si chinò verso di lui. «Ma non sembra avere molto più senso di quello che già sappiamo riguardo a questa storia assurda. La relazione preliminare del medico legale ha stabilito che Sweetwater è morto in seguito alla caduta dalla scogliera. Aveva contusioni e fratture ovunque, ma la causa della morte è stata una ferita alla testa. A Sweetwater però hanno anche sparato proprio alla testa, ma il foro del proiettile non ha sanguinato, e questo significa che era già morto quando lo hanno colpito. Charlie, è come se qualcuno lo avesse raggiunto dopo il volo sugli scogli e gli avesse sparato. Oppure qualcuno lo ha colpito con una pietra o un altro oggetto contundente, poi gli ha sparato e lo ha gettato giù dalla scogliera. Nessuna delle due ipotesi mi sembra convincente.»

«Dio santo!» Charlie terminò di bere il Gibson e pensò che era stato frettoloso nel dire al cameriere di servirgli il secondo cocktail dopo così tanto tempo.

«Già» commentò Dwight con aria un po’ troppo compiaciuta. «L’unico modo per rendere credibile questo scenario è immaginare che Sweetwater fosse fuori con qualcuno, e che sia scoppiato un litigio. L’altra persona ha raccolto una di quelle pietre levigate e decorative che si trovano intorno a Smart House e lo ha colpito, poi ha preso la pistola di Sweetwater e immagino gli abbia sparato pensando che non fosse ancora morto. Questo spiegherebbe come mai c’è così poco sangue sul ciglio della scogliera. A volte un bel colpo assestato alla vecchia maniera con un’arma contundente ottiene il risultato voluto senza un grande spargimento di sangue. L’assassino poi ha fatto rotolare giù il corpo di Sweetwater e ha gettato la pistola il più lontano possibile. L’alta marea è alle sei e quaranta del mattino. Sto utilizzando un paio di sommozzatori per cercare quella dannata pistola. Cosa ne pensa di tutta questa storia?»

«Penso che sia un gran pasticcio» rispose cupamente Charlie.

«Quindi c’era la bassa marea a quell’ora» intervenne a quel punto Constance. «È tutto così poco logico. Sweetwater era morto, e anche se l’assassino non ne era del tutto certo, di sicuro la sua vittima non si stava muovendo, era svenuta. Su questo punto non ci sono dubbi. Perché non farlo rotolare semplicemente giù dalla scogliera e lasciare che l’oceano pensasse al resto? In quel modo avrebbe anche potuto passare per una morte accidentale. Un uomo cammina nella nebbia, scivola e precipita in mare sugli scogli aguzzi. Quantomeno in quella situazione nessuno avrebbe potuto provare che si trattava di un omicidio.»

«Lo so» disse Dwight con un profondo sospiro. «Lo so.»

Nei minuti successivi nessuno parlò. George arrivò con un vassoio, prese i bicchieri vuoti, li sostituì con quelli pieni e si allontanò nuovamente senza dire una parola. Dwight sollevò il bicchiere e fissò il contenuto.

«E sapete cosa penso?» disse con una certa rabbia. «Penso che stiano mentendo tutti, che si stiano coprendo a vicenda, che stiano proteggendo Bruce Elringer, la società. A un certo punto Sweetwater era ritornato in sé, vi aveva assunti e aveva minacciato di raccontare tutto… È per questo che l’hanno fatto fuori, e ora pensano di poter di nuovo chiudere i ranghi come hanno sempre fatto.»

«Bruce?» mormorò Charlie con un’aria preoccupata.

«Bruce.» Dwight si fece scuro in volto. «So che ha ucciso suo fratello e Rich Schoen da questa primavera ma non sono riuscito a trovare uno straccio di prova perché mentono tutti dal primo all’ultimo. Se riuscirò a stabilire una connessione tra lui e la pistola, questa volta non mi sfuggirà.»

15

Il pasto che avevano ordinato arrivò, e mentre mangiavano Dwight parlava. «Per me Rich Schoen è stato la chiave di tutto» disse. «Perché ucciderlo? Capisco invece la ragione per cui volevano togliersi Gary dai piedi. Ogni indizio conferma che era un vero mostro, che controllava la sua famiglia e tutti quelli che lavoravano per lui attraverso una sorta di insano carisma a cui ciascuno si era assoggettato. Tutti quelli che lo conoscevano per un verso o per l’altro avrebbero avuto un motivo per ucciderlo, mentre il gruppo che si trova in questo momento a Smart House non conosceva quasi nemmeno Rich Schoen. Ma chi più di tutti aveva un buon motivo per commettere un omicidio? Bruce Elringer. Sembra che Gary gli abbia reso la vita un inferno, ed è talmente indebitato da far apparire il deficit pubblico una cosa di poco conto. La sua ex moglie lo ha spremuto fino all’ultimo centesimo, e da allora la sua situazione economica non ha fatto che peggiorare. Bruce quindi aveva un valido movente. Ora è lui a dominare le donne della famiglia. Insieme controllano le azioni e il capitale della società, e lui se la passa a meraviglia. Ma volete sapere chi altro aveva un valido movente per uccidere Gary? Rich Schoen.»

George si avvicinò piano al tavolo e domandò con una certa esitazione se andava tutto bene. Dwight guardò il piatto come se avesse bisogno di ricordare cosa stava mangiando, poi disse: «Tutto bene, tutto bene.» Charlie annuì. «Tutto bene, peccato che non siano frutti di mare.» Constance rise e tossì contemporaneamente, tanto che dovette bere un po’ di vino per non soffocare.

Dwight guardò prima Constance e poi Charlie con un’espressione confusa, allora Constance gli disse: «Non ci faccia caso. Vada pure avanti.» George sgattaiolò via di nuovo.

«D’accordo. Avete presente il progetto e il sistema informatico di Smart House, no? A sentire loro è una specie di miracolo, e il lavoro di Rich Schoen era terminato. Voleva iniziare a mostrarla al pubblico, essere a capo della fase successiva, incominciare a ricavarci un po’ di soldi. Gary invece voleva interpretare il ruolo dell’inventore geniale o qualcosa del genere. Credo che su questo argomento avessero visioni diametralmente opposte. La situazione economica della società era sempre più disastrosa così Rich e Bruce si sono alleati e hanno deciso di eliminare Gary. Chissà, forse è stata un’idea di Bruce, o forse di Rich, magari uno di questi giorni Bruce ce lo dirà. A ogni modo, servivano due persone per trascinare Gary a forza nella Jacuzzi e tenerlo sott’acqua abbastanza a lungo da annegarlo. Abbiamo cercato dei lividi o altri segni che ci permettessero di stabilire se aveva perso conoscenza, se prima era stato colpito con violenza o drogato. Il tasso alcolico era appena rilevabile, e le nostre indagini non hanno portato a niente. Non è facile tenere un uomo adulto sott’acqua se è cosciente: lotta con una forza inaudita. Penso che Rich e Bruce siano entrati nella vasca dopo essersi tolti gli abiti, trascinandosi dentro Gary per affogarlo. Una volta finito sono usciti dall’acqua, si sono rivestiti, hanno coperto la vasca, acceso il riscaldamento per confondere la situazione e poi se ne sono andati.»

«Mi sembra davvero un’ipotesi impressionante» commentò Charlie quando Dwight ebbe finito. «Non ci avevo pensato.»

«L’ho studiata a lungo» disse Dwight compiaciuto. Mangiò un altro paio di bocconi mentre Charlie e Constance riflettevano sulla sua ricostruzione.

«Ha capito anche in che modo Bruce ha ucciso Rich nell’ascensore?» domandò infine Charlie.

«Sì. Come sapete, c’è stato un gran trambusto nella serra: l’emissione del veleno, parecchie cose andate in frantumi, acqua e terra dappertutto. Non facevo che ripensare a questo fatto, mi chiedevo cosa accidenti significasse. Poi ho visto quei grossi sacchi di plastica che i giardinieri riempiono di corteccia sminuzzata o di terra per le piante dell’atrio. Mi sono reso conto che quel tipo di sacco avrebbe potuto svolgere la stessa funzione di un sacchetto di cellophane, se non meglio. Bruce avrebbe potuto procurarsene uno senza difficoltà. Piegati non occupano molto spazio, e poi nella serra ce ne sono di tre diverse misure. Bruce quindi ha fatto entrare Rich nell’ascensore e gli ha infilato il sacco di plastica in testa. Non ci dovrebbe essere voluto molto tempo» disse solennemente. «La reazione istintiva è di cercare di liberarsi del sacco di plastica e non dell’aggressore. Il sacco però è troppo resistente per rompersi, e persino per lasciarci il segno di un graffio con le unghie. Dopo un paio di minuti la vittima perde i sensi e dopo un altro paio muore. Probabilmente Bruce ha messo in testa a Rich la borsa di rete solo per nascondere i possibili segni rimasti sul viso. In effetti c’erano due minuscole abrasioni su una guancia. A quel punto ha architettato tutta quella messinscena nella serra e si è sbarazzato del sacco di plastica approfittando della confusione.» Dwight tacque, si appoggiò allo schienale della sedia e osservò Charlie.

Charlie finì di cenare immerso nei suoi pensieri, e con una certa sorpresa dovette ammettere di aver trovato tutto eccezionalmente buono. «Non male» disse quasi a malincuore. «Caffè?» Non fu necessario alzare il dito per chiamare George, che il ragazzo comparve subito e cominciò a sparecchiare velocemente la tavola senza dire una parola.

«Tre caffè» disse Charlie con aria assente. «Per favore, porti la caffettiera.»

George parve sorpreso ma si limitò a dire: «Sì signore» e si allontanò di nuovo in fretta. Sembravano passati solo pochi secondi quando ritornò con caffettiera e tazze, versò loro il caffè e si ritirò.

Charlie guardò Dwight e disse: «Ha preso in considerazione praticamente ogni particolare, perché non lo ha arrestato?»

«Quel maledetto tabulato del computer!» esclamò Dwight con rabbia. «Mi hanno raccontato un sacco di storie, tutti quanti. Alexander ci ha mostrato il funzionamento del programma che controllava l’impianto di sicurezza della casa, abbiamo cercato di eluderlo ma non ci siamo riusciti. Ha rilevato ogni spostamento e lo ha registrato, ma nessuno ha detto una sola parola sui computer portatili o sul piccolo ascensore col quale Gary se ne andava in giro senza farsi vedere. Nessuno li ha mai menzionati.»

«Pensa che gli altri fossero disposti a mentire per proteggere Bruce?»

Dwight scosse la testa. «Lo detestano, forse anche più di Gary, ma di sicuro erano disposti a proteggere la società. La cosa non ha funzionato, la società ha continuato a rimanere in una situazione precaria, così hanno deciso di risolvere la questione, anche se questo avrebbe significato addossare ogni colpa a Bruce. Sweetwater a un certo punto doveva averlo capito, essendo un avvocato avrebbe dovuto capirlo subito, ma comunque alla fine c’è arrivato. Forse era anche in possesso delle prove, e ieri sera ha messo Bruce di fronte alle sue responsabilità. Invocare l’infermità di mente, probabilmente sarebbe stata questa la sua strategia difensiva, liberare la società da ogni sospetto e permettere agli altri soci di ritornare a fare soldi, ma ormai Bruce aveva in testa altri programmi, voleva la società per sé. Charlie, quella società vale un sacco di soldi, davvero un sacco di soldi. Parliamo di milioni di dollari.»

Charlie versò a tutti dell’altro caffè.

«Dwight, non può fare un test per vedere se di recente qualcuno ha sparato con un’arma da fuoco?» domandò Constance.

«Lo abbiamo già fatto, ma senza ottenere alcun risultato. Però abbiamo rinvenuto dei guanti da giardinaggio tra i cespugli sotto al balcone, in corrispondenza della finestra di Bruce per l’esattezza. Stiamo eseguendo il test sui guanti. Vuole scommettere che Bruce li indossava quando ha sparato a Sweetwater?»

«Non scommetto mai» rispose Constance. «Questo però complica ulteriormente le cose, non crede? Insomma, o Bruce ha pianificato tutto, ha portato con sé i guanti sapendo che Milton era armato, oppure lo ha colpito con la pietra ed è tornato a cercare i guanti e la pistola, ma questo non ha alcun senso, le pare?»

«Forse Bruce non c’è tutto con la testa» disse lentamente Dwight. «Quantomeno potrebbe essere la sua migliore linea di difesa in un processo. Se gli altri decidono di andare avanti, forniranno una serie di testimonianze a supporto dell’infermità mentale, e lo stesso potrei fare io» aggiunse «perché Bruce è veramente fuori di testa.»

Constance guardò Charlie che inarcò le sopracciglia e scosse la testa. «È possibile» disse. «Io di sicuro non so dare una spiegazione migliore.»

Vi fu un’altra lunga pausa, poi Charlie disse: «Sono prove quanto mai circostanziali. Non penso che riuscirebbe a inchiodarlo per i primi due omicidi, di sicuro non a convincere completamente la giuria.»

«Non ne ho bisogno. Se riuscirò a provare il suo coinvolgimento con la morte di Milton Sweetwater mi riterrò soddisfatto. Sia che si tratti di una condanna per un solo omicidio o per tre resterà comunque fuori circolazione per un bel pezzo.» La voce dell’ispettore perse ogni intonazione, e i suoi lineamenti si indurirono quando aggiunse: «In qualità di testimoni chiave temo che dovrete testimoniare al processo.»

Charlie sospirò. «Pensavo che sarebbe stato un po’ più prodigo di informazioni. Vediamo cos’altro sa del portatile trovato nel vaso?»

«È stato lei a riferirmi che Bruce ha ammesso di conoscere l’esistenza di quegli apparecchi, mentre tutti gli altri continuavano ad affermare di non saperne niente. È stato Bruce a tirare fuori la storia della pistola, e ovviamente era un argomento che gli frullava per la testa già da tempo. E poi il terriccio davanti alla porta della sua camera prima che avesse modo di sporcarsi le scarpe di terra di fronte a un testimone. Prima di andare via potrebbero venirmi in mente ancora a un paio di questioni riguardo ai particolari delle indagini. Domani, per esempio, useremo dei sommozzatori per cercare di individuare quella dannata pistola.»

«E se non la trova?» domandò Constance.

«È là, da qualche parte. Se non nell’acqua allora nel terreno intorno alla casa. Di sicuro non l’ha portata via nessuno. Li tratterremo tutti finché non salterà fuori.»

«La spiaggia è grande» disse Charlie preoccupato, ricordando i cumuli di rami portati dalla corrente, le fessure e le fenditure tra i tronchi, la barriera di scogli all’estremità nord della spiaggia e le piccole insenature che si succedevano una dopo l’altra da entrambe le parti. Charlie scosse la testa. «Non vi invidio, sarà una lunga ricerca.»

«Non penso che dovremo concentrare molto le ricerche sulla spiaggia» disse Dwight con un tono vagamente trionfale. «Ci ho riflettuto, e poi ho fatto perquisire dai ragazzi le camere da letto, perfino i vestiti negli armadi, per vedere se c’era della sabbia. Si sa, per quanto uno faccia attenzione, è impossibile camminare su una spiaggia senza portarsi dietro della sabbia. Anche se si tolgono le scarpe, la sabbia si insinua comunque tra i vestiti. Molti di loro hanno detto di essere scesi alla spiaggia ma Bruce no, e nemmeno Maddie Elringer, anche se non ce la vedo proprio a commettere un omicidio.»

Constance lo guardava con ammirazione. «È stato estremamente accurato nelle sue indagini, sono davvero impressionata. Se la pistola non salta fuori, forse dovrebbe considerare la possibilità che Bruce l’abbia fatta nascondere sulla spiaggia da qualcun altro. Insomma, se è riuscito a persuadere Rich ad aiutarlo a sbarazzarsi di Gary, avrebbe anche potuto convincere qualcun altro a dargli una mano con la pistola, no?»

«Be’» disse Dwight perplesso «considerata l’opinione che tutti hanno di lui, non penso sia probabile.»

Dwight spiegò perché quella teoria non lo convinceva, e Constance lo stette a guardare con uno sguardo rapito. Charlie abbassò la testa e cominciò ad armeggiare con le carte di credito. Un paio di minuti dopo uscirono dal ristorante, Dwight per primo con un’aria soddisfatta, Constance per seconda e Charlie per ultimo. Charlie diede un pizzicotto alla moglie che sobbalzò, senza voltarsi a guardarlo, e George osservò da lontano la scena.

Tornati a Smart House rimasero sulla veranda finché le luci dell’auto di Dwight divennero un indistinto bagliore rosso, poi una macchia rosa nella nebbia e infine svanirono. «La cena è stata ottima» disse Constance.

«Hai imbrogliato quel ragazzo in una maniera ignobile.»

Constance rise sommessamente.

«Non ridacchiare, è stato ignobile.»

«Charlie, ce la stava mettendo tutta per fare colpo su di te e mi ha intenerito. Almeno uno di noi due doveva rimanere colpito. E poi non sto ridacchiando.»

Charlie aprì la porta di casa ed entrarono. «Stavi chiaramente ridacchiando, ti ho sentita. Scommetti che ai piedi della scogliera non troveranno la pistola?»

«Quanto vuoi scommettere e su che cosa?»

«Scommetto esattamente questo, che non la troveranno. Facciamo dieci verdoni.»

«Se facessi scommesse avrei puntato sulla stessa cosa.»

Si trovavano nell’ampio ingresso e udirono la risata animalesca di Bruce provenire da una delle stanze vicine. Charlie scosse la testa, indicò le scale a Constance e salirono in camera loro.

«Dobbiamo leggere tutte quelle scartoffie» disse Charlie con un’aria corrucciata. «Ho dato giusto un’occhiata ai documenti che Milton ci aveva procurato. Approvi il programma per la serata?»

Constance annuì. «Voglio fare una specie di schema con tutti gli orari prima di dimenticare ogni particolare.»

Sgombrarono il tavolo, avvicinarono le sedie e si accomodarono. Charlie incominciò a leggere il materiale che ormai si era accumulato formando una considerevole pila, Constance invece tentò di decifrare i vari appunti presi delle persone riguardo ai loro spostamenti la sera in cui Gary Elringer e Rich Schoen erano morti.

Quando Charlie alzò di nuovo la testa vide Constance fissare il vuoto con il volto leggermente corrucciato. «Cosa c’è?» le chiese.

Fece scorrere verso di lui il foglio su cui stava lavorando. «L’orario» rispose con un sospiro. Dal mio schema emerge ripetutamente il fatto che sono sempre rimasti in gruppo per tutta la sera, ma anche che almeno quattro di loro hanno cercato di chiamare l’ascensore dopo che Maddie era scesa, trovandolo ogni volta occupato o bloccato a qualche piano.

«È una delle domande che mi sono posto anch’io» disse Charlie esaminando lo schema di Constance. «Perché l’ascensore non arrivava quando veniva chiamato?»

«Chissà, forse c’era un fantasma tra loro» mormorò Constance.

Charlie emise un mugolio. «Avrebbe potuto esserci Rich, vivo o morto, o impegnato in una conversazione con il suo assassino. Una sedia o un’anomalia nel computer avrebbero potuto bloccare le porte tenendole aperte. L’ultima ipotesi è che stiano mentendo tutti come pazzi, fornendosi alibi a vicenda.»

«Se però non stanno mentendo, e se sia Gary che Rich sono davvero stati uccisi dopo le undici e un quarto, rimangono solo due veri sospetti nel gruppo. A meno che uno sconosciuto sia riuscito a entrare in casa in qualche modo…» aggiunse lentamente Constance.

«Giusto. Cosa ne pensi del fatto che Harry affermi di aver gettato nell’oceano la pistola ad acqua e Laura asserisca che quella sera Milton ha trovato una pistola ad acqua sul tetto? Cosa diavolo significa? Sta cercando di gettare dei sospetti su Harry?»

Constance parve turbata, poi scosse la testa lentamente. «No, non credo proprio sia così. Quella tra Laura e Harry è una relazione che molte persone non approverebbero, ma in un certo qual modo dipendono l’uno dall’altra. Ognuno dei due cerca di proteggere il compagno, e il loro rapporto è fondato su una reale necessità. Che differenza fa il fatto che Milton abbia trovato la pistola ad acqua di Harry? Oh, be’, in questo caso Harry avrebbe mentito omettendo di essere andato sul tetto quella sera.» Tacque un istante poi domandò nuovamente: «Ma anche se fosse, nella sostanza che differenza fa?»

Charlie si strinse nelle spalle. «Vorrei tanto saperlo. Andiamo a dormire. All’improvviso il fuso della West Coast ha cominciato a farsi sentire, e l’orologio mi dice che è ora di andare a letto.» Si ripresentava continuamente lo stesso problema, pensò con irritazione. Almeno due di loro avevano avuto l’opportunità di commettere un delitto, e probabilmente tutti avevano un movente. Ma come diavolo era riuscito l’assassino a uccidere due uomini forti e vigorosi senza la minima colluttazione?

Constance cominciò a ordinare i fogli, Charlie si alzò e si stirò, tolse il copriletto e lo buttò su una sedia. Stava sbottonandosi la camicia quando Constance sussurrò: «Ecco cos’è!»

«Cos’è cosa?»

Constance scrutava attentamente il letto. «Sapevo che c’era qualcosa di strano nella camera di Milton, oltre a tutti quei soprammobili di rame troppo lucidi. Guarda cos’hai appena fatto.» Constance indicò il copriletto. «È così che si prepara normalmente il letto per la notte. Si toglie il copriletto oppure, se si è particolarmente precisi, lo si piega e poi lo si toglie. Il copriletto di Milton invece era ancora sul letto, abbassato insieme alla coperta e al lenzuolo. Ti ricordi come risaltava il pigiama bianco sul copriletto? Tu come ti prepari per andare a letto?»

Charlie sgranò gli occhi. «Ci rinuncio.»

«La tua vestaglia è ancora nell’armadio, e anche se l’avessi tirata fuori non l’avresti appoggiata ordinatamente sul copriletto perché deve essere tolto per la notte. Forse in inverno, in una casa particolarmente fredda avresti lasciato il copriletto, ma non in questa casa, non in estate, non con una coperta sul letto, altrimenti saresti morto di caldo. E Milton era troppo preciso, troppo ordinato per lasciare il copriletto e la vestaglia sul letto per tutto il giorno. Penso che li avrebbe tirati fuori solo poco prima di indossarli, e non dimenticare che non ha messo la sedia sotto la maniglia né ha tentato di chiudere la porta in qualche maniera. Non deve averne avuto il tempo. L’assassino dev’essere entrato nella sua stanza, oppure Milton dev’essere uscito immediatamente. Non credo che avrebbe preparato il letto per la notte senza togliere il copriletto. Sono convinta che se ne avesse avuto il tempo lo avrebbe piegato accuratamente e lo avrebbe appoggiato sulla sedia. Charlie, è stato qualcun altro a preparare il letto, non Milton.»

«E poi ha cancellato tutte le impronte nella camera. Pensi possa essere stata Laura?»

«Perché avrebbe dovuto? Non sembrava importarle che qualcuno fosse a conoscenza di quello che aveva fatto in passato.»

«Forse Harry per proteggerla? O Beth? La sua stanza è vicina a quella di Milton e ha detto di non aver sentito nulla. Pensi possa essere stata Beth?»

Constance non sapeva dare una risposta. Pochi minuti dopo Charlie la osservò piegare il copriletto del secondo letto gemello e togliere l’ordinato involto così come ogni sera.

16

Dall’alto della scogliera Charlie osservava gli uomini muoversi come formiche tra gli scogli e Dwight Ericson aggirarsi all’estremità di quella nera distesa irregolare, investito dagli schizzi delle onde che s’infrangevano di tanto in tanto sulla costa. Charlie non aveva mai visto il livello della marea così basso. La mattina era fresca e senza vento. Il sole a est non aveva ancora illuminato la parete di roccia dietro a Smart House.

Jake Kluge comparve sul sentiero che saliva dalla spiaggia in pantaloncini e maglietta a maniche corte. Era estremamente muscoloso e in forma, e la scioltezza della sua camminata ora sembrava appropriata al suo fisico. Nonostante avesse corso e si fosse arrampicato per il sentiero, non ansimava particolarmente. Lo salutò con un cenno della mano ma non si fermò. Solo pochi minuti prima Harry era sceso giù per cominciare la sua corsa mattutina.

Charlie pensò a quanto lo irritavano gli uomini che mettevano in mostra i muscoli delle gambe con i pantaloncini corti, che trasformavano la corsa all’alba in una sorta di rituale. Alla fine si diresse nuovamente verso casa e vide Constance che lo aspettava sotto l’ampia veranda. Charlie la raggiunse con la dignitosa e pacata sobrietà di chi è consapevole del proprio ruolo nella vita, ed entrarono insieme per fare colazione.

Bruce era sulla soglia della sala della colazione e fissava Alexander con uno sguardo pieno d’ira. «Non me ne frega un cazzo! Voglio quella lista!» gridò. «Ne ho diritto!»

«Te ne farò una copia» gli rispose Alexander. «Farò una copia a tutti dopo colazione.»

«Eccome se la farai!» Bruce uscì a grandi passi e sbatté la porta.

Alexander cominciò ad avvicinarsi piano alla porta. Sembrava terrorizzato, più da Charlie che da Bruce.

«Be’, il ragazzo è piuttosto arrabbiato stamattina» disse allegramente Charlie, e avvicinò una sedia per Constance e un’altra per sé. «Si sieda Alexander.»

Alexander si sedette miseramente in punta alla sedia.

«Cos’è questa lista di cui dovrebbe dare una copia a Bruce?»

«Niente di importante, davvero. Una lista di cose che la polizia ha preso dalla stanza di Milton, tutto qua. Bruce sta cercando di fare un inventario degli oggetti della casa. Teme che qualcuno stia portando via delle suppellettili.»

Se Alexander avesse assunto un’aria ancora più colpevole, lo avrebbero certamente portato via per impiccarlo, pensò Charlie.

«Gliene preparerò io una copia» gli propose Constance. Preso dalla confusione Alexander ebbe un attimo di esitazione. Constance stese la mano e disse con decisione: «Sono sicura che avrà cose più importanti da fare.»

Assistere all’indecisione di Alexander, per quanto breve, fu una sofferenza. Alla fine tirò fuori dalla tasca un foglio di carta e lo consegnò a Constance. Il ragazzo parve istantaneamente sollevato. «Per quanto tempo ci terranno qui? Cosa stanno aspettando?»

Charlie si strinse nelle spalle. «Stanno cercando la pistola. Appena l’avranno trovata probabilmente vi rilasceranno tutti.»

«Se non ci lasciano andare presto…» cominciò a dire Alexander, ma poi scosse la testa. «Devono per forza lasciarci andare. Non si rendono conto del logorio, della tensione, degli stati d’animo che si stanno creando. Dobbiamo tornare tutti al lavoro e loro non lo capiscono.»

«Oh, credo che lo capiscano» rispose Charlie con un certo sarcasmo. «Sono sicuro di sì.»

«Alexander, che tipo di rapporto c’era tra di voi al di là del lavoro? Vi conoscevate bene?» domandò pigramente Constance.

«Alcuni si conoscevano più di altri» borbottò. «Non lo so.»

«Sa se qualcuno di loro pratica arti marziali?»

Alexander la fissò come se avesse detto qualcosa di osceno o stesse parlando in swahili. Charlie sentiva che la sua pazienza nei confronti della ritrosia di quel ragazzo era giunta agli sgoccioli. Alexander scosse la testa e bofonchiò qualcosa di incomprensibile, si alzò e si avvicinò quasi furtivamente alla porta. Questa volta nessuno dei due cercò di fermarlo. Arrivato in prossimità dell’uscita, si voltò e si allontanò in fretta.

«Probabilmente possiamo scoprirlo» disse Charlie immerso nei suoi pensieri. «Perché lo vuoi sapere?»

«Stavo pensando a Gary. Io sarei in grado di buttare chiunque in quella vasca idromassaggio e di affogarlo senza procurargli nemmeno un livido. Mi chiedevo se qualcun altro fosse capace di farlo.»

In quello stesso momento, al piano di sopra, Beth era appoggiata al montante della vetrata scorrevole della camera di Maddie. Si sentiva goffa, provava una sensazione di pesantezza in tutto il corpo, persino nel cervello. Non riusciva a comprendere cosa le stesse proponendo Maddie. Quella notte si era girata e rigirata nel letto, aveva fissato l’oscurità e per due volte si era alzata di scatto trattenendo il respiro per ascoltare i rumori del buio. Alla fine aveva acceso la luce del bagno lasciando filtrare un po’ di chiarore dalla porta, e solo a quel punto era riuscita ad appisolarsi, pur continuando a svegliarsi di tanto in tanto.

Maddie aveva esordito chiedendole se l’investigatore avesse intenzione di trascinarli nel fango a causa di quello stupido gioco, ma aveva abbandonato subito l’argomento, e ciò di cui stava parlando in quel momento risultava incomprensibile a Beth.

Maddie aveva gli occhi rossi, il viso e le palpebre gonfi. Continuava a traguardare Beth fissando il mare al di là del vetro, sollevando e posando più volte la tazza senza bere. Sul tavolo davanti a lei c’era la colazione, intatta.

«Ci devi qualcosa» le disse. «Avresti potuto evitare tutto quanto. Tutto quanto. Aveva continuamente bisogno di te e tu lo sapevi. Hai distrutto la sua vita e ora rovinerai anche quella di Bruce e la mia.»

«Non so di cosa stai parlando!»

«Lo sai, lo sai. Lo hai buttato tra le braccia di quella donna! Lui la disprezzava. Non faceva che ripetermelo, e tu lo hai buttato tra le sue braccia. Ora tu avrai i soldi e Bruce sarà rovinato. Ci devi qualcosa!»

«Cosa vuoi da me?» le domandò Beth decisa a non piangere, a non urlare contro quella donna che ora le appariva del tutto folle.

«Che tu venga a casa con me. Anche Bruce ci verrà. Noi tre saremo di nuovo una famiglia. Bruce ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi, di qualcuno che adesso lo aiuti. Ci saranno abbastanza soldi, e poi a te non servono tutti, a nessuno serve così tanto denaro, non quello che Gary ha tirato su dal nulla. Ci devi…»

«Smettila! Non vi devo un bel niente! Né a te né a Bruce. Mio Dio, se potesse mi manderebbe sulla forca!»

Sembrava che Maddie non l’avesse nemmeno sentita. «Voleva una famiglia, io lo so, una vera famiglia con te, dei bambini, una vera casa. Così sarebbe stato felice, soddisfatto. Tu glielo hai negato e lo hai negato anche a me. Come puoi essere così insensibile ora? Ci sono abbastanza soldi per tutti. Non devi distruggere anche la vita di Bruce. Come puoi farlo? Sii più gentile con noi, Beth. Ti prego, non farci più soffrire.»

Beth si tastò le orecchie con le mani. «Non voglio più sentire questi discorsi! Maddie, tu sai cosa significava vivere con Gary. Maledizione, lo sai!»

«Ha lavorato così tanto» disse Maddie, e ricominciò a piangere. «Per tutta la vita ha avuto solo te e il lavoro. Le uniche due cose…»

Con un grido inarticolato Beth corse via e si fermò tremante nell’ampio corridoio. Sobbalzò nell’udire la voce di Jake che la chiamava.

«Stai bene?» le domandò avvicinandosi con un’espressione preoccupata.

«Sì» rispose Beth. «Stavo parlando con Maddie prima di colazione. È stato uno sbaglio.»

«Ho bussato alla tua porta» le disse, e d’un tratto parve a disagio. «Pensavo che avremmo potuto fare colazione insieme, ma dopo quello che è accaduto ieri forse preferiresti di no. Beth, mi dispiace. Non avrei dovuto criticarti. Ieri io, e adesso Maddie…»

«Non l’hai fatto» rispose. «Insomma, non la definirei una critica.» Beth si rese conto di essere altrettanto impacciata. Fece un profondo sospiro e si sforzò di sorridere. «A ogni modo sono felice che tu mi abbia parlato un po’.»

«Un po’? Ti ho raccontato la storia della mia vita!»

Arrivati alle scale Jake la fermò premendole una mano sul braccio, la guardò intensamente e disse: «Ascolta, Beth, permetti a tutti di approfittarsi di te, me compreso. E ora Maddie. Qualsiasi cosa voglia non è un tuo problema. Non deve confonderti ulteriormente e nemmeno io. Ho passato una brutta notte» aggiunse con un’espressione truce. «Continuavo a pensare a tutto quello che ti ho detto ieri su Gary, sulle mie speranze, i miei progetti, le mie preoccupazioni, e all’improvviso mi sono accorto che è così che ti trattiamo tutti da sempre. Quando venivo a casa vostra, di tanto in tanto ti osservavo e mi chiedevo come facessi a sopportare Gary e la sua meschinità, le sue continue pretese, e la scorsa notte ho capito di averti messa esattamente nella stessa situazione. Mi dispiace.» D’un tratto Jake sorrise, le afferrò il braccio e cominciò a spingerla giù per le scale. «Ecco qua. Ero sicuro che non sarei riuscito ad arrivare fino in fondo a questo discorso. Mentre correvo, stamattina, non ho fatto altro che ripeterlo.»

Constance mangiava uova, prosciutto e biscotti insieme a Charlie, dando contemporaneamente un’occhiata alla lista di oggetti che la polizia aveva prelevato e portato in laboratorio a fare esaminare. Cominciò a dire qualcosa, ma poi porse la lista a Charlie e indicò una voce. «È strano.»

Charlie lesse la riga che Constance gli aveva indicato: "tre lenzuola due coperte, due copriletti". La porta si aprì e Charlie ripiegò in fretta il foglio e lo mise in tasca. Beth e Jake entrarono nella sala della colazione.

Beth guardò Charlie e Constance e non riuscì a trattenersi dal chiedere: «Avete già detto alla polizia… quello che sapete?»

«No, io no» rispose Charlie.

«Oh, si riferisce al gioco?» chiese Constance.

«Sì. Glielo avete detto? Maddie è convinta di sì, mentre io ero sicura che non l’avreste fatto, non senza avvertirci. Glielo avete detto?»

«Perché Maddie ha questa convinzione?»

«Per qualcosa che le ha detto Bruce. La polizia lo ha accusato di essere stato reticente, di aver mentito. Praticamente il capitano ci ha accusati tutti di aver mentito.»

«Non gliene abbiamo parlato, Beth» ribadì Charlie. «Santo cielo, però il capitano ha ragione, gli avete mentito tutti.»

Beth si morse il labbro, guardò la tazza che aveva davanti a sé e cominciò a farla ruotare sul piattino finché emise un rumore stridulo simile a quello delle unghie sulla lavagna. Jake le allontanò la mano dalla tazza. «Ho detto a Maddie che ve lo avrei chiesto. Dovremmo dirlo alla polizia, vero?» sussurrò senza sollevare ancora lo sguardo. «Forse se glielo dicessimo potrebbe aiutarli nelle indagini.»

«Vi è stato di qualche utilità saperlo, Charlie?» domandò Jake.

«Non lo so ancora. Beth, se sarà necessario glielo dirò. Lo capisce questo, vero?»

Beth annuì.

«Quanto è stabile l’equilibrio di Maddie in questo momento?»

«Non è ancora crollata, ma non manca molto» rispose Beth. Lanciò uno sguardo a Jake il quale annuì. «Penso che sia arrivata al limite. Perché me lo chiede?»

«Come reagirebbe se accusassero Bruce di omicidio? Riuscirebbe a sopportarlo?»

«Oh, mio Dio! Hanno intenzione di accusarlo?»

«È possibile. In ogni caso…» Mrs Ramos entrò con un vassoio. Charlie si ammutolì e osservò ogni suo movimento finché non se ne fu andata. D’un tratto si alzò in piedi.

«Scusatemi. Torno subito.» Charlie seguì Mrs Ramos in cucina.

Beth lo guardò uscire, poi si voltò con uno sguardo confuso verso Constance che si limitò a stringersi nelle spalle. Beth cominciò a mangiare lentamente, ma dopo un boccone posò nuovamente la forchetta. «La prenderà davvero male» disse tristemente. «Maddie è convinta di aver trascurato Bruce nel corso degli anni, Bruce lo sa e non perde occasione per rafforzare questa convinzione. Ieri sera è stato orribile. Bruce rideva come faceva sempre Gary, e lei continuava a tremare. È stato terribile.»

«Cerca sempre di imitare il fratello?»

«Non proprio. Penso sia un retaggio del test di Turing al contrario a cui si erano sottoposti molti anni fa. È stato allora che ha perfezionato l’imitazione di Gary.»

Constance sorrise e scosse la testa. «Le spiacerebbe fare un passo indietro? Cos’è un test di Turning al contrario?»

«Turing» la corresse Jake. «Dal nome del matematico che ha messo a punto il test originario. Il soggetto siede a un terminale, scrive delle domande e cerca di determinare quali risposte provengono dal computer e quali dalla persona che si trova in un’altra stanza. Il test ha anticipato le attuali ricerche sull’intelligenza artificiale. L’idea di Gary era di creare delle tracce audio e con esse programmare il computer insieme a una serie di dati riguardanti ogni persona coinvolta nell’esperimento. L’intenzione era quella di perfezionare a tal punto la capacità del computer che nemmeno un imitatore professionista avrebbe potuto trarlo in inganno. Insomma, un test di Turing al contrario per tentare di raggirare un computer anziché una persona.» E aggiunse con una certa freddezza: «Ora il computer non sbaglia più un colpo.»

«Buon Dio!» esclamò Constance a bassa voce. «Succede spesso alle persone, vero? Sentono una voce e credono appartenga a qualcuno che conoscono, poi si voltano e si trovano di fronte un estraneo. Il computer riesce a riconoscere le voci anche in un luogo affollato? Penso che i servizi segreti sarebbero più che mai interessati a una simile tecnologia.»

Beth e Jake si scambiarono degli sguardi e all’improvviso il silenzio si fece innaturale. Constance ebbe l’impressione di aver toccato un argomento proibito.

«È una delle ragioni per cui è stato scelto un luogo isolato» spiegò Jake dopo un istante. «Gary voleva poter contare sull’assoluta segretezza del progetto finché non fosse stato pronto a mostrare l’intero pacchetto dei programmi a cui stava lavorando. Alla fine sono riuscito a cavare solo questo da Alexander.»

«Santo cielo!» esclamò nuovamente Constance. «Se il computer era in grado di riconoscere la voce delle persone la sera in cui Gary e Ridi sono stati uccisi, allora deve aver sentito anche la voce dell’assassino.» Si rese conto con un brivido che ne stava parlando come se si fosse trattato di una persona e non di una macchina.

«Non era un registratore» protestò Jake.

«In realtà sì» intervenne subito Beth. «Ti ricordi il primo programma di successo scritto da Bruce? Era un programma musicale» spiegò a Constance. «Poteva sintetizzare musica, qualsiasi strumento, e suonare un’intera sinfonia, la partitura di ogni singolo strumento rendendo ognuno di essi in modo unico, e lo stesso principio è stato applicato alle voci. L’insieme di voci, indipendentemente dal numero, viene considerato un insieme di strumenti i cui suoni possono essere riprodotti.»

Questo spiegava l’apprezzamento di Bruce nei confronti di ciò che Alexander era riuscito a realizzare come programmatore, pensò d’un tratto Constance. Bruce era perfettamente in grado di comprendere ciò che stava facendo Alexander e quello che significava.

«Bruce…» sussurrò Beth. «Se Maddie dovesse capire che sta per perderlo…»

Jake le prese la mano. «Beth» le disse fermamente «ricordi cosa abbiamo detto? Non sono un nostro problema, nessuno di loro lo è.» Jake la fissava intensamente, con insistenza, come se cercasse di allontanare quei pensieri dalla mente di Beth, e non si rilassò finché la donna finalmente annuì e sollevò nuovamente la forchetta. «Dopo colazione andiamo a fare una passeggiata e poi passiamo da Maddie per vedere come sta. Le piace giocare a bridge. Chiederemo anche a Laura di giocare. Forse giocare un po’ a carte potrebbe essere d’aiuto a tutti oggi.»

Constance lo osservava con grande interesse. Jake era perfetto come terapeuta o come sacerdote, ma anche per ogni altra attività per la quale fosse stata necessaria una buona dialettica. Aveva il dono di individuare subito i problemi, e questo era uno dei requisiti fondamentali per certe professioni. Constance ebbe l’impressione che durante quel breve interludio Jake si fosse completamente dimenticato di lei. Ora che quel momento era passato, poteva tornare a includerla nella loro conversazione, cosa che infatti fece invitandola a giocare a bridge in un modo tanto cortese da dare per scontato un suo rifiuto.

Quando Charlie un paio di minuti dopo ritornò, Constance fu sorpresa nel constatare che né Beth né Jake reagirono in alcun modo alla nuova carica immessa nell’aria dal suo arrivo. Lei invece la percepì quasi come una scossa. Allontanò leggermente il piatto e si alzò. «Penso sia arrivata l’ora della nostra passeggiata» disse. Charlie annuì e Constance lo raggiunse alla porta. «Ci vediamo dopo» disse senza voltarsi, e uscì insieme al marito.

«Cos’hai scoperto?» gli chiese non appena furono in corridoio.

«Shh. Parliamone fuori.»

Nella veranda Constance fece un altro tentativo. «Cos’hai in mente?»

«Voglio che Dwight Ericson porti quassù le chiappe e che i suoi uomini lavorino per me.»

«Charlie!»

«Ho dato un’occhiata alla macchina per popcorn. È esattamente come quella che avevamo prima che Jessica se ne impadronisse quando ha cominciato l’università.»

Charlie non aveva mai dimenticato che sua figlia aveva portato via la macchina per popcorn quando aveva lasciato casa per frequentare l’università. L’averne comprata una nuova non era servito a mitigare il ricordo di quella vecchia, e a suo tempo l’improvvisa sensazione di privazione aveva scatenato in lui furibonde lamentele. Constance gli diede una gomitata nelle costole. «Charlie!»

«Ho scoperto che Mrs Ramos utilizzava due lenzuola per ogni letto. Mi ha preso per pazzo quando gliel’ho chiesto.»

«Ah, be’, avresti dovuto saperlo.»

Charlie rise, le cinse le spalle e la guidò verso la scogliera. Scesero per il sentiero e incontrarono Dwight in fondo. Aveva un’aria avvilita e stanca. Vederlo vicino a Charlie le provocò un leggero sussulto. Si rese conto che lei e Charlie dovevano apparire agli altri esattamente così: uno alto, magro, e molto, molto biondo, l’altro più basso, massiccio e moro. L’immagine le piacque.

«Niente» disse Dwight rispondendo alla domanda di Charlie.

«Nemmeno un lenzuolo?» Quando Charlie assumeva un’aria così innocente, Constance temeva sempre che qualcuno potesse dargli un pugno in faccia.

«Che cos’è questa storia del lenzuolo?» domandò Dwight.

Charlie glielo spiegò. «Quindi manca un lenzuolo. Forse la pistola è stata avvolta lì dentro e ora si trovano entrambi in fondo all’oceano.»

Dwight si mordicchiò il labbro scuotendo la testa rivolto verso l’orizzonte. «Pensa che sia stato ucciso nella sua stanza?»

«È possibile. Il letto era stato preparato per la notte in modo singolare, le impronte cancellate da troppi oggetti. È possibile.»

«Ed è stato avvolto in un lenzuolo e trasportato fino alla scogliera? Gesù!»

«È possibile. Se avessi a disposizione una squadra di uomini li farei cercare delle macchie di sangue e forse il segno di una bruciatura.»

«Una bruciatura?»

«Ripensi al portacenere» gli disse Charlie con un’espressione trasognata. «Un sigaro spento a metà e dei frammenti di cenere. Ma dov’è finito il resto? Supponiamo che Milton stesse fumando il sigaro quando è stato colpito. Ovviamente il sigaro sarebbe caduto a terra, ma non sull’erba bagnata, altrimenti si sarebbe spento, e con quella nebbia quasi tutto era umido e bagnato, mentre in realtà il sigaro era ancora acceso quando è stato messo nel portacenere. Lo si deduce dalla cenere all’estremità del sigaro che ha continuato a bruciare. Ciò significa che era ancora acceso quando è stato spostato e rimesso nel portacenere, e questa operazione potrebbe aver lasciato una bruciatura da qualche parte. Oppure dobbiamo pensare che qualcuno abbia riacceso il sigaro in un secondo tempo, ma una tale ipotesi mi sembra decisamente troppo macabra anche per questa comitiva.»

«Accidenti, Charlie, mi pare un’ipotesi un po’ azzardata. Quella sera Milton avrebbe potuto fumare quel mezzo sigaro in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo e poi posarlo e lasciarlo consumare completamente.»

«Si è chiesto in che modo sono state cancellate le impronte dal portacenere? Immagini la scena: qualcuno deve eliminare le impronte dal portacenere per Dio solo sa quale motivo, ma dentro c’è il mezzo sigaro ancora acceso. La persona appoggia il sigaro sul bordo del tavolo, pulisce il portacenere, rimette a posto il sigaro e lo lascia lì a consumarsi pian piano. Questo è uno scenario possibile. Un’altra ricostruzione prevede che Milton non sia stato colpito in camera sua ma da qualche altra parte, che il sigaro sia caduto e che l’assassino lo abbia messo nel luogo più consono, ovvero nel portacenere, ma solo dopo aver cancellato le impronte. A quel punto, nel portacenere, alla piccola quantità di cenere si aggiunge quella della combustione del sigaro che rimane lì indisturbato fino a quando la polizia lo preleva per analizzarlo.»

«In questo caso perché perdere tempo con le impronte?»

«Dio solo sa quanto vorrei saperlo.»

Dwight si fece scuro in volto. «Sa cosa sta succedendo nella Jordan Valley? A più di cinquecento chilometri da qui, vicino al confine del Nevada, la scorsa notte un allevatore è stato picchiato a morte. Solitamente in casi come questo vengo chiamato a occuparmi delle indagini. Raduno gli uomini che lavoravano per lui, il caposquadra, faccio qualche domanda, magari organizzo la ricerca di un bracconiere e risolvo la vicenda piuttosto in fretta. Questa volta se ne potrebbe occupare lo sceriffo, ma il caso vuole che alcuni suoi parenti lavorino per l’allevatore e dicono che questo potrebbe influenzarlo nelle indagini.» Dwight osservava i suoi uomini fuggire in gran fretta di fronte alla veloce avanzata delle onde sollevate dall’impeto dell’alta marea. «Be’, direi che con questa indagine abbiamo fatto fiasco.» Dwight fece una leggera smorfia. «La volta precedente ho voluto sapere tutto sui carrelli agricoli, sulle carriole, e poi ho scoperto che le vittime non erano state spostate. Stavolta invece non me ne sono nemmeno preoccupato. Dio onnipotente, che pasticcio!»

Dopo che Dwight e i suoi uomini se ne furono andati, Charlie e Constance raggiunsero la spiaggia. «Niente male» disse Constance dando una pacca al braccio del marito. Charlie non ebbe difficoltà a capire che non si riferiva al paesaggio.

«Non sono ancora riusciti a provare nulla» disse Charlie.

Constance fece un cenno con la mano come per allontanare quel pensiero. «Ci riusciranno.» Gli raccontò del test di Turing al contrario e delle tracce vocali. «Inizio a capire cosa stava mettendo a punto Gary» disse lentamente. «Credo che quel computer fosse in grado di comprendere qualsiasi cosa gli venisse detta e di rispondere esattamente come una persona. È impressionante.»

«Uhm» fu il commento di Charlie, e quel grugnito era più eloquente di qualsiasi cosa avesse potuto pensare in quel momento. «Se ti dicessi che "non so che pesci pigliare" pensi che renderebbe l’idea?»

Constance annuì con serietà. «"Ogni cosa a suo tempo."»

«"Non si trova il bandolo della matassa."»

Constance rise. «Sei "un lupo in veste d’agnello".»

«Accidenti!» esclamò Charlie fermandosi. Davanti a loro un’onda particolarmente grande si era infranta contro la scogliera. Gli scogli che si protendevano verso il mare a nord dell’insenatura venivano coperti dalla marea che guadagnava rapidamente terreno. Le onde si abbattevano contro di essi sollevando in alto spruzzi d’acqua e di schiuma. «Da queste parti la marea quando arriva non perde tempo» commentò Charlie, e ripresero a camminare.

«È terribilmente difficile spostare un cadavere» disse Charlie dopo un istante. «L’espressione "a peso morto" non è nata per caso. Ma perché ucciderlo e gettarlo giù dalla scogliera? Perché cancellare le impronte? È vero, prima che Milton morisse chiunque sarebbe potuto entrare e uscire dalla sua camera. L’assassino avrebbe potuto organizzare una messinscena, altrimenti perché sparargli un colpo in testa quando ormai era già spacciato?»

«Forse voleva assicurarsi che nessuno fingesse di credere a una morte accidentale.»

Charlie si fermò di colpo conficcando le dita nel braccio di Constance. «Gesù, ci sono!»

Con una certa sorpresa Constance si voltò a guardarlo. Immobile fissava le onde che s’infrangevano sugli scogli neri.

Charlie tornò indietro. «Abbiamo camminato abbastanza. Camminare, correre, fa male alle articolazioni, alle ginocchia. Andiamo.»

Ripercorsero la strada a passo svelto. Di tanto in tanto Charlie borbottava qualcosa a bassa voce, mentre in altri momenti canticchiava quasi impercettibilmente. In casa loro vigeva una regola non scritta, per cui chiunque poteva borbottare tutto il tempo che voleva senza essere interrotto. Talvolta, quando non era chiaro se la persona stesse borbottando o semplicemente conversando a un volume troppo basso, era consentito domandare: "Stai borbottando?". Constance non ebbe difficoltà a riconoscere che in quel momento Charlie stava borbottando e si guardò bene dall’interromperlo.

Sotto la veranda di mattonelle rosse incontrarono Beth. «Salve» disse Constance. «Niente bridge?»

Beth si avvicinò trascinando i piedi. «A Maddie non sembra importare molto che si giochi o meno, e poi oggi non riesco a concentrarmi sulle carte. Stanno eseguendo nuove perquisizioni. Non possiamo nemmeno andare nelle nostre camere. Cosa stanno facendo?»

Prima che Constance potesse parlare Charlie le diede una breve stretta al braccio e si ritrasse. «Vedo se riesco a sapere qualcosa» disse. «Arrivederci, signore» e si allontanò lentamente.

«Ovvio che è difficile concentrarsi in questo momento» disse Constance. «Le racconto una storia. C’era una volta una bella principessa i cui genitori morirono all’improvviso lasciandola orfana.» Constance ignorò lo sguardo incredulo di Beth e disse con un sorriso: «Mi dispiace, ma è così che iniziano sempre le storie, vanno dritte al punto senza girarci tanto intorno. Allora la fata buona andò dall’infelice ragazza e le disse: "Devi andare a vivere con lo zio più vecchio finché non diventerai grande". Così la ragazza andò a vivere dallo zio.»

Constance proseguì il racconto senza badare all’espressione di Beth. L’espressione stupita e preoccupata di chi ha di fronte una pazza.

«Sin dal primo giorno lo zio picchiò la ragazza se faceva troppo rumore, o se stava troppo in silenzio, se piangeva o non piangeva per i genitori, se mangiava troppo o troppo poco. Pian piano la nipote cominciò a capire che cosa desiderava da lei e a farlo prima che la picchiasse. Quando la fata buona venne a trovarla per vedere come stava, trovò la bambina rannicchiata in un angolo che osservava lo zio, cercando di intuire cosa potesse scatenare la sua ira. La fata buona portò via la ragazza da quella casa e la condusse dal secondo zio più anziano. "Dovrai rimanere qui finché diventerai grande" le disse come la prima volta, e la lasciò nella nuova casa.

«Quello zio era sposato con una donna che non appena vide la bambina disse: ’Oh, tu sei così giovane e in forze, mentre io sono vecchia e debole e presto dovrò morire’. La ragazza rise e la zia disse: ’Oh, tu sei così felice e spensierata mentre io sono triste e piena di pensieri e presto dovrò morire’. Quando vide la ragazza correre disse: ’Oh, tu sei piena di salute e di vita mentre io sono stanca e soffro e presto dovrò morire’. Questa volta, quando la fata buona ritornò, trovò la ragazza con i capelli legati in una stretta crocchia, una gonna voluminosa che le nascondeva le giovani gambe, e la poverina camminava con la schiena curva e piegata strofinandosi spesso gli occhi per arrossarli e farli lacrimare. Ovviamente la portò subito via.»

Beth ascoltò la storia passeggiando insieme a Constance sotto la veranda e mostrandosi stranamente restia all’idea di rientrare in casa.

«Nella casa successiva la zia piangeva amaramente quando la ragazza sbagliava. "Il mio amore per te è immenso e tu mi hai ferito così tanto." Cambiò ancora casa e lo zio la trovò una compagnia così gradevole che non riusciva a sopportare di stare lontano da lei neppure per un attimo, e quando lei camminava, lui camminava, gli si arrossava il viso, si premeva una mano sul cuore e inspirava affannosamente perché gli mancava il fiato ma non si lagnava mai. Quando lei mangiava un dolce lo mangiava anche lui, sopportava dolori al petto e allo stomaco senza mai lamentarsi.

«Nella casa successiva ogni giorno la zia le prometteva che se si fosse comportata bene l’indomani avrebbe potuto avere questo o quello, ma l’indomani non arrivava mai, come il sole in una grigia giornata invernale.»

Avevano ormai percorso la veranda avanti e indietro per due volte quando Beth si fermò. «Questa storia non ha un finale, vero?»

«È chi ascolta la storia a determinarne di volta in volta la fine» spiegò Constance.

«Ha dimenticato il senso del dovere, la vergogna, l’amore e un paio d’altre cose.»

«Non le ho dimenticate, semplicemente non c’ero ancora arrivata.»

«È una storia molto bella, grazie.»

«Non c’è di che. Credo che andrò a vedere cosa sta combinando Charlie.»

Le due donne si fissarono per qualche istante con solennità, poi Beth annuì e prima di allontanarsi disse: «Davvero una bella storia. Ci vediamo dopo.»

Charlie era seduto al tavolo della sala della colazione e guardava Dwight Ericson passare in rassegna insieme a Bruce ogni singola voce dell’inventario. Avevano terminato di esaminare l’elenco delle stoviglie ed erano arrivati ai quadri e alle statue. Bruce era scuro in volto, accigliato e scortese. Dwight era estremamente paziente e non poteva fare altro, pensò Charlie, dal momento che i suoi uomini ci avrebbero messo una vita prima di trovare la bruciatura lasciata dal sigaro di Milton. Quella era la fase delle indagini che più detestava quando lavorava al dipartimento di polizia di New York, ricordò Charlie. Quella fase si fondava su un’attenta ricerca dei particolari, sulle perquisizioni, e spesso si finiva a cercare un ago in un pagliaio. Charlie provò una certa comprensione per Bruce, pensando alle enormi somme di denaro che Gary aveva speso per Smart House: diciassettemila dollari per i piatti di porcellana, altri tremila dollari per vari oggetti di porcellana, novemila dollari per l’argenteria e così di seguito. Cinquanta paia di lenzuola a venti dollari l’una. Charlie scosse la testa e ascoltò.

«D’accordo, d’accordo» disse Dwight. «Nell’inventario originale sono elencati quindici quadri e anche qui continuano a essere quindici. Vada avanti. Passiamo alle statue nell’ingresso. Non ne manca nessuna, vero?»

«Per ora no» rispose bruscamente Bruce.

«Bene, Mr Elringer. Non è stato in grado di aggiornare l’inventario delle camere da letto per cui presumo che anche l’inventario ufficiale possa essere sufficiente. Vorrei una copia del suo inventario.»

Bruce afferrò il taccuino.

«Howie, accompagna Mr Elringer nell’ufficio del seminterrato e fai delle copie dell’inventario in suo possesso» disse Dwight tranquillamente, ma la sua pazienza si stava esaurendo.

«Le farò io» si affrettò a dire Bruce. «Se lui vuole può stare a guardare mentre le faccio.»

«Starà a guardare.»

«Bruce» lo trattenne Charlie. «Come mai ha voluto stilare un suo inventario? Lo ha iniziato lo scorso maggio, vero?»

«Lo sa perfettamente il motivo. Non mi fidavo di quello fatto da Rich. Non mi fido della gente che è entrata e uscita liberamente da questo posto. Cinquecento dollari di portaceneri, trecento dollari di lampade, migliaia di dollari di soprammobili! Qualcuno doveva pure tenere una lista, controllare dove andavano a finire gli oggetti.» Bruce si era alzato in piedi e continuava a stringere il taccuino. «Sa quanti soldi si sono già volatilizzati? Migliaia di dollari! Sono i miei soldi, usciti da questa casa per la porta principale!»

«D’accordo, questo l’ha già detto, ma che cosa è uscito dalla porta principale, precisamente? Insomma, si riferisce a qualcosa in particolare, o si tratta di un semplice sospetto?»

Bruce si chinò e disse articolando minacciosamente le parole: «Una balena di malachite azzurra lunga all’incirca così.» Bruce indicò una misura di trenta, trentacinque centimetri. «Settecento dollari! A cosa cazzo serviva? A chi può servire una roba del genere in camera da letto?»

«Quando è scomparsa? Come faceva a sapere che mancava già dallo scorso maggio?»

Bruce guardò prima Charlie e poi Dwight con un’espressione infuriata. «Brutti stronzi, state cercando di incolparmi anche di questo, vero? Non ci riuscirete! È per questo che ho iniziato a compilare l’inventario, per provare che qui qualcuno ha le mani lunghe. Quando sono arrivato a Smart House la prima volta, quella balena era in camera mia. Ho notato il soprammobile, ho guardato il prezzo sull’inventario e mi sono reso conto che quell’affare sarebbe stato una tentazione per qualcuno, così ho iniziato a redigere la lista. Ogni camera aveva qualcosa di simile, qualcosa di facilmente trasportabile, di costoso, di allettante. E per quale cazzo di motivo?»

«Quando si è accorto che era sparita?» gli domandò nuovamente Charlie con la stessa pazienza di Dwight, ma anche con lo stesso tono incalzante.

«Che ne so. A giugno, a luglio, a un certo punto quando sono tornato quest’estate. Non c’è più, capito? Chi cazzo può sapere cos’altro mancherà adesso?»

«E quando è ritornato ha aggiornato l’inventario della sua camera?»

«Ci può scommettere che l’ho fatto! E l’ho aggiornato anche questa volta!»

«Stupendo» disse Charlie soddisfatto, e ritornò a rilassarsi sulla sedia.

Proprio mentre Bruce e Howie uscivano, entrò uno degli uomini di Dwight Ericson. Il nuovo arrivato era un altro zelante agente in uniforme. Fece un saluto militare e Dwight lanciò uno sguardo imbarazzato a Charlie.

«Credo che abbiamo trovato la bruciatura» disse il giovane poliziotto. Dwight e Charlie balzarono in piedi. «Quantomeno c’è il segno di una bruciatura sul balcone, e sembra recente. Penso non ci sia modo di saperlo con certezza.»

«Oh, che fortuna sfacciata» sussurrò Charlie. «Che nessuno la tocchi! Sono ancora tutti nella biblioteca o nella sala tv?»

Il poliziotto si comportò come se quella situazione, in cui uno sconosciuto faceva domande e dava ordini, fosse stata assolutamente normale. Senza alcuna esitazione rispose che si trovavano ancora là.

«Si assicuri che ci restino» disse Dwight. «Andiamo a dare un’occhiata.»

Il segno era appena visibile, una macchia rossa sull’asse di legno del balcone. Quando Charlie vide che Dwight si stava avvicinando troppo lo trattenne istintivamente.

«È un esperto di bruciature?» gli domandò Dwight con un certo sarcasmo, e per una volta la sua irritazione ebbe il sopravvento sul tono paziente che era riuscito a mantenere fino a quel momento.

«Oh, sì» disse Charlie a bassa voce. «Eccome.» Ispezionò l’area a una trentina di centimetri dal bordo del balcone, nel punto in cui il pavimento era stato tagliato e incominciavano le scale che scendevano al livello del terreno. La ringhiera arrivava all’altezza della vita e aveva una sbarra intermedia di protezione. Il balcone era largo quattro metri e mezzo ma si stringeva alle estremità, là dove cominciavano le scale. Il punto in cui si trovavano, infatti, misurava tre metri, e le scale un metro e mezzo. La finestra più vicina era quella dell’appartamentino di Gary Elringer. Reputandosi soddisfatto da quella prima generica valutazione dell’ambiente circostante, Charlie appoggiò un ginocchio a terra e studiò con maggiore attenzione il segno della bruciatura, si chinò e la odorò. Si alzò e guardò Dwight.

«È qui che è stato colpito in testa ed è caduto il sigaro. Penso che riuscirà a raccogliere abbastanza cenere da costituire un reperto, nella venatura del legno ne è rimasta un po’.»

Dwight lo guardava con un’aria vacua. «Lei è un esperto di incendi, vero? L’ho letto da qualche parte.»

Charlie annuì. «È stato il mio lavoro per molti anni. Per moltissimi anni.» Si voltò a guardare il mare con l’odore di bruciato ancora nel naso e troppi ricordi che emergevano dalla sua memoria, troppi incendi che avvampavano nella sua mente. «I suoi tecnici sono in grado di occuparsene?»

«Sì. Taglieremo via la sezione, ma prima useremo un aspirapolvere.» Dwight cominciò a dare ordini ai suoi uomini.

Con lo sguardo perso nell’oceano luccicante, Charlie pensò ai tanti odori del fuoco. L’incendio senza acqua né prodotti chimici produceva un odore ben definito, autunnale. Poi c’era l’odore ripugnante della plastica, delle fibre e dei prodotti chimici, un odore di legno bagnato, pittura e materiale isolante… Il fuoco freddo era ancora peggio. Senza fiamme né calore, bruciava pian piano emanando vapori tossici, il fetore peggiore in assoluto. Poi arrivavano i muratori, sigillavano tutto e si diffondeva un nuovo odore, un odore dolciastro, simile alla decomposizione, e infine c’era il riflesso del materiale sigillante, un pallido colore bluastro con un’intensa patina di vernice…

«Andiamo giù a dare un’occhiata» gli disse Dwight.

Charlie lo seguì in silenzio, immerso nei suoi pensieri. Avrebbero trovato dei solchi di ruota che ora avrebbero assunto un significato diverso rispetto a quella mattina, forse un paio di piante spezzate che in precedenza nessuno aveva notato, e con un po’ di fortuna anche una macchia di sangue. E infatti così fu. Trovarono le tracce delle ruote, una pianta spezzata e persino una minuscola macchia che sembrava sangue, ma sarebbero stati i test di laboratorio a determinarlo con certezza.

17

Prima di lasciare Dwight a sovrintendere alla rimozione della sezione di tavolato del balcone, Charlie gli disse: «La pistola salterà fuori. Se fossi in lei direi ai suoi uomini di cercare di nuovo nella camera di Maddie Elringer e nella sua auto.» Un lampo di soddisfazione balenò per un istante nei chiari occhi di Dwight.

«Già, avrebbe potuto spostarla più volte. A tra poco, Charlie.»

Charlie attraversò lentamente la veranda e raggiunse la porta a vetri scorrevole dove Constance lo aspettava. Appena entrato, la moglie gli prese la mano.

«Che ne dici di un caffè al bar del giardino, magari con dentro un goccio di qualcosa un po’ più forte della caffeina?» gli domandò Constance.

«Dove sono gli altri?»

«Nella sala tv o nella biblioteca. Sono in fermento. Mi sono trattenuta un attimo con loro ma me ne sono andata subito, c’era un’aria troppo elettrica per i miei gusti.»

«Andiamo al bar» disse Charlie con enfasi. «Hai visto?» le domandò indicando la veranda.

«Ho visto abbastanza per immaginare quello che non ho visto. È una vera follia, non credi?»

Raggiunsero il bar dove Constance aveva già preparato tazze e caffè. Mentre Charlie guardava la piscina turchese in fondo alla stanza con un’espressione accigliata, Constance versò il caffè. La cascata sollevava schizzi e brillava sotto la luce del sole, che filtrava attraverso la cupola di vetro. L’aria era opprimente e sapeva di cloro e gardenie. Cercò tra le bottiglie e prese del cognac, ne aggiunse una dose terapeutica al caffè di Charlie insieme a un cucchiaio di zucchero, lo assaggiò e fece scivolare la tazza dall’altra parte del bancone.

Restarono seduti in silenzio per parecchi minuti, finché Charlie borbottò: «Milton è in camera sua a sfogliare delle carte con il sigaro acceso. Sente bussare leggermente alla finestra, apre la porta scorrevole e fa entrare l’assassino. Milton sa qualcosa, ma probabilmente non se ne rende nemmeno conto. L’assassino inizia a parlare, poco dopo tossisce per il fumo e propone a Milton di continuare la conversazione sul balcone. Prende dalla stanza qualcosa di pesante e lo porta fuori con sé. Suggerisce di allontanarsi dalle porte, anche perché la camera di Beth è lì accanto e potrebbe sentirli. Arrivano sino alle scale e l’aggressore colpisce Milton in testa uccidendolo all’istante. Il sigaro cade ma sul momento l’assassino non se ne accorge. Corre indietro, toglie un lenzuolo dal letto, ritorna da Milton e riesce più o meno ad avvolgerlo, trascina il corpo fino al pianerottolo spostandolo dalla balconata in modo che nessuno lo possa vedere. C’è nebbia ed è improbabile che qualcuno sia andato a fare due passi, e anche se qualcuno avesse deciso di uscire a fare una passeggiata sul balcone, non avrebbe visto nulla. Fin qui tutto bene.»

Charlie assaggiò il caffè e parve sorpreso. «Questo caffè è favoloso!» disse soddisfatto, e ne bevve un altro sorso. «L’assassino risale sul balcone, vede quel dannato sigaro e lo raccoglie. Avrebbe potuto semplicemente buttarlo via, invece lo porta con sé. Sta allestendo una messinscena e il sigaro ne fa parte.» Charlie fece una pausa, socchiuse gli occhi immerso nei suoi pensieri e sorseggiò dell’altro caffè. «Torneremo su questo particolare» disse infine. «Rientra in camera di Milton e vede che il letto è sfatto. Riordina il letto, quello a cui manca un lenzuolo, ci appoggia sopra la valigetta di Milton, prepara per la notte l’altro letto ma commette un errore. Come tu hai notato, infatti, non toglie il copriletto. Mi sembra che questa ricostruzione sia verosimile, passiamo alle impronte» disse. «Le impronte… Non dovrebbe averne lasciate molte né sulle lampade, né sul portacenere o sui soprammobili di rame. Perché pulire tutto allora?» Restò nuovamente in silenzio poi espirò lentamente e disse: «Ha dovuto cancellarle perché non c’erano le impronte di Milton su quegli oggetti.»

Charlie tacque e questa volta restò immobile con lo sguardo perso nel vuoto. Constance versò a entrambi dell’altro caffè e aspettò. Sapeva che era inutile chiedergli qualcosa adesso. In quel momento Charlie si stava ponendo una serie di domande a cui cercava di dare delle risposte, probabilmente le stesse domande che gli avrebbe fatto lei.

«È il portacenere» disse infine con convinzione. «L’arma del delitto dev’essere il portacenere. O lo ha avvolto nel lenzuolo con il cadavere, oppure lo ha riportato indietro e si è reso conto che avrebbe subito attirato l’attenzione per le macchie di sangue, per i capelli rimasti attaccati o per qualche altro particolare. Forse si era addirittura rotto. L’assassino quindi è costretto a procurarsi un altro portacenere e a cancellare le sue impronte, ma questo significa anche sostituire tutte le suppellettili con altre dello stesso materiale del nuovo portacenere, le lampade, i reggilibri e ogni altra cosa, e questo spiega perché non uno di quegli oggetti abbia le impronte di Milton. Insomma, l’assassino non l’ha fatto per cancellare le proprie impronte ma piuttosto per nascondere il fatto che nessuno di quei soprammobili faceva parte dell’arredo di quella stanza. Proprio così!» Sorrise a Constance, terminò di bere il caffè e guardò il gigantesco atrio con aria compiaciuta. «Non male» disse.

«Charlie, falla finita. Vai al sodo.»

«Oh, d’accordo. Il resto è un gioco da ragazzi. L’assassino prende la pistola, va nella serra, ritorna con il carrello e lo sistema sotto il pianerottolo delle scale. Il pianerottolo si trova solo a un metro e venti dal suolo, il pianale del carrello è alto una sessantina di centimetri e non ci dev’essere voluto un granché per far rotolare la vittima dal pianerottolo fin sopra al carrello. L’assassino spinge il carrello sul ciglio della scogliera, lì spara in testa a Milton e lo fa precipitare giù.» Charlie fece un’altra pausa e aggiunse: «Non era necessaria molta forza, sicuramente non con il carrello che abbiamo visto. Con quello diventa semplice per chiunque trasportare anche un cavallo.»

«Ti butto giù dalla sedia se non completi il quadro con i dettagli! La prima domanda è: perché? Sarebbe parso ugualmente un omicidio se Milton fosse stato ritrovato sul balcone con la testa fracassata.»

«L’assassino era troppo vicino alle camere, non ha osato sparare. Per quanto la casa sia ben isolata, avrebbero sentito il colpo di pistola.»

Constance cambiò leggermente posizione, un cambiamento appena percettibile ma che non sfuggì a Charlie. All’inizio era stato lui a insistere perché Constance praticasse l’aikido, e di volta in volta la esortava persino a mostrargli cosa aveva imparato, ma poi era arrivato un giorno in cui la moglie lo aveva guardato amorevolmente e gli aveva detto che forse era meglio se non gli avesse mostrato i nuovi movimenti.

«Milton non era piccolino» si affrettò a dire Charlie. «Siamo giunti tutti alla stessa conclusione, ricordi? Non se ne sarebbe stato lì fermo ad aspettare mentre qualcuno tentava di spingerlo giù dalla scogliera, ma se parliamo di un colpo di pistola allora la situazione è diversa. Non sono state rinvenute bruciature da polvere da sparo, e questo sembrerebbe indicare che il colpo è stato sparato da una certa distanza, in realtà invece l’assassino doveva trovarsi molto vicino. Probabilmente quando troveranno il lenzuolo scopriranno anche le bruciature. Ma la cosa più importante per il nostro assassino era che venisse considerato un omicidio, che ci fosse un’arma a indicare chiaramente l’implicazione di una persona, così che gli altri potessero essere scagionati. Non un altro fatale e misterioso incidente di un uomo precipitato da un balcone o da una scogliera, ma un omicidio compiuto deliberatamente con una pistola.»

Constance stava ancora meditando su queste cose quando Dwight li raggiunse, il volto asciutto, scavato dalle rughe e contratto. «Abbiamo trovato la pistola» disse. «Sotto al materasso di Maddie Elringer. Ieri non c’era.»

«Vuole del caffè?» gli domandò Constance.

Dwight la ignorò e continuò a fissare Charlie con uno sguardo duro. I suoi occhi erano diventati ancora più chiari, quasi incolori. «Comincio a chiedermi se lei non sappia un po’ troppe cose.»

Charlie si strinse nelle spalle e si appoggiò al bancone del bar con aria indolente. «Come mai dice questo, Dwight?»

«È lei che comanda, vero? Ci ha condotto esattamente dove voleva evitando accuratamente di fornirci delle informazioni fino al momento in cui ha reputato opportuno concederne qualcuna. Cos’ha in mente? Sta lavorando solo nell’interesse di quella gente, non è così?»

Charlie rise beffardo. «Be’, lo sa che non sono qui in vacanza, e di sicuro non mi ha assunto lo stato dell’Oregon.»

«Sapeva perfettamente che quella pistola sarebbe stata ritrovata nella stanza della madre di Bruce!»

«Sbagliato, non lo sapevo affatto. Diciamo che sarei stato sorpreso se questo non fosse avvenuto. Bruce è stato incastrato, Dwight.» Il capitano arrossì leggermente, ma prima che potesse intervenire Charlie proseguì: «O è così, oppure Bruce è stato tanto astuto da prendersi gioco di un complotto.» Charlie terminò di esporre la sua ipotesi e inarcò le sopracciglia.

Dwight si rivolse a Constance. «È caldo?»

«Oh, sì.» Constance versò un’altra tazza di caffè per Dwight.

Il capitano si sedette dietro al bancone del bar e fissò Charlie in modo pungente. «D’accordo, sono lo stupido del villaggio, il ruolo mi si addice perfettamente. Mi spieghi.»

«Il problema è che abbiamo a che fare con gente estremamente intelligente che ama i rompicapi, le trappole e le controtrappole. È così che si guadagnano da vivere, risolvendo degli enigmi. Enigmi informatici, ma il principio è lo stesso. Supponiamo che Bruce sia l’assassino e che sia stato abbastanza scaltro da aver intuito in anticipo di essere il principale sospettato a causa del suo ruolo e di ciò che rappresenta. Bruce si adegua alla situazione, comincia la sceneggiala dell’imitazione di Gary e fa in modo che il suo comportamento risulti sempre insulso e sgradevole, ma non gravemente offensivo. Bruce si spinge oltre e costruisce delle prove piuttosto grossolane e dilettantesche come la terra davanti alla sua porta.» Guardò Constance che, nel sentire quelle parole, aveva emesso un leggero rumore espirando o sospirando.

«Ah!» esclamò Constance. «E quello che ho pensato quando ho trovato il computer portatile nel vaso di fiori. Chiunque con un minimo d’intelligenza non avrebbe nascosto il computer in un vaso per poi lasciare in giro delle tracce di terra che portavano proprio alla porta della sua stanza. Non aveva senso, ma poi mi è sfuggito di mente e non ci ho più pensato. Il punto è che quando si esaminano le piante in quel modo non si rovescia nemmeno un granello di terra, come ti ho dimostrato quando ti ho fatto vedere quanto fosse compatta la massa di radici della gardenia.»

«Lo vede?» disse Charlie. «È proprio a cose come queste che mi riferisco. In entrambi i casi, indovinare dove si trovava la pistola era piuttosto facile. Poteva essere stato Bruce a nasconderla, ben sapendo che un bravo avvocato avrebbe smontato la tesi d’accusa degli inquirenti, oppure bisogna ipotizzare che qualcuno stia cercando di incastrarlo. La madre nasconde l’arma del delitto per conto del figlio assassino. Non mi sembra un granché come trovata, è piuttosto maldestra, anche se da un certo punto di vista interessante.»

«Charlie, sappiamo entrambi che a volte anche le persone intelligenti commettono errori terribilmente sciocchi quando si tratta di evitare un’accusa di omicidio di primo grado. Io dico che se ogni indizio è riconducibile alla stessa persona, allora per Dio è tempo di agire!»

«Non lo incrimineranno nemmeno, se lei non riuscirà a provare un coinvolgimento di Bruce nelle altre due morti in maniera un po’ più convincente di quanto abbia fatto finora. È in grado di farlo?»

«No, e lei?»

«Ci sto lavorando. Ancora niente lenzuolo?»

«No. Dove mi suggerisce di andare a cercarlo?»

Charlie sorrise amabilmente. «La spiaggia è grande, l’oceano è vasto. A che ora c’è la prossima bassa marea?»

«Se fosse stato tra quel dannato mucchio di scogli i miei uomini lo avrebbero già trovato.»

«Forse hanno guardato nel mucchio sbagliato.»

Dwight lo fissò stizzito piuttosto a lungo, poi si alzò di scatto e si allontanò.

Una volta soli, Constance disse: «C’era l’alta marea quando Milton è stato ucciso. L’assassino deve aver nascosto il lenzuolo da qualche parte in attesa di gettarlo in mare con la bassa marea, altrimenti l’acqua ritirandosi lo avrebbe portato alla luce. Forse l’ha nascosto in mezzo ai tronchi portati sulla spiaggia dalia corrente. Nessuno avrebbe potuto trovarlo prima che ritornasse a prenderlo.»

«Credo anch’io che sia andata così» disse Charlie. «Probabilmente vi ha avvolto dei sassi per appesantirlo, forse anche il portacenere, e verso l’alba, con la bassa marea, si è spinto fino al punto più estremo degli scogli e ha lanciato il lenzuolo in mare.» Charlie sospirò. «Se lo ha fatto potrebbero non trovarlo mai più, dipende dalle correnti, dalle cavità sul fondo, dalla forza con cui l’ha scagliato, insomma, da un sacco di cose.» Guardò l’ora e vide che era l’una passata. «Ti è venuta fame? Andiamo a vedere che cosa ha preparato Mrs Ramos per pranzo.»

Mrs Ramos era impegnata ad allestire un altro buffet e andava velocemente avanti e indietro passando dalla cucina alla sala da pranzo. «Dieci minuti» disse loro bruscamente.

«Abbiamo il tempo di andare a dare un’altra occhiata alla cella frigorifera» disse Charlie. Uscirono dalla porta sul retro della cucina. Lì di fronte, attraversato lo stretto corridoio, c’era un’altra porta che dava accesso alla stanza definita da Gary "La cantina per i tuberi". Charlie aprì la porta, accese le luci ed entrarono.

L’aria era fredda, umida e opprimente. Le luci al neon facevano assumere alle labbra un colore violaceo, e alla pelle un colore verdognolo e malsano. Constance rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo. La prima volta quel luogo non l’aveva colpita particolarmente, mentre adesso aveva la sensazione che l’aria stessa nascondesse una nuova minaccia, e questo perché ora sapeva che l’assassino si trovava in quella casa. Charlie affrettò il passo e scese velocemente le scale, attraversò la stanza fino al montavivande. Constance pensò che anche lui doveva avvertire il suo stesso senso di oppressione. Charlie esaminò la porta del montavivande, la aprì e osservò l’interno della cabina, un cubicolo di acciaio inossidabile senza alcun elemento o particolari di rilievo. Appoggiò a terra un ginocchio, passò la mano sul pavimento della cabina e sui punti di congiunzione delle pareti, poi arretrò con un’aria corrucciata.

«Cosa stai cercando?» gli domandò Constance rabbrividendo.

«Non lo so ancora con certezza. Se lo mando su la porta si blocca automaticamente. Mi chiedo se…» Prese il coltellino tascabile, lo aprì, e con una mano lo tenne premuto contro l’intelaiatura della porta mentre con l’altra schiacciò il tasto di chiusura. La porta si chiuse contro la lama del coltello e Charlie cercò di forzarla senza riuscire a farla riaprire. Borbottò qualcosa a bassa voce e si guardò intorno. «Potresti portare qui uno di quei carrelli? Penso che in questo punto ci sia il sensore.»

Constance portò il carrello. Charlie premette il pulsante di apertura, la porta si aprì senza difficoltà e Charlie tolse la lama del coltello. «Ora vediamo se riesco a ingannare il meccanismo» disse. Rovesciò il carrello sul fianco con le impugnature di acciaio posizionate all’estremità dell’intelaiatura della porta, si mise accanto al carrello e spinse con forza. «Prova a far chiudere la porta e a mandare su il montavivande, ammesso che parta.» Si puntò saldamente contro il carrello e continuò a esercitare una pressione costante. Il meccanismo scattò e il montavivande cominciò a salire. «Perfetto!» esclamò Charlie. «Appena smetto di fare forza però potrebbe tornare giù. Dobbiamo cercare di lasciare la presa e contemporaneamente spingere il carrello sotto al pavimento della cabina. Al mio tre. Uno, due, tre, ora!» Charlie lasciò la presa e Constance diede al carrello una spinta energica mandandolo nel pozzo del montavivande. La cabina non cominciò a scendere, e se lo avesse fatto il carrello non sarebbe riuscito a sostenerne il peso, ma se non altro ne avrebbe frenato la discesa, o perlomeno fu questa la conclusione a cui giunse Charlie con una certa soddisfazione. Sorrise a Constance, si frugò in tasca in cerca della torcia portabile, si chinò appoggiando nuovamente un ginocchio a terra per guardare dentro al pozzo del montavivande.

Quando esaminò le pareti laterali fu ancora più soddisfatto. Allora avanzò un poco sporgendosi ulteriormente per dare un’occhiata più da vicino al muro di fondo, quello che confinava con l’ascensore segreto. Si era convinto che quell’ascensore fosse stato realizzato in un secondo tempo, e ora ne aveva la certezza. Quel muro era stato riposizionato, rifatto. Rispetto ai muri laterali non raggiungeva la stessa perizia nella fattura e nella rifinitura, e c’era persino una sorta di buco in fondo. Insomma, era piuttosto malfatto, pensò Charlie, e là dentro faceva anche maledettamente freddo. Si rammentò quanto lo avesse colpito l’aver trovato un muro tanto freddo la prima volta che aveva ispezionato l’ascensore segreto. In una casa così ben costruita come Smart House quel particolare era incomprensibile, e lui era stato stupido a non dare seguito a quell’intuizione. "Stupido! Stupido!" ripeté silenziosamente, e si accorse che quelle che stava fissando erano le sue dita, e in quel momento parevano incapaci di reggere saldamente la torcia. Aveva la sensazione che le dita fossero disgiunte dal resto del corpo, che fossero troppo grandi. Cercò di guardare la mano per verificare se ci fosse qualcosa che non andava, ma quell’operazione sembrava richiedergli uno sforzo eccessivo. Anche i suoi occhi erano disgiunti dal resto del corpo, pensò divertito da quell’idea.

Constance si era sporta per vedere cosa stesse guardando Charlie, ma la fatica era diventata troppo grande per lei. Si accorse che la testa stava cominciando a pesarle eccessivamente ed ebbe paura che potesse diventare così pesante da trascinarla a terra. S’immaginò riversa sul pavimento della cella frigorifera, ogni minuto sempre più fredda, irrigidita dal gelo prima che qualcuno la trovasse e…

Di colpo Constance si raddrizzò e inspirò a fondo. Era stordita, gli occhi non riuscivano a mettere a fuoco gli oggetti.

«Charlie!» gridò. «Charlie!»

Com’era strana quella piccola luce che si muoveva qua e là senza riuscire a fermarsi, stava pensando Charlie. Sentì la voce di Constance chiamarlo in lontananza e pensò che anche quello era strano. Poi la luce scese verticalmente lungo il muro e le dita gli parvero talmente distaccate dal corpo che non sarebbe più riuscito a far risalire la luce nemmeno se lo avesse voluto. In quel momento desiderava solo mettere giù la testa e dormire. Udì di nuovo il suo nome, una voce convulsa e stridula che lo chiamava, e si scosse.

Constance cercava di tirarlo indietro con degli strattoni e lui tentava di uscire dal pozzo dell’ascensore, ma si sentiva talmente pesante che ogni movimento era rallentato, un vero patimento, e il carrello lo intralciava rendendogli l’operazione ancora più difficile. Appena riuscì a uscire e a districarsi dal carrello, Constance cercò di tirarlo su e metterlo in piedi. Charlie barcollava e la stanza sembrava ondeggiare, ma dopo un paio di profondi respiri cominciarono a trascinarsi l’un l’altro su per le scale. A ogni gradino l’aria migliorava. Arrivati in cima, inspirarono profondamente scossi da tremiti, spaventati e pallidi per lo scampato pericolo, cercarono di inspirare a fondo.

Constance cercò di girare il pomo della porta ma non accadde nulla. Tentò di nuovo, e poi ancora con tutte e due le mani. Charlie la scavalcò e ci provò lui.

«Siamo chiusi dentro» sussurrò Constance. «Mio Dio, siamo chiusi dentro!»

«Sh, sh.» Charlie guardò la porta alle spalle di Constance. Era solida e aveva un pomo di ottone solo dall’interno. Dall’esterno invece c’era un chiavistello per evitare che qualcuno aprisse accidentalmente la porta mentre dentro purificavano l’aria. Charlie non perse tempo a tentare di forzarla ma si voltò a guardare la stanza. Pareti di acciaio inossidabile, ripiani, bidoni, un bancone, il carrello rovesciato a terra e quello in fondo alla parete, la porta aperta del montavivande con dietro il pozzo e il montavivande al piano superiore. Anche se avesse saputo quale dei tubi stesse immettendo l’ossido di carbonio, non avrebbe comunque avuto la possibilità di fermarne l’erogazione.

«Non muoverti» le disse. «Salgo su con il montavivande e ti vengo ad aprire. Qui in alto l’aria è respirabile perciò non muoverti.»

Constance non provò nemmeno a discutere. I suoi occhi chiari erano sgranati, il suo sguardo estremamente impaurito, era pallida come un cencio e persino le labbra avevano perso colore. Constance gli toccò la guancia e chiuse gli occhi un istante, tentando di trasferire in quella carezza tutto il suo amore. Charlie inspirò profondamente e, trattenendo il respiro, cominciò a scendere le scale. Non aveva rotto nulla, si disse, il meccanismo avrebbe funzionato perfettamente. Spinse il carrello da una parte, poi ci ripensò, lo tirò nuovamente indietro e premette il pulsante di chiamata. Si rese conto che prima doveva chiudere la porta, e si diede dell’idiota. Chiuse la porta, premette nuovamente il tasto di discesa e salì sul carrello per respirare l’aria che si trovava più in alto. Non ricordava che quell’aggeggio infernale fosse così lento, ma ora sembrava cigolare e muoversi come una lumaca. Svuotò i polmoni e fece un respiro profondo senza sapere quanto quell’aria fosse contaminata, ma con la certezza che doveva per forza respirarla, buona o cattiva che fosse. Finalmente il montavivande arrivò, Charlie premette il pulsante di apertura e, costretto ad abbandonare la postazione, scese dal carrello, si abbassò per entrare nella cabina alta un metro e mezzo e restò chinato finché il montavivande cominciò a salire lentamente.

In cima alle scale, intanto, Constance si era tolta una scarpa e la batteva contro la porta. Sapevano entrambi che era un gesto inutile, il locale era troppo ben isolato.

Nel montavivande Charlie trattenne il fiato immaginando quanto dovesse essere tossica quell’aria. Quando la cabina si fermò i suoi polmoni erano in fiamme, la testa gli pulsava, e a ogni battito gli pareva di vedere il reticolo delle vene riflesso nei suoi stessi occhi. Quando la porta si aprì Charlie uscì barcollando, vacillò, annaspò e cercò di precipitarsi verso la porta in fondo alla dispensa e di arrivare in corridoio. Camminava come un ubriaco. Andò a sbattere contro un muro, si allontanò con una spinta, raggiunse la porta della cella frigorifera e armeggiò con il chiavistello. Quando finalmente aprì la porta Constance gli cadde tra le braccia.

18

C’erano state occasioni in cui Constance aveva colto nello sguardo di Charlie una rabbia talmente grande da intimorirla. La volta in cui la moglie di Stan Walinowski era stata picchiata tanto violentemente da aver perso un occhio, alla notizia Charlie era rimasto impietrito. Lui e Stan lavoravano insieme, e in seguito all’aggressione di Wanda Walinowski entrambi avevano cominciato a fare degli straordinari, a lavorare durante i fine settimana, oltre l’orario previsto, finché un giorno Charlie era rientrato a casa con uno sguardo angustiato, spaurito, e quella sera aveva fatto l’amore con lei in modo appassionato. Il giorno seguente aveva insistito affinché imparasse le tecniche di autodifesa e le aveva spiegato che se qualcuno le avesse messo le mani addosso non ci avrebbe pensato due volte a uccidere quel figlio di puttana. Né in quel momento né in seguito dubitarono del fatto che lo avrebbe ucciso veramente. Lui e Stan ripresero degli orari più regolari e nessuno parlò più di quella terribile aggressione né del colpevole.

Quel pomeriggio Charlie era impietrito proprio come allora, pensò Constance. Anzi, era raggelato. Era diventato un pezzo di ghiaccio. Dwight li trovò sui gradini della veranda appoggiati l’uno all’altro intenti semplicemente a respirare.

«Cos’è successo?» chiese.

Charlie non rispose e Constance gli raccontò quel che era accaduto.

«Santo cielo, state bene?»

Appena Constance annuì, Dwight si allontanò in tutta fretta seguito da Howie. Pochi minuti dopo era di ritorno. «Non ci sono impronte» disse con disappunto. «La valvola dell’ossigeno era stata completamente chiusa e quella del biossido di carbonio completamente aperta.»

Charlie non alzò nemmeno lo sguardo.

«Quando sono usciti dalla sala tv e dalla biblioteca?» domandò Constance.

«Subito dopo che vi ho lasciato. Mrs Ramos stava preparando il pranzo. Mi sembrava inutile tenerli chiusi in una stanza dopo aver ritrovato la pistola.»

Constance scosse lievemente la testa. «Ma certo. Non è stata colpa sua, Dwight, lo sappiamo.» Che bravo fratello minore sarebbe stato, pensò Constance, così sollecito, così… Si rese conto con un sussulto che lo sguardo di Dwight esprimeva una grande consapevolezza, e quello sguardo era rivolto a Charlie. "Un altro caso di solidarietà tutta al maschile" pensò vagamente Constance. Dwight sapeva che Charlie si era trasformato in un pezzo di ghiaccio e ne comprendeva le ragioni.

«Che ne direste se andassi a prendere dei panini?» disse Dwight con un entusiasmo un po’ eccessivo. «Non avete mangiato niente e io nemmeno.»

«Cominci pure a mangiare» gli rispose Constance. «Prima voglio salire in camera. Ho bisogno di lavarmi, mi sento sporca.»

Prima ancora che avesse terminato di parlare, Charlie si era già alzato. Constance si rese conto che quello era solo l’inizio. Charlie non l’avrebbe lasciata sola nemmeno un secondo finché non fossero stati lontani da Smart House.

Constance gli prese la mano e si accorse che era ghiacciata. «Be’, non è stato un vero attentato alle nostre vite» disse. «Non con il montacarichi come via di fuga. L’intenzione era solo di spaventarci.»

Dwight parve a disagio, guardò alternativamente lei e Charlie e disse lentamente: «Lo è stato. Sembra che nella dispensa qualcuno abbia cercato di forzare l’apertura della porta del montavivande con un palanchino. Se ci fosse riuscito la porta della cella frigorifera non si sarebbe aperta. Se Charlie non lo avesse anticipato forzando a sua volta la porta e riuscendo a tenerla aperta, l’assassino sarebbe riuscito nel suo intento.»

Charlie le strinse la mano con troppa forza.

«Charlie, stia calmo, d’accordo?» disse Dwight ancora con una certa esitazione. «Vecchio mio, non commetta stupidaggini.»

Finalmente Charlie lo guardò e sorrise. «Fare qualcosa di stupido a Smart House? Mi butterebbero fuori a calci nel sedere. Ha intenzione di richiamare i sommozzatori?»

«Sì, saranno qui alle sei e trenta.»

«Bene, andiamo a darci una lavata.» Tirò Constance per la mano, entrarono in casa e salirono in camera.

Constance si fece la doccia e cercò di lavare via il senso di profanazione che provava. Le persone che subivano furti in casa dicevano di sentirsi così, pensò Constance continuando a lavarsi energicamente, e anche le vittime di violenza. Chiuse gli occhi con forza e lasciò che l’acqua bollente le cadesse sul viso, sulla testa. Profanata. Qualcuno aveva voluto ucciderla, aveva voluto uccidere Charlie. Se uno dei due fosse caduto a terra, non c’era dubbio che sarebbe morto, o forse sarebbero morti tutti e due, soffocati dall’ondata di anidride carbonica che si sarebbe depositata sul pavimento accumulandosi gradatamente fino a riempire la stanza. Scosse la testa rabbiosamente, decisa a smettere di pensare a quanto era accaduto, e invece rivide Charlie steso a terra sul pavimento, la faccia immersa nella pozza di veleno.

Charlie le andò incontro sulla porta del bagno, l’abbracciò e le annusò i capelli bagnati. «Sei tutta corrugata come un’uva passa» le disse infine allontanandosi per guardarla meglio. «Stai bene?»

«Più o meno come puoi immaginare che stia un’uva passa. Cosa stai facendo?»

Le valigie erano sui letti, alcuni vestiti erano stati piegati malamente e riposti già nelle valigie mentre altre cose erano semplicemente ammonticchiate lì accanto.

«Leviamo le tende» rispose, e guardò mestamente il caos che era riuscito a fare. «Non dormiremo più a Smart House, ci trasferiamo in un albergo o in un motel.»

Come riuscivano i suoi occhi a fare quello che facevano, si domandò Constance. Alcune volte sembravano diventare inespressivi, opachi come una roccia levigata. «D’accordo» disse senza discutere. «Farò i bagagli, ma a una condizione, che prima mangiamo un boccone.»

«Non qui però.» "Pessima mossa mangiare nella casa in cui qualcuno ha tentato di ucciderti" pensò Charlie. «Infilati qualcosa che saltiamo in macchina e andiamo in un posto dove si possano ordinare frutti di mare al vapore, birra e raffinatezze di questo tipo.» Guardò i fogli sulla scrivania. «Effettivamente è una buona idea toglierci di qui per un po’. Quelli li porto con me e non torneremo prima delle sei e mezzo.»

Incrociarono Dwight nel corridoio del piano terra. Il capitano diede loro le indicazioni per un ristorante specializzato in molluschi e disse che se tra un paio d’ore, intorno alle cinque e mezzo, fossero stati ancora lì, li avrebbe raggiunti.

I frutti di mare erano perfetti, considerò Charlie con soddisfazione dopo che ebbero terminato anche il secondo piatto da portata. Anche il tavolo era perfetto, con una bella vista sull’oceano e, cosa ancora più importante, una bella luce. La signora di mezza età dalla faccia simpatica che li aveva serviti ritornò con il caffè e i menù per il dolce, gli stessi a cui avevano già dato una scorsa all’inizio del pranzo. Charlie domandò se a qualcuno dispiaceva il fatto che occupassero il tavolo ancora per un po’, ma la donna, sorpresa, domandò perché avrebbe dovuto dispiacere a qualcuno. Avevano a disposizione un tavolo ben illuminato e del caffè, cominciarono a sparpagliare i documenti che avevano portato. Constance si dedicò a quelli che Charlie aveva già letto, come l’assetto societario, le perizie del medico legale su Gary e Rich, le previsioni finanziarie… Sperò ardentemente che tra quei fogli ci fosse anche l’inventario stilato da Bruce e mormorò: «Dannazione!»

«Sono d’accordo con te, ma a che proposito?»

«Bruce ha preso nota di eventuali oggetti spariti dalla sua stanza, giusto? La balena blu che dice essere scomparsa, per esempio.»

«Ho paura di sì. L’inventario offre una scappatoia a chiunque in quella casa. Supponiamo che scompaia il leone marino di ghisa. Se Bruce dicesse: "Non so di cosa stiate parlando. Non l’ho mai visto" chi potrebbe provare il contrario?»

«Ma perché darsi la pena di scambiare i soprammobili? Perché non lasciare semplicemente l’oggetto in questione nella camera di Milton, dove già si trovava?» Constance si fermò poi disse: «Oh, capisco, hai ragione. Dev’essersi trattato per forza del portacenere. Sappiamo che Milton l’ha usato. Sarebbe risultato mancante anche se non fosse stata rilevata la scomparsa di nessun altro oggetto.»

Charlie rise nel vedere lo sguardo annoiato di Constance. Il cibo aveva avuto un effetto prodigioso sull’umore di Charlie, e la distanza da Smart House aveva contribuito. Ritornò nuovamente sull’orario che lui e Constance avevano elaborato riguardo agli spostamenti avvenuti durante il gioco la notte in cui c’erano state le due prime vittime.

Constance osservava il luccichio dell’oceano che saliva e scendeva in un eterno movimento. Il problema era che chiunque avrebbe potuto uccidere Milton e poi rimettere tutto in ordine, mentre nessuno aveva avuto modo di uccidere Gary e Rich. Constance annuì, era esattamente quello il problema. Perché Rich Schoen non aveva reagito, non aveva lottato per difendersi? Perché Gary si era fatto spingere nella vasca idromassaggio senza trascinare con sé anche l’altra persona? Forse l’ipotesi di Dwight dei due aggressori era l’unica plausibile. Forse, invece, alla fine i due corpi erano stati spostati, così come era accaduto per Milton. Le indagini della polizia avrebbero potuto essere state compiute in modo approssimativo, poteva essere stato commesso uno sbaglio. Constance aggrottò le sopracciglia rivolta verso l’oceano Pacifico. Per quanta approssimazione ci potesse essere, nessuno avrebbe potuto scambiare una morte per annegamento per qualcos’altro. Borbottò a bassa voce un altro "dannazione", e Charlie le prese la mano.

«Andiamo a fare una passeggiata sulla spiaggia» le propose. «Torneremo alle cinque e mezzo per incontrare Dwight.» Il tono della sua voce era basso, estremamente tranquillo, tanto da farle pensare che fosse affaticato.

«Charlie! L’hai capito!»

«Non ancora, non ancora. Voglio rifletterci su. Camminiamo un po’.»

Camminavano fianco a fianco senza parlare, e Constance sapeva perfettamente che Charlie non stava prestando alcuna attenzione alla spiaggia. Quando si trovava in quello stato poteva continuare a camminare senza avvertire la minima fatica, o ripetere solitari all’infinito, oppure guidare per centinaia di chilometri. Quello che non riusciva a fare era restarsene seduto a non fare niente. Era come se dovesse dare un’occupazione al suo corpo, e gettarcisi a capofitto per non rischiare che in quei momenti la parte del suo cervello preposta alle varie funzioni di controllo intralciasse i suoi ragionamenti.

I bambini giocavano sulla sabbia, correvano avanti e indietro con secchielli d’acqua, costruivano castelli, fortini. Qualche adolescente sguazzava beato in mare, ma nessuno di loro nuotava con impegno. Le onde, sebbene il mare si stesse ritirando, erano troppo impetuose, l’acqua troppo fredda anche in agosto. L’aria sapeva di ozono, profumava di buono, di pulito, ed era piacevolmente fresca sebbene il sole fosse caldo. Quanti contrasti, quante contraddizioni, pensò Constance. Incontrarono altre persone che passeggiavano sulla spiaggia, e queste sorrisero, annuirono, li salutarono. Constance rispose a ognuna, mentre Charlie continuava a essere immerso nei suoi pensieri. Alcune delle persone che correvano lungo il mare li raggiunsero e li superarono lasciando sulla sabbia bagnata delle orme profonde, e Constance pensò a come Sherlock Holmes esaminandole sapesse dire l’altezza e il peso di una persona, o riuscisse ad affermare con certezza se trasportava qualcosa o qualcuno.

Rientrarono al ristorante solo pochi minuti prima di Dwight che al suo arrivo si mostrò stanco, irritabile e affamato. Charlie e Constance avevano sete e stavano già bevendo delle birre, e mentre Dwight a sua volta ordinava un panino e una birra, Charlie fece un veloce schizzo su un tovagliolo.

«Ancora niente?» domandò Constance a Dwight.

Dwight scosse la testa. «Oh, una novità c’è» disse con grande amarezza. «Harry Westerman e la moglie mi hanno fatto contattare dal loro avvocato che mi ha ordinato di portare via i miei uomini da Smart House e di lasciare andare a casa quella povera gente.»

«Che sfortuna» disse Charlie senza troppa convinzione. Terminò lo schizzo, lo osservò un istante poi lo girò in modo che Dwight potesse vederlo.

«Guardi» disse Charlie indicando tre rettangoli. «Questo grosso affare è l’ascensore principale, accanto c’è quello segreto, e l’ultimo piccolo pozzo è per il montavivande. Nonno, papà e bambino, uno accanto all’altro.»

In quel momento l’atteggiamento di Charlie era talmente compiaciuto da risultare insopportabile, pensò Constance guardando alternativamente il marito e Dwight Ericson che invece sembrava aver indossato una maschera impenetrabile.

«Qui in fondo abbiamo la cella frigorifera» continuò Charlie. «Nella cella frigorifera c’è un’atmosfera controllata. Quindici per cento di ossigeno, un per cento di anidride carbonica e così via, tutto debitamente monitorato con allarmi e valvole di scarico nel caso in cui la situazione andasse fuori controllo. Il basso livello di ossigeno e l’alto livello di biossido di carbonio sono dati preimpostati e quindi non fanno scattare alcun allarme. E qui» disse indicando un punto con un piccolo scarabocchio «c’è un’apertura che va dal pozzo più piccolo, quello del montavivande, a quello dell’ascensore segreto, un buco di un paio di centimetri nel muro in basso. Praticamente tutta la tromba del piccolo ascensore segreto diventa parte del sistema ad atmosfera controllata della cella frigorifera.»

Dwight Ericson scuoteva la testa. «Abbiamo fatto dei calcoli, Charlie. Ci sarebbe voluto troppo tempo per saturare di biossido di carbonio un ambiente così grande o per aspirarne l’ossigeno. Nessuno di loro si è allontanato per un tempo sufficiente a compiere una simile operazione. E cosa pensa che abbiano fatto là dentro Gary e Rich, che abbiano semplicemente incrociato le braccia aspettando di morire per una o due ore? Avrebbero fatto un putiferio, e lei lo sa. Qualcuno li avrebbe sentiti urlare o battere sui muri.»

Charlie continuò tranquillamente. «Anch’io ho fatto dei calcoli. Se la cabina fosse stata sigillata ermeticamente, ci sarebbe voluta mezz’ora per far morire asfissiati due uomini per mancanza d’ossigeno. In pratica sono stati loro stessi a produrre anidride carbonica durante la respirazione. Vede però, non sono morti a causa del biossido di carbonio, e la cabina dell’ascensore non è sigillata ermeticamente. In basso c’è quell’apertura di cui parlavo poco prima, e in alto delle prese di ventilazione. Immaginiamo che quando i due entrano per qualche ragione nel piccolo ascensore e chiudono la porta, la cabina sia qui, al primo piano. Naturalmente nella cabina c’è dell’aria calda, e appena cominciano a scendere la ventilazione entra in funzione. L’aria fredda del pozzo dell’ascensore comincia a sostituire l’aria calda, e la piacevole aria calda comincia a salire portando con sé l’ossigeno. Quando siamo entrati alla cabina, abbiamo provato tutti e tre le stesse sensazioni: un senso di umidità, di freddo, di oppressione. Poi abbiamo aperto la porta e siamo usciti. Ritornando al mio ragionamento, invece, prima che la cabina arrivi nel seminterrato l’aria è stata cambiata un paio di volte. L’aria pulita è uscita completamente ed è entrata solo aria viziata. Normalmente questo fatto non si nota nemmeno, dal momento che aprendo la porta entra immediatamente dell’aria pulita. Ipotizziamo invece che quella volta la porta non si sia aperta, e che la cabina si rimasta ferma in una sacca d’aria particolarmente nociva, con una concentrazione molto alta di biossido di carbonio e molto bassa di ossigeno. Lei sa cosa sono le sacche di anidride carbonica, di aria viziata, le concentrazioni di aria contaminata?»

L’espressione di Dwight era cambiata, non sembrava più impaziente, annoiata o tollerante. Il capitano annuì e il suo sguardo si fece più penetrante. «Sì, i minatori, i sommozzatori, gli speleologi conoscono bene l’eventualità di imbattersi in sacche d’aria come quelle.»

«E i vigili del fuoco» aggiunse Charlie cupamente. «Se si entra in un grande palazzo di una qualsiasi città e lo scantinato non è stato utilizzato da qualche tempo, be’, allora si capisce cosa può accadere. Insomma, è esattamente una di quelle sacche che si è formata nel pozzo di quell’ascensore. Il biossido di carbonio rimane in basso perché è più pesante, gli elementi più leggeri in alto, ma pur sempre nocivi.»

«Buon Dio!» esclamò Constance sommessamente. «Quei poveretti!»

«Già» disse Charlie quasi bruscamente. «E così restano intrappolati nell’ascensore. Il calore stesso del loro corpo crea una sorta di corrente ascensionale sufficiente ad annullare l’effetto delle prese d’aria, che in realtà aggravano la situazione perché la pesante miscela di biossido di carbonio viene spinta dentro dal basso, mentre l’aria più pulita esce dall’alto. Ogni minuto che passa consumano circa settecento centimetri cubi di ossigeno, e producono da cinquecento a seicento centimetri cubi di anidride carbonica.» Il tono della sua voce era divenuto del tutto inespressivo, quasi meccanico. «S’imparano queste cose per essere pronti ad affrontare qualsiasi situazione durante un incendio, quando ci si domanda se le persone all’interno della sacca d’aria sono ancora vive, se stanno respirando, se l’ossigeno si è esaurito.» Charlie s’interruppe all’improvviso, poi riprese il discorso. «A ogni modo, nel momento in cui Gary e Rich si sono resi conto che avrebbero potuto morire, probabilmente era troppo tardi per fare qualcosa. Innanzitutto dopo solo un paio di minuti si viene assaliti dallo sconforto, dal mal di testa, e poi da una particolare condizione emotiva che prima mi avevano solo descritto ma che adesso posso testimoniare, uno stato che assomiglia al risveglio da un incubo, quando ci si rende conto che bisogna muoversi ma si è incapaci di individuare le parti del corpo per farlo. Sono sufficienti cinque minuti al massimo, dopodiché è troppo tardi. Subentrano il collasso, la perdita di coscienza, e tutto accade molto velocemente.»

Dwight cominciò a dire qualcosa ma poi rinunciò, come se si fosse reso conto che in quel momento Charlie non doveva essere interrotto, che stava arrivando a mettere a fuoco qualcosa che nessun altro era riuscito a vedere.

Il silenzio continuò finché Charlie scrollò leggermente le spalle e disse: «Ma come dice lei, le due vittime non sono morte nell’ascensore per poi essere spostate in un secondo tempo. I loro corpi senza vita non sono stati gettati in un posto qualsiasi, e di sicuro non ci sono andati con le loro gambe. È quella dannata casa la responsabile delle prime due morti, ma l’atto finale si è concluso fuori dall’ascensore e per mano di qualcun altro. Quando la porta si è aperta dovevano essere ancora vivi, anche se in condizioni critiche. A chiunque li abbia trovati dev’essere venuto un colpo, e istantaneamente deve aver capito che occorreva portarli altrove, altrimenti ogni colpa sarebbe stata imputata alla casa. Forse in quel momento potevano ancora essere rianimati, ma se fosse morto anche solo uno dei due ogni responsabilità sarebbe ricaduta sulla casa, e di conseguenza sulla società. Uno dei due, o entrambi, avrebbero potuto subire lesioni cerebrali. Se uno dei due si fosse ristabilito avrebbe potuto accusare chi li aveva chiusi dentro all’ascensore, e l’assassino non poteva rischiare nulla di tutto questo. Probabilmente ha mandato il piccolo ascensore sul tetto mentre lui ha preso quello principale. Il tetto è l’unico punto in cui i due ascensori sono uno di fianco all’altro. Il suo primo pensiero dev’essere stato tirarli fuori dall’ascensore segreto, allontanarli dall’ufficio di Gary o dalla sua stanza dove, battendo sulle pareti, l’ascensore segreto avrebbe potuto essere scoperto. O forse l’assassino si trovava già sul tetto, e quando ha chiamato l’ascensore e l’ha aperto vi ha trovato Gary e Rich agonizzanti. A ogni modo l’operazione successiva dev’essersi svolta sul tetto, un luogo in cui poteva passare da un ascensore all’altro riducendo al massimo il rischio di essere visto. Penso che prima abbia rimesso in piedi Rich, lo abbia fatto entrare nell’ascensore principale e poi lo abbia finito lì dentro. O forse Rich è collassato e si è ferito il viso cadendo a terra. Sicuramente è stato l’assassino a dargli il colpo di grazia perché qualunque ferita al volto non sarebbe stata sufficiente a provocare la morte. Forse l’assassino gli ha causato delle lesioni al volto ed è ricorso alla borsa di rete per nasconderne i segni, ma molto più probabilmente l’ha usata per assicurarsi che la polizia non considerasse quella morte accidentale. A quel punto l’assassino è tornato da Gary, è sceso insieme a lui al pianterreno, è uscito dalla piccola porta posteriore dell’ascensore segreto e ha attraversato il corridoio sul retro. Nel frattempo Gary doveva essersi ripreso, aprendo la porta dell’ascensore l’aria avvelenata era stata rimpiazzata da quella pulita. Sappiamo che Gary era in grado di camminare, i tabulati originali confermano che è entrato nella sala idromassaggio, ma era intontito. Sono questi infatti i sintomi che le vittime dell’anossia avvertono prima di morire. L’assassino quindi ha accompagnato Gary lungo il corridoio buio sul retro della casa fino alla sala idromassaggio, gli ha dato una leggera spinta per farlo cadere in acqua e ha coperto la vasca. Stava tentando in tutti i modi di assicurarsi che la polizia cercasse un assassino e non archiviasse nessuna delle due morti come accidentale. La sua grande intelligenza però ha finito per fargli combinare dei pasticci. Troppe piste, troppi falsi indizi che portavano in ogni direzione.

«Deve aver avuto un paio di minuti di tempo per rimettere tutto a posto, ben sapendo che nessuno dei due cadaveri sarebbe stato ritrovato molto presto. Dopo aver utilizzato l’ascensore principale l’assassino lo ha tenuto bloccato utilizzando il computer portatile, consapevole del fatto che il corpo di Gary non era visibile. Ha messo l’altro computer portatile e le copie cianografiche nell’ascensore segreto, deciso a evitare che per il momento qualcuno ne scoprisse l’esistenza, ha preparato i popcorn e imitato la risata di Gary per far pensare che fosse ancora vivo e procurarsi così un alibi. Poi ha sbloccato l’ascensore principale, ha raggiunto il resto del gruppo e ha aspettato.»

Dwight mangiava il panino meccanicamente. Masticò per parecchi minuti e infine scosse la testa. «È una ricostruzione plausibile, lo ammetto. Ci sono dei passaggi poco chiari, però. Per esempio mi chiedo come mai ha spostato Gary mentre avrebbe potuto lasciare anche lui nell’ascensore principale.»

«E se fosse stato disturbato dall’arrivo di qualcuno?» domandò Charlie. «In effetti un paio di persone sono salite sul tetto proprio nel momento sbagliato per l’assassino. Non poteva rischiare che con l’aria fresca Gary rinvenisse e magari cominciasse a fare rumore. Per questo ha dovuto bloccare le porte dell’ascensore principale, chiudersi con Gary nell’ascensore segreto e condurlo dove avrebbe potuto portare a termine ciò che aveva iniziato, ovvero dimostrare l’innocenza di Smart House.»

Dwight sospirò. Era ancora dubbioso, poco convinto di quella versione dei fatti. «E cos’è questa storia dei popcorn? Come diavolo è arrivato a pensare una cosa simile?»

«Quella sera, prima delle undici, Gary aveva preso in cucina la macchina per i popcorn» disse Charlie. «Era uscito dalla porta secondaria della cucina, diretto certamente al piccolo ascensore che lo avrebbe portato nel suo ufficio o nella sua stanza. D’abitudine preparava i popcorn ogni sera nel suo ufficio, come mai quella sera non l’ha fatto? Perché portarsi dietro quell’aggeggio per quindici, venti minuti? In quel lasso di tempo sicuramente Gary non si è fermato in giardino, c’era troppa gente che andava e veniva per passare inosservato. No, uscito dalla cucina è andato da qualche altra parte e ha posato l’aggeggio per i popcorn. In seguito, l’assassino, vedendo la macchina per i popcorn, deve aver pensato fosse un modo perfetto per far credere che alle undici e un quarto Gary fosse ancora vivo e affamato. Quando ha preso le copie cianografiche e i computer per nasconderli nell’ascensore segreto, li ha presi dall’ufficio di Gary. La macchina per popcorn probabilmente era lì e l’assassino non si è lasciato sfuggire l’occasione.»

«Sì, la sua ricostruzione potrebbe essere convincente» disse Dwight dopo un’altra pausa di riflessione. «E Dio solo sa quanto vorrei che lo fosse, ma non c’è un solo modo per provarla.»

Charlie allargò leggermente le braccia. «Né Rich né Gary erano sotto l’effetto di droga o alcol. Probabilmente non sono stati ipnotizzati e costretti a sdraiarsi per morire, non è stato un rito vudù a provocarne la morte, né sono stati convinti a farsi ammazzare con la promessa di dolci e caramelle. Non si può ordinare a un uomo di sdraiarsi e di smettere di respirare, anche sotto la minaccia di una pistola. Dovevano trovarsi in una condizione di stordimento, incapaci di opporre resistenza a quanto stava per accadere loro, ma in grado di camminare se sorretti e aiutati. È lo stordimento provocato dall’anossia. Le loro teste non sono state tenute a forza dentro ai contenitori per la frutta, né sono stati costretti a entrare in una di quelle strutture sperimentali che si trovano nella serra. Si trattava di un luogo accessibile, un luogo che non li avrebbe messi in allarme costringendo l’assassino a ingaggiare con loro una lotta. È per questo che ho pensato all’ascensore. Ha ragione, Dwight, non ci sono prove, ma non è una novità.» Si appoggiò al divanetto con il braccio steso sullo schienale e la mano appoggiata alla spalla di Constance. «E poi» aggiunse «sapevo fin dall’inizio che questa dannata casa era colpevole.»

«Immagino che lei sappia anche chi ha voluto correre un simile rischio solo per scagionare Smart House.»

«Certo» rispose Charlie. «Ma sarà molto complicato provarlo.»

19

Erano quasi le otto e Charlie aveva appena finito di caricare i bagagli sull’auto presa a noleggio, quando Beth e Jake lo videro. Beth era pallida come un cencio, gli occhi sgranati e spaventati. Jake sembrava più preoccupato per lei che per gli evidenti preparativi per la partenza di Charlie.

«Alexander ci ha detto che stava andando via!» gridò Beth dalla veranda, mentre Charlie le andava incontro. «Perché? Cosa sta facendo la polizia? Perché hanno tolto un pezzo di pavimento sul balcone? Charlie, cosa sta succedendo?»

Charlie la prese per un braccio e la spinse verso l’ingresso. «Si calmi, non si agiti. Saremmo venuti a cercarla per salutarla. Dov’è adesso Alexander? Dove sono tutti gli altri? Pensavamo che steste cenando e non volevamo disturbarvi.»

«Ma chi riesce a mangiare in questa situazione?» gridò Beth.

«Sono nella sala da pranzo a far finta di tenersi occupati» rispose Jake con estrema compostezza. «Che sta succedendo?»

Charlie guardò l’ora e disse con una certa rassegnazione: «Beth, potrebbe dire a Constance che sono al bar del giardino? Andiamo a bere qualcosa» disse poi rivolto a Jake.

Beth si mordicchiò le labbra, si avviò a balzi su per le scale e disse: «Torno subito.»

«Ci vuole qualcosa da bere» mormorò Charlie, e condusse Jake lungo il corridoio sino all’atrio, dove cominciò a esaminare l’assortimento di bottiglie dietro al bancone del bar. Jake era seduto su uno sgabello di fronte a lui. Il sole era molto basso, ormai, ma alcuni raggi filtravano ancora dalla cupola di vetro e illuminavano la parete di roccia in fondo alla stanza dove l’acqua della cascata scorreva emanando bagliori. Quella parte era ben illuminata, mentre intorno al bar avevano cominciato a formarsi delle zone d’ombra. Charlie canticchiava a bassa voce senza seguire alcuna melodia e rovistando tra le bottiglie tirò fuori un Drambuie. Lo ripose a malincuore e scelse un bourbon con ghiaccio. Quando Charlie gliene offrì, Jake scosse la testa.

«Avevo intenzione di radunare il gruppo» disse Charlie dopo aver preso un sorso. «Ma forse è meglio così. Penso che tra lei e Milton ci sia stata una colluttazione. Milton le ha detto delle cose sgradevoli e le ha spianato contro la pistola, ma lei ha reagito e l’ha colpito. Quando ha cercato di disarmarlo, dalla pistola è partito un colpo che ha ferito di striscio Milton alla testa. A quel punto lei è stato preso dal panico e ha cercato di occultare l’accaduto. Non è chiaro come siano andate le cose e vi sono molte domande in sospeso ma, detto tra noi, in casi come questo sono sempre molte le domande che rimangono senza risposta.»

«Lei è impazzito!» disse Jake freddamente.

«Tutto considerato la sua versione dei fatti non è male» proseguì Charlie come se non avesse sentito. «L’infermità mentale temporanea, poi, di solito funziona come attenuante. In questo modo non dovrò raccontare dell’ascensore segreto, né del biossido di carbonio nella cella frigorifera, né dei popcorn lasciati qui in giardino, né della pistola sul tetto. E nemmeno del test di Turing al contrario e di come tutti quanti abbiate tentato di imitarvi a vicenda per trarre in inganno il computer. Naturalmente chiunque penserà che sia lei il responsabile della morte di Gary e di Rich, ma nessuno sarà in grado di provare nulla, e questo da un certo punto di vista sarà un bene. Agli occhi delle persone che contano Smart House ne uscirà indenne, e lei continuerà a esercitare la parte del leone in una società economicamente assai prospera. E non c’è dubbio che avrà bisogno di molti soldi. Il suo collegio difensivo le presenterà dei conti piuttosto salati. Conosce le tariffe degli avvocati per ogni telefonata, per ogni minuto in cui pensano al suo caso anche se sono al cesso?»

«Brutto figlio di puttana, sta cercando di incastrarmi e di ricattarmi!»

«Non le è rimasto molto tempo» disse Charlie tranquillamente. «Quando stasera il capitano sospenderà le ricerche gli racconterò la mia versione dei fatti, farò un resoconto ai suoi colleghi e partirò. Le ho detto in che punto hanno concentrato le ricerche i sommozzatori? A nord della spiaggia. Se oggi non riusciranno a trovare il portacenere e il lenzuolo allora domani faranno arrivare un elicottero per il trasporto del legname e cominceranno a giocare a sciangai con i tronchi sulla riva, e forse i sommozzatori passeranno a ispezionare il gruppo di scogli successivo, e poi quello dopo ancora. Lo ammiro proprio il capitano, è uno che non si perde d’animo. Insisterà finché non avrà trovato qualcosa, che si tratti di un lenzuolo, di un portacenere, di un paio di pantaloni sportivi, di una camicia o di qualsiasi altra cosa. Io però voglio andarmene da qui, per cui gli racconterò come penso siano andate le cose, e non mi interessa un accidente di niente quale versione sarà, se una versione che comprende giochi più o meno divertenti e stupidi, ascensori segreti e case assassine, o una versione che inizia e finisce con la morte di Milton.»

«Brutto bastardo, questa si chiama estorsione, e lei lo sa! Gliela farò pagare, com’è vero Dio!»

«Ci è quasi riuscito» disse Charlie gentilmente.

«La prossima volta non sarà altrettanto fortunato. Ha già raccontato queste cose a qualcuno degli altri?»

«No, non ho ancora parlato con gli azionisti. Ho deciso che prima le avrei lasciato scegliere la versione che le piace di più.»

Jake si guardò intorno disperatamente, come se stesse cercando un’arma, una pietra, una bottiglia, una pistola, qualsiasi cosa con cui colpirlo. Le mani appoggiate sul bancone erano diventate bianche per la pressione. Charlie però era dalla parte opposta, lontano da lui. Jake piegò le dita e disse: «È arrivato molto vicino a quello che è successo veramente.» La sua voce era dura, tesa, le parole mozzate. «Stavo facendo una passeggiata sul balcone quando Milton è impazzito e mi ha aggredito. Aveva in mano una pistola. Ho reagito per autodifesa, l’ho colpito e lui è caduto violentemente a terra battendo la testa. Era stato un incidente, ma mi sono fatto prendere dal panico e non ho più capito nulla.» Il volto di Jake era pallido, la sua espressione feroce.

«Potrebbe essere una versione convincente se gli altri fossero disponibili a collaborare» disse Charlie prudentemente. «Ma dopo aver cercato di incastrare Bruce credo che non possa contare molto sulla sua disponibilità, e probabilmente nemmeno su quella di Maddie, e quando Beth si renderà conto che stava cercando di approfittarsi di lei per le sue azioni, non so come andrà a finire. Uno di loro potrebbe anche ricordare che lei non era presente quando tutti gli altri hanno udito la risata che pensavano appartenesse a Gary.»

«Beth crederà soltanto a quello che le dirò io, gli altri non contano.» Jake si sporse in avanti e disse con un tono di voce basso ma intenso: «Quando sarà finita, Charlie, la verrò a cercare. Avrò a disposizione molte risorse finanziarie, molte più di quante lei possa immaginare.»

«Quarta considerazione» disse Charlie. «Ha pensato a Laura? Ha visto Milton prendere la sua pistola ad acqua sul tetto. Un giorno o l’altro potrebbe ricollegare questo particolare all’assassino di Rich.»

«Può fare tutte le congetture che vuole, ma non è in grado di provare niente riguardo alla morte di Gary e Rich. E lei lo sa, altrimenti non starebbe certo qui a cercare di raggiungere un accordo.»

«In che stato erano quando li ha trovati?»

Per un momento Charlie pensò che Jake non gli avrebbe risposto, ma poi fece un respiro profondo e disse in un roco sussurro: «Sembravano degli zombie, tutti e due. Stavano morendo. So riconoscere delle lesioni cerebrali. Lei non può capire, nessuno può capire cosa avrebbe significato per un uomo come Gary. Vedere una mente come la sua perduta per sempre, distrutta. Forse avrebbero potuto essere rianimati, ma erano comunque morti. Magari sarebbero sopravvissuti, ma non come esseri umani con delle capacità intellettive. Gary…» Jake abbassò ulteriormente la voce finché diventò quasi impercettibile. «Era un demonio, e allo stesso tempo era un dio, e io lo adoravo. Ho fatto quello che dovevo, quello che avrebbe voluto che facessi se fosse stato in grado di chiedermelo.»

Charlie scosse la testa. «Molte persone sono riuscite a uscire indenni da incidenti come questi.»

Jake sembrava non aver sentito. Il suo volto era sofferente, la sua espressione cupa. «Ho aperto la porta con in mano la pistola ad acqua, ho mirato verso il punto in cui pensavo che sarebbe stato Rich. Erano tutti e due a terra, storditi, e Rich si trovava davanti a Gary. L’ho rimesso in piedi e l’ho trasferito nell’ascensore principale per portarlo giù e chiedere aiuto, ma in quel momento è collassato e ha perso conoscenza. Gary giaceva semisvenuto nel piccolo ascensore e gemeva. Erano spacciati! Non volevo dar loro il colpo di grazia, ma ho dovuto farlo o altrimenti saremmo stati tutti quanti rovinati. E poi erano già più di là che di qua. Certo, respiravano ancora, seppure a fatica, ma era come se fossero stati morti, non si poteva più fare niente per salvarli.»

Gli occhi di Jake fissavano qualcosa in modo penetrante, non lo spazio ma il tempo, come se fossero tornati a quella notte. Riprese a parlare con una voce bassa e roca. «Rich cadde a terra e guardandolo riuscii a immaginare esattamente tutto quello che sarebbe accaduto: Smart House sotto accusa, tutto il lavoro andato in fumo, il sogno infranto, ogni speranza perduta. Non doveva passare per un incidente. Lo avevo capito ancora prima di aiutare Rich ad alzarsi, persino prima di sapere cosa dovevo fare. Gary avrebbe voluto che salvassi la società a ogni costo. A ogni costo. Che salvassi Smart House, il suo sogno… Ho cercato di far capire alla polizia che il computer non poteva aver fatto una cosa simile. Chiunque possedesse un minimo di dimestichezza con i computer si sarebbe reso conto che non poteva essere responsabile del rilascio dell’insetticida, delle luci che si accendevano e si spegnevano, della messa in funzione della copertura della vasca idromassaggio. Nessun computer avrebbe potuto fare una cosa simile, ma quegli stupidi non hanno voluto sentire ragione nonostante tutti continuassimo a ripeterglielo.»

«Lei era troppo intelligente per loro» disse Charlie. «Così sarà questa la sua versione, due morti accidentali e l’autodifesa nei confronti dell’aggressione di Milton. Potrebbe funzionare.»

Jake riportò di scatto lo sguardo su Charlie e scosse la testa. «Non ho la minima idea di come Gary e Rich siano morti. Questa è la mia versione dei fatti, e Milton mi ha puntato contro una pistola. Dev’essere stato lui a ucciderli, e ha pensato che lo avessi scoperto. Questa è la mia versione e funzionerà. Sono bravo con i dettagli, Charlie, ricorda? Funzionerà. Farò in modo che funzioni e se la berranno.»

«Dwight, le basta?» disse Charlie stancamente. «Comincio a essere stufo.»

Le luci si accesero e Dwight Ericson uscì dallo stanzino dietro al bar. Altri due uomini con in mano una pistola uscirono dall’oscurità.

«Maledetto figlio di puttana!» gridò Jake incredulo e in preda allo stupore. «Ha mentito!»

Charlie si strinse nelle spalle. «E lei ha cercato di uccidere mia moglie.» Posò il bicchiere e la voce musicale del computer disse: «Grazie, Charlie. Desideri qualcos’altro da bere?» Charlie guardò Jake. «Abbiamo cominciato a registrare ogni cosa fin dal nostro arrivo al bar, è tutto inciso su nastro. Gli altri sono radunati nella sala da pranzo e hanno sentito ogni parola. Mi dicono che queste tracce audio siano infallibili, e se lei sosterrà che quella voce non le appartiene dovrà sconfessare l’affidabilità dell’intero sistema di sicurezza, non è così?»

Per un istante gli occhi di Jake scintillarono come se avessero riconosciuto e accettato il finale di una bella partita, pensò Charlie, o come se in quel modo avessero voluto esprimere il loro apprezzamento. Ma le sue erano solo congetture, e probabilmente si sbagliava.

Il sole stava tramontando, il cielo a occidente era incendiato da striature rosse, l’azzurro del mare orlato di bianco. Charlie e Constance si trovavano nel soggiorno con il resto del gruppo. Charlie guardava il panorama di cielo e mare fuori dalla finestra, Constance era seduta accanto a lui su una sedia a schienale rigido. "Incantevole" fu il giudizio di Charlie. "Davvero incantevole." Gli altri stavano ancora prendendo posto e si voltò verso di loro. Beth si era accomodata su una poltrona a schienale alto che la faceva apparire più piccola e ancora più pallida. Laura e Harry si erano seduti alle estremità opposte di un divano, Maddie aveva avvicinato una sedia a Bruce, ma lui la ignorava. Bruce era seduto in maniera scomposta, i vestiti e i capelli in disordine, le scarpe da ginnastica slacciate. Alexander non aveva ancora scelto dove fermarsi, e passeggiava per la stanza muovendosi a scatti come se stesse cercando un posto speciale in cui appollaiarsi. Dwight Ericson e i suoi uomini se n’erano andati, e con loro anche Jake.

«Alexander, se potesse prendere posto da qualche parte, vorrei concludere questa vicenda» lo esortò Charlie.

«Mi scusi, mi scusi» rispose Alexander rapido come un colibrì, e si sedette sulla punta della sedia più vicina.

Charlie annuì. «Tutti ormai avete visto il piccolo ascensore, e sapete che i computer portatili potevano controllare il funzionamento di ogni cosa all’interno della casa, anche dell’ascensore segreto. Cercherò di essere il più breve possibile. Sin dall’inizio ci sono state parecchie domande a cui bisognava trovare una risposta. Durante il gioco dell’assassino, per esempio, perché Jake non ha ucciso Rich pur avendone avuto più di un’occasione? Lo aveva ereditato come vittima all’inizio del pomeriggio dopo aver eliminato Beth, eppure non aveva cercato di avvicinarlo per tutto il resto del pomeriggio e della sera. Perché Gary si è comportato in un modo scorretto durante il gioco inventato da lui, cercando di convincere Maddie a testimoniare ben sapendo che non partecipava come giocatrice? Perché Gary si è messo a ridere nel giardino? Di chi rideva? Dalla ricostruzione di quella sera sembrava che tutti si trovassero altrove a quell’ora, che non ci fosse nessuno con lui. Perché Gary non ha preparato i popcorn nella sua camera o nel suo ufficio? Perché quella sera dopo le undici l’ascensore principale non funzionava? Mi sono posto tutte queste domande quando mi avete riferito del gioco e dei vostri spostamenti.»

Avevano tutti un’aria perplessa. Charlie si strinse nelle spalle. «Altrettanti interrogativi sono emersi riguardo all’omicidio di Milton. Perché è stata scelta quella sera per nascondere i computerini? Perché qualcuno ha sparso della terra e ne ha ammucchiato un po’ davanti alla porta di Bruce? Perché Jake portava le lenti a contatto se stava già dormendo? E se non era andato ancora a letto, perché indossava il pigiama? Perché qualcuno ha cancellato le impronte da tutti gli oggetti della camera di Milton? Perché quella sera Bruce ha menzionato la pistola?

«Per avere una risposta a queste domande dovremo fare un passo indietro e ritornare al gioco» disse Charlie quasi in tono di scuse. «Milton Sweetwater scende nel seminterrato per prendere una nuova arma. Sente parlare Jake e Rich e vede la porta dell’ufficio chiusa. Qualche minuto dopo ritorna verso l’ascensore, vede Rich da solo e salgono insieme. Si dà il caso che Rich sia la vittima designata di Jake, ma in nessuna delle due occasioni Jake tenta di ucciderlo, nemmeno quando, con l’arrivo di Milton nel seminterrato, avrebbe potuto contare su un testimone. Perché non lo fa? Jake ha spiegato che non conosceva ancora il nome della sua vittima, che continuava a scordarsi di verificarlo sul computer, ed è una spiegazione plausibile. Non dimentichiamo la curiosa sfuriata di Gary quando Maddie si è rifiutata di testimoniare la sua uccisione di Bruce. Una circostanza davvero strana. Che cosa poteva significare? Tutti voi insistevate nel dire che Gary amava giocare, che non avrebbe mai barato, eppure quell’atteggiamento era chiaramente scorretto. Tutto questo inoltre avveniva di fronte a Jake. Immaginate la scena: Gary e Jake entrano in una stanza dove si trovano Bruce e la madre, Gary usa un coltello di gomma per pugnalare Bruce ma nessuno può testimoniare perché Maddie non è una giocatrice e Jake si è dileguato. Per quale motivo Gary va su tutte le furie? Perché Maddie non vuole prendere parte al gioco, fatto che del resto Gary già conosceva, o perché Jake è uscito troppo presto dalla stanza? Cosa sarebbe accaduto se avesse registrato l’uccisione sul computer e Maddie avesse testimoniato?» Charlie guardò Alexander e aspettò una risposta.

Alexander si mise subito in agitazione e parve imbarazzato, poi scosse la testa. «La registrazione non sarebbe stata accettata dal momento che Maddie non rientrava nella rosa dei giocatori.»

«Sì, ma cosa sarebbe accaduto di preciso?» insistette Charlie.

«Il computer avrebbe detto qualcosa riguardo al fatto che ai non giocatori non era concesso assolutamente di partecipare al gioco, che Gary si stava comportando in maniera non conforme alle regole e non poteva più utilizzare il pugnale per tentare di uccidere nuovamente la sua vittima. A seconda di chi aveva commesso l’errore, il computer avrebbe anche potuto assegnare una penalità. Dal momento che si trattava di Gary, avrebbe semplicemente concesso a Bruce dodici, ventiquattr’ore di tregua, un lasso di tempo durante il quale Gary non avrebbe potuto assalirlo, e questo è tutto.»

Charlie annuì con serietà. «Fino a che punto poteva considerarsi inusuale il fatto che un computer rispondesse in questi termini?»

Ora Alexander sembrava infinitamente sollevato. Il suo volto s’illuminò, i suoi occhi brillarono. «Non può nemmeno immaginarlo! È quello che ho cercato di spiegarle. Si tratta di ragionamento! Di ragionamento umano, non di semplici calcoli matematici! Jake ne sarebbe rimasto enormemente impressionato!» Alexander tacque all’improvviso come in preda a una crisi di panico.

«Esattamente» disse Charlie. «Sono stato ad ascoltare quello che mi ha detto, Alexander, l’ho ascoltata davvero.» Si voltò verso Beth. «Quel giorno, dopo che Jake la uccise mentre si trovava nell’atrio, lei è andata nella serra, vero?» Beth annuì, lo sguardo fisso su di lui come se fosse stata ipnotizzata.

«Da quale porta è passata?»

Beth s’inumidì le labbra, deglutì e poi disse: «Ho fatto il giro della serra e sono entrata dalla porta in fondo.»

«Quindi Gary e Jake si trovavano dall’altra parte della serra, quella più vicina a casa, e quando lei è entrata sono scappati via. Mi domando come mai. Jake l’aveva uccisa, sapeva che non costituiva una minaccia per lui, e a sua volta Gary sapeva che aveva assistito al suo assassinio. Perché sono usciti subito? Cosa avevano in mano, Beth?»

«Non ho mai detto che…»

Charlie le sorrideva con benevolenza. «Certo Beth, lo so, non mai detto che avevano qualcosa in mano, ma chiuda gli occhi e cerchi di richiamare quell’immagine nella sua mente. Avevano in mano qualcosa, non è così? Solo uno dei due, o tutti e due, Beth?»

Beth sbatté le palpebre e chiuse gli occhi. Un istante dopo gridò: «Tutti e due. Credevo che fossero dei libri ma non lo erano, vero? I computerini! Doveva trattarsi dei computer!» Beth aprì gli occhi. «Pensavo che fosse stato un comportamento dettato dalla paranoia, dal fatto che avevamo tutti paura uno dell’altro, ma loro non avevano motivo di temermi, nessuno dei due. Era stato quello l’unico aspetto che mi aveva colpito, ciò che mi era sembrato più terribile. Non ho prestato la minima attenzione a cosa avevano in mano. Come faceva a saperlo?»

«Il motivo per cui hanno cercato di evitarla doveva dipendere da qualcosa che avevano con loro. Come ha detto lei, nessuno dei due aveva motivo di temerla, ma una dimostrazione segreta delle funzioni dei computer era tutt’altra faccenda. Quella era una questione seria e, a parte Jake, Gary non era ancora pronto a condividere la sua invenzione con nessun altro. Ho il sospetto che durante quel giorno o quella sera Gary avesse inserito un comando per impedire a Jake di prendere una nuova arma o di conoscere la sua nuova vittima, o forse entrambe le cose, e che Jake ne fosse al corrente e per questo motivo non avesse nemmeno provato a farlo, né avesse tentato di uccidere Rich quando gli si era presentata l’occasione. Nel gioco è stata lei l’ultima vittima di Jake. A detta di tutti Jake era un accanito giocatore, proprio come Gary, ed è per questo che i conti non tornavano.»

Beth annuì. «Erano in fondo alla serra, vicino alle valvole, ai manometri e a questo tipo di cose, e avevano in mano i computer.»

«In seguito, per aumentare un po’ la confusione, Jake si è servito nuovamente del computer per immettere del veleno nella serra. L’intenzione non era di far del male a qualcuno, infatti aveva scelto un orario notturno, ma solo attirare l’attenzione della polizia, condurla alle aree sperimentali, quelle in cui c’era un’atmosfera controllata e una persona avrebbe potuto morire soffocata. Stava tentando con tutte le sue forze di spingerli a cercare un assassino. Stava facendo tutto ciò che poteva per evitare che Smart House rimanesse coinvolta.»

«È giunto a questa conclusione solo perché Jake non ha cercato di aggredire Rich quando ne ha avuto l’occasione?» Harry sembrava arrabbiato e il tono della sua voce esprimeva incredulità. «Cristo santo, io non sono riuscito a registrare nemmeno una vittima per tutto il fine settimana!»

«Ma per tutto il pomeriggio e la serata nessuno ha segnalato la sua presenza vicino a Gary o Rich, come invece è accaduto a Jake. Dal tardo pomeriggio in poi, chiunque lo abbia incontrato lo ha visto sempre in compagnia dell’uno o dell’altro. Gary e Rich gli illustravano tutti i particolari della casa, insieme o separatamente, senza dubbio ognuno con la propria strategia. Rich voleva cominciare a mostrare la casa a dei potenziali acquirenti, mentre Gary desiderava continuare a fare ricerche sull’intelligenza artificiale. Subito dopo Gary era Jake il maggiore azionista, era lui l’uomo su cui far leva. Quando Rich è salito in ascensore con Milton, Jake è rimasto nell’ufficio e nessuno l’ha più rivisto fino a quando è uscito dalla sua camera ed è sceso insieme a Beth alle undici e dieci o poco dopo. Durante questo tempo ha trovato la chiave d’accesso al computer principale e ha cominciato a fare dei tentativi. È stata lei, Beth, a dirci che era in grado di ricordare le ultime dieci mosse di una partita a scacchi. Aveva una memoria eccezionale per i dettagli, e non dimentichiamo che durante il giorno aveva visto in funzione parecchi computer. Sappiamo che Gary teneva i computerini nel suo ufficio, e che Bruce lo ha sentito dimostrarne il funzionamento a qualcuno. Gary ha fatto uso dell’ascensore segreto, non ci sono dubbi su questo, ma deve aver utilizzato i controlli manuali. Perché no? In fondo l’accesso non era bloccato dal computer come invece accadeva per le camere. Perché mai avrebbe dovuto esserlo? A parte Gary, Rich e Jake, nessuno era al corrente dell’esistenza di quell’ascensore. I computerini quindi erano nell’ufficio di Gary, e Jake era in quell’ufficio.

«Le regole per Jake erano cambiate. Ora poteva sbloccare la chiusura della teca e prendere una nuova arma. In quel momento non stava pensando né a commettere un omicidio né a nient’altro che non fosse il gioco.»

Charlie si rivolse a Laura: «Dopo che Rich ebbe testimoniato per Milton, andaste tutti nella biblioteca a registrare l’uccisione, giusto? E Rich sembrava avere fretta?»

«Sì.»

«Rich sapeva che Jake era nell’ufficio, così tornò indietro e Gary arrivò con la macchina per popcorn, il granturco e l’olio, e nei pochi minuti che seguirono Jake riuscì a far entrare Rich e Gary nel piccolo ascensore e a chiuderli dentro con l’unità di controllo. Non doveva ancora aver preso un’arma, perché altrimenti avrebbe potuto uccidere Rich nell’istante in cui Gary era entrato nella stanza. Non approfittò della situazione. Li mise entrambi in stand-by e andò a procurarsi un’arma. Probabilmente fece tutto con calma, senza fretta, dal momento che sapeva dove si trovavano la sua vittima e il testimone. Bloccò l’ascensore al livello del seminterrato in modo che nessuno potesse sentirli se davano in escandescenze e cominciavano a picchiare pugni sulle pareti. È questo il lasso di tempo cruciale. In quel periodo sappiamo esattamente dove si trovavano tutti tranne Jake. Vi avevo detto che la gente arriva a notare la presenza di altre persone molto più di quanto riesca a rendersene conto, e in effetti è sempre così. In questo caso però non era possibile perché Jake era sparito per mezz’ora o più. Presa la pistola ad acqua, Jake salì sul tetto passando per le scale. Lo possiamo dedurre perché in quei minuti l’ascensore era occupato da Maddie che stava tornando giù nella sala tv. Ci vuole un po’ di tempo per salire tre piani, e Jake non aveva particolarmente fretta. Cinque o sei minuti dopo aver chiuso il piccolo ascensore e averlo bloccato nel seminterrato, lo ha chiamato sul tetto, e aprendolo ha trovato i due uomini agonizzanti.»

Maddie perse il controllo e cominciò a singhiozzare. Nascose il volto tra le mani dondolandosi avanti e indietro.

Harry si alzò di scatto. «È pura fantasia. Non ha uno straccio di prova. Sono tutte cazzate! Perché non farlo nell’ufficio di Gary, o nella camera, o in qualunque altra stanza?»

«Se qualcuno lo avesse visto entrare nell’ufficio o nella stanza di Gary, il gioco sarebbe finito. Non dimenticate che l’apertura delle porte di tutte le stanze era controllata dal computer. Teoricamente Jake non era abilitato all’accesso di quelle due stanze. Inoltre c’era un continuo via vai di gente dappertutto, tutti potenziali testimoni. Per arrivare al piccolo ascensore al piano terra avrebbe dovuto attraversare l’atrio col giardino, passare dietro alla piscina e percorrere il corridoio, ma anche qui il rischio di incontrare qualcuno era troppo alto. Suppongo che Jake amasse i giochi quanto Gary, e che per questo volesse evitare di far scoprire agli altri l’esistenza dell’ascensore segreto. E poi poteva correre il rischio che qualcuno lo seguisse e mandasse all’aria il suo piano per colpire Rich con la pistola ad acqua, non appena si fossero aperte le porte. Per il gioco gli serviva solo un testimone a portata di mano. Aveva superato in astuzia Gary, aveva risolto l’enigma del computer, preso un’arma, chiuso nell’ascensore vittima e testimone. Doveva essere piuttosto fiero di sé, ma quando ha aperto la porta del piccolo ascensore ha trovato due uomini agonizzanti.» Charlie si fermò e si strofinò distrattamente gli occhi. Il tono della sua voce era stanco quando riprese a parlare.

«Avete sentito cosa ha detto Jake riguardo a quello che è successo dopo. Ha cercato di rianimare Rich ma non c’è riuscito, così ha tolto loro la vita facendo in modo che la polizia cercasse un assassino e non attribuisse alla casa e al computer alcuna responsabilità per quelle due morti.» Charlie fece una pausa, poi continuò con un tono incalzante. «Laura e Milton arrivarono sul tetto prima che Jake avesse terminato ciò che stava facendo. Inavvertitamente doveva aver lasciato cadere a terra la pistola ad acqua che Milton raccolse. Quando in seguito Milton raccontò di aver trovato la pistola sul tetto, divenne istantaneamente la nuova vittima designata di Jake, ma non per gioco.»

Charlie s’interruppe e guardò Maddie. La donna lo fissava, era seduta rigidamente, la schiena dritta e contratta.

«Gary e Rich erano morti e Jake doveva muoversi in fretta. Accese la macchina per popcorn in modo che intorno alle undici e un quarto tutti credessero Gary ancora vivo, ritornò di corsa all’ascensore segreto, prese le copie cianografiche dall’ufficio di Gary e le mise nell’ascensore insieme a due computerini. Uscì dal piccolo appartamento di Gary al primo piano, corse verso la porta della sua stanza, e quando vide Beth uscire dalla camera finse di essere appena uscito anche lui. Scese le scale, si separarono. Jake ebbe il tempo di aprire una delle porte scorrevoli e togliere il coperchio della macchina per popcorn per farne uscire l’odore. Imitò la risata di Gary e andò nella biblioteca dove rimase finché fu rinvenuto il primo cadavere.»

«Non avrebbe potuto provare niente di tutto questo» disse Harry. «Se quello stupido non avesse perso la testa a quest’ora avrebbe risolto tutti i suoi guai. Quel maledetto idiota!»

Charlie si strinse nelle spalle. «Ha tentato d’incastrare Bruce. Inoltre sospetto meditasse per Laura una morte prematura, nel caso avesse cominciato a mettere assieme i pezzi e a capire come si erano svolti i fatti. Laura aveva visto Milton prendere la pistola sul tetto. Se quello stupido non avesse perso la testa sarebbe finito per restare l’unico proprietario della Bellringer Company.»

Beth arrossì e abbassò la testa.

«A ogni modo, non è necessario provare niente di tutto ciò. È accusato della morte di Milton e questo è più che sufficiente.»

Harry inspirò profondamente. «Quel maledetto idiota! Almeno finisca di dirci come ha fatto a indovinarlo.»

Charlie parve risentito. «L’ho dedotto» disse. «Jake ha ucciso Milton sul balcone, lo ha avvolto in un lenzuolo, lo ha spinto su un carrello fino alla scogliera dove gli ha sparato e lo ha buttato giù dal precipizio. Ma tutto questo ha innescato una serie di domande. Perché ha scelto quella sera per nascondere il computerino? Se non ci fosse stata un’altra morte, e di conseguenza altre indagini e ricerche, non sarebbe stato necessario farlo. Se non fosse stato per questo avrebbe potuto tenerlo per sempre, ma all’improvviso quel piccolo computer era diventato un ostacolo. Avrebbe potuto nasconderlo nell’ascensore segreto, ma gli serviva qualcuno da incastrare. Così ha infilato il computer portatile dentro al vaso, e sparso intorno della terra lasciandone anche un po’ davanti alla porta di Bruce. Sarebbe stato lui il capro espiatorio. Per allora Milton doveva già essere morto. Jake sapeva che Bruce si alzava a tutte le ore e non era difficile immaginare che prima dell’alba sarebbe sceso in giardino e si sarebbe sporcato le scarpe di terra. Per esserne certo si era appostato, e quando aveva visto Bruce scendere le scale lo aveva seguito e aveva scoperto che anche io e Constance eravamo nel giardino. Questo non poteva che giovare al suo piano. Bruce però disse qualcosa a proposito di una pistola, e Jake ebbe una reazione decisamente strana, rise, ma in modo troppo sguaiato per il suo temperamento. Con grande abilità riuscì a riprendersi all’istante, ma quel comportamento mi diede comunque da pensare. Mi domandai come mai portasse le lenti a contatto se stava dormendo. Nessuno si mette le lenti a contatto solo per andare a prendere qualcosa da bere, è molto più semplice usare gli occhiali. Perché avrebbe dovuto mentire se invece non stava ancora dormendo? E se non era ancora andato a letto, perché indossava il pigiama? Ho pensato che forse aveva sporcato i vestiti che indossava quella sera. Chiunque avesse lottato con Milton sul balcone e lo avesse buttato giù dalla scogliera avrebbe avuto i vestiti sporchi o rovinati. Cambiarsi nel cuore della notte sarebbe stato come ammettere la propria colpevolezza, e per questo Jake aveva indossato pigiama e vestaglia, ma si era dimenticato le lenti a contatto. Sono quasi sicuro che i calzoni grigi sportivi che indossava ieri sono scomparsi. Bruce aveva tirato fuori la storia della pistola non perché ne possedesse una, ma perché aveva udito lo sparo senza rendersi conto distintamente di cosa si trattasse, però una parte del suo cervello lo aveva capito. Quando Bruce e Jake scesero nel giardino e ci videro, Milton era già morto.

«Eh sì, è andata così» disse Charlie con l’espressione di chi è consapevole di essere arrivato alla conclusione. «Jake ha sostituito gli oggetti della stanza di Milton con quelli della propria camera e ha cancellato le sue impronte, ma il portacenere usato originariamente da Milton è scomparso. Era un pesante portacenere di mogano con la base in cristallo, e Mrs Ramos ci ha assicurato che l’inventario degli oggetti stilato per ogni camera è corretto. Forse Mrs Ramos aveva notato la sostituzione ma nessuno le ha chiesto nulla e lei ha taciuto. Mi aspetto che Dwight Ericson trovi il lenzuolo, i calzoni di Jake e il portacenere al di là degli scogli, all’estremità nord della spiaggia.» Lanciò uno sguardo al gruppo e aggiunse impassibile: «Nessuno sa di quello stupido gioco dell’assassino. Vi spedirò una copia scritta della mia relazione, e che Dio vi aiuti. Soddisfatti?»

Harry chiuse brevemente gli occhi, poi fulminò Charlie con lo sguardo. «Avrebbe potuto farcela. Un buon avvocato lo avrebbe tirato fuori.»

«Lasciando Bruce nei pasticci» gli rispose seccamente Charlie. «Andiamo» disse poi porgendo la mano a Constance.

«Beth, aspetta» disse bruscamente Harry vedendo che la donna si era alzata con un’espressione carica di ripugnanza. «Bisogna pensare alla società, ai nostri progetti per il futuro…»

«Va’ al diavolo» gli rispose. «Potrai parlare con il mio avvocato appena ne avrò nominato uno.»

«Ha ucciso mio figlio» disse Maddie all’improvviso con un tono glaciale e furente. «Intendo collaborare con la polizia in ogni modo affinché venga provata la sua colpevolezza, anche se ciò significherà dover parlare di quel folle gioco.» La donna si alzò e se ne andò.

Bruce cominciò a ridere.

Sulla soglia della stanza Constance si voltò a guardarli. Harry era seduto su un largo divano e scuoteva la testa, lo sguardo perso nel vuoto. Laura, il volto impietrito, era seduta di fronte a lui. Alle loro spalle l’immensità dell’Oceano Pacifico si estendeva all’infinito, e per la prima volta Smart House sembrava piccola, insignificante. Stagliati contro quella sterminata distesa, gli azionisti della Bellringer Company parevano scomparire. Constance prese la mano di Charlie e si avviarono verso l’auto.

Beth li stava aspettando e porse loro la mano, prima a Charlie e poi a Constance. «Grazie.» Guardò Smart House alle loro spalle. «Gary, Rich, Milton e Jake erano le vere menti della società. È tutto finito, ormai, davvero tutto finito. Si avvicinò, baciò fugacemente Charlie sulla guancia e poi disse a Constance con un’espressione solenne:» Non la dimenticherò. Le devo molto. «Si voltò e corse alla macchina, vi salì e si allontanò velocemente.»

«Ecco qua un potenziale milionario, anzi, milionaria. Una trentenne, ricca e carina, insomma, un buon partito.»

Constance strinse la mano del marito con decisione. «E libera» disse. «Il resto non conta molto.» Salirono sulla macchina e imboccarono l’ampio viale d’ingresso che si arrampicava sulla collina. «Sono contenta di andarmene da questo posto» mormorò Constance quando Smart House sparì dietro a una curva.

«Ho capito che era un’assassina dal primo istante in cui l’ho vista» disse Charlie, e come faceva sempre cominciò a canticchiare a bassa voce senza seguire alcuna melodia.

«Prima ancora che tu la vedessi» lo corresse con una certa indolenza Constance, e gli appoggiò la mano sulla coscia così come faceva sempre.

«Giusto. Sai qual è il problema con i geni?»

«No, qual è?»

«Pensano di essere dannatamente intelligenti.»

A Charlie parve di sentire la soave voce della moglie dire sommessamente: "Sì, caro, ma ti perdono" e nonostante lo avesse solo immaginato le lanciò comunque un’occhiataccia. Constance guardava fuori dal finestrino con un vago sorriso e osservava il paesaggio trasformato dall’intervento dell’uomo.

FINE