Gordon R. Dickson

Soldato, non chiedere!

Soldato, non chiedere mai,
Dove la bandiera difenderai…

I

Ero arrivato a S. Maria e, uscendo dalla nave spaziale di linea, percepii la differenza di pressione per un lieve soffio d’aria alle mie spalle, come se una mano, dall’oscurità dietro di me, mi spingesse verso una giornata cupa e piovosa. Il trench da reporter mi proteggeva e il freddo pungente e umido mi avviluppava senza però penetrarmi nelle ossa. Mi sentivo come la nuda spada dei miei antenati, avvolta e nascosta in un caldo tessuto, affilata sulla roccia e trasportata infine sul luogo dell’incontro per il quale era stata tenuta in serbo per più di tre anni.

Un incontro nella fredda pioggia primaverile. Mi colpiva, sulle mani, gelida come sangue ormai secco, e sulle labbra, senza sapore. Il cielo era minaccioso, le nuvole venivano sospinte verso est e la pioggia cadeva incessantemente.

Era come un rullo di tamburi che mi accompagnava mentre scendevo la scaletta, un suono prodotto dalla moltitudine di gocce nell’impatto con il duro cemento che, da quel punto e in tutte le direzioni, si estendeva senza interruzione coprendo la terra, nudo e pulito come l’ultima pagina di un libro contabile prima del bilancio finale. In fondo, davanti a me, il terminal dello spazioporto si ergeva come un’immane e unica pietra tombale. La cortina d’acqua che ci separava era ora più spessa, ora più sottile, come il fumo nella battaglia, ma non lo nascondeva completamente alla mia vista.

Era la stessa pioggia che puoi trovare in tutti i posti su qualsiasi mondo. Così mi ricordavo quella di Atene, su Vecchia Terra, quando ero solo un ragazzo e vivevo nella cupa e infelice casa dello zio a cui ero stato affidato dopo la morte dei miei genitori; era accanto alle rovine del Partenone e io guardavo il mondo, e la pioggia, dalla finestra della mia camera.

Continuavo a scendere e, alle mie spalle, sentivo ancora il suono, come una percussione costante sulla nave che mi aveva trasportato attraverso le stelle, da Vecchia Terra a questo pianeta, secondo fra i Mondi più piccoli, simile al mio, ma sotto i Soli di Procione. Il martellamento suonava vuoto sulla valigetta contenente le mie Credenziali, che stava scivolando sul nastro trasportatore vicino alla scaletta. Né la valigetta, né i documenti e le Credenziali di Imparzialità che avevo ormai da sei anni, e per le quali avevo lavorato tanto, significavano qualcosa per me in quel momento. La mia mente era interamente concentrata sul nome dell’uomo che avrei dovuto incontrare al punto consegna autoveicoli, in fondo allo spazioporto. Ero ansioso di scoprire se si trattava veramente dell’uomo che i miei informatori terrestri mi avevano segnalato. E se non avevano mentito…

— Il bagaglio, signore?

Fui risvegliato dai miei pensieri e distolto dal ritmo della pioggia; avevo raggiunto il terreno di cemento. L’addetto allo sbarco mi stava sorridendo. Era più vecchio di me, ma sembrava più giovane. Mentre sorrideva, gocce d’acqua cadevano come lacrime dalla visiera marrone del suo berretto sul foglio di riscontro che aveva in mano.

— Mandatelo al presidio degli Amici — dissi. — Prendo con me solo la valigetta delle Credenziali.

La presi dal nastro trasportatore e mi avviai all’uscita. L’uomo che, con la relativa uniforme, mi aspettava per consegnarmi la prima vettura della fila, corrispondeva alla descrizione fattami.

— Nome, signore? — chiese. — Motivo della visita a S. Maria?

Se io avevo una sua descrizione, anche lui doveva averne una mia, ma volevo trattare la faccenda con tatto.

— Tam Olyn — dissi. — Cittadino di Vecchia Terra e rappresentante della rete giornalistica Interworld. Sono qui per un servizio sul conflitto fra Amici ed Esotici. — Aprii la valigetta e gli mostrai i documenti.

— Bene, Signor Olyn. — Me li riconsegnò, intrisi d’acqua. Si voltò per aprire la vettura al suo fianco e impostare il pilota automatico. — Segua l’autostrada fino alla città di S. Giuseppe. Non appena raggiunge i sobborghi, metta il pilota automatico e la macchina la porterà al presidio degli Amici.

— Bene — dissi. — Solo un minuto.

Si voltò di nuovo e mi accorsi che aveva un viso giovane e cordiale, con un accenno di baffi; gli occhi luminosi mi guardavano senza espressione. — Signore?

— Mi aiuti a salire in auto.

— Mi dispiace, signore. — Arrivò in tutta fretta. — Non mi ero accorto della sua gamba.

— L’umidità la rende più rigida — dissi. Sistemò il sedile di guida e potei mettere la gamba sinistra a fianco del volante. Fece per andarsene.

— Un momento — ripetei. Ero spazientito. — Lei è Walter Imera, vero?

— Sì — disse in un soffio.

— Mi guardi; se non sbaglio, lei ha qualche informazione per me!

Si voltò lentamente per potermi vedere chiaramente, sempre senza espressione.

— Si sbaglia, signore.

Lo fissai per un lungo istante, aspettando.

— Bene — aggiunsi, allungando il braccio verso la portiera. — Penso che si renderà conto che otterrò quelle informazioni comunque, e che crederanno ugualmente che sia stato lei a fornirmele.

I sottili baffi sembrarono di colpo tinti.

— Aspetti — disse.

— A che scopo?

— Senta — disse — deve capire. Questo genere di informazioni non possono far parte dei suoi resoconti… e io ho famiglia.

— Io non ce l’ho — replicai, senza provare alcuna compassione per lui.

— Ma lei non capisce, mi uccideranno. È così che funziona oggi l’organizzazione, il Fronte Azzurro, qui a S. Maria. Che cosa vuole sapere su di loro? Non ho capito quello che lei…

— Bene — dissi, raggiungendo la portiera.

— Aspetti. — Sollevò un braccio sotto la pioggia, nella mia direzione. — Come posso essere sicuro che lei non mi esporrà, se le dico quello che so?

— Potrebbero tornare al potere qui, un giorno o l’altro — dissi. — Neanche i gruppi politici illegali vogliono inimicarsi la rete giornalistica interplanetaria. — Iniziai a chiudere la porta.

— Bene — disse velocemente — bene. Vada a Nuova San Marco, da Wallace, il gioielliere. Si trova subito dopo S. Giuseppe, dove lei si sta recando. — Si inumidì le labbra. — Farà il mio nome?

— Lo farò. — Lo fissai. Sopra al bordo del colletto dell’uniforme blu, dalla parte destra del collo, si intravedeva una bella catena d’argento, che spiccava sulla pelle pallida del dopo inverno. Probabilmente, c’era un crocefisso attaccato, sotto la camicia. — I soldati Amici sono qui ormai da due anni. Come vengono accettati dalla popolazione?

Fece una smorfia, mentre riprendeva colore.

— Come qualsiasi altro — disse. — Bisogna solo capire quali sono i loro modi.

La ferita alla gamba iniziò a farmi male, esattamente nel punto in cui, tre anni prima, i dottori di Nuova Terra avevano estratto l’ago.

— Certo, bisogna capirli — dissi. — Chiuda la porta.

La chiuse e partii.

C’era una medaglia di San Cristoforo sul quadro comandi della vettura. Un soldato Amico l’avrebbe strappata e gettata via, o si sarebbe rifiutato di prendere la macchina. Per questa ragione, mi faceva particolarmente piacere lasciarla al suo posto, anche se per me non aveva alcun significato. Non lo facevo solo per Dave, mio cognato, e per gli altri prigionieri che loro avevano ucciso su Nuova Terra, ma anche perché quello era uno di quei doveri che contengono piccoli frammenti di piacere. Una volta perse le illusioni dell’infanzia e rimasti solo i doveri, anche il minimo piacere è il benvenuto. I fanatici, dopotutto, non sono peggiori dei cani impazziti.

Ma i cani impazziti vanno soppressi; è semplice e logico.

E nella vita si arriva sempre, inevitabilmente, alla logica e al buon senso. Quando i grandi sogni di giustizia e progresso finiscono e vengono seppelliti, quando i dolorosi battiti d’amore infine si placano, è il momento di diventare impassibili, freddi e duri come… come la lama di una spada affilata sulla pietra. La pioggia che colpisce la lama mentre viene portata a eseguire il suo compito non lascia macchie, né le lascerà il sangue nel quale verrà infine bagnata. Per l’acciaio temprato, sangue e pioggia sono la stessa cosa.

Per circa mezz’ora, guidai attraverso colline boscose e campi arati. I solchi seminati sembravano neri sotto la pioggia, ma con una sfumatura più gentile di quelle che aveva già visto. Finalmente arrivai nelle vicinanze di S. Giuseppe.

La città che si presentava ai miei occhi, sotto la guida del pilota automatico, era una tipica città di S. Maria, piccola e pulita, con circa centomila abitanti.

Giunti dall’altra parte, in una zona aperta, vidi la massa imponente e ripida dei muri di cemento di un presidio militare.

Un sottufficiale Amico mi fermò al cancello, puntando il fucile verso di me e aprendo la portiera dalla mia parte.

— Lei è qui per lavoro?

Gradi da Caporale sul colletto, una voce nasale dura e alta, un viso magro, solcato da rughe, dimostrava circa quarant’anni. Sia la faccia che le mani, le uniche parti scoperte del corpo, sembravano di un bianco innaturale, in contrasto con il nero dell’uniforme e del fucile.

Aprii la mia valigetta e gli consegnai i documenti.

— Le mie Credenziali — dissi. — Sono qui per incontrare l’attuale Comandante delle Forze di Spedizione, il Colonnello Jamethon Black.

— Proceda, allora — disse la voce nasale. — Devo accompagnarla.

Procedetti.

Si sedette al mio fianco e iniziò a dirigermi. Passato il cancello, imboccammo un viale in fondo al quale si vedeva una piazza interna. Il rumore prodotto dal nostro passaggio rimbombava sui muri di cemento ai due lati. Man mano che ci avvicinavamo alla piazza, una voce perentoria lanciava comandi, diventando sempre più forte; quando infine sbucammo, vidi i soldati allineati e pronti per il rito di mezzogiorno, sotto la pioggia.

Il caporale si allontanò e sparì dentro al muro, in quella che sembrava l’entrata di un ufficio, su un lato della piazza. Osservai i soldati che, in formazione, facevano il presentat’arm, posizione usata nei campi militari per rendere onore; e in quel momento, l’ufficiale che stava loro di fronte, dando le spalle al muro, intonò l’Inno di Battaglia.

Soldato, non chiedere mai,
Dove la bandiera difenderai.
Se è il nemico a circondare,
Colpisci! E le vittime non contare.

Restai immobile, cercando di non ascoltare. Non c’era accompagnamento musicale, nessun arredo o simbolo sacro, solo la scarna forma di una croce dipinta in bianco sulla parete grigia dietro all’ufficiale. Il coro di voci maschili crebbe e poi si spense lentamente nell’aria scura, nel triste inno che prometteva loro solo dolore… sofferenza… tristezza. L’ultima strofa si alzò come un lamento, la dura preghiera di morire in battaglia; poi riposero le armi.

Un Sergente ordinò di rompere le righe e l’ufficiale passò di fianco alla mia macchina, senza guardarmi, entrando poi nella stessa porta dove era scomparsa la mia guida. Notai che era giovane.

Subito dopo, la guida riapparve e, zoppicando un poco, la seguii in una stanza interna con le luci concentrate su una sola scrivania. Ritrovai davanti a me il giovane ufficiale, che si alzò e mi salutò con il capo, mentre la porta si chiudeva alle mie spalle. Sull’uniforme vi erano i gradi scoloriti di Colonnello.

Mentre gli passavo le mie Credenziali, venni accecato dal bagliore della lampada, che mi colpì negli occhi. Mi ritrassi, sbattendo le palpebre e cercando di mettere a fuoco chi mi stava davanti. Con la vista offuscata, mi sembrava più vecchio, più duro, come se il suo volto fosse scavato da profonde linee di fanatismo.

Poi la vista ritornò normale e potei vederlo come realmente era. La faccia scura, magra, certamente più per l’età che per denutrizione, diversa da quelle sepolte nella mia memoria. I lineamenti regolari lo rendevano quasi bello, anche se gli occhi apparivano stanchi e preoccupati; e sopra al corpo immobile e rigido, senza emozioni, si scorgeva la linea diritta e affaticata della bocca. Era più basso e magro di me.

Non guardò le Credenziali che aveva in mano, ma la bocca assunse un’espressione lievemente sarcastica mentre diceva: — Naturalmente, Signor Olyn, nell’altra tasca avrà una serie di autorizzazioni dei Mondi Esotici per intervistare i soldati e gli ufficiali mercenari da loro assoldati a Dorsai e in una dozzina di altri Mondi per opporsi in questa guerra ai Prescelti da Dio.

Sorrisi, soddisfatto di avere di fronte una persona forte. Il piacere di spezzarla sarebbe stato maggiore.

II

Stavo calcolando la breve distanza che ci separava, quando mi ricordai che anche il sottufficiale che aveva ucciso i prigionieri su Nuova Terra aveva parlato di Prescelti da Dio.

— Se guarda sotto ai documenti che la interessano — dissi — troverà gli altri. La rete giornalistica a cui appartengo è imparziale e non può prendere le parti di nessuno.

— Giusto — disse, fissandomi. — Prendere le parti.

— Sì, Colonnello — risposi. — È esatto, resta solo da decidere, qualche volta, da che parte è il giusto. Voi e le vostre truppe siete ora degli invasori di un Mondo del sistema planetario che i vostri antenati non hanno mai colonizzato. Di fronte avete delle truppe mercenarie assoldate da due Mondi che non solo appartengono al sistema dei Soli di Procione, ma hanno il preciso compito di difendere i Mondi più piccoli di tale sistema, come S. Maria. Non sono sicuro che il giusto sia dalla vostra parte.

Scosse lentamente la testa e aggiunse: — Non ci aspettiamo che i non prescelti capiscano — e iniziò a esaminare i documenti.

— Posso sedermi? — chiesi. — Ho una gamba malconcia.

— Prego — disse, indicandomi con il capo una sedia di fianco alla scrivania. Quando mi sedetti, fece altrettanto. Fra le carte sparse sulla scrivania vidi, in piedi da un lato, la solidografia di una di quelle chiese alte, appuntite e senza finestre che gli Amici costruivano. Gli era sicuramente permesso di possedere un tale simbolo, ma, in primo piano sull’immagine, c’erano, quasi per caso, tre persone, una donna e un uomo anziani e una ragazzina di circa quattordici anni; tutti e tre assomigliavano parecchio a Jamethon Black. Alzò lo sguardo dalle Credenziali e vide che stavo fissando il gruppo; i suoi occhi si spostarono sull’immagine, quasi per proteggerla, poi tornarono a fissarmi.

— Da quanto leggo — disse, cercando il mio sguardo — mi si chiede di fornirle cooperazione e sistemazione. Le troveremo un alloggio qui dentro. Ha bisogno di una vettura e di un autista?

— Grazie — dissi. — Quella che ho qui fuori andrà benissimo, e posso guidare da solo.

— Come preferisce. — Staccò la parte dei documenti che rimaneva a lui, mi restituì la mia e si piegò verso un microfono sulla scrivania. — Caporale.

— Signore. — Risposta immediata dall’altra parte.

— Faccia approntare un alloggio per un civile maschio, un posto macchina e del personale a sua disposizione.

— Subito, signore.

La voce si spense e Jamethon Black mi guardò, dandomi la sensazione che volesse congedarmi al più presto.

— Colonnello — dissi, riponendo le Credenziali — due anni fa, gli Anziani delle Chiese Unite di Armonia e Cooperazione si accorsero che il governo planetario di S. Maria era in ritardo nel saldo di alcuni discussi crediti e inviarono una Spedizione che occupasse il pianeta e lo obbligasse al pagamento. Di quella Spedizione, quanto, in termini di uomini ed equipaggiamenti, è rimasto?

— Queste, Signor Olyn — disse — sono informazioni militari riservate.

— Tuttavia — aggiunsi, chiudendo la valigetta — lei, con il suo grado di Colonnello, è l’effettivo Comandante delle Forze rimaste di questa Spedizione. Una tale posizione dovrebbe appartenere a qualcuno con almeno cinque gradi più del suo. Aspettate un ufficiale che abbia l’autorità di assumere il comando?

— Sono spiacente, ma dovrebbe porre la domanda al Quartier Generale su Armonia, Signor Olyn.

— Aspettate forse rinforzi e rifornimenti?

— Anche se fosse — disse con voce uniforme — la considererei un’informazione riservata.

— Lei è al corrente che ci sono molte voci sul fatto che lo Stato Maggiore di Armonia consideri ormai questa Spedizione su S. Maria una causa persa? Ma che, per non perdere la faccia, preferiscano abbandonarvi qui, piuttosto che farvi ritirare?

— Capisco — disse.

— Non desidera commentare?

Il volto scuro, giovane e imperscrutabile non rivelò alcuna emozione. — Non commento mai le semplici voci, Signor Olyn.

— Un’ultima domanda. Quando l’offensiva primaverile dei mercenari Esotici inizierà, avete in programma di ritirarvi verso ovest?

— I Prescelti da Dio non si ritirano mai — disse. — Né abbandonano, o vengono abbandonati dai loro Fratelli in Dio. — Si alzò. — Ho del lavoro da sbrigare, Signor Olyn.

Mi alzai anch’io. Ero più alto, più vecchio e più massiccio di lui, ma il suo innaturale portamento lo faceva sembrare uguale a me, se non più grosso. — Le parlerò ancora più ardi, quando avrà più tempo — aggiunsi.

— Certamente. — Sentii la porta che si apriva alle mie spalle. — Caporale — si rivolse all’uomo che era entrato — si occupi del Signor Olyn.

Il Caporale che mi era stato assegnato mi aveva trovato una piccola stanzetta con le pareti di cemento, una sola finestra in alto, un lettino da campo e un armadietto. Mi lasciò entrare per un istante e tornò con un permesso firmato.

— Grazie — dissi, prendendolo. — Dove posso trovare il Quartier Generale degli Esotici?

— Le ultime notizie, signore — disse — li segnalano a novanta chilometri a est da qui, a Nuova San Marco. — Era alto come me, ma, come la maggior parte di loro, più giovane di almeno una dozzina di anni, e l’innocenza contrastava con lo strano autocontrollo che tutti possedevano.

— San Marco — lo fissai. — Suppongo che voi soldati sappiate che il Quartier Generale su Armonia ha deciso di non sprecare uomini per sostituirvi qui.

— No, signore — disse. Se avessi parlato del tempo, la sua reazione sarebbe stata uguale. Quei ragazzi erano ancora forti e difficili da spezzare. — C’è altro?

— No — dissi. — Grazie.

Uscì e lo seguii, poi salii in macchina e mi diressi verso est, attraverso novanta chilometri di paesaggio sempre uguale, verso Nuova San Marco. Ci misi circa tre quarti d’ora per arrivarci, ma non andai subito al Quartier Generale degli Esotici. Avevo altra carne da mettere al fuoco.

Trovai facilmente il negozio del gioielliere, tre gradini sotto al livello del marciapiede, una porta con il vetro smerigliato e, all’interno, una stanza lunga, piena di espositori in vetro e poco illuminata. Un uomo anziano era dietro al banco in fondo alla stanza e notai che stava osservando il mio trench e il distintivo da reporter, mentre mi avvicinavo.

— Signore? — disse, quando fui fermo davanti a lui. Alzò i vecchi occhi grigi che spiccavano su un viso ancora fresco.

— Penso conosciate ciò che rappresento — dissi. — Tutti i Mondi conoscono i servizi giornalistici e sanno che non sono politicamente coinvolti.

— Signore?

— Scoprireste comunque come sono venuto a conoscenza del vostro indirizzo. — Continuai a sorridere. — Le dico subito che è stato il Signor Imera, dello spazioporto, a segnalarmelo. Gli ho promesso protezione in cambio dell’informazione. Apprezzerei quindi se rimanesse sano e integro.

— Sono spiacente… — Mise le mani, su cui spiccavano molte vene dovute all’età, sul bancone. — Desidera acquistare qualcosa?

— Sono disposto a pagare con molta riconoscenza le buone informazioni — dissi.

Tolse le mani dal banco. — Signore — disse con un sospiro — credo che abbiate sbagliato negozio.

— Io credo di no — aggiunsi. — Il negozio forse è sbagliato per ciò che rappresenta in realtà. Io credo di essere in una sezione del Fronte Azzurro e di stare parlando con un suo rappresentante.

Scosse la testa, lentamente, ritraendosi.

— Il Fronte Azzurro è illegale — disse. — Arrivederci, signore.

— Un momento, ho un paio di cose da dire.

— Sono spiacente. — Indietreggiò fino a una tenda che copriva una porta. — Non posso ascoltare. Nessuno starà in questa stanza con lei, finché si ostinerà a parlare di queste cose.

Scostò la tenda e scomparve, lasciandomi solo a esaminare la lunga stanza vuota.

— Bene — dissi, alzando la voce — suppongo di dover parlare ai muri, ma sono sicuro che mi possono sentire.

Feci una pausa, ma non udii alcun rumore, perciò continuai.

— Vediamo! Sono un corrispondente e tutto ciò che mi interessa è qualche informazione. Secondo le nostre valutazioni sulla situazione militare qui a S. Maria, le Forze di Spedizione degli Amici sono state abbandonate dal loro Quartier Generale, e, credetemi, non c’è niente di più vero. Inoltre, non appena il terreno sarà abbastanza asciutto da consentire lo spostamento di mezzi pesanti, verranno certamente attaccate e schiacciate dalle Forze Esotiche.

Ancora nessuna risposta, ma il mio sesto senso mi diceva che mi stavano ascoltando e anche guardando. Continuai.

— Da ciò deduciamo — e questa volta stavo mentendo, ma non avrebbero potuto scoprirlo — che sia inevitabile che il Comando Amico sia obbligato a mettersi in contatto con il Fronte Azzurro. L’assassinio di Comandanti nemici viola espressamente il Codice dei Mercenari e i Patti di Guerra Civile, ma i civili possono fare ciò che i soldati non possono.

Ancora nessun rumore o movimento al di là della tenda.

— Un giornalista come me — aggiunsi — è in possesso di Credenziali di Imparzialità, che, come ben sapete, sono tenute in alta considerazione. Voglio solo farvi qualche domanda e le risposte rimarranno confidenziali…

Attesi, per l’ultima volta, poi, non ottenendo risposta, mi voltai e attraversai la stanza fino all’uscita. Solo quando fui fuori in strada lasciai che il senso di trionfo mi pervadesse e mi rinfrancasse.

Avrebbero abboccato; la gente come loro ci casca sempre. Salii in macchina e mi diressi al Quartier Generale Esotico.

Si trovava fuori città. Un Colonnello mercenario di nome Janol Marat mi prese in consegna, scortandomi alla struttura a pallone dell’edificio adibito a Quartier Generale.

C’era un’atmosfera di determinazione, un’accogliente e sicura operosità; erano tutti armati e ben addestrati. Era una cosa che saltava all’occhio dopo essere stati dagli Amici, e lo dissi a Janol.

— Abbiamo un Generale Dorsai e siamo in numero superiore ai nostri avversari. — Replicò, con un sorriso compiaciuto. Il viso era lungo e molto abbronzato, con due profonde rughe ai lati della bocca. — Ciò renderebbe ottimista chiunque. Inoltre, il nostro Comandante, se vince, viene promosso e torna a casa, probabilmente in una posizione che lo terrà lontano dai campi di battaglia. Vale la pena di vincere.

Ridemmo entrambi.

— Continui — lo invitai. — Devo trovare sostegno a tutte le informazioni che spedisco alla mia agenzia.

— Dunque — disse, rispondendo al saluto di un Caporale che passava di lì, un Cassidiano — suppongo che si possa parlare del solito fatto che i nostri datori di lavoro, gli Esotici, non usano la violenza e sono quindi sempre piuttosto generosi quando si tratta di pagare uomini e attrezzature. E, come lei sa, il Governatore Aggiunto è l’Ambasciatore degli Esotici a S. Maria.

— Lo so.

— Ha sostituito il precedente Governatore tre anni fa. È una persona speciale, anche per uno che viene da Mara o Kultis, ed è un esperto in calcolo ontogenetico, non so se mi spiego, qualcosa fuori dalla portata delle menti normali. — Janol si toccò la testa. — Ecco l’ufficio del Generale Kensie Graeme.

— Graeme? — dissi, e un tremito mi scosse. Avevo passato un’intera giornata a L’Aia alla ricerca di Kensie Graeme, prima di venire, ma volevo vedere la reazione di Janol. — Questo nome mi è familiare. — Ci stavamo avvicinando all’ufficio. — Graeme…

— Sta probabilmente pensando a un altro membro della famiglia. — Aveva abboccato. — Donald Graeme, un nipote, quello che ha fatto quel colpo di testa attaccando Newton con appena una manciata di navi di Freiland. Kensie è lo zio di Donald, non così esibizionista come il nipote, ma scommetto che lo apprezzerete molto più del giovane. Kensie gode della simpatia di due persone. — Mi guardò, con un lieve sorriso.

— Devo pensare che questo significa qualcosa di speciale — dissi.

— Esatto — disse Janol. — La simpatia di se stesso e quella del suo gemello, Ian; potrebbe capitarle di incontrarlo a Blauvain, verso est, dove c’è l’Ambasciata Esotica. Ian è un uomo scuro.

Entrammo nell’ufficio.

— Non potrò mai abituarmi — aggiunsi — al fatto che così tanti abitanti di Dorsai sembrano imparentati.

— Nemmeno io, ma suppongo che questo dipenda dal fatto che non ce ne sono molti. Dorsai è un Mondo piccolo, e quelli che vivono più di qualche anno… — Janol si fermò a fianco di un ufficiale seduto a una scrivania.

— Possiamo vedere il Vecchio, Hari? Quest’uomo è un giornalista.

— Penso di sì — disse l’altro guardando l’agenda degli appuntamenti. — È con il Governatore Aggiunto, ma sta per finire. Entrate.

Janol mi fece strada fra le scrivanie, fino a una porta sul fondo che si aprì prima che noi arrivassimo. Ne uscì un uomo di mezza età, dal viso tranquillo, che indossava una veste azzurra e aveva capelli bianchi a spazzola. Era strano, ma non ridicolo, soprattutto se incontravi i suoi occhi furbi color nocciola.

Era un Esotico.

Conoscevo Padma, così come conoscevo gli Esotici. Li avevo osservati proprio a casa loro, su Mara e Kultis. Un popolo dedito alla non violenza, mistico, ma molto pratico, maestro di quelle che erano chiamate “strane scienze”, discendente, più o meno legittimo, dei vecchi psicologi, sociologi ed esperti in dottrine umanistiche, con in più un pizzico di magia.

— Signore — disse Janol a Padma — questo è…

— Tam Olyn, lo conosco — rispose Padma gentilmente e mi sorrise. I suoi occhi sembrarono catturare, per un istante, una luce che mi accecò. — Mi è spiaciuto quando ho saputo di suo cognato, Tam.

Mi raffreddai un poco. Ero pronto a entrare, ma mi fermai e lo guardai.

— Mio cognato? — replicai.

— Il giovane morto vicino a Castlemain, su Nuova Terra.

— Certo — dissi a labbra serrate. — Mi sorprende che lei ne sia al corrente.

— Lo so proprio da te, Tam. — Ancora una volta gli occhi nocciola di Padma sembrarono catturare la luce.

— Abbiamo una scienza, chiamata ontogenetica, con la quale calcoliamo le probabilità delle azioni umane in situazioni presenti e future. Lei è stato un fattore importante di tali calcoli, per un certo periodo. — Sorrise. — Ecco perché mi aspettavo di incontrarla qui e in questo momento. Avevamo calcolato che lei sarebbe stato qui a S. Maria in questa attuale situazione, Tam.

— Davvero — dissi. — Interessante.

— Pensavo che lo sarebbe stato — aggiunse Padma a bassa voce. — Specialmente per uno come lei, un reporter.

— E lo è — confermai. — Sembra che lei ne sappia più di me su ciò che farò in futuro qui.

— Abbiamo i calcoli per questo — disse con la sua voce calma. — Venga a trovarmi a Blauvain, Tam, e glieli mostrerò.

— Lo farò — dissi.

— Sarà il benvenuto. — Padma mi salutò con un cenno del capo e, mentre si voltava e usciva dalla stanza, la sua veste sembrò sussurrare.

— Da questa parte — disse Janol, toccandomi il gomito. Sobbalzai, come se fossi stato svegliato. — Il Generale è qui dentro.

Lo seguii, come un automa. L’uomo che dovevo incontrare era in piedi ad aspettarmi. Alto, magro, con l’uniforme da campo e un viso robusto, ma aperto e sorridente sotto a capelli neri, leggermente ondulati. Traspariva una personalità calda, insolita per un Dorsai, che mi trasmise con la stretta di una mano possente e lunga, che inghiottì la mia.

— Prego — disse — lasci che la metta a suo agio con un drink. Janol — si rivolse al Colonnello mercenario di Nuova Terra — non abbiamo più bisogno di lei. Vada a mangiare e dica agli altri dell’ufficio di fare altrettanto.

Janol salutò e uscì. Mi sedetti, mentre Graeme si avvicinava al mobile bar dietro alla scrivania. E, per la prima volta in tre anni, per una sorta di magia che traspariva dall’insolito militare che avevo di fronte, ci fu un po’ di pace nella mia anima. Con una persona di questo stampo al mio fianco, non potevo perdere.

III

— Le sue Credenziali? — chiese Grame, non appena ci fummo seduti davanti a due bicchieri di whisky di Dorsai, in verità molto pregiato.

Gliele porsi e, dopo averle esaminate, ne estrasse le lettere di Sayona, il Governatore di Kultis, indirizzate al Comandante delle Forze a Terra a S. Maria. Le prese e le mise da parte, ridandomi la cartelletta.

— Si è fermato a S. Giuseppe, prima? — mi chiese.

Annuii e, mentre mi osservava, notai che diventava serio.

— Non le piacciono gli Amici — disse.

Mi lasciò senza fiato. Ero arrivato preparato a evitare un approccio troppo diretto, ma questo era stato improvviso. Distolsi lo sguardo.

Non osai rispondere immediatamente: non ci riuscivo. C’era troppo, o forse troppo poco da dire se lasciavo uscire le parole senza pensarci. Cercai di controllarmi.

— Anche se dovesse essere l’ultima cosa che faccio — risposi, lentamente — farò tutto quanto è in mio potere per rimuovere gli Amici e tutto ciò che rappresentano dalle comunità degli esseri umani civilizzati.

Ritornai a guardarlo; mi osservava, con un massiccio gomito appoggiato alla scrivania.

— È un punto di vista piuttosto duro.

— Non più duro del loro.

— Lo crede davvero? — disse in tono serio. — Non direi.

— Pensavo che voi foste quelli che li combattevano — replicai.

— Certamente. — Fece un lieve sorriso. — Ma siamo tutti soldati, da entrambe le parti.

— Non credo che loro la pensino a questo modo.

Scosse un poco la testa.

— Come può dirlo? — mi chiese.

— Li ho visti all’opera — risposi. — Sono stato catturato in prima linea a Castlemain su Nuova Terra, tre anni fa. — Battei sulla gamba ferita. — Mi spararono e non potei scappare. I Cassidiani intorno a me iniziarono a ritirarsi; erano mercenari e i loro oppositori erano Amici assoldati come mercenari.

Mi fermai un attimo per bere un sorso di whisky. Quando riappoggiai il bicchiere, Graeme non si era mosso, come se stesse aspettando.

— Con noi c’era un giovane Cassidiano, un soldato con una spiccata personalità — dissi. — Stavo facendo un servizio su quella campagna attraverso gli individui, e avevo scelto lui. La scelta era naturale, perché, vede — bevvi ancora, svuotando il bicchiere — mia sorella più giovane era stata due anni prima a Cassida, come contabile, e lo aveva sposato. Era mio cognato.

Graeme mi tolse il bicchiere di mano e, senza parlare, lo riempì di nuovo.

— Era effettivamente un abile soldato — continuai. — Stava studiando meccanica dei trasporti e aveva ancora tre anni davanti. Ma arrivò fra i primi in uno dei concorsi in un momento in cui Cassida aveva un contratto mercenario con Nuova Terra. — Presi fiato. — Insomma, per dirla brevemente, finì su Nuova Terra, nella stessa campagna su cui stavo facendo il servizio. Per il tipo di articolo che stavo scrivendo andava benissimo e mi fu assegnato. Pensammo entrambi che fosse stata una fortuna per lui, che con me sarebbe stato più al sicuro.

Bevvi ancora un po’ di whisky, e continuai.

— Ma, si sa, dove si combatte non si può mai prevedere niente. Ci ritrovammo in prima linea, da un giorno con l’altro, mentre le truppe di Nuova Terra si stavano ritirando. Fui colpito, quasi per caso, al ginocchio. L’esercito Amico stava avanzando e la situazione stava diventando incandescente. I soldati si affrettavano a ritirarsi, ma Dave cercò di trasportarmi perché, pensò, gli Amici mi avrebbero disintegrato prima di accorgersi che non ero un soldato. Così fu che — presi un altro respiro — fummo catturati entrambi e portati in una specie di campo di prigionia dove c’erano molti altri prigionieri. Dopo un po’ di tempo venne un Sergente, uno di quei fanatici alti e allampanati. Aveva l’ordine di raggruppare tutti i soldati utili per un nuovo attacco.

Mi fermai per bere ancora, ma non sentii il sapore.

— Non potevano più permettersi di tenere dei soldati a occuparsi dei prigionieri, ma non erano autorizzati a lasciarli andare, non era un comportamento onorevole; dovevano accertarsi che i prigionieri non avrebbero potuto nuocere.

Graeme stava ancora fissandomi.

— Non capii subito. Non ci arrivai neanche quando gli altri Amici, tutti soldati semplici, si opposero. — Appoggiai gli occhiali sulla scrivania e fissai la parete dell’ufficio, senza vederla, come se in quel punto ci fosse una finestra. — Mi ricordo come il Sergente si inalberò, vidi i suoi occhi come se fosse stato insultato, iniziò a urlare: “Sono forse questi dei Prescelti da Dio? Sono Prescelti?”.

Guardai Kensie Graeme e vidi che non si era mosso; mi fissava ancora e i suoi occhiali sembravano piccoli nelle sue grandi mani.

— Capisce? — dissi. — I prigionieri non erano considerati umani, solo perché non erano Amici. Per lui appartenevano a un ordine inferiore che era giusto uccidere. — Rabbrividii di colpo. — E lo fece, mentre io, grazie alla mia uniforme da corrispondente, rimanevo seduto in salvo vicino a un albero e lo guardavo ucciderli uno per uno. Tutti. Ero seduto lì e fissavo Dave; lui mi fissava, seduto a soli pochi passi, anche nel momento in cui il Sergente gli sparò.

Tacqui all’improvviso. Non avevo intenzione di tirare fuori tutto in quel modo. Mi era sempre sembrato che non sarei mai stato in grado di spiegarmi, né di trovare qualcuno che potesse capire quanto mi fossi sentito impotente. Ma qualcosa in Graeme mi aveva suggerito che egli avrebbe capito.

— Sì — disse dopo un momento, riempiendomi ancora il bicchiere. — Sono cose molto brutte. È stato poi ritrovato quel Sergente e giudicato secondo il Codice dei Mercenari?

— Dopo era comunque troppo tardi, non crede?

Annuì e distolse lo sguardo. — Naturalmente, non sono tutti così.

— Ce ne sono abbastanza per crearsi una reputazione.

— Sfortunatamente sì. Comunque — e mi sorrise leggermente — cercheremo di tenere questo genere di cose fuori da questa campagna.

— Mi dica una cosa — aggiunsi, mettendomi gli occhiali. — Questo genere di cose, come le chiama lei, sono mai state fatte agli Amici?

Qualcosa avvenne e l’atmosfera della stanza cambiò. Ci fu una breve pausa, prima che rispondesse, e il mio cuore si mise a battere più lentamente, tre volte, nell’attesa che lui parlasse.

E infine disse: — No, certamente.

— Perché no? — chiesi.

L’atmosfera divenne più spessa e mi resi conto di essere andato troppo in fretta. Ero stato seduto a parlargli da uomo a uomo, dimenticandomi che lui era anche qualcos’altro, un Dorsai, un individuo umano quanto me, ma allenato per tutta la vita e allevato da generazioni per essere diverso.

Non si mosse, né cambiò il tono di voce, o altro; ma in qualche modo sembrò prendere una distanza da me ed entrò in un universo più elevato, più freddo e più duro nel quale mi potevo avventurare solo a mio rischio e pericolo.

Mi ricordai che cosa si diceva di quel popolo venuto da un Mondo piccolo, freddo e montagnoso: se i Dorsai scegliessero di ritirare le loro truppe in servizio sugli altri Mondi e li sfidassero tutti, nemmeno la potenza congiunta di tutte le altre civiltà potrebbe fermarli. Non ci avevo creduto molto, fino a quel momento, né tantomeno pensato a lungo. Ma in quel preciso istante, la sensazione di ciò che stava accadendo nella stanza mi convinse, come un pensiero freddo, simile a un vento che scende da un ghiacciaio, che tutto questo era vero. Subito dopo udii la risposta.

— Perché questo genere di cose è specificatamente proibito dall’Articolo Due del Codice dei Mercenari.

Improvvisamente sorrise e tutte le sensazioni strane scomparvero. Ripresi a respirare.

— Bene — disse, togliendosi gli occhiali — che ne dice di unirsi a noi per mangiare qualcosa alla mensa degli ufficiali?

Cenai con loro e il pasto fu molto piacevole. Volevano che mi fermassi per la notte, ma me la sentivo di tornare al campo freddo e triste di S. Giuseppe, dove tutto quello che mi aspettava era una specie di amara soddisfazione per essere in mezzo ai miei nemici.

Tornai dagli Amici.

Erano circa le ventitré quando entrai dal cancello del presidio, parcheggiai, e vidi una figura uscire dall’ingresso dell’ufficio di Jamethon. La piazza non era ben illuminata e la luce delle poche lampade si perdeva sul selciato umido di pioggia. Non lo riconobbi subito; poi mi accorsi che era Jamethon.

Sarebbe passato un po’ distante da me, ma io scesi e gli andai incontro. Si fermò, non appena gli fui davanti.

— Signor Olyn — disse, senza scomporsi. Nell’oscurità non potevo raffigurarmi l’espressione della sua faccia.

— Dovrei farle una domanda — dissi, sorridendo, anche se non visto.

— È tardi per le domande.

— Non ci vorrà molto. — Cercai di cogliere il suo sguardo, ma era in ombra. — Sono stato al campo degli Esotici. Hanno un Generale Dorsai, come lei probabilmente sa.

— Lo so. — Quasi non vedevo le sue labbra muoversi.

— Abbiamo parlato e ne è sorta una domanda che vorrei farle, Colonnello. Ha mai ordinato ai suoi uomini di uccidere dei prigionieri?

Ci fu un breve, curioso silenzio fra noi, poi rispose, senza tradire emozioni: — L’uccisione o la tortura dei prigionieri di guerra sono vietate dall’Articolo Due del Codice dei Mercenari.

— Ma voi qui non siete mercenari. Siete truppe al servizio dei vostri Anziani e delle vostre Chiese Unite.

— Signor Olyn — disse, mentre continuavo a cercare di cogliere una qualche espressione sul suo viso in ombra. Le parole mi sembrarono più lente, anche se il tono della voce era sempre calmo. — Il mio Dio mi ha fatto diventare un capo di soldati per servirLo e io non deluderò mai le sue aspettative.

E con questa frase concluse, si voltò e, senza esporsi alla luce, proseguì.

Raggiunsi il mio alloggio, mi spogliai e mi distesi sul duro e piccolo lettino che mi avevano dato. La pioggia era finalmente cessata e, dalla finestrella senza vetri, potevo scorgere qualche stella.

Cercavo di addormentarmi, elencando mentalmente le cose che avrei dovuto fare il giorno dopo. L’incontro con Padma, il Governatore Aggiunto, mi aveva molto scosso. Avevo alcune riserve sui cosiddetti calcoli delle azioni umane, ma ero rimasto scosso dall’apprenderne l’esistenza. Avevo intenzione di saperne di più su quanto la scienza ontogenetica conoscesse e potesse predire. Anche dallo stesso Padma, se necessario, ma avrei iniziato con fonti meno importanti.

Nessuno, a mio parere, poteva neanche lontanamente pensare che un uomo come me potesse distruggere una cultura che coinvolgeva le popolazioni di due Mondi. Nessuno, eccetto Padma. Lui, con i suoi calcoli, poteva aver sopportato ciò che sapevo e cioè che i Mondi Amici di Armonia e Cooperazione erano di fronte a una decisione che avrebbe significato la vita o la morte del loro sistema di vita. Anche un piccolissimo dettaglio poteva far pendere la bilancia da una parte o dall’altra.

E la ragione era che c’era un nuovo vento che soffiava fra le stelle.

Quattrocento anni prima, eravamo tutti uomini della Terra, quella ora chiamata Vecchia Terra, il pianeta madre su cui ero nato, un popolo solo.

Poi, con i viaggi verso nuovi Mondi, il genere umano si era “frammentato”, per usare un termine degli Esotici. Tutti i piccoli frammenti sociali e tipi psicologici avevano formato gruppi esclusivi che, piano piano, si erano specializzati. E, alla fine, ne erano derivati una mezza dozzina di frammenti di tipi umani, dai guerrieri di Dorsai, ai filosofi dei Mondi Esotici, agli scienziati di Newton, Cassida e Venere, e così via…

L’isolamento aveva accentuato la specificità dei tipi, finché un crescente scambio di comunicazione fra i giovani Mondi, ormai consolidato, e un sempre maggiore livello tecnologico avevano forzato la specializzazione. Il commercio fra i Mondi era divenuto scambio di menti specializzate. Generali da Dorsai in cambio di psichiatri dai Mondi Esotici. Gli esperti in comunicazione, come me, arrivati da Vecchia Terra, avevano portato costruttori di astronavi da Cassida. E così via, almeno durante gli ultimi cento anni.

Ma ora la tendenza stava portando alla riunificazione. Gli interessi economici stavano ricomponendo la razza e ogni Mondo stava lottando per trarre tutti i vantaggi dalla ricomposizione, perdendo il meno possibile della propria peculiarità.

Il compromesso era necessario, ma per la rigida e bigotta religione degli Amici, il compromesso era peccato. Ciò li aveva resi ostili per molti e l’opinione pubblica degli altri Mondi si era già mossa contro di loro. Il discredito e il disprezzo pubblico non avrebbero più permesso loro di inviare i propri soldati come mercenari. Non avrebbero così più avuto la possibilità di assumere specialisti dagli altri Mondi e di acquistare ciò di cui necessitavano per tenere in vita i loro Mondi poveri di risorse naturali. Sarebbero morti.

Proprio come Dave, lentamente, nell’oscurità.

E nell’oscurità, in quel momento, mi ritornò ancora davanti. Era solo mezzogiorno quando ci avevano catturato, ma quando il Sergente arrivò con gli ordini era già il crepuscolo.

Dopo che se ne furono andati, lasciandomi solo, strisciai verso i corpi e trovai Dave; era ancora vivo.

Era ferito al corpo e non riuscivo a fermare l’emorragia.

Non sarebbe comunque servito, come mi dissero poi. Ma in quel momento mi sembrava l’unica cosa da fare e quindi tentai. Ma dovetti arrendermi quando ormai era buio. Lo tenni fra le mie braccia e mi accorsi che era morto solo quando divenne freddo. E in quel momento mi trasformai in colui che mio zio aveva sempre cercato di crescere : un uomo morto dentro. Dave e mia sorella erano la mia famiglia, la mia unica famiglia, sulla quale riporre le speranze. E, invece, non mi restava altro da fare che rimanere seduto lì, al buio, sostenendo Dave e sentendo il sangue uscire dal suo corpo, goccia a goccia, lentamente, sulle appassite e variegate foglie di quercia sotto di noi.

Ero lì, nel presidio degli Amici, incapace di dormire per i troppi ricordi. Dopo poco tempo, udii i soldati marciare e mettersi in formazione nella piazza per il rito di mezzanotte.

Rimasi disteso ad ascoltarli. I passi di marcia si arrestarono. La finestra della camera era in alto, sopra al letto, sulla parete alla quale la branda era appoggiata. Era senza vetri e l’aria e i rumori della notte potevano liberamente entrare insieme alla pallida luce delle lampade, che disegnava un rettangolo sulla parete opposta. Sempre disteso, fissavo il rettangolo e ascoltavo il rito, compresa la preghiera al valore a cui l’ufficiale incaricato aveva dato il via. Poi cantarono ancora il loro Inno di Battaglia, che ascoltai fino alla fine.

Soldato, non chiedere mai,
Dove la bandiera difenderai.
Se è il nemico a circondare,
Colpisci! E le vittime non contare.

Gloria, lode, soldi e onore
Sono giocattoli senza valore.
Servi, e non domandare.
L’uomo terra deve tornare.

Pena, dolore sconfinato
Sono le parti del creato.
Solo la morte in combattimento
Porta gioia e compiacimento.

Così il soldato consacrato
Dalle ferite sarà battezzato.
Siederà infine con gloria e onore,
unito, al fianco del suo Signore.

Quando ebbero finito di cantare, tornarono alle loro brande, molto simili alla mia.

Improvvisamente ascoltai il silenzio, interrotto solo dal gocciolare di una grondaia fuori dalla mia finestra; le gocce cadevano lentamente, una dopo l’altra, ma nessuno le contava.

IV

Dopo quel giorno, non piovve più. I campi a poco a poco si seccarono e sarebbero ben presto stati abbastanza saldi da sopportare il peso degli armamenti pesanti. Tutti sapevano che ciò avrebbe dato il via all’offensiva primaverile degli Esotici.

Nel frattempo, i due eserciti erano in costante addestramento.

Nelle due o tre settimane che seguirono, fui impegnato con il mio lavoro di reporter. Per lo più, si trattava di storie e aneddoti sui soldati o sulla popolazione locale. Mi ero impegnato a inviare dei pezzi e lo facevo regolarmente.

La validità di un corrispondente dipende da quella dei suoi contatti e io ne creai dappertutto, tranne che nelle truppe Amiche. Nonostante avessi parlato con molti di loro, mi avevano sempre tenuto a distanza e non avevano mai manifestato paura o dubbi.

Avevo sentito dire che i soldati Amici erano, per lo più, poco preparati, perché le tattiche suicide dei loro ufficiali rendevano necessarie sempre nuove sostituzioni. Ma quelli di S. Maria erano i superstiti di una Forza di Spedizione sei volte superiore; erano tutti veterani, anche se quasi tutti molto giovani. Solo raramente, tra i sottufficiali e, più facilmente, fra gli ufficiali, potevo scorgere il prototipo del personaggio che aveva ordinato l’uccisione dei prigionieri su Nuova Terra. Qui, simili uomini sembravano lupi grigi e fanatici in mezzo a un branco di giovani cani, educati e istruiti, appena usciti dall’infanzia.

Ero tentato di pensare che erano solo quelli coloro che mi ero prefisso di distruggere.

Per sfuggire a una simile tentazione, mi ripetevo che Alessandro il Grande aveva guidato la spedizione contro le tribù collinari e aveva governato a Pella, capitale della Macedonia, mandando a morte diversi uomini, quando aveva solo sedici anni. Ma i soldati Amici mi sembravano ugualmente troppo giovani. Non riuscivo a paragonarli ai mercenari adulti ed esperti delle forze di Kensie Graeme. Gli Esotici, infatti, per i loro principi, non avrebbero mai assoldato truppe o soldati che non avessero volontariamente scelto quella professione.

In tutto quel tempo, non avevo ricevuto segnali dal Fronte Azzurro, ma, nel giro di due settimane, mi ero creato dei contatti a Nuova San Marco e, all’inizio della terza, uno di questi mi disse che il negozio del gioielliere era stato chiuso, sbaraccando tutta la merce e trasferendosi, forse anche cessando l’attività. Era tutto ciò che volevo sapere.

Nei giorni successivi, rimasi vicino a Jamethon Black e, verso la fine della settimana, la mia costanza venne premiata.

Alle dieci di sera di venerdì, ero su una passerella sospesa fra il mio alloggio e il corridoio della sentinella sulle mura, e tenevo d’occhio tre civili, chiaramente del Fronte Azzurro, che erano appena arrivati in macchina e stavano entrando nell’ufficio di Jamethon.

Si fermarono poco più di un’ora. Quando uscirono, ritornai a letto e, quella notte, dormii profondamente.

L’indomani, mi alzai presto; c’era posta per me. Con la nave spaziale era arrivato un messaggio del direttore della rete giornalistica della Terra che si congratulava personalmente per i servizi che avevo inviato. Tre anni prima, questo avrebbe significato molto per me, ma ora mi preoccupavo soltanto che non decidessero di inviare altre persone in mio aiuto, per far fronte a una situazione molto promettente dal punto di vista giornalistico. Non potevo rischiare di avere al fianco colleghi che potevano scoprire ciò che stavo facendo.

Salii in macchina e mi diressi a est, verso Nuova San Marco e il Quartier Generale Esotico. Le truppe Amiche erano già fuori a esercitarsi, a diciotto chilometri a est di S. Giuseppe, e venni fermato da una squadra di cinque giovani soldati semplici, senza un graduato a capo. Mi riconobbero.

— In nome di Dio, Signor Olyn — disse il primo che arrivò alla macchina, piegandosi per poter parlare dal finestrino aperto. — Non può passare.

— Le dispiace dirmi perché?

Si voltò e indicò una valletta fra due colline boscose sulla sinistra.

— C’è in corso una perlustrazione tattica.

Osservai meglio e vidi che la piccola valle era un prato largo circa cinquanta metri e chiuso fra due scarpate di bosco. Girava, allontanandosi dalla strada, curvando verso destra.

Ai piedi delle scarpate, dove iniziava il prato, vi erano cespugli di lillà in fioritura avanzata. Il prato aveva il verde tenero dell’erbetta di prima estate che si fondeva con il bianco e il violetto dei lillà e con le giovani e variegate foglie delle querce dietro ai cespugli, dove creava un profilo irregolare.

In mezzo a questo quadro, nel centro del prato, si muovevano figure nere che armeggiavano con sistemi di calcolo e misurazione per elaborare le possibilità di morte da ogni angolo. E proprio nel punto centrale avevano posto, per una qualche ragione, tre paletti in fila, più due ai lati di quello centrale; più in là ce n’era un altro, a terra, come se fosse caduto e se ne fossero dimenticati.

Rivolsi di nuovo lo sguardo al giovane soldato.

— Vi preparate a sconfiggere gli Esotici? — chiesi.

La prese come una domanda diretta e non intuì l’ironia nella mia voce.

— Certo, signore — disse serissimo. Osservai meglio il viso tirato e gli occhi chiari di tutti loro.

— Mai pensato che potreste anche perdere?

— No, Signor Olyn. — Scosse decisamente il capo. — Nessuno può perdere se combatte per il Signore. — Capì che non ero convinto e proseguì senza cedimenti. — Dio ha posto la mano sui Suoi soldati che possono solo vincere… o morire. E che cos’è la morte?

Si rivolse ai suoi compagni che annuirono e gli fecero eco.

— Che cos’è la morte?

Rimasero lì, mentre li osservavo, quasi chiedendo a me e a se stessi che cosa fosse la morte, se stessero parlando di qualcosa di molto duro, ma necessario.

Avevo una risposta per loro, ma non mi sentii di riferirla. La morte, per me, era un Sergente, uno della loro stessa razza, che dava l’ordine a soldati come loro di uccidere dei prigionieri. Quella era la morte.

— Chiamate un ufficiale — dissi. — Il mio permesso è valido anche in questa zona.

— Mi dispiace, signore — disse lo stesso soldato. — Non possiamo abbandonare la posizione per nessuna ragione. Ne verrà uno molto presto.

Ero un po’ preoccupato sul significato di quel “presto”, e con motivo. Era già mezzogiorno avanzato quando finalmente arrivò un ufficiale per autorizzarli ad andare a mangiare e lasciarmi passare.

Arrivai al Quartier Generale di Kensie Graeme solo verso sera, quando il sole formava strani disegni sul selciato con le ombre degli alberi. Sembrava, però, che il campo si stesse svegliando in quel momento e non era necessario essere esperti per capire che si stavano finalmente muovendo per andare a fronteggiare Jamethon.

Trovai Janol Marat, il Colonnello di Nuova Terra.

— Devo vedere il Generale Graeme — dissi.

Scosse il capo, anche se ci conoscevamo ormai bene.

— Non ora, Tam. Mi dispiace.

— Janol — insistetti — non è per un’intervista. È una questione di vita o di morte, devo assolutamente vederlo.

Ci fissammo entrambi.

— Aspetta qui — disse. Eravamo all’interno dell’ufficio centrale. Uscì e rientrò dopo circa cinque minuti. Io ero rimasto in piedi ad ascoltare il ticchettio dell’orologio sulla parete.

— Vieni con me — disse.

Mi condusse fuori, lungo il perimetro circolare dell’edificio, fino a una piccola struttura seminascosta tra gli alberi. Entrando, mi resi conto che erano gli alloggi personali di Kensie. Attraversammo un piccolo salotto fino alla camera da letto dove, su un lato, c’era la porta del bagno. Kensie ne uscì e capii che aveva appena fatto la doccia e stava per indossare l’uniforme da battaglia. Mi guardò stupito, poi rivolse lo stesso sguardo a Janol.

— D’accordo, Colonnello — disse — ora può tornare alle sue mansioni.

— Signore — disse Janol, senza guardarmi.

Salutò e uscì.

— Molto bene, Tam — disse Kensie, infilandosi i pantaloni. — Che cosa succede?

— So che siete pronti a muovervi — dissi.

Mi guardò in modo un po’ divertito, mentre si allacciava la cintura dei pantaloni. Non aveva ancora infilato la camicia e, nella luce fioca della stanza, sembrava un gigante, una forza della natura. Il corpo era abbronzato, del colore del legno scuro, e i muscoli fasciavano il torace e le spalle. Lo stomaco era piatto e si scorgeva il movimento dei tendini quando muoveva le braccia. Ancora una volta, percepii la sua natura Dorsai, che non si fermava alla statura e alla forza fisica. Non era neanche il fatto che era stato allevato, fin dalla nascita, per essere un combattente. No, era qualcosa di vivo, ma inafferrabile, la stessa qualità che formava tutte le personalità pure nella loro peculiarità, come in Padma per gli Esotici, o in qualche ricercatore di Newton o Cassida. Qualcosa così al di sopra, o al di là, della forma umana comune, che poteva sembrare una specie di serenità, un senso di convinzione che il proprio tipo fosse così completo da rendere una persona intoccabile, inattaccabile, priva di debolezze.

Vidi, nella mia mente, la sottile e scura figura di Jamethon Black, opposta all’uomo che mi stava di fronte; e capii che una qualsiasi vittoria di Jamethon era impensabile, impossibile.

Ma il pericolo restava.

— Ecco perché sono qua — dissi a Kensie. — Ho sorpreso Black che prendeva accordi con il Fronte Azzurro, un gruppo terroristico locale, di natura politica, il cui Quartier Generale si trova a Blauvain. Ne ho visti tre, ieri sera, far visita a Black.

Kensie prese la camicia e infilò una manica.

— Lo so — disse. Rimasi sorpreso.

— Ma non capisce — replicai. — Sono assassini, è il loro mestiere. E l’uomo che loro e Jamethon Black hanno interesse a eliminare è lei.

S’infilò l’altra manica.

— Lo so — disse. — Vogliono rovesciare l’attuale governo di S. Maria e prendere il potere, cosa che è impossibile finché gli Esotici ci pagheranno per rimanere qui a mantenere la pace.

— Non hanno mai avuto l’aiuto di Jamethon Black, prima.

— E ce l’hanno adesso? — chiese, allacciandosi la camicia.

— Gli Amici sono disperati — dissi. — Anche se i rinforzi arrivassero domani, Jamethon sa quali probabilità ha. L’assassinio è illegale per le Convenzioni di Guerra e il Codice dei Mercenari, ma entrambi conosciamo gli Amici.

Kensie mi guardò in modo strano e prese la giacca.

— Ne è sicuro? — disse.

Incontrai il suo sguardo. — Non è forse vero?

— Tam. — Si mise la giacca e l’abbottonò. — Conosco gli uomini che devo affrontare, fa parte del mio lavoro. Ma che cosa fa pensare a lei di conoscerli?

— Sono anche il mio lavoro — dissi. — Forse si è dimenticato che sono un reporter. Il primo oggetto del mio lavoro sono le persone.

— Ma non ha frequentato molto gli Amici.

— Avrei dovuto? — chiesi. — Sono stato in tutti i Mondi e ho conosciuto tutti i tipi. L’imprenditore di Ceta vuole il suo guadagno, ma è un essere umano. Su Newton e Cassida hanno tutti la testa fra le nuvole, ma, se li scuoti per bene, tornano alla realtà. Ho conosciuto gli Esotici come Padma, con i loro trucchi mentali e quelli di Freiland, immersi nella burocrazia. Ho incontrato gente del mio Mondo, Vecchia Terra, e di Coby, Venere e anche Dorsai, come lei. E posso dirle che hanno tutti una cosa in comune: sotto alle loro tipologie, sono tutti umani. Non ce n’è uno che non lo sia, si sono solo specializzati in modo molto apprezzabile.

— E gli Amici non l’hanno fatto?

— Fanatismo — dissi. — È apprezzabile? Al contrario, direi. Che cosa c’è di buono, o anche solo tollerabile, nella fede cieca, sorda, muta e irragionevole che non permette all’uomo di pensare con la propria testa?

— Come sa che non pensano? — mi chiese Kensie. Ora era in piedi davanti a me.

— Forse qualcuno lo fa — dissi. — Forse i giovani, prima che il veleno faccia effetto. Ma a che cosa serve, se la loro cultura continua a esistere?

Il silenzio cadde fra noi.

— Che cosa vuole dire? — disse Kensie.

— Ecco, lei vuole gli assassini — dissi. — Non vuole le truppe degli Amici. Dimostri che Jamethon Black ha rotto i Patti delle Convenzioni di Guerra accordandosi con loro per ucciderla: potrà vincere per gli Esotici senza sprecare un colpo.

— E come potrei fare?

— Mi usi — dissi. — Ho un canale di contatto con il gruppo politico che rappresenta gli assassini. Mi lasci andare da loro in qualità di suo rappresentante a fare una controfferta. Potrebbe offrire loro un riconoscimento da parte dell’attuale governo. Padma e le altre autorità la appoggerebbero, se dimostrasse di poter liberare il pianeta dagli Amici così facilmente.

Mi guardava senza espressione.

— E che cosa dovrei comprare con questa promessa? — chiese.

— La testimonianza giurata che gli Amici li hanno ingaggiati per assassinarla. Possiamo trovare tanti testimoni quanti ne vogliamo.

— Nessun Tribunale di Inchiesta Interplanetario crederebbe a simili individui — disse Kensie.

— Certo — dissi, senza riuscire a trattenere un sorriso. — Ma crederebbero a me, un rappresentante della rete giornalistica, che posso avallare ogni loro affermazione.

Ancora silenzio e ancora un volto inespressivo.

— Capisco — disse.

Mi passò a fianco per entrare nel salotto. Lo seguii e vidi che sollevava l’interfono, metteva un dito su un pulsante e parlava in uno schermo grigio, senza immagini.

— Janol — disse.

Si allontanò dallo schermo, attraversò la stanza fino all’armadietto delle armi e iniziò a bardarsi. Si muoveva con precisione, senza guardarmi né parlarmi. Dopo alcuni, lunghi minuti, la porta si aprì ed entrò Janol.

— Signore? — disse l’ufficiale.

— Il Signor Olyn rimane qui fino a nuovo ordine.

— Sì, signore — disse Janol.

Graeme uscì.

Rimasi lì, inebetito, a fissare la porta da cui era uscito. Non potevo credere che avrebbe violato le Convenzioni fino al punto non solo di ignorarmi, ma di mettermi praticamente agli arresti per impedirmi di andare oltre.

Mi rivolsi a Janol che stava osservandomi con un’espressione di compassione.

— C’è il Governatore Aggiunto, al campo? — chiesi.

— No. — Si avvicinò. — È tornato all’Ambasciata Esotica a Blauvain. Fai il bravo adesso e siediti. Potremmo anche passare piacevolmente le prossime ore.

Eravamo uno di fronte all’altro; lo colpii allo stomaco.

Avevo fatto un po’ di boxe all’università. Lo dico non per far credere che io possegga dei forti muscoli, ma per spiegare che sapevo dove colpire con sicurezza e di dover evitare la mascella. Graeme poteva probabilmente trovare il punto esatto per stendere una persona senza pensarci, ma io non ero un Dorsai. L’area sotto alla cassa toracica è relativamente larga, morbida, facile da colpire e adatta a un dilettante. E ne sapevo abbastanza per colpire bene.

Ecco perché Janol non perse i sensi. Cadde sul pavimento e vi rimase per qualche istante, stupito. Non si rialzò subito e io ebbi il tempo di girarmi e uscire velocemente dall’edificio.

Le attività fervevano nel campo e nessuno mi fermò. Risalii in auto e, cinque minuti dopo, ero libero, nelle strade buie verso Blauvain.

V

Da Nuova San Marco a Blauvain, dove si trovava l’Ambasciata di Padma, c’erano millequattrocento chilometri. Potevo farcela in sei ore, ma, a causa di un ponte abbattuto, ce ne misi quattordici.

Erano da poco passate le otto del mattino quando irruppi nel parcheggio e, poi, nell’edificio dell’Ambasciata.

— C’è ancora Padma? — chiesi.

— Sì, Signor Olyn — rispose la ragazza alla reception. — La sta aspettando.

Sorrideva e indossava una veste rossa, ma non ci feci molto caso. La mia mente era occupata dalla soddisfazione per il fatto che Padma non aveva ancora raggiunto le zone calde del conflitto.

Mi portò di sotto, girammo un angolo e mi lasciò con un giovane uomo degli Esotici, che si presentò come uno dei segretari di Padma. Mi scortò per un breve tragitto e mi diede in consegna a un altro segretario, un uomo di mezza età, che mi fece attraversare diverse stanze e poi mi indirizzò lungo un corridoio al termine del quale, dietro a un angolo, mi disse che c’era l’ufficio dove Padma stava lavorando. Si congedò.

Seguii le indicazioni, ma la porta non dava in una stanza, ma in un altro breve corridoio. Improvvisamente mi fermai, immobile come un morto, perché avevo visto un uomo, Kensie Graeme, che veniva verso di me e, questo è quello che pensai, voleva uccidermi.

Ma l’uomo che sembrava Kensie si limitò a guardarmi, ignorandomi. Allora mi resi conto.

Naturalmente, non si trattava di Kensie, ma del suo gemello, Ian, Comandante di Guarnigione delle Forze Esotiche a Blauvain. Veniva a grandi passi verso di me e anch’io ripresi a camminare, andandogli incontro, ma lo spavento non se ne andò finché non ci superammo.

Penso che chiunque, nella mia posizione, avrebbe provato la stessa cosa, incontrandolo in quel luogo. Janol mi aveva ripetutamente detto che Ian era l’opposto di Kensie, non dal punto di vista militare, visto che entrambi erano due perfetti esemplari di ufficiali Dorsai, ma da quello umano e individuale.

Kensie mi aveva subito colpito profondamente per la sua natura allegra e il suo calore, che spesso oscuravano il fatto di essere un Dorsai. Quando non subiva la pressione dei problemi militari, sembrava risplendere; ci si poteva scaldare alla sua presenza, proprio come al sole. Ian, il suo duplicato fisico, che stava avanzando verso di me come un Odino a due occhi, era la zona d’ombra.

In lui potevo veramente scorgere la leggenda Dorsai fatta uomo, il duro guerriero con il cuore di pietra e un’anima scura e solitaria. Dentro alla fortezza che era il suo corpo, l’essenza di Ian viveva isolata come un eremita in una montagna. Era il fiero e solitario uomo delle Montagne tornato alla vita, degno discendente dei suoi antenati.

Non la legge, né l’etica erano le forze che dominavano Ian, ma la fede nella parola data, la lealtà verso il clan e il legame di sangue. Era un uomo che avrebbe affrontato il diavolo per tenere fede a un impegno, di qualsiasi genere fosse; e nel momento in cui lo vidi venire verso di me, e lo riconobbi, ringraziai tutte le possibili divinità di non avere pendenze con lui.

E così passò e scomparve dietro l’angolo.

Avevo anche sentito dire che Ian si rischiarava solo in presenza di Kensie, che era veramente la sua metà, e che, se non avesse più potuto avere la luce che Kensie emanava su di lui, sarebbe stato condannato per sempre all’oscurità.

Non lo sapevo ancora, ma quel pensiero mi sarebbe tornato alla mente più avanti, insieme all’immagine di Ian in quel corridoio.

Ma in quel momento lo dimenticai subito, mentre entravo in una specie di piccola serra dove vidi il volto gentile e i corti capelli bianchi di Padma, il Governatore Aggiunto, seduto in una veste giallo pallida.

— Entri, Signor Olyn — disse, alzandosi. — E venga con me.

Si voltò e passò sotto un arco di clematidi purpuree in fiore. Lo seguii e mi ritrovai in un cortiletto interamente occupato dalla forma ellittica di un aeromobile civile. Padma era già salito al posto di guida e teneva aperta la porta per me.

— Dove stiamo andando? — chiesi mentre salivo.

Toccò il pannello del pilota automatico e il velivolo si sollevò. Padma lasciò i comandi e ruotò il sedile per guardarmi di fronte.

— Al Quartier Generale del Generale Graeme — rispose.

I suoi occhi erano di un color nocciola pallido, ma sembravano catturare e incorporare la luce del sole che filtrava dal tettuccio trasparente del velivolo. Eravamo ormai in quota e ci stavamo muovendo in orizzontale; non riuscivo a leggere nei suoi occhi, non percepivo alcuna espressione del volto.

— Capisco — dissi. — Naturalmente, dovevo immaginare che una chiamata dal Quartier Generale ci avrebbe messo molto meno tempo di un viaggio in macchina. Ma spero che lei non pensi che io sia stato rapito o peggio. Io ho le Credenziali di Imparzialità che mi proteggono, come reporter, nonché l’autorizzazione dei Mondi Esotici e Amici, e non intendo essere ritenuto responsabile di qualsiasi conclusione Graeme abbia tratto dalla nostra ultima conversazione, chiaro!

Padma non si muoveva, aveva le mani incrociate e sembrava pallido sulla veste gialla; ma forti nervi trasparivano sotto la pelle.

— Lei viene con me perché l’ho deciso io, non Kensie Graeme.

— Voglio sapere perché — dissi, fermamente.

— Perché — mi rispose lentamente — lei è molto pericoloso. — Rimase seduto immobile, fissandomi con occhi sicuri.

Aspettai che continuasse, ma non lo fece. — Pericoloso? — dissi. — Per chi?

— Per il futuro di noi tutti.

Rimasi colpito e iniziai a ridere. Ero furioso.

— Andiamo… — dissi.

Scosse la testa, lentamente, senza mai distogliere lo sguardo. Quegli occhi mi disorientavano, innocenti e aperti come quelli di un bambino, ma imperscrutabili, se si voleva raggiungere l’uomo all’interno.

— D’accordo — dissi. — Mi dica perché io sarei pericoloso.

— Perché lei vuole distruggere un popolo e sa come farlo.

Ci fu un breve silenzio, anche perché l’aeromobile fluttuava nell’aria senza alcun rumore.

— È una strana idea — dissi, lentamente, controllandomi. — Mi chiedo come le sia venuta in mente.

— Dai miei calcoli ontogenetici — disse Padma, altrettanto calcolato. — E non si tratta di un’idea senza fondamento, Tam, come lei ben sa.

— O certo — dissi. — L’ontogentica. Stavo per occuparmene.

— E lo ha fatto, non è vero, Tam?

— Davvero? — risposi. — Probabilmente sì, ma non ho comunque capito molto. È qualcosa sull’evoluzione.

— L’ontogenetica — disse Padma — è lo studio dell’effetto dell’evoluzione sulle forze interagenti della società umana.

— E io sono una di queste forze?

— In questo momento e per molti anni passati, sì — disse Padma. — E forse anche per qualche anno futuro. O forse no.

— Sembra una minaccia.

— In un certo senso lo è. — Gli occhi di Padma catturarono la luce mentre li guardavo. — Lei può distruggere se stesso e gli altri.

— Mi odierei se lo facessi.

— Allora — disse Padma — farà bene ad ascoltarmi.

— Certamente — replicai. — È il mio mestiere ascoltare. Mi dica tutto sull’ontogenetica e su me stesso.

Ricalibrò alcuni comandi e si voltò di nuovo verso di me.

— La razza umana — disse — ha subito una forte evoluzione nel momento storico in cui la colonizzazione interstellare divenne una realtà. — Mi scrutava e io mi mostrai attento. — Questo accadde per ragioni derivanti dall’istinto di razza, che non abbiamo ancora completamente compreso, ma che ha essenzialmente una natura autoprotettiva.

Frugai nella tasca della giacca.

— Forse è meglio se prendo qualche appunto — dissi.

— Se preferisce — disse Padma, senza scomporsi. — Da quella evoluzione sono derivate culture individuali, ognuna delle quali ha approfondito un singolo aspetto della personalità umana. L’aspetto combattivo e guerriero trovò radici nei Dorsai. L’aspetto che sottomette completamente l’individuo a una fede qualsiasi le trovò negli Amici. L’aspetto filosofico fu alla base della cultura degli Esotici, a cui appartengo. Le chiamiamo Culture Frammentate.

— Certo — dissi. — Conosco questo concetto.

— Lei sa che esiste, Tam, ma non lo conosce.

— No?

— No — disse Padma — perché lei, come i nostri antenati, viene dalla Terra. Lei è ancora un vecchio tipo di uomo, in cui nessun aspetto ha prevalso, diciamo non frammentato. I popoli frammentati sono più avanti nell’evoluzione rispetto a lei.

Percepii un piccolo nodo di rabbia amara dentro di me.

— Mi dispiace, ma non me ne sono accorto.

— Perché non vuole farlo — disse Padma. — Se lo facesse, dovrebbe ammettere che questi popoli sono diversi da lei e devono essere giudicati con criteri diversi.

— Diversi in che senso?

— Diversi nel senso che ogni persona frammentata, me compreso, capisce in modo istintivo, mentre un uomo come lei deve razionalizzare per immaginare. — Padma si spostò leggermente. — Può comprendere meglio con un esempio, Tam. Se lei, in quanto rappresentante di un Mondo non frammentato, avesse una forte inclinazione verso qualcosa che mettesse in luce un unico aspetto della personalità, cercherebbe di portare le sue forze fisiche e mentali al di là di questo aspetto che, ignorato, si atrofizzerebbe.

Lo interruppi: — Perché proprio io?

— Lei come chiunque altro di Vecchia Terra — disse calmo. — La differenza è proprio questa. Un membro delle Culture Frammentate non lascerebbe mai atrofizzare questa inclinazione, ma modificherebbe le forze fisiche e mentali per sostenerla. Il risultato è che, al posto di una nevrosi, abbiamo una sana differenza.

— Sana? — dissi, e l’immagine del sottufficiale degli Amici su Nuova Terra si presentò ancora ai miei occhi.

— Sana perché fa parte di un’intera Cultura. Non un povero singolo individuo diverso, ma tutta una Cultura.

— Mi dispiace — dissi — ma non ci credo.

— Invece sì, Tam — disse piano Padma. — Inconsciamente ci crede, perché fa conto di approfittare della debolezza di essere una Cultura per distruggerne una.

— Di quale debolezza sta parlando?

— L’ovvia debolezza che è il risvolto di ogni sforzo — disse Padma. — Le Culture Frammentate non sono destinate a sopravvivere.

— Significa che non possono vivere da sole?

— Naturalmente — disse Padma. — Davanti all’espansione nello spazio, la razza umana ha reagito alla sfida di un ambiente diverso cercando di adattarsi. E lo ha fatto separando i vari elementi della sua personalità per vedere quale poteva sopravvivere di più. Ora che tutti gli elementi, cioè le Culture Frammentate, sono sopravvissuti e si sono adattati, è tempo di formare una nuova razza, di produrre un’umanità più forte e orientata verso l’universo.

Iniziammo la discesa, perché eravamo nei pressi della nostra destinazione.

— E io come sono coinvolto? — dissi, infine.

— Se lei crea una frustrazione in una delle Culture Frammentate, questa non si adatterà, come farebbe lei, ma morirà. E quando la razza si rifonderà, mancherà quel prezioso aspetto.

— Forse non sarà una gran perdita — sibilai, a mia volta.

— Al contrario, sarà un perdita vitale — disse Padma. — E posso dimostrarglielo. Lei, in quanto uomo non frammentato, si potrebbe perfino identificare con coloro che vuole distruggere. Ho la prova di questo, se vuole guardarla.

L’aeromobile toccò terra, il portello si aprì e uscii, con Padma. Kensie era là che mi aspettava.

Guardai Padma, una spanna sotto di me, e quindi Kensie, una spanna sopra e lui, di rimando, mi lanciò un’occhiata inespressiva dell’alto. I suoi occhi non erano come quelli del suo gemello, ma, in quel momento, non so perché, non riuscivo a incontrarli.

— Sono un reporter — dissi. — Ho la mente aperta.

Padma si voltò e iniziò a camminare verso il Quartier Generale. Kensie venne con noi e mi sembrò che Janol o qualcun altro ci seguisse, ma non mi voltai per accertarmene. Andammo nell’ufficio del primo incontro con Graeme, solo noi tre. C’era una cartelletta sulla scrivania e Padma la prese, estrasse una fotocopia di qualcosa e me la passò.

La presi. Senza dubbio era autentica.

Era un memo da parte del Supremo Lume, il più anziano del governo congiunto di Armonia e Cooperazione, indirizzato al Generale di Stato Maggiore al Centro Difesa X su Armonia. Aveva la data di due mesi prima. Era su carta a molecola singola, dove non si può cancellare o alterare quanto vi è scritto.

Nel Nome di Dio, rendiamo noto che, poiché sembra che la Volontà di Dio non voglia il successo dei nostri Fratelli su S. Maria, ordiniamo che, d’ora in poi, non vengano più inviati rinforzi, sostituzioni o rifornimenti. Se il nostro Capitano vuole la nostra vittoria, la otterremo senza ulteriore dispendio. Se invece è Sua Volontà che la conquista non avvenga, sarebbe ingiusto gettare via la sostanza delle Chiese di Dio nel tentativo di frustrare tale Volontà.

Si ordina anche che ai nostri Fratelli su S. Maria non sia fatta menzione di tale decisione, così che possano essere testimoni di Dio in battaglia come sempre e le Chiese di Dio non siamo disonorate.

Tutto questo è comandato, nel Nome di Dio e per volontà di colui che è chiamato:

Supremo Lume, il più Anziano tra i Prescelti.

Alzai gli occhi. Graeme e Padma mi stavano guardando.

— Come ne siete venuti in possesso? — chiesi. — No, naturalmente non me lo direte. — Le mani iniziarono a sudarmi, di colpo, e il materiale liscio del foglio divenne scivoloso nelle mie dita. Lo tenni più stretto e parlai in fretta, per costringerli a guardarmi. — Ma che cosa significa? Lo sapevamo già. Tutti sapevano che erano stati abbandonati. Questa è solo la prova ufficiale; perché mostrarmela?

— Pensavo — disse Padma — che l’avrebbe colpita, forse quel tanto da farle vedere le cose sotto una nuova ottica.

— Non ho detto che era impossibile; ho detto che un reporter ha la mente aperta. Naturalmente — soppesai le parole — dovrei studiare la faccenda.

— Speravo che avrebbe tenuto il documento — disse Padma.

— Lo sperava?

— Se lo legge a fondo e capisce che cosa il Supremo vuole dire realmente, potrebbe avere una diversa opinione degli Amici, capirli di più.

— Non credo — dissi — tuttavia…

— Lasci che le chieda di provarci — disse Padma. — Prenda il memo.

Restai immobile per un istante. Padma era di fronte a me e Kensie subito dietro. Rabbrividii, ma misi il documento in tasca.

— Bene — dissi. — Lo porto nei mei alloggi e lo studio. Ho la macchina qui, se non sbaglio? — mi rivolsi a Kensie.

— A dieci chilometri da qui — disse. — Ma non potrebbe comunque raggiungerla. Ci stiamo muovendo per la battaglia e gli Amici ci stanno venendo incontro.

— Prenda il mio aeromobile — disse Padma. — La bandiera dell’Ambasciata le sarà d’aiuto.

— Grazie — dissi.

Uscimmo insieme. Incontrai Janol, che mi guardò freddamente. Non potevo biasimarlo. Arrivammo al velivolo e vi salii.

— Prenda tutto il tempo di cui ha bisogno prima di restituire l’aeromobile — disse Padma, mentre salivo. — È un prestito che le fa l’Ambasciata, Tam. Io non mi preoccuperò.

— No — risposi. — Non deve farlo.

Chiusi il portello e azionai i controlli.

Era un piccolo gioiello. Salii nell’aria leggero come un pensiero e, in un secondo, ero a mille metri d’altezza, già lontano. Prima di toccare il memo nella mia tasca, mi costrinsi a calmarmi.

Lo guardai con la mano che mi tremava un poco.

Eccolo finalmente, ciò che cercavo fin dall’inizio. Ed era stato lo stesso Padma a insistere perché lo prendessi.

Era la molla, la leva di Archimede che avrebbe smosso non uno, ma quattordici Mondi e portato il popolo degli Amici al di là del limite dell’estinzione.

VI

Mi aspettavano. Si radunarono intorno all’aeromobile dopo l’atterraggio nella piazza del loro presidio. Avevano tutti un fucile pronto a sparare.

Erano in quattro, apparentemente gli unici rimasti. Black doveva aver mandato tutti gli uomini che poteva in prima linea, nel tentativo di formare un battaglione. Questi li conoscevo tutti, veterani incalliti. Uno era il Caporale che era nell’ufficio la prima notte, quando, tornando dal campo degli Esotici, avevo posto a Black quella domanda, se avesse potuto ordinare di uccidere dei prigionieri. Un altro era un Tenente di quarant’anni, il grado di ufficiale più basso, ma con mansioni di Maggiore, come Black che, con il suo grado di Colonnello, occupava invece una posizione da Generale, paragonabile a quella di Kensie Graeme. Gli altri due erano soldati semplici. Li conoscevo tutti. Ultrafanatici. E loro conoscevano me.

Ci capimmo subito.

— Devo vedere il Colonnello — dissi, scendendo, senza dar loro il tempo di interrogarmi.

— Per quale motivo? — chiese il Tenente. — Questo velivolo non ha potere qui, e lei neppure.

Ripetei: — Devo vedere il Colonnello Black immediatamente. Non sarei qui con la bandiera dell’Ambasciata Esotica, se non fosse vitale.

Non poterono obiettare a una simile frase e io lo sapevo. Discussero un po’, ma io insistetti e, infine, il Tenente mi scortò nel solito ufficio, dove avevo sempre atteso.

Lo incontrai da solo, nell’ufficio.

Jamethon Black si stava bardando, come aveva fatto Graeme poco tempo prima. Su Graeme le armi sembravano quasi giocattoli; sulla fragile struttura di Jamethon sembravano troppo pesanti.

— Signor Olyn — disse.

Avanzai verso di lui ed estrassi il memo nella tasca. Si voltò per guardarmi, mentre allacciava le fibbie delle cinture, e, nel movimento, fece un rumore di ferraglia.

— Sta per andare in campo contro gli Esotici? — dissi.

Annuì. Non gli ero mai stato così vicino e, al posto della solita rigida espressione che avevo sempre creduto di vedere da più lontano, scorsi la piega amara di un sorriso che arcuava la sua dritta bocca giovane, anche se per un solo secondo.

— È il mio dovere, Signor Olyn.

— Quale dovere — dissi — se i vostri superiori su Armonia vi hanno già cancellato dai loro libri.

— Le ho già detto — disse calmo — che i Prescelti da Dio non si tradiscono uno con l’altro.

— Ne è sicuro? — dissi.

Vidi ancora il fantasma di quel sorriso.

— È un argomento, Signor Olyn, del quale ne so più di lei.

Lo guardai negli occhi. Era esausto, ma calmo. Spostai lo sguardo sulla solidografia sopra la scrivania, con la chiesa e le tre persone.

— La sua famiglia? — chiesi.

— Sì — disse.

— Mi sembra che dovrebbe pensare a loro in questo momento.

— Ci penso molto spesso.

— Ma adesso uscirà e si farà uccidere comunque.

— Comunque — disse.

— Ne è sicuro? — aggiunsi. — Lo farà? — Stavo recuperando calma e controllo di me stesso. Ma era come se si fosse finalmente aperto il coperchio di tutto ciò che c’era dentro di me dalla morte di Dave. Iniziai a tremare. — Perché questo è il vostro genere di ipocrisia, di tutti voi. Siete dei bugiardi, resi corrotti dalle vostre stesse menzogne; se vi fossero tolte, non rimarrebbe più niente di voi. È questa la verità. Perciò lei adesso preferisce morire piuttosto di ammettere che un tale suicidio non è l’azione più gloriosa dell’universo. Preferisce morire per non ammettere di essere pieno di dubbi come tutti gli altri, di avere le stesse paure.

Mi avvicinai di colpo, ma non si mosse.

— Chi crede d’ingannare? — proseguii. — Chi? Vedo in lei come chiunque altro in tutti i Mondi può fare! So che voi sapete che le vostre Chiese Unite sono un’idiozia. So che voi sapete che il tipo di vita che le vostre canzoni inneggiano non è quello che pretende di essere. So che il Supremo Lume e la sua banda di vecchi rimbambiti sono un branco di tiranni assetati di potere a cui non importa niente della religione e di altro, ma solo di ciò che vogliono. So che lo sapete e lei deve ammetterlo.

E gli sventolai il memo sotto il naso.

— Lo legga.

Lo prese, mentre mi ritraevo tremando e osservandolo.

Lo studiò per alcuni istanti, mentre trattenevo il fiato. Non cambiò espressione e lo ridiede.

— Vuole un passaggio fino da Graeme? — dissi. — Possiamo superare le linee sull’aeromobile dell’Ambasciata. Può arrendersi prima di iniziare i combattimenti.

Scosse il capo. Mi guardava in modo strano, con un’espressione che non riuscivo a decifrare.

— Che cosa significa no?

— È meglio che lei stia qua — disse. — Anche con le insegne dell’Ambasciata, può essere pericoloso. — E si voltò, come per allontanarsi.

— Dove sta andando? — gridai, sbarrandogli la strada e sventolandogli il memo sotto al naso. — È autentico, non può ignorarlo!

Si fermò e mi guardò. Poi si scostò e mi prese il polso, spostandomi il braccio e la mano che teneva il memo. Aveva dita sottili, ma molto più forti di quanto pensassi, e così lasciai cadere il braccio anche se non volevo.

— Lo so che è autentico. L’avverto di non interferire più con me, Signor Olyn; devo andare. — Mi superò e uscì.

— Lei è un bugiardo — urlai, ma non si fermò. Dovevo fermarlo e, così, presi la solidografia e la ruppi sul pavimento.

Si voltò di scatto, come un gatto, e guardò i cocci.

— Ecco ciò che sta facendo — urlai, indicandoli.

Tornò indietro e, senza una parola, si inginocchiò e raccolse i pezzi, uno per uno, mettendoli in tasca. Poi si alzò e mi guardò con due occhi che mi tolsero il fiato.

— Se il mio dovere — disse con voce bassa, controllata — non fosse in questo momento di…

La voce si arrestò. Mi fissò ancora e, poco alla volta, vidi che l’espressione di odio nei suoi occhi si trasformava in una specie di stupore.

— Lei — disse piano — lei non ha fede.

Avevo aperto la bocca per parlare, ma ciò che disse mi bloccò. Rimasi fermo, come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello stomaco e mi avesse lasciato senza fiato. Quel qualcuno mi stava ancora fissando.

— Che cosa le ha fatto pensare — disse — che quel memo avrebbe cambiato le mie decisioni?

— L’ha letto, no? — replicai. — Il Supremo dice che la vostra campagna è ormai considerata un fallimento, che non sarete più aiutati, ma che tutto ciò vi deve essere taciuto, altrimenti potreste farvi prendere dal panico e arrendervi.

— È così che lei ha interpretato le parole sul foglio? — disse. — In questo modo?

— E come dovevo leggerlo? In qualche altro modo?

— In modo da capire quello che dice realmente. — Era proprio davanti a me e non staccava gli occhi dai miei. — Lei lo ha letto senza fede, ha ignorato il Nome e la Volontà di Dio. Il Supremo Lume non ha scritto che ci abbandonava, ma che, essendo la nostra causa ormai consumata, ci metteva nelle mani del nostro Capitano e Dio. E ha aggiunto che non ne dovevamo essere informati perché nessuno di noi cercasse un vano martirio. Guardi, Signor Olyn, è tutto qui, nero su bianco.

— Ma non è questo il significato! Non è questo il significato!

Scosse la testa. — Signor Olyn, non posso lasciarla in queste condizioni, così deluso. Lo fissai incredulo. Provava compassione per me.

— È la sua stessa cecità a deluderla — disse. — Lei non vede e crede che nessuno possa. Il nostro Dio non è solo un nome, è tutto ciò che ci circonda. Ecco perché non abbiamo arredi o decorazioni nelle nostre chiese e disdegnamo qualsiasi schermo dipinto fra noi e il nostro Dio. Mi ascolti, Signor Olyn, la chiesa stessa è il tabernacolo della terra. I nostri Anziani Guida, anche se Prescelti e Consacrati, sono sempre uomini, non sono loro il nostro riferimento per la fede, ma solo la voce diretta di Dio in noi.

Fece una pausa. Non so perché, ma non riuscivo a parlare.

— Supponga che sia come lei dice — continuò, sempre più gentile. — Supponga che tutto ciò che lei dice sia un fatto e che i nostri Anziani siano solo dei biechi tiranni che ci hanno abbandonato qui per egoistici scopi personali, dettati da falsità e superbia. — Jamethon alzò la voce. — Lasci che mi riferisca solo a me stesso. Supponga che lei possa provarmi che i nostri Anziani hanno mentito, che la nostra stessa Alleanza è falsa. Supponga che lei possa provarmi — alzò il viso perché la voce mi arrivasse diretta — che tutto questo è perversione e falsità e che in nessuno dei Prescelti, nemmeno nella mia famiglia, c’è fede e speranza! Anche se mi potesse dimostrare che nessun miracolo mi salverà, che non ho nessuna anima e che, contro di me, troverò tutte le legioni dell’universo, io, comunque, io da solo, Signor Olyn, andrei avanti, come mi è stato comandato, fino alla fine dell’universo, al culmine dell’eternità. Perché senza la fede sarei soltanto povera terra, ma con la fede non c’è forza che possa contrastarmi!

Smise di parlare e, passando oltre, attraversò la stanza e uscì.

Ero ancora lì, come se mi avessero legato. Poi sentii un rumore nella piazza del presidio, il suono di un aeromobile militare che partiva.

Mi risvegliai di colpo dalla trance e corsi fuori.

Appena fui fuori, vidi che il velivolo stava decollando. Vidi Black e i suoi quattro fedeli subordinati e cercai di saltare per raggiungerli.

— Questo vale per lei, ma per i suoi uomini?

Non mi potevano sentire, lo sapevo, e non riuscivo a controllare le lacrime che mi scendevano sul volto, ma continuai a urlare comunque.

— Ucciderà i suoi soldati per dimostrare ciò che ha detto! Mi sente? Ucciderà uomini inermi!

Senza esitazioni, il velivolo si diresse rapidamente verso sud-ovest, dove convergevano le forze per la battaglia. E le spesse pareti di cemento del presidio deserto mi rimandarono un’eco stridula, insensibile, beffarda.

VII

Sarei dovuto andare subito allo spazioporto, invece ripresi l’aeromobile dell’Ambasciata e attraversai le linee verso il Centro Operativo di Comando di Graeme.

Ero così poco preoccupato della mia vita quanto poteva esserlo un Amico della sua. Mi sembra che mi spararono una o due volte, nonostante la bandiera dell’Ambasciata, ma non ricordo esattamente e, infine, trovai il Centro.

Non appena scesi, fui circondato da soldati. Mostrai le Credenziali e salii verso lo schermo visivo, posto all’aria aperta e accostato ad alte querce. Graeme, Padma e l’intero staff erano radunati lì e sorvegliavano i movimenti dei due eserciti. Si sentiva un bisbigliare continuo, a commento delle operazioni, sostenuto da un flusso ininterrotto di informazioni dal Centro di Comunicazioni, posto qualche metro più in là.

Era quasi mezzogiorno e il sole si trovava a picco sugli alberi; c’era molta luce e faceva caldo. Nessuno si curò di me per un bel pezzo; infine, Janol, mentre distoglieva lo sguardo dallo schermo per rivolgersi a un computer usato per la tattica, incrociò il mio sguardo. Il suo divenne freddo e continuò ciò che stava facendo. Ma io dovevo proprio avere un brutto aspetto, perché poco dopo prese una tazza, venne verso di me e l’appoggiò sopra a un computer.

— Bevi — disse solo e se ne andò. Lo portai alle labbra, mi accorsi che era whisky di Dorsai e lo trangugiai. Non sentii il sapore, ma, evidentemente, mi fece bene, perché il mondo ricominciò a delinearsi e ripresi a pensare.

Andai da Janol. — Grazie.

— Di niente. — Non mi guardò e continuò a studiare le carte sulla scrivania.

— Janol — tentai. — Dimmi che cosa succede.

— Lo puoi vedere da solo — disse, senza alzare la testa.

— Non posso, invece, lo sai. Senti, mi dispiace per quello che ho fatto, ma si tratta sempre del mio lavoro. Non puoi dirmi che cosa succede adesso e combattere con me dopo.

— Sai bene che non posso azzuffarmi con un civile. — Si rilassò. — Va bene — disse, alzandosi — seguimi.

Mi portò vicino allo schermo dove c’erano Padma e Kensie e mi indicò una specie di triangolo scuro fra due linee luminose serpeggianti. Altre macchie e forme chiare formavano un cerchio attorno al centro scuro.

— Queste — disse, indicando le linee — sono i fiumi Macintok e Sarah nel punto in cui si uniscono, a quindici chilometri circa da questo lato di S. Giuseppe. È un terreno ondulato, con colline ricche di vegetazione e radure abbastanza aperte in mezzo. Un buon territorio per organizzare una strenue difesa, un brutto terreno per restare intrappolati.

— Perché?

Indicò i due fiumi.

— Se ammassi le truppe in questo punto, ti troverai con le spalle contro rocce a picco sul fiume. Non è facile attraversarlo e, dall’altra parte, non c’è copertura per ritirare le truppe, sono quasi tutti prati aperti fino a S. Giuseppe.

Le sue dita si muovevano dal punto dove le due linee convergevano fino oltre la zona scura, verso le altre forme luminose ad anello.

— D’altro canto, l’avvicinamento a questo territorio dalla nostra posizione è altrettanto scoperto, lungo strette strisce di terreno coltivato disseminate di pantani e acquitrini. È una situazione difficile per entrambi, se ingaggiamo qui la battaglia. Il primo che dovrà indietreggiare, si troverà presto nei guai.

— Pensate di manovrare?

— Dipende. Black ha mandato avanti l’artiglieria leggera e si sta dirigendo verso la zona stretta tra i due fiumi. Noi siamo decisamente superiori in numero e mezzi e non c’è ragione per non inseguirlo, fintanto che va a intrappolarsi da solo — disse, con un lieve fremito.

— Nessuna ragione? — chiesi.

— Non da un punto di vista tattico. — Janol osservava lo schermo. — Non dovremmo avere problemi, se non saremo costretti a ritirarci di colpo. E questo non dovrebbe succedere, a meno che Black non acquisisca un improvviso vantaggio tattico che ci obblighi ad andarcene.

Osservai il suo profilo.

— Come la perdita di Graeme? — chiesi.

Il suo tremito si trasferì su di me. — Per quello, non c’è pericolo.

Ci furono rumori e movimenti più accentuati intorno a noi e ci voltammo.

Erano tutti davanti a qualche schermo. Ci facemmo largo tra la folla e, guardando attraverso alcuni soldati e due ufficiali dello staff di Graeme, vidi l’immagine di un piccolo prato fra due pendii boscosi. Al centro, di fianco a un lungo tavolo, era infissa la bandiera degli Amici, bianca con un’esile croce nera. C’erano molte sedie pieghevoli da entrambi i lati, ma solo una persona, un ufficiale, che sembrava aspettare a lato del tavolo. C’erano cespugli di lillà ai margini del bosco e i fiori color lavanda erano ormai sfioriti, arrivati al termine della loro stagione. Quanta differenza dopo solo ventiquattro ore. Sul lato estremo sinistro dello schermo, potevo scorgere il nastro di cemento di un’autostrada.

— Conosco quel posto… — cercai di dire a Janol.

— Zitto! — disse, alzando il dito. Era sceso il silenzio intorno a noi e si sentiva una sola voce, davanti al nostro gruppo.

— …è un segno di richiesta di tregua.

— Hanno chiamato? — chiese Kensie.

— No, signore.

— Bene, andiamo a vedere. — Ci fu un movimento e il gruppo si divise. Vidi Kensie e Padma muoversi verso la zona di parcheggio degli aeromobili. Mi feci largo fra la folla che si apriva, come se facessi parte dello staff, per raggiungerli.

Sentii Janol urlare dietro di me, ma non ascoltai e raggiunsi Kensie e Padma che si voltarono.

— Voglio venire con voi — dissi.

— Va tutto bene, Janol — disse Kensie, guardando alle mie spalle. — Può lasciarlo con noi.

— Bene, signore — sentii Janol che si voltava e si allontanava.

— Così vuol venire con me, Signor Olyn? — disse Kensie.

— Conosco il posto — dissi. — Ci sono passato stamattina presto. Gli Amici stavano piazzando delle armi tutt’intorno, sulle colline. Non intendono parlamentare.

Kensie mi guardò a lungo, come se stesse decidendo una tattica.

— Andiamo, allora — disse e, rivolto a Padma: — Si fermerà qua?

— È una zona di guerra, meglio di no. — Girò il viso senza rughe verso di me. — Buona fortuna, Signor Olyn — aggiunse, e se ne andò. Scivolò via, silenzioso nella sua veste gialla e, dopo pochi passi, si voltò verso Graeme, che aveva quasi raggiunto un aeromobile militare. Gli corsi dietro.

— Era un velivolo da combattimento, meno di lusso rispetto a quello dell’Ambasciata, e Kensie non volava molto in alto, solo a pochi metri dal suolo, serpeggiando tra gli alberi. I posti erano angusti e la sua grossa persona traboccava, schiacciandomi. Sentivo la sagoma dura della sua pistola che mi penetrava nel fianco ogni volta che faceva un movimento di guida.

Arrivammo ai limiti del triangolo di bosco e colline occupato dagli Amici e salimmo lungo un pendio, al riparo sotto le ricche fronde delle querce.

Erano massicce e fitte, tanto da non permettere la crescita di un sottobosco. Sotto ai tronchi, simili a pilastri, c’era ombra e un terreno ricoperto dalle foglie marroni in decomposizione. Quasi in cima alla collina trovammo un’unità di truppe Esotiche ferma in attesa dell’ordine di attacco. Kensie scese e ricambiò il saluto del Capitano.

— Avete visto quel tavolo sistemato dagli Amici? — chiese.

— Sì, Generale. L’ufficiale e il tavolo sono ancora là, immobili. Li si può vedere dalla cima di quel pendio.

— Bene — disse Kensie. — Tenga qui i suoi uomini. Io e il reporter andremo a dare un’occhiata.

Mi fece strada, fra le querce. Dalla cima della collina, si vedevano un centinaio di metri di bosco in discesa e circa quattrocento metri di prato con al centro il tavolo e, a lato, la figura nera e immobile dell’ufficiale Amico.

— Che cosa ne pensa, Signor Olyn? — chiese Kensie, guardando fra gli alberi.

— Perché nessuno gli ha sparato? — chiesi, a mia volta.

Mi guardò con la coda dell’occhio.

— Se tenta di raggiungere il bosco — disse — abbiamo tutto il tempo per sparargli, se è proprio necessario. Ma non le ho chiesto questo. Lei ha visto di recente il Comandante degli Amici; le ha dato l’impressione di volersi arrendere?

— No — dissi.

— Capisco — rispose Kensie.

— Non avrà davvero pensato che voglia arrendersi? Che cosa glielo fa credere?

— I tavoli da tregua vengono in genere allestiti quando si vogliono discutere i termini di armistizio fra parti avverse — disse.

— Ma Black non le ha chiesto di incontrarlo.

— No. — Kensie teneva d’occhio la figura dell’ufficiale, immobile sotto al sole. — Credo che sia contro i suoi principi richiedere un negoziato, ma non farlo… forse se ci trovassimo uno di fronte all’altro a un tavolo.

Si voltò per segnalare con la mano. Il Capitano, che aveva atteso ai piedi del pendio, salì.

— Signore — disse.

— Vi sono forze nemiche fra quegli alberi al di là del sentiero?

— Quattro uomini in tutto. I nostri apparecchi ne hanno rilevato il calore in modo netto e chiaro. Non cercavano di nascondersi.

— Capisco. — Fece una pausa. — Capitano.

— Signore?

— Sia così gentile da scendere in quel prato e chiedere all’ufficiale Amico che cosa significa tutto ciò.

— Sì, signore.

Restammo a guardare mentre il Capitano, incespicando qua e là, scendeva il ripido pendio tra gli alberi, attraversava il prato, molto lentamente, o così ci sembrò, e raggiunse l’ufficiale Amico.

Rimasero fermi uno di fronte all’altro e capimmo che si parlavano, anche se non potevamo sentire. La bandiera con la piccola croce nera sbatteva nella leggera brezza. Poi il Capitano si voltò e fece il percorso in senso contrario.

— Generale — disse — il Comandante delle truppe dei Prescelti da Dio vorrebbe incontrarsi con lei in quel campo per discutere la resa. — Si fermò per riprendere fiato. — Vi mostrerete contemporaneamente al limite del bosco, sui due versanti opposti, e procederete insieme verso il tavolo.

— Grazie, Capitano — disse Kensie. E guardò oltre, verso il campo e il tavolo. — Penso che andrò.

— Non potete fidarvi — dissi.

— Capitano — disse Kensie. — Faccia disporre i suoi uomini, pronti all’attacco, tutt’intorno al pendio, qui in cima. Se si arrende, insisterò perché venga con me da questa parte.

— Sì, signore.

— Forse ha condotto la faccenda senza una regolare richiesta di negoziato perché vuole prima arrendersi e poi comunicarlo alle truppe. Perciò, tenetevi pronti. Se Black vuole mettere i suoi ufficiali davanti al fatto compiuto, non vogliamo che lo eliminino.

— Non si arrenderà — ripetei.

— Signor Olyn — disse — le suggerisco di scendere dietro alla collina. Il Capitano si occuperà di lei.

— No — obiettai — io vengo giù. Se è una tregua per negoziare una resa, non ci saranno combattimenti ed è mio diritto essere là. Se non lo è, perché ci va?

Kensie mi guardò in modo strano, per un attimo.

— D’accordo — disse. — Venga con me.

Ci voltammo e iniziammo la ripida e impervia discesa tra gli alberi. Il terreno era scivoloso e dovevamo fare presa con i tacchi degli stivali a ogni passo. Passando fra i lillà, ne percepii il profumo dolce ed evanescente, quasi scomparso perché la fioritura era alla fine.

Dall’altra parte del prato, in linea con il tavolo, quattro figure in nero avanzavano con la nostra stessa cadenza. Uno era Jamethon Black.

Kensie e Jamethon si salutarono.

— Colonnello Black — disse Kensie.

— Generale Graeme. Le sono grato di avermi concesso quest’incontro in questo luogo — rispose Jamethon.

— È un dovere e un piacere, Colonnello.

— Desidero trattare i termini di una resa.

— Posso offrirle — disse Kensie — i termini previsti dal Codice dei Mercenari per truppe nella vostra posizione.

— C’è un malinteso, signore — disse Jamethon. — È la vostra resa che sono venuto a trattare.

La bandiera sventolò rumorosamente.

Improvvisamente vidi gli uomini in nero che misuravano il campo, come li avevo visti passando in macchina, e mi resi conto che le loro posizioni del giorno prima erano le nostre, in quel momento.

— Mi dispiace, ma il malinteso è reciproco, Colonnello — disse Kensie. — Ho una posizione tattica migliore e la vostra sconfitta è ragionevolmente certa. Non ho bisogno di arrendermi.

— Non vi arrenderete?

— No — disse Kensie, bruscamente.

D’un tratto vidi i cinque paletti posizionati dove c’erano i cinque soldati Amici cadere, insieme a quello posto davanti a loro.

— Attento — urlai a Kensie, ma era ormai tardi.

L’azione era già partita. Il Tenente era balzato davanti a Jamethon e tutti e cinque stavano estraendo le loro armi. Sentivo ancora la bandiera sbattere e quel suono sembrò durare a lungo.

Per la prima volta vidi un Dorsai in azione. La reazione di Kensie fu così fulminea da sembrare soprannaturale, quasi avesse letto nel pensiero di Jamethon un istante prima che gli Amici mettessero mano alle armi. Ma prima ancora che potessero toccarle, lui era già balzato al di là del tavolo, con la pistola in pugno. Sembrò volare direttamente sul Tenente, e caddero insieme, ma Kensie non si fermò. Continuò a rotolare oltre l’inerme ufficiale, disteso sul prato, fino a inginocchiarsi, sparare e rituffarsi nell’erba, sempre rotolando.

Il Caporale alla destra di Jamethon cadde. Jamethon e gli altri due giravano quasi su se stessi, nel tentativo di tenere Kensie in vista. I due soldati si spostarono davanti a Jamethon, ma le loro armi non erano ancora pronte. Kensie si fermò di colpo, come se avesse urtato un muro di pietra, si accovacciò e sparò altri due colpi. I due soldati caddero uno da una parte e uno dall’altra.

Ora Jamethon si trovava davanti a Kensie e aveva la pistola in mano, carica. Sparò, e una linea luminosa blu percorse l’aria; ma Kensie aveva ricominciato a rotolare. Sdraiato sull’erba, appoggiato a un gomito, sparò ancora, due volte.

L’arma di Jamethon vacillò nella mano. Si appoggiò al tavolo per sostenersi, reggendosi con la mano libera. Fece un altro sforzo per sollevare l’arma, ma non riuscì. La lasciò cadere, si accasciò sul tavolo con quasi tutto il corpo, girandosi; i suoi occhi si trovarono nella mia direzione. Il suo viso aveva sempre quell’espressione controllata, ma gli occhi erano diversi. Mi videro, mi riconobbero e lanciarono uno strano sguardo, come quello che un uomo invia a un avversario appena battuto, senza minaccia. Un lieve movimento piegò gli angoli della bocca, come un sorriso di trionfo interiore.

— Signor Olyn… — sussurrò, ma la vita gli sfuggì dal corpo e cadde di fianco al tavolo.

Subito dopo, ci furono delle esplosioni vicino che scossero il terreno sotto ai miei piedi. Dalla cima della collina alle nostre spalle, il Capitano, che Kensie aveva lasciato pronto a intervenire, stava sparando dei fumogeni fra noi e il lato del prato occupato dagli Amici, formando una cortina di fumo che ci nascose alla vista del nemico. Sembrava una barriera impenetrabile, alta come una torre nel cielo azzurro e, ai piedi di quel miraggio, c’eravamo solo io e Kensie.

Il volto esanime di Jamethon accennava un fugace sorriso.

VIII

Con grande stupore, vidi le truppe Amiche arrendersi quel giorno stesso. Era uno dei casi previsti, in cui gli ufficiali avevano l’autorizzazione a farlo.

Neanche gli Anziani chiederebbero ai soldati di combattere in una situazione creata, per ragioni tattiche, da un Comandante morto senza averla spiegata ai suoi ufficiali. E le truppe superstiti valevano di più del costo del riscatto che gli Esotici avrebbero chiesto.

Non aspettai di conoscere gli accordi; non avevo più niente da aspettare. Un momento prima, la situazione in quel campo era sospesa nell’aria, come un’immane, potente onda sopra le nostre teste, spumeggiante, rullante e in procinto di caderci addosso con un impatto che avrebbe fatto tremare tutti i Mondi dell’Uomo. Di colpo, invece, non c’era più nulla sopra di noi, tranne un silenzio di acque lontane, che stanno già scorrendo verso la memoria del passato.

Non c’era più niente per me. Niente.

Se Jamethon avesse ucciso Kensie, e quindi ottenuto una resa incruenta delle truppe Esotiche, avrei potuto metterlo nei guai per l’incidente del tavolo da tregua. Ma ci aveva provato ed era morto, fallendo. Chi poteva odiare gli Amici per questo?

Ripresi la nave spaziale per la Terra, come un sonnambulo, chiedendomi perché.

Quando fui a casa, dissi ai miei capi che dovevo riprendermi fisicamente. Dopo avermi visto, ci credettero. Presi un permesso a tempo indeterminato e mi recai alla Biblioteca Centrale della rete giornalistica, a l’Aia, dove passai giornate intere a cercare alla rinfusa fra montagne di scritti e materiale di riferimento sugli Amici, i Dorsai e gli Esotici. A che scopo? Non lo so. Tenni anche d’occhio le notizie da S. Maria sugli accordi di pace, bevendo troppo, mentre lo facevo.

Avevo il triste presentimento del soldato condannato a morte per negligenza. Poi, in un messaggio, lessi che il corpo di Jamethon sarebbe stato rimandato ad Armonia per la sepoltura e mi resi conto che era la notizia che aspettavo. Gli onori immeritati, resi da fanatici a un fanatico che, con quattro scagnozzi, aveva cercato di assassinare il Comandante nemico, solo e protetto da una tregua. Si poteva ancora scrivere qualcosa.

Mi feci la barba, mi lavai, mi vestii bene e andai dai miei superiori a chiedere di essere inviato ad Armonia per il servizio sulla sepoltura di Jamethon, sintesi e conclusione dei miei reportage di guerra.

Le congratulazioni, che il Direttore della rete mi aveva inviato a S. Maria, mi facevano tenere in grande considerazione e i miei capi se ne ricordarono. Fui autorizzato a partire.

Cinque giorni dopo ero ad Armonia, in una piccola città chiamata Ricordata da Dio. Gli edifici erano di cemento e plastica a bolle, anche se era chiaro che erano molto vecchi. Il suolo sottile e roccioso, intorno alla città, era stato arato, come i campi di S. Maria quando ero là, perché l’emisfero nord di Armonia stava entrando nella primavera. E pioveva mentre guidavo dallo spazioporto alla città, come a S. Maria, quel primo giorno. Ma i campi di quel pianeta non rivelavano la ricca terra nera di quelli di S. Maria. Uno spessore troppo sottile di terra bagnata creava un nero pallido, come il colore delle uniformi dei soldati Amici.

Arrivai alla chiesa mentre iniziava a riempirsi. Sotto al cielo scuro e piovoso, l’interno della chiesa era quasi completamente al buio, perché gli Amici non vogliono né finestre, né illuminazione artificiale nelle loro case di culto. Quasi non riuscivo a trovare la strada con la sola luce grigia dell’ingresso della porta, da dove entravano anche vento e pioggia. Dall’unica apertura del soffitto, filtrava un’annacquata luce solare sul corpo di Jamethon, posto su un tavolo a cavalietti. Un telo trasparente era stato messo per riparare il corpo dalla pioggia che, incanalata dall’apertura, gocciolava lungo la parete del fondo. Ma l’Anziano che celebrava il rito funebre e tutti i presenti dovevano rimanere esposti alle intemperie.

Mi misi in fila con le persone che si muovevano lentamente lungo la navata centrale, fino al corpo, per poi tornare indietro. Ai lati, le barriere che contenevano le persone durante i riti si perdevano nella triste oscurità, insieme alle travi del soffitto ripido e appuntito. Non c’era musica, solo il mormorio delle voci che pregavano ai due lati, nelle file di panche, formando una specie di ritmica nenia di tristezza. Come Jamethon, erano tutti scuri, di origine nord africana, e si perdevano nel buio dell’aria, si mescolavano alla tetra oscurità, scomparendo.

Avanzai e finalmente superai Jamethon. Era come me lo ricordavo. La morte non era riuscita a cambiarlo. Era sdraiato sulla schiena con le braccia lungo il corpo. Le labbra erano diritte e risolute come sempre. Unica differenza: aveva gli occhi chiusi.

Zoppicavo parecchio, a causa dell’umidità e, mentre mi allontanavo dalla salma, qualcuno mi toccò il gomito. Mi voltai di scatto. Non indossavo l’uniforme da corrispondente, ma abiti civili, per non attirare l’attenzione.

Rividi, di fianco a me, il volto della ragazzina che avevo osservato nella solidografia di Jamethon. Nella luce grigia di pioggia, il suo viso lineare sembrava appartenere a una vetrata da cattedrale, come si trovavano su Vecchia Terra.

— Lei è stato ferito — disse, a voce bassa. — Forse è uno dei mercenari che ha conosciuto Jamethon a Newton, prima che fosse mandato a S. Maria. I suoi genitori, che sono anche i miei, troverebbero conforto in Dio se la incontrassero.

Il vento stava spingendo la fredda pioggia, attraverso l’apertura nel soffitto, proprio su di me e una sensazione di gelo mi scosse interamente, ghiacciandomi fino alle ossa.

— No — risposi. — Non sono io; non lo conoscevo. — Mi voltai velocemente per allontanarmi, spingendo la gente verso la navata per farmi strada.

Dopo pochi metri, mi resi conto di ciò che stavo facendo e rallentai. La ragazza era già scomparsa fra la gente, nell’oscurità dietro di me. Procedetti più lentamente fino in fondo alla chiesa, dove c’era un piccolo spazio prima dell’inizio dei banchi. Osservavo la gente che entrava, senza sosta, tutti vestiti di nero, con le teste basse, pregando o parlando sottovoce.

Rimasi lì, leggermente indietro rispetto all’entrata, confuso, quasi tramortito, con il gelo nelle ossa e una tremenda spossatezza che mi portavo dietro dalla Terra.

Le voci ronzavano intorno a me e io mi stavo quasi addormentando. Non riuscivo a ricordare perché ero venuto.

Poi colsi la voce di una ragazza, in mezzo al gruppo, e questo mi riportò alla realtà.

— …ha negato, ma io sono sicura che è uno dei mercenari che erano con Jamethon a Newton. Zoppica, non può essere che un soldato ferito in battaglia.

Era la voce della sorella di Jamethon, che parlava con spiccato accento del luogo, molto più di quanto avesse fatto con me, uno straniero. Mi ripresi del tutto e la vidi di fronte all’ingresso, a pochi passi da me. Al suo fianco c’erano due persone anziane, che riconobbi come le altre figure della solidografia. Un’ondata di reale, raggelante orrore mi attraversò.

— No — quasi urlai. — Non lo conoscevo, non l’ho mai visto, non capisco di che cosa stiate parlando. — Mi voltai e mi precipitai fuori dalla chiesa, nella pioggia, dove potevo nascondermi.

Non feci altro che correre per una cinquantina di metri e, solo quando non sentii più passi dietro di me, mi fermai.

Ero solo, sotto un cielo ancora più cupo e una pioggia che si era improvvisamente intensificata. Una fitta cortina d’acqua, tamburellante e luccicante, oscurava ogni cosa intorno a me e non riuscivo neanche a vedere le auto parcheggiate di fronte. Ero però anche certo che dalla chiesa non potessero scorgermi. Sollevai il viso e lasciai che le gocce colpissero le guance e gli occhi chiusi.

— Così — disse una voce alle mie spalle — non lo conosceva.

Le parole mi trafissero, come una lama conficcata nel petto, e mi sentii come un lupo braccato che, ormai alle strette, si volta di scatto.

— Sì, lo conoscevo — dissi.

Mi ritrovai faccia a faccia con Padma, in una veste azzurra, apparentemente asciutta, nonostante la pioggia. Teneva le mani, quelle mani che non avevano mai imbracciato un’arma, congiunte, ma per il lupo che era in me lui era un cacciatore bene armato.

— Lei — dissi. — Che cosa fa qui?

— È stato calcolato che lei sarebbe stato qui — disse Padma, gentilmente. — Così, eccomi qua. Ma perché lei è qui, Tam? Fra questa gente, ci saranno senz’altro alcuni fanatici al corrente delle voci sulla sua responsabilità riguardo alla morte di Jamethon e la resa delle truppe Amiche.

— Voci — dissi. — Chi le ha messe in giro?

— Lei stesso — disse Padma — con il suo comportamento a S. Maria. — Mi fissava. — Non sapeva di rischiare la vita venendo qui, proprio in questo giorno?

Aprii la bocca per negare, ma mi resi conto di averlo sempre saputo.

— Che cosa succederebbe se qualcuno li informasse che Tam Olyn, il reporter della campagna di S. Maria, è qui, in incognito? — aggiunse.

Lo guardai con gli occhi feroci del lupo.

— Se lo facesse, potrebbe poi far quadrare tutto con i suoi principi Esotici.

— Noi non siamo capiti — rispose Padma, calmo. — Ingaggiamo soldati per combattere al nostro posto non per qualche motivo morale, ma perché, se ci lasciamo coinvolgere, perdiamo la nostra prospettiva emozionale.

Non sentivo più paura, solo una specie di dura insensibilità.

— Li chiami, allora — dissi.

I suoi strani occhi nocciola mi guardarono attraverso la pioggia.

— Se questo fosse ciò che è necessario fare — disse — li avrei già informati tramite qualcun altro, senza venire di persona.

— Perché è venuto, allora? — La voce mi lacerava la gola. — Perché lei o gli Esotici vi interessate a me?

— Noi ci preoccupiamo di ogni individuo — disse Padma. — Ma più di tutto ci interessa la razza, e lei è ancora pericoloso per questa. Lei è un idealista, Tam, sviato da propositi distruttivi. C’è una legge di conservazione dell’energia nel principio di causa ed effetto, così come in altre scienze. La sua sete di distruzione è stata frustrata su S. Maria e ora può ritorcersi su di lei, uccidendola, o rivolgersi contro l’intera razza umana.

Risi, e percepii la durezza della risata.

— Come pensa di rimediare a tutto questo? — chiesi.

— Mostrandole che il coltello che tiene in mano non taglia solo ciò contro cui è rivolto, ma anche la stessa mano che lo sorregge. Devo dirle una cosa, Tam: Kensie Graeme è morto.

— Morto? — Improvvisamente la pioggia sembrò ruggire e il selciato vacillare sotto ai miei piedi.

— È stato assassinato da tre uomini del Fronte Azzurro, a Blauvain, cinque giorni fa.

— Assassinato… — mormorai. — Perché?

— Perché la guerra era finita — disse Padma. — Perché la morte di Jamethon e la resa delle truppe Amiche senza una guerra, distruttiva per i campi coltivati, hanno ben disposto la popolazione nei nostri confronti. Perché il Fronte Azzurro si è ritrovato così lontano dal potere, quanto non lo era mai stato, proprio per questa simpatia verso le truppe Esotiche. Uccidendo Graeme, speravano di scatenare una ritorsione sui civili da parte dei suoi soldati, e questo avrebbe obbligato il governo di S. Maria ad allontanare i mercenari e a restare senza protezione contro il Fronte Azzurro.

Non riuscivo ancora a rendermi conto di quanto aveva detto.

— Tutti gli eventi sono interconnessi — disse Padma. — Kensie era destinato a una promozione che avrebbe coronato la sua carriera: un ufficio di comando su Mara o Kultis. Lui e suo fratello Ian avrebbero abbandonato per sempre i campi di battaglia. Con la morte di Jamethon, e la conseguente resa delle sue truppe, si è venuta a creare una situazione che ha spinto il Fronte Azzurro ad assassinare Kensie. Se lei e Jamethon non foste arrivati insieme su S. Maria, e Jamethon avesse vinto, Kensie sarebbe ancora vivo. Questo dicono i calcoli.

— Io e Jamethon? — La bocca mi si seccò, senza preavviso, e la pioggia si infittì.

— Lei — aggiunse Padma — è stato il fattore che ha spinto Jamethon verso quella soluzione finale.

— Io l’ho aiutato? — dissi. — L’ho fatto davvero?

— Lui poteva vedere dentro di lei — disse Padma. — Vedeva al di là della ruvida superficie resa amara dalla sete di vendetta. Capiva che quello non era il vero Tam, che c’era un cuore idealista così profondamente radicato che perfino suo zio non era riuscito a estirparlo.

La pioggia tuonava fra di noi, ma sentivo perfettamente ogni parola di Padma.

— Non le credo! — gridai. — Non credo che abbia potuto capire niente di tutto questo!

— Le ho già detto in un’altra occasione — disse Padma — che lei non riesce ad apprezzare fino in fondo i miglioramenti evolutivi delle Culture Frammentate. La fede di Jamethon non poteva venire scossa dagli eventi esterni. Se lei, in realtà, fosse stato come suo zio, Jamethon non l’avrebbe neanche ascoltata. L’avrebbe ignorata come un qualsiasi individuo senza anima. Al contrario, lui la vedeva come un uomo posseduto, colui che parlava con ciò che Jamethon avrebbe chiamato la voce di Satana.

— Non ci credo! — sbraitai.

— Certo che ci crede — disse Padma. — Non ha altra scelta, se non quella di crederci, perché è solo ed esclusivamente a causa di questo che Jamethon ha scelto una simile soluzione.

— Soluzione?

— Era un uomo pronto a morire per la sua fede. Ma, in qualità di Comandante, trovava difficile mandare a morire i suoi uomini senza un altro ragionevole motivo. — Padma mi guardò e la pioggia diminuì, per un attimo. — Ma lei gli ha offerto quella che lui considerava la scelta del diavolo: la sua vita terrena contro la resa della sua fede e dei suoi soldati, per evitare un conflitto che li avrebbe uccisi tutti.

— Quale follia è mai questa? — dissi. Nella chiesa, intanto, le preghiere erano cessate e una sola, forte e profonda voce stava iniziando il rito funebre.

— Non è una follia — disse Padma. — Una volta resosene conto, la risposta divenne semplice. Tutto ciò che doveva fare era iniziare a rifiutare qualsiasi cosa Satana gli offriva. E la prima, assoluta necessità, era la sua morte.

— Era questa la soluzione? — Tentai di ridere, ma la gola mi faceva male.

— Era l’unica soluzione — disse Padma. — Quando ne fu convinto, capì che era proprio quella la sola decisione da prendere. I suoi uomini si sarebbero arresi solo se si fossero trovati in una situazione insostenibile, causata da ragioni che solo il loro Comandante, ormai morto, conosceva.

Sentii che le parole mi attraversavano, prive di suono, scioccandomi.

— Ma lui non voleva morire! — dissi.

— Si affidò a Dio — disse Padma — ma sistemò le cose in modo che solo un miracolo potesse salvarlo.

— Di che cosa sta parlando? — lo fissai, stupito. — Preparò un tavolo con una bandiera di tregua. Portò quattro uomini…

— Non c’era nessuna bandiera; gli uomini erano vecchi fanatici in cerca del martirio.

— Ma erano quattro — urlai — cinque con lui. Cinque contro uno. Ero lì e ho visto. Cinque contro…

— Tam.

Quella sola, breve parola mi bloccò. Ebbi improvvisamente paura. Non volevo sentire ciò che stava per dire, perché temevo di saperlo, temevo di saperlo ormai da tempo. Non volevo sentirlo, non volevo sentirlo dire da lui.

La pioggia divenne più fitta, scivolando su di noi, impietosa, fino al selciato, ma il rumore non mi impedì di sentire ogni singola, implacabile parola.

La voce di Padma iniziò a ruggirmi nelle orecchie, come la pioggia, e fui pervaso da una sensazione di vuoto, come quando ci si sente inermi e quasi sospesi a causa della febbre. — Non penserà che Jamethon abbia potuto ingannare se stesso, anche solo per un minuto? Era il prodotto di una Cultura Frammentata. Ne riconosceva un altro in Kensie. Non penserà che, a meno di un miracolo, lui credesse davvero che un Colonnello Amico e quattro poveri fanatici avrebbero potuto uccidere un soldato Dorsai, armato e pronto a intervenire, un uomo come Kensie Graeme, prima di essere a loro volta uccisi?

A loro volta… a loro volta… a loro volta.

Il suono di quelle parole mi rimbombò nella mente e mi estraniò dalla pioggia e da quel momento. Come il vento con le nuvole, mi sollevò e mi portò via, fino a quella terra, dura e rocciosa, che avevo intravisto quando avevo chiesto a Graeme se avrebbe mai fatto uccidere dei prigionieri Amici. Era una terra che avevo sempre evitato, ma a cui ero infine giunto.

E ricordai…

Fin dall’inizio, sapevo che quel tipo di fanatico, che aveva ucciso Dave e gli altri, non corrispondeva all’immagine di tutti gli Amici. Jamethon non era un assassino. Avevo cercato di crederci, per nascondere la mia stessa vergogna, la mia autodistruzione. Avevo mentito a me stesso per tre anni. Non era quello il pensiero che avevo in mente, mentre Dave veniva ucciso.

Ero là, sotto agli alberi, e osservavo Dave e gli altri che morivano, vedevo il Sergente, in uniforme nera, che li uccideva uno per uno con il suo fucile. E, in quel momento, il pensiero nella mia mente non era stato quello che avrebbe poi giustificato tre anni di ricerche ossessive di un’opportunità per rovinare uno come Jamethon e distruggere il popolo Amico.

Non avevo pensato: “Che cosa sta facendo, che cosa vuole fare a quei poveri, innocenti, inermi uomini!”. Niente di così nobile. Un solo pensiero mi aveva pervaso in quel momento, semplice e crudo: “Quando avrà finito, ucciderà anche me?”.

Ritornai in me e mi ritrovai nella giornata piovosa. La pioggia stava rallentando e Padma mi sosteneva. Mi stupii, come per Jamethon, di quanto fossero forti le sue mani.

— Mi lasci andare — mormorai.

— Dove vuole andare, Tam? — disse Padma.

— Da qualsiasi parte — sussurrai. — Non ne voglio più sapere; mi ficcherò da qualche parte e dimenticherò. Getto la spugna.

— Un’azione — disse Padma, lasciandomi andare — si ripercuote sul futuro senza sosta. La causa non cessa mai di avere effetti. Non può lasciar perdere tutto adesso, Tam, può solo stare con l’altra parte.

— Parte? — dissi. La pioggia stava diminuendo. — Quale parte? — Lo fissai come un ubriaco.

— C’è la parte con la quale sta suo zio — disse Padma — e c’è quella opposta, che è la sua, e che è anche la nostra. — Cadeva poca pioggia, ora, e c’era più luce. Un piccolo, pallido sole si faceva strada fra le nuvole e ci illuminava. — Inoltre, al di là del nostro intervento nell’aiutare l’uomo a evolversi, ci sono altre due forti influenze. Non siamo ancora in grado di calcolarle o capirle, ma sappiamo che agiscono come potenti volontà individuali. Una sembra essere d’aiuto al processo evolutivo, l’altra sembra frustrarlo. Tali influenze sembrano esistere fin dalle prime avventure spaziali dell’uomo.

Scossi la testa.

— Non capisco — mormorai. — Non sono affari miei.

— Lo sono invece, lo sono stati per tutta la sua vita. — Gli occhi di Padma catturarono la luce per un attimo. — Una forza si è introdotta negli eventi di S. Maria, sotto forma di un’unità, sconvolta da una perdita personale e orientata verso la violenza. Era lei, Tam.

Cercai di scuotere la testa, ma sapevo che aveva ragione.

— Ora lei è bloccato nel suo sforzo — disse Padma — ma la legge di conservazione delle energie non può essere negata. Quando la sua azione fu frustrata da Jamethon, la sua forza si trasmutò, trasferendosi in un’altra unità individuale, sconvolta da una perdita personale e orientata verso un effetto violento.

Lo fissai con stupore e inumidii le labbra. — Quale altro individuo?

— Ian Graeme.

Lo stupore divenne maggiore.

— Ian ha trovato i tre assassini del fratello nascosti in una stanza d’albergo a Blauvain. Li ha uccisi con le sue stesse mani e, facendolo, ha placato l’ira dei mercenari e frustrato le mire del Fronte Azzurro. Ma poi ha dato le dimissioni ed è tornato a Dorsai. Ora lui prova lo stesso senso di amarezza e perdita che lei provava quando arrivò a S. Maria. — Fece una pausa e poi aggiunse, con calma: — Ora lui ha una grande forza potenziale per diventare causa di qualcosa che non possiamo ancora calcolare.

— Ma… — guardai Padma — questo significa che sono libero!

Padma scosse la testa.

— Ora lei è investito da una nuova forza, diversa dalla prima — disse. — Ha ricevuto l’impatto e la carica del sacrificio di Jamethon.

Nel suo sguardo c’era una sorta di compassione e, nonostante il sole, iniziai a tremare.

Era proprio così, non potevo negarlo. Nel dare la sua vita per qualcosa in cui credeva, in un momento in cui avevo perso tutti i miei ideali di fronte alla morte, Jamethon mi aveva sconvolto e cambiato, così come il fulmine, quando colpisce, fonde e cambia la lama d’acciaio alzata verso di lui. Non potevo più ignorare quanto era successo dentro di me.

— No — dissi, tremando — non posso più fare niente per questo.

— Al contrario, lei può — disse Padma, calmo. — E lo farà.

Finalmente sciolse le mani.

— Lo scopo per il quale, secondo i calcoli, io dovevo incontrarla qua, è stato raggiunto — disse. — Il suo idealismo di base rimane. Nemmeno suo zio è riuscito a estirparlo. L’ha solo intaccato ed è per questo che, davanti alla minaccia di morte su Nuova Terra, si è rivoltato contro se stesso, anche se per un attimo. Ora lei è stato forgiato e raddrizzato dagli eventi su S. Maria.

Risi, e ancora sentii la gola dolere.

— Non mi sento raddrizzato — dissi.

— Si dia tempo — disse Padma. — Le guarigioni sono lunghe. Prima di essere utilizzabili, le nuove idee devono crescere e irrobustirsi, come i muscoli. Ora lei comprende molto di più la fede degli Amici, il coraggio dei Dorsai e, forse, l’importanza della forza filosofica ricercata dagli Esotici per l’uomo.

Si fermò e mi sorrise, con un po’ di malizia.

— Avrei dovuto spiegarle queste cose più chiaramente tanto tempo fa, Tam — disse. — Il suo è il lavoro del traduttore fra il vecchio e il nuovo. Il suo operato preparerà le menti delle persone di tutti i Mondi, frammentati e non, per il giorno in cui le capacità della razza si fonderanno in una nuova stirpe. — Il sorriso si attenuò, il volto si intristì. — Vivrà per vederne più di me. Addio, Tam.

Si voltò e, nell’aria ancora nebbiosa, ma luminosa, lo vidi andare da solo verso la chiesa da cui la voce dell’Anziano annunciava l’inno finale.

Ero sbalordito, ma mi voltai, raggiunsi l’auto e vi salii. La pioggia era quasi cessata e il cielo si stava velocemente rischiarando. L’aria era fresca e purificata dalle ultime goccioline d’acqua.

Nell’avviarmi verso il lungo tragitto che mi riportava allo spazioporto, spalancai i finestrini e, attraverso l’aria, mi giunse il suono dell’ultimo inno che stavano intonando in chiesa.

Era l’Inno di Battaglia dei soldati Amici. Il suono mi seguì per un bel pezzo, mentre mi allontanavo. Non erano le voci basse e lamentose dei tristi addii, ma voci forti e trionfanti, come quelle di chi si appresta a una marcia verso un nuovo giorno.

Soldato, non chiedere mai,
Dove la bandiera difenderai…

Mentre mi allontanavo, seguito dal suono dell’Inno, la distanza sembrò fondere le voci in un unico, potente canto. Le nuvole si stavano aprendo davanti a me, il sole faceva capolino, luminoso, e le chiazze di cielo azzurro sembravano bandiere al vento, stendardi di un esercito che marcia verso terre sconosciute, senza mai fermarsi.

Le osservai, finché non divennero un unico cielo aperto; e il canto mi accompagnò a lungo sulla strada per lo spazioporto, dove mi attendeva la nave che mi avrebbe riportato sulla Terra, nel sole.