Anche pubblicato come “Mickie, il topolino spaziale”, “Astrotopolino” e “Il topo delle stelle”.

Fredric Brown

Il topo stellare

Mitkey il Topo, allora non era Mitkey.

Era soltanto un topolino come gli altri, e viveva dietro il parquet e l’intonaco della casa del grande Herr Professor Oberburger, già delle università di Vienna e di Heidelberg, quindi profugo per sottrarsi all’eccessiva ammirazione del più potente tra i suoi compatrioti. L’eccessiva ammirazione non riguardava personalmente Herr Oberburger, bensì un certo gas che rappresentava un sottoprodotto di un fallito combustibile per razzi… e che avrebbe potuto risultare utilissimo per certi altri scopi.

Sempre che, naturalmente, il professore avesse consegnato la formula esatta. E lui… Beh, comunque, il professore era riuscito a scappare e adesso viveva in una casa del Connecticut. E anche Mitkey.

Un topolino grigio e un ometto grigio. Nessuno dei due aveva l’aria eccezionale. In particolare, Mitkey non aveva nulla di eccezionale; aveva famiglia e apprezzava molto il formaggio e, se fosse esistito il Rotary dei topi, lui ne avrebbe fatto parte.

Herr Professor, naturalmente, aveva le sue piccole eccentricità. Era uno scapolo inveterato e non aveva nessuno con cui parlare, eccettuato se stesso; ma si considerava un ottimo conversatore, e dialogava di continuo con se stesso mentre dialogava. Questo fatto, come risultò poi, era importante, perché Mitkey aveva un udito eccellente e sentiva quei soliloqui che duravano tutta la notte. Naturalmente non li capiva. Se ci pensava, si limitava a considerare il professore un supertopo grosso e rumorosissimo che squittiva troppo.

— Und atesso, — diceva fra sé il professore, — fedremo se ghli ughelli sono stati torniti alla perfezione. Tofrebbero kollimare a vun centomillesimo di pollice. Ahhh, è perfekto. Und atesso…

Notte dopo notte, giorno dopo giorno, mese dopo mese. L’ordigno lucente cresceva, e di pari passo cresceva il luccichio negli occhi di Herr Oberburger.

Era lungo poco più di un metro, e aveva ali stranamente sagomate, e posava su una struttura provvisoria, sopra un tavolo al centro della stanza che Herr Professor utilizzava un po’ per tutto. La casa in cui vivevano lui e Mitkey aveva quattro stanze, ma a quanto pareva il professore non se n’era ancora accorto. All’inizio, aveva deciso di usare la stanza più grande come laboratorio, ma poi aveva ritenuto più comodo dormire su una branda in un angolo, quando dormiva, e cucinare quella poca roba che cucinava sullo stesso bruciatore a gas che gli serviva per fondere i granelli dorati di tritolo in una pericolosa brodaglia che salava e pepava con strani ingredienti, ma che non mangiava mai.

— Und atesso lo ferserò nelle profette, e fedrò se vun profetta atiacente a vun’altra fa explotere der seconda profetta kvando…

Quella notte, poco mancò che Mitkey decidesse di traslocare con la famiglia in una dimora più stabile, che non sussultasse e non oscillasse e non cercasse di capovolgersi sulle fondamenta. Ma alla fine Mitkey non traslocò, perché c’erano anche vari vantaggi.

Buchi nuovi dappertutto e — gioia delle gioie! — una grossa crepa nella parte posteriore del frigorifero dove il professore teneva, oltre ad altra roba, anche i viveri.

Naturalmente, le provette erano di dimensioni capillari, altrimenti la casa non sarebbe sicuramente rimasta intorno alla tana. E naturalmente Mitkey non poteva immaginare quel che stava per accadere, e non capiva l’inglese di Herr Professor (e nessun’altra varietà d’inglese, del resto), altrimenti non si sarebbe lasciato indurre in tentazione neppure dalla crepa nel frigorifero.

Quella mattina, il professore era giubilante.

— Der combustibile funziona! Der seconda profetta non è explosa. Und der prima, in sekzioni, kome mi akspettavo! Und è più potente: ci sarà krande spazio per der kompartimento…

Ah, sì, il compartimento. Fu a questo punto che entrò in scena Mitkey, sebbene allora non lo sapesse neppure il professore. Anzi, il professore non sapeva nemmeno che esistesse Mitkey.

— Und atesso, — stava spiegando al suo ascoltatore prediletto, — si tratta zoltanto di kombinare der tubi del kombustibile in modo khe funzioni a koppie opposte. Und poi…

Fu in quel momento che, per la prima volta, gli occhi di Herr Professor si posarono su Mitkey. O meglio, si posarono su un paio di baffi grigi e su un nasetto nero e lucido che spuntavano da un buco nel parquet.

— Bene! — esclamò. — Khe kosa abbiamo? Mitkey Mouse, Topolino in persona. Mitkey, ti piacerebbe fare un fiaggetto, la settimana proxsima? Fetremo!

E fu così che, la prima volta che il professore ordinò provviste in città, l’ordinazione incluse anche una trappola per topi… non del tipo che uccide, ma del tipo a gabbietta, detto anche — a pasticcino. — E la trappola era stata piazzata, con il relativo formaggio, da non più di dieci minuti, quando l’olfatto finissimo di Mitkey captò l’odore del formaggio, e Mitkey segui il proprio naso, finendo prigioniero.

Tuttavia, la prigionia non fu spiacevole. Mitkey era trattato da ospite d’onore. La gabbia, adesso, era piazzata sul tavolo da lavoro del professore, il quale spingeva tra le sbarre quantità tali di formaggio da causare un’indigestione, e non parlava più con se stesso.

— Fedi, Mitkey, afevo intenzione di khiedere kvalche topolino bianco a der laboratorio di Hartford, ma perkhé tovrei farlo se ci sei tu? Sono sikuro khe tu sei più sano und robusto und kapace di resistere a un lungo fiaggio di kvei topi da laboratorio. No? Ah, stai aghitando i paffi e kvesto sighnifica sì, no? Und essendo abituato a fifere al buio tovresti soffrire di klaustrofobia meno di loro, no?

E Mitkey ingrassava, felice, e dimenticava ogni intenzione di evadere dalla gabbia. Temo che dimenticasse persino la famiglia che aveva abbandonato: ma sapeva — ammesso che sapesse qualcosa — che non aveva nessun motivo di preoccuparsene. Almeno finché il professore non avesse scoperto e tappato la falla nel frigorifero. E decisamente, il professore non pensava al frigo.

— Und kvuindi. Mitkey. metteremo kvesta ala kosì… und serfe zolanto per aiutare in der atterraggio, in vun’atmosfera. Und kveste serfiranno per farti scentere sano und salvo, kosì lentamente khe ghli ammortizzatori in der kompartimento mobile ti evitino di spattere la testa troppo forte, kredo. — Naturalmente, a Mitkey sfuggi quella poco incoraggiante precisazione contenuta nel — kredo, — perché gli sfuggì anche tutto il resto. Come è già stato spiegato, non capiva l’inglese. Allora.

Ma Herr Oberburger gli parlava lo stesso. Gli mostrava i fumetti. — Hai mai fisto der Topolino da kui hai preso der nome, Mitkey? Kome? No? Gvarda. kvesto è der originale Mitkey Mouse, di Valt Dissney. Ma io kredo che tu sei più karino, Mitkey.

Probabilmente, il professore era un po’ matto, a parlare così a un topolino grigio. Anzi, doveva essere matto, per fabbricare un razzo che funzionava. La cosa strana, infatti, era che Herr Professor non era. un vero inventore. Come spiegò scrupolosamente a Mitkey, in quel razzo non c’era assolutamente nulla che fosse nuovo. Herr Professor era un tecnico: era capace di prendere le idee degli altri e di farle funzionare. La sua unica vera invenzione — il combustibile che non era un combustibile era stata passata al governo degli Stati Uniti, e si era accertato che era già nota, ed era stata scartata perché era troppo dispendiosa per uno sfruttamento pratico.

Come Herr Professor spiegava scrupolosamente a Mitkey: — È di sikuro kvestione di assoluta precisazione und di exsattezza matematica. Mitkey. È tutto kvi… noi kon piniamo tutto kvanto… und kosa otteniamo. Mitkey?

— Felocità di fuga. Mitkey! Dà appena exsattamente der felocità di fuga. Forse. Fi sono fattori ankora skonosciuti, Mitkey. in der atmosfera superiore, in der troposfera, der stratosfera. Noi krediamo di konoscere exsattamente kvanta aria c’è per kalkolare der resistenza, ma siamo assolutamente sikuri? No. Mitkey. non lo siamo. Non siamo stati lassù. Und der marghine è kosì stretto khe pasterebbe vuna korrente d’aria per kambiare tutto.

Ma Mitkey non importava niente. All’ombra dell’affusolato cilindro di lega d’alluminio, ingrassava felice.

— Der tag, Mitkey. der tag! Und non ti dirò menzoghne, Mitkey. Non ti tarò false axsicura/ioni. Tu parti per ein fiaggio perikoloso, mein pikkolo amiko.

— Ti tiamo cinkuanta propabilità su zento. Mitkey. Non der luna o morte, ma der luna und morte, oppure magari ein sikuro ritorno sulla Terra. Fedi, mein povero pikkolo Mitkey. der luna ncin fatta di formagghio verde, und ankhe se lo fosse tu non fivresti per manghiarlo perché non c’è appastanza atmosfera per farti scentere sano und salvo und con i tuoi paffi ankora interi.

— Und allora perkhé. potresti khiedere. ti ci mando? Perkhé der razzo forse non raggiungerà felocità di fuga. Und in kvesto kaso è ankora un experimento, però diferso. Der razzo, se non arrifa su der luna, rikade su der terra, no? Und in kvesto kaso certi istrumenti ci taranno altre informazioni su kvel khe c’è in der spazio. Und tu ci tarai informazioni, sekondo khe sarai fivo o no. se der ammortizzatori und der ali sono suffizienti in vun’atmosfera ekvivalente a kvella terrestre. Rapisci?

— Poi. kvando manteremo razzi a Venere, tove forse exsiste vun’atmosfera, afremo dati per kalkolare der krandezza nezessaria di ali und ammortizzatori, no? Und in entrampi i kasi, und sia khe tu ritorni o no, Mitkey, tu difenterai famoso! Sarai der prima kreatura fivente a uscire da der stratosfera di der terra, in der spazio.

— Mitkey, tu difenterai der Topo Stellare! Ti infidio, Mitkey, und forrei essere di tua krandezza, kosì potrei antare ank’io.

Der tag, e lo sportello del compartimento si chiuse. — Addio, pikkolo Mitkey Mouse. — Oscurità. Silenzio. Frastuono!

— Der razzo… se non arriferà a der luna, rikadrà su der terra, no? — Era ciò che pensava il professore. Ma i piani migliori dei topi e degli uomini, come dice il proverbio, spesso non vanno come dovrebbero. Persino i piani di topi stellari.

E tutto a causa di Prxl.

Herr Professor si sentiva molto solo. Dopo aver avuto Mitkey con cui parlare, adesso i soliloqui gli sembravano vacui e inadeguati.

Forse qualcuno affermerà che la compagnia di un topolino grigio e un ben misero surrogato di una moglie; ma altri, forse, dissentiranno. E del resto, il professore non aveva mai avuto moglie e aveva avuto un topo con cui parlare, quindi ne sentiva la mancanza; mentre, se anche sentiva la mancanza di una moglie, non se ne accorgeva.

Durante la lunga notte dopo il lancio del razzo, il professore aveva avuto parecchio da fare con il suo telescopio, un simpatico riflettore da otto pollici, per controllare la rotta del veicolo che accelerava. Le espio sioni uscite dagli ugelli tracciavano un minuscolo, fluttuante punto luminoso che era possibile seguire, se si sapeva dove cercarlo.

Ma il giorno dopo sembrava che non ci fosse niente da fare, e il professore era troppo agitato per dormire, per quanto ci provasse. Quindi pervenne a un compromesso, mettendo un po’ in ordine la casa, pulendo pentole e tegami. E mentre stava lavorando, senti una serie di squittii e scopri che un altro topolino grigio, con i baffi più corti e la coda più corta di Mitkey. era entrato nella trappola.

— Bene, bene. — disse il professore. — Khe kosa appiamo kvi? Minnie? Minnie è fenuta a zerkare suo Mitkey?

Il professore non era un biologo, ma questa volta aveva ragione. Era davvero Minnie. O meglio, era la compagna di Mitkey. quindi il nome era adatto. Il professore non sapeva quale capriccio strano l’avesse spinta a entrare nella trappola priva di esca: ma era felice. Rimediò prontamente alla carenza dell’esca infilando attraverso le sbarre un cospicuo pezzetto di formaggio.

E così fu che Minnie prese il posto del consorte viaggiatore quale con fidente di Herr Professor.

Era impossibile capire se era preoccupata o no per la sua famiglia: ma non aveva motivo di stare in pensiero, perché la sua figliolanza era ormai cresciuta quanto bastava per arrangiarsi, dato soprattutto che quella casa offriva numerosi rifugi e un facile accesso al frigorifero.

— Ah. und atesso è appastanza skuro, Minnie, perkhé possiamo zerkare di federe tuo marito. La sua trazzia luminosa attraverso der zielo. È fero. Minnie, è una trazzia luminosa molto esile und der astronomi non la noteranno, perché non sanno tove zerkare. Ma noi si.

— Lui difenterà vun topo molto famoso. Minnie, il nostro Mitkey. kvando tiremo a der mondo di lui e di mein razzo. Fedi, Minnie, noi non l’appiamo ankora detto. Aspetteremo per rakkontare tutta der storia in ein folta. Entro l’alpa di domani noi…

— Ah, ekkolo, Minnie! La trazzia è fioka, ma c’è. Ti akkosterei a der teleskopio per farti federe, ma non sarebbe a fuoko per tuoi occhi, und io non so kome fare…

— Kvasi zentomila mighlia, Minnie, und sta ankora axselerando, ma non per molto. Il nostro Mitkey è in orario; anzi, fiaggia più feloce che afevamo pensato, no? Ormai è sikuro che sfugghirà a der gravità di terra, und cadrà su der luna!

Naturalmente, fu una semplice coincidenza che Minnie squittisse.

— Ah, si, Minnie, pikkola Minnie, lo so. Non rifedremo più il nostro Mitkey, und kvasi forrei che nostro experimento fosse fallito. Ma ci saranno kompensazioni. Minnie. Lui difenterà der più famoso di tutti i topi. Der Topo Stellare! Der prima kreatura fivente mai uscita da der aktra zione gravitazionale di terra!

La notta fu lunga. Di tanto in tanto le nubi altissime oscuravano la visibilità.

— Minnie, ti sistemerò più komodamente khe in kvella pikkola gabbia metallika. Ti piacerebbe se ti sembrasse di essere lipera, no, senza sparre, come der animali in zoo moterni, khe hanno inveze i fossati?

E così, per far trascorrere un’ora mentre una nube oscurava il cielo. Herr Professor fece una casa nuova per Minnie. Era il fondo di una cassa di legno, spesso un centimetro e di trenta centimetri per trenta, piazzato sul tavolo, e senza barriere visibili.

Ma il professore copri la base, agli orli, con una sottile lamina metallica, e piazzò la tavola su una più grande, con una striscia di metallo che circondava la casa-isola di Minnie. E dalle due aree delle lamine c’erano fili che arrivavano ai poli opposti di un piccolo trasformatore.

— Und atesso. Minnie, ti metterò su tua isola, khe rifornirò appondantemente di formagghio und akvua, und fedrai che sarà un posto excellente per fiverci. Però ti prenterai una legghera skossa quando zerkerai di uscire da der isola. Non ti farà male, ma a te non piazerà, und dopo kvalkhe tentativo imparerai a non farlo più. no? Und…

Di nuovo la notte.

Minnie era felice sulla sua isola, e aveva imparato la lezione. Non metteva più zampa sulla striscia metallica interna. Comunque, quell’isola era un paradiso per topi. C’era un pezzo di formaggio più grosso di Minnie. che la teneva molto occupata. Topolina e formaggio: e ben presto l’una sarebbe stata la trasmutazione dell’altro.

Ma il professor Oberburger non pensava a questo. Il professore era preoccupato. Quando ebbe fatto e rifatto i suoi calcoli ed ebbe puntato il suo riflettore da otto pollice attraverso il foro nel tetto ed ebbe spento le luci…

Sì, dopotutto la condizione di scapolo aveva i suoi vantaggi. Se uno vuole un buco nel tetto, pratica semplicemente un buco nel tetto, e nessuno gli dice che è pazzo. Se arriva l’inverno o se piove, si può sempre chiamare un carpentiere o usare un telone impermeabile.

Ma la fioca traccia luminosa non c’era. Il professore aggrottò la fronte e rifece i calcoli e li rifece ancora una volta e spostò il telescopio di tre decimi di minuto, ma non inquadrò il razzo.

— Minnie. c’è kvalkosa khe non va. O der ugelli hanno smesso di emettere fuoko, oppure…

Oppure il razzo non viaggiava più in linea retta rispetto al punto di partenza. Per linea retta, ovviamente, s’intende parabolicamente curva rispetto a tutto quanto, esclusa la velocità.

Perciò Herr Professor fece l’unica cosa che gli restava ancora da fare e cominciò a cercare con il telescopio, in cerchi sempre più ampi. Impiegò due ore prima di trovarlo, già fuori rotta di cinque gradi, e stava deviando sempre di più in una… Beh. c’era un solo modo per descriverlo. Una spirale.

Quel maledetto coso stava girando in cerchio, un cerchio che sembrava costituire un’orbita intorno a qualcosa che non poteva esserci. K il cerchio si andava restringendo in una spirale.

Poi… più niente. Sparito. Tenebra. Più niente fiamme del razzo.

Pallidissimo, il professore si rivolse a Minnie.

— È impossibile, Minnie. Lo fedo con mein okkhi, ma non è possipile. Ankhe se ha smesso di emettere fuoko da ein parte, non poteva kominziare a girare in zerchio. — Fece altri calcoli con la matita, e trovò la conferma dei suoi sospetti. — Und, Minnie, ha dezelerato assai più di kvanto era possipile. Ankhe mitt nessun ugello azzeso, der slanzio dofeva portarlo…

Il resto della notte — fra telescopio e calcoli — non forni nessuna indicazione. Cioè, nessuna indicazione credibile. Una forza non inerente al razzo, e non spiegabile con la gravità, neppure con la gravità di un corpo celeste ipotetico, era entrata in azione.

— Mein povero Mitkey.

L’alba grigia, imperscrutabile. — Mein Minnie, dofrà rimanere ein sekreto. Non oseremo pubblikare kvello khe abbiamo fisto, perkhé nessuno lo krederebbe. Non sono sikuro di krederlo neppure io, Minnie. Forse perkhé era troppo stanko per non afer dormito. Ho immaghinato kvello che ho fisto…

Più tardi: — Ma, Minnie. kontinueremo a sperare. A zentozinquantamila mighlia di distanza, era. Rikadrà su der terra. Ma non posso tire dote! Kredevo che se fosse suksesso. io afrei potuto kalkolare sua rotta und… Ma dopo kvei zerkhi conzentrizi, Minnie… neppure Einstein potrebbe kalkolare dofe atterrerà. Neppure io. Tutto kvel khe possiamo fare è spe rare che ferremo a sapere dofe kadrà.

Una giornata nuvolosa. Una notte nera, gelosa dei propri misteri.

— Minnie. Il nostro povero Mitkey. Non c’è niente khe potrebbe afer kauzato…

Ma qualcosa l’aveva causato.

Prxl.

Prxl è un asteroide. Gli astronomi terrestri non lo chiamano così perché — per ragioni validissime non lo hanno scoperto. Quindi noi lo chiameremo con la translitterazione più prossima a quella usata dai suoi abitanti. Sì. è abitato.

Ora che ci penso, il tentativo di inviare un razzo sulla luna, da parte del professor Oberburger. diede alcuni risultati strani. O meglio, li diede Prxl.

Non pensereste che un asteroide possa convertire un ubriacone, no? Ma un certo Charles Winslow, un bevitore inveterato di Bridgeport. Connecticut, non bevve mai più un sorso da quando — proprio su Grove Street — un topolino gli chiese la strada per Harford. Il topolino indossava un paio di calzoncini rossi e guanti giallovivo…

Ma questo avvenne quindici mesi dopo che il professore perse il suo razzo. Sarà bene ricominciare.

Prxl è un asteroide. Uno di quei disprezzati corpi celesti che gli astronomi terrestri chiamano guastafeste del cielo, perché quei maledetti così lasciano sulle lastre fotografiche tracce che confondono le osservazioni, assai più importanti, delle novae e delle nebulose. Cinquantamila pulci sul cane scuro della notte.

Quasi tutti sono piccolissimi. Gli astronomi hanno scoperto di recente che alcuni si avvicinano alla Terra. Si avvicinano sorprendentemente. Vi fu un notevole scalpore quando nel 1932 Amor passò a meno di dieci milioni di miglia: astronomicamente, una collisione mancata di poco. Poi Apollo ridusse la distanza quasi a metà, e nel 1936 Adone passò a meno d’un milione e mezzo di miglia.

Nel 1937 Hermes passò a meno di mezzo milione di miglia, ma gli astronomi si agitarono sul serio quando calcolarono l’orbita e scoprirono che quel piccolo asteroide lungo un miglio può arrivare a meno di duecentomila miglia dalla Terra, addirittura più vicino della luna.

Un giorno o l’altro può darsi che si agitino ancora di più, se e quando avvisteranno l’asteroide Prxl, lungo tre ottavi di miglio, mentre transita attraverso la luna, e scopriranno che spesso arriva appena a centomila miglia dal nostro vorticante pianeta.

Potranno scoprirlo soltanto nell’eventualità di un transito, comunque, perché Prxl non riflette la luce. O almeno, non la riflette più da diversi milioni di anni, da quando i suoi abitanti lo ricoprirono di un pigmento nero che assorbe la luce e che fu estratto dalle sue viscere. Fu un compito monumentale, dipingere un mondo, per essere alti un centimetro. Però ne valeva la pena, a quel tempo. Quando ne ebbero spostato l’orbita, furono al sicuro dai loro nemici. I nemici, a quei tempi, erano giganti… i pirati di Deimos, alti venti centimetri. Arrivarono persino sulla Terra, un paio di volte, prima di uscire di scena. Erano piccoli, simpatici giganti che uccidevano per il gusto di farlo. I documenti che esistono nelle città ormai sepolte di Deimos potrebbero spiegare che cosa accadde ai dinosauri. E perché i Cro-Magnon. che promettevano così bene, scomparvero al culmine della loro promessa pochi minuti cosmici dopo l’estinzione dei dinosauri.

Ma Prxl sopravvisse. Il minuscolo mondo non rifletteva più i raggi solari, e i massacratori cosmici lo persero per sempre di vista, quando la sua orbita fu modificata.

Prxl. Ancora civile, con una civiltà vecchia di milioni di anni. Il rivestimento nero veniva conservato e rinnovato regolarmente, più in omaggio alla tradizione che per paura dei nemici, in quei tempi tardi e degenerati. Una civiltà possente ma stagnante, rimasta immobile su un mondo che sfreccia come un proiettile.

E Mitkey Mouse.

Klarloth, scienziato capo d’una razza di scienziati, batté su quella che avrebbe potuto essere la spalla del suo assistente Bemj, se Bemj avesse avuto le spalle. — Guarda, — disse, — che cosa si sta avvicinando a Prxl. Evidentemente la propulsione è artificiale.

Bemj guardò lo schermo a muro, quindi diresse un’onda-pensiero verso il meccanismo che aumentò l’ingrandimento di mille volte, mediante un’alterazione del campo elettronico.

L’immagine sussultò, si confuse, poi si consolidò. — Artificiale, — disse Bemj. — Estremamente rudimentale, devo dire. Un razzo primitivo, alimentato con combustibile esplosivo. Aspetta. Controllerò da dove arriva.

Lesse i dati sui quadranti intorno allo schermo e li scagliò, sotto forma di pensieri, verso la psicobobina del computer, poi attese mentre quella macchina complicatissima assimilava tutti i fattori e preparava la risposta. Quindi, impaziente, mise la propria mente in contatto con il proiettore. Anche Klarloth ascoltò quella trasmissione silenziosa.

L’esatto punto sulla Terra e l’esatta ora della partenza. Un’espressione intraducibile della curva della traiettoria, e il punto della curva in cui il veicolo era stato deviato dall’attrazione gravitazionale di Prxl. La destinazione — o almeno, la destinazione presunta d’origine — era evidente: la luna della Terra. Poi, il tempo e il luogo dell’arrivo su Prxl, se l’attuale rotta del razzo fosse rimasta immutata.

— La Terra, — disse pensieroso Klarloth. — Erano ancora molto lontani dal volo spaziale, l’ultima volta che lì abbiamo controllati. Non c’era in corso una specie di crociata, una guerra religiosa?

Bemj annui. — Catapulte. Archi e frecce. Hanno fatto un bel passo avanti, da allora, anche se questo razzo è soltanto un ordigno sperimentale primitivo. Dobbiamo distruggerlo prima che arrivi qui?

Klarloth scosse il capo. — Osserviamolo bene. Potrebbe risparmiarci un viaggio fino alla Terra: giudicheremo il loro stato attuale di evoluzione basandoci sul razzo.

— Ma allora dovremo…

— Certamente. Chiama la Stazione, di’ loro che puntino gli attratto-repulsori sul razzo e lo inseriscano in un’orbita temporanea, mentre preparano un supporto per l’atterraggio. E che non dimentichino di neutralizzare l’esplosivo, prima di farlo scendere.

— Un campo di forza temporaneo intorno al punto d’atterraggio… per ogni eventualità?

— Naturalmente.

Perciò, nonostante l’assenza quasi totale di un’atmosfera che avrebbe permesso alle ali di funzionare, il razzo atterrò sano e salvo, e così dolcemente che Mitkey, nel compartimento buio, notò soltanto che il baccano tremendo era cessato.

Mitkey si senti meglio. Mangiò ancora un po’ del formaggio che abbondava nel suo compartimento. Poi riprese i tentativi di aprirsi un varco con i denti nel legno spesso due centimetri che rivestiva quel vano. Quel rivestimento di legno era stato un premuroso pensiero di Herr Professor per la tranquillità mentale di Mitkey. Sapeva che, cercando di rosicchiarlo per uscirne, Mitkey avrebbe avuto qualcosa da fare durante il viaggio e non sarebbe diventato isterico. L’idea aveva funzionato: indaffaratissimo, Mitkey non aveva sofferto mentalmente per la reclusione al buio. E adesso che c’era silenzio, rosicchiò più industriosamente e allegramente che mai, subliminalmente inconsapevole che, quando avesse finito di rosicchiare il legno, avrebbe trovato soltanto il metallo che non poteva rodere.

Ma anche persone assai migliori di Mitkey hanno trovato spesso cose troppo dure per i loro denti.

Nel frattempo Klarloth, Bemj e molte altre migliaia di prxliani stavano a guardare l’enorme razzo che, sebbene fosse posato sul fianco, torreggiava altissimo sopra le loro teste. Alcuni dei più giovani, dimentichi dell’invisibile campo di forza, si avvicinarono troppo e tornarono indietro massaggiandosi la testa ammaccata.

Klarloth s’era piazzato davanti allo psicografo.

— C’è vita, nel razzo, — disse a Bemj. — Ma le impressioni sono confuse. C’è un solo essere, ma non riesco a seguire i suoi processi di pensiero. In questo momento, sembra che stia facendo qualcosa con i denti.

— Non può essere un terrestre, un membro della razza dominante. Sono molto più grossi di questo razzo enorme. Esseri giganteschi. Forse, incapaci di costruire un razzo abbastanza grande per contenere uno di loro, hanno inviato un animale sperimentale, come i nostri woorath.

— Credo che la tua intuizione sia esatta, Bemj. Bene, quando avremo esplorato la sua mente, potremo comunque apprendere abbastanza per risparmiarci un viaggio d’accertamento alla Terra. Aprirò il portello.

— Ma l’aria… gli esseri terrestri hanno bisogno di un’atmosfera pesante, quasi densa. Non potrebbe sopravvivere.

— Manterremo il campo di forza, naturalmente, e tratterrà l’aria. Ovviamente c’è un apparecchio che fornisce l’aria all’interno del razzo, altrimenti l’essere non sarebbe sopravvissuto al viaggio.

Klarloth azionò i comandi, e il campo di forza estromise pseudopodi invisibili e girò il portello a vite esterno, poi si insinuò e aprì il portello interno che comunicava con il compartimento.

Tutti i prxliani osservarono trattenendo il respiro, quando una mostruosa testa grigia apparve nell’enorme apertura, lassù. Baffi folti, ognuno dei quali era lungo quanto il corpo di un prxliano…

Mitkey saltò giù, avanzò di un passo e andò a sbattere duramente il naso nero… contro qualcosa che non c’era. Squittì, e balzò indietro, contro il razzo.

Bemj alzò lo sguardo verso il mostro. — Evidentemente è molto meno intelligente di un woorath. Tanto vale attivare il raggio.

— No certo, — l’interruppe Klarloth. — Tu dimentichi certi fatti chiarissimi. L’essere non è intelligente, è ovvio, ma il subconscio di ogni animale conserva ogni impressione, ogni immagine sensoriale che ha ricevuto. Se questo essere ha avuto modo di udire il linguaggio dei terrestri, o ha visto qualcuna delle loro opere, oltre a questo razzo, ogni parola e ogni immagine gli sono rimaste impresse incancellabilmente. Capisci che cosa intendo?

— Certo. Che stupido sono stato, Klarloth. Bene, una cosa possiamo dedurla dallo stesso razzo: non avremo nulla da temere dalla scienza terrestre, almeno per qualche millennio. Quindi non c’è fretta, ed è una vera fortuna. Perché far ritornare la memoria dell’essere al tempo della nascita, e seguire ogni impressione sensoriale attraverso lo psicografo… ecco, occorrerà un tempo equivalente almeno all’età dell’essere, quale che sia, più il tempo che ci sarà necessario per interpretarle e assimilarle.

— Ma questo non sarà necessario, Bemj.

— No? Oh, vuoi dire le onde X-19?

— Precisamente. Puntate sul centro cerebrale dell’essere, possono, senza alterare i suoi ricordi, venire regolate delicatamente in modo di accrescere la sua intelligenza — ora senza dubbio intorno al valore di 0,0001 — fino al punto di renderlo ragionante. Quasi automaticamente, durante il processo, assimilerà i propri ricordi, e li comprenderà come li comprenderebbe se fosse stato intelligente al tempo in cui ha ricevuto quelle impressioni.

— Capisci, Bemj? Scarterà automaticamente i dati non pertinenti e potrà rispondere alle nostre domande.

— Ma vorresti renderlo intelligente quanto…?

— Quanto noi? No, le onde X-19 non avrebbero un simile effetto. Direi che arriverebbe a un valore di 0,2. E questo, a giudicare dal razzo e da ciò che ricordiamo dei terrestri dal nostro ultimo viaggio sul pianeta, è all’incirca il loro posto attuale sulla scala dell’intelligenza.

— Uhm, si. Su quel livello, lui comprenderebbe le sue esperienze sulla Terra quanto basta per non diventare pericoloso per noi. Eguale a un terrestre intelligente.

Andrebbe benissimo per il nostro scopo. Allora, gli insegneremo la nostra lingua?

— Aspetta, — disse Klarloth. Studiò attentamente lo psicografo per qualche istante. — No, non credo. Avrà un suo linguaggio. Vedo, nel suo subconscio, i ricordi di molte, lunghe conversazioni. Stranamente, sembrano tutti monologhi di una sola persona. Ma avrà un linguaggio… molto semplice. Impiegherebbe un tempo lunghissimo, anche con l’aiuto di un trattamento, per afferrare i concetti del nostro metodo di comunicazione. Però noi possiami imparare il suo, mentre viene sottoposto alla macchina X-19, in pochi minuti.

— Adesso capisce quella lingua?

Klarloth studiò di nuovo lo psicografo. — No, non credo che… Aspetta, c’è una parola che sembra significare qualcosa, per lui. La parola ‘Mitkey’. Sembra che sia il suo nome e ritengo che, avendola sentita molte volte, l’associ vagamente a se stesso.

— E ci vorrà un alloggio per lui… con portelli stagni e camere di compensazione e tutto il resto?

— Naturalmente. Dai l’ordine di costruirlo.

Dire che per Mitkey fu un’esperienza strana è dir poco. La conoscenza è una cosa strana, anche quando viene acquisita gradualmente. Ma vedersela imposta così all’improvviso…

E c’erano tante piccole cose da risolvere. Per esempio, il problema delle corde vocali. Le sue non erano adatte alla lingua che adesso scopriva di sapere. Bemj sistemò tutto: non si poteva neppure parlare di un’operazione perché Mitkey — anche con la sua nuova sensibilità — non comprese che cosa succedesse, sebbene rimanesse ben sveglio. E i prxliani non spiegarono a Mitkey la dimensione J, attraverso la quale si può arrivare all’interno delle cose senza penetrarne l’esterno.

Idearono molte cose che non rientravano nella linea di Mitkey, e del resto erano interessati a imparare da lui, più che a’d insegnargli. Bemj e Klarloth e una dozzina d’altri ebbero quel privilegio. Facevano a turno per parlargli.

Le loro domande favorivano la sua crescente comprensione. Di solito, lui non sapeva di conoscere la risposta a una domanda, fino a quando non gli veniva rivolta. Allora, senza sapere come facesse (come voi ed io non sappiamo come conosciamo le cose), metteva insieme tutto quanto e rispondeva.

Bemj: — La linghua khe parli è unifersale?

E Mitkey, sebbene prima non ci avesse mai pensato, aveva la risposta pronta: — No, non lo è. È ingleze, ma io rikordo der Herr Professor khe parlafa di altre linghue. Kredo khe in orighine lui ne parlasse ein altra, ma in Amerika parlafa sempre ingleze per familiarizzarsi. È vuna linghua pellissima, no?

— Uhm, — disse Bemj.

Klarloth — Und der tua razza, i topi. Fengono trattati bene?

— Da kran parte della gente, no, — risposte Mitkey, e spiegò.

— Mi piazerebbe fare kvalkosa per loro, — aggiunge. — Sentite, non potrei riportare intietro mitt me kvesto prozesso khe afete adoperato? Potrei applikarlo aghli altri topi, und kreare una razza di supertopi.

— Perkhé no? — disse Bemj.

Vide che Klarloth lo guardava in modo strano, e mise la propria mente in contatto con quella dello scienziato capo, escludendo Mitkey dalla comunicazione silenziosa.

— Sì, certo, — disse Bemj a Klarloth, — causerebbe guai sulla Terra, guai seri. Due classi eguali di esseri, dissimili come i topi e gli uomini, non possono coesistere pacificamente. Ma perché dovremmo preoccuparcene? A noi sarebbe utile. Il caos risultante rallenterà il progresso sulla Terra… ci darà qualche altro millennio di pace, prima che i terrestri scoprano la nostra presenza e vengano a darci fastidio. Sai bene come sono, quelli.

— Ma tu vorresti dar loro le onde X-19? Potrebbero…

— No, naturalmente no. Ma possiamo spiegare a Mitkey come costruire per loro una macchina molto rudimentale e limitata. Una macchina primitiva, che basti appena a elevare la mentalità dei topi dallo 0,0001 allo 0,2, il livello attuale di Mitkey e dei bipedi terrestri.

— È possibile, — comunicò Klarloth. — È certo che ancora per molti eoni non riusciranno a comprendere il principio fondamentale.

— Ma non potrebbero servirsi anche d’una macchina rudimentale per elevare il loro livello d’intelligenza?

— Tu dimentichi, Bemj, la limitazione fondamentale dei raggi X-19; nessuno può progettare un proiettore capace di innalzare una mentalità a un punto della scala più elevata della propria. Non lo possiamo neppure noi.

Tutto questo dialogo, naturalmente, si svolse all’insaputa di Mitkey, in prxliano silenzioso.

Altri colloqui e altri ancora.

Di nuovo Klarloth: — Mitkey, dobbiamo affertirti di ein kosa. Efita oghni imprutenza mitt l’elettricità. Der nuova disposizione molekolare del tuo zentro zerebrale… è instapile und…

Bemj: — Mitkey, sei sikuro che der tuo Herr Professor sia der più avanzato tra kvelli khe fanno experimenti mitt der razzi?

— In zenerale, sì, Bemj. Ci sono altri khe su argomenti spezifizi, come explosivi, matematika, astrofisika, possono saperne di più, ma non molto. Und in kvanto a kombinare kveste konoscenze, lui è molto più afanti.

— Kosì fa bene, — disse Bemj.

Un topolino grigio che torreggiava come un dinosauro sui prxliani alti un centimetro. Sebbene fosse un essere mite, Mitkey avrebbe potuto uccidere a morsi ognuno di loro. Ma naturalmente non gli passò mai per la mente, e loro non temevano che potesse farlo.

Lo frugarono mentalmente. Lo studiarono anche fisicamente, ma attraverso la dimensione J, e Mitkey non se ne accorse neppure.

Scoprirono come funzionava il suo organismo e scoprirono tutto ciò che lui sapeva, più varie cose che lui non immaginava neppure di sapere. E si affezionarono a lui.

— Mitkey, — disse un giorno Klarloth, — tutte der razze zivili su Terra portano intumenti, vero? Bene, se tu tovrai elefare der livello dei topi all’altezza deghli uomini, non sarebbe loghico khe ankhe tu portassi festiti?

— Un’excellente idea, Herr Klarloth. Und so ankhe kome dofrei festirmi. Herr Professor una folta mi ha mostrato il diseghno di ein topo dipinto da der artista Dissney, und der topo portava festiti. Der topo non era proprio fero, ma ein topo immaghinario in una fafola, und der Professor ha khiamato me Mitkey kome der topo di Dissney.

— Khe ghenere di festiti, Mitkey?

— Kalzonzini rossi mitt due krandi pottoni gialli dafanti und due dietro, un skarpe gialle per zampe di dietro und ghuanti gialli per zampe dafanti. Und un buko in der fonto di kalzonzini per far passare der koda.

— D’akkordo, Mitkey, saranno pronti in zinkve minuti.

Era la vigilia della partenza di Mitkey. All’inizio, Bemj aveva proposto di attendere il momento in cui l’orbita eccentrica di Prxl avrebbe riportato il loro mondo a centocinquantamila miglia dalla Terra. Ma, come fece osservare Klarloth, questo sarebbe avvenuto di lì a sessantacinque anni terrestri, e Mitkey non sarebbe vissuto tanto. A meno che loro… E Bemj ammise che non potevano correre il rischio di inviare sulla Terra un simile segreto.

Quindi trovarono un compromesso: rifornirono il razzo di Mitkey con un combustibile in grado di annullare il milione e duecentomila miglia che avrebbe dovuto percorrere. Non dovevano preoccuparsi di quel segreto, perché il combustibile si sarebbe consumato tutto prima che il razzo atterrasse.

Il giorno della partenza.

— Noi appiamo fatto del nostro meghlio, Mitkey, per regholare der razzo in modo khe atterri nel posto da dofe sei partito. Ma non puoi pretentere krande prezisione da ein fiaggio tanto lungo. Komunkvue, atterrerai vizino. Il resto tokka a te. Appiamo ekvipaggiato der razzo per oghni contingenza.

— Grazie, Herr Klarloth, Herr Bemj. Addio.

— Addio, Mitkey. Ci dispiazie perderti.

— Addio, Mitkey.

— Addio, addio…

Per un viaggio di un milione, e duecentocinquantamila miglia, la mira era straordinariamente precisa. Il razzo atterrò nel Long Island Sound, dieci miglia al largo di Brideport, circa sessanta miglia dalla casa del professor Oberburger, che si trovava presso Hartford.

I prxliani avevano preparato tutto per un ammaraggio, naturalmente. Il razzo scese verso il fondo, ma prima che scendesse a più di quattro metri, Mitkey aprì il portello — appositamente modificato perché potesse aprirlo dall’interno — e uscì.

Sopra gli abiti normali portava uno scafandro da palombaro che l’avrebbe protetto a qualunque profondità ragionevole e che, essendo più leggero dell’acqua, lo portò rapidamente a galla, dove lui poté aprire il casco.

Non aveva viveri sintetici sufficienti per una settimana, ma non era necessario. Il battello notturno che arrivava da Boston lo portò a Bridgeport, aggrappato alla catena dell’ancora, e quando fu in vista della terraferma si tolse lo scafandro e lo lasciò andare a fondo, dopo aver perforato i minuscoli scompartimenti pneumatici che lo facevano galleggiare, come aveva promesso a Klarloth.

Quasi istintivamente, Mitkey sapeva che avrebbe fatto bene ad evitare gli esseri umani prima di aver raggiunto il professor Oberburger e di avergli raccontato la sua storia. Il pericolo più grave fu rappresentato dai ratti, sul molo dove arrivò a nuoto. Erano dieci volte più grossi di Mitkey e avevano certi denti che avrebbero potuto farlo a pezzi in due morsi.

Ma la mente ha sempre trionfato sulla materia. Mitkey puntò imperiosamente un guanto giallo e ordinò: — Sparite, — e i ratti sparirono. Non avevano mai visto niente che somigliasse a Mitkey, ed erano molto impressionati.

E rimase molto impressionato anche l’ubriaco al quale Mitkey chiese la strada per Harford. Fu l’unica volta che Mitkey tentò una comunicazione diretta con esseri umani sconosciuti. Naturalmente, prese tutte le precauzioni. Gli parlò da una posizione strategica a pochi centimetri da un buco nel quale avrebbe potuto eventualmente scappare. Ma fu l’ubriaco a scappare, senza neppure rispondere alla domanda di Mitkey.

Comunque, arrivò a Hartford. Andò a piedi fino al lato nord della città e si nascose dietro un distributore fino a quando sentì un automobilista, fermatosi per far benzina, domandare la strada per Hartford. E quando la macchina riparti, Mitkey era salito clandestinamente a bordo.

Il resto non fu difficile. I calcoli dei prxliani avevano dimostrato che il punto di partenza del razzo era cinque miglia terrestri a nord-ovest di quella che appariva come una città sulle loro mappe telescopiche e grazie ai soliloqui del professore, Mitkey sapeva che quella era Hartford. E arrivò

— Salfe, professore.

Herr Professor Oberburger alzò gli occhi, sbalordito. Non c’era nessuno. — Kosa? — domandò all’aria. — Khi è?

— Sono io, professore. Mitkey, der topo khe lei ha mantato sulla luna. Ma non ci sono antato. Infece, sono…

— Kosa??? È impossipile. Kvalkuno fuol farmi ein skerzo. Ma… ma nessuno sa di der razzo. Kvando ha fallito, io non l’ho detto a nessuno. Io zoltanto so…

— E io, professore.

Herr Professor sospirò pesantemente. — Ho laforato troppo. Sto difentando matto…

— No, professore. Sono proprio io. Mitkey. Atesso posso parlare. Exsattamente kome lei.

— Dici khe puoi… non lo kredo. Perkhé non posso federti, allora? Dofe sei? Perkhé non…

— Sono naskosto, professore, in der muro dietro der krosso buko. Folevo essere sikuro khe tutto fosse a posto prima di farmi federe. Kosì lei non si sarebbe aghitato und non mi avrebbe tirato dietro kvalkosa.

— Kome? Oh, Mitkey, se sei proprio tu e se io non soghno o non sto ammattendo… Oh, Mitkey, kome puoi penzare khe ti farei una kosa zimile?

— D’akkordo, professore.

Mitkey uscì dal buco, e il professore lo guardò e si strofinò gli occhi, lo guardò di nuovo e si strofinò gli occhi e…

— Sono pazzo, — disse alla fine. — Lui porta der kalzonzini rossi und der guanti… Non è possibile. Sono pazzo.

— No, professore. Mi askolti, le rakkonterò tutto.

E Mitkey raccontò.

— Sì, professore, la kapisko. Lei penza khe una razza intellighente di topi und una razza intellighente di uomini non possono koesistere fianko a fianko. Ma non sarebbero fianko a fianko: kome ho detto, c’è zoltanto pokhissima gente in der pikkolo kontinente di Australia. Und kosterebbe molto poko riportare via tutti kvanti und konseghnare der kontinente a noi topi. Noi lo khiameremmo Topalia inveze di Australia, und chiameremmo der kapitale Dissney inveze di Sydney, in onore di…

— Ma, Mitkey…

— Ma, professore, penzi a kvello che noi offriamo in cambio di kvel kontinente. Tutti i topi andrebbero là. Ne zivilizziamo alkuni und kvelli ci aiutano a premerne altri und a portarli sotto la makkhina di derraggio rosso, und ghli altri ci aiutano a catturarne ankora und a kostruire altre makkhine und sarà kome l’effetto di ein valangha khe rotola giù da ein kollina. Und noi firmeremo ein patto di non aggressione mitt umani und resteremo in Topalia und coltiferemo la terra per rikavare il cibo und…

— Ma, Mitkey…

— Und pensi a kvello khe offriamo in kambio, Herr Professor! Extermineremo i fostri peggiori nemizi… der ratti. Non piazziono neppure a noi. Und ein battaglione di mille topi, armati mitt maskhere antigas und pikkole bombe a gas, potrebbero entrare in oghni tana per exterminare oghni ratto in ein città in ein giorno o due. In der mondo intero, potremmo exterminare oghni ratto in ein anno, und nel contempo potremmo katturare und zivilizzare oghni topo und spedirlo in Topalia und…

— Ma, Mitkey…

— Kosa, professore?

— Funzionerebbe, ma non funzionerebbe. Voi potreste exterminare der ratti, si. Ma kvanto tempo passerebbe prima che i konflitti d’interesse spingessero der topi a zerkare di exterminare der umani o der umani a zerkare di exterminare der…

— Non oserebbero, professore! Noi potremmo kostruire armi khe…

— Kapisci, Mitkey?

— Ma non suzzederebbe. Se ghli uomini rispetteranno i nostri diritti, noi…

Herr Professor sospirò.

— Io… io ti farò da intermetiario, Mitkey, und exporrò la tua proposta, und… Zerto, è vero che sparazzarci dei ratti sarebbe un krande bene per tutta l’umanità. Ma…

— Grazie, professore.

— A proposito, Mitkey, io ho kvi Minnie. Tua moghlie, immagino khe sia, a meno khe ci fossero altri topi. È in der altra stanza. L’ho messa lì poko prima khe tu arrifassi, perkhé stesse al buio e potesse dormire. Fuoi federla?

— Moghlie? — disse Mitkey. Era passato tanto tempo che aveva dimenticato la famiglia abbandonata per forza. Il ricordo riaffiorò lentamente.

— Bene, — disse. — Uhmm… sì. La prenteremo und io kostruirò in fretta ein pikkolo proiettore X-19 und… Sì, sarà di aiuto per lei in der negoziati mitt der goferni, se saremo parekkhi, kosì potranno federe che io non sono zoltanto un fenomeno fivente come penzerebbero altrimenti.

Non fu una cosa voluta. Non poteva esserlo, perché il professore non sapeva che Klarloth aveva avvertito Mitkey di evitare imprudenze con l’elettricità… — Der nuova disposizione molekolare del tuo zentro zerebrale… è instapile und…

E il professore era ancora nella stanza illuminata quando Mitkey corse in quella buia, dove Minnie stava nella sua gabbia senza sbarre. Lei dormiva, e nel vederla… Il ricordo dei tempi andati ritornò in un lampo, e di colpo Mitkey comprese quanto era stato solo.

— Minnie! — chiamò, dimenticando che lei non poteva capire.

E salì sull’asse dove stava lei. — Squii!! — La leggera corrente elettrica tra le due striscioline metalliche lo colpi.

Per un po’ vi fu silenzio.

Poi… — Mitkey, — chiamò Herr Professor. — Torna indietro und diskuteremo kvesta…

Varcò la soglia e li vide, nella luce grigia dell’alba: due topolini grigi rannicchiati, felici, l’uno accanto all’altro. Non riuscì a distinguerli perché i denti di Mitkey avevano lacerato gli indumenti rossi e gialli che all’improvviso gli erano apparsi strani, soffocanti, fastidiosi.

— Kosa è suzzesso? — chiese il professor Oberburger. Poi ricordò la corrente, e comprese.

— Mitkey! Non puoi più parlare? Der…

Silenzio.

Poi il professore sorrise. — Mitkey, — disse, — mio pikkolo topo stellare. Kredo khe atesso sarai più felize.

Li guardò per un momento, affettuosamente, poi tese la mano e fece scattare l’interruttore per interrompere la barriera elettrica. Naturalmente, non sapevano di essere liberi, ma quando il professore li prese e li posò con delicatezza sul pavimento, uno corse immediatamente verso il buco nella parete. L’altro lo seguì, ma si voltò a guardare indietro… c’era ancora una traccia di perplessità in quegli occhietti neri, una perplessità che si dileguò.

— Addio, Mitkey. Sarai più felize kosì. Und der formaggio non ti mankherà mai.

— Squiik, — disse il topolino grigio, e s’infilò nel buco.

Forse voleva dire — Addio.