Per uno storico del tornare nel passato per vedere come sono andate veramente le cose è un sogno, ed ora è possibile, ma la cattedrale di San Paolo durante i bombardamenti nazisti è considerata un livello dieci di pericolosità.

Vincitore dei premi Hugo e Nebula per il miglior racconto in 1983.

Anche pubblicato come “Squadra antincendio” e “Guardia antincendi”.

Connie Willis

Servizio antincendio

«La storia ha trionfato sul tempo,
sul quale, oltre ad essa,
soltanto l’eternità ha trionfato.»

Sir Walter Raleigh

20 settembre — Naturalmente la prima cosa che ho cercato è stata la lapide commemorativa del servizio antincendi. E naturalmente non c’era ancora. Non era stata inaugurata fino al 1951, con un discorso del molto reverendo decano Walter Matthews, e l’anno era soltanto il 1940. Lo sapevo. Ero andato a vedere la lapide appena ieri, con l’idea infondata che servisse a qualcosa vedere la scena del delitto. Non era servito a niente.

Le sole cose che sarebbero servite erano un corso accelerato su Londra all’epoca del Blitz e un po’ più di tempo. Niente da fare.

— Viaggiare nel tempo non è come prendere la metropolitana, Mr. Bartholomew — aveva detto lo stimato Dunworthy, sbattendo le palpebre dietro gli occhiali antiquati. — O si presenta il venti, o non va affatto.

— Ma non sono pronto — avevo ribattuto. — Senta, ho impiegato quattro anni per prepararmi a viaggiare con San Paolo. San Paolo. Non la cattedrale di San Paolo. Non potete pretendere che mi prepari in due giorni per Londra all’epoca del Blitz.

— Sì — aveva detto Dunworthy. — Possiamo pretenderlo. — Fine della conversazione.

— Due giorni! — avevo gridato alla mia compagna di stanza, Kivrin. — E tutto perché un computer ha fatto un errore. E lo stimato Dunworthy non ha battuto ciglio quando gliel’ho detto. Viaggiare nel tempo non è come prendere la metropolitana, giovanotto — mi fa. — Le consiglio di prepararsi. Partirà dopodomani. Quell’uomo è un incompetente!

— No — aveva risposto lei. — Non lo è. È il migliore che abbiamo qui. È stato lui che ha scritto il libro sulla cattedrale di San Paolo. Forse dovresti ascoltare quello che dice.

Mi ero aspettato che Kivrin mostrasse almeno un po’ di comprensione. Era diventata quasi isterica quando le avevano cambiato la prova pratica dall’Inghilterra del secolo decimoquinto a quella del decimoquarto; e quei due secoli, del resto, che qualifica avevano come prova pratica? Anche tenendo conto delle malattie infettive, non poteva essere più di un cinque. Il Blitz era otto, e San Paolo, con la mia fortuna, era dieci.

— Credi che dovrei andare a parlare di nuovo con Dunworthy? — le ho chiesto.

— Sì.

— E poi? Ho due giorni in tutto. Non conosco la moneta, la lingua, la storia. Niente.

— È un uomo in gamba — ha detto Kivrin. — Credo che faresti meglio ad ascoltarlo finché puoi. — Cara vecchia Kivrin. Sempre così comprensiva.

L’uomo in gamba era responsabile del fatto che fossi lì, appena oltre la porta occidentale spalancata, a guardarmi intorno come il ragazzo di campagna che fingevo di essere, e a cercare una lapide che non c’era. Grazie all’uomo in gamba, ero impreparato per la mia prova pratica per quanto gli era stato possibile rendermi tale.

Non potevo vedere più di qualche metro all’interno della chiesa. Riuscivo a scorgere una candela che brillava fioca in lontananza, e una macchia bianca più vicina che avanzava verso di me. Un sagrestano, o forse il reverendo decano in persona. Ho tirato fuori la lettera dello zio ecclesiastico del Galles che avrebbe dovuto permettermi di farmi ricevere dal decano, e ho battuto la mano sulla tasca posteriore per assicurarmi di non aver perso la microfiche del Dizionario Inglese di Oxford, edizione riveduta con supplementi storici che avevo fregato di nascosto alla Biblioteca Bodleiana. Non potevo tirarla fuori nel bel mezzo della conversazione, ma con un po’ di fortuna avrei potuto sfangarmela durante il primo incontro basandomi sul contesto, e controllare più tardi.

— È dell’aerrepi? — ha chiesto l’uomo. Non era più vecchio di me; era più basso di tutta la testa e molto più magro. Aveva un’aria quasi ascetica. Mi rammentava Kivrin. Non era vestito di bianco; il bianco se lo stringeva al petto. In altre circostanze avrei pensato che fosse un cuscino. In altre circostanze avrei capito quello che mi stava dicendo, ma non avevo avuto il tempo di disimparare il latino sub-mediterraneo e la legge ebraica e di imparare il cockney e i regolamenti in caso d’incursioni aeree. Due giorni, e lo stimato Dunworthy che aveva voglia di parlare dei sacri oneri dello storico anziché spiegarmi cos’era l’aerrepi.

— È così? — ha insistito l’uomo.

Ho pensato di tirar fuori la microfiche, dopotutto, con la scusa che il Galles era un paese straniero, ma non credevo che nel 1940 avessero le microfiche. Aerrepi. Poteva essere qualunque cosa, incluso un nomignolo del servizio antincendio, nel qual caso non era prudente rispondere di no. — No — dissi.

All’improvviso l’uomo è scattato, mi è passato accanto e ha sbirciato dalla porta aperta. — Accidenti — ha detto tornando da me. — Allora dove sono? Che branco di smorfiose borghesi fannullone! — E tanti saluti alla speranza di arrangiarmi con il contesto.

Mi ha squadrato attentamente, insospettito, come se pensasse che mi limitavo a fingere di non essere dell’aerrepi. — La chiesa non è aperta — ha detto finalmente.

Ho mostrato la busta e ho detto: — Mi chiamo Bartholomew. C’è il decano Matthews?

Lui ha guardato fuori dalla porta ancora per un momento come se si aspettasse di veder arrivare da un momento all’altro le fannullone borghesi e avesse intenzione di aggredirle con quel fagotto bianco; poi si è voltato e ha detto, come se fosse un cicerone: — Da questa parte, prego — e si è avviato nell’oscurità.

Mi ha condotto a destra e lungo la corsia sud della navata. Grazie a Dio avevo imparato a memoria la pianta della chiesa, altrimenti in quel momento, avventurandomi nel buio totale, preceduto da un sagrestano farneticante, la bizzarra metafora della mia situazione sarebbe stata sufficiente per indurmi a fuggire dalla porta ovest e a tornare a St. John’s Wood. Mi aiutava un pochino sapere dov’ero. Dovevamo aver superato il numero ventisei, il quadro di Hunt, «La luce del mondo», Gesù con la lanterna. Ma era troppo buio per vederlo. La lanterna avrebbe fatto comodo a noi.

L’uomo si è fermato di colpo davanti a me, continuando a farneticare. — Non avevamo chiesto lo stramaledetto Savoy, ma soltanto qualche branda. Nelson sta meglio di noi… almeno ha un cuscino. — Ha agitato il fagotto bianco come una torcia nella tenebra. Era proprio un cuscino, dopotutto. — Le abbiamo chieste più di due settimane fa, e invece eccoci ancora qui a dormire sui maledetti generali di Trafalgar perché quelle smorfiose vogliono giocare a té e biscotti con i tommies al Victoria, e noi possiamo anche andare al diavolo!

Sembrava che non si aspettasse una mia risposta a quello sfogo, ed era meglio così, perché avevo capito forse una parola-chiave su tre. Lui ha continuato ad avanzare ed è sparito dalla luce dell’unica, patetica candela sull’altare. Si è fermato di nuovo davanti al buco nero. Numero venticinque: la scala per la cosiddetta Whispering Gallery, la Cupola, la biblioteca (non aperta al pubblico). Su per la scala, avanti per un corridoio, nuova fermata davanti a una porta medievale. L’uomo ha bussato. — Devo andare ad aspettarli — ha detto. — Se non mi trovano, sono capaci di portarle all’Abbazia. Preghi il decano di richiamarli di nuovo, per piacere. — E ha ridisceso la scala di pietra, continuando a stringersi il cuscino al petto.

Aveva bussato, ma la porta era almeno una trentina di centimetri di quercia massiccia, ed era evidente che il molto reverendo decano non aveva sentito. Avrei dovuto bussare di nuovo. Sì, bene, e l’uomo che tiene la microbomba deve decidersi a mollarla, ma anche sapere che sarà tutto finito in un momento e non sentirai niente non rende certo più facile dire «Ora!» Perciò sono restato davanti alla porta, maledicendo la facoltà di storia e lo stimato Dunworthy e il computer che aveva commesso un errore e mi aveva portato davanti a quella porta scura, armato esclusivamente della lettera di uno zio fittizio del quale non mi fidavo più di quanto mi fidassi di tutti gli altri.

Persino la vecchia, attendibile Biblioteca Bodleiana mi aveva tradito. Il materiale di ricerca che avevo ordinato tramite Balliol e il terminale probabilmente in quel momento mi stava aspettando in camera mia, lontano un secolo. E Kivrin, che aveva già effettuato la prova pratica e avrebbe dovuto subissarmi di consigli, non aveva fatto altro che gironzolarmi intorno, muta come una santa, mentre io la supplicavo di darmi una mano.

— Sei stato a parlare con Dunworthy? — mi aveva chiesto.

— Sì. Vuoi sapere quale inestimabile informazione aveva da darmi? Il silenzio e l’umiltà sono i sacri oneri dello storico. Inoltre mi ha detto che San Paolo mi sarebbe piaciuto. Auree gemme del maestro. Purtroppo, io ho bisogno di sapere i tempi e i posti delle bombe, in modo che non mi cadano addosso. — Mi ero buttato sul letto. — Hai qualche suggerimento da darmi?

— Sei abile nel recupero della memoria? — aveva chiesto lei.

Mi ero sollevato a sedere. — Piuttosto abile. Credi che dovrei assimilare?

— Non c’è tempo — aveva risposto lei. — Credo che dovresti mettere tutto quello che puoi direttamente a lungo termine.

— Vuoi dire le endorfine? — ho detto.

Il problema più grosso, quando usi le sostanze ausiliarie per la memoria allo scopo di mettere le informazioni nella tua memoria a lungo termine, è che neppure per un microsecondo ti si piazzano nella memoria a breve termine, e questo complica il recupero e lo rende snervante. Ti dà una sconvolgente sensazione di déjà vu sapere all’improvviso qualcosa che sei sicuro di non aver mai visto né sentito.

Ma forse il problema principale, però, non sta nelle sensazioni strane, bensì proprio nel recupero. Nessuno sa esattamente come faccia il cervello a pescare ciò che vuole nel materiale immagazzinato; ma senza il minimo dubbio c’è di mezzo la memoria a breve termine. Il tempo a volte microscopico che un’informazione passa nella memoria a breve termine viene evidentemente usato per qualcosa d’altro, oltre alla disponibilità «sulla punta della lingua». L’intero, complesso procedimento di selezione e archiviazione del recupero è apparentemente incentrato sulla memoria a breve termine; e senza quella, e senza l’aiuto delle sostanze che gliela mettono dentro o dei surrogati artificiali, l’informazione può essere irrecuperabile. Io avevo usato le endorfine per gli esami e non avevo mai avuto difficoltà per il recupero, e sembrava proprio che fosse l’unico modo per immagazzinare tutte le informazioni di cui avevo bisogno nel poco tempo che mi era rimasto; ma voleva anche dire che io non avrei conosciuto mai le cose che dovevo sapere, neppure il tempo sufficiente per dimenticarle. Se e quando sarei riuscito a recuperare le informazioni, le avrei conosciute. Fino a quel momento ero ignorante come se non le avessi immagazzinate in qualche angolo polveroso della mia mente.

— Puoi effettuare il recupero senza bisogno di sostanze artificiali, vero? — mi aveva chiesto Kivrin con aria scettica.

— Credo che dovrò farlo.

— Sotto tensione? Senza dormire? Bassi livelli corporei di endorfine? — Com’era andata esattamente la sua prova pratica? Lei non ne aveva mai parlato e quelli che non sono ancora laureati non possono permettersi di far domande. Fattori di stress nel Medioevo? Credevo che tutti li superassero dormendo.

— Lo spero — ho detto. — Comunque, sono disposto a mettere in Pratica la tua idea se credi che sarà utile.

Lei mi ha guardato con quell’espressione da martire e ha detto: — Niente sarà utile. — Grazie, santa Kivrin di Balliol.

Comunque, ho tentato lo stesso. Era sempre meglio che stare nell’ufficio di Dunworthy ad ascoltarlo mentre lui sbatteva le palpebre dietro gli occhiali storici e mi diceva che San Paolo mi sarebbe piaciuto. Quando il materiale che avevo chiesto alla Bodleiana non è arrivato, ho sovraccaricato il mio credito e mi sono rivolto alla libreria Blackwell. Registrazioni sulla II guerra mondiale, letteratura celtica, storia delle migrazioni di massa, guide turistiche, tutto quello che mi veniva in mente. Poi ho preso a noleggio un registratore ad alta velocità, e via. Quando ne sono uscito, ero così in preda al panico per la sensazione di non saperne più di quanto ne avessi saputo all’inizio che ho preso la metropolitana per Londra e sono salito su Ludgate Hill per vedere se la lapide del servizio antincendio sarebbe riuscita a far scattare qualche ricordo. Niente.

— I tuoi livelli delle endorfine non sono ancora ritornati alla normalità — mi sono detto, e ho cercato di rilassarmi; ma era impossibile, con la prospettiva della prova pratica che incombeva su di me. E quelle sono pallottole vere, ragazzo mio. Anche se sei un diplomato in storia che va a fare la prova pratica, ciò non significa che non possa lasciarci la pelle. Ho letto libri di storia per tutto il tragitto di ritorno con la metropolitana, fino a che gli scagnozzi di Dunworthy sono venuti a portarmi a St. John’s Wood.

Così mi sono cacciato in tasca la microfiche del Dizionario Enciclopedico Oxford e me ne sono andato con la sensazione che avrei dovuto sopravvivere grazie alle mie risorse innate, sperando di trovare le necessarie sostanze artificiali nel 1940. Senza dubbio sarei riuscito a superare il primo giorno senza inconvenienti, pensavo; e adesso ero lì, paralizzato in pratica dalle prime parole che mi erano state rivolte.

Ecco, non proprio. Sebbene Kivrin mi avesse consigliato di non mettere niente nella memoria a breve termine, avevo memorizzato la moneta inglese, una piantina del sistema della metropolitana, e una pianta della mia Oxford. Tutto questo mi era servito per arrivare fin lì. Sicuramente ce l’avrei fatta a cavarmela con il decano.

Proprio quando avevo quasi trovato il coraggio di bussare, lui ha aperto la porta, e come succede con la microbomba, tutto è finito in fretta e senza dolore. Gli ho porto la lettera, e lui mi ha stretto la mano e ha detto qualcosa di comprensibile, più o meno: — Lieto di avere un altro uomo, Bartholomew. — Aveva l’aria così tesa e stanca che ho pensato che sarebbe crollato se gli avessi detto che il Blitz era appena incominciato. Lo so, lo so: Tieni la bocca chiusa. Il sacro silenzio, eccetera.

Lui ha detto: — Chiameremo Langby cosi le farà da guida, d’accordo? — Ho pensato che fosse il sagrestano con il cuscino, e avevo ragione. Ci è venuto incontro ai piedi della scala: ansava un po’ ma era giubilante.

— Le brande sono arrivate — ha detto al decano Matthews. — E sembrava che ci facessero un favore. Con quei tacchi alti e tutte quelle arie. Per causa vostra abbiamo saltato il tè, mi ha detto una. Sì, ed è stato un bene, ho detto io. Perdere qualche chilo non le farà male.

Persino il decano Matthews aveva l’aria di non capirlo completamente. Ha chiesto: — Le ha messe nella cripta? — E poi ci ha presentati. — Mr. Bartholomew è appena arrivato dal Galles — ha detto. — È venuto per far parte dei nostri volontari. — Volontari, non servizio antincendio.

Langby mi ha fatto da guida, indicandomi varie chiazze indistinte nel buio generale, e poi mi ha trascinato giù a vedere le dieci brande pieghevoli di tela piazzate fra le tombe nella cripta, e di passaggio mi ha mostrato anche il sarcofago di marmo nero di Lord Nelson. Mi ha detto che non avrei dovuto stare di guardia quella prima notte e mi ha consigliato di andare a letto, dato che il sonno era il bene più prezioso, per via dei bombardamenti. C’era da credergli. Si stringeva al petto quello stupido cuscino come se fosse il suo grande amore.

— Si sentono le sirene, qui sotto? — ho domandato, mentre pensavo che forse si tirava il cuscino sulla testa.

Langby ha girato gli occhi sul basso soffitto di pietra. — Certuni le sentono, altri no. Brinton ha bisogno dell’Horlich’s. Bence-Jones continuerebbe a dormire anche se gli cadesse il tetto sulla testa. Io ho bisogno d’un cuscino. L’importante è farsi otto ore di sonno qualunque cosa succeda. Altrimenti si diventa un morto che cammina. E poi ci si fa ammazzare.

Dopo questo commento incoraggiante, se n’è andato a piazzare le guardie per la notte; ha lasciato il cuscino su una delle brande e mi ha ordinato di non permettere che nessuno lo toccasse. Così mi sono seduto, in attesa della mia prima sirena d’allarme, cercando di digerire tutto quanto prima di trasformarmi in uno dei morti che camminano, o che non camminano.

Ho usato l’Oxford rubato per decifrare un po’ del linguaggio di Langby. Successo discutibile. Borghese è un termine generico spregiativo per indicare tutti i difetti del ceto medio. Un tommy è un soldato. Aerrepi non sono riuscito a trovarlo assolutamente; e avevo quasi rinunciato quando un ricordo stivato nella memoria a lungo termine a proposito dell’uso delle sigle e delle abbreviazioni mi è schizzato in mente (grazie, santa Kivrin) e mi sono reso conto che doveva essere appunto una sigla. ARP. Air Raid Precautions. Naturalmente. Da dove si possono Prendere le stramaledette brande, se no?

21 settembre — Ora che ho superato il trauma d’essere qui, mi accorgo che la facoltà di storia ha dimenticato di dirmi che cosa dovrei fare nei tre mesi e passa della prova pratica. Mi ha consegnato questo diario, la lettera di mio zio e un biglietto da dieci sterline, e mi hanno spedito nel passato. Le dieci sterline (già intaccate dalle spese per il treno e la metropolitana) dovrebbero durare fino alla fine di dicembre, e servire per ritornare a St. John’s Wood per venire recuperato, quando arriverà la seconda lettera che mi richiamerà nel Galles al capezzale dello zio malato. Fino a quel momento vivrò nella cripta in compagnia di Nelson che, come mi ha raccontato Langby, è conservato nell’alcol dentro la bara. Se una bomba ci prende in pieno, chissà se brucerà come una torcia o se scorrerà semplicemente sul pavimento in un torrente di putredine? Al vitto provvede un fornelletto a gas, sul quale vengono preparati tè schifosi e aringhe affumicate indescrivibili. Per ripagare tutti questi lussi, io devo stare sui tetti di San Paolo e spegnere le bombe incendiarie.

Inoltre, devo realizzare lo scopo della prova pratica, quale che sia. Al momento, l’unico scopo che mi sta a cuore è rimanere vivo fino a che arriverà la seconda lettera di mio zio e io potrò tornarmene a casa.

Sto lavorando in attesa che Langby abbia il tempo di farmi da guida e darmi spiegazioni. Ho pulito la padella dove cucinano quei pesci orrendi, ho ammonticchiato le sedie pieghevoli di legno in fondo alla cripta, dalla parte dell’altare (e le ho messe piatte, non diritte, perché hanno la brutta abitudine di cadere nel cuore della notte con un fragore di bombe) e ho cercato di dormire.

A quanto pare, non sono uno di quei fortunati che riescono a dormire durante le incursioni. Ho passato quasi tutta la notte a chiedermi qual è il livello di rischio di San Paoio. Le prove pratiche devono essere almeno al livello sei. Stanotte ero convinto che questa fosse un dieci, con la cripta come base zero, e tanto valeva che avessi fatto domanda di andare a Denver.

La cosa più interessante successa finora è che ho visto un gatto. Mi ha affascinato, ma ho cercato di non lasciarlo capire perché sembra che qui siano comunissimi.

22 settembre — Ancora nella cripta. Ogni tanto Langby arriva di corsa imprecando contro vari enti governativi (tutti indicati con le sigle) e mi promette che mi porterà sui tetti. Nel frattempo, ho esaurito tutti i possibili lavori e ho imparato a far funzionare una pompa a staffa. Kivrin era molto preoccupata per le capacità di recupero della mia memoria. Finora non ho avuto difficoltà. AI contrario. Ho telefonato alle informazioni del servizio antiaereo e ho ricevuto il manuale completo d’illustrazioni e con le istruzioni per l’uso della pompa a staffa. Se le aringhe daranno fuoco a Lord Nelson, diventerò un eroe.

Questa notte c’è stato movimento. Le sirene hanno suonato presto e alcune delle donne che vanno a pulire gli uffici della City sono venute a rifugiarsi nella cripta con noi. Una mi ha svegliato mentre dormivo profondamente perché si è messa a ululare come una sirena. Aveva visto un topo. Siamo dovuti andare in giro a battere sulle tombe e sotto le brande con uno stivale di gomma per convincerla che se ne era andato. Evidentemente era quello che si proponeva la facoltà di storia: ammazzare i topi.

24 settembre — Langby mi ha portato a fare il giro. Prima nel coro, dove ho dovuto reimparare ad azionare la pompa a staffa, e ho ricevuto gli stivali di gomma e un elmetto di latta. Langby dice che il comandante Alien ci farà avere giacche d’asbesto come quelle dei vigili del fuoco, ma finora non sono arrivate, e con la mia giacca di lana e la sciarpa ho un freddo cane, sui tetti, anche se è settembre. Sembra novembre, tetro e grigio e senza sole. Su alla cupola e sui tetti, che in teoria dovrebbero essere piatti, ma sono invece costellati di guglie, pinnacoli, gronde e statue, tutti ideati espressamente per afferrare le bombe incendiarie e renderle irraggiungibili. Langby mi ha mostrato come si fa a spegnere un’incendiaria con la sabbia prima che bruciando sfondi il tetto e dia fuoco alla cattedrale. Mi ha mostrato le corde ammucchiate alla base della cupola, nell’eventualità che qualcuno debba salire sulle torri ovest o sulla cima della cupola stessa. Poi siamo ridiscesi alla Whispering Gallery.

Langby non è stato zitto un momento: un po’ erano istruzioni pratiche, un po’ mi raccontava la storia della chiesa. Prima di salire nella galleria mi ha trascinato alla porta sud per raccontarmi che Christopher Wren, l’architetto, in mezzo alle rovine fumanti della vecchia chiesa di San Paolo, chiese a un operaio di portargli una lapide dal camposanto per indicare il posto dove doveva andare la pietra angolare. Sulla pietra c’era scritto in latino «Risorgerò», e Wren rimase tanto colpito da quella coincidenza simbolica che fece scolpire il motto sopra la porta. Langby era tutto orgoglioso, come se non mi avesse raccontato un episodio che conoscono tutti gli studenti di storia al primo anno; ma immagino che, senza l’effetto della lapide del servizio antincendio, l’altro sia un bell’aneddoto.

Langby è salito di corsa su per la scala e sulla stretta balconata che circonda la Whispering Gallery, la Galleria dei Bisbigli, si è precipitato avanti a gridarmi le dimensioni e le caratteristiche acustiche. Si è fermato, con la faccia rivolta verso il muro opposto e ha detto sottovoce: — Puoi sentirmi bisbigliare per via della forma della cupola. Le onde sonore si rinforzano intorno al perimetro. Durante un bombardamento, sembra il tuono del Giorno del Giudizio, quassù. La cupola ha un diametro di trentadue metri ed è a ventiquattro metri dalla navata.

Ho guardato giù. La ringhiera è venuta meno sotto di me e il pavimento di marmo bianco e nero è salito a velocità vertiginosa. Mi sono aggrappato a non so che cosa e sono caduto in ginocchio, sconvolto e nauseato. Era spuntato il sole, e tutta la chiesa sembrava immersa nell’oro. Persino il coro di legno intagliato, le colonne di pietra bianca, le canne di piombo dell’organo, era tutto d’oro, d’oro.

Langby mi ha raggiunto di corsa e ha cercato di farmi mollare la presa. — Bartholomew — ha gridato. — Cosa ti succede? Per amor di Dio!

Sapevo che dovevo dirgli che, se avessi mollato, San Paolo e tutto il passato mi sarebbero crollati addosso, e non dovevo permettere che accadesse perché sono uno storico. Ho detto qualcosa, ma non era quello che intendevo, perché Langby ha stretto più forte. Mi ha trascinato via con violenza dalla ringhiera e mi ha riportato sulla scala, e mi ha lasciato cadere inerte sui gradini. È rimasto lì a guardarmi, senza dir niente.

— Non so cosa mi sia successo lassù — ho detto io. — Prima non avevo mai avuto paura delle altezze.

— Stai tremando — ha detto lui, bruscamente. — È meglio che vieni a sdraiarti. — Mi ha riaccompagnato nella cripta.

25 settembre — Recupero della memoria: manuale dell’ARP. Sintomi delle vittime dei bombardamenti. Fase prima… shock; stato stuporoso; la vittima non si accorge delle ferite e dice cose che non hanno senso. Fase seconda… brividi; nausea; la vittima si accorge delle lesioni e delle perdite subite; ritorna alla realtà. Fase terza… loquacità incontrollabile; desiderio di spiegare ai soccorritori il comportamento allo stato di shock.

Langby sicuramente deve aver riconosciuto i sintomi, ma come spiega il fatto che non c’era stata nessuna bomba? Io non posso certo spiegargli il mio comportamento da shock, e non è soltanto il sacro silenzio dello storico a trattenermi.

Langby non ha detto niente, anzi ha fissato il mio primo turno di guardia per domani sera come se non fosse successo niente, e non sembra più preoccupato degli altri. Tutti quelli che ho conosciuto finora sono nervosissimi (una delle cose che avevo immesso nella memoria a breve termine era che durante i bombardamenti tutti erano calmi), e da quando sono arrivato io non è caduta neppure una bomba vicino a noi. Sono cadute quasi tutti nell’East End e sui docks.

Stasera qualcuno ha accennato a un UXB, e ho pensato al modo di fare del decano e al fatto che la cattedrale sia chiusa quando sono quasi sicuro di aver letto che era rimasta aperta durante l’intero Blitz. Non appena avrò la possibilità, cercherò di recuperare gli avvenimenti di settembre. In quanto a tutto il resto, non so proprio come posso sperare di recuperare le informazioni giuste fino a che non saprò che cosa dovrei fare qui, ammettendo che debba fare qualcosa.

Non ci sono linee guida per gli storici, e non ci sono restrizioni. Potrei raccontare a tutti che vengo dal futuro, se pensassi che mi crederebbero. Potrei assassinare Hitler, se riuscissi ad andare in Germania. Oppure no? Alla facoltà di storia si fa un gran parlare del paradosso temporale, e gli studenti laureati che tornano dalle prove pratiche non dicono una parola in un senso o nell’altro. Il passato è solido, immutabile? Oppure ogni giorno c’è un passato nuovo e siamo noi storici a crearlo? E quali sono le conseguenze di ciò che facciamo, ammettendo che ci siano conseguenze? E come possiamo avere il coraggio di fare qualcosa, se non le conosciamo? Dobbiamo interferire audacemente, sperando di non causare la nostra rovina? Oppure non dobbiamo fare un bel niente, non dobbiamo interferire, dobbiamo stare a guardare San Paolo che brucia, se è necessario, per non modificare il futuro?

Tutti questi sono interrogativi adattissimi a una seduta di studio a sera inoltrata. Qui non hanno nesssuna importanza. Non potrei lasciar bruciare San Paolo come non potrei uccidere Hitler. No, questo non è vero. Ieri ho scoperto, nella Whispering Gallery, che potrei uccidere Hitler, se lo sorprendessi a dar fuoco a San Paolo.

26 settembre — Oggi ho conosciuto una giovane donna. Il decano Matthews aveva aperto la chiesa, e così la gente ha incominciato a venire di nuovo. La giovane donna mi ricordava Kivrin, anche se Kivrin è molto più alta e non si arriccerebbe mai i capelli in quel modo. Sembra che avesse pianto. Anche Kivrin aveva la stessa aria, quando è tornata dalla prova pratica. Il Medioevo era troppo per lei. Mi domando come se la sarebbe cavata al mio posto. Confidando le sue paure al prete locale, senza dubbio, come speravo che non facesse la ragazza che le somigliava.

— Posso aiutarla? — ho chiesto, anche se non avevo nessuna voglia di aiutarla. — Sono un volontario.

Lei aveva l’aria angosciata. — Non la pagano? — ha chiesto, e si è asciugata con un fazzoletto il naso rosso. — Ho letto di San Paolo e del servizio antincendio e cosi ho pensato: forse ci sarà un lavoro anche per me, magari nella mensa o qualcosa del genere. Un lavoro retribuito. — Gli occhi cerchiati di rosso erano pieni di lacrime.

— Purtroppo non abbiamo la mensa — ho risposto più gentilmente che potevo, tenendo conto del fatto che Kivrin riesce sempre a farmi spazientire. — E questo non è un vero rifugio. Alcuni di quelli di guardia dormono nella cripta. Ma siamo tutti volontari.

— Allora è inutile — ha detto lei. Si è asciutata gli occhi con il fazzoletto. — Amo San Paolo, ma non posso fare un lavoro volontario, adesso che il mio fratellino Tom è tornato dalla campagna. — Non riuscivo a capire bene quella situazione. Nonostante tutti i segni esteriori d’angoscia, sembrava piuttosto allegra, e non più vicina alle lacrime di quando era entrata. — Devo trovare un posto per noi. Ora che è tornato Tom, non possiamo continuare a dormire nella metropolitana.

Mi ha preso una sensazione improvvisa di paura, quella specie di fitta acuminata che dà a volte il recupero involontario. — La metropolitana? — ho chiesto, cercando di ripescare quel ricordo.

— Di solito all’Arco di Marmo — ha continuato lei. — Mio fratello Tom va a tenere il posto di buon’ora e io vado… — Si è interrotta, ha accostato il fazzoletto al naso e ci ha soffiato dentro con forza. — Mi scusi — ha detto. — Questo tremendo raffreddore!

Naso rosso, occhi lacrimosi, sternuti. Infezione delle vie respiratorie. Era un miracolo che non le avessi detto di non piangere. È una vera fortuna che finora non abbia commesso qualche errore imperdonabile, e non perché non riesco a pescare nella memoria a lungo termine. Non dispongo neppure della metà delle informazioni che mi servirebbero: gatti e raffreddori, e l’aspetto di San Paolo in pieno sole. È solo questione di tempo, prima che mi blocchi davanti a qualcosa che non conosco. Comunque, intendo tentare il recupero questa notte, dopo che finirò il mio turno di guardia. Almeno riuscirò a scoprire se e quando mi piomberà addosso qualcosa.

Ho rivisto il gatto un paio di volte. È nero come il carbone con una macchia bianca sulla gola, che sembra dipinta apposta per l’oscuramento.

27 settembre — Sono appena ridisceso dai tetti e sto ancora tremando.

All’inizio i bombardamenti erano quasi tutti sull’East End. Era uno spettacolo incredibile. Riflettori dappertutto, il cielo arrossato dagli incendi che si specchiava nel Tamigi, le bombe esplosive che scintillavano come fuochi d’artificio. C’era un tuono continuo, assordante, rotto solo di tanto in tanto dal rombo degli aerei e dal crepitio ripetuto delle mitragliere dell’antiaerea.

Verso mezzanotte le bombe hanno incominciato a cadere molto vicino, con un rumore orribile, come se mi passasse addosso un treno. Ho dovuto fare appello a tutta la mia forza di volontà per non buttarmi bocconi sul tetto, ma c’era Langby e mi guardava. Non volevo dargli la soddisfazione di assistere a una replica nel mio comportamento nella cupola. Sono rimasto a testa alta, con il secchio di sabbia in mano; ero molto fiero di me.

Le bombe hanno smesso di ruggire verso le tre, e c’è stata una pausa di mezz’ora circa; poi è incominciato un crepitio, come una grandinata sul tetto. Tutti, tranne Langby, hanno preso i badili e le pompe a staffa. Lui guardava me. E io guardavo la bomba incendiaria.

Era caduta a pochi metri di distanza, dietro la torre dell’orologio. Era molto più piccola di quanto immaginassi: era lunga appena una trentina di centimetri. Scoppiettava con violenza, e gettava il fuoco bianco-verdognolo fin quasi dove stavo io. Entro un minuto si sarebbe ridotta a una massa fusa e avrebbe incominciato a sfondare il tetto. Le fiamme, e le grida frenetiche dei vigili del fuoco, e poi le macerie bianche che si estendevano per miglia e miglia, e non sarebbe rimasto niente, niente, neppure la lapide del servizio antincendio.

Si stava ripetendo quello che era successo nella Whispering Gallery. Mi sono accorto di aver detto qualcosa, e quando ho guardato Langby ho visto che sorrideva, un sorriso storto.

— San Paolo brucerà — ho detto. — Non resterà più niente.

— Sì — ha detto Langby. — L’idea è proprio quella, no? Bruciare San Paolo? Non è questo, il piano?

— Il piano di chi? — ho chiesto stupidamente.

— Di Hitler, è chiaro — ha detto Langby. — A chi pensavi mi riferissi? — E poi, quasi con noncuranza, ha preso la pompa a staffa.

All’improvviso mi è balenata davanti agli occhi la pagina del manuale dell’ARP. Ho versato il secchio di sabbia intorno alla bomba che crepitava ancora, ho afferrato un altro secchio e gliel’ho vuotato sopra. Il fumo nero si è alzato in una nuvola così fitta che ho stentato a trovare il badile. Con la punta, ho cercato la bomba soffocata, e l’ho buttata nel secchio vuoto, poi l’ho riempito di sabbia. Le lacrime mi scorrevano sulla faccia a causa del fumo acre. Mi sono girato per asciugarle con la manica e ho visto Langby.

Non aveva mosso un dito per aiutarmi. Ha sorriso. — Non è un brutto piano, per la verità. Ma naturalmente non lasceremo che succeda. Il servizio antincendio è qui per questo. Per fare in modo che non succeda. Giusto, Bartholomew?

Adesso so qual è lo scopo della mia prova pratica. Devo impedire che Langby bruci San Paolo.

28 settembre — Cerco di convincermi che ieri notte mi sono sbagliato sul conto di Langby e che ho frainteso quello che ha detto. Perché dovrebbe aver voglia di bruciare San Paolo, se non è una spia nazista? Come sarebbe possibile che una spia nazista si fosse infiltrata nel servizio antincendio? Penso alla mia falsa lettera di presentazione e rabbrividisco.

Come posso scoprirlo? Se cercassi di sottoporlo a qualche prova, qualcosa che soltanto un buon patriota inglese nel 1940 può conoscere, ho paura che sarei io a farmi scoprire. Devo fare in modo che il recupero della memoria funzioni perfettamente.

Fino a quel momento, dovrò tener d’occhio Langby. Per ora, almeno, dovrebbe essere facile. Langby ha appena affisso i turni di guardia per le prossime due settimane. Siamo sempre insieme, tutti quanti.

30 settembre — So cos’è successo in settembre. Me l’ha detto Langby.

Ieri notte, nel coro, mentre mettevamo le giacche e gli stivali, mi ha detto: — Ci hanno già provato una volta, sai.

Non capivo a cosa volesse alludere. Mi sentivo frastornato come il primo giorno, quando mi aveva chiesto se ero dell’aerrepi.

— Il piano per distruggere San Paolo. Hanno già tentato una volta. Il dieci settembre. Una grossa bomba esplosiva. Ma naturalmente non lo sapevi. Eri nel Galles.

Non lo ascoltavo neppure. Nel momento in cui aveva detto «grossa bomba esplosiva» avevo ricordato tutto. Era penetrata sotto la strada e s’era piantata nelle fondamenta. La squadra artificieri aveva cercato di disinnescarla, ma c’era una tubatura di gas che perdeva. Allora avevano deciso di evacuare San Paolo, ma il decano Matthews aveva rifiutato di andarsene, e alla fine l’avevano tirata fuori e l’avevano fatta scoppiare nelle Barking Marshes. Recupero istantaneo e completo.

— Quella volta gli artificieri hanno salvato la chiesa — stava dicendo Langby. — Sembra che ci sia sempre qualcuno in giro.

— Sì — ho detto io. — C’è. — E mi sono allontanato.

1° ottobre — Credevo che il recupero degli avvenimenti del dieci settembre, avvenuto questa notte, segnasse una specie d’inizio, invece sono rimasto qui sveglio sulla branda fin quasi all’alba cercando di ricordare qualcosa a proposito di eventuali spie naziste in San Paolo, ma senza approdare a niente. Devo sapere esattamente cosa sto cercando, per poterlo ricordare? E allora, a che serve?

Forse Langby non è una spia nazista. E allora che cos’è? Un piromane? Un pazzo? La cripta non ispira molto, quando mi sforzo di pensare, perché non è affatto silenziosa come una tomba. Le donne delle pulizie parlano quasi tutta la notte e il rumore delle bombe è smorzato, e questo è anche peggio. Mi sorprendo a tendere l’orecchio per sentirle. Quando mi sono addormentato, stamattina, ho sognato che uno dei rifugi della metropolitana era stato colpito, e le tubature s’erano rotte, e la gente annegava.

4 ottobre — Oggi ho cercato di prendere il gatto. Avevo una mezza idea di convincerlo a far fuori il topo che terrorizza le donne. E poi, volevo vederne uno da vicino. Ho roteato il secchio, e un po’ d’acqua è schizzata fuori. Mi sembrava di ricordare che il gatto era un animale domestico, ma dovevo essermi sbagliato. Il muso largo e beato del gatto si è trasformato in una maschera terrificante, gli artigli tremendi sono usciti dalle zampe che credevo innocue, e poi ha lanciato un suono da stendere la gente.

Per lo sbalordimento ho lasciato cadere il secchio, che è rotolato contro una delle colonne. Il gatto è sparito. Alle mie spalle, Langby ha detto: — Non è quello, il modo per prendere un gatto.

— Evidentemente — ho detto io, e mi sono chinato per raccogliere il secchio.

— I gatti odiano l’acqua — ha detto lui, sempre con lo stesso tono inespressivo.

— Oh. — Mi sono avviato per riportare il secchio nel coro. — Non lo sapevo.

— Lo sanno tutti. Persino quegli stupidi dei gallesi.

8 ottobre — Da una settimana facciamo doppi turni di guardia… c’è la luna, e facilita il compito ai bombardieri. Langby non è comparso sui tetti, e così sono andato a cercarlo in chiesa. L’ho trovato fermo accanto alla porta ovest; stava parlando con un vecchio. Il vecchio teneva un giornale sotto il braccio. L’ha dato a Langby, ma Langby gliel’ha restituito. Quando il vecchio mi ha visto, se n’è andato in fretta. Langby ha detto: — Un turista. Voleva sapere dov’è il Windmill Theater. Ha letto sul giornale che le ragazze sono nude.

So che dovevo aver l’aria di non credergli, perché ha detto: — Mi sembri conciato male, vecchio mio. Non dormi abbastanza, vero? Chiederò a qualcuno di fare il primo turno al posto tuo, stanotte.

— No — ho risposto freddamente. — Farò il mio turno. Mi piace stare sui tetti. — E ho soggiunto, in silenzio: dove posso tenerti d’occhio.

Lui ha scrollato le spalle e ha risposto: — Immagino sia meglio che stare giù nella cripta. Sui tetti, almeno, puoi sentirla arrivare, la bomba che ti frega.

10 ottobre — Pensavo che i doppi turni mi facessero bene, mi aiutassero a distogliere il pensiero dalla mia incapacità di recuperare la memoria. È un po’ l’idea che quando stai a guardare la pentola, l’acqua bolle più lentamente. Per la verità, qualche volta funziona. Basta passare qualche ora pensando ad altro, oppure farsi una bella notte di sonno, e il dato che ti interessa schizza fuori da solo, senza ricorrere a sostanze artificiali.

Di una bella notte di sonno non se ne parla neanche. Non soltanto le donne delle pulizie chiacchierano ininterrottamente, ma il gatto si è trasferito nella cripta e si struscia contro tutti quanti, emettendo suoni che sembrano quelli delle sirene per chiedere un po’ di aringa. Trasporterò la mia branda fuori dal transetto, vicino a Nelson, prima d’incominciare il mio turno. Nelson sarà in salamoia nell’alcol, ma almeno tiene la bocca chiusa.

11 ottobre — Ho sognato Trafalgar, cannoni e fumo e intonaco che cadevano e Langby che gridava il mio nome. Quando mi sono svegliato, i! mio pensiero è stato che le sedie pieghevoli non c’erano più. Non vedevo niente per il fumo.

— Arrivo — ho gridato, correndo verso Langby e infilandomi gli stivali. Nel transetto c’era un mucchio d’intonaco e un groviglio di sedie pieghevoli. Langby stava scavando lì. — Bartholomew! — ha gridato buttando da parte un pezzo d’intonaco. — Bartholomew!

Io pensavo ancora che fosse fumo. Sono tornato di corsa per prendere la pompa a staffa e poi mi sono inginocchiato accanto a lui e ho cominciato a rimuovere lo schienale scheggiato d’una sedia. Ha opposto resistenza e allora ho compreso, di colpo. Sotto c’è un corpo. Cercherò di prendere un pezzo di soffitto e mi accorgerò che è una mano. Mi sono appoggiato all’indietro, sui calcagni, deciso a non vomitare, e poi ho ripreso a frugare.

Langby si stava dando da fare troppo in fretta, e frugava con la gamba di una sedia. Gli ho afferrato la mano per trattenerlo, e lui ha reagito come se fossi un rottame da buttare da parte. Ha sollevato un grosso pezzo piatto d’intonaco e sotto c’era il pavimento. Mi sono voltato indietro a guardare. Le due donne delle pulizie erano rincantucciate nella rientranza vicino all’altare. — Chi stai cercando? — ho chiesto, continuando a stringere il braccio di Langby.

— Bartholomew — ha detto lui, e ha scostato le macerie, con le mani che sanguinavano sotto lo strato di polvere.

— Sono qui — ho detto. — Sono illeso. — La polvere bianca mi soffocava. — Ho spostato la branda fuori dal transetto.

Lui s’è voltato bruscamente verso le donne delle pulizie e poi ha chiesto con calma: — Cosa c’è qui sotto?

— Soltanto il fornello a gas — ha risposto timidamente una delle donne dal suo angoletto buio. — E la borsetta di Mrs. Gaibraith. — Lui ha scavato fra le macerie fino a che li ha trovati tutti e due. Il fornello perdeva gas che era una bellezza, sebbene la fiamma si fosse spenta.

— Hai salvato San Paolo e me, dopotutto — gli ho detto. Stavo lì, semivestito e con gli stivali, e con l’inutile pompa a staffa. — Avremmo potuto morire asfissiati tutti quanti.

Lui si è alzato. — Non avrei dovuto salvarti — ha detto.

Fase prima: shock, stato stuporoso, la vittima non si accorge delle ferite e dice cose che non hanno senso. Lui non sapeva ancora che la mano gli sanguinava. Non ricordava quel che aveva detto. Aveva detto che non avrebbe dovuto salvarmi la vita.

— Non avrei dovuto salvarti — ha risposto. — Devo pensare al mio dovere.

— Stai sanguinando — ho detto seccamente. — È meglio che ti sdrai. — Parlavo proprio come mi aveva parlato Langby nella Galleria.

13 ottobre — Era una bomba esplosiva ad alto potenziale. Ha aperto un buco sul tetto del coro; alcune delle statue di marmo sono a pezzi, ma il soffitto della cripta non era crollato, contrariamente a quello che avevo pensato in un primo momento. Aveva soltanto staccato parte dell’intonaco.

Non credo che Langby abbia idea di quel che ha detto. Questo dovrebbe darmi un certo vantaggio, adesso che sono sicuro di sapere dov’è il pericolo, e che non arriverà da qualche altra direzione. Ma a cosa serve sapere tutto questo, se non so che cosa farà lui, o quando?

Senza dubbio ho tutti i particolari della bomba di ieri nella memoria a lungo termine, ma questa volta neppure la pioggia d’intonaco è servita a smuoverli. Ormai non sto neppure tentando il recupero. Sono sdraiato al buio e aspetto che il tetto mi crolli addosso. E ricordo che Langby mi ha salvato la vita.

15 ottobre — Oggi è tornata la ragazza. Ha ancora il raffreddore, ma ha trovato un lavoro retribuito. È stata una gioia rivederla. Portava un’uniforme elegante e sandali, e i capelli erano tutti ondulati. Noi stavamo ancora ripulendo le macerie causate dalla bomba, e Langby era andato con Alien a prendere le assi di legno per turare lo squarcio nel coro; perciò ho lasciato che la ragazza chiacchierasse mentre spazzavo. La polvere la faceva starnutire, ma almeno stavolta sapevo cos’era.

Mi ha detto che si chiama Enola e che lavora per il WVS; gestisce una delle mense mobili che mandano dove ci sono gli incendi. Era venuta, figurarsi, a ringraziarmi per il lavoro. Ha detto che quando aveva spiegato al WVS che a San Paolo non c’era un rifugio vero con relativa mensa, le avevano assegnato un giro nella City. — Così potrò venire qui quando sono nelle vicinanze e le farò sapere come me la cavo, va bene?

Lei e suo fratello Tom dormono ancora nella metropolitana. Le ho chiesto se là erano al sicuro e mi ha risposto che probabilmente non lo sono affatto; però là sotto, almeno, non puoi sentire la bomba che ti fregherà e questa è una fortuna.

18 ottobre — Sono così stanco che fatico a scrivere. Nove bombe incendiarie, questa notte, e una mina che sembrava volesse finire proprio sulla cupola, fino a che il vento ha allontanato dalla chiesa il paracadute. Ho spento due delle bombe incendiarie. L’ho fatto almeno venti volte da quando sono arrivato qui, e ho aiutato a spegnerne dozzine di altre, ma non basta ancora. Una bomba incendiaria, un momento in cui dimenticassi di sorvegliare Langby, e tutto sarebbe rovinato.

Lo so, in parte è per questo che sono così stanco. Ogni notte mi sfinisco cercando di fare il mio lavoro e di sorvegliare Langby e di assicurarmi che nessuna delle bombe incendiarie mi sfugga. Poi torno alla cripta e mi logoro cercando di recuperare qualcosa, qualunque cosa, sulle spie, gli incendi, San Paolo nell’autunno del 1940, qualunque cosa. Sono ossessionato dall’idea che non faccio abbastanza, ma non so che altro fare. Senza il recupero, sono impotente come la povera gente che c’è qui, e non ho un’idea di quello che succederà domani.

Se necessario, continuerò così fino a quando mi richiameranno a casa. Lui non può bruciare San Paolo finché io sono qui a spegnere le bombe incendiarie. — Devo pensare al mio dovere — ha detto Langby nella cripta.

E io devo pensare al mio.

21 ottore — Sono passate quasi due settimane dall’esplosione e solo adesso mi sono reso conto che da allora non abbiamo più visto il gatto. Non era sotto le macerie nella cripta. Anche quando io e Langby siamo stati sicuri che sotto non ci fosse nessuno, abbiamo setacciato di nuovo tutto quanto, per due volte. Però poteva darsi che fosse nel coro.

Il vecchio Bence-Jones dice che non è il caso di preoccuparsi. — Non gli sarà successo niente — ha detto. — I crucchi potrebbero radere al suolo Londra e i gatti correrebbero a fargli festa. Sai perché? Non si affezionano a nessuno. È per questo che tanti di noi ci lasciano la pelle. Una vecchia, a Stepney, l’altra notte è morta mentre cercava di salvare il suo gatto. E quella maledetta bestia era altrove.

— Allora dove sarà?

— Da qualche parte, al sicuro, ci puoi scommettere. Se non è qui intorno a San Paolo, vuol dire che siamo spacciati. Il vecchio detto sui ratti che abbandonano la nave prima che affondi è sbagliato. Sono i gatti che fanno così, non i ratti.

25 ottobre — Il turista di Langby è ricomparso. Non è possibile che stia ancora cercando il Windmill Theater. Anche oggi aveva un giornale sotto il braccio, e ha chiesto di Langby, ma Langby era in giro per la città con Alien, a cercare di ottenere le giacche d’asbesto dei vigili del fuoco. Ho visto la testata del giornale. The Worker. Un giornale nazista?

2 novembre — Sono stato sui tetti per una settimana filata, ad aiutare quegli incapaci di operai a tappare il foro aperto dalla bomba. Stanno facendo un pasticcio. Da una parte c’è ancora una grossa breccia dove potrebbe caderci un uomo, ma loro sostengono che va bene così perché dopotutto se cadesse non andrebbe a sfracellarsi sul pavimento, si fermerebbe al soffitto e «è una caduta che non ammazza». Non vogliono capire che quello è il nascondiglio ideale per una bomba incendiaria.

E a Langby basta e avanza. Non ha neppure bisogno di appiccare il fuoco per distruggere San Paolo. Basta che lasci che una bomba incendiaria non venga scoperta fino a quando non è troppo tardi.

Non sono riuscito a far intendere la ragione agli operai. Sono sceso in chiesa per protestare con Matthews, e ho visto Langby e il suo turista dietro a una colonna, vicino a una delle finestre. Langby aveva un giornale in mano e parlava all’uomo. Quando sono sceso dalla biblioteca un’ora dopo erano ancora lì. E anche il varco c’è ancora. Matthews dice che lo tapperemo con qualche asse e poi dovremo sperare in Dio.

5 novembre — Ho rinunciato ai tentativi di recupero. Ho perso tante ore di sonno che non riesco neppure a recuperare informazioni su un giornale di cui conosco già il nome. I doppi turni ormai sono abituali. Le donne delle pulizie ci hanno abbandonati completamente (come il gatto), e quindi nella cripta c’è silenzio, ma non riesco a dormire.

Se ce la faccio ad assopirmi, sogno. Ieri ho sognato che Kivrin era sui tetti, vestita da santa. — Qual era il segreto della tua prova pratica? — le ho chiesto. — Che cosa dovevi scoprire?

Lei si è asciugata il naso con un fazzoletto e ha risposto: — Due cose. Prima: il silenzio e l’umiltà sono i sacri oneri dello storico. Seconda… — Si è interrotta per sternutire nel fazzoletto. — Non dormire nella metropolitana.

La mia unica speranza è trovare una sostanza artificiale e indurre una trance. C’è un problema. Sono sicuro che è troppo presto perché ci siano le endorfine chimiche, e probabilmente anche gli allucinogeni. L’alcol c’è, senza dubbio, ma ho bisogno di qualcosa più concentrato della birra, l’unico alcolico che conosco di nome. Non oso chiedere agli altri. Langby ha già anche troppi sospetti sul mio conto. È come se consultassi l’Oxford alla ricerca d’una parola che non conosco.

11 novembre — Il gatto è tornato. Langby era di nuovo fuori con Alien, sempre a caccia delle giacche di asbesto, e così ho pensato che potevo lasciare San Paolo. Sono andato nel negozio d’alimentari a far la spesa, nella speranza di trovare qualche sostanza artificiale. Era tardi, e le sirene hanno suonato prima che fossi arrivato a Cheapside, ma di solito le incursioni non incominciano prima dell’oscurità. Ci ho messo un po’ per prendere tutte le provviste e per trovare il coraggio di chiedere al negoziante se aveva un po’ d’alcol; lui mi ha risposto di andare in un pub, e quando sono uscito dal negozio è stato come se fossi piombato all’improvviso in una voragine.

Non avevo idea di dove fosse San Paolo, o la strada o il negozio dal quale ero appena uscito. Sono rimasto fermo su quello che non era più il marciapiedi, stringendo il sacchetto con le aringhe e il pane con una mano che non sarei riuscito a vedere neppure se l’avessi alzata davanti agli occhi. Mi sono avvolto la sciarpa intorno al collo e mi sono augurato che i miei occhi si abituassero, ma non c’era neppure un filo di luce. Sarei stato contento se ci fosse stata la luna, anche se quelli di San Paolo la maledicono e sostengono che fa parte della quinta colonna. Almeno fosse passato un autobus, con i fari oscurati che dessero quel tanto di luce sufficiente per orientarmi. O una lampada tascabile. O il lampo di un cannone antiaereo. Qualunque cosa mi sarebbe andata bene.

Proprio in quel momento ho visto un autobus, due sottili fenditure gialle, molto lontano. Mi sono avviato in quella direzione e per poco non sono caduto dal marciapiedi. Il che voleva dire che l’autobus era di traverso rispetto alla strada; e quindi non era un autobus. Un gatto ha miagolato, vicinissimo, e mi si è strusciato contro le gambe. Ho guardato le luci gialle che avevo pensato fossero i fari dell’autobus. Gli occhi del gatto riflettevano una luce che veniva da chissà dove, anche se avrei giurato che non ce n’era una per miglia e miglia intorno: e la riflettevano verso di me.

— Un poliziotto ti farebbe fuori per quei fari, vecchio mio — gli ho detto, e poi, mentre un aereo mi passava rombando sopra la testa: — O un crucco.

Il mondo è esploso all’improvviso nella luce, i riflettori e un bagliore lungo il Tamigi che sembravano essersi accesi contemporaneamente, illuminandomi la via del ritorno.

— Sei venuto a prendermi, vero, vecchio mio? — ho detto allegramente. — Dove ti eri cacciato? Sapevi che avevamo finito le aringhe, eh? Questa è fedeltà. — Ho continuato a parlargli fino a casa e gli ho dato metà scatoletta di aringhe perché mi aveva salvato la vita. Bence-Jones ha detto che aveva sentito l’odore del latte del droghiere.

13 novembre — Ho sognato che mi ero perso nell’oscuramento. Non vedevo le mie mani neppure quando le sollevavo davanti alla faccia, e poi è arrivato Dunworthy e mi ha puntato addosso una lampada tascabile, ma io potevo vedere soltanto da dov’ero venuto, non dove stavo andando.

— A cosa serve? — ho chiesto. — Loro hanno bisogno d’una luce che gli mostri dove vanno.

— Anche la luce riflessa dal Tamigi? Anche la luce degli incendi e dell’antiaerea? — ha ribattuto Dunworthy.

— Sì, qualunque cosa è meglio di questo buio spaventoso. — Allora si è avvicinato per darmi la lampada tascabile. Ma non era una lampada tascabile, era la lanterna di Cristo del quadro di Hunt nella navata sud. L’ho puntata sul marciapiedi davanti a me per trovare la strada del ritorno, e invece ho illuminato la lapide del servizio antincendio, e allora mi sono affrettato a spegnerla.

20 novembre — Oggi ho cercato di far parlare Langby. — Ti ho visto chiacchierare con il vecchio — gli ho detto. Sembrava un’accusa, come volevo io. Volevo che lui pensasse che era un’accusa e che rinunciasse ai suoi piani.

— Leggevo — ha detto. — Non chiacchieravo. — Stava ammucchiando i sacchi di sabbia nel coro.

— Ti ho visto leggere, allora — ho detto in tono bellicoso, e lui ha lasciato cadere un sacchetto di sabbia e si è rialzato.

— Allora? — ha detto. — Questo è un paese libero. Posso leggere per un vecchio, se voglio, come tu puoi parlare con quella piccola smorfiosa del WVS.

— Che cosa gli leggi? — ho detto io.

— Quello che interessa a lui. È vecchio. Una volta, quando tornava a casa dal lavoro, beveva un po’ di brandy e ascoltava la moglie che gli leggeva i giornali. Lei è morta sotto i bombardamenti. Adesso leggo io, per lui. Non capisco perché ti riguardi.

Sembra vero. Non aveva la meticolosa casualità di una menzogna, e quasi quasi gli credevo, a parte il fatto che avevo sentito già una volta quel tono di verità nella sua voce. Nella cripta. Dopo che era caduta la bomba.

— Credevo che fosse un turista in cerca del Windmill — ho detto.

Langby mi ha guardato per un secondo senza capire e poi ha detto: — Oh, già. È entrato con il giornale e mi ha chiesto di spiegargli dov’era, e io ho guardato per trovare l’indirizzo. Giusto. Non avevo immaginato che non sapesse leggere. — Ma era sufficiente. Sapevo che mentiva.

Ha spinto un sacco di sabbia verso i miei piedi. — Naturalmente questo tu non puoi capirlo, non è vero? Un semplice gesto di gentilezza umana?

— No — ho risposto freddamente. — Non capisco.

Tutto ciò non prova niente. Lui non ha rivelato nulla, tranne forse il nome di una sostanza artificiale, e io non posso andare dal decano Matthews e accusare Langby di leggere a voce alta.

Ho aspettato che finisse nel coro e che scendesse nella cripta. Poi ho trascinato un sacco di sabbia su fin al tetto e l’ho messo di traverso sulla breccia. Finora le assi hanno resistito, ma tutti gli girano intorno cautamente, come se fosse una tomba. Ho aperto il sacco e ho versato la sabbia sul fondo. Se Langby ha notato che quello è il posto ideale per una bomba incendiaria, forse la sabbia servirà a spegnerla.

21 novembre — Ho dato a Enola un po’ del denaro dello «zio», quest’oggi, e le ho chiesto di comprarmi un po’ di brandy. Si è mostrata più riluttante di quanto pensassi, quindi debbono esserci complicazioni sociali che io non conosco; comunque ha accettato.

Non so perché fosse venuta. Ha incominciato a parlarmi del fratello e di qualche scherzetto che aveva combinato nella metropolitana e che l’aveva messo nelle grane con la polizia, ma dopo che le ho chiesto di procurarmi il brandy se n’è andata senza finire il racconto.

25 novembre — Oggi è venuta Enola, ma non ha portato il brandy. Andrà a Bath per le feste a trovare la zia. Almeno starà lontana dai bombardamenti per un po’. Non dovrò preoccuparmi per lei. Ha finito di raccontarmi quello che era successo al fratello e mi ha detto che spera di convincere la zia a tenere Tom finché durerà il Blitz, ma non è molto sicura che la zia acconsenta.

A quanto sembra il giovane Tom non è tanto un simpatico monello quanto una specie di delinquente precoce. Due volte si è fatto pizzicare mentre borseggiava la gente nel rifugio della metropolitana alla Bank, e così hanno dovuto tornare all’Arco di Marmo. L’ho consolata come ho potuto e le ho detto che tutti i ragazzi passano durante una fase difficile, prima o poi. In realtà avrei voluto dirle che non è il caso che si preoccupasse, che il giovane Tom mi sembra il tipo del superstite nato, come il mio gatto, come Langby, il tipo che pensa solo a se stesso, capace di sopravvivere al Blitz e di farsi strada nel futuro.

Poi le ho chiesto se mi aveva portato il brandy.

Enola si è guardata le punte dei sandali e ha mormorato con aria impacciata: — Credevo che te ne fossi dimenticato.

Io le ho detto che durante il servizio di guardia facciamo a turno a pagare le bottiglie, e mi è sembrato che fosse un po’ meno impacciata, ma sono convinto che approfitterà del viaggio a Bath per non farne niente. Dovrò lasciare San Paolo e andare a comprarlo io, e non mi va di lasciare Langby solo nella chiesa. Le ho fatto promettere di portarmi il brandy oggi, prima della partenza. Ma finora non è tornata, e le sirene hanno già suonato.

26 novembre — Enola non si è fatta vedere, e mi aveva detto che il suo treno partiva a mezzogiorno. Immagino dovrei essere contento perché, almeno, è al sicuro lontano da Londra. Forse a Bath riuscirà a guarire dal raffreddore.

Stasera è venuta una delle ragazze dell’ARP per chiedere in prestito metà delle nostre brande e ci ha parlato del disastro nell’East End, dove era stato colpito un rifugio di superficie. Quattro morti, dodici feriti. — E per fortuna che non era uno di quelli della metropolitana — ha detto. — Altrimenti sarebbe stata una vera carneficina, no?

30 novembre — Ho sognato che avevo portato il gatto a St. John’s Wood.

— È una missione di salvataggio, per caso? — ha chiesto Dunworthy.

— No, signore — ho risposto con orgoglio. — So cosa dovevo trovare nella mia prova pratica. Il perfetto superstite. Duro, ricco di risorse, egoista. Questo è l’unico che sono riuscito a trovare. Ho dovuto uccidere Langby, vede, per impedirgli di bruciare San Paolo. Il fratello di Enola è andato a Bath, e gli altri non ce la faranno mai. Enola porta i sandali in pieno inverno e dorme nella metropolitana e si fissa i capelli con le forcine perché si arriccino. Non può sopravvivere al Blitz.

Dunworthy ha detto: — Forse avrebbe dovuto salvare lei, invece. Come ha detto che si chiama la ragazza?

— Kivrin — ho risposto, e mi sono svegliato infreddolito e tremante.

5 dicembre — Ho sognato che Langby aveva la microbomba. La portava sotto il braccio, come un pacco avvolto nella carta marrone, e usciva dalla Stazione di San Paolo e saliva Ludgate Hill, verso la porta ovest.

— Non è giusto — gli ho detto sbarrandogli la strada con il braccio. — Non c’è nessuno di guardia del servizio antincendio.

Si è stretto la bomba al petto come un cuscino. — È colpa tua — ha detto, e prima che io potessi prendere la pompa a staffa e il secchio, l’ha lanciata dentro alla porta.

La microbomba non è stata inventata se non alla fine del ventesimo secolo; e poi sono passati altri dieci anni prima che i comunisti spodestati se ne impadronissero e la trasformassero in qualcosa che si può portare sotto il braccio. Un pacchetto che potrebbe cancellare un quarto di miglio della City. Grazie a Dio, è un sogno che non può avverarsi.

Nel sogno era una mattina di sole, e stamattina, quando sono smontato dal turno di guardia, il sole brillava per la prima volta dopo varie settimane. Sono sceso nella cripta e poi sono risalito, e ho fatto altre due volte il giro dei tetti, poi ho ispezionato la scalinata e i dintorni e tutti i vicoletti dove una bomba incendiaria poteva esser sfuggita all’attenzione. Dopo mi sono sentito un po’ più tranquillo, ma quando mi sono addormentato ho sognato di nuovo: questa volta ho sognato l’incendio, e Langby che stava a guardare sorridente.

15 dicembre — Stamattina ho trovato il gatto. Questa notte i bombardamenti sono stati pesanti, ma quasi tutti verso Canning Town, e sui tetti era piovuta poca roba o niente. Ma il gatto era morto. L’ho trovato stamattina sulla scalinata quando ho fatto il mio giro. Dev’essere stato lo spostamento d’aria. Non aveva un segno addosso, tranne la sua macchia bianca sulla gola, ma quando l’ho raccolto era tutto gelatina, sotto la pelle.

Non sapevo cosa farne. Per un momento ho pensato assurdamente di chiedere a Matthews se potevo seppellirlo nella cripta, perché era morto onorevolmente in guerra o qualcosa del genere: Trafalgar, Waterloo, Londra, caduto in combattimento. Ho finito per avvolgerlo nella mia sciarpa e l’ho portato giù da Ludgate Hill, in una casa spianata dalle bombe e l’ho sepolto tra le macerie. Non servirà a niente. Le macerie non saranno una protezione contro i cani e i ratti e non riuscirò più a procurarmi un’altra sciarpa. Ho quasi finito il denaro dello zio.

Non dovrei starmene qui seduto. Non ho controllato i vicoletti e il resto della scalinata, e potrebbe esserci una bomba incendiaria a scoppio ritardato o qualcosa d’altro che mi è sfuggito.

Quando sono venuto qui mi vedevo come il generoso salvatore del passato. Ma non me la cavo molto bene. Per fortuna Enola è lontana. Vorrei che ci fosse un sistema per spedire San Paolo a Bath, al sicuro. Ci sono stati pochi bombardamenti, stanotte. Bence-Jones ha detto che i gatti riescono a sopravvivere a tutto. E se lui era uscito per venirmi incontro, per mostrarmi la strada di casa? Tutte le bombe sono cadute in Canning Town.

16 dicembre — Enola è tornata da una settimana. Quando l’ho vista li sulla scalinata ovest dove avevo trovato il gatto e ho pensato che dormiva all’Arco di Marmo e non era più al sicuro, mi sono sentito sconvolto. — Credevo che fossi a Bath — le ho detto stupidamente.

— Mia zia ha detto che può tenere Tom, ma non anche me. Ha la casa piena di bambini sfollati, e fanno un chiasso tremendo. Dove hai messo la sciarpa? — ha chiesto. — Fa un freddo spaventoso, qui sulla collina.

— Io… — ho detto. Non riuscivo a rispondere. — L’ho persa.

— Non potrai procurartene un’altra — mi ha detto lei. — Cominceranno a razionare i vestiti. E anche la lana. Non ne troverai più, un’altra come quella.

— Lo so — ho risposto, sbattendo gli occhi.

— La roba bella buttata via così — ha detto. — È un delitto, ecco che cos’è.

Non ho risposto, credo. Mi sono voltato e mi sono allontanato a testa bassa, in cerca di bombe e di animali morti.

20 dicembre — Langby non è nazista. È comunista. Quasi non riesco a scriverlo. Comunista.

Una delle donne delle pulizie ha trovato The Worker infilato dietro una colonna e l’ha portato giù nella cripta mentre noi smontavamo dal primo turno di guardia.

— Sporchi comunisti — ha detto Bence-Jones. — Aiutano Hitler. Parlano contro il re, aizzano la gente nei rifugi. Traditori, ecco che cosa sono.

— Amano l’Inghilterra proprio come lei — ha detto la donna delle pulizie.

— Quelli non amano altri che se stessi, maledetti egoisti. Non mi sorprenderei se telefonassero a Hitler — ha detto Bence-Jones. — «Ciao, Adolf, ecco qui dove devi far lanciare le bombe».

Il bricco sul fornello a gas ha cominciato a fischiare. La donna delle pulizie si è alzata e ha versato l’acqua bollente nella teiera sbreccata, poi si è seduta di nuovo. — Anche se dicono quello che pensano, non significa che sarebbero capaci di bruciare San Paolo, vero?

— No, certo — ha detto Langby che stava scendendo la scala. Si è seduto e si è sfilato gli stivali, agitando le dita nelle calze di lana. — Chi non sarebbe capace di bruciare San Paolo?

— I comunisti — ha detto Bence-Jones, guardandolo diritto in faccia, e io mi sono domandato se anche lui sospettava di Langby.

Langby non ha battuto ciglio. — Non mi preoccuperei di loro, se fossi in te — ha detto. — Sono i crucchi, quelli che stanno facendo di tutto per bruciarlo, stanotte. Sei bombe incendiarie, finora, e per poco una non è finita in quel grosso buco sopra il coro. — Ha teso la tazza alla donna delle pulizie, e lei gli ha versato il tè.

Avrei voluto ucciderlo, schiacciarlo nella polvere e nei calcinacci sul pavimento della cripta, mentre Bence-Jones e la donna delle pulizie stavano a guardare impotenti e sbalorditi; avrei voluto ucciderlo e gridare a tutti gli altri: — Sapete che cosa hanno fatto i comunisti? — volevo urlare. — Lo sapete? Dobbiamo fermarlo! — Mi sono persino alzato per avvicinarmi a lui, e Langby era lì seduto con i piedi allungati e la giacca di asbesto ancora sulle spalle.

E poi il pensiero della Galleria invasa dalla luce dorata, il comunista che usciva dalla stazione della metropolitana con il pacco tenuto con noncuranza sotto il braccio mi hanno dato lo stesso senso di vertigine travolgente, carica di rimorso e d’impotenza; e mi sono seduto di nuovo sull’orlo della mia branda e ho cercato di pensare cosa dovevo fare.

Loro non si rendono conto del pericolo. Persino Bence-Jones, nonostante tutti i suoi discorsi sui traditori, crede che siano capaci soltanto di parlare contro il re. Loro non sanno, non possono sapere che cosa diventeranno i comunisti. Stalin è un alleato. Comunisti vuol dire Russia. Non hanno mai sentito parlare di Karinsky o della Nuova Russia o delle cose che trasformeranno «comunista» in un sinonimo di «mostro». Non lo sapranno mai. Quando i comunisti diventeranno quello che diventeranno, non ci saranno servizi antincendio. Soltanto io so cosa significa sentir pronunciare con tanta noncuranza il nome «comunisti» in San Paolo.

Un comunista. Avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto saperlo.

22 dicembre — Di nuovo i doppi turni. Non ho dormito, e stento a reggermi in piedi. Questa mattina è mancato poco che cadessi nel buco, e mi sono salvato soltanto perché mi sono buttato in ginocchio. I miei livelli dell’endorfina oscillano all’impazzata, e so che ho bisogno di dormire un po’ al più presto, altrimenti diventerò uno dei morti ambulanti di cui parlava Langby; ma ho paura di lasciarlo solo sui tetti, solo nella chiesa con il suo dirigente comunista, solo dappertutto. Ho preso l’abitudine di sorvegliarlo anche quando dorme.

Se riuscissi a procurarmi una sostanza artificiale, credo che potrei indurre una trance, nonostante le mie condizioni. Ma non posso neppure uscire per andare in un pub. Langby è sempre sui tetti, in attesa dell’occasione buona. Quando tornerà Enola, devo convincerla a procurarmi il brandy. Mi restano soltanto pochi giorni.

28 dicembre — Enola è venuta stamattina mentre ero sotto il portico ovest a rialzare l’albero di Natale. Per tre notti consecutive lo spostamento d’aria l’ha abbattuto. Avevo raddrizzato l’albero e mi stavo chinando per raccogliere i fili d’argento quando all’improvviso Enola è uscita dalla nebbia come una santa sorridente. Si è curvata in fretta e mi ha dato un bacio sulla guancia. Poi si è raddrizzata, con il naso arrossato dal solito raffreddore e mi ha dato una scatola avvolta nella carta colorata.

— Buon Natale — ha detto. — Su, apri. È un regalo.

I miei riflessi erano andati quasi completamente. Sapevo che la scatola era troppo piatta per contenere una bottiglia di brandy. Comunque ho creduto che si fosse ricordata, che mi avesse portato la salvezza. — Sei un tesoro — ho detto, e ho strappato la carta.

Era una sciarpa. Di lana grigia. L’ho fissata per mezzo minuto buono senza capire cosa fosse. — Dov’è il brandy? — ho chiesto.

Lei c’è rimasta male. Il naso le è diventato ancora più rosso, e le si sono appannati gli occhi. — Hai più bisogno di questa. Non hai la tessera dell’abbigliamento e devi stare sempre all’aperto. Fa tanto freddo.

— Avevo bisogno del brandy — ho detto, rabbiosamente.

— Io volevo solo essere gentile — ha cominciato a rispondere lei, ma l’ho interrotta.

— Gentile? — ho detto. — Ti avevo chiesto il brandy. Non ricordo di aver mai parlato d’aver bisogno d’una sciarpa. — Gliel’ho ridata e ho incominciato a districare una fila di lampadine colorate che si erano rotte quando era caduto l’albero.

Ha assunto la stessa espressione da martire che riesce così bene a Kivrin. — Io sono in pensiero per te che stai sempre lassù — ha detto tutto d’un fiato. — Stanno cercando di far fuori San Paolo, lo sai. Ed è così vicino al fiume. Non pensavo che bevessi. È… è un delitto che tu non sappia badare a te stesso quando stanno cercando di ammazzarci tutti. È come se fossi d’accordo con loro. Ho tanta paura che un giorno salirò a San Paolo e non ti troverò più.

— Bene, e che cosa dovrei farmene di una sciarpa? Tenerla sopra la testa quando sganciano le bombe?

Lei ha girato sui tacchi ed è scappata via, è sparita nella nebbia grigia prima di aver disceso due gradini. Ho fatto per rincorrerla, continuando a tenere in mano la fila di lampadine rotte, sono inciampato e sono caduto fin quasi in fondo alla scalinata.

Langby mi ha rimesso in piedi. — Ti tolgo dai turni di guardia — ha detto con aria decisa.

— Non puoi fare una cosa simile — ho detto io.

— Oh, sì che posso. Non voglio morti ambulanti, sui tetti con me.

Ho lasciato che mi conducesse quaggiù nella cripta e mi preparasse una tazza di té e mi mettesse a letto. Era tutto premuroso. Non si capiva se era proprio ciò che stava aspettando. Starò qui sdraiato fino a quando suoneranno le sirene. Quando sarò sui tetti non potrà mandarmi via senza destare sospetti. Sapete che cosa ha detto prima di andarsene, con la giacca di asbesto e gli stivali di gomma, il bravo responsabile del servizio antincendio? — Voglio che dorma un po’. — Come se potessi dormire, con Langby sui tetti. Finirei bruciato vivo.

30 dicembre — Mi hanno svegliato le sirene, e il vecchio Bence-Jones ha detto: — Dovrebbe averti fatto bene. Hai dormito per tutto il giro dell’orologio.

— Che giorno è? — ho chiesto, prendendo gli stivali.

— Il ventinove — mi ha risposto lui e poi, mentre correvo verso la porta: — Non c’è fretta. Stanotte sono in ritardo. Forse non verranno neppure. Sarebbe una vera benedizione. C’è la bassa marea.

Mi sono fermato sulla porta della scala, aggrappandomi alla pietra fredda. — San Paolo è ancora intero?

— È ancora in piedi — ha detto Bence-Jones. — Hai fatto un brutto sogno?

— Sì — ho risposto, ricordando i brutti sogni di tutte le ultime settimane… il gatto morto tra le mie braccia in St. John’s Wood, Langby con il pacco e il Worker sotto il braccio, la lapide del servizio antincendio illuminata dalla lanterna di Cristo. Poi ho ricordato che non avevo sognato proprio nulla. Avevo dormito quel tipo di sonno che avevo invocato, il sonno che mi avrebbe aiutato a ricordare.

Allora ho ricordato. Non San Paolo, bruciato dai comunisti. Un titolo dei quotidiani. «Colpito l’Arco di Marmo. Diciotto morti.» La data non era chiara, a parte l’anno. Del 1940 restavano esattamente due giorni. Ho preso la giacca e la sciarpa e ho salito di corsa la scala e ho attraversato il pavimento di marmo.

— Dove diavolo credi di andare? — mi ha gridato Langby. Non lo vedevo.

— Debbo salvare Enola — ho detto, e la mia voce echeggiava nella cattedrale buia. — Bombarderanno l’Arco di Marmo.

— Non puoi andare adesso — mi ha gridato dietro. Era proprio dove avrebbero messo la lapide commemorativa. — C’è la bassa marea. Sporco…

Non ho sentito il resto. Avevo già sceso a precipizio la scalinata ed ero saltato a bordo di un tassì. Ho speso quasi tutto il denaro che avevo e che tenevo scrupolosamente da parte per il viaggio di ritorno a St. John’s Wood. Il bombardamento è incominciato quando eravamo ancora in Oxford Street, e il tassista si è rifiutato di andare oltre. Mi ha lasciato nel buio pesto, e ho capito che non avrei fatto in tempo.

Maledizione. Enola accasciata sulla scala della metropolitana, con i sandali ancora ai piedi, e senza un segno addosso. E quando cerco di sollevarla è come se fosse di gelatina sotto la pelle. Avrei dovuto avvolgerla nella sciarpa che mi aveva regalato, perché ero arrivato tardi. Ero tornato indietro di cent’anni ed ero arrivato in ritardo per salvarla.

Ho corso per gli ultimi isolati, guidato dalla postazione dei cannoni che doveva essere in Hyde Park, e ho sceso come un pazzo la scala dell’Arco di Marmo. La donna della biglietteria si è presa il mio ultimo scellino per un biglietto per la stazione di San Paolo. L’ho infilato in tasca e sono corso verso la scala.

— Non corra — ha detto lei, placidamente. — A sinistra, prego. — La porta a destra era bloccata da barriere di legno, il cancello metallico era chiuso da una catena. Sul cartello con i nomi delle stazioni c’era una croce di nastro adesivo, e un cartello nuovo con la scritta «Tutti i treni» era inchiodato alla barriera e indicava la sinistra.

Enola non era sulle scale mobili bloccate e non era seduta contro il muro della galleria. Sono arrivato alla prima scala e non sono riuscito a passare. C’era una famiglia accampata proprio dove volevo passare io, e prendeva il té con pane e burro, un vasetto di marmellata chiuso con la carta oleata, e un bricco su un fornello come quello che io e Langby avevamo tirato fuori dai calcinacci, e tutto era steso su una tovaglia con un fregio di fiori ricamato negli angoli. Mi sono fermato a guardare quella tovaglia apparecchiata per il té, disposta come una cascata sui gradini.

— Io… l’Arco di Marmo… — ho detto. Altre venti persone uccise dalla caduta delle piastrelle. — Non dovreste star qui.

— Abbiamo lo stesso diritto degli altri — ha detto l’uomo con aria bellicosa. — E lei chi è, per dirci che dobbiamo andar via?

Una donna che stava tirando fuori i piattini da una scatola di cartone mi ha guardato, impaurita. Il bricco ha incominciato a fischiare.

— È lei che deve andare — ha detto l’uomo. — E allora vada. — Si è tirato da una parte per farmi passare, e sono passato accanto alla tovaglia ricamata.

— Scusi — ho detto. — Sto cercando una persona. Sulla piattaforma.

— Non la troverà mai là dentro, amico — ha detto l’uomo, indicando con il pollice. Sono corso via, evitando appena di calpestare la tovaglia. Ho girato l’angolo e sono piombato nell’inferno.

Non era l’inferno. C’erano alcune commesse che avevano piegato i cappotti e ci stavano appoggiate, allegre o imbronciate o stizzite, ma certo non avevano l’aria delle dannate. Due ragazzini si stavano disputando uno scellino, e l’hanno perso perché è rotolato sui binari. Si sono sporti dal marciapiedi, discutendo per decidere se dovevano andare a recuperarlo o no, e una guardia gli ha gridato di stare indietro. È passato rombando un treno carico di gente. Una zanzara si è posata sulla mano della guardia e l’uomo ha fatto per schiacciarla, ma l’ha mancata. I ragazzini hanno riso. E dietro di loro e davanti a loro, in tutte le direzioni sotto le esiziali piastrelle bianche della galleria; sdraiati come feriti, nelle entrate e sulle scale, c’erano centinaia e centinaia di uomini e donne e bambini.

Sono tornato barcollando nella galleria, rovesciando una tazza. Il tè si è sparso sulla tovaglia come un lago.

— Gliel’avevo detto, amico — ha commentato allegramente l’uomo. — Là dentro è l’inferno, no? E sotto è anche peggio.

— L’inferno — ho detto. — Sì. — Non l’avrei mai trovata. Non l’avrei salvata. Ho guardato la donna che asciugava il tè e ho pensato che non potevo salvare neppure lei. Enola o il gatto o qualunque altro, smarriti lì tra le scale che non finivano mai e i vicoli ciechi del tempo. Erano già morti da cent’anni, e non si poteva salvarli. Non si può salvare il passato. Sicuramente era quella, la lezione che la facoltà di storia mi aveva mandato a imparare. Benissimo, l’ho imparata. Adesso posso tornare a casa?

No, naturalmente, caro ragazzo. Hai speso stupidamente tutto il tuo denaro in tassì e brandy, e questa è la notte che i tedeschi bruceranno la City. (Adesso che è troppo tardi, ricordo tutto. Ventotto bombe incendiarie sui tetti.) Langby deve avere la sua occasione, e tu devi imparare la lezione più difficile di tutte, quella che avresti dovuto conoscere fin dall’inizio. Non puoi salvare San Paolo.

Sono tornato sulla piattaforma e mi sono fermato dietro la linea gialla, fino a quando si è fermato un treno. Ho tirato fuori il mio biglietto e l’ho tenuto sempre in mano fino alla stazione di San Paolo. Quando sono arrivato, il fumo saliva dietro di me come un pulviscolo d’acqua. Non riuscivo a vedere San Paolo.

— C’è la bassa marea — ha detto una donna, con una voce priva di speranza, e io sono caduto in un groviglio serpentino di tubi di tela floscia. Quando ho sollevato le mani, erano coperte di fango puzzolente e finalmente ho capito, troppo tardi, l’importanza della bassa marea. Non c’era acqua per combattere le fiamme.

Un poliziotto mi ha sbarrato la strada e mi sono fermato davanti a lui, rassegnato, senza sapere che cosa dire. — I civili non sono ammessi lassù — ha detto. — San Paolo è andato. — Il fumo turbinava come un nembo temporalesco, pieno di scintille e al di sopra del fumo la cupola s’innalzava tutta d’oro.

— Sono al servizio antincendio — ho detto, e il poliziotto ha riabbassato le braccia, e sono arrivato sui tetti.

I miei livelli d’endofrina dovevano andare su e giù come la voce delle sirene antiaeree. Da quel momento non ho più ricordi a breve termine, ma soltanto momenti sconnessi: la gente nella chiesa quando abbiamo portato giù Langby, acquattata in un angolo a giocare a carte, il vortice di pezzi di legno incendiati nella cupola, l’autista dell’ambulanza che portava i sandali come Enola e che mi ha spalmato l’unguento sulle mani ustionate. E al centro, l’unico momento chiaro, quando ho raggiunto Langby con una corda e gli ho salvato la vita.

Ero vicino alla cupola e sbattevo le palpebre nel fumo. La City era in fiamme e sembrava che San Paolo dovesse incendiarsi spontaneamente per il calore, o crollare per il frastuono. Bence-Jones era vicino alla torre nord-ovest, e stava prendendo a badilate una bomba incendiaria. Langby era troppo vicino al tratto rappezzato alla meglio sopra il coro, ed era rivolto verso di me. Una bomba incendiaria gli è caduta sulle spalle. Mi sono voltato per afferrare un badile e quando mi sono girato di nuovo lui era sparito.

— Langby! — ho gridato, ma non sentivo la mia voce. Era caduto nella breccia, e nessuno vedeva lui e la bomba incendiaria. Nessuno, tranne me. Non ricordo come ho attraversato il tetto. Credo di aver gridato per chiedere una corda. Qualcuno me l’ha data. Me la sono legata intorno alla cintura, ho messo i due capi nelle mani dei miei compagni e mi sono calato. Gli incendi illuminavano l’interno del foro, fin quasi in fondo. Sotto di me ho visto un mucchio di macerie bianche. È lì sotto, ho pensato, e sono saltato giù. Lo spazio era così poco che non sapevo dove buttare le macerie. Avevo paura di lapidarlo involontariamente, e cercavo di gettare i pezzi di legno e d’intonaco alle mie spalle, ma c’era appena appena posto per girarmi. Per un momento terribile ho pensato che non fosse neppure lì e che scostando i frammenti di legno avrei visto il pavimento vuoto, come era successo nella cripta.

Ero stordito dall’orrore di strisciargli addosso. Se era morto, pensavo che non avrei sopportato il pensiero di calpestare il suo cadavere. Poi la sua mano si è alzata come quella di uno spettro e mi ha afferrato la caviglia, e in pochi secondi mi sono girato e gli ho liberato la testa.

Era di quel bianco spaventoso che non mi fa più paura. — Ho spento la bomba — ha detto. L’ho fissato, così sopraffatto dal sollievo che non riuscivo a parlare. Per un momento d’isteria ho creduto che sarei scoppiato a ridere, tanto ero contento di vederlo. Finalmente ho capito che cosa dovevo dire.

— Tutto bene? — ho chiesto.

— Sì — ha risposto lui, e ha tentato di sollevarmi su un gomito. Tanto peggio per te.

Non ce la faceva ad alzarsi. Ha grugnito di dolore quando ha cercato di spostare il peso sul fianco destro, e si è abbandonato; le macerie hanno scricchiolato sinistramente sotto di lui. Ho cercato di alzarlo delicatamente per vedere dov’era ferito. Doveva essere caduto su qualche cosa.

— È inutile — ha detto lui, ansimando. — L’ho spenta.

L’ho guardato sbalordito, temendo che stesse delirando, e ho continuato a cercare di girarlo sul fianco.

— Lo so che contavi su questa — ha detto lui, senza opporre resistenza. — Doveva succedere, prima o poi, con tutti questi tetti. Ma le sono corso dietro. Cosa racconterai ai tuoi amici?

La giacca d’asbesto aveva un lungo strappo, dietro, e sotto la giacca la schiena era carbonizzata e fumava. Era caduto sulla bomba incendiaria. — Oh, mio Dio — ho detto, mentre cercavo disperatamente di vedere quanto era grave l’ustione, ma senza toccarlo. Non potevo sapere quanto erano profonde le bruciature, ma sembrava che fossero limitate soltanto alla fascia stretta dove la giacca s’era strappata. Ho cercato di tirar via la bomba che era sotto di lui, ma l’involucro scottava come una stufa. Però non stava fondendo. La mia sabbia e il corpo di Langby l’avevano soffocata. Non sapevo se avrebbe ricominciato a bruciare quando fosse stata di nuovo esposta all’aria. Mi sono guardato intorno come un matto per cercare il secchio e la pompa a staffa che Langby doveva aver lasciato cadere quando era precipitato.

— Cerchi un’arma? — ha chiesto Langby, con voce così chiara che era difficile credere che fosse ferito. — Perché non mi lasci qui? Prima di domattina sarei morto. Oppure preferisci fare il tuo sporco lavoro in privato?

Mi sono rialzato in piedi e ho chiamato gli uomini che stavano sul tetto sopra di noi. Uno ha puntato una lampada tascabile, ma la luce non ci ha raggiunti.

— È morto? — mi ha gridato una voce.

— Chiamate un’ambulanza — ho detto. — È ustionato.

Ho aiutato Langby ad alzarsi, cercando di sostenerlo senza toccargli la schiena. Ha barcollato un po’ e poi si è appoggiato al muro a guardarmi mentre io cercavo di seppellire la bomba incendiaria usando un pezzo di legno piatto. Poi hanno calato la corda, e io ho legato Langby. Non aveva più parlato da quando l’avevo aiutato a mettersi in piedi. Ha lasciato che gli annodassi la corda intorno alla vita e ha continuato a fissarmi. — Avrei dovuto lasciarti morire soffocato nella cripta — ha detto.

Stava diritto abbastanza agevolmente, quasi rilassato contro i supporti di legno, puntellandosi con le mani. Gli ho messo le mani sulla corda lenta e gliel’ho avvolta intorno, perché sapevo che non ce l’avrebbe fatta a stringerla. — Ti tenevo d’occhio da quel giorno nella Galleria. Sapevo che non avevi paura dell’altezza. Sei sceso quaggiù senza aver paura dell’altezza quando hai pensato che avessi rovinato i tuoi piani. Cosa ti ha preso? Una crisi di coscienza? Ti sei inginocchiato come un bambino a piangere: Cos’abbiamo fatto? Cos’abbiamo fatto? Mi dai la nausea. Ma sai che cosa ti ha tradito? Il gatto. Tutti sanno che i gatti odiano l’acqua. Tutti, tranne una sporca spia nazista.

Ho sentito che tiravano la corda, dall’alto. — Avanti! — ho detto, e la corda si è tesa.

— E quella smorfiosa del WVS? Anche lei era una spia? Avevi appuntamento con lei all’Arco di Marmo? Mi hai detto che l’avrebbero bombardato. Sei una lurida spia. Bartholomew. I tuoi amici l’hanno già fatto saltare in settembre. La stazione è aperta di nuovo.

La corda ha dato uno strattone all’improvviso e ha incominciato a sollevare Langby. Lui ha girato le mani per afferrarsi meglio. Ha urtato il muro con la spalla destra. Io ho alzato le mani e l’ho spinto delicatamente in modo che verso il muro ci fosse la parte sinistra del suo corpo. — Stai facendo un grosso sbaglio, sai — ha detto. — Avresti dovuto uccidermi. Ti denuncerò.

Sono rimasto lì nel buio ad aspettare la fune. Langby aveva perso i sensi quando è arrivato sul tetto. Sono passato tra i miei compagni, ho raggiunto la cupola e sono sceso nella cripta.

Stamattina è arrivata la lettera di mio zio, e dentro c’era un biglietto da dieci sterline.

31 dicembre — Due degli scagnozzi di Dunworthy mi aspettavano in St. John’s Wood per dirmi che ero in ritardo per l’esame. Non ho neppure protestato. Li ho seguiti docilmente senza neppure pensare che era ingiusto imporre un esame ad un morto ambulante. Non avevo dormito da… da quanto? Da ieri, quando ero andato a cercare Enola. Non avevo dormito da un secolo.

Dunworthy era alla sua scrivania e mi guardava sbattendo le palpebre. Uno degli scagnozzi mi ha dato il foglio del questionario, e l’altro ha cominciato a controllare il tempo. Ho girato il foglio e ho lasciato una macchia oleosa con l’unguento spalmato sulle ustioni. Le ho guardate senza capire. Avevo toccato la bomba incendiaria quando avevo girato Langby, ma le bruciature erano su! dorso delle mani. All’improvviso la spiegazione mi è giunta con la voce inflessibile di Langby: — Sono bruciature lasciate dalla corda, imbecille. A voi spie naziste non insegnano neppure il sistema giusto per arrampicarsi su per una fune?

Ho guardato il foglio. C’era scritto: «Numero delle bombe incendiarie cadute su San Paolo. Numero delle mine. Numero delle bombe esplosive ad alto potenziale. Numero dei volontari del primo turno di guardia. Secondo turno. Feriti. Morti». Le domande non avevano senso. C’era pochissimo spazio, appena sufficiente per scrivere i numeri, dopo ogni domanda. Metodo usato più comunemente per spegnere le bombe incendiarie. Come sarei riuscito a stipare quello che sapevo, in quello spazio? Dov’erano le domande su Enola e Langby e il gatto?

Mi sono avvicinato alla scrivania di Dunworthy. — Stanotte è mancato poco che San Paolo bruciasse — ho detto. — Che razza di domande sono queste?

— Lei deve rispondere alle domande, Mr. Bartholomew, non farle.

— Non ci sono domande sulla gènte — ho detto. L’involucro esterno della mia rabbia stava incominciando a sciogliersi.

— Certo che ci sono — ha detto Dunworthy, girando la seconda pagina del questionario. — Numero dei morti e feriti, 1940. Esplosioni, shrapnel, altre cause.

— Altre cause? — Ho chiesto. Da un momento all’altro il tetto mi sarebbe crollato addosso in una pioggia di polvere d’intonaco e di furore. — Altre cause? Langby ha spento un incendio con il suo corpo. Enola ha un raffreddore che continua a peggiorare. Il gatto… — Gli ho strappato dalle mani il foglio e ho scarabocchiato «un gatto» nello spazio accanto a «Esplosioni». — Non gliene importa proprio niente?

— Sono importanti da un punto di vista statistico — ha detto lui. — Ma come individui non hanno importanza per il corso della storia.

I miei riflessi erano andati. Ma mi ha sorpreso constatare che quelli di Dunworthy erano quasi altrettanto lenti. Gli ho scalfito appena la mascella e gli ho fatto schizzar via gli occhiali. — Certo che sono importanti! — ho gridato. — Loro sono la storia, loro e non tutti quei maledetti numeri!

I riflessi degli scagnozzi erano prontissimi. Non mi hanno lasciato il tempo di sferrargli un altro pugno. Mi hanno agguantato per le braccia per trascinarmi fuori.

— Loro sono nel passato, e non c’è nessuno che li salvi. Non riescono a vedersi le mani neppure se le alzano davanti agli occhi, e le bombe gli piovono addosso e lei mi dice che non sono importanti? E vuol raccontarmi d’essere uno storico?

Gli scagnozzi mi hanno trascinato fuori dalla porta, nel corridoio. — Langby ha salvato San Paolo. Una persona può essere più importante di così? Lei non è uno storico! Non è altro che un… — Volevo gridargli un insulto terribile, ma gli unici che mi sono venuti in mente erano quelli che avevo sentito da Langby. — Non è altro che una lurida spia nazista! — ho urlato. — Non è altro che un borghese fannullone!

Mi hanno scaricato carponi fuori dalla porta e me l’hanno sbattuta in faccia. — Non vorrei diventare uno storico neanche se mi pagasse! — ho gridato, e sono andato a vedere la lapide commemorativa del servizio antincendio.

31 dicembre — Questo devo scriverlo a spizzichi e bocconi. Ho le mani malridotte e i ragazzi di Dunworthy non hanno migliorato le cose. Ogni tanto viene Kivrin, con quella sua aria da santa Giovanna, e mi spalma sulle mani tanto unguento che non riesco a tenere una matita.

La stazione di San Paolo non c’è, naturalmente, e così sono sceso a Holborn e ho proseguito a piedi, pensando al mio ultimo incontro con il decano Matthews la mattina dopo che era bruciata la City. Questa mattina.

— Ho saputo che ha salvato la vita di Langby — mi ha detto. — E so che voi due insieme avete salvato San Paolo, stanotte.

Gli ho mostrato la lettera di mio zio e lui l’ha guardata come se non riuscisse a immaginare che cosa fosse. — Nulla è salvato per sempre — ha detto e per un momento terribile ho pensato che stesse per dirmi che Langby era morto. — Dovremo continuare a salvare San Paolo fino a che Hitler non deciderà di bombardare le campagne.

Le incursioni su Londra sono quasi finite. Avrei voluto dirglielo. Hitler comincerà a bombardare le campagne tra poche settimane. Canterbury, Bath, e sempre mirando alle cattedrali. Lei e San Paolo sopravviveranno alla guerra e potranno inaugurare la lapide commemorativa del servizio antincendio.

— Tuttavia ho qualche speranza — ha detto. — Credo che il peggio sia passato.

— Sì, signore. — Ho pensato alla lapide, con la scritta ancora leggibile dopo tanto tempo. No, signore, il peggio non è passato.

Sono riuscito a orientarmi fin quasi sulla cima di Ludgate Hill, e poi ho perso completamente la strada. Vagavo come un uomo in un cimitero. Non avevo ricordato che le macerie erano tanto simili alla polvere bianca dei calcinacci dalla quale aveva cercato di tirare fuori Langby. Non riuscivo a trovare la lapide da nessuna parte. Alla fine per poco non le sono caduto sopra, e sono balzato indietro come se avessi calpestato una tomba.

È tutto ciò che è rimasto. Dicono che a Hiroshima fossero rimasti alcuni alberi intatti al punto zero. A Denver è rimasta la scalinata del Campidoglio. Ma gli uni e l’altra non dicono: «Ricordate gli uomini e le donne del Servizio Antincendi di San Paolo che per grazia di Dio salvarono questa Cattedrale.» Per grazia di Dio.

La lapide è in parte tranciata. Gli storici sostengono che c’era un’altra riga dov’era scritto «per sempre»; ma non lo credo, se il decano Matthews ha avuto la possibilità di dire la sua. E nessuno di quelli del servizio alla quale era dedicata l’avrebbe creduto per un solo istante. Salvavamo San Paolo ogni volta che spegnevamo una bomba incendiaria, e lo salvavamo soltanto fino a quando ne cadeva un’altra. Stavamo di guardia nei punti pericolosi, spegnevamo i piccoli incendi con la sabbia e le pompe a staffa, e quelli grandi li spegnevamo con i nostri corpi, per impedire che l’immensa, complessa cattedrale finisse bruciata. E mi sembra quasi la descrizione della Prova Pratica 401 del Corso di Storia. Proprio il momento migliore per scoprire a cosa servono gli storici, quando ho buttato dalla finestra la possibilità di diventare uno di loro con la stessa facilità con cui hanno buttato dentro la microbomba! No, signore, il peggio non è passato.

Ci sono tracce di un’ombra bruciata sulla lapide, dove secondo la leggenda stava inginocchiato il decano di San Paolo quando la bomba è esplosa. Una leggenda totalmente apocrifa, naturalmente, dato che la porta d’ingresso non è il posto più adatto per pregare. Molto più probabilmente è l’ombra di un turista che era entrato per chiedere dove si trovava il Windmill Theatre, o l’impronta di una ragazza venuta a portare una sciarpa di lana a un volontario. Oppure un gatto.

Nulla è salvato per sempre, decano Matthews; e io lo sapevo quando sono entrato dalla porta ovest quel primo giorno, sbattendo le palpebre nel buio, ma comunque è molto doloroso. Star qui, affondato fino alle ginocchia nelle macerie dalle quali non potrò tirar fuori sedie pieghevoli o qualche amico, sapere che Langby è morto credendo che io fossi una spia nazista, sapere che un giorno Enola è venuta qui e io non c’ero più. È molto doloroso.

Ma è meno doloroso di quanto potrebbe essere. Sono morti tutti e due, e anche il decano Matthews è morto; ma sono morti senza sapere quello che io ho sempre saputo, e che mi ha fatto crollare in ginocchio nella Whispering Gallery, sopraffatto dall’angoscia e dal rimorso: che alla fine nessuno di noi ha salvato San Paolo. E Langby non può girarsi verso di me, stordito e disfatto, e chiedermi: — Chi ha fatto questo? I tuoi amici nazisti? — E io dovrei rispondere: — No. I comunisti. — Questo sarebbe il peggio.

Devo tornare nella mia stanza e lasciare che Kivrin mi spalmi altro unguento sulle mani. Lei vuole che io dorma un po’. So che dovrei fare i bagagli e andarmene. Sarà umiliante, quando verranno a buttarmi fuori, ma non ho la forza di oppormi a lei. Somiglia troppo a Enola.

1° gennaio — A quanto pare ho dormito non soltanto tutta la notte ma anche fin dopo la consegna della posta del mattino. Quando mi sono svegliato, poco fa, ho trovato Kivrin seduta ai piedi del letto. Aveva in mano una busta. — È arrivato il risultato del tuo esame — ha detto.

Mi sono coperto gli occhi con il braccio. — Sanno essere meravigliosamente efficienti quando vogliono, no?

— Sì — ha risposto Kivrin.

— Bene, vediamo — ho detto sollevandomi a sedere. — Quanto tempo mi resta prima che vengano a buttarmi fuori?

Lei mi ha consegnato la leggera busta del computer. L’ho strappato lungo la perforazione. — Aspetta — mi ha detto Kivrin. — Prima di aprirla, voglio dirti una cosa. — Ha posato una mano sulle mie ustioni, delicatamente. — Ti sbagli a giudicare la facoltà di storia. Sono molto in gamba.

Non era esattamente quello che mi aspettavo da lei. — Non è il termine che userei io per descrivere Dunworthy — ho detto, e ho tirato fuori il foglio.

Kivrin non ha cambiato espressione, neppure quando sono rimasto lì con il printout sulle ginocchia dove lei poteva vederlo sicuramente.

— Bene — ho detto.

Il foglio era firmato dallo stimato Dunworthy. Avevo preso il massimo dei voti. E lode.

2 gennaio — Oggi sono arrivate due cose, per posta. Una era l’assegnazione per Kivrin. La facoltà di storia pensa a tutto… persino a tenerla qui abbastanza a lungo per farmi da infermiera, persino a realizzare prove del fuoco prefabbricate alle quali sottoporre i loro laureandi.

Penso che vorrei credere che avevano fatto proprio questo. Enola e Langby erano attori scritturati apposta, il gatto un robot ingegnoso al quale avevano tolto il meccanismo interno per creare l’effetto finale: non tanto perché volevo credere che Dunworthy non fosse affatto in gamba, ma perché allora non avrei avuto quella sofferenza assillante al pensiero di non sapere cos’era stato di loro.

— Mi hai detto che la tua prova pratica era nell’Inghilterra del 1300? — ho chiesto, guardando Kivrin sospettosamente come avevo guardato Langby.

— 1349 — ha detto lei, e il suo viso si è oscurato al ricordo. — L’anno della peste.

— Mio Dio — ho detto. — Come hanno potuto fare una cosa simile? La peste è un dieci, come pericolosità.

— Io ho un’immunità naturale — ha risposto lei, guardandosi le mani.

Dato che non sapevo cosa dire, ho aperto l’altra busta. Era un rapporto su Enola. Stampato dal computer, fatti e date e statistiche, tutti i numeri così cari alla facoltà di storia; ma mi diceva quello che credevo che avrei dovuto rinunciare a sapere: che era guarita dal raffreddore ed era sopravvissuta al Blitz. Il giovane Tom era rimasto ucciso a Bath in un bombardamento, ma Enola era vissuta fino al 2006, l’anno prima che facessero saltare San Paolo.

Non so se devo credere o no al rapporto, ma non ha importanza. È come quando Langby leggeva a voce alta per il vecchio, un semplice gesto di gentilezza umana. Pensano proprio a tutto.

No, non a tutto. Non mi hanno detto che è stato di Langby. Ma mentre scrivo questo, credo di saperlo già: gli ho salvato la vita. Sembra che non abbia importanza se anche è morto all’ospedale il giorno dopo; e nonostante tutte le dure lezioni che la facoltà di storia ha cercato d’insegnarmi, non credo completamente a questa: che nulla è salvato per sempre. A me sembra che forse Langby lo sia.

3 gennaio — Oggi sono andato a vedere Dunworthy. Non so che cosa avessi intenzione di dire… qualche frase pomposa sulla mia disponibilità a prestare la mia opera nel servizio antincendio della storia, a montare la guardia contro le bombe incendiarie del cuore umano, in silenzio e santamente.

Ma lui ha battuto gli occhi da miope, guardandomi, e mi è sembrato che guardasse quell’ultima immagine fulgida di San Paolo nella luce del sole prima che sparisse per sempre, e sapesse meglio di chiunque altro che il passato non può venire salvato. E così ho detto, invece: — Mi dispiace di averle rotto gli occhiali, signore.

— Le è piaciuto San Paolo? — mi ha chiesto, e come al mio primo incontro con Enola ho avuto l’impressione di aver capito i segnali nel modo sbagliato, e che lui non provasse un senso di perdita, ma qualcosa di completamente diverso.

— Moltissimo, signore — ho risposto.

— Sì — ha detto lui. — Anche a me.

Il decano Matthews si sbaglia. Ho lottato con la memoria durante tutta la mia prova pratica soltanto per scoprire che non è affatto la nemica, e che essere uno storico non è, dopotutto, un santo onore. Perché Dunworthy non sta battendo le palpebre nella fatale luce del sole dell’ultimo mattino, ma nel buio di quel primo pomeriggio, e guarda all’interno della grande porta ovest di San Paolo qualcosa che, come Langby, come tutto, come ogni momento, è salvato per sempre dentro di noi.