18.
Mercoledì 18 giugno

Lisbeth Salander si svegliò di scatto da un sonno senza sogni. Avvertiva un vago malessere. Non aveva bisogno di voltare la testa per sapere che Mimmi era già sparita per andare al lavoro, ma il profumo di lei aleggiava ancora nell’aria viziata della camera. Aveva bevuto troppe birre al Kvarnen con le Evil Fingers la sera prima. Poco prima dell’ora di chiusura, Mimmi era comparsa e le aveva fatto compagnia nel tragitto verso casa e poi nel letto.

A differenza di Mimmi, Lisbeth Salander non si era mai considerata lesbica sul serio. Non aveva mai nemmeno perso tempo a chiedersi se fosse etero- o omo- o bisessuale. In generale se ne infischiava delle etichette ed era del parere che non riguardava nessun altro con chi passava la notte. Se proprio doveva manifestare una preferenza sessuale, allora preferiva i ragazzi, o almeno così diceva la statistica. Il problema era trovarne uno che non fosse un babbeo e che magari valesse anche qualcosa a letto, e Mimmi era un dolce compromesso capace di infiammarla. L’aveva conosciuta in un punto di ristoro del Gay Pride Festival un anno prima, ed era l’unica persona che Lisbeth stessa avesse introdotto presso le Evil Fingers. La loro relazione era andata avanti a singhiozzo nell’anno trascorso, ma per entrambe era tuttora soltanto un passatempo. Mimmi aveva un corpo caldo e morbido a cui giacere vicino, ma era anche un essere umano insieme al quale Lisbeth riusciva a svegliarsi e perfino a far colazione.

La sveglia sul comodino segnava le nove e mezza del mattino, e lei stava giusto cominciando a domandarsi che cosa diavolo l’avesse svegliata, quando il campanello della porta suonò di nuovo. Si mise a sedere confusa. Nessuno suonava mai alla sua porta a quell’ora del giorno. E pochissimi suonavano alla sua porta in generale. Assonnata si avvolse il lenzuolo intorno al corpo e si avviò barcollando ad aprire. Si trovò a fissare dritto negli occhi Mikael Blomkvist e colta dal panico fece involontariamente un passo indietro.

«Buon giorno, signorina Salander» la salutò lui tutto allegro. «Mi par di capire che hai fatto tardi ieri sera. Posso entrare?»

Senza aspettare l’invito, superò con un lungo passo la soglia e richiuse la porta dietro di sé. Osservò incuriosito il mucchio di indumenti sul pavimento dell’ingresso e la montagna di sacchetti di carta pieni di giornali e sbirciò attraverso la porta della camera da letto mentre il mondo di Lisbeth Salander girava nella direzione sbagliata, come, cosa, chi? Mikael Blomkvist guardò divertito la sua bocca spalancata.

«Supponevo che non avessi ancora fatto colazione e quindi ho portato con me dei panini. Uno con roast-beef, uno con tacchino e senape di Digione e uno vegetariano con avocado. Non so che cosa ti piace. Roast-beef?» Scomparve in cucina e trovò subito la macchina del caffè. «Dove tieni il caffè?» le gridò. Lisbeth rimase paralizzata nell’ingresso finché sentì scorrere l’acqua. Allora fece tre rapidi passi.

«Stop!» Si rese conto che aveva urlato e abbassò la voce. «Diavolo, non puoi mica piombare qui come se fosse casa tua. Non ci conosciamo nemmeno!»

Mikael Blomkvist si fermò con la caraffa sopra il serbatoio della macchina del caffè e voltò il capo verso di lei. Le rispose con voce seria: «Sbagliato. Tu mi conosci meglio della maggior parte della gente. O no?»

Le girò la schiena e continuò a versare l’acqua, poi cominciò ad aprire barattoli sul piano di lavoro. «E a proposito, io so cosa fai. Conosco i tuoi segreti.»

Lisbeth Salander chiuse gli occhi e desiderò che il pavimento smettesse di ondeggiarle sotto i piedi. Si trovava in uno stato di paralisi intellettuale. Soffriva i postumi di una sbronza. La situazione era irreale e il suo cervello si rifiutava di funzionare. Non aveva mai incontrato faccia a faccia qualcuno dei suoi oggetti di ricerca. Lui sa dove abito! Stava lì nella sua cucina. Era impossibile. Non sarebbe dovuto succedere. Lui sa chi sono!

D’un tratto si rese conto che il lenzuolo stava scivolando e se lo avvolse più stretto intorno al corpo. Lui disse qualcosa che all’inizio non capì. «Dobbiamo parlare» ripeté. «Ma credo che tu abbia bisogno di infilarti sotto la doccia, prima.»

Lei cercò di farlo ragionare. «Stammi a sentire, se hai intenzione di piantare un casino non è a me che devi rivolgerti. Io ho fatto solo un lavoro. Va’ a parlare con il mio capo.»

Lui le si piazzò davanti e alzò le mani in segno di resa. Sono disarmato. Un segno universale di pace.

«Ho già parlato con Dragan Armanskij. Fra parentesi vuole che gli telefoni — ieri sera non rispondevi al cellulare.»

Le si avvicinò. Lei non avvertì nessuna minaccia ma indietreggiò comunque di qualche centimetro quando lui le sfiorò il braccio e la guidò verso la porta del bagno. A lei non andava che qualcuno la toccasse senza permesso, anche se le intenzioni erano amichevoli.

«Non voglio piantare nessun casino» disse lui con voce tranquilla. «Ma sono molto ansioso di parlare con te. Dopo che ti sarai svegliata, voglio dire. Il caffè sarà pronto quando ti sarai messa addosso qualcosa. Doccia. Via!»

Lei gli obbedì arrendevole. Lisbeth Salander non è mai arrendevole pensò.

Un volta in bagno si appoggiò contro la porta e cercò di riordinare i pensieri. Era più scossa di quanto avrebbe mai creduto possibile. Poi si rese conto lentamente di avere la vescica che stava per scoppiare, e che una doccia non solo era un buon consiglio ma anche una necessità dopo il tumulto della notte. Quando ebbe terminato scivolò in camera da letto e si infilò slip, jeans e una T-shirt con scritto Armageddon was yesterday Today we have a serious problem.

Dopo un attimo di riflessione cercò la giacca di pelle che aveva gettato sopra una sedia. Tirò fuori la pistola elettrica dalla tasca, controllò la carica e se la infilò nella tasca posteriore dei jeans. Il profumo di caffè si spandeva per l’appartamento. Fece un profondo respiro e ritornò in cucina.

«Non le fai mai le pulizie?» furono le prime parole che lui le rivolse.

Aveva riempito il lavello di stoviglie sporche, vuotato i posacenere, gettato la confezione di latte scaduto e sgomberato il tavolo da cinque settimane di giornali, pulito e asciugato il piano e apparecchiato con tazze e — non aveva scherzato — sfilatini imbottiti. L’insieme aveva un’aria invitante e lei in effetti era affamata dopo la notte con Mimmi. Okay, vediamo dove condurrà questa storia. Si sedette di fronte a lui, in atteggiamento di attesa.

«Non hai risposto alla mia domanda. Roast-beef, tacchino o vegetariano?»

«Roast-beef.»

«Allora io prenderò il tacchino.»

Fecero colazione in silenzio mentre si studiavano a vicenda. Quando ebbe finito il suo sfilatino, lei si mangiò anche metà del vegetariano che era avanzato. Poi prese un pacchetto sgualcito dal davanzale interno della finestra e ne cavò una sigaretta.

«Okay, adesso lo so» disse lui rompendo il silenzio. «Forse non sarò bravo come te a fare indagini personali, ma ho comunque scoperto che non sei né vegan né — come credeva Dirch Frode — anoressica. Inserirò queste informazioni nel mio rapporto su di te.»

Lisbeth lo fissò, ma quando vide la sua faccia si rese conto che la stava prendendo in giro. Aveva un’aria così stranamente divertita che lei non poté resistere e gli rispose allo stesso modo. Con un sorriso storto. La situazione non aveva né capo né coda. Allontanò da sé il piatto. Lui aveva due occhi da buono. Qualsiasi cosa fosse, molto probabilmente non era una persona malvagia, decise. Del resto nemmeno nell’indagine personale che aveva fatto c’era alcunché che lasciasse intendere che lui fosse un bastardo che maltrattava le donne o cose del genere. Si ricordò che era lei a sapere tutto di lui — non viceversa. La conoscenza è potere.

«Perché stai sogghignando?» gli domandò.

«Scusa. In effetti non avevo programmato la mia entrata in scena a questo modo. L’intenzione non era di spaventarti come è evidente che ho fatto. Ma avresti dovuto vedere la tua espressione quando hai aperto la porta. Era impagabile. Non ho potuto resistere alla tentazione di prenderti un po’ in giro.»

Silenzio. Con suo stesso stupore, Lisbeth Salander d’improvviso stava trovando la sua non sollecitata compagnia accettabile — o in ogni caso non sgradevole.

«Puoi considerarla la mia terrificante vendetta per aver frugato nella mia vita privata» disse allegramente. «Ti faccio paura?»

«No» rispose Lisbeth.

«Bene. Non sono qui per farti del male o per litigare con te.»

«Se provi a farmi del male, te ne farò io. Ma sul serio.»

Mikael la studiò. Era alta circa un metro e mezzo, e non aveva l’aria di avere granché da opporre, se lui fosse stato uno stupratore che si era introdotto nel suo appartamento. Ma i suoi occhi erano privi di espressione e tranquilli.

«Non è nel programma» disse alla fine. «Non ho cattive intenzioni. Ho bisogno di parlare con te. Se vuoi che me ne vada ti basta dirmelo.» Rifletté un secondo. «È già abbastanza strano come… usch.» Si interruppe a metà frase.

«Cosa?»

«Non so se suona sensato, ma quattro giorni fa non sapevo neppure che esistevi. Poi ho avuto modo di leggere la tua analisi su di me» frugò nella borsa a tracolla e trovò il fascicolo, «che non è stata solo una lettura piacevole.»

Tacque e guardò fuori della finestra un momento. «Posso prenderti una sigaretta?» Lei spinse il pacchetto verso di lui.

«Tu prima hai detto che non ci conosciamo e io ho risposto che non è vero.» Indicò la relazione. «Non ho ancora raggiunto il tuo livello — ho fatto solo un piccolo controllo di routine per scovare il tuo indirizzo, la data di nascita e cose del genere —, ma tu sai davvero parecchie cose di me. Una buona parte sono cose molto private che solo i miei amici più intimi conoscono. E adesso sono seduto qui nella tua cucina e mangio sfilatini con te. Ci conosciamo da mezz’ora e tutto d’un tratto ho avuto quella certa sensazione di conoscerti da anni. Capisci cosa intendo?»

Lei annuì.

«Hai dei begli occhi» disse lui.

«E tu degli occhi buoni» rispose lei. Lui non riuscì a stabilire se fosse ironica.

Silenzio.

«Perché sei qui?» chiese lei all’improvviso.

Kalle Blomkvist, le venne in mente il suo soprannome e soffocò l’impulso di dirlo ad alta voce. Assunse di colpo un’espressione seria. C’era stanchezza nei suoi occhi. La sicurezza che aveva mostrato quando aveva imposto la sua presenza era sparita e lei trasse la conclusione che la farsa era finita o almeno era stata accantonata. Per la prima volta avvertì che la stava esaminando a fondo, con riflessiva serietà. Non poté stabilire che cosa si muovesse nella sua testa, ma percepì immediatamente che la visita aveva preso una piega più severa.

Lisbeth Salander era consapevole che la propria calma era soltanto superficiale e che non aveva esattamente il controllo dei propri nervi. La visita del tutto inaspettata di Blomkvist l’aveva scossa in un modo che non aveva mai sperimentato prima in relazione con il suo lavoro. Spiare la gente era il suo pane quotidiano. In realtà non aveva mai definito ciò che faceva per Dragan Armanskij un vero lavoro, ma piuttosto un complicato passatempo, quasi un hobby.

La verità era — come aveva constatato ormai da un pezzo — che scavare nella vita della gente e scoprire i segreti che cercavano di nascondere le piaceva. Lo aveva fatto — in una forma o nell’altra — fin da quando riusciva a ricordare. E lo faceva ancora oggi, non solo quando Armanskij le dava un incarico ma talvolta anche per suo piacere personale. Le dava un pizzico di soddisfazione — era proprio come un videogioco complicato, con la differenza che si trattava di persone in carne e ossa. E adesso all’improvviso il suo hobby era seduto in cucina e le offriva dei panini. La situazione le sembrava totalmente assurda.

«Ho un problema affascinante» disse Mikael. «Dimmi, quando hai svolto la tua indagine personale su di me per Dirch Frode… sapevi anche solo vagamente per che cosa sarebbe stata utilizzata?»

«No.»

«Lo scopo era raccogliere informazioni su di me perché Frode, o più esattamente il suo committente, voleva propormi un lavoro da free-lance.»

«Aha.»

Lui le rivolse un lieve sorriso.

«Un giorno tu e io faremo una conversazione sugli aspetti morali del frugare nella vita privata di un’altra persona. Ma in questo preciso momento ho tutt’altri problemi… Il lavoro che mi è stato affidato, e che io per qualche incomprensibile motivo mi sono accollato, è senza paragoni l’incarico più bizzarro che abbia mai avuto. Posso fidarmi di te, Lisbeth?»

«In che senso?»

«Dragan Armanskij dice che sei totalmente affidabile. Ma io te lo chiedo comunque. Posso raccontarti dei segreti senza che tu li vada a riferire a nessuno, ma proprio a nessuno?»

«Aspetta. Tu hai parlato con Dragan; è lui che ti ha mandato qui?»

Ti ammazzo, dannato imbecille di un armeno.

«No, non esattamente. Tu non sei l’unica che è capace di trovare l’indirizzo di qualcuno, ci sono arrivato per conto mio. Ti ho scovata tramite l’anagrafe. Ci sono tre persone che si chiamano Lisbeth Salander e le altre due non erano plausibili. Ma ho contattato Armanskij ieri e abbiamo avuto un lungo colloquio. All’inizio anche lui credeva che volessi lamentarmi del fatto che avevi ficcato il naso nella mia vita privata, ma alla fine si è convinto che avevo un motivo del tutto legittimo.»

«Che sarebbe?»

«Come ho detto, il committente di Dirch Frode mi ha incaricato di un lavoro. Ora sono arrivato a un punto in cui mi occorre con urgenza l’aiuto di un ricercatore competente. Frode mi ha parlato di te e ha detto che eri competente. Gli è solo sfuggito, ed è così che sono venuto a saperlo, che avevi fatto un’indagine personale su di me. Ieri ho parlato con Armanskij spiegandogli cosa volevo. Lui ha dato l’okay e ha cercato di telefonarti, ma tu non hai mai risposto, così… eccomi qui. Puoi chiamare Armanskij per controllare, se vuoi.»

Lisbeth Salander impiegò diversi minuti per trovare il cellulare sotto il mucchio di indumenti che Mimmi l’aveva aiutata a levarsi. Mikael Blomkvist osservò il suo imbarazzato rovistare con grande interesse, mentre faceva un giro per l’appartamento. I mobili della ragazza sembravano provenire esclusivamente dai container dei rifiuti. Su un piccolo tavolo da lavoro in soggiorno aveva però un imponente PowerBook. Su una mensola aveva un lettore di cd. La sua collezione, invece, era tutt’altro che imponente — una misera decina di cd di gruppi che Mikael non aveva mai sentito nominare, e i cui componenti fotografati in copertina parevano vampiri dello spazio esterno. Constatò che la musica non era la sua passione.

Lisbeth vide che Armanskij le aveva telefonato non meno di sette volte la sera prima, e due volte quella mattina. Fece il suo numero mentre Mikael si appoggiava contro lo stipite della porta e ascoltava la conversazione.

«Mi… mi dispiace, ma era spento… lo so che mi vuole dare un incarico… no, è qui nel mio soggiorno…» Alzò il volume della voce. «Dragan, ho i postumi di una sbronza e mi fa male la testa, perciò smetti di blaterare; hai dato l’okay al lavoro oppure no?… Grazie.»

Clic.

Lisbeth Salander sbirciò Mikael Blomkvist attraverso la porta del soggiorno. Stava guardando i suoi dischi e i suoi libri e aveva appena trovato una boccetta scura di medicinali a cui mancava l’etichetta e che aveva sollevato curioso in controluce. Quando stava per svitare il tappo, lei allungò la mano e gli portò via il flacone, ritornò in cucina e si sedette massaggiandosi la fronte finché Mikael non si sedette di nuovo a sua volta.

«Le regole sono semplici» disse lei. «Nulla di ciò che discuterai con me o Dragan Armanskij arriverà a conoscenza di altri. Sottoscriveremo un contratto in cui la Milton Security si impegna al silenzio. Voglio sapere qual è lo scopo del lavoro prima di decidere se voglio lavorare per te oppure no. Significa che manterrò il silenzio su ogni cosa che mi racconterai, sia che assuma l’incarico oppure no, a condizione che non mi riveli che conduci gravi attività criminose. In questo caso farò rapporto a Dragan, che a sua volta informerà la polizia.»

«Bene.» Mikael esitò. «Forse Armanskij non ha proprio ben chiaro per che cosa ho in mente di ingaggiarti…»

«Ha detto che volevi che ti aiutassi con una ricerca di carattere storico.»

«Sì, è esatto. Ma ciò che vorrei tu facessi è aiutarmi a identificare un assassino.»

Mikael impiegò oltre un’ora a raccontare tutti gli intricati dettagli del caso Harriet Vanger. Non tralasciò nulla. Aveva avuto da Frode il permesso di ingaggiarla e per farlo doveva potersi fidare di lei completamente.

Le raccontò anche dei suoi rapporti con Cecilia Vanger e di come avesse scoperto il suo volto alla finestra di Harriet. Fornì a Lisbeth tutti i dettagli che poteva sulla sua personalità. Cominciava ad ammettere con se stesso che Cecilia era salita parecchio in alto nella lista dei sospetti. Ma era ancora ben lontano dal capire come potesse essere collegata a un assassino che era attivo quando lei era ancora una bambina.

Quando ebbe terminato consegnò a Lisbeth Salander una

copia dell’elenco tratto dall’agenda.

«Che cosa vuoi che faccia?»

«Io ho identificato RJ, Rebecka Jacobsson, e l’ho collegata a una citazione biblica che parla del rito dell’olocausto. Rebecka fu uccisa mettendole la testa nelle braci del camino, con un rituale quasi identico a quello descritto nella citazione. Se è come credo, dovremmo trovare altre quattro vittime — Magda, Sara, Mari e RL.»

«Tu credi che siano morte? Assassinate?»

«Un omicida attivo negli anni cinquanta e forse sessanta. E in qualche modo collegato con Harriet Vanger. Sono andato a guardarmi vecchi numeri dell’Hedestads-Kuriren. L’assassinio di Rebecka è l’unico omicidio atroce connesso con Hedestad che abbia trovato. Voglio che tu estenda la ricerca al resto della Svezia.»

Lisbeth Salander si soffermò così a lungo a riflettere con aria inespressiva, che Mikael cominciò ad agitarsi impaziente sulla sedia. Si stava chiedendo se non avesse scelto la persona sbagliata, quando lei alla fine alzò gli occhi.

«Okay. Accetto l’incarico. Ma devi sottoscrivere il contratto con Armanskij.»

Dragan Armanskij stampò il contratto che Mikael Blomkvist avrebbe portato con sé a Hedestad perché Dirch Frode lo firmasse. Mentre tornava nella stanza di Lisbeth Salander, vide attraverso il vetro come lei e Mikael Blomkvist fossero chini sopra il PowerBook della ragazza. Mikael le teneva una mano sulla spalla, la toccava, e indicava qualcosa. Armanskij rallentò il passo.

Mikael stava dicendo qualcosa che pareva lasciare Lisbeth esterrefatta. Poi lei scoppiò in una sonora risata.

Armanskij non l’aveva mai sentita ridere prima, sebbene avesse cercato per anni di conquistare la sua fiducia. Mikael Blomkvist la conosceva da cinque minuti e lei rideva già insieme a lui.

D’improvviso sentì di detestare Mikael Blomkvist con un ardore che lo lasciò sbalordito. Si schiarì la gola sulla soglia e allungò la cartelletta di plastica con il contratto.

Mikael ebbe il tempo per una rapida visita alla redazione di Millennium nel pomeriggio. Era la prima volta da quando aveva sgombrato la scrivania prima di Natale e gli pareva strano salire di corsa le scale ben note. Non avevano cambiato il codice di apertura della porta e poté scivolare inosservato in redazione e soffermarsi un attimo a guardarsi intorno.

Gli uffici di Millennium erano a forma di L. L’ingresso era un ampio locale che occupava molta superficie senza poter essere sfruttato per qualcosa di utile. L’avevano arredato con un salotto dove ricevere i visitatori. Dietro il salotto c’erano una piccola mensa con un cucinino, i bagni e due ripostigli con librerie e archivi. Lì c’era anche una scrivania per l’onnipresente praticante. A destra dell’entrata c’era una parete di vetro verso l’atelier di Christer Malm; questi aveva una sua società che occupava ottanta metri quadrati e disponeva di un ingresso indipendente sulle scale. A sinistra c’era la redazione vera e propria di circa centocinquanta metri quadrati, con parete di vetro verso Götgatan.

Erika aveva scelto l’arredamento e fatto mettere delle pareti divisorie in vetro ricavando tre stanze per singoli collaboratori e un open space per i restanti tre. Lei stessa si era presa la stanza più grande, in fondo alla redazione, e aveva sistemato Mikael in una stanza all’altra estremità. Era l’unica in cui si potesse guardare dentro dall’ingresso. Lui notò che non l’aveva occupata nessuno.

La terza stanza era un po’ appartata e vi stava Sonny Magnusson, sessant’anni, che da qualche anno era l’ottimo venditore di spazi pubblicitari. Erika aveva scovato Sonny quando era rimasto disoccupato in seguito ai tagli operati nell’azienda dove aveva lavorato per gran parte della vita. Aveva già un’età in cui non si aspettava che gli venisse offerto un impiego fisso. Erika l’aveva selezionato con cura; gli aveva offerto un piccolo compenso fisso mensile e una percentuale sui ricavati dalle inserzioni. Sonny aveva accettato e nessuno di loro aveva avuto modo di pentirsene. Ma nell’ultimo anno non aveva avuto nessuna importanza quanto fosse stato intraprendente come venditore; gli introiti delle inserzioni erano crollati a picco. Lo stipendio di Sonny era diminuito in maniera sostanziosa, ma anziché cercarsi un altro lavoro lui aveva tirato la cinghia ed era rimasto lealmente al suo posto. A differenza di me, che ho causato il crollo pensò Mikael.

Alla fine Mikael aveva preso coraggio e aveva fatto il suo ingresso nella redazione, che era mezza vuota. Poteva vedere Erika nel suo ufficio, con un ricevitore appoggiato all’orecchio. Solo due dei collaboratori si trovavano lì. Monika Nilsson, trentasette anni, era un’abile reporter polivalente con i servizi di politica come specialità, e probabilmente la cinica più consumata che Mikael avesse mai conosciuto. Lavorava a Millennium da nove anni e vi si trovava magnificamente. Henry Cortez aveva ventiquattro anni ed era il più giovane membro della redazione; era arrivato come praticante due anni prima, dichiarando che era a Millennium e da nessun’altra parte che voleva lavorare. Erika non aveva budget sufficiente per assumerlo, ma gli aveva offerto una scrivania in un angolo e si serviva di lui come free-lance fisso.

Entrambi emisero grida di giubilo quando scorsero Mikael, che ricevette baci sulle guance e pacche sulle spalle. Gli chiesero subito se avesse intenzione di ritornare in servizio e sospirarono delusi quando lui spiegò che sarebbe stato impegnato ancora per sei mesi su nel Norrland e che era venuto solo per dare un saluto e parlare con Erika.

Anche Erika fu felice di vederlo, gli offrì il caffè e chiuse la porta dell’ufficio. Si informò subito sulle condizioni di Henrik Vanger. Mikael spiegò che non sapeva più di quanto gli avesse detto Dirch Frode; la situazione era grave ma il vecchio era ancora vivo.

«Che ci fai in città?»

Tutto d’un tratto, Mikael si sentì imbarazzato. Siccome si era trovato solo qualche isolato più in là, alla Milton Security, era salito in redazione spinto da un puro e semplice impulso. Gli sembrava complicato spiegarle che aveva appena ingaggiato un consulente per la sicurezza privato che si era introdotto illegalmente nel suo computer. Alzò le spalle e disse che era stato costretto a venire a Stoccolma per una questione che aveva a che fare con Vanger, e che sarebbe ripartito subito per il nord. Poi chiese come andavano le cose in redazione.

«Accanto alle notizie piacevoli — sia il volume delle inserzioni sia il numero degli abbonati continua a crescere —, all’orizzonte sta anche crescendo una nube scura.»

«Ah sì?»

«Janne Dahlman.»

«Ovviamente.»

«Sono stata costretta a fargli un discorso a quattr’occhi in aprile, dopo che avevamo divulgato la notizia che Henrik Vanger era entrato come socio. Non so se è soltanto per sua natura che è negativo, oppure se c’è qualcosa di più serio. Se fa un qualche genere di gioco.»

«Che è successo?»

«Io non mi fido più di lui. Dopo aver firmato l’accordo con Henrik Vanger, io e Christer potevamo scegliere se informare subito tutta la redazione del fatto che non rischiavamo più di dover chiudere in autunno, oppure…»

«Oppure informare qualche collaboratore in maniera selettiva.»

«Esatto. Forse sarò paranoica, ma non volevo rischiare che Dahlman facesse trapelare la storia. Così decidemmo di informare tutta la redazione il giorno stesso in cui l’accordo fosse divenuto di dominio pubblico. Dunque mantenemmo il silenzio per oltre un mese.»

«E…?»

«Be’, era la prima buona notizia che la redazione avesse avuto da un anno a questa parte. Tutti esultavano, tranne Dahlman. Voglio dire, noi non siamo mica la redazione più grande del mondo. C’erano tre persone che esultavano, più il praticante, e una imbufalita perché non l’avevamo informata prima sull’accordo.»

«Non aveva tutti i torti…»

«Lo so. Ma il fatto è che lui ha continuato a martellare sulla faccenda giorno dopo giorno e l’umore in redazione è colato a picco. Dopo due settimane di lanci di fango l’ho convocato e gli ho spiegato che non avevo informato la redazione perché non mi fidavo di lui e non ero sicura che mantenesse la riservatezza.»

«Come l’ha presa?»

«È rimasto molto ferito e turbato, è ovvio. Io non ho fatto marcia indietro e gli ho dato un ultimatum — o si dava una regolata, o doveva cominciare a cercarsi un altro lavoro.»

«E…?»

«E lui si è dato una regolata. Ma se ne sta nel suo angolino e c’è tensione fra lui e il resto della redazione. Christer non lo sopporta e glielo dimostra piuttosto apertamente.»

«Di che cosa lo sospetti?»

Erika sospirò.

«Non lo so. L’abbiamo assunto un anno fa, quando avevamo già cominciato lo scontro con Wennerström. Non posso dimostrare un fico secco, ma ho la sensazione che lui non lavori per noi.»

Mikael annuì.

«Fidati dei tuoi istinti.»

«Forse è soltanto un rompiballe che diffonde cattivo umore.»

«Può essere. Ma sono d’accordo con te che abbiamo fatto una valutazione sbagliata, quando l’abbiamo preso.»

Venti minuti più tardi Mikael si stava già dirigendo a nord attraverso Slussen a bordo dell’automobile che aveva preso in prestito dalla moglie di Dirch Frode. Era una Volvo vecchia di dieci anni che lei non usava mai. E Mikael aveva avuto il permesso di prenderla tutte le volte che voleva.

Erano piccoli, sottili dettagli che Mikael avrebbe potuto facilmente non notare se fosse stato meno attento. Una pila di carte era un po’ più storta di come se la ricordava. Un raccoglitore non era infilato proprio fino in fondo sullo scaffale. Il cassetto della scrivania era perfettamente chiuso — Mikael ricordava con sicurezza che era leggermente aperto quando il giorno prima aveva lasciato Hedeby per andare a Stoccolma.

Per un attimo rimase seduto immobile, a dubitare di se stesso. Poi gli crebbe dentro la certezza che qualcuno era stato in quella casa.

Uscì sulla veranda e si guardò intorno. Aveva chiuso la porta a chiave, ma si trattava di una vecchia serratura di tipo comune, che probabilmente poteva essere aperta con un piccolo cacciavite, ed era impossibile dire quante chiavi ci fossero in giro. Rientrò di nuovo e cercò sistematicamente per tutto lo studiolo per controllare se fosse sparito qualcosa. Dopo un momento constatò che a quanto pareva c’era ancora tutto.

Restava il fatto che qualcuno era entrato in casa e si era seduto nel suo studio scartabellando tra fogli e fascicoli. Il computer l’aveva portato con sé, perciò quello non l’avevano potuto violare. Sorgevano due domande: chi? e quanto era riuscito a scoprire il misterioso visitatore?

I fascicoli erano quella parte della raccolta di Henrik Vanger che aveva riportato allo chalet dopo essere uscito di prigione. Lì non c’era nessun materiale nuovo. I blocnotes sulla scrivania sarebbero stati criptici per chiunque non fosse stato al corrente — ma la persona che aveva frugato nella scrivania era davvero un estraneo non informato?

Il punto dolente era una cartelletta di plastica in mezzo alla scrivania, dove aveva messo la lista dei presunti numeri telefonici e una trascrizione dei passi biblici cui rimandavano. Chi aveva rovistato nello studiolo ora sapeva che lui aveva scoperto il codice.

Chi?

Henrik Vanger era all’ospedale. Non sospettava di Anna. Dirch Frode? Ma a lui aveva già raccontato tutti i dettagli. Cecilia Vanger aveva cancellato il viaggio in Florida e aveva fatto ritorno in compagnia della sorella. Non l’aveva mai incontrata da quando era rientrata, ma l’aveva vista quando il giorno prima era passata in macchina sul ponte. Martin Vanger. Harald Vanger. Birger Vanger — era comparso in occasione di un consiglio di famiglia a cui Mikael non era stato invitato il giorno dopo che Henrik aveva avuto l’attacco cardiaco. Alexander Vanger. Isabella Vanger — lei era tutt’altro che una persona simpatica.

Con chi aveva parlato Frode? Che cosa si era lasciato sfuggire? Quanti dei parenti stretti avevano captato che Mikael effettivamente aveva fatto un progresso nell’indagine?

Erano già le otto di sera passate. Telefonò al fabbro in servizio ventiquattr’ore su ventiquattro a Hedestad e ordinò una nuova serratura per lo chalet. Il fabbro spiegò che sarebbe potuto venire il giorno dopo. Mikael promise che avrebbe pagato il doppio se fosse venuto all’istante. Si accordarono che si sarebbe fatto vivo verso le dieci e mezza per installare una nuova serratura di sicurezza.

In attesa del fabbro, alle nove e mezza Mikael andò a bussare alla porta di Dirch Frode. La moglie dell’avvocato lo accompagnò nel giardino sul retro della casa e gli offrì una birra gelata, che Mikael accettò con gratitudine. Voleva avere notizie sullo stato di salute di Henrik Vanger.

Dirch Frode scosse la testa. «L’hanno operato. Ha delle calcificazioni alle arterie cardiache. Il dottore dice che il semplice fatto che sia ancora vivo lascia ben sperare, ma i prossimi giorni saranno critici.»

Rifletterono un momento su questo fatto mentre bevevano le loro birre.

«Gli hai potuto parlare?»

«No. Non ne era in condizione. Come è andata a Stoccolma?»

«Lisbeth Salander ha accettato. Ecco qui il contratto con Dragan Armanskij. Devi sottoscriverlo e rispedirlo.»

Frode diede una rapida occhiata al documento.

«La ragazza costicchia» constatò.

«Henrik se lo può permettere.»

Frode annuì, tirò fuori una penna dal taschino e scarabocchiò la sua firma.

«Tanto vale che lo firmi mentre Henrik è ancora vivo. Puoi passare tu a imbucarlo alla cassetta vicino al Konsum?»

Mikael andò a coricarsi già a mezzanotte, ma aveva difficoltà a prendere sonno. Finora il suo soggiorno a Hedeby aveva avuto il carattere di una ricerca intorno a curiosità storiche. Ma se qualcuno era interessato alle sue attività fino al punto di violare il suo studiolo, forse la storia era più prossima al presente di quanto avesse creduto.

Tutto d’un tratto Mikael fu colpito dal pensiero che c’erano anche altri che potevano essere interessati a ciò a cui stava lavorando. L’improvvisa comparsa di Henrik Vanger nel consiglio d’amministrazione di Millennium difficilmente doveva essere sfuggita a Hans-Erik Wennerström. Oppure quei pensieri erano un segnale che stava diventando paranoico?

Scese dal letto, si piazzò nudo davanti alla finestra della cucina e lasciò correre pensieroso lo sguardo verso la chiesa dall’altra parte del ponte. Si accese una sigaretta.

Non riusciva a capire Lisbeth Salander. La ragazza aveva uno schema comportamentale molto bizzarro, con lunghe pause nel bel mezzo del discorso. A casa sua il disordine confinava col caos, con montagne di pacchi di giornali nell’ingresso e una cucina che non veniva pulita e riordinata da un bel pezzo. I suoi indumenti giacevano in mucchi sul pavimento ed era palese che si era appena svegliata da una serata di gozzoviglie. Aveva dei succhiotti sul collo e chiaramente aveva passato la notte in compagnia. Aveva diversi tatuaggi e un paio di piercing in faccia e di sicuro anche in altri posti che lui non aveva visto. In poche parole, era un tipo strano.

D’altro lato, Armanskij gli aveva assicurato che era in assoluto la ricercatrice migliore dell’azienda, e l’approfondita indagine sulla sua persona dimostrava innegabilmente che era meticolosa. Una ragazza davvero singolare.

Lisbeth Salander era seduta davanti al suo PowerBook e rifletteva su come aveva reagito a Mikael Blomkvist. In tutta la sua vita non aveva mai permesso di varcare la soglia di casa sua a qualcuno che non fosse stato espressamente invitato, e la piccola schiera dei suoi ospiti si poteva contare sulle dita di una mano. Mikael era entrato dritto nella sua vita con arrogante disinvoltura e lei era riuscita solo a produrre qualche blanda protesta.

Come se non bastasse, lui l’aveva presa in giro. Si era fatto beffe di lei.

In casi normali, un comportamento simile l’avrebbe indotta a togliere mentalmente la sicura a una pistola. Ma non aveva avvertito il minimo segno di minaccia e nessuna ostilità da parte di lui. Avrebbe avuto motivo di rimproverarla a dovere, perfino di denunciarla alla polizia dopo aver scoperto che lei aveva violato il suo computer. Invece aveva trattato anche questa faccenda come uno scherzo.

Era stata la parte più delicata della loro conversazione. Sembrava che Mikael consapevolmente tralasciasse di affrontare l’argomento e alla fine lei non era riuscita a trattenersi dal domandarglielo.

«Hai detto che sai che cosa ho fatto.»

«Tu sei un hacker. Sei entrata nel mio computer.»

«Come fai a saperlo?» Lisbeth era assolutamente sicura di non aver lasciato nessuna traccia, e che la sua intrusione non potesse essere scoperta tranne nel caso in cui un consulente per la sicurezza di altissimo calibro stesse scansionando l’hard disk proprio mentre lei si introduceva nel computer.

«Perché hai fatto un errore.» Le spiegò che aveva citato una versione di un testo che esisteva solo nel suo computer e da nessun’altra parte.

Lisbeth Salander rimase seduta in silenzio un lungo momento. Infine lo guardò con occhi inespressivi.

«Come hai fatto?» chiese lui.

«È un mio segreto. Che cosa pensi di fare tu adesso?»

Mikael alzò le spalle.

«Che cosa posso fare? Forse dovrei tenerti un discorsetto su etica e morale e sul pericolo di andare a scavare nella vita privata della gente.»

«Proprio quello che fai tu come giornalista.»

Lui annuì.

«Certo. Proprio per questo noi giornalisti abbiamo una commissione etica che tiene ordine negli aspetti morali. Quando io scrivo un testo su un farabutto del mondo bancario, tralascio per esempio la sua vita erotica. Non scrivo che una donna colpevole di truffa con assegni è lesbica o che si eccita a fare sesso con il suo cane o cose del genere, anche se per ipotesi fosse vero. Anche i mascalzoni hanno diritto a una loro vita privata, ed è così facile danneggiare le persone attaccando il loro stile di vita. Capisci che cosa intendo?»

«Sì.»

«Dunque, tu hai violato la mia integrità. Il mio datore di lavoro non ha bisogno di sapere con chi faccio sesso. Quelli sono affari miei.»

Il viso di Lisbeth Salander si aprì in un sorriso storto.

«Pensi che non avrei dovuto riportarlo.»

«Nel mio caso non ha così grande importanza. Metà città sa del mio rapporto con Erika. Ma è il principio.»

«In questo caso ti potrà forse far piacere sapere che anch’io ho dei principi che corrispondono alla tua commissione etica. Li chiamo I principi di Lisbeth Salander. Secondo me un farabutto è sempre un farabutto, e se posso danneggiare un soggetto del genere scoprendo tutte le schifezze che fa, ebbene se lo è meritato. Io rendo solo pan per focaccia.»

«Okay» disse Mikael con un sorriso. «Io non ragiono molto diversamente da te, ma…»

«Ma il fatto è che quando faccio un’indagine personale prendo anche in considerazione cosa penso dell’essere umano. Io non sono neutrale. Se mi sembra una brava persona, posso anche ammorbidire il mio rapporto.»

«Veramente?»

«Nel tuo caso ho ammorbidito. Avrei potuto scrivere un libro intero sulla tua vita erotica. Avrei potuto raccontare a Frode che Erika Berger ha un passato nel Club Xtreme e che negli anni ottanta le piacevano il bondage e i giochini sadomaso, il che innegabilmente avrebbe creato certe inevitabili associazioni, tenuto conto della tua e sua vita sessuale.»

Mikael Blomkvist incontrò lo sguardo di Lisbeth. Dopo un momento guardò fuori della finestra e rise.

«Sei veramente precisa. Perché non l’hai messo nella tua relazione?»

«Tu ed Erika Berger siete due persone adulte che evidentemente si piacciono. Quello che fate a letto non riguarda nessuno e l’unico effetto che avrei potuto produrre raccontando di lei sarebbe stato di danneggiarvi o di fornire a qualcuno un’arma di ricatto. Non si può mai sapere — io non conosco Dirch Frode e il materiale sarebbe potuto finire nelle mani di Wennerström.»

«E tu non volevi fornire a Wennerström delle informazioni?»

«Se dovessi scegliere per chi tenere nel match fra te e lui, probabilmente finirei dalla tua parte del ring.»

«Io ed Erika abbiamo un… il nostro rapporto è…»

«Me ne infischio di sapere in quali rapporti siate. Ma tu non hai risposto su cosa pensi di fare ora che sai che ho violato il tuo computer.»

La pausa di Mikael fu lunga quasi come le sue.

«Lisbeth, io non sono qui per piantare casini con te. Non ho intenzione di ricattarti. Sono qui per chiederti aiuto per una ricerca. Puoi rispondere sì oppure no. Se dici no mi cercherò qualcun altro, e tu non sentirai mai più parlare di me.» Rifletté un momento e poi le sorrise. «Se non ti pesco ancora nel mio computer.»

«Il che significa?»

«Tu sai molte cose di me, una parte delle quali sono personali e riguardano la mia vita privata. Ma il danno ormai è stato fatto. Spero solo che tu non abbia intenzione di utilizzare ciò che sai per danneggiare me oppure Erika Berger.»

Lei lo guardò con espressione vuota.