54

Jon Stone

Mentre Amy Breslyn dormiva, Jon pulì le armi – le due calibro 45 e il fucile M4 – anche se non prevedeva di usarle. Era un rituale. Le pulì al buio, seduto sul sedile posteriore della Rover.

Dopo averle rimesse a posto, accese il motore per caricare le batterie. Le batterie fornivano energia per il laptop, il ricetrasmettitore satellitare e i cellulari. Mentre si caricavano, scese dalla Rover con il nécessaire per la toeletta e si mise al centro di una pozza di oscurità. Alle quattro e tre minuti del mattino la stradina dormiva.

Jon fece degli allungamenti dal bacino, tendendo polpacci e colonna vertebrale, e poi delle torsioni per riscaldarsi. Cento flessioni sulle braccia, altri allungamenti, e cento affondi. Terminò con cento burpees e una bella sudata. Non era molto, ma lui faceva quello che poteva.

Si sbarbò e si lavò i denti, poi si spogliò. Si pulì con delle salviette umidificate e una bottiglia d’acqua, quindi indossò gli abiti puliti che Cole gli aveva portato da casa. Fece colazione con della frutta secca assortita, una banana e due barrette proteiche. A quel punto il cielo cominciava a schiarirsi e Jon riprese il suo posto dietro il volante.

I poliziotti che Cole aveva portato erano una vera rottura. La donna, quella Hess, un’idiota. Gli agenti governativi che la seguivano dei veri coglioni. Alla Delta i coglioni non erano ammessi. I coglioni ti facevano ammazzare.

Hess era arrivata come se fosse lei al comando dell’operazione e aveva esposto il suo piano per avvicinare la signora Breslyn. La squadra di “primo contatto” sarebbe stata formata da due donne e un uomo, anziano, perché non venisse percepito come una minaccia. Hess avrebbe fatto parte della squadra, l’altra donna era una strizzacervelli sulla quarantina e l’uomo un procuratore dall’aspetto gentile e rassicurante. Primo contatto, come se la signora Breslyn fosse un’aliena. Hess stava spiegando come sarebbe avvenuto il loro “primo contatto” quando Jon l’aveva interrotta.

“Lasci perdere la squadra. L’avvicinerò io, e andrò da solo. Grazie.”

Hess e gli altri erano esplosi come bengala, e così Jon aveva spento la radio.

Poco dopo l’avevano chiamato al cellulare per chiedergli se avrebbe indossato un microfono.

“No.”

Jon era rimasto chiuso nel bozzolo della sua Range Rover ad ascoltare Amy che dormiva, sapendo che c’erano delle persone oltre i confini delle tenebre. Persone che parlavano e pianificavano, posizionando auto nelle vie d’uscita per coprire la casa, e al Safety Plus. Nessuno sapeva come avrebbe reagito Amy, né da che parte sarebbe andata, quindi dovevano essere pronti a tutto. Jon non sopportava la loro ingerenza.

La volta blu scuro si schiarì e in un paio di case si accesero delle luci. Arrivarono gli operai del cantiere, partiti di buon’ora per evitare il traffico del mattino, e si sdraiarono a schiacciare un ultimo pisolino.

L’immagine sul laptop di Jon divenne più visibile man mano che la luce dell’alba si insinuava nella camera da letto di Amy. Alle cinque e cinquantuno lei mosse un braccio. Alle cinque e cinquantadue una gamba. Alle cinque e cinquantotto guardò l’orologio e si tirò su con movimenti rigidi, come fanno le persone dopo un lungo sonno.

Jon premette il pulsante della radio.

«Si è svegliata.»

«Ricevuto» disse Pike.

«Ti serve qualcosa?» disse Cole.

«Sì. Tieni lontana da me quella gente.»

Cole non rispose, e neppure Hess. Stone sapeva che la donna stava ascoltando.

Amy andò prima in bagno, poi in cucina. Rimase lì per alcuni minuti, uscì con una tazza di caffè e tornò in camera da letto. Scelse gli abiti da indossare, li posò sul letto, e tornò in bagno portando con sé la tazza del caffè. Jon udì scorrere l’acqua nel lavabo, poi nella doccia. Vedere gli abiti posati con ordine lo fece pensare a una camera mortuaria, al modo in cui i necrofori dispongono gli indumenti quando si preparano a vestire un defunto. Jon si sforzò di distogliere la mente da quell’immagine, ma non ci riuscì.

Si chiese quale fosse la disposizione d’animo della donna. Di lì a poco, Amy avrebbe indossato un ordigno esplosivo e posto fine alla propria vita, eppure aveva dormito profondamente. Prima di andare a letto gli era parsa calma e rilassata, e ora sembrava tranquilla, normale. Forse era in pace con quella terribile fine. Forse si sentiva sollevata.

Amy uscì dal bagno nuda e andò verso il letto.

Jon sfiorò lo schermo.

«Non finché ci sono io.»

Amy si vestì, si versò una seconda tazza di caffè, e si sedette sul divano del soggiorno con il computer. Jon cercò di capire se stava inviando dei messaggi, ma decise che stava soltanto leggendo.

Alle sette e due minuti portò la tazza in cucina, tornò in camera da letto e prese dall’armadio la giacca con le frange e la grande borsa.

Jon premette il pulsante della radio.

«Cinque minuti o meno. Si sta preparando.»

Spense il motore della Rover e si infilò le chiavi in tasca.

Dalla radio giunse la voce di Hess. «Veda di non fare casini.»

Stronza.

Amy si fermò in soggiorno per indossare la giacca e si mise la borsa a tracolla.

Jon scese dalla Rover e andò verso la casa. Era da quando aveva saputo di Jacob che desiderava incontrare Amy e parlare con lei. E ora, eccoli qui. Magnifico.

Hess non aveva idea. Era una stupida, e si trovava lì per le ragioni sbagliate.

Amy stava chiudendo a chiave la porta d’ingresso quando Jon arrivò ai piedi della scala. Lei si aggrappò alla ringhiera come sempre e cominciò a scendere, un gradino alla volta, guardandosi i piedi quasi temesse di cadere. Non lo vide.

Jon salì qualche gradino e aspettò.

Lei fece ancora un passo, poi un altro. Alla fine lo vide e trasalì, come se lui l’avesse spaventata.

Jon sorrise e le porse la mano.

«Mi chiamo Jon. Sono qui per Jacob.»

Lei parve trasalire di nuovo.

«Come fa a conoscerlo?»

«Non lo conosco, ma sono stato laggiù, dove lui è morto. Vorrei parlargliene. Entriamo in casa.»

Jon la seguì dentro casa, e rimase con lei. Disse cose che non avrebbe potuto dire se avesse indossato un microfono, ma che fecero stare meglio Amy e le diedero speranza.

La promessa
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