50
Scott James
Prima di andare alla Nave, Scott lasciò Maggie a Glendale. Il parcheggio era deserto a parte una vettura della Cinofila, ma era normale. La maggior parte dei conduttori andava alla palestra dell’accademia prima del turno. Poiché erano tutti assieme, Leland teneva l’appello nel parcheggio, dopodiché si trasferivano tutti in un vecchio campo di addestramento della SWAT a duecento metri da lì, dietro il Dodger Stadium, soprannominato la Mesa.
Scott parcheggiò accanto al veicolo della Cinofila, aspettò che Maggie facesse i suoi bisogni e la sistemò in uno dei recinti. Le diede l’ultimo cubetto di mortadella, le disse che sarebbe tornato appena possibile ed entrò nell’ufficio.
Mace Styrik, il sergente istruttore, era seduto alla scrivania di Leland intento a studiare dei registri.
«Salve, sergente. Lascio qui Maggie. Torno tra un’oretta.»
Styrik fece un cenno con la mano senza neppure alzare lo sguardo.
Scott uscì passando dal canile per dare un’ultima grattatina a Maggie e andò verso la macchina. Arrivato, ebbe un attimo di esitazione e si guardò attorno. Era lì che Colinski gli aveva fatto la posta. Era da lì che l’avevano seguito fino al Runyon Canyon. Scott si chiese se Colinski lo stesse osservando. Quell’uomo poteva avere un fucile di precisione puntato sul suo petto. Scott alzò il dito medio.
Diciotto minuti più tardi, parcheggiò alla Nave e salì alla Grandi Crimini. Stiles gli andò incontro sulla porta, ma senza l’abituale sorriso.
«Ha trovato un posto per stanotte?»
«Sì. Si sistemerà tutto.»
Scott la seguì verso la sala riunioni. Ignacio, Carter e una donna in uniforme aspettavano dentro. Scott rimase sorpreso, ma la sua sorpresa si trasformò in preoccupazione quando vide Mitchell e Kemp. Avevano tutti la faccia seria, come cinque impresari di pompe funebri. Kemp aveva quel tic all’occhio, come gli capitava quando cercava di dominare la rabbia.
Stiles tenne la porta aperta finché lui non fu dentro, poi la chiuse e si mise accanto a lui. Scott guardò Kemp, cercando di interpretare la sua espressione, e capì che la situazione era grave.
Ignacio gli indicò una sedia.
«Si sieda. Conosce tutti, qui, tranne il tenente VanMeter. Il tenente VanMeter è degli Affari Interni.»
Il tenente VanMeter era una donna sulla quarantina con una brutta pelle e i capelli tinti di nero. Fece un cenno col capo quando l’altro la presentò, ma non disse nulla.
«È qui su mia richiesta, come il tenente Kemp.»
Scott annuì. La presenza di Mitchell gli faceva un effetto strano: un agente federale, che aveva dei segreti con Carter, Stiles e gli altri, e solo lui, Scott, era al corrente di questo. Aveva la gola asciutta, ma pensò di dover dire qualcosa.
«Perché siamo qui?»
«Detective, vuole fare vedere all’agente, per favore?»
Carter prese un tablet dal tavolo e mostrò a Scott una foto che lo ritraeva con Cole e Pike fuori dal Safety Plus Self-Storage.
La foto colpì Scott alla sprovvista come un camion che ti piomba addosso da un angolo cieco. Carter e Stiles l’avevano fatto seguire e ora era fottuto.
Ignacio indicò la foto. «Si riconosce? Questo è lei, più o meno un’ora fa, con Cole e il suo socio.»
Scott infilò le mani sotto le cosce.
«Sì, signore. Sono io.»
Ignacio emise un borbottio.
«Non mi sembra che lei abbia problemi di alcol o di droga. Possiamo presumere che lei rammenti l’ordine esplicito che le ho dato di stare lontano dal signor Cole. Ricorda quell’ordine?»
Scott guardò verso Kemp, sperando in un aiuto, ma non ricevette alcun incoraggiamento.
«Sì, signore. Me lo ricordo.»
Ignacio lanciò un’occhiata al tenente degli Affari Interni.
«Tenente, prego.»
VanMeter lesse da un taccuino. «Dal regolamento. Duecentodieci punto trenta. Rispetto degli ordini. L’obbedienza a un legittimo ordine di un superiore è essenziale per un’efficace e tempestiva azione destinata a far rispettare la legge. Può essere necessario ricorrere a una punizione quando esista una volontaria inosservanza di legittimi ordini, comandi o direttive.»
Ignacio stava preparando il palcoscenico per lo spettacolo. Volevano qualcosa. Scott credeva di sapere cosa, e questo gli provocò un senso di nausea.
Ignacio fece un cenno col capo.
«Ecco come stanno le cose, Scott. Il detective Carter è convinto che il signor Cole abbia informazioni cruciali per la sua indagine, e che lei conosca la vera natura del coinvolgimento del signor Cole. Dopo la sua gitarella di oggi, sono abbastanza certo che abbia ragione. Per questo siamo qui, e io le do un altro legittimo ordine. Le ordino di collaborare e di rispondere alle sue domande.»
Kemp si schiarì la gola. Scostò una sedia dal tavolo, la fece ruotare e si sedette di fronte a Scott.
«Ottocentoventotto. Se un dipendente rende dichiarazioni false o ingannevoli, commette una violazione delle regole del dipartimento.»
L’espressione di Kemp era severa come quella di Ignacio, ma Scott capì che il tenente stava cercando di metterlo in guardia. “Qualunque cosa tu faccia, non mentire.”
«Vorrei parlare con un avvocato o con un rappresentante sindacale.»
Stiles sospirò.
«È un errore, Scott. Perché si comporta così?»
Carter mosse un passo in avanti, come se nessuno avesse parlato, e gli fece la prima domanda.
«Cosa ci facevate, lei e Cole, lassù?»
Scott guardò verso Ignacio.
«Comandante, vista la situazione, vorrei parlare con un avvocato o con un rappresentante sindacale.»
Scott aveva mille pensieri per la testa. Non intendeva mentire, ma neppure tradire Cole. Guardò Mitchell. Voleva smascherarlo. Voleva dire a Carter che era stato il capo di Mitchell a tirare dentro Cole in quel caso.
«Tenente» disse Ignacio.
VanMeter lesse un altro articolo. «Ottocentocinque punto uno. Presupposti per azioni disciplinari. I dipendenti saranno sottoposti ad azione disciplinare per condotta inappropriata. Definizione di condotta inappropriata: violazione delle politiche, delle regole o delle procedure del dipartimento, vale a dire disobbedire a un legittimo ordine, o rendere dichiarazioni false o ingannevoli.»
«Non faccia così, Scott» disse Stiles.
Carter prese di nuovo il tablet e gli mostrò una foto di Pike che portava i sacchetti e la giacca alla sua Jeep.
«Cosa c’è dentro quei sacchetti?»
Scott scosse la testa.
«Li ha tirati fuori dalla sua auto. Questa è la sua auto, giusto, questo schifo di Trans Am? Erano sulla sua auto.»
Scott avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa dire.
«Vorrei parlare con un avvocato o con un rappresentante sindacale.»
L’espressione di Ignacio era severa, ma Scott intuì che non avrebbe voluto trovarsi impelagato in quel pasticcio.
Mitchell aprì bocca per la prima volta. «Se verranno formulate delle accuse, saranno federali.»
Ignacio gli lanciò un’occhiata invelenita. «Nessuno sta parlando di accuse. Questa è una questione amministrativa.»
Ignacio si consultò con VanMeter e lesse dal taccuino. «È mio dovere leggere un’ammonizione. Il suo silenzio può essere considerato un’insubordinazione e può portare a procedimenti disciplinari amministrativi, che potrebbero a loro volta sfociare nel suo licenziamento o rimozione dall’incarico. Capisce cosa significa?»
«Sì, signore.»
Fa’ quello che ti diciamo o sei licenziato.
VanMeter gli piazzò davanti un modulo e una penna.
«Questa è la dichiarazione che lei ha ricevuto l’ammonizione. Metta la data e firmi qui. Se si rifiuta di firmare, io farò una crocetta nella casella “rifiutato” e firmerò in qualità di testimone responsabile. Decida lei.»
Scott firmò.
«Le ordino di rispondere alle domande amministrative che le ho fatto e di rilasciare una dichiarazione ai fini amministrativi» disse Ignacio.
Quel rigido formalismo era agghiacciante.
«Vorrei un avvocato o un rappresentante sindacale.»
Ignacio lanciò un’altra occhiata di fuoco a Mitchell e tornò a rivolgersi a Scott.
«Per chiarire ogni dubbio, essendole stato ordinato di fare una dichiarazione, niente di quello che dirà potrà essere usato contro di lei. È chiaro?»
«Vorrei un rappresentante sindacale.»
La mascella di Ignacio guizzò. Prese un modulo prestampato dall’estremità del tavolo.
«Ecco cosa succederà. Questo è il modulo di reclamo compilato e firmato dal detective Carter. Nel reclamo la si accusa di aver deliberatamente disubbidito a un ordine, e in tal modo violato le politiche del dipartimento. Se risponde alle sue domande lo strapperò. In caso contrario, lo consegnerò al tenente VanMeter, la quale aprirà un’indagine. Nessuno di noi vuole questo.»
Posò il primo modulo e ne prese in mano un secondo.
«Centosessanta cento, già firmato dal capo. Esenzione temporanea dal servizio. Se si rifiuta di collaborare, verrà messo in congedo temporaneo in attesa dell’esito delle indagini. Capisce quello che sto dicendo?»
Scott si sentiva la bocca asciutta come un marciapiede di Los Angeles a mezzogiorno. «Sì, signore.»
Kemp si sporse verso di lui.
«Quando si viene messi in congedo, si deve restituire tutto quanto è di proprietà della città. Intendo dire proprio tutto, Scott.»
Kemp si sporse ancora più in avanti finché la sua faccia venne a trovarsi a pochi centimetri da quella di Scott.
«Maggie.»
Scott avrebbe voluto raccontare tutto. Raccontare della donna, di Colinski, e dei federali della Sicurezza Interna che li stavano fregando, e cosa aveva intenzione di fare Cole, ma non riusciva a pronunciare le parole.
Carter glielo chiese di nuovo, questa volta con un tono conciliante.
«Cosa sai, figliolo? Cosa sta facendo Cole?»
Scott si sentiva inebetito come non gli era più capitato da quando aveva perso Stephanie Anders. Kemp, Carter e le persone chiuse in quella sala sembravano lontani mille miglia. Gli bruciavano gli occhi. Sbatté le palpebre, ma il bruciore aumentò. La voce di Carter era un’eco lontana.
«Cosa ti ha detto?»
Scott si sentì rispondere. «Possiamo restare qui all’infinito, Carter, ma io voglio un rappresentante sindacale.»
Voleva vedere Maggie. Voleva stare con lei, abbracciarla, spiegarle.
Kemp si mise a sedere eretto.
«Accidenti a te, Scott.»
Ignacio guardò prima Carter poi VanMeter, e scosse la testa. Era un uomo alto e dominava sugli altri.
«In congedo. Fuori di qui.»
Scott non si alzò finché Kemp non lo prese per un braccio.
«Alzati.»
Kemp lo guidò fuori, lontano dalla sala riunioni. Lo fece girare, in modo da guardarlo negli occhi, e si sporse verso di lui.
«Mi meraviglio di te. Un mese e sarai licenziato. È questo che vuoi?»
Scott scosse la testa.
«Dov’è il tuo cane?»
«A Glendale.»
«Il sergente Leland si occuperà di lei. Hai altre proprietà della città?»
«Voglio vederla.»
«Il comandante ti ha appena spedito a casa. L’hai persa. Hai altre proprietà della città con te?»
«No.»
«Vattene. Vai a casa. Qualunque cosa stiate combinando, tu e Cole, sarà meglio che mettiate le cose a posto. Se posso ti salverò, ma non contarci.»
Scott ci mise un tempo infinito ad arrivare al corridoio e ancor di più a raggiungere l’ascensore. Si sentiva intrappolato nella vita di qualcun altro, in una situazione che non aveva creato lui. Avrebbe voluto ricominciare da capo, ma non sapeva come. Avrebbe voluto ritornare all’inizio, e invece era lì, e persino premere il pulsante dell’ascensore gli sembrava un compito impossibile.
Mitchell uscì in corridoio e si voltò verso l’ascensore. Quando lo vide si bloccò, gli lanciò un’occhiataccia e tornò dentro l’ufficio.
Qualche istante dopo uscì Stiles. Anche lei lo vide, ma non si nascose. Attraversò il corridoio andando verso il bagno. Scott si rammentò di una cosa che gli aveva chiesto Cole, e quel ricordo provocò un barlume di speranza.
Scott andò al bagno, bussò due volte ed entrò.
«Detective Stiles?»
Quando lui entrò, Stiles stava chiudendo la porta di un cubicolo. Sul suo volto passò un’espressione di sorpresa e di rabbia.
«Si giri ed esca da qui.»
Scott arretrò e tenne aperta la porta che dava sul corridoio. Non voleva che lei si sentisse minacciata.
«Mi scusi. Avrei bisogno di chiederle una cosa. Solo una.»
La sorpresa passò, ma lei era ancora arrabbiata.
«Cosa?»
«Perché avete tolto la sorveglianza a Cole?»
Lei strinse la bocca, come se fosse un argomento sgradevole.
«Non è stata una decisione nostra. Sono stati i nostri amici della Sicurezza Interna a dire che preferivano occuparsi loro di Cole, qualunque cosa significhi.»
«Mitchell.»
«Lui avrebbe voluto continuare con la sorveglianza. L’ordine è venuto dall’alto.»
Hess.
Stiles uscì dal cubicolo e si lasciò sfuggire un sospiro esasperato.
«Per favore, vuole rinsavire e parlare con Brad? Può ancora salvarsi.»
«Forse ha ragione.»
Scott tornò all’ascensore e andò alla macchina. Il barlume di speranza divenne una fiamma. Hess era la chiave. Hess era la sua ultima speranza di sistemare tutto.