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Scott James

Scott sedeva in un cubicolo vuoto e osservava i detective, cercando di decidere il da farsi. Dal cubicolo mancavano il terminale e il telefono. Nessuno voleva un cubicolo sfornito di tutto, per cui Stiles l’aveva piazzato lì. Ma ora gli serviva un terminale.

La stanza brulicava di detective al lavoro. Stiles faceva avanti e indietro tra la sala riunioni e la sala operativa. Ogni volta che usciva gli lanciava un’occhiata e per due volte si avvicinò per chiedergli come andava. Quando Scott era arrivato lì Carter si trovava nella sala riunioni, ora però era nell’ufficio del comandante insieme a Mantz, un tenente della Sezione Intelligence e il vicecapo che dirigeva la sezione Antiterrorismo e Operazioni Speciali.

Nella sala operativa c’erano tre postazioni che sembravano inutilizzate. I cubicoli tutto attorno erano occupati, ma Scott non aveva altra scelta. Stiles era di nuovo al telefono in sala riunioni, e lui scelse la postazione più lontana.

Per accedere alla banca dati del dipartimento era necessario inserire il proprio nome, numero di distintivo e password, dopodiché il sistema avrebbe registrato ogni ricerca effettuata per eventuali, successivi controlli. La paura dei controlli serviva a scoraggiare la vendita di informazioni ad avvocati e investigatori privati. Scott si disse che, se in seguito l’avessero interrogato, avrebbe potuto affermare in tutta sincerità che stava controllando un possibile collegamento con la casa di Echo Park.

Si abbassò sulla poltroncina dietro il divisorio, digitò il nome di Colinski e la richiesta di consultazione. Verificò che Stiles fosse ancora al telefono, tornò a voltarsi verso il monitor e vide l’uomo con la giacca sportiva.

La scarica di adrenalina gli provocò una sensazione di bruciore al petto.

Royal Colinski era l’uomo in giacca sportiva. Più giovane, con meno rughe e i capelli più lunghi, ma era lui.

Scott alzò lo sguardo e il bruciore aumentò. Osservò i volti dei detective intorno a sé e Stiles, a una decina di metri di distanza, tutti impegnati a cercare di identificare e trovare lo sconosciuto che lui sapeva essere Royal Colinski.

Grazie a Cole.

Scott fissò la faccia di Colinski e si maledisse per aver accettato di non dire nulla. Sarebbe bastata una sua parola, e la foto di Colinski insieme al mandato di cattura sarebbero stati inviati a ogni volante e mostrati a ogni appello di inizio turno, e diecimila poliziotti si sarebbero lanciati nelle ricerche.

Scott prese il telefono per chiamare Cole.

«Ehi.»

Scott trasalì e vide il detective con i capelli grigi del cubicolo accanto che lo scrutava da sopra il divisorio.

«Sta arrivando Deet» disse il detective.

«Prego?»

«Quella è la sua scrivania. Giusto perché lo sappia.»

Scott si accinse a lasciare libera la postazione.

«Scusi. Spero che non gli dispiaccia.»

«No, figuriamoci. Volevo solo avvisarla, perché quando torna ne avrà bisogno.»

«Certo. Grazie. Vado via subito.»

Scott digitò di nuovo la ricerca e scorse rapidamente i precedenti penali di Colinski. Il fascicolo cominciava con le informazioni identificative, seguite da una lunga fedina penale. Scott si sorprese nel vedere che l’ultimo arresto di Colinski risaliva a sedici anni prima, e che non c’erano mandati in sospeso sul suo conto. Dai suoi precedenti risultavano due periodi in carcere e arresti per reati plurimi, più o meno gravi, per lo più furto, rapina a mano armata e furto di veicolo sotto la minaccia delle armi.

Scott alzò lo sguardo e si irrigidì nel vedere Stiles che usciva dalla sala riunioni. Era già pronto a spegnere il terminale quando Stiles si diresse verso l’ufficio del comandante per partecipare alla riunione in corso.

Scott batté sul divisorio.

«Ah, detective?»

Il detective con i capelli grigi si voltò.

«Dov’è la stampante?»

«Nella sala del caffè. Subito dietro l’angolo, sulla destra.»

Scott premette il tasto “stampa”, uscì dal sistema e andò subito nella sala del caffè. Fu un sollievo trovarla deserta. Raccolse i fogli, li piegò e tornò al cubicolo che gli era stato assegnato inizialmente. Tirò fuori il telefono per chiamare Cole, ma lui lo batté sul tempo. Scott sentì ronzare il cellulare e vide il suo numero sul display. Istintivamente abbassò la voce per rispondere.

«Ha visto giusto. Il tizio è Colinski.»

«L’ha detto a qualcuno?»

Scott provò un lampo di rabbia.

«No, non l’ho detto a nessuno, Cole, ma pensiamoci. Carter può mettere diecimila poliziotti a dare la caccia a questo animale. Lo prenderemo in un attimo.»

«Carter è fuori. Glielo diremo, più avanti, ma non ora. Prenda qualcosa per scrivere.»

Scott alzò lo sguardo, controllò la sala e tornò a nascondersi dietro il divisorio.

«Su una cosa Carter ha ragione. Lei c’è dentro fino alle orecchie e fin dal primo momento, altrimenti non avrebbe potuto trovare Colinski così in fretta. Sa delle cose di cui qui nessuno è a conoscenza.»

«Esatto. Come l’indirizzo che sto per darle. Se lo scriva, così lo sapremo entrambi.»

Cole gli dettò in fretta un indirizzo della Sun Valley, poi gli fece una domanda.

«È stato il cane a scoprire l’esplosivo sulla sua auto?»

«Cosa c’entra questo con Colinski?»

«C’entra eccome, se è stato confezionato con lo stesso materiale trovato a Echo Park.»

Scott si chiese dove volesse andare a parare Cole.

«Era lo stesso. Perché?»

«In questo posto potrebbero esserci duecento chili di questa roba. Dobbiamo trovarlo, senza dare nell’occhio. Carter non deve saperlo.»

«Sta dicendo sul serio?»

«Ho identificato la persona che l’ha prodotto. L’ho seguita fino a questo posto, ma ci sono cento box. Ci serve il suo cane.»

Scott si abbassò ancora di più.

«Amico, mi ascolti. Se lei ha ragione, e se c’è così tanto esplosivo in un luogo pubblico, dobbiamo informare Carter. Dobbiamo inviare la squadra Artificieri.»

«No, Scott. Non è necessario. Si fidi di me. Non tutti quelli che lavorano con Carter sono onesti con lui.»

«Chi non è onesto?»

Scott sapeva di aver parlato a voce troppo alta. Quando alzò gli occhi vide che il detective con i capelli grigi lo stava fissando, ma distolse subito lo sguardo. Scott si chinò ancora di più nel cubicolo e abbassò la voce.

«Cosa ci faceva a Echo Park? Cosa sa di quelle munizioni rubate?»

«Ha stampato la fedina penale?»

«Come ha fatto a trovare Colinski così in fretta?»

«Se vuole che questa storia finisca, porti il cane.»

«Chi non è onesto? Cosa significa?»

«Lei porti il cane. Io le racconterò tutto quello che so e le darò Colinski.»

«Si chiama Maggie.»

«La porti con sé. Non dica nulla a Carter e a nessun altro. Mi ha dato la sua parola.»

Cole riattaccò.

Una porta si aprì sul lato più lontano della sala. Uscirono Carter e Stiles, seguiti dal vicecapo e dal tizio della Sezione Intelligence. Carter e Stiles parlarono ancora qualche istante, poi Stiles si voltò verso gli altri, mentre Carter entrava nella sala riunioni. Il vicecapo disse qualcosa di divertente e Stiles gli rivolse uno dei suoi sorrisi.

“Non tutti quelli che lavorano con Carter sono onesti con lui.”

Stiles fece per tornare in sala riunioni, poi si bloccò di colpo e si diresse verso Scott.

«Come va con quelle foto segnaletiche?»

Scott le porse il classificatore.

«Un altro buco nell’acqua. Qui non c’è.»

«Allora vado a prendergliene altre duecento.»

Scott si alzò in piedi.

«Sarà per un’altra volta. Devo cercarmi un posto dove stare stanotte.»

«Mi dispiace per tutto questo. Vada dal suo cane. Le farò trovare altre foto domani.»

«Grazie.»

Scott rimase a osservarla mentre tornava verso la sala riunioni. Carter era dentro, al telefono. Prima li stava osservando, ma ora era voltato di schiena.

“Lei porti il cane. E io le darò Colinski.”

Scott raccolse le sue cose e uscì per andare a prendere Maggie.

La promessa
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