35
Elvis Cole
La mia casa era silenziosa. Mi chiusi dentro e la attraversai accendendo le luci. Amy e Jacob Breslyn erano reali. Avevo perquisito la casa di Amy, toccato le sue cose, avevo letto gli articoli sulla morte di Jacob. Quelle si chiamavano prove. Poiché la finta Meryl aveva mentito su se stessa e su Thomas Lerner, ogni altra cosa era sospetta.
Mi aspettava un’email di Eddie Ditko, con allegati i fascicolo di Juan Medillo e Walter Jacobi. Lessi le fedine penali, le stampai e le infilai nel fascicolo. Jacobi, ultrasessantenne, aveva una lunga storia di arresti per droga e truffa. Medillo aveva la metà dei suoi anni, ma una storia simile, fatta di arresti per droga coronati da furto d’auto, furto in abitazione e altri crimini non violenti. Probabilmente i funzionari di Solano avevano ragione: non era tipo da farsi coinvolgere in una rissa tra bande.
Mi feci una doccia, indossai abiti puliti e tornai in cucina. Il gatto era accanto alla sua ciotola.
«Stasera mangiamo agnello. Ti va?»
Si leccò i baffi. L’agnello era uno dei suoi preferiti.
Un carré di agnello aspettava in frigo. Accesi il forno e spennellai il carré con l’olio di oliva, poi aggiunsi sale, pepe, sommacco iraniano e una spezia che mi piaceva molto, chiamata za’atar. Era possibile che la finta Meryl lavorasse per l’azienda di Amy. Mi aveva fatto pressioni perché trovassi Amy prima che l’azienda scoprisse tutto, ma forse l’azienda lo sapeva già. La sicurezza era importante per i loro contratti con il governo, per cui era possibile che cercassero di coprire l’appropriazione indebita compiuta da Amy e i suoi tentativi di mettersi in contatto con estremisti antiamericani. Questo avrebbe potuto spiegare perché la finta Meryl non si era rivolta alla polizia, ma non perché si fosse spacciata per qualcun altro.
Feci rosolare il carré in una casseruola finché non si fu formata una bella crosticina, quindi misi tutto nel forno.
«Dodici minuti al massimo» dissi.
Il gatto rimase immobile a fissare la sua ciotola. Chi vuole intendere…
L’insistenza dimostrata a proposito di Thomas Lerner era significativa, tanto più che Lerner non esisteva. La finta Meryl aveva creato un falso indizio, e l’aveva usato per spedirmi a Echo Park. Non poteva essere certa che sarei andato alla casa proprio quella sera, ma lei sapeva o sospettava qualcosa, e aveva mandato me. Mi chiesi cosa sapesse e come ne fosse venuta a conoscenza. Meditavo di domandarglielo, prima o poi.
Mescolai due pomodori tagliati a pezzetti, del coriandolo e mezzo jalapeño con una scatola di couscous, e condii il tutto con del succo di limone e un po’ di olio di oliva. In un impeto di temerarietà aggiunsi una manciata di uvetta. Audace. Controllai l’agnello, decisi che era perfetto e lo tirai fuori dal forno.
«Cinque minuti. Deve riposare.»
Jon Stone chiamò mentre aspettavamo.
«La mamma è a casa. Cosa vuoi fare?»
«Amy?»
«È qui. Come vuoi che proceda?»
Non sapevo cosa fare. Scoprire che Meryl Lawrence non era Meryl Lawrence mi aveva lasciato dubbioso e sfiduciato.
«Cole?»
«Cosa sta facendo?»
«Sta mangiando. Tagliolini, direi. È rientrata due minuti fa, più o meno.»
Mi immaginai Amy che mangiava i suoi tagliolini. Una donna che cercavo ma che non avevo mai visto. Era presto. Amy avrebbe potuto andarsene. Charles avrebbe potuto fare una scappata.
«Arrivo.»
Tagliai il carré in sette costolette uguali e ne misi una da parte. La disossai e sminuzzai la carne, poi la misi nella ciotola per il gatto. Divisi il resto delle costolette e il couscous in due contenitori di plastica, li infilai in un sacchetto con tovaglioli di carta, forchette di plastica e quattro bottigliette d’acqua. Gettai una camicia pulita e un rasoio in un secondo sacchetto e partii alla volta di Silver Lake. Nessuno mi seguì giù per la collina, nessuno teneva sotto controllo la mia casa. Le squadre di sorveglianza erano sparite. Interessante.
La Rover di Jon era ferma sul lato opposto della strada rispetto al cantiere, il muso rivolto verso la discesa. Parcheggiai un po’ sopra di lui, tornai alla sua auto e salii. Quando aprii la portiera le luci di cortesia non si accesero. Il sedile di Jon era abbassato e sulla consolle era posato un laptop.
Gli porsi il sacchetto con il cibo.
«Cosa mi sono perso?»
Aprì il sacchetto mentre rispondeva.
«Nada. Ha mangiato, è andata in bagno, e ora sta leggendo. Nessuna telefonata. Nessuna visita.»
Tolse il coperchio dal contenitore.
«E questo cos’è? Agnello? Sto morendo di fame.»
Si lanciò su una costoletta e succhiò via la carne dall’osso.
Girai il laptop per vedere meglio. Amy Breslyn era seduta sul divano in soggiorno, quasi al centro esatto dell’inquadratura. L’obiettivo offriva un’immagine lievemente distorta ma non troppo. La donna era a piedi nudi e li teneva appoggiati sul pavimento. Aveva un computer posato in grembo e uno smartphone accanto alla gamba, a portata di mano, casomai avesse chiamato qualcuno. Sembrava più piccola e più grassa della persona sul dépliant, ma era Amy.
«Abbiamo un problema» dissi.
«Non ti preoccupare. Non ho intenzione di farti pagare.»
«La donna che mi ha assunto non è chi dice di essere. Ha mentito quando mi ha ingaggiato e continua a mentire. Non so chi sia, perché voglia trovare Amy, né cosa intenda fare. Niente di tutto quello che mi ha detto è vero.»
Jon prese una seconda costoletta.
«Dovresti approfondire la cosa.»
Annuii.
Jon puntò la costoletta verso Amy.
«Questa è Amy Breslyn. E suo figlio è morto. Faremo quello che facciamo di solito.»
Annuii un’altra volta.
«Se vuoi le mie costolette, prendile pure.»
«Magnifico.»
Da come stava seduta, eretta e con i piedi posati sul pavimento, non sembrava comoda. Aveva mangiato e ora stava leggendo, ma non pareva rilassata.
«La sua auto è in garage?»
«Sì. La Volvo.»
«Puoi metterci qualcosa?»
«La porta fa un gran rumore. Posso aprirla, ma lei se ne accorgerà. Sta proprio sotto la camera da letto.»
Finimmo di mangiare in silenzio, poi chiudemmo tutti gli avanzi in un sacchetto e lo mettemmo da parte. Ogni tanto passava un’auto, ma noi stavamo bassi e immobili. Passò un uomo in giacca leggera con un boxer al guinzaglio. Si fermarono davanti al muso della Rover. Il boxer fece pipì sullo pneumatico ma Jon non commentò. Non ci raccontammo aneddoti di guerra o barzellette, non facemmo conversazione. Restammo lì, immobili, a guardare una donna immobile.
Il telefono di Amy squillò alle dieci e sette minuti. Un suono repentino e sorprendentemente forte.
Jon alzò l’audio.
«Stai registrando?» chiesi.
«Sì. Ssh.»
Amy non rispose immediatamente. Lasciò che il telefono facesse cinque squilli prima di farlo. La sua voce era calma e asciutta.
«Pronto.»
Noi sentivamo soltanto quello che diceva Amy.
«D’accordo. Va bene. Sì, dopodomani va bene. Il signor Rollins ci sarà?»
Rollins. Era entrato in scena un nuovo attore.
«Non mi interessa se viene o no, purché io possa incontrare i capi. Digli…»
L’interlocutore doveva averla interrotta. Lei rimase in ascolto per quasi due minuti, il volto alterato per l’irritazione.
«No, ascoltami tu, Charles…»
Charles. L’uomo dei fiori, quello che Meryl voleva a tutti i costi che trovassi. Mi chiesi cosa sapesse Meryl di Charles.
«I soldi devono essere depositati prima della consegna. Non accettiamo contanti, carte di credito o assegni personali. Quando avrò avuto conferma del trasferimento, e solo allora, ti porterò a prendere il materiale, o ci incontreremo con loro, come vuoi…»
Rimase di nuovo in ascolto.
«Contenitori di plastica, come il campione. Duecento chili meno il peso del campione.»
Ascoltò ancora, annuendo.
«Fai così. Chiamami.»
Amy riattaccò e rimase lì, con il telefono in mano. Ondeggiò impercettibilmente. Poi raccolse il piatto di carta e il cartone dell’asporto e li portò in cucina.
Guardai Jon.
«Hai sentito anche tu?»
Jon sorrise. Sembrava compiaciuto.
«Sì. Sta vendendo duecento chili di esplosivo al plastico.»
«Così sembrerebbe.»
«Pensi che ce l’abbia per davvero?»
Mi tornò in mente quello che ci aveva detto Scott James. L’esplosivo al plastico trovato nella bomba sulla sua auto era dello stesso materiale trovato nella casa.
«Sì.»
La finta Meryl aveva fatto un sacco di storie per il denaro sottratto, ma non aveva parlato di esplosivi scomparsi. Perdere duecento chili di esplosivo militare avrebbe compromesso la loro posizione con il governo molto più che un ammanco di denaro.
Osservai lo schermo in attesa che Amy tornasse.
«Qui non c’è e tu hai perquisito l’altra casa, giusto? Magari è sulla sua auto» disse Jon.
Scossi la testa, riflettendo.
«Duecento chili di C-4 occupano più o meno un quarto di metro cubo, che corrisponde al volume di una scatola di cartone standard» disse Jon.
Amy tornò dalla cucina. Si accertò che la porta d’ingresso fosse chiusa a chiave, raccolse telefono e computer e spense la luce in soggiorno.
Jon richiamò la telecamera della stanza da letto. Inquadrava il letto per tutta la lunghezza della stanza. La scrivania, la cabina armadio e il bagno erano sulla destra dell’inquadratura. Amy posò telefono e laptop sul letto e si tolse la camicetta. Era grassa e bianca, con dei rotolini di ciccia. Mi sentii in colpa per quella invasione della sua privacy. Quando si levò il reggiseno distolsi lo sguardo.
Sul letto era posata una giacca marrone con le frange. Lei appese la giacca e i pantaloni nell’armadio, prese un pigiama dal cassettone e andò in bagno. Sentimmo lo sciacquone e dell’acqua che scorreva. Qualche minuto dopo Amy spense la luce del bagno e si infilò a letto.
Alle dieci e quarantadue Amy scese dal letto e diede una carezza a una fotografia incorniciata che era posata sul cassettone.
«La foto. Prima non c’era» dissi.
«L’aveva nella borsa. L’ha messa lì quando è tornata a casa.»
Jacob.
Il tocco era amorevole, ma la sua mano non indugiò.
Amy tornò a letto e spense la luce. La casa piombò nell’oscurità. L’immagine video divenne nera.
Sette minuti dopo udimmo un respiro rauco e sommesso. Dormiva.
«Sei qui da parecchio. Vai pure. Ci sto io.»
«Sto bene.»
Abbassai il sedile e mi misi comodo.
Jon e io restammo a bordo della Rover tutta la notte. Restai fino alla mattina seguente, quando dovetti allontanarmi per andare a incontrare la finta Meryl. Io me ne andai, ma Jon rimase. Senza mai lamentarsi.