25
Rollins
Rollins possedeva una grande casa sulle colline di Encino da cui si godeva una vista mozzafiato della Valley. Non sotto il suo vero nome, e neppure come Rollins, ma ne era comunque proprietario, senza alcun vincolo, così come era proprietario di un appartamento a Manhattan Beach, un bungalow a West Hollywood, un loft nell’Arts District e una casa del 1923 in stile spagnolo sotto l’insegna di Hollywood. La casa di Encino era la sua preferita. Una grande piscina sul retro, una cucina all’aperto. A Rollins piaceva starsene seduto fuori la sera, a fumare erba e a guardare gli sfigati che se ne tornavano a casa sulla 405, una teoria infinita di lucine rosse fino al luogo in cui quei poveracci vivevano.
Quella sera Rollins era seduto su una chaise longue a fumare e a guardare i poveracci. Stava cominciando a superare il disappunto per la perdita della casa di Echo Park, quando Eli chiamò e gli rovinò la serata.
Il pagliaccio era vivo, e la polizia aveva recuperato il pacchetto.
«Eli, aspetta. Sta’ zitto un momento. Il tuo congegno può incastrarci?»
«I componenti non porteranno a nulla. Nessuno ci ha visto piazzarlo. Questo te lo posso giurare.»
Stronzate. Un’impronta digitale, un numero di serie, una traccia di DNA avrebbero potuto portare a Eli, o a uno dei suoi uomini.
Fantasie violente si insinuarono nei suoi pensieri. Rollins si vide mentre sparava al pagliaccio, a mezzogiorno, in pieno centro, gli si avvicinava da dietro, gli premeva la pistola contro la schiena ed esplodeva quattro colpi in rapida successione e lo rivoltava, quel bastardo, allontanandosi mentre il corpo non aveva ancora toccato terra; si vide mentre brandiva una mazza da baseball e sfondava il cranio a Eli, colpendolo di lato. Charles e la donna, invece, erano in ginocchio, legati e bendati, un colpo ciascuno, alla nuca, pop pop. Problema risolto, passo e chiudo, si va avanti.
Rollins capì che era la paura a parlare, e rammentò a se stesso un’altra delle sue regole: domina la paura, o la paura ti farà fare delle cose stupide.
Mise Eli in attesa e si prese qualche secondo per riorganizzare le idee. Eli aveva mandato a puttane il colpo e Rollins si chiese se stesse mandando a puttane anche tutto il resto.
«Il ragazzo che hai mandato è morto.»
«Carlos.»
«Non mi sembrava ridotto così male quando l’ho visto. Si vede che la polizia ha cercato di farlo parlare.»
«Non avrebbe raccontato nulla.»
«Devo chiedertelo: possono collegarlo a te?»
Eli rimase in silenzio.
«Era un tuo uomo, Eli. Tu capisci che devo chiedertelo.»
«Carlos non può essere ricondotto a me.»
«Okay. Bene. Questa è un’ottima cosa.»
«Sì.»
«Il poliziotto. Bisogna comunque farlo fuori.»
«Ora è più difficile, ma lo faremo.»
«Non sarà semplice trovarlo. Probabilmente non lo lasceranno tornare al lavoro.»
«Sappiamo come si chiama. Ho della gente che può scoprire dove vive.»
«Sapete come si chiama?»
«Ho le mie fonti. Non sono in tanti alla Cinofila. È stato facile.»
Rollins non dubitava che Eli avesse delle persone che potevano aiutarlo. La sua carriera si basava su informazioni che nessuno avrebbe dovuto conoscere.
«Ci penso io» disse Eli. «Fa’ conto che l’abbia già fatto. Questo non deve ostacolare la nostra attività.»
«Certo.»
Rollins posò il telefono. Si disse che Eli ce l’avrebbe fatta, ma fu assalito dai dubbi. Un giorno poteva diventare due, due potevano diventare tre, e a ogni ora che passava il pagliaccio aveva la possibilità di macinare sempre più foto segnaletiche. Prima o poi avrebbe trovato la sua faccia.
Quella era una delle regole più importanti: se la polizia è sulle tue tracce, vattene. Amici, familiari, mogli, amanti, case, soldi, figli, pesci rossi, qualunque cosa, tu molla tutto e vattene. Non fermarti a dare spiegazioni, a dire addio, e neppure a recuperare soldi nascosti. Ovunque ti trovi e qualunque cosa tu stia facendo, molla tutto senza guardarti indietro.
Rollins accettava questo fatto ed era preparato. Aveva denaro in abbondanza su vari conti segreti aperti sotto diversi nomi. Aveva patenti, carte di credito, passaporti. Poteva andarsene senza voltarsi indietro, ma si disse di non essere precipitoso. La fretta era sintomo di panico.
Eli era un professionista, un killer spietato, ma lui non aveva intenzione di mettere il proprio fato nelle sue mani.
Prese il telefono e lo richiamò.
«Un’ultima cosa, Eli. Com’è che si chiama?»
«Scott James.»
«Quando hai scoperto dove vive, telefonami prima di ucciderlo.»
Rollins riattaccò. Guardò la fila di lucine rosse intrappolate sull’autostrada che procedevano a passo d’uomo verso il nulla: ognuna di quelle lucine rappresentava uno sfigato troppo stupido per sapere di esserlo.
Rollins non voleva tornare agli omicidi, ma a suo tempo era stato in gamba. Molto in gamba. E certe volte ne aveva nostalgia.