24

Jon Stone

Jon Stone era a casa. La seconda notte dopo diciotto passate all’estero, molte delle quali sull’altopiano anatolico a nord del confine siriano. Tranne le notti in cui si era spostato a sud. La sua casa si trovava sopra il Sunset Boulevard, un’elegante costruzione moderna che offriva molta privacy, tutta acciaio e finiture nere, con un enorme letto italiano a piattaforma che costava quanto una Porsche. Stravaccato nudo sull’immensa distesa del letto, Jon si svegliò. L’aria della notte gli accarezzò il petto provocandogli un brivido piacevole. Molto diverso dall’altopiano.

Era stato un sussurro nel buio a svegliarlo.

«Jon.»

Jon Stone non si mosse e socchiuse appena le palpebre. La luna riempiva la sua stanza di ombre azzurre, ma la persona che aveva parlato era invisibile. Jon si chiese se stesse sognando.

«Hai gli occhi aperti, Jon. Sono io.»

Pike.

Non stava sognando.

Jon non riusciva a vederlo.

«Non svegliarle. Vieni fuori.»

Un viola profondo si mosse attraverso il blu quando Pike uscì. Pike era incredibilmente bravo in queste cose, ma aveva corso un grave rischio entrando in casa sua. Una Kimber calibro 45 era sempre pronta a portata di mano, con il colpo in canna. Anche se questa volta non gli sarebbe servita.

Imbarazzante.

Jon si chiese se Pike avesse bisogno di soldi. Se aveva bisogno di soldi, poteva farne anche lui. E Jon adorava fare soldi.

La donna sul lato più lontano del letto russava. Quella accanto a lui si mosse. La sua voce era impastata dallo scotch da trecento dollari a bottiglia.

«Qui est-il?»

«Rendors-toi.»

Due viaggiatrici zaino in spalla francesi che Jon aveva incontrato mentre aspettava di passare la dogana.

La ragazza gli rivolse un sorriso confuso e chiuse gli occhi.

«Il est soldat comme toi?»

«Personne n’est comme moi, chérie. Dors.»

La ragazza gli aveva chiesto se Pike fosse un soldato come lui e Jon le aveva risposto di rimettersi a dormire. Quella francesina voleva fare la spiritosa.

A dire il vero, le francesi non credevano che lui fosse un soldato. Jon non diceva mai alle persone come si guadagnava da vivere, ma si era ritrovato lì, con quelle due ragazze, in coda con altre trecento persone, in attesa di passare la dogana all’aeroporto di Los Angeles. Aveva detto loro di essere un mercenario solo per divertirsi, per vedere la loro reazione. Quelle si erano messe a ridere e gli avevano dato del bugiardo. Jon era un uomo atletico sulla trentina con i capelli biondi a spazzola e l’orecchino. Gli avevano chiesto cosa facesse realmente, e una aveva ipotizzato che suonasse in una band, l’altra insisteva nel dire che faceva l’attore. Flirtavano con lui. E allora, con il suo sorriso da surfista, Jon aveva detto di essere una spia, e giù altre risatine, un avventuriero, un soldato di professione, uno studioso, uno storico e un assassino, e alla fine una gli aveva sfiorato il braccio. Era fatta, baby, passo e chiudo. Bentornato a casa, Jon.

Jon Stone parlava tredici lingue, di cui sei correntemente, e tra queste c’era il francese. Lo parlava così bene che le ragazze credevano fosse un parigino che si fingeva americano. La sua capacità di confondersi con la gente del posto era uno strumento prezioso nel suo lavoro.

Jon scese piano dal letto.

Il retro della casa era chiuso da vetrate a tutta altezza, ante di tre metri prodotte su misura in modo che Jon potesse meditare godendosi il panorama. Luci dorate punteggiavano l’orizzonte, bagliori color rubino indicavano gli elicotteri in caccia, mentre i jet che scendevano verso l’aeroporto parevano perle sul cielo in abito da sera. Le porte erano pesantissime, ma silenziose quando scorrevano di lato. Jon uscì e andò alla piscina.

Pike era una silhouette illuminata dalle luci della città alle sue spalle. Jon gli si avvicinò con andatura spavalda.

«Cosa ne dici della prossima signora Stone?»

«Quale delle due?»

«Non ha importanza. Tanto fanno tutte la stessa fine.»

Jon era stato sposato sei volte. Sei volte più del dovuto.

«Che cazzo ci fai in casa mia? Avrei potuto spararti.»

«Qualcuno a Los Angeles sta vendendo munizioni militari?»

Quando si dice saltare di palo in frasca.

Jon si voltò verso la camera da letto, seccato.

«Un minuto. Io me ne sto qui in piedi, nudo, alle tre del mattino solo perché tu mi chieda questo? Perché dovrei saperlo?»

«Le persone per cui lavori hanno orecchie ovunque.»

«Sono a casa da due giorni, fratello. Di cosa stai parlando?»

«Munizioni rubate a Echo Park. Testate per RPG e granate da quaranta millimetri. Cole sta cercando una donna. Pensa che sia con l’uomo che tratta questa merce.»

A quel punto Jon era decisamente incazzato. Dopo tredici anni nell’esercito, gli ultimi sei nella Delta Force, Jon Stone aveva saltato il fosso per diventare un mercenario. Vendeva i suoi servigi e i servigi di altri a vari clienti, e uno degli altri era proprio Joe Pike, che, per inciso, guadagnava cifre astronomiche, il che significava grosse commissioni se Pike gli permetteva di chiudere un contratto; cosa che non sarebbe successa perché Pike perdeva il suo tempo con Elvis Cole, un investigatore privato da quattro soldi che non aveva neppure due biglietti da venti con cui pulirsi il culo.

«Ma che cazzo! Non me ne frega niente di Cole e dei suoi problemi. Dimmi che non mi hai tirato giù dal letto senza che ci sia in ballo una grossa somma.»

«Se la donna è con lui, probabilmente quel tizio vende ad al-Qaeda.»

A quelle parole Jon si bloccò. Il suo principale cliente era il governo degli Stati Uniti d’America, e gran parte dei suoi incarichi erano mirati a contrastare varie fazioni terroristiche, e i governi, le organizzazioni e gli individui che le sostenevano. Il tutto ufficiosamente e in gran segreto. Quando Jon Stone aveva detto alle francesi di essere un soldato di professione, non mentiva.

Jon lanciò un’altra occhiata in direzione della camera da letto. Non si muoveva niente nel rettangolo nero incorniciato dalle porte.

«Al-Qaeda.»

Pike annuì.

«Ascolta, solo perché qualche idiota vende questa roba non significa che vada a dei terroristi. Ci sono degli americanissimi stronzi che trasformano le granate in fermacarte e i lanciagranate in lampade.»

«Alla donna non interessano gli stronzi. Sta cercando di mettersi in contatto con un’organizzazione terroristica straniera.»

Jon era profondamente disgustato.

«Questo è il motivo per cui non sopporto che tu perda il tuo tempo con Cole, per stronzate del genere. Di cosa stiamo parlando? Di una fuori di testa o di una psicopatica antiamericana?»

«Le hanno ucciso il figlio.»

Jon Stone osservò l’amico. Il volto di Pike era una maschera vuota, sconosciuta e inconoscibile. Il riflesso della città sui suoi occhiali scuri era l’unico segno di vita.

«Un attentato suicida in Nigeria. Nessun sospettato, nessun arrestato. Quella donna vuole delle risposte, Jon. Avrà pensato di rivolgersi direttamente alla fonte.»

«Terroristi.»

«O qualcuno che ha accesso e collegamenti.»

«A Los Angeles?»

«Echo Park.»

Jon andò al margine del patio. Osservò gli elicotteri in caccia, e i grandi jet scendere nella notte.

«Qui.»

Pike non disse nulla.

«Ascoltami, amico. Di una cosa così dovrebbe occuparsene la Sicurezza Interna.»

«Se ne sta occupando. Come pure l’FBI e la polizia di Los Angeles. E ce ne occupiamo anche Elvis e io.»

Jon sospirò.

«E vuoi che mi ci metta pure io.»

«La gente per cui lavori ha orecchie ovunque. Se qualcuno ha parlato di questa cosa, loro potrebbero saperlo.»

«Ci sto.»

Dopo che Pike se ne fu andato, Jon tornò in camera, ma non a letto. C’erano telefoni in tutta la casa, ma il suo cellulare personale stava nei pantaloni. La ragazza francese si svegliò mentre lui rovistava tra i vestiti ai piedi del letto. Si girò, mettendosi sul dorso, assonnata e sexy, stiracchiandosi per offrirgli il suo corpo.

«Ton ami, il va se retrouver avec nous?»

«Va dormir.»

«Mon guerrier.»

«Tais-toi.»

La ragazza voleva sapere se Pike si sarebbe unito a loro, e Jon le rispose di tornare a dormire. Lei pensava di essere divertente, dandogli del guerriero, e lui le disse di chiudere la bocca.

Idiota.

Jon trovò il telefono e uscì. Quel particolare telefono, che lui usava per lavoro, trasformava il segnale in qualcosa di indecifrabile che solo un altro telefono dotato delle stesse funzioni era in grado di decodificare.

Nascosta nell’ombra, la gente per cui lavorava Jon faceva ben più che ascoltare. Raccoglieva. Telefonate, email, messaggi, video, tutto quello che passava attraverso Internet veniva raccolto e immagazzinato. Supercomputer quantici, mossi da algoritmi scritti da geni dell’informatica a loro modo micidiali quanto Joe Pike e Jon Stone, analizzavano tutto, cercando ricorrenze e parole chiave. C’era ben poco che sfuggisse alla loro attenzione.

Jon fece la telefonata dal bordo del patio. Rispose una voce da un telefono speciale. Poco dopo, Jon chiamò una limousine, svegliò le due francesi e disse loro di andarsene.

Ora se ne sarebbe occupato anche lui.

La promessa
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