22

Elvis Cole

Il traffico sull’autostrada aveva il ritmo del polso di un agonizzante. L’aria sapeva di olio bruciato mentre uscivo lentamente dalla Valley, o forse era uno scherzo della mia immaginazione perché non mi piaceva quello che avevo scoperto sul conto di Amy Breslyn.

Amy poteva essere strana e pure matta, ma era un ingegnere e sapeva come risolvere i problemi. Visto che il personale dell’X-Spot non era in grado di, o non voleva, rispondere alle sue domande, lei avrebbe trovato altri a cui chiedere, e magari Thomas Lerner l’aveva aiutata.

Più ci pensavo, più aveva senso. Gli scrittori erano abituati a fare ricerche. Se Amy aveva chiesto aiuto a Lerner, forse lui aveva trovato le persone che sapevano quello che Amy voleva scoprire. Lerner era stato il miglior amico di Jacob. Amy e Lerner erano rimasti in contatto dopo la morte di Jacob. Un tempo Lerner abitava nella casa di Echo Park. Tutte le strade portavano a Lerner. Meryl Lawrence era convinta che Lerner potesse sapere con chi si vedeva Amy, e forse era stato proprio lui a farli incontrare.

Pike chiamò mentre arrivavo al Sepulveda Pass.

«Sono andati a casa tua.»

«Chi?»

«La Dodge azzurra. Ci sono una volante, quella che sembra un’auto civetta, due berline bianche e la Dodge.»

Carter non aveva perso tempo a contrattaccare.

«Sono dentro casa mia?»

«Sì. Io ne ho contati cinque, ma potrebbero essercene di più. Tieni pure la macchina fin che vuoi.»

«Non è necessario. Passo a prendere la mia e vengo a casa. Dove sei?»

«In cima al crinale di fronte a casa tua.»

«Resta lì.»

Ci misi un’eternità a risalire il Kenter Canyon. Parcheggiai la Lexus dietro la mia auto, lasciai la chiave dietro lo pneumatico e me ne andai a casa a incontrare la polizia.

La mia casa era una costruzione di legno a forma di V rovesciata, appollaiata quasi in cima al Laurel Canyon. Vi si arrivava attraverso una stradina che partiva dalla Woodrow Wilson Drive. Nascosi il cellulare usa e getta, gli annuari e il raccoglitore di Amy dietro una pianta centenaria lungo la Woodrow. La mia strada era troppo stretta per la fila di veicoli parcheggiati davanti a casa. L’auto civetta, la Dodge azzurra e la volante erano in cattivo stato e piene di ammaccature, ma le due berline bianche erano nuove di zecca. Roba da federali. E infatti sulle portiere c’era il logo del dipartimento della Sicurezza Interna.

A bordo di una delle berline, parcheggiata in modo da bloccare l’accesso al mio posto auto, c’erano un uomo e una donna.

Mi fermai dietro di loro e mi avvicinai al finestrino del guidatore. L’agente uomo.

«Sta bloccando il mio posto auto.»

Erano entrambi sui trentacinque anni, fisico atletico e occhiali da sole stile Men in Black.

«Dentro.»

«Cosa ne dice di spostarsi così posso parcheggiare?»

La donna mi scrutò da sopra gli occhiali da sole.

«Vada dentro, signor Cole. Non faccia storie.»

In soggiorno trovai Carter, Stiles e un uomo in completo blu scuro. Carter stava frugando nella credenza vicina al tavolo da pranzo. Glory Stiles e l’uomo in abito blu erano seduti al tavolo. Fuori, sul patio, c’erano due agenti in uniforme insieme al biondo della Dodge. Uno degli agenti stava indicando qualcosa giù nel canyon, e l’altro era sporto oltre la ringhiera per guardare. Il biondo se ne stava con la schiena appoggiata alla ringhiera e mi fissava.

«Se scopro che la serratura è stata forzata faccio causa alla città» dissi.

Carter si voltò.

«Seminare i miei uomini è stata una mossa stupida.»

«Perché, ho seminato qualcuno? Un momento, Carter, mi state seguendo?»

«Dov’è andato, signor Cole?» chiese Stiles, con tono molto professionale, ignorando l’uomo in abito blu.

«Quando?»

«Sa bene quando.»

«Oggi? Ho dormito, sono andato in ufficio, ho mangiato un burrito e sono andato a fare una camminata. Sono tornato a casa e ora vorrei fare una doccia e mangiare un boccone. Cosa ne dite di andarvene da casa mia?»

Carter sbuffò.

«Non ha camminato per quattro ore. Dov’è andato?»

«Dal Kenter fino a Mandeville, poi su lungo la Sullivan fino alla vecchia base missilistica sulla Mulholland. C’è un parco, lassù, con servizi igienici e fontanelle. Mi sono riposato, e sono tornato al Kenter Canyon lungo la Mulholland. Sono quasi venti chilometri. Vediamo quanto ci mettete voi a fare tutto il giro.»

Stiles sembrava a disagio. Carter non aveva nulla, e lo sapevamo tutti.

Alla fine l’uomo in completo blu si alzò e girò intorno al tavolo. Era prossimo alla cinquantina, con rughe sottili intorno agli occhi e un’intensa abbronzatura.

«Russ Mitchell. Sono un agente speciale della Sicurezza Interna.»

Mi diede tutto il tempo di leggere le sue credenziali. Russell D. Mitchell. Dipartimento della Sicurezza Interna. Indagini.

«Bella foto. Ha l’aria da duro.»

Si strinse nelle spalle mentre piegava il tesserino per metterlo via.

«Non sono un duro. Sono preoccupato. Lei è stato visto nei pressi di una casa in cui erano nascoste munizioni militari rubate.»

«Ho visto il suo distintivo, ma non ho visto un mandato.»

Tornò a sedersi, accavallò le gambe e incrociò le mani sopra a un ginocchio. Rilassato.

«Non sono tenuto a mostrarglielo. Questo pomeriggio ho ottenuto un mandato federale. E per quanto riguarda come siamo entrati, avevamo l’autorità legale di usare qualunque mezzo fosse necessario, compreso buttar giù la porta. Non ne ho visto la necessità, dato che il detective Stiles si è offerta di forzare la serratura.»

Lanciai un’occhiata a Stiles. «Una donna dai mille talenti.»

Mitchell si allentò la cravatta, e capii che era pronto a fermarsi a lungo.

«Sapeva che in quella casa c’erano munizioni militari?»

«No. Lo so adesso, ma allora non lo sapevo.»

«Se scavassi abbastanza a fondo, e lo farò, scoprirei una connessione tra lei e Carlos Etana, o persone collegate a Etana?»

«No. Scavi pure fin che vuole.»

«Lei sa chi l’ha ucciso?»

«No.»

«L’ha ucciso lei?»

«No.»

«Accetta di sottoporsi alla macchina della verità?»

«Solo su consiglio del mio avvocato. Quegli aggeggi sbagliano sempre. Non sono affidabili.»

Mitchell fece un sorrisino.

«Non la biasimo. Noi dobbiamo sottoporci ai test, per il nostro lavoro. Tutte le volte che lo faccio mi prende l’agitazione.»

Mitchell si comportava da amicone. Poliziotto buono, poliziotto cattivo. Si appoggiò allo schienale della sedia.

«Perché si trovava a Echo Park?»

Gli dissi esattamente quello che avevo già detto a Carter e Stiles. Spiegai perché ero là, cosa avevo visto, con chi avevo parlato e cosa avevo fatto. Le risposte vere non cambiavano, e neppure le bugie.

Quando ebbi finito, Mitchell annuì.

«Quindi ha visto soltanto quell’individuo uscire dalla casa.»

«L’uomo che ho inseguito. Sì, signore.»

«Non ha visto nessun altro, maschio o femmina, entrare o uscire?»

«No.»

Mitchell mi studiò per un momento, poi andò alle portefinestre che davano sul patio. Gli agenti in uniforme e il biondo pensarono che lui li stesse chiamando, ma non era così.

«Mi piace quassù. Tranquillo. Pieno di boschi. I boschi sono belli.»

Si voltò verso Carter.

«Abbiamo finito.»

Carter incrociò le braccia come se la cosa non gli andasse. Come se volesse torchiarmi ancora per otto o nove ore.

«Mente. Sa qualcosa.»

Mitchell si strinse il nodo della cravatta, si lisciò le maniche e lo ignorò.

«Lei sa cosa abbiamo trovato nella casa?»

«So quello che ho sentito nei notiziari.»

«Le granate da quaranta millimetri sono state rubate a Camp Pendleton, presumibilmente da un dipendente civile. Le testate per gli RPG sono state prodotte in Cecoslovacchia ventidue anni fa. Probabilmente erano state introdotte illegalmente nel nostro paese da qualche collezionista e in seguito rubate. Trattandosi di merce illegale, i collezionisti non denunciano questo tipo di furti, e le armi finiscono chissà dove. Queste sono finite a Echo Park… Le testate, le granate e un chilo di esplosivo al plastico dentro un contenitore Tupperware. Questa è bella, in un Tupperware.»

Mitchell ci fissava. Sembrava stesse osservando le mie reazioni.

«Lei sa cosa possono fare queste armi. Ho letto il suo fascicolo. Ranger dell’esercito. Servizio attivo. Gran bello stato di servizio, tra l’altro.»

«Mi hanno fatto apparire migliore di quanto fossi.»

Carter fece un gesto rabbioso con la mano.

«Sai che cosa? Questo qui e quel pazzo del suo socio hanno seminato cadaveri per tutta la città. Agli stronzi come Cole non gliene frega un cazzo.»

Non dissi nulla. Avrei potuto dire tante cose, ma non lo feci.

«Queste sono armi da guerra. Armi che qualcuno potrebbe usare per abbattere un aereo, o far saltar in aria un edificio pieno di civili innocenti. Secondo lei, perché erano in quella casa?»

«Non lo so.»

«Neppure io. Ma lo scoprirò.»

Mitchell uscì senza voltarsi indietro.

Stiles chiamò gli uomini sul patio e li seguì fuori dopo Mitchell. Mentre mi passava davanti, il biondo mi fece un piccolo cenno col capo.

«Bella mossa.»

Era sincero, ma io non reagii.

Carter si trattenne ancora un po’. Se ne stava lì, impalato, nel mio soggiorno come se tutti i suoi sospetti fossero stati confermati.

«Lei nasconde qualcosa, lo sento. È come un odore di carne marcia. Lei nasconde qualcosa.»

Carter era un buon poliziotto. Non mi stava simpatico, ma voleva trovare le persone che avevano nascosto le armi nella casa di Thomas Lerner, e aveva tutte le sue ottime ragioni. Anch’io volevo che le trovasse.

«Carter, se potessi aiutarla lo farei. E se posso lo farò.»

«Si risparmi le parole. Lei è un sospettato. Io la considero un sospettato. Se scopro qualcosa che la collega a quella casa, o a Etana, o a quei maledetti esplosivi, l’arresterò come sospettato.»

Uscì lasciando la porta aperta.

Io non mi mossi. Cinque motori si avviarono. Cinque macchine si allontanarono. Aspettai per essere sicuro che se ne fossero andati, poi aspettai ancora.

Dopo un po’ presi la macchina per andare a recuperare il cellulare usa e getta e i documenti, e rientrai in casa passando dalla cucina.

Joe Pike mi aspettava in piedi vicino al lavello, immobile come una statua.

«Ho un problema» dissi.

La promessa
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