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L’agenzia investigativa Elvis Cole si trovava all’ultimo piano di un edificio a quattro piani sul Santa Monica Boulevard. Un uomo di nome Joe Pike era proprietario dell’agenzia insieme a me, ma il suo nome non figurava sulla porta. Una scelta sua, non mia. A Pike le porte stanno strette.
L’ufficio era arredato con una scrivania, un paio di sedie da regista in pelle, un piccolo frigorifero e un terrazzino da cui si godeva una bella vista di West Los Angeles fino al mare. L’orologio con la faccia di Pinocchio appeso alla parete sembrava sempre contento di vedermi. I suoi occhi oscillavano da una parte all’altra a tempo con il ticchettio e non smetteva mai di sorridere. Pensavo che prima o poi si sarebbe stancato, ma non era così. Il suo ottimismo era ammirevole.
Posai gli annuari e le foto sulla scrivania, e trovai un messaggio in segreteria.
“Signor Cole, sono il detective Stiles. Ieri sera. Sono sicura che si ricorda. Abbiamo qualche altra domanda da farle. Per favore, potrebbe richiamare per fissare un appuntamento?”
Per favore.
Stiles aveva lasciato il messaggio alle 7.28 della mattina, poche ore dopo che io avevo firmato la mia dichiarazione. Mi aspettavo che Carter tornasse di nuovo alla carica, ma non la mattina dopo.
Mi chiesi se avessero trovato Lerner. Forse Stiles aveva parlato con lui e Carter sapeva che avevo mentito. O forse no. Carter non era il tipo da disturbarsi a fare una telefonata di cortesia. Lui avrebbe direttamente buttato giù la porta.
L’operatore del servizio informazioni trovò un Thomas Lerner nella zona con il prefisso 747 e due Tom Lerner in quello con il 310. Chiamai prima il numero con il prefisso 747. Rispose una segreteria, con la voce di un uomo. Lasciai un messaggio, chiedendo che mi richiamasse anche se era il Lerner sbagliato. Un’altra voce registrata rispose al primo numero con prefisso 310, però con il secondo fui più fortunato. Capii dalla voce da vecchio che non era il Lerner giusto, ma se non altro mi aveva risposto un essere umano.
«Signor Lerner, chiamo per conto di Jacob Breslyn. Jacob era amico di un certo Thomas Lerner. È per caso lei?»
«Io sono Tom Lerner. Non mi chiamo Thomas.»
«Mi scusi. Ha forse un parente che si chiama Thomas Lerner? Dovrebbe avere poco meno di trent’anni. Fa lo scrittore. Qualche anno fa abitava a Echo Park.»
«Be’, non direi. Mio zio poteva essere Thomas, ma è morto da anni.»
Questo per quanto riguarda le telefonate.
Una ricerca su Internet diede come risultato novantasette Tom o Thomas Lerner negli Stati Uniti, tre dei quali residenti nella zona di Los Angeles. Erano i tre che avevo chiamato. Le ricerche per “Thomas Lerner scrittore” non diedero alcun risultato su Internet Movie Database, sul sito dell’associazione degli scrittori, o su vari siti web che vendevano libri. Se Thomas Lerner faceva lo scrittore, non aveva miglior fortuna di quanta ne avessi io come detective.
Aprii la documentazione che avevo su Amy Breslyn e studiai di nuovo la sua foto. Non aveva l’aria di una che si frega quattrocentosessantamila dollari, ma a volte le persone ingannano. Sembrava la versione triste di una zia affettuosa: una donna gentile, un po’ démodé, che indossava scarpe comode e si faceva gli affari suoi.
Uscii sul terrazzino e osservai il panorama. Il più delle volte ero già fortunato se riuscivo a vedere il mare, ma gli alberghi e i condomini all’orizzonte erano vividi nella luce del mattino, e il picco sull’isola di Catalina era nitido anche a quaranta chilometri di distanza. Ci voleva una tempesta per rendere limpido il mondo.
Tornai dentro, aprii una bottiglia d’acqua e la alzai in un brindisi silenzioso verso Pinocchio.
«Perché ci vuole sempre una tempesta?»
Gli occhi oscillarono, ma lui non rispose.
Tornai alla scrivania e cominciai a sfogliare gli annuari.
Come fanno quasi tutti i ragazzi, Jacob e i suoi amici si erano vicendevolmente scritti delle dediche. Poiché le amicizie si sovrappongono, era possibile che le persone che avevano scritto sull’annuario di Jacob conoscessero Lerner, e che qualcuno si fosse tenuto in contatto con lui. Cominciai dall’interno della copertina, lessi le dediche e presi nota dei nomi. La scuola è finita PER SEMPRE! Prenderemo strade differenti, ma spero che non ci perderemo di vista! L’entusiasmo dell’ultimo anno era prevedibile, ma un nome compariva in tre dediche sulla prima pagina e richiamò subito la mia attenzione. Buona fortuna con Jennie, amico! Avete già fissato la data? Jennie è troppo bella per uno sfigato come te! Jennie veniva menzionata in altre quattro dediche sulla pagina seguente, e altre nove volte nel resto dell’annuario. Andai all’interno della quarta di copertina e trovai un grande cuore rosso che occupava quasi tutta la pagina. Era stato tracciato con un pennarello e conteneva una dedica.
Mia J,
2 J oggi
2 J domani
2 J per sempre
Ti amo
Il tuo J
Era possibile che la ragazza con cui Jacob era andato al ballo di fine anno non fosse Jennie, ma le probabilità che lo fosse erano alte. Lei era la persona giusta a cui chiedere di Thomas Lerner. Nessuna delle dediche conteneva il suo cognome, ma la trovai nella sesta pagina della sezione senior dell’annuario, terza fila dal fondo, seconda foto da destra. Si chiamava Jennifer Li.
«Ciao, Jennie» dissi.
La trovai di nuovo nella sezione J-K-L dell’indirizzario di Jacob. Jennie, senza cognome, prefisso 310.
Adesso Jennie doveva avere un diverso numero di telefono, ma quello delle superiori poteva essere stato della casa dei suoi.
Una voce maschile registrata mi chiese di lasciare nome e numero di telefono. La voce non si identificò, quindi avrebbe potuto essere chiunque, ma io dissi che cercavo di mettermi in contatto con Jennifer Li a proposito di un compagno delle superiori di nome Jacob Breslyn. Chiesi che mi richiamassero, sia che conoscessero la signorina Li o meno, e cercai di non avere un tono troppo implorante.
Riattaccai, scoraggiato. La gente non rispondeva mai ai messaggi in segreteria. Era molto frustrante.
Poi confrontai l’indirizzario di Jacob con l’elenco dei compagni di scuola, e trovai sette possibili corrispondenze. Due erano ancora valide. Ricky Stanley ora viveva in Australia e Carl Lembeck faceva il poliziotto a Hawthorne. La madre di Rick Stanley promise di mandare una email al figlio, e la madre di Lembeck mi disse che Carl non le parlava da anni. Nessuna delle due aveva presente Thomas Lerner, e solo la madre di Stanley si ricordava di Jacob Breslyn.
Radunai appunti e annuari, e decisi di mettermi a cercare Charles.
La Everett’s Natural Creations si trovava sulla Melrose a West Hollywood. Nel traffico di metà mattinata non impiegai molto. Le stazioni radio locali non facevano che parlare delle granate ritrovate insieme a un cadavere a Echo Park. Vennero annunciati come ospiti un pezzo grosso della polizia e un consigliere comunale. Avrebbero avvertito la pressione dei cittadini comprensibilmente preoccupati, e quella pressione si sarebbe trasmessa a Carter e, forse, a me.
Stavo pensando a Carter quando passai col giallo a La Brea e sentii un clacson dietro di me. Guardai nello specchietto retrovisore e vidi una Dodge due porte azzurra bruciare il rosso dietro alle mie spalle. La Dodge scomparve in una stazione di servizio, ma quello che suonava il clacson continuò a strombazzare e mi mostrò pure il dito medio. Che drammone.
Spensi la radio e pensai a Amy finché, arrivato alla Fairfax, rividi la Dodge. Era a un semaforo, e aspettava di svoltare. Io le passai davanti. Alla guida c’era un ispanico con un taglio di capelli alla marines. Seduto accanto a lui c’era un bianco con i capelli biondi. Quando passai distolsero lo sguardo e aspettarono più del necessario per uscire dall’incrocio e immettersi dietro di me.
Tre isolati più avanti mi fermai a un taco shop, comprai un burrito con uova e salame piccante, e lo mangiai a un tavolo davanti alla vetrina. Mi diedi dello sciocco, ma non mi piaceva come la Dodge aveva aspettato prima di svoltare. Avrebbe potuto inserirsi dietro di me, e invece aveva atteso che un’altra macchina si frapponesse tra noi due. A Los Angeles i guidatori non aspettano. Semmai ti passano sopra.
Finii il burrito e mentre risalivo in macchina controllai entrambi i lati della strada. La Dodge azzurra era sparita. Mi sentii meglio, ma quella stessa Dodge azzurra era dietro un furgone dell’UPS nel parcheggio di un piccolo centro commerciale all’incrocio successivo. Erano stati furbi a nascondersi dietro un veicolo più grosso, ma io colsi il colore mentre cambiavo corsia. Il guidatore era sempre l’ispanico con i capelli alla marines. Erano con il muso rivolto verso l’uscita e il motore acceso, ma non uscirono. Significava che lavoravano con almeno un’altra auto, se non due.
Il detective Carter aveva deciso che ero una priorità.
Le auto impegnate nella sorveglianza non mi avrebbero fermato a meno che non fosse stato loro ordinato di farlo. Il loro compito era sorvegliarmi. Si sarebbero tenute a distanza, nell’ombra, e avrebbero fatto rapporto, dopodiché i detective della task force avrebbero fatto visita ai luoghi in cui mi ero recato, interrogato le persone con cui avevo parlato. Non avrei potuto proteggere Amy se loro avessero scoperto che facevo domande su di lei, quindi la squadra di sorveglianza doveva sparire.
Sfuggire a una squadra di sorveglianza composta da più auto non sarebbe stato facile, ma io avevo un’arma segreta.
Mi allontanai dalla Everett’s e chiamai un amico.
Joe Pike.