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Elvis Cole
Meryl Lawrence mi consegnò tre cose in quella notte di pioggia quando mi assunse per trovare Amy Breslyn. Mi diede un indirizzo di Echo Park, duemila dollari in contanti e un fascicolo aziendale con dentro così tante informazioni sul conto della sua amica scomparsa che avrebbe potuto essere stato compilato dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale. Probabilmente lo era. Mi diede queste tre cose ma nient’altro. Tutto il resto era segreto.
L’indirizzo di Echo Park risaliva a quattro o cinque anni prima e probabilmente non era più di alcuna utilità, ma si trovava sulla strada per tornare a casa. Venti minuti prima delle dieci di quella stessa sera – cinquantadue minuti dopo che avevo accettato di cercare Amy Breslyn – parcheggiai alla luce di un lampione sotto una pioggerella sottile, a un isolato dalla casa di Echo Park. Avrei posteggiato più vicino ma non c’erano altri posti liberi. Fu un idrante antincendio a salvarmi.
Un’adolescente rincorreva un ragazzino dietro la finestra di una casa di fronte a me. In quella accanto, una donna di mezza età in calzamaglia viola pedalava su una cyclette. Dietro di me, un uomo quasi calvo rideva davanti a un televisore grande quanto la parete. Le nove e quaranta: era ancora presto. Tutte le case dell’isolato erano piene di vita tranne quella per cui mi trovavo lì. Era buia e deserta, e prometteva di essere una perdita di tempo.
Stavo osservando la donna in viola quando mi squillò il telefono.
«Agenzia investigativa Elvis Cole. Lo facciamo anche sotto la pioggia.»
Spiritoso. Sono il mio pubblico più affezionato.
La voce di Meryl Lawrence era sommessa nell’oscurità. «Ho trovato la chiave di casa sua. Si vede che è caduta dalla consolle. Era finita sotto il sedile.»
Mi ero incontrato con Meryl Lawrence sulla sua auto dietro la libreria Vroman’s a Pasadena. Mi aveva assunto in un parcheggio perché non desiderava farsi vedere con me. Mi aveva pagato in contanti perché non voleva restasse traccia delle nostre transazioni. Come quasi tutto quello che riguardava Amy Breslyn, anche il mio rapporto con Meryl Lawrence era top secret.
«Ottimo» dissi. «Così non dovrò passare dal camino.»
«Cosa fa, torna qui? Le darò la chiave e il codice dell’allarme.»
«Non stasera. Sono a casa di Lerner.»
La sua voce acquistò vivacità. «Lui l’ha vista?»
«Non gli ho ancora parlato. Sto aspettando che smetta di piovere.»
«Ah.»
Sembrava delusa. L’indirizzo era quello di un aspirante scrittore di nome Thomas Lerner. Lerner e il figlio di Amy, Jacob, erano cresciuti insieme. Dopo il college, Lerner aveva deciso di diventare scrittore e aveva preso in affitto la casa di Echo Park per pochi soldi per cominciare a scrivere. Jacob Breslyn era andato a lavorare come giornalista e aveva felicemente girato il mondo finché, insieme ad altre tredici persone, era rimasto ucciso in un attentato terroristico in Nigeria. Dopo la morte di Jacob, Amy era cambiata, mi aveva detto Meryl. Si era chiusa in se stessa e non era più lei. E ora, sedici mesi dopo la morte di Jacob, era sparita, scomparsa, svanita. Passo e chiudo. Meryl non sapeva se Amy fosse rimasta in contatto con Lerner né se lui abitasse ancora all’indirizzo di Echo Park, ma se c’era qualcuno che conosceva i segreti di Amy, secondo Meryl quel qualcuno era l’unico, ultimo collegamento di lei con suo figlio.
«Non sembra che ci sia qualcuno in casa. Se è qui, vedrò cosa sa. Se si è trasferito, magari riesco a scoprire dove trovarlo.»
«Gli chieda se Amy gli ha detto di avere un amico.»
Nel parcheggio di Vroman’s Meryl Lawrence non aveva fatto altro che parlare di questo amico. Lei non l’aveva mai incontrato, non conosceva il suo nome e non avrebbe saputo descriverlo, ma era convintissima che ci fosse un uomo dietro la scomparsa di Amy. Certe volte bisogna lasciarle parlare.
«Glielo chiederò.»
«Thomas l’ho incontrato soltanto quella volta, ma lui dovrebbe ricordarsi. Gli dica che non riesco più a mettermi in contatto con lei, e che sono preoccupata, ma non gli dica che l’ho assunta, e per amor del cielo non faccia parola delle altre cose che le ho riferito.»
«So come gestire la cosa.»
«Lo so che lo sa, ma voglio essere sicura che lei capisca. Tutto quello che le ho raccontato è rigorosamente riservato.»
«Se vuole me lo faccio tatuare sulla fronte.»
Meryl Lawrence mi aveva fatto giurare di mantenere il segreto perché aveva paura. Era una dirigente di alto livello della Woodson Energy Solutions, l’azienda per cui Amy Breslyn lavorava da quattordici anni come ingegnere chimico. Producevano carburanti per il dipartimento della Difesa, e questo significava che il loro lavoro era segreto. La prima cosa che mi aveva chiesto quando ci eravamo incontrati era se la parola “confidenziale” sul mio biglietto da visita significasse davvero confidenziale.
“Sì, signora” le avevo risposto.
“Me lo giuri. Giuri che non dirà una parola.”
“Glielo prometto.”
Quattro giorni prima, senza alcun preavviso e senza dare spiegazioni, Amy Breslyn si era presa un periodo di aspettativa. L’aveva comunicato con un’email. Meryl e i suoi capi avevano cercato di contattarla, ma lei non aveva risposto alle loro telefonate né ai loro messaggi. Il giorno dopo, Meryl era andata a casa di Amy. Lei era sparita, ma pareva che dalla casa non mancasse nulla. Il giorno seguente, Meryl aveva scoperto che nella divisione di Amy c’era un ammanco di quattrocentosessantamila dollari, ma aveva tenuto per sé la cosa. Era convinta che la sua amica fosse stata costretta a farlo e sperava di riuscire a gestire la situazione senza coinvolgere le autorità. Mi aveva assunto in via ufficiosa e all’insaputa dell’azienda. Si era anche rifiutata di darmi l’indirizzo dell’ufficio di Amy, il suo indirizzo email aziendale e qualunque altra informazione relativa al lavoro che svolgeva. Ragioni di sicurezza.
«Passerò a prendere la chiave domani mattina. Vuole che ci incontriamo nello stesso posto?»
«Oh, mio Dio, no. È troppo rischioso. Domani devo andare a West Hollywood. Scelga lei un posto dove vederci alle sette.»
Proposi un parcheggio all’angolo tra la Fairfax e il Sunset. A Meryl Lawrence piacevano i parcheggi.
«D’accordo, domani alle sette, a meno che non cambi qualcosa. Magari riuscirà a sistemare la questione stasera e ci risparmieremo la fatica.»
Dall’aspetto desolato della casetta ne dubitavo.
«Piove ancora?»
«Sì.»
«Visto che lo fa anche sotto la pioggia, scenda dalla macchina e vada a cercarla.»
Mi aveva assunto da un’ora soltanto e già faceva la prepotente.
Sfogliai il fascicolo di Amy Breslyn alla luce caliginosa del lampione. La foto aziendale ritraeva una donna rotondetta con i capelli castano chiaro, un viso dai lineamenti morbidi e gli occhi tristi di chi ha perso l’unico figlio per ragioni che nessuna persona sana di mente avrebbe mai potuto comprendere. Se era truccata, non si vedeva. Era anonima quanto una macchia confusa tra la folla, ma aveva un dottorato in ingegneria chimica conseguito alla UCLA. Mi misi in tasca la sua foto.
Quando la pioggia cessò, qualche minuto dopo, risalii la strada e andai alla porta di Lerner. Accanto alla soglia era appesa una lampada, ma la lampadina era spenta, buia come il resto della casa. Bussai, attesi qualche secondo e bussai di nuovo. Premetti il campanello, ma non funzionava. Fantastico.
Bussai ancora un po’, poi me ne tornai alla mia auto.
Dodici minuti più tardi stavo cercando di decidere se aspettare o tornare la mattina dopo, quando un elicottero della polizia di Los Angeles mi passò rombando sulla testa, così basso da far tremare la macchina. Il raggio del suo faro strisciò sulle case vicine, facendo scintillare i tetti bagnati. Allungai il collo per vedere. All’improvviso una volante con il lampeggiante acceso comparve sulla strada, tre isolati più avanti, e altri lampeggianti riempirono il retrovisore. Una seconda volante si fermò all’incrocio dell’isolato dietro di me. L’elicottero rombò di nuovo sopra la mia testa, spazzando il suolo con il suo faro. Mi voltai da una parte, dall’altra. Qualunque cosa stesse accadendo, stava accadendo in fretta. Altre volanti si aggiunsero alle prime due, inondando le case di lampi rossi e blu, e un piccolo esercito di agenti in uniforme scese per bloccare la strada.
Le persone che vivevano nelle abitazioni lì attorno comparvero dietro le finestre o uscirono a vedere. Scesi dall’auto per guardare insieme a loro. La polizia di Los Angeles stava calando sul quartiere come un temporale in arrivo.
Un uomo piccoletto con una felpa sbiadita uscì sulla porta della casa dietro di me e gridò con accento spagnolo: «Cosa stanno facendo?».
«Stanno stabilendo un perimetro. Credo stiano cercando qualcuno.»
Scese sul marciapiede e il suo posto sulla soglia fu preso da una donna che teneva in braccio un bambino piccolo.
L’elicottero girava in tondo, disegnando cerchi pigri, larghi tre o quattro isolati, e incenerendo il terreno con il suo faro. Restammo lì, sotto una pozza di luce bianca così abbagliante che ci costringeva a strizzare gli occhi, poi la pozza di luce si allontanò.
L’uomo infilò i pollici nelle tasche.
«C’è troppa criminalità qui intorno. Io ho dei bambini.»
Io indicai la casa di Lerner. «Quella casa buia nell’altro isolato. Abita lì Thomas Lerner?»
Lui fissò l’edificio.
«Chi?»
«Un giovane bianco. Dovrebbe avere sui ventotto, ventinove anni. Thomas Lerner.»
Scosse la testa ancora prima che io finissi.
«Noi stiamo qui da tre anni e là non ci abita nessun Lermer.»
«Lerner.»
«Erano venute a starci delle ragazze di colore, ma poi se ne sono andate. Poi c’è stato un filippino per qualche settimana, e pure un tipo del Salvador, ma questo è successo un paio di anni fa. Ora non ci vive nessuno.»
La notizia non era del tutto negativa. Se la proprietà era stata affittata prima, durante e dopo che Lerner vi aveva abitato, era possibile che il padrone di casa avesse il nuovo indirizzo di Lerner, o forse il suo vecchio contratto di affitto. Su quello avrei potuto reperire i nomi e gli indirizzi dei suoi datori di lavoro, referenze, e magari pure dei suoi genitori. A quel punto sarebbe stato facile trovarlo.
Parecchi agenti stavano venendo verso di noi, passando di porta in porta. Un poliziotto con i capelli neri si avvicinò lungo il marciapiedi. Sul colletto aveva le mostrine di sergente e sulla targhetta del nome c’era scritto ALVIN.
«Cosa succede?» chiesi.
«Stiamo inseguendo un sospetto. Maschio ispanico, tra i venticinque e i trent’anni. Indossa una T-shirt nera con un teschio sul davanti. Avete visto passare qualcuno che corrisponde alla descrizione?»
Gli rispondemmo di no.
«Cos’ha fatto?» domandò il proprietario della casa.
«C’è un mandato per omicidio. L’abbiamo individuato sulla Vermont e l’abbiamo seguito. Siamo sicuri che si sia nascosto qui nel quartiere.»
Il proprietario della casa lanciò un’occhiata in direzione della moglie e abbassò la voce. «Abbiamo dei bambini, signore. Noi non vogliamo sparatorie.»
«Chiuda bene porte e finestre, okay? Lo troveremo. Abbiamo l’elicottero, abbiamo gli uomini e sta per arrivare anche un cane. Resti dentro e non le succederà nulla.»
L’uomo corse a rintanarsi in casa.
«Se qualcuno sta rientrando a casa dal lavoro o da una cena fuori, cosa fate, lo lasciate passare?»
«Sì, certo. Ma non dopo che avranno liberato il cane. Se c’è un cane libero di correre di qua e di là non facciamo passare nessuno.»
Lanciai un’occhiata alle volanti che bloccavano l’incrocio.
«E per uscire? Posso andarmene?»
«Sì che può, ma prima dobbiamo finire il porta a porta. Manderemo qualcuno a spostare le auto appena possiamo.»
«Okay. Grazie, agente.»
Sarebbe stata una lunga notte.
Qualche minuto dopo che mi ero messo comodo sulla mia auto, dall’elicottero venne diffuso un annuncio registrato. Informava i residenti che stava per essere liberato un cane della polizia cinofila e diceva al sospettato che quella era la sua ultima possibilità di arrendersi. Sentii abbaiare, ma il suono si allontanò.
I poliziotti finalmente conclusero il porta a porta e tornarono all’incrocio. Vidi Alvin, decisi che era il momento buono per andarmene e stavo infilando la chiave nel quadro quando dalla casa di Thomas Lerner uscì un uomo. Non riuscii a scorgerlo in faccia e non vidi una T-shirt nera, ma il modo in cui si muoveva mi insospettì. Non uscì con naturalezza, non si fermò a guardare l’elicottero, non si allontanò lentamente. Restò rasente alla casa, nascosto dalle ombre spezzate. Era evidente che cercava di nascondersi. Scesi dall’auto per vedere meglio, ma lo persi nell’oscurità. Poi le luci balenarono tra gli alberi dietro la sua casa e il cane si mise ad abbaiare, furioso, più vicino. Le ombre si mossero e l’uomo si allontanò da me correndo nel giardinetto adiacente.
Urlai e agitai le braccia per richiamare l’attenzione dei poliziotti dietro di me.
«Alvin! Sta scappando! QUAGGIÙ!»
Alvin urlò qualcosa, ma io mi ero già lanciato all’inseguimento dell’uomo, correndo come un matto.
L’uomo scartò bruscamente per attraversare la strada e passò attraverso una pozza di luce fioca. Vidi una giacca sportiva scura e pantaloni scuri, e forse dei capelli scuri, però quello sparì tra le case. Alvin urlava. Io stavo guadagnando terreno quando arrivai alla casa di Lerner, ma un agente in equipaggiamento tattico si precipitò nel giardino sul davanti. Urlò e mi puntò contro una pistola.
«È uscito un uomo. Laggiù! Ha attraversato la strada.»
«FERMO! NON TI MUOVERE!» mi urlò il poliziotto da dietro la pistola.
Non mi mossi. Da qualche parte alle mie spalle Alvin gridò che ero un civile e il poliziotto in tuta tattica tornò immediatamente dietro la casa. Alvin e altri due agenti arrivarono alla mia altezza. Gli altri continuarono a correre, ma Alvin mi afferrò per il braccio.
«Ehi, amico, ma che diavolo? Vuole farsi sparare?»
«Un uomo è uscito da questa casa. Ha attraversato la strada di corsa.»
«Era il nostro uomo? Capelli lunghi? Ispanico? T-shirt nera?»
«L’ho pensato, ma non mi pare. Aveva i capelli corti e portava una giacca sportiva.»
Alvin avvisò via radio che degli agenti stavano inseguendo a piedi un uomo che cercava di allontanarsi da quella casa e diede loro la descrizione. L’elicottero iniziò un’orbita più stretta sopra di noi, poi si inclinò in una virata per proseguire la caccia. Il rumore era assordante.
Il sergente urlò per farsi sentire oltre quel frastuono. «E così ha deciso di fare l’eroe?»
«Io non ho deciso proprio nulla, Alvin. L’ho visto e ho pensato che fosse il vostro uomo. Lui si è messo a correre e voi eravate un isolato dietro di me. Mi è parsa la cosa giusta da fare.»
Alvin sollevò la radio di colpo e si voltò a guardare la casa.
«L’abbiamo preso.»
«Il tizio che stavo inseguendo?»
«Ma no! Quello che pensava di inseguire. Il nostro uno-otto-sette. Anche lui era là dentro, solo che ora ha smesso di scappare.»
Guardai la casa di Thomas Lerner e avvertii un formicolio strisciante nel petto. Mi immaginai lì a bussare con un cadavere dall’altra parte della porta. E un assassino a pochi centimetri di distanza.
«Il vostro fuggitivo era in quella casa?»
«C’è ancora. Pare che l’abbia ammazzato quello stronzo che ha visto uscire lei.»
Il sergente fece per allontanarsi, ma io non mi mossi.
«Alvin, io sto cercando un tizio che un tempo abitava qui. Venti minuti fa ho bussato a quella porta.»
Il poliziotto mi guardò come se non capisse.
«Non sono entrato. Ho bussato un paio di volte, non ha risposto nessuno e così me ne sono tornato alla mia auto. Stavo per andarmene quando siete arrivati voi.»
Alvin mi chiese i documenti. Gli porsi la patente e il tesserino di investigatore. Nel vederlo aggrottò la fronte.
«Okay, signor Cole. Aspetti qui. Vorranno parlare con lei.»
Alvin comunicò di nuovo via radio ma ebbe difficoltà a ricevere una risposta. L’elicottero compì un’altra orbita e trafisse la casa di Lerner con la sua luce. Dalla radio di Alvin esplose una serie di comunicazioni che si sovrapposero. Lui si fece improvvisamente scuro in volto per qualcosa che gli dissero, mi afferrò bruscamente per il braccio e mi spinse verso il perimetro.
«Andiamo. Stanno mandando qualcuno.»
In quell’istante Alvin cambiò. Gli agenti raggruppati intorno alle auto cambiarono. Le case, i giardini e le nuvole notturne sopra di noi cambiarono mentre l’aria crepitava per la tensione.
Alvin mi trascinò al centro della strada come se non stessimo camminando abbastanza in fretta. Gli agenti che fino a qualche minuto prima erano intorno al perimetro si allontanarono di corsa dalle loro posizioni e si sparpagliarono per il quartiere, bussando ancora una volta alle porte, i volti tesi e nervosi.
«Cosa succede, Alvin? Cosa sta succedendo?»
Alvin si mise a correre, e io con lui.
La gente veniva allontanata dalle abitazioni. Alcuni esitavano, altri si lanciavano in strada. I poliziotti si muovevano sempre più in fretta, le loro voci si facevano sempre più concitate, gli sguardi più febbrili.
«Perché questa gente sta lasciando le proprie case, maledizione?»
Alvin allungò il passo.
Quando arrivammo all’incrocio, un detective di mezza età con un completo grigio e stazzonato e una detective in tailleur pantalone blu aspettavano accanto a una berlina blu scuro. Lì vicino c’era anche un responsabile coordinatore in uniforme, ma non prestò attenzione a noi.
«È lui» disse Alvin.
Il detective scostò la giacca per mostrarmi il distintivo.
«Bob Redmon, signor Cole. Detective di Rampart. Questa è la detective Furth. Vorremmo che venisse con noi.»
Furth quasi non mi degnò di uno sguardo. Osservava uomini e donne, ragazzi e bambini uscire dal perimetro, alcuni furiosi e imbronciati, altri nervosi e spaventati. Formavano un gruppo sempre più grande che si allargava lungo il marciapiede.
«Mi spieghi cosa sta succedendo, Redmon» dissi. «Perché state facendo uscire queste persone dalle loro case?»
Redmon ignorò la mia domanda.
«Finché i suoi ricordi sono ancora freschi, capisce? Non dovrebbe volerci molto.»
«Mi state arrestando?»
Aprì la portiera posteriore della berlina e mi fece cenno di entrare.
«Le daremo un passaggio per tornare.»
«La mia auto è a un isolato da qui.»
Furth parlò per la prima volta, rivelando tutta la sua tensione.
«Salga in macchina o la sbattiamo dentro a calci in culo. Avanti, Bobby, voglio andarmene.»
Glielo chiesi di nuovo.
«Perché state evacuando questa gente?»
Redmon si limitò a tenere la portiera aperta finché non salii. Furth e Redmon salirono dopo di me e Furth mise in moto.
Una sirena urlò dall’altro lato dell’incrocio. Un grosso Suburban nero con lampeggianti blu sul tetto si avvicinò lento all’incrocio. Era un veicolo minaccioso e le scritte sulle fiancate risposero alla mia domanda.
Furth partì lentamente per via della folla. Osservai il Suburban. Dall’alto, il rumore pulsante dell’elicottero si sovrapponeva al battito del mio cuore. Quand’ero nell’esercito era un suono confortante. Il pulsare dei rotori significava che stava arrivando qualcuno a salvarti.
Non rivelai alla polizia il vero motivo per cui mi trovavo lì. Non parlai di Amy Breslyn. Non ancora, non allora, ma se l’avessi fatto tutto avrebbe potuto essere diverso.
Meryl Lawrence mi aveva detto molto poco sul conto di Amy Breslyn, ma ora anche quel poco sembrava assumere un nuovo, minaccioso significato.
Avevo promesso a Meryl Lawrence di tenere per me i segreti di Amy e lo feci. Molti li serbo tuttora.
Superammo il Suburban nero con le sue luci lampeggianti e silenziose. La gente sul marciapiede osservava rapita la scena. Anch’io ero rapito. La scritta sul Suburban spiegava perché ci stavano evacuando.
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