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Rollins
La donna se ne stava nell’angolo più lontano della stanza poco illuminata, nascondendosi nell’ombra come un pesce nell’acqua torbida. Era piccola, rotondetta, grassoccia. La giacca di pelle con le frange probabilmente la faceva sembrare più in carne di quanto fosse, ma non doveva essere mai stata una bellezza. A Rollins ricordava una pesca troppo matura. Era chiaramente spaventata.
Dal cielo coperto scendeva una pioggia insistente. La squallida casetta a ovest di Echo Park puzzava di candeggina e ammoniaca, ma le finestre erano sigillate, le tende tirate, le porte chiuse a chiave. Una lampadina giallastra da venticinque watt era l’unica fonte di luce. L’odore chimico gli aveva fatto venire il mal di testa, ma Rollins non poteva aprire le finestre. Erano bloccate con delle viti.
Rollins non era il suo vero nome, ma probabilmente neanche l’uomo e la donna usavano i loro veri nomi. Amy e Charles. Da quando erano arrivati, Amy aveva detto sì e no tre parole. Era Charles quello che parlava, e Charles stava diventando impaziente.
«Quanto tempo ci vuole?»
«Due minuti» rispose il chimico, risentito. «Rilassati, amico. La scienza richiede il suo tempo.»
Il chimico era un tipo schizzato, un rudere in maglietta senza maniche. Se ne stava chino sul tavolino con una lampada a LED da escursionista accesa sulla fronte; era intento a scaldare il contenuto di un barattolo di vetro con una piccola torcia a butano e intanto controllava due strumenti misuratori che sembravano dei telecomandi, solo un po’ più grossi. Rollins l’aveva scoperto otto anni prima, mentre preparava anfetamine, e da allora si era servito spesso di lui.
Charles era un tipo curato sulla quarantina, con capelli castani ben pettinati e il fisico asciutto di chi gioca a tennis. Rollins aveva comprato tre volte da Charles nell’ultimo anno, ed era sempre rimasto soddisfatto. Era per questo che gli aveva permesso di portare la donna, solo che ora, vedendola, si chiedeva perché mai lei avesse voluto venire. Quando l’aveva perquisita e le aveva ordinato di mettersi i guanti c’era mancato poco che quella se la facesse addosso. Rollins obbligava tutti quelli che entravano in casa a indossare guanti di gomma. Cibo e bevande non erano permessi. Nessuno poteva masticare chewing gum o fumare. L’elenco dei divieti era piuttosto lungo. Rollins aveva le sue regole.
Sorrise, aggiustandosi i guanti.
«Fanno sudare le mani, vero, Amy? So che è una scocciatura, ma abbiamo quasi finito.»
Fu Charles a rispondere per lei.
«Lei non ha problemi. Di’ al tuo uomo di sbrigarsi, così ce ne andiamo da qui.»
«Fottiti» borbottò il chimico senza alzare lo sguardo.
Rollins rivolse un altro sorriso a Amy e lanciò un’occhiata al contenitore rotondo di plastica posato accanto al chimico. Era pieno di una sostanza che sembrava yogurt ma al tatto ricordava la creta da modellare.
«Dove l’avete preso?»
Ancora una volta Charles rispose per lei. «Te l’ho già detto, dove l’abbiamo preso.»
Rollins aveva voglia di ficcargli la pistola su per il culo e far partire un colpo, ma non lasciò trasparire la sua irritazione.
«Era così, tanto per fare conversazione. Amy sembra nervosa.»
Charles lanciò un’occhiata a Amy.
«Lei non ha problemi.»
Quando finalmente si decise a parlare, la voce di Amy era poco più che un sussurro. «L’ho fatto io.»
«Sì, certo» disse il chimico sbuffando.
Poi alzò lo sguardo verso Rollins. «Chiunque sia stato, ha fatto un gran bel lavoro. È roba buona, fratello.»
Charles incrociò le braccia. Compiaciuto.
«Visto?»
Rollins era colpito. Il materiale nel Tupperware non era facile da trovare. Charles asseriva che la donna ne aveva duecento chili.
«Marcatori?»
Il chimico spense la torcia e staccò i misuratori.
«Il test dell’etilene rileva zero tracce. Ti saprò dire quante parti per milione quando esaminerò un campione a casa, ma la roba è pulita, fratello. Niente marcatori. Non è tracciabile.»
Rollins ringraziò il chimico, che infilò la sua attrezzatura in uno zaino verde e uscì passando dalla cucina. Un leggero scroscio di pioggia invernale picchiettava il tetto.
«Allora? Lo facciamo questo affare?» disse Charles.
Rollins chiuse il coperchio del contenitore premendolo bene.
«Dovrà controllarlo l’acquirente. Se i risultati dei test sono gli stessi, siamo a posto.»
Amy parlò di nuovo e questa volta sembrava impaziente. «Ne farò dell’altro, per il compratore giusto. Posso produrne quanto ne vogliono.»
Charles la prese per il braccio cercando di allontanarla.
«Prima vediamo i soldi.»
Amy non si mosse.
«Devo incontrarli, lo sai. È una condizione.»
«Non ora.»
Charles la spinse verso l’ingresso come se fosse un carrello della spesa. Rollins si precipitò a intercettarli.
«Porta sul retro, Charles. Mai da quella sul davanti.»
Charles fece fare dietrofront alla donna e la puntò verso la cucina. Dopo aver tanto insistito per farla venire, ora non vedeva l’ora di portarla fuori da lì.
Rollins aprì la porta sul retro e chiese che gli restituissero i guanti. Rivolse un sorriso gentile a Amy. «Ai compratori non piace farsi vedere, ma per lei, Amy, faranno un’eccezione. Glielo prometto.»
Lei sembrava sul punto di scoppiare a piangere, ma Charles la trascinò via e i due scomparvero nella pioggia.
Rollins richiuse a chiave la porta della cucina e corse all’ingresso principale per guardare dallo spioncino. Quando Charles e Amy arrivarono in strada se ne tornò in cucina e aprì la porta per arieggiare la casa. Il giardinetto sul retro era avvolto nell’oscurità e nascosto agli sguardi dei vicini da alte siepi e da un tentacolare albero di avocado.
Rollins rimase sulla soglia a respirare un po’ d’aria che non puzzasse di ammoniaca e chiamò il compratore.
«Buone notizie.»
Una frase in codice per dire che i test erano andati bene.
«Bene. Manderò qualcuno.»
«Stasera.»
«Sì. Subito.»
«Hai anche la tua altra roba, qui. È una settimana che ti dico di venirla a prendere.»
«Ti ho detto che manderò qualcuno.»
«Voglio che sparisca. Tutta.»
«La porterà via.»
Rollins mise il Tupperware in camera da letto con le altre cose e tornò in cucina. Indossava ancora i guanti e non se li sarebbe tolti finché non fosse uscito da lì. Prese una confezione spray da un litro da sotto il lavandino e spruzzò candeggina sui banconi, sul pavimento e sulla porta. Spruzzò il tavolino su cui il chimico aveva lavorato e lo sgabello su cui si era seduto. Spruzzò il pavimento del soggiorno e lo stipite della porta tra la cucina e il soggiorno. Era convinto che la candeggina avrebbe distrutto gli enzimi e gli oli lasciati dalle impronte digitali o dalla saliva, e cancellato ogni traccia di DNA. Non era sicurissimo che fosse vero, ma sembrava sensato, e così ogni volta che usava la casa la ripuliva con la candeggina.
Quando l’aveva acquisita vi aveva apportato alcune modifiche perché rispondesse meglio alle sue esigenze, tipo bloccare le finestre con le viti e installare degli spioncini. Niente di elegante o costoso, niente che attirasse l’attenzione dei vicini che comunque non lo conoscevano, non l’avevano mai visto né, sperava, ne avrebbero mai avuto l’occasione. Rollins faceva la manutenzione indispensabile a impedire che la casa cadesse a pezzi. Ogni tanto lasciava che vi abitasse qualcuno, ma mai qualcuno che conosceva personalmente, e giusto il tempo necessario perché i vicini pensassero che la casa era affittata. Rollins non aveva costruito una fortezza quando l’aveva presa, solo un posto relativamente sicuro da cui condurre le sue attività criminali.
Rollins mise via la candeggina, tornò in soggiorno e spense la lampada. Rimase seduto al buio, col naso che gli bruciava, ad ascoltare la pioggia.
9.42 PM.
21.42.
17.42 ora Zulu.
Rollins odiava aspettare, ma c’erano in ballo un sacco di soldi se Charles e Amy avevano detto la verità. Rollins si chiese se Charles picchiasse la donna. Sembrava il tipo. Anche lei sembrava il tipo. Sua sorella maggiore aveva sposato un uomo che l’aveva maltrattata per anni, fin quando lui non l’aveva ucciso.
Rollins guardò di nuovo l’orologio.
9.51.
Rollins posò la pistola sul divano. Mise la mano sulla pistola, guardò l’ora e chiuse gli occhi.
9.53.
La pioggia cessò.
10.14.
Qualcuno bussò alla porta d’ingresso.
Rollins schizzò in piedi e andò a passo svelto in cucina. L’uomo del compratore non avrebbe mai usato la porta sul davanti. Era la regola. Tutti usavano quella sul retro.
Rollins chiuse a chiave la porta della cucina senza far rumore mentre da quella sul davanti continuavano a bussare.
Toc toc toc.
Rollins si tolse le scarpe e corse all’ingresso principale.
Toc toc toc.
Rollins guardò dallo spioncino e vide un uomo adulto con una cerata nera. Il cappuccio non era tirato su e da sotto la cerniera aperta si intravedeva una camicia fantasia dai motivi sgargianti. Corporatura media, bianco, capelli scuri. L’uomo premette il campanello, ma non funzionava e così bussò di nuovo.
Rollins tenne la pistola vicina e continuò a guardare.
L’uomo attese qualche secondo e alla fine si allontanò.
Rollins restò a guardare fuori per altri due minuti. Passarono delle auto e una coppia stretta sotto un ombrello, anche se aveva smesso di piovere. Sembrava tutto normale, ma una sirena urlava in lontananza. Rollins ebbe un brutto presentimento.
10.32.
Rollins richiamò il compratore.
«La persona che hai mandato sa che deve passare dal retro?»
«Sì, certo. È già stato lì.»
«Se hai mandato qualcuno, qui non si è presentato.»
«Aspetta che controllo.»
Una seconda sirena che urlava. Più vicina.
La voce dell’uomo tornò in linea.
«Dovrebbe essere già lì. Non va bene.»
«Senti, amico, sono bloccato qui. Voglio andarmene.»
«Portamelo tu il materiale. Non qui. Verrà qualcuno a MacArthur Park, angolo nordest.»
Rollins fu assalito da un attacco di rabbia, ma si sforzò di mantenere un tono calmo. Aveva fatto un sacco di soldi con quell’uomo, e tutto lasciava pensare che ne avrebbe fatti altri.
«Conosci le regole, Eli. Io non vado in giro con le tue cose in macchina. Vieni a prenderti questa merce del cazzo.»
Rollins si stava mettendo il telefono in tasca quando udì uno scricchiolio in giardino e dei colpi alla porta sul retro.
Si precipitò in cucina, controllò dallo spioncino e vide una faccia che conosceva. Carlos, Caesar, qualcosa del genere. Aveva gli occhi lucidi e il respiro affannato quando gli aprì la porta.
Rollins prese dei guanti dalla tasca.
«Mettiti i guanti, idiota.»
Carlos ignorò i guanti e si precipitò in soggiorno, lasciandosi dietro sul pavimento una scia di fango ed erba. Sbirciò fuori dalla finestra più vicina, toccando le veneziane con le dita nude. Un elicottero passò sopra di loro, così basso da far tremare la casa.
«Vaffanculo ai guanti. Lo senti questo? La polizia mi sta dando la caccia. Non è una figata? Li ho fregati!»
L’elicottero si allontanò con un rombo, ma continuò a girare in tondo sulla zona.
Rollins fu assalito dalla paura. Tutte le preoccupazioni a proposito di fango, erba e impronte digitali sulle veneziane svanirono. Scostò appena la tenda e vide la luce scintillante di un faro spazzare la strada accanto.
«Hai portato qui la polizia.»
«Li ho seminati, fratello. Potrei essere ovunque.»
A Rollins pareva di avere la testa piena di vermi furiosi. L’elicottero continuava a girare in tondo sopra di loro, illuminando le veneziane. Il pulsare del rotore si spostò e compì un altro giro lento.
«Come cazzo è successo?»
«Conoscono la mia faccia. Ho dei mandati a mio carico, sai? Rilassati.»
Carlos si lasciò cadere sul divano, ridendo come uno scemo, su di giri per l’adrenalina e la droga. Le scarpe infangate poggiavano sui cuscini.
«Non sanno dove sono. Ci passeranno sopra e continueranno a cercare.»
Rollins cercò di raccogliere le idee. La casa era persa. La merce in camera da letto andata. Il fango e l’erba non avevano più importanza. Lui non poteva permettersi che lo trovassero lì con quella roba in camera e quell’idiota sul divano. Prendere atto della realtà l’aiutò a calmarsi.
La pistola non gli serviva più, ora. Andò al mobiletto in cui teneva la candeggina e tirò fuori una chiave inglese arrugginita lunga trentacinque centimetri. Pesava quasi due chili.
Carlos era ancora allungato sul divano quando Rollins tornò in soggiorno. Andò dritto verso di lui senza dire una parola e lo colpì con violenza. Sentì la testa cedere al primo colpo, ma ne sferrò altri due. Poi lasciò cadere la chiave inglese e indossò dei guanti puliti. Mise la pistola nelle mani di Carlos, tutte e due, in modo che sembrasse che Carlos l’avesse impugnata, e la lasciò cadere accanto alla chiave inglese. Se l’avessero preso, non voleva che gli trovassero addosso una pistola.
L’elicottero fece un altro passaggio. Le veneziane diventarono rettangoli bianchi accecanti e poi tornarono a riempirsi di buio.
Rollins corse alla porta sul davanti e guardò attraverso lo spioncino. Un poliziotto passò sul marciapiede mentre un altro parlava con delle persone sull’altro lato della strada. Rollins chiuse gli occhi. Fece dei respiri lenti e misurati, contando fino a cento. Accostò di nuovo l’occhio allo spioncino. I poliziotti se n’erano andati.
Rollins tornò in cucina. Indossava una giacca sportiva scura e pantaloni sportivi. Dovevano essere sporchi di sangue, ma era difficile da vedere di notte sul tessuto scuro. Aveva un impermeabile di nylon, però decise di non metterlo. Meglio la giacca sportiva. La polizia cercava un giovane ispanico con una T-shirt nera, non un bianco di mezza età ben vestito. La sua auto era parcheggiata qualche isolato più avanti. Se fosse riuscito ad allontanarsi dalla casa e a uscire dal perimetro della polizia, poteva ancora cavarsela.
La luce tornò e scivolò via.
Rollins si mosse approfittando di quell’istante di oscurità. Aprì la porta della cucina, si tolse i guanti e uscì. Nel giardinetto si trovò davanti un poliziotto e un pastore tedesco. Il cane era un mostro dal petto possente con occhi fiammeggianti e zanne affilate come pugnali. Il poliziotto urlò mentre il cane partiva alla carica.