29

Christopher era abituato a gestire il dolore fin dalla più tenera età. Se la gente cosiddetta normale cercava conforto e calore, lui aveva trascorso gran parte della giovinezza a cercare di rendere le cose un po’ meno intollerabili. Il benessere rendeva deboli, la fame forti. Niente, per quanto orribile, era insopportabile. Un giorno non era altro che un giorno: il sole sarebbe sorto al mattino e calato al tramonto, e la Terra avrebbe continuato a girare.

La gente sarebbe morta. A volta per mano sua, a volte per i più disparati motivi. I ricchi avrebbero accumulato denaro, i poveri calpestato altri poveri per un pezzo di pane. Donne e bambini si sarebbero venduti per strada.

Queste erano le certezze di Christopher Argent.

Quel pomeriggio era andato di nuovo a teatro a vedere Millie e, nascosto nell’ombra, l’aveva divorata con gli occhi durante la prova generale della pièce che sarebbe andata in scena la sera. Un dramma su una cortigiana e un avvocato sposato. Gli parve che lei e il regista-commediografo fossero molto affettuosi l’uno verso l’altra.

Thomas Bancroft. Con maligno piacere, Christopher immaginò cinque modi in cui gli sarebbe piaciuto ucciderlo. Quell’uomo l’aveva toccata cinque volte per metterla nella giusta posizione in scena. Le aveva tenuto la mano sulla schiena mentre insieme davano una scorsa al copione, e poi tolto dal corpino una piuma caduta dal copricapo. In quell’occasione le aveva sfiorato la spalla nuda, e di sicuro intenzionalmente visto come si mordeva un labbro.

Era quello il tipo d’uomo da cui Millie era attratta? Riccioli bruni, occhi castani pieni di sentimento, snello ed elegante, viso aristocratico.

Non la vedeva da quindici giorni. Be’, una settimana o quasi. Insomma, cinque giorni. Cinque atroci giorni senza ammirare quel misterioso luccichio nei suoi occhi scuri, senza sentire la cadenza ritmica della sua magnetica voce da contralto.

Non lavorava da qualche settimana, dall’ultima notte passata con lei. Andava a teatro, comprava un biglietto e, seduto nell’ombra, se la beveva con gli occhi mormorando le battute che aveva ormai memorizzato.

A volte avrebbe voluto non averla mai conosciuta, non ricordare quella pelle lattea arrossata dalle sue dita. Avrebbe voluto che lei non fosse mai penetrata nella sua anima, confermandone l’esistenza.

Si era addirittura offerta di custodirla. Perché mai?

Ora, mentre camminava nella grigia serata londinese, Christopher stava attento a non sbattere le palpebre. Ogni volta che chiudeva gli occhi, infatti, se la vedeva davanti nuda, con la pelle bianca come un giglio macchiata del sangue che lui non riusciva a togliersi dalle mani. Più la toccava, più lei si copriva di sangue e sporcizia.

Per la prima volta in vita sua, aveva fatto la cosa giusta: l’aveva allontanata da sé.

Nessuno doveva portare il peso del suo passato, condividere il vuoto della sua esistenza. Tantomeno Millie e Jakub. Loro erano vivi.

Così l’aveva lasciata andare.

Quel pensiero gli tolse il respiro. Appoggiò la spalla a un cancello per dilatare il torace.

In un primo tempo Millie l’aveva odiato. Lui si era appollaiato come una gargolla sul davanzale esterno della sua finestra di Drury Lane, aveva sentito il piccolo Jakub chiedere di vederlo e avvertito un gran dolore quando lei aveva tirato fuori scuse ridicole per non accontentarlo.

Poi era rimasta sola, e le sue lacrime lo avevano quasi distrutto. Millie piangeva. Per lui. Christopher non aveva mai avuto tendenze suicide, ma nell’udire i suoi singhiozzi sommessi era stato sul punto di buttarsi nel vuoto. L’aveva trattenuto l’idea che lei o Jakub avrebbero potuto trovare sul selciato il suo corpo spappolato.

Se non la vedeva per qualche giorno, entrava in ansia. Un istinto nato dall’esperienza gli diceva che erano ancora in pericolo, tuttavia sapeva che quella era solo una patetica scusa per giustificare il proprio comportamento ossessivo.

Accidenti, quanto desiderava essere con lei in quel momento, tornare a teatro e crogiolarsi nella squisita tortura della sua presenza. Però se avesse visto Thomas Bancroft toccarla ancora con quelle dita disgustose, lui…

— Argent?

Dorian Blackwell stava scendendo le scale di casa con portamento regale. Con la testa leggermente voltata per vedere l’amico con l’occhio buono, raggiunse il cancello e lo aprì. — È successo qualcosa?

— No. — Non avendo scelta, Christopher lo seguì all’interno salutando con un cenno del capo i quattro “valletti” lungo il viale d’accesso.

— Di grazia, cosa ci facevi davanti al mio cancello? Eri lì da un pezzo.

Christopher lo tallonò fino allo studio, incapace di tirare fuori una risposta. I piedi, più che le intenzioni, lo avevano portato dai Blackwell, eppure adesso si sentiva vagamente confortato dalla presenza del vecchio associato. A parte la morte dell’adorata madre, aveva condiviso con lui le prove più dure della propria esistenza. Forse era stata l’abitudine a portarlo dall’Anima Nera di Ben More in quel momento di crisi.

— Hai qualcosa da bere?

— Credevo non bevessi alcolici. — Senza attendere risposta, Blackwell si avvicinò alla bottiglia e riempì due bicchieri di cristallo.

— Non bevevo prima — precisò Christopher accettando il bicchiere. In soli tre sorsi ingollò il liquore fortissimo, che dalla gola propagò un piacevole calore fino agli arti.

Blackwell gli servì un altro bicchiere, dopodiché entrambi sedettero in poltrona davanti al camino. Rimasero un momento in silenzio a sorseggiare e rimuginare. Argent avrebbe voluto dire qualcosa, sfogarsi, riversare nel fuoco sofferenza, odio, amore… e non pensarci più. Avrebbe voluto essere di nuovo freddo e insensibile per non provare il disperato desiderio di una vita che non avrebbe mai potuto avere. Non essere più tormentato dalle parole che accendevano in lui piccoli fuochi.

“Il vero amore e la verità sono alla fine più forti di qualsiasi male e sventura del mondo.”

Millie credeva in quelle parole e gli aveva offerto redenzione, almeno ai propri occhi.

Perché lui non riusciva ad accettarla?

“Perché sono un codardo” pensò.

— Sei un idiota — affermò pacatamente Dorian.

— Non è saggio provocarmi.

— Tu per me sei un fratello, quindi ti provoco quanto voglio.

— Gente come noi non ha fratelli.

— Io sì, e più di uno, o almeno così mi dicono. Comunque, penso che il mio rapporto con te sia più profondo che con chiunque altro. Abbiamo combattuto e vinto insieme una guerra. Siamo leali l’uno verso l’altro. Ci azzuffiamo e sbraitiamo, e alla fine confidiamo, o meglio speriamo, che tutto sia perdonato.

Tornarono a fissare le fiamme. Blackwell aveva appena dato voce alla motivazione che aveva spinto Argent al suo cancello. — Quindi fratelli. Però, se provi ad abbracciarmi me ne vado.

Dorian ridacchiò. — Allora permettimi di darti qualche consiglio fraterno.

— Per l’amor di…

— L’amore è esattamente quello cui mi riferisco quando ti dico che sei un idiota. Uomini come te e me non amano nel modo in cui amano gli altri uomini, con pazienza, poesia e garbata deferenza. Noi amiamo in modo possessivo, persino tormentoso, appassionato, struggente e… a volte terrorizzante.

Christopher avrebbe voluto fuggire, ma si sentiva incollato alla sedia. — Perché mi dici questo?

— I muri dietro i quali abbiamo patito tanto, ce li portiamo dentro, e non credo che crolleranno mai. Quindi la persona amata deve scalare quei muri alti e solidi, e una volta che l’ha fatto… rimane intrappolata dentro insieme a noi.

— È esattamente il motivo…

Dorian sollevò una mano. — Il minimo che possiamo fare è togliere di tanto in tanto qualche mattone, lasciar entrare la luce del sole. Capisci dove voglio arrivare?

— Capisco solo che stai massacrando una vecchia metafora.

L’altro continuò imperterrito. — Ci vogliono donne speciali, tenaci, per accettare una vita come la nostra.

— Farah l’ha fatto.

— Ho dovuto comunque scendere a compromessi. Fare concessioni.

— Per esempio? Sei pur sempre l’Anima Nera di Ben More.

Dorian si schiarì la voce. — Mi credi se ti dico… che metà dei miei affari sono leciti?

— No.

— Forse è meglio così: non ho tanta voglia che si sappia in giro.

Argent rimase a bocca aperta. Dorian era innamorato della moglie, e l’aveva cercata anche quando era stata data per morta, ma… rispettare la legge? Per la miseria, lui era il re della malavita. Adesso aveva una figlia. E una moglie. E anche un titolo nobiliare, non diverso da quello del consorte della regina.

Sembrava… felice, appagato.

Inconcepibile… Eppure…

— Io non saprei quali concessioni fare. Non posso cancellare dalle mie mani il sangue versato. E come ho detto a lei, sono un cacciatore. Un assassino di professione. Temo sia un mio bisogno, e se anche provassi a smettere, probabilmente non ci riuscirei.

— Io credo che questo buio, questo bisogno di essere un predatore, o peggio, di giocare a essere Dio, sia dentro entrambi noi.

Christopher annuì, maledicendo la capacità di Blackwell di arrivare al nocciolo del problema.

— Potresti accettare la proposta di Morley — continuò Dorian.

— Lavorare per il nemico? Impensabile.

Blackwell sorrise mestamente, ruotando il bicchiere nella mano. — Per me non è più un nemico.

— Da quando?

— A volte abbiamo interessi in comune… Per esempio, riformare le prigioni, eliminare dalle strade certa gente, liberare i bassifondi dalla feccia. Tu saresti bravo in questo. Forse potresti diventare la sua risorsa migliore, viste le tue capacità. Forse tu e Millie LeCour…

— Millie e io… — A Christopher si strinse il cuore.

— Potresti non dover cambiare chi sei, ma le ragioni per cui fai quello che fai. Comunque, se non accetti la proposta di Morley, ho bisogno io di te. E visto che il mio mondo… cambia… potrebbe cambiare anche il tuo.

— Accettare la sua offerta, o la tua, Blackwell, non cancella quello che è già stato fatto.

— No, certo. Però lei è innamorata di te, di un sicario, giusto?

— Come lo sai? — chiese amaramente Christopher.

— Queste pareti non sono abbastanza spesse.

Christopher si incupì, e dal collo sentì salire un calore che non aveva niente a che fare con il raffinato liquore bevuto.

— E poi, lei stessa ci ha parlato dei suoi sentimenti per te. — Dorian andò alla finestra a guardare l’ultima luce del giorno. — Io di donne ne so poco, però ho notato che le intenzioni, per loro, contano quasi più di qualsiasi altra cosa. Se lei sa che stai cercando… Se è sicura di quello che senti…

— Io non lo so quello che sento. So a mala pena come si fa a sentire.

— Sì, ma stai imparando. Stiamo imparando entrambi, suppongo. Prima di Miss LeCour, prima di Farah, noi due non avremmo mai neppure tentato una conversazione del genere.

Christopher si protese a studiare la danza delle fiamme, come se il fuoco custodisse tutte le risposte dell’universo. Un cacciatore riconosciuto dalla legge? Un agente della Corona… Possibile? Millie avrebbe mai acconsentito a rivederlo? Figurarsi se…

Un momento: lui stava davvero prendendo in considerazione quella follia?

— E se non posso…

E se? — sbraitò Dorian mentre sbatteva il palmo contro la parete, facendo scattare in piedi Christopher. — Affanculo gli “e se”. E se fossero un dono del cielo per tutte le ingiustizie che abbiamo subito? — Nel suo occhio guizzò un fuoco scuro. — Io rischiai di perdere Farah, e tu fosti testimone dell’infelicità che questo mi provocò. Perché ripetere lo stesso errore? E se tu la perdessi per sempre perché sei troppo occupato nel fare l’idiota per acchiappare la tua seconda occasione?

Christopher rimase a bocca aperta, e alcuni colpetti alla porta gli evitarono di scovare una risposta.

— Signor Argent, c’è una persona in salotto. Credo che le dobbiate parlare entrambi. — Era la dolce voce di Farah.

Con un sussulto al cuore Christopher aprì bruscamente la porta, facendo trasalire lady Northwalk. — Millie?

Lei scosse la testa. — Temo di no. È lady Benchley, Philomena St Vincent.

— Cosa diavolo ci fa qui? — le chiese il marito alle spalle di Argent.

— Dice che ha informazioni sulle donne morte e i loro bambini.

— Ma il caso è chiuso! — osservò Dorian.

— Lo credevo anch’io. — Farah si strinse nelle spalle. — Signor Argent, voi ne sapete qualcosa?

Christopher la oltrepassò con passo veloce.

Lady Benchley, seduta davanti a un fumante tè, stava torcendo nelle mani un fazzoletto umido. La ragione del suo ridicolo cappello arancione con veletta fu subito chiara quando lei alzò la testa. A provocarle il gonfiore degli occhi non erano solo le lacrime. Qualcuno le aveva rotto il naso di recente: la maschera di lividi aveva assunto una brutta tonalità giallastra, e l’infiammazione non era completamente scomparsa.

— Signor Argent. — Si alzò e trasalì nel veder entrare Christopher seguito da Dorian e Farah. — Mi solleva trovarvi qui, davvero. — Si curvò in un’impeccabile riverenza con non poca difficoltà, portandosi una mano alle costole.

— Voi due vi conoscete? — Farah l’aiutò a sedere sul divano.

Lady Benchley si calò con cautela, trattenendo il fiato fin quando non si fu sistemata.

— Ci hanno presentati a teatro, all’Otello. Voi eravate… in compagnia di Miss Millicent LeCour. Siete stati entrambi tanto gentili.

Farah le prese la mano tra le proprie. — Vi hanno picchiato, lady Benchley, e siete chiaramente angosciata. C’è qualcosa che possiamo fare per voi?

— Chiamatemi Mena, vi prego. E non sono qui per chiedere aiuto.

Farah corrugò la fronte. — Sì, ma…

— Vi prego — la implorò lady Benchley. — Io… io non ho molto tempo. Probabilmente la mia assenza è già stata notata, perché prima sono passata da Scotland Yard. — Le tremò il mento, ma si ricompose subito.

— Come mai? — chiese Dorian.

— E cosa c’entra Millicent LeCour? — fece Argent, perentorio.

— Come probabilmente avrete appreso dai giornali, mio cognato, lord Thurston, è stato orrendamente assassinato.

Tutti rimasero in silenzio senza guardarsi.

— Io sono spesso in compagnia di lady Katherine, sua moglie, perché è la sorella di mio marito. Non è una persona amabile, certo, però abbiamo in comune un fatto doloroso. Siamo entrambe sposate da qualche anno e non siamo state in grado di dare un erede ai nostri mariti. Capite… io non sono mai riuscita a concepire. E Katherine, lei ha perso i suoi bambini quand’erano ancora nel suo grembo o nati da pochi minuti. — Mena sollevò lo sguardo su Farah sbattendo le ciglia. — Credo che questo l’abbia fatta impazzire.

— Perché lo dite? — la sollecitò Christopher.

— Dopo la morte di lord Thurston, Katherine è partita per una delle sue residenze di campagna in Essex. Non ricevendo sue notizie per un mese, mi sono preoccupata perché non credevo che la morte del marito l’avesse tanto scossa. Non era un segreto che il loro non fosse un matrimonio felice. Così l’ho raggiunta in Essex per vedere come stava, e là, a Fenwick Hall, ho scoperto il suo segreto.

Strinse entrambe le mani di Farah. — Al mio arrivo non era più vestita a lutto, e in casa aveva cinque orfanelli. All’inizio la cosa mi ha sorpreso, però ho pensato che con la morte del marito si fosse addolcita e stesse cercando di fare del bene. Poco alla volta mi sono resa conto che i bambini erano traumatizzati, e tenuti lì contro il loro volere.

— Accidenti, Blackwell, sai cosa significa questo? — Christopher si era voltato verso Dorian, che stava scuotendo la testa sbalordito.

— I bambini che cercava Morley li aveva rapiti Thurston, e sua moglie lo sapeva.

Mena annuì. — Temo sia molto peggio di quanto pensiate.

— Cosa intendete?

— Lei era irriconoscibile. Se non lo avessi visto con i miei occhi, se lei non avesse confessato, non ci avrei creduto. Si comportava come se non avesse fatto niente di male. — Le lacrime cominciarono a rigarle le guance. — Metteva quei poveri bambini uno contro l’altro. Continuava a ripetere che avrebbe scelto uno di loro come erede del titolo e dei beni dei Thurston, e si sarebbe sbarazzata degli altri.

Nella stanza calò un muto orrore.

— Fino a cinque anni fa, Thurston era un famigerato libertino. Quei bambini, tutti maschi, erano figli suoi… figli illegittimi avuti da donne diverse. — Mena diede un’occhiata intorno a sé. — Capite, lord e lady Northwalk, signor Argent? Lei ha ucciso le loro madri. Non con le proprie mani: ha pagato altri per farlo e nella sua depravazione ha rinchiuso quei poveri piccoli.

Christopher ricordò il giorno in cui aveva estratto la chiave dalla tasca di quella donna. Al suo arrivo le viscere di Fenwick erano già sul pavimento. Katherine sapeva quello che Dorshaw stava facendo al marito mentre lei percorreva spensierata gli assolati viali di St James’s?

— Lady Thurston ha ordinato anche l’assassinio del marito?

Mena abbassò lo sguardo sul grembo. — A volte un marito malvagio e infedele può essere impossibile da sopportare, signor Argent — disse con calma, facendo capire ciò che lui aveva già sospettato: le sue ferite erano state provocate dal marito, Gordon St Vincent. — Se lord Thurston fosse stato la sua unica vittima, non sarei venuta qui… — La sua voce si incrinò. — Ma quei bambini erano così spaventati che ho finto di approvare quello che lei stava facendo e sono tornata subito a Londra, una settimana fa. Avrei dovuto andarci prima alla polizia, ma sono stata… trattenuta da mio marito.

— Quindi l’ispettore capo Morley è al corrente di tutto, lady Benchley? — chiese con prudenza Dorian.

Lei annuì. — I St Vincent… scopriranno che sono stata io a parlare. Ci saranno… conseguenze. Tuttavia non avrei potuto vivere con me stessa se fosse successo qualcosa a quei piccoli, sapendo che potevo intervenire per impedirlo.

— Siete stata molto coraggiosa, Mena. — Farah le accarezzò la schiena per confortarla. — Avete fatto benissimo, e noi vi aiuteremo in tutti i modi possibili.

— Perdonatemi, lady Benchley. — Blackwell si sporse verso di lei. — Se di questo si sta occupando Scotland Yard, non è chiaro perché ne parliate a noi.

— Mi ha mandato qui l’ispettore, per riferirvi tutto quello che ho confessato a lui. Ha inviato degli uomini in Essex per i bambini scomparsi. Katherine mi ha detto che sono ancora vivi. — Mena guardò Argent e Blackwell sbattendo le ciglia. — Me l’ha detto di persona, perché è tornata a Londra stamane.

Christopher scattò in piedi, in preda all’ansia.

— Ha detto che deve ancora catturare un bambino che le è sfuggito. Quello che Thurston aveva scelto come erede. — Mena continuò con un respiro tremulo. — Temo significhi che debba uccidere ancora un’amante di Fenwick.

“Millie.” Perché quella donna aveva perso tempo a raccontare tutta quella terribile storia, quando la parte più importante era che Millie poteva essere in pericolo?

— Non ero sicura che fossero Miss LeCour e suo figlio. Anche se, quando sir Morley mi ha detto di venire qui, ho cominciato a sospettare…

— Dov’è adesso lady Thurston? — Il tono di Argent era stato perentorio.

Mena sobbalzò. — E-era a casa nostra con mio marito quando io sono sgattaiolata via. Ho preso una carrozza per andare a Scotland Yard e poi per venire qui, ma è stato più di un’ora fa.

— Devo andare a teatro — disse Christopher con l’intenzione di poter schizzare via, ma i piedi gli sembravano di piombo: non sarebbe riuscito ad arrivare abbastanza in fretta. Urlò per avere un cavallo e non appena ebbe le redini in mano, saltò in sella e partì al galoppo.

Non sapeva quale assassino aveva ingaggiato lady Thurston ora che Dorshaw era morto, ma chiunque fosse, lui gli avrebbe cavato fino all’ultima goccia di sangue. Poi si sarebbe occupato di quella cagna.

— Resisti, Millie — sussurrò nel vento pungente della notte. — Sto arrivando.