IL COMMIATO

 

Il sabato pomeriggio John Sommers invitò la sorella Rose a visitare la nave dei Rodriguez de Santa Cruz. Se le trattative di quei giorni fossero andate a buon fine, sarebbe toccato di capitanarla proprio a lui, che così avrebbe finalmente realizzato il sogno di navigare a vapore. Più tardi Paulina li ricevette nel salone dell'Hotel Inglés in cui era alloggiata. Dal Nord era tornata a Valparaìso per mettere in moto il suo piano mentre il marito si trovava in California da vari mesi. Approfittavano del continuo traffico di imbarcazioni che facevano la spola per comunicare attraverso una fitta corrispondenza nella quale le dichiarazioni di affetto coniugale si intrecciavano a progetti commerciali. Paulina scelse di assumere nella sua impresa John Sommers solo per intuito. Si ricordava vagamente che era fratello di Jeremy e Rose Sommers, gringo che suo padre aveva invitato in un paio di occasioni nella tenuta, ma l'aveva visto solamente una volta e con lui non aveva scambiato che qualche frase di circostanza. La sua unica referenza era la comune amicizia con Jacob Todd, ma nelle ultime settimane aveva svolto qualche indagine ed era molto contenta di quello che le era stato riferito. Il capitano godeva di una solida reputazione tra la gente di mare e nelle compagnie commerciali. Ci si poteva fidare della sua esperienza e della sua parola più di quanto non avvenisse normalmente in quei giorni di delirio collettivo in cui chiunque poteva affittare un'imbarcazione, formare una compagnia di avventurieri e salpare. In genere si trattava di faciloni, le navi erano mezzo sgangherate, ma tutto ciò non aveva molta importanza visto che una volta arrivati in California le società si estinguevano, le imbarcazioni venivano abbandonate e tutti si precipitavano verso i giacimenti auriferi. Paulina, invece, aveva un programma di ampio respiro. Tanto per cominciare, non era obbligata a tenere in considerazione le esigenze di qualcun altro che non fosse suo marito o suo cognato, gli unici soci, ed essendo suo la maggior parte del capitale poteva decidere in piena autonomia. Il suo vapore, da lei battezzato Fortuna, per quanto piuttosto piccolo e con diversi anni di navigazione alle spalle, si trovava in condizioni invidiabili. Era disposta a pagare bene l'equipaggio purché non disertasse per correre dietro l'oro, ma sapeva che senza la mano ferrea di un buon capitano non c'era salario in grado di mantenere la disciplina a bordo. L'idea del marito e del cognato consisteva nell'esportare attrezzi per minatori, legname per le case, abbigliamento da lavoro, utensili domestici, carne essiccata, cereali, fagioli e altri prodotti non deperibili, ma appena Paulina ebbe messo piede a Valparaiso si rese conto che in molti si stavano dedicando allo stesso progetto e che la concorrenza sarebbe stata feroce. Diede un'occhiata in giro e notò l'eccezionale quantità di frutta e verdura, regalo di quell'estate generosa. Ce n'era talmente tanta che non si riusciva a venderla. Gli ortaggi crescevano nei pati e gli alberi si spezzavano sotto il peso dei frutti; pochi erano disposti a pagare quel che si poteva avere gratis. Pensò al podere di suo padre, in cui frutta e verdura marcivano a terra perché nessuno aveva interesse a raccoglierle. Se avesse potuto portarle in California, sarebbero state più preziose dell'oro stesso, concluse. Prodotti freschi, vino cileno, medicine, uova, abbigliamento elegante, strumenti musicali e, perché no?, spettacoli teatrali e operette. San Francisco riceveva centinaia di immigrati al giorno. Per il momento si trattava di avventurieri e banditi, ma senz'altro sarebbero arrivati anche i coloni dell'altro lato degli Stati Uniti, onesti agricoltori, avvocati, medici, insegnanti e ogni sorta di persona perbene pronta a stabilirsi con la sua famiglia. Dove ci sono donne c'è civiltà, e non appena questa avrà preso piede a San Francisco, li ci sarà anche il mio vapore con tutto il necessario, decise.

Paulina ricevette John Sommers e sua sorella Rose all'ora del tè, quando il caldo del mezzogiorno si era mitigato e una fresca brezza marina aveva iniziato a spirare. Il suo abbigliamento era eccessivamente lussuoso per la sobria società del porto, rivestita com'era dalla testa ai piedi di una mussola con pizzi color burro, con una corona di riccioli sulle orecchie e più gioielli di quanti fossero accettabili a quell'ora del giorno. Il figlio di due anni scalciava in braccio a una bambinaia in divisa e un cagnolino lanoso ai suoi piedi divorava i pezzi di torta che lei gli avvicinava al muso. La prima mezz'ora se ne andò in presentazioni, nel bere il tè e nel ricordare Jacob Todd.

"Che ne è stato di quel buon amico?" volle sapere Paulina, che non avrebbe mai dimenticato l'intervento dello stravagante inglese nel suo amore con Feliciano.

"È da parecchio che non so nulla di lui," la informò il capitano. "Partì con me per l'Inghilterra un paio di anni fa. Era molto depresso, ma l'aria di mare gli fece bene e quando sbarcò aveva recuperato il buonumore. L'ultima cosa che sono venuto a sapere è che aveva intenzione di formare una colonia utopistica."

"Una cosa?" esclamarono all'unisono Paulina e Miss Rose.

"Una comunità che vive fuori dalla società, con le proprie leggi e il proprio governo, ispirata a principi di uguaglianza, libero amore e lavoro collettivo, mi sembra. O perlomeno questa fu la spiegazione che mi diede migliaia di volte durante il viaggio."

"È più suonato di quanto pensassimo," concluse Miss Rose con una punta di compassione per il fedele pretendente.

"Le persone con idee originali finiscono sempre per guadagnarsi la fama di matti," osservò Paulina. "Senza andar troppo lontani, ho un'idea che mi piacerebbe discutere con lei, capitano Sommers. Lei conosce il Fortuna. Quanto ci può impiegare a tutto vapore da Valparaìso al Golfo de Penas?"

"Al Golfo de Penas? Ma è più a sud del Sud!"

 

"Certo, più giù di Puerto Aisén."

"E cosa dovrei andarci a fare? Non ci sono altro che isole, boschi e piogge."

"Conosce quella zona?"

"Sì, ma pensavo che si parlasse di andare a San Francisco..."

"Assaggi questi dolcetti di pasta sfoglia, sono una delizia," propose lei accarezzando il cane.

 

 

Mentre John e Rose Sommers conversavano con Paulina nel salone dell'Hotel Inglés, Eliza era in giro nel quartiere di El Almendral con Mama Fresia. A quell'ora iniziavano a riunirsi gli alunni e gli invitati per le riunioni di ballo dell'accademia e in via del tutto eccezionale Miss Rose le aveva permesso di andare per un paio d'ore con la tata nel molo di chaperon. Solitamente non le consentiva di affacciarsi all'accademia senza di lei, ma il professore di ballo non offriva bibite alcoliche prima del tramonto e questa misura teneva lontani i giovani irrequieti nelle prime ore del pomeriggio. Eliza, decisa ad approfittare di quest'opportunità unica in cui usciva senza Miss Rose, convinse l'india ad appoggiare il suo progetto.

"Dammi la tua benedizione, mamita. Devo andare in California a cercare Joaquin," le disse.

"Ma come pensi di andarci, sola, e incinta?" domandò la donna con orrore.

"Anche se non mi aiuti, ci andrò lo stesso."

"Dirò tutto a Miss Rose."

"Se lo fai, mi ammazzo. E poi verrò a toglierti la pace per il resto delle tue notti. Te lo giuro," replicò la ragazza con feroce determinazione.

Il giorno prima, al porto, aveva visto un gruppo di donne che negoziavano per imbarcarsi. Dal loro aspetto così diverso da quello delle altre che incrociava normalmente per la strada, coperte estate e inverno da mantelli neri, immaginò che fossero le donnacce con le quali se la spassava lo zio John. "Sono puttane, vanno a letto per soldi e se ne andranno dritte dritte all'inferno," le aveva spiegato una volta Mama Fresia. Aveva colto qualche frase del capitano in cui raccontava a Jeremy Sommers di cilene e peruviane che partivano per la California con l'intento di impadronirsi dell'oro dei minatori, ma non riusciva a immaginare come si organizzassero per farlo. Se queste donne intraprendevano il viaggio da sole e sopravvivevano senza aiuto, lo poteva fare anche lei, decise. Camminava in fretta, col cuore in subbuglio e il viso mezzo nascosto dal ventaglio, sudando nel caldo di dicembre. Portava con sé i gioielli della dote in un sacchettino di velluto. Gli stivaletti nuovi si rivelarono uno strumento di tortura e il busto le opprimeva la vita; il fetore dei fossi a cielo aperto in cui scorrevano le acque di scarico della città aumentava la sua nausea, ma Eliza procedeva dritta come un fuso, come aveva imparato negli anni in cui si dedicava a mantenere in equilibrio un libro sulla testa e a suonare il piano con una bacchetta di metallo legata alla schiena. Mama Fresia, gemendo e borbottando litanie nella sua lingua, con le sue varici e la sua ciccia, riusciva a malapena a starle dietro. Ma dove stiamo andando, bambina mia, per carità, ma Eliza non poteva risponderle perché non lo sapeva. Di una cosa però era certa: di impegnare i gioielli e di comprare un biglietto per la California non se ne parlava, perché non c'era modo di farlo senza che lo zio John lo venisse a sapere. Nonostante le dozzine di imbarcazioni che attraccavano giornalmente, Valparaiso era una città piccola e al porto tutti conoscevano il capitano John Sommers. Non poteva neanche contare su un documento d'identità, e men che meno su un passaporto, impossibile da ottenere perché in quei giorni la Delegazione degli Stati Uniti in Cile era chiusa per via dell'amore contrastato tra un diplomatico nordamericano e una dama cilena. Eliza concluse che l'unico modo per raggiungere Joaquin Andieta in California era imbarcarsi clandestinamente. Zio John le aveva raccontato che a volte, con la complicità di qualche membro dell'equipaggio, sulle navi si imbarcavano passeggeri clandestini. Alcuni riuscivano a rimanere nascosti durante la traversata, mentre altri morivano e i loro corpi finivano in mare senza che lui se ne accorgesse; ma se li scopriva castigava nello stesso modo il clandestino e chi l'aveva aiutato. Quello era uno dei casi, le aveva detto, in cui esercitava nel modo più rigoroso la propria indiscutibile autorità di capitano: in alto mare, non c'era altra legge e altra giustizia che la sua.

La maggior parte delle transazioni illecite del porto, stando a suo zio, veniva condotta nelle taverne. Eliza non aveva mai messo piede in tali luoghi, ma vide una figura femminile dirigersi in un locale vicino e la riconobbe come una delle donne che il giorno prima si trovavano sul molo per tentare di imbarcarsi. Era una ragazza tarchiata con due trecce nere sulla schiena, vestita con una gonna di cotone, una blusa ricamata e uno scialle sulle spalle. Eliza la seguì senza pensarci due volte, mentre Mama Fresia rimaneva per strada a recitare avvertimenti: "Lì entrano solo le puttane, bambina mia, è peccato mortale". Spinse la porta ed ebbe bisogno di qualche secondo per abituarsi all'oscurità e all'odore di tabacco e di birra rancida che impregnava l'aria. Il luogo era gremito di uomini e tutti gli occhi si girarono a guardare le due donne. Per un istante regnò un silenzio d'attesa e poi partì un coro di fischi e commenti osceni. La donna avanzò con passo agguerrito verso un tavolino in fondo, lanciando manate a destra e a manca quando qualcuno tentava di toccarla, ma Eliza retrocedette alla cieca, inorridita, senza riuscire a capire cosa stesse succedendo né perché quegli uomini stessero gridando. Raggiunse la porta e si scontrò con un avventore che stava entrando. L'uomo lanciò un'esclamazione in un'altra lingua e riuscì a reggerla mentre lei stava per scivolare a terra. Quando la guardò rimase sconcertato: Eliza, con il suo vestito verginale e il suo ventaglio, risultava completamente fuori luogo. Lei lo guardò a sua volta e riconobbe immediatamente il cuoco cinese che suo zio aveva salutato il giorno prima.

"Tao Chi'en?" chiese, grata alla sua buona memoria.

L'uomo la salutò unendo le mani davanti al viso e chinandosi ripetutamente, mentre nel bar continuavano i fischi. Due marinai si alzarono e si avvicinarono barcollando. Tao Chi'en indicò a Eliza la porta ed entrambi uscirono.

"Miss Sommers?" indagò una volta fuori.

Eliza assentì, ma non ebbe modo di aggiungere altro perché furono interrotti dai due marinai del bar che apparvero sulla porta, in evidente stato d'ebbrezza e desiderosi d'attaccar briga.

"Come osi disturbare questa graziosa signorina, cinese di merda?" minacciarono.

Tao Chi'en chinò la testa, fece mezzo giro e accennò ad andarsene, ma uno degli uomini lo bloccò, afferrandolo per la treccia e tirandogliela, mentre l'altro biascicava smancerie soffiando il suo alito marcio di vino sul viso di Eliza. Il cinese si girò con la velocità di un felino e affrontò l'aggressore. Aveva in mano il suo singolare coltello e la lama brillava come uno specchio sotto il sole estivo. Mama Fresia cacciò un urlo e senza indugiare diede uno spintone da cavallo al marinaio più vicino, afferrò Eliza per un braccio e cominciò a correre per la strada con un'agilità insospettabile in una donna della sua stazza. Corsero per vari isolati senza fermarsi, allontanandosi dalla zona pericolosa, finché non giunsero nella piazzetta di San Agustin, e lì Mama Fresia crollò tremando sulla prima panchina a portata di mano.

"Ah, bambina mia! Se i padroni lo vengono a sapere, mi ammazzano. Andiamo a casa immediatamente..."

"Non ho ancora fatto quel che dovevo, mamita. Devo tornare in quella taverna."

Mama Fresia incrociò le braccia, rifiutandosi con grande risolutezza di muoversi di lì, mentre Eliza si incamminava a lunghi passi cercando di organizzare un piano in mezzo a tanta confusione. Non aveva molto tempo a disposizione. Le istruzioni di Miss Rose erano state ben chiare: alle sei in punto la carrozza sarebbe passata a prenderle di fronte all'accademia di ballo per riportarle a casa. Capì che doveva agire in fretta, perché un'altra occasione non si sarebbe presentata. Così stavano le cose quando videro il cinese procedere serenamente verso di loro, con il suo incedere pencolante e l'imperturbabile sorriso. Ripeté gli inchini abituali di saluto e poi si rivolse a Eliza in un buon inglese per chiedere se la rispettabile figlia del capitano John Sommers avesse bisogno d'aiuto. Lei chiarì che non era la figlia, bensì la nipote, e in uno slancio di repentina confidenza o disperazione gli confessò che effettivamente aveva bisogno del suo aiuto, ma che si trattava di una faccenda privata.

"Qualcosa che il capitano non può sapere?"

"Che nessuno deve sapere."

Tao Chi'en si scusò. Il capitano era una brava persona, disse, l'aveva sequestrato in malo modo per imbarcarlo, era vero, ma poi si era comportato bene e lui non aveva intenzione di tradirlo. Abbattuta, Eliza crollò sulla panchina con il viso tra le mani, mentre Mama Fresia li osservava, senza capire una parola d'inglese ma intuendo di cosa si trattasse. Alla fine si avvicinò a Eliza e scosse ripetutamente il sacchetto di velluto che conteneva i gioielli della dote.

"Bambina, pensi forse che a questo mondo qualcuno faccia qualcosa gratis?" disse.

Eliza capì al volo. Si asciugò le lacrime e indicò il posto di fianco al suo, invitando l'uomo a sedersi. Mise la mano nel sacchetto, estrasse la collana di perle che lo zio John le aveva regalato il giorno prima e la mise sulle ginocchia di Tao Chi'en.

"Può nascondermi in una nave? Ho bisogno di andare in California," spiegò.

"Perché? È un posto da banditi, non da donne."

"Vado a cercare una cosa."

"Oro?"

"Una cosa più preziosa dell'oro."

L'uomo rimase a bocca aperta perché una donna capace di gesti tanto determinati non l'aveva mai vista nella vita reale, ma solo nei romanzi classici dove le eroine nel finale morivano sempre.

"Con questa collana può comprare il biglietto. Non ha bisogno di viaggiare clandestinamente," le suggerì Tao Chi'en, che non aveva intenzione di complicarsi la vita violando la legge.

"Nessun capitano mi imbarcherà senza aver prima avvisato la mia famiglia."

L'iniziale sorpresa di Tao Chi'en si trasformò in sincero stupore: quella ragazza stava addirittura pensando di disonorare la sua famiglia e si aspettava che lui la aiutasse! Aveva qualche diavolo in corpo, non c'erano dubbi. Eliza tornò a introdurre la mano nel sacchetto, estrasse una spilla d'oro e turchesi e la depositò sulla gamba dell'uomo, di fianco alla collana.

"Signore, lei ha mai amato qualcuno più della sua stessa vita?" chiese.

Tao Chi'en la guardò negli occhi per la prima volta da quando si erano conosciuti e probabilmente vi lesse qualcosa perché prese la collana, se la nascose sotto la camicia e poi le rese la spilla.

Si alzò in piedi, si aggiustò i pantaloni di cotone e il coltello da macellaio nella fascia in vita, e nuovamente si inchinò con fare cerimonioso.

"Non lavoro più per il capitano Sommers. Domani salpa per la California il brigantino Emilia. Venga domattina alle dieci e la farò salire a bordo.

"Come?"

"Non lo so. Vedremo."

Tao Chi'en fece un ulteriore cortese gesto di commiato e si allontanò con tanta velocità e circospezione che sembrò essersi volatilizzato. Eliza e Mama Fresia tornarono all'accademia di ballo giusto in tempo per imbattersi nel cocchiere, che le attendeva da mezz'ora bevendo dalla sua fiaschetta.

 

 

L'Emilia era una nave d'origine francese, che un tempo era stata elegante e veloce, ma che aveva solcato molti mari e da parecchio aveva perso l'impeto della gioventù. Era attraversata da vecchie cicatrici di mare, aveva una scia di molluschi incrostati sui fianchi matronali, le sue giunture gemevano sotto i colpi delle onde e il suo velame macchiato e mille volte rammendato sembrava l'ultima vestigia di una vecchia sottoveste. Salpò da Valparaìso la radiosa mattina del 18 febbraio 1849, con a bordo ottantasette passeggeri di sesso maschile, cinque donne, sei vacche, otto maiali, tre gatti, diciotto marinai, un capitano olandese, un pilota cileno e un cuoco cinese. Ed Eliza, ma l'unica persona a saperlo era Tao Chi'en.

I passeggeri delle cabine di prima classe si ammucchiavano sul ponte di prua senza poter godere di molta intimità, ma certamente stavano più comodi degli altri che si erano sistemati in cabine minuscole da quattro cuccette ciascuna, o sui pavimenti in coperta, dopo aver tirato a sorte per sistemare i bagagli. Una cabina sotto la linea di galleggiamento venne assegnata alle cinque cilene che andavano a tentare la fortuna in California. Nel porto di Callao sarebbero salite due peruviane, che dovevano unirsi a loro senza fare tante storie, in due per cuccetta. Il capitano Vincent Katz istruì ciurma e passeggeri intimando di non intrattenere il minimo contatto sociale con le signore, dal momento che non era disposto a tollerare rapporti osceni sulla sua imbarcazione; ai suoi occhi risultava evidente che quelle viaggiatrici non erano tra le più virtuose, ma ovviamente i suoi ordini vennero violati ben più di una volta durante il viaggio. Gli uomini sentivano la mancanza di compagnia femminile e loro, umili meretrici lanciate alla ventura, non avevano un centesimo in tasca. Le vacche e i maiali, ben legati in piccoli recinti sul secondo ponte, dovevano fornire latte fresco e carne ai navigatori, la cui dieta sarebbe consistita sostanzialmente di fagioli, gallette dure e nere, carne secca salata e quanto si riusciva a pescare. Per compensare tanta penuria, i passeggeri più abbienti si erano portati le loro vettovaglie, soprattutto vino e sigari, ma la maggior parte delle persone a bordo pativa la fame. Due dei gatti giravano liberamente per tenere sotto controllo i topi che altrimenti si sarebbero riprodotti liberamente durante i due mesi di traversata. Il terzo viaggiava con Eliza.

Nel ventre dell'Emilia era stipato lo svariato bagaglio dei viaggiatori e il carico destinato al commercio in California, immagazzinato in modo da sfruttare al massimo lo spazio. Niente di tutto ciò veniva toccato fino alla destinazione finale e nessuno poteva entrare lì, fatta eccezione per il cuoco, l'unico a godere di accesso autorizzato alle derrate secche, severamente razionate. Tao Chi'en teneva le chiavi appese in vita e rispondeva personalmente presso il capitano del contenuto della stiva. Lì, nella parte più buia e profonda, in un buco di due metri per due, viaggiava anche Eliza. Le pareti e il soffitto del suo tugurio erano formate da bauli e casse di merci, il suo letto era un sacco e l'unica fonte di luce l'estremità di una candela. Disponeva di una scodella, di una brocca d'acqua e di un orinale. Poteva fare due passi e allungarsi tra i pacchi e poteva piangere e gridare a suo piacimento, perché le sferzate delle onde contro l'imbarcazione inghiottivano la sua voce. L'unico contatto con il mondo esterno era Tao Chi'en, che quando poteva, con un pretesto qualsiasi, scendeva per darle da mangiare e per vuotare la bacinella. In quanto a compagnia, poteva contare su un gatto che era stato rinchiuso nella stiva per controllare i topi, ma durante le terribili settimane di navigazione il povero animale impazzì e alla fine, purtroppo, Tao Chi'en dovette tagliargli il collo con il suo coltello.

Eliza salì a bordo in un sacco portato a spalla da uno dei tanti stivatori che stoccavano le merci e i bagagli a Valparaiso. Non venne mai a sapere come si arrangiò Tao Chi'en per ottenere la complicità dell'uomo ed eludere i controlli del capitano e del pilota che annotavano su un libro tutto ciò che entrava. Era scappata poche ore prima grazie a un macchinoso stratagemma che aveva previsto anche la falsificazione di un invito scritto con cui la famiglia del Valle desiderava ospitarla per qualche giorno nella sua tenuta. Non era un'idea strampalata. In un paio di occasioni, precedentemente, le figlie di Agustin del Valle l'avevano invitata in campagna e Miss Rose le aveva permesso di andare, sempre accompagnata da Mama Fresia. Si era congedata da Jeremy, da Miss Rose e dallo zio John con simulata leggerezza, mentre il petto era schiacciato come dal peso di una pietra. Li aveva visti seduti alla tavola della colazione intenti a leggere giornali inglesi, innocentemente ignari dei suoi progetti, e una dolorosa incertezza l'aveva quasi fatta desistere. Erano tutta la sua famiglia, rappresentavano la sicurezza e il benessere, ma lei aveva varcato la linea della decenza e non c'era modo di tornare indietro. I Sommers l'avevano educata alle rigide norme del buon comportamento e un errore così grave insozzava il prestigio di tutti. Con la fuga la reputazione della famiglia veniva macchiata, ma almeno rimaneva un margine di dubbio: potevano sempre dire che era morta. Quale che fosse la spiegazione che avrebbero dato al mondo, lei non sarebbe stata lì a vederli patire tale vergogna. L'idea di partire alla ricerca dell'amante le sembrava l'unica strada percorribile, ma in quel momento di silenzioso commiato venne assalita da una tale tristezza che fu sul punto di scoppiare in lacrime e confessare tutto. Fu allora che l'ultima immagine di Joaquin Andieta, la notte della partenza, le si presentò con precisione estrema a rammentarle il suo dovere d'amore. Si sistemò alcune ciocche ribelli, si accomodò il cappello di paglia italiana e uscì salutando con un gesto della mano.

Nella valigia preparata da Miss Rose con i migliori vestiti estivi, c'erano anche alcune monete d'argento sottratte dalla camera di Jeremy Sommers e i gioielli della sua dote. Aveva avuto la tentazione di impadronirsi anche di quelli di Miss Rose, ma all'ultimo momento era stata vinta dal rispetto per quella donna che le aveva fatto da madre. In camera sua, dentro lo scrigno vuoto, aveva lasciato un bigliettino in cui ringraziava per tutto quello che le avevano dato e ripeteva quanto li amasse. Confessava anche quello che si portava via, per proteggere la servitù da ogni sorta di sospetti. Mama Fresia aveva messo nella valigia le sue scarpe più resistenti, così come i quaderni e il fascio di lettere d'amore di Joaquin Andieta. Con sé portava anche una pesante coperta di lana castigliana, regalo dello zio John. Si erano allontanate senza destare sospetti. Il cocchiere le aveva lasciate nella strada della famiglia del Valle ed era scomparso senza attendere che venisse loro aperta la porta. Mama Fresia ed Eliza si erano dirette al porto per trovarsi con Tao Chi'en nel luogo e all'ora convenuti.

L'uomo le stava aspettando. Prese la valigia dalle mani di Mama Fresia e indicò a Eliza di seguirlo. La ragazza e la tata si abbracciarono a lungo e, pur sapendo che non si sarebbero più riviste, nessuna delle due versò una lacrima.

"Cosa dirai a Miss Rose, mamita?"

"Niente. Me ne vado direttamente dalla mia gente, a sud, e nessuno mi troverà mai."

"Grazie, mamila. Mi ricorderò sempre di te..."

"E io pregherò perché ti vada tutto bene, bambina mia," furono le ultime parole che Eliza sentì dalle labbra di Mama Fresia, prima di seguire il cuoco cinese in una casetta di pescatori.

Nella buia stanza di legno senza finestre, che sapeva di reti umide e la cui unica ventilazione proveniva dalla porta, Tao Chi'en consegnò a Eliza dei pantaloni e un camiciotto molto logoro, dicendole di indossarli. Non accennò ad allontanarsi o a girarsi per discrezione. Eliza vacillò, non si era mai denudata davanti a un uomo, a parte Joaquin Andieta, ma Tao Chi'en non colse il suo esitare poiché era privo del senso del pudore: il corpo e le sue funzioni per lui erano qualcosa di naturale e la pudicizia, più che una virtù, gli sembrava un impaccio. Eliza capì che non era il momento di farsi degli scrupoli: l'imbarcazione salpava quella mattina stessa e le scialuppe stavano portando gli ultimi bagagli. Si tolse il cappellino di paglia, sbottonò gli stivaletti di cordovano e l'abito, sciolse i nastri della sottoveste e, morendo di vergogna, chiese al cinese di aiutarla a togliersi il corsetto. Mano a mano che i suoi vestiti da bambina inglese si ammucchiavano sul pavimento, lei perdeva, uno a uno, i contatti con la realtà nota ed entrava inesorabilmente in quella strana illusione che sarebbe stata la sua vita negli anni successivi. Ebbe la netta sensazione che stesse per iniziare un'altra storia di cui lei era al contempo protagonista e narratrice.