Il monaco andò a curiosare fra stalle e magazzini, tutti mantenuti in perfetto ordine da servitori zelanti e orgogliosi di mostrarli a un visitatore attento, e più avanti trovò un canile dove una cagna stava sdraiata su un mucchio di paglia con sei cuccioli intorno. Incapace di resistere alla tentazione, si chinò a prenderne uno, sotto lo sguardo vigile della madre compiaciuta di quell'ammirazione per i suoi figli, e si accingeva a restituirle il tenero corpicino odoroso di pane appena sfornato quando alle sue spalle una voce fresca e giovanile domandò: «Siete voi il prete che deve celebrare il mio matrimonio?»

Era Helisende Vivers, non ancora abbigliata per ricevere lo sposo, ma modestamente vestita di lana blu e con in mano un piccolo secchio di cibo per i cani fumante.

«No», rispose Cadfael, raddrizzandosi con una certa fatica dopo aver posato il cucciolo tra i suoi fratellini. «Quello è padre Haluin.»

«Ah, lo zoppo!» commentò lei con distaccata commiserazione. «Fa tanta pena, in quelle condizioni. Spero che abbiano avuto buona cura di lui, qui. Ma sapete del matrimonio, vero? Sapete che viene Jean, oggi?»

«Sì, ce l'ha riferito vostro fratello. Ma c'è qualcos'altro che potete dirci soltanto voi», aggiunse il monaco, osservando attentamente il grazioso viso splendente di giovinezza. «Soltanto voi potete dirci se acconsentite spontaneamente, senza coercizioni, a questo matrimonio, sì o no?»

Il breve silenzio di Helisende non sembrava indicare un'incertezza a quel riguardo, ma piuttosto un circospetto esame dell'uomo che aveva avanzato quel dubbio. I suoi grandi occhi, schietti e impavidi, scrutavano e penetravano, senza timore di essere, a loro volta, esaminati. Ma non fu il caso.

«Sì», dichiarò, «ammesso che facciamo liberamente qualcosa, ora che siamo cresciuti. Vi sono regole da rispettare, altre persone intorno a noi che hanno diritti e bisogni, siamo tutti legati in qualche modo. Ma potete dire a padre Haluin che non deve preoccuparsi per me, so quello che faccio. Non mi costringe nessuno.»

«Glielo dirò. Ma penso che lo facciate per gli altri, non per voi stessa.»

«Allora ditegli che ho scelto, liberamente, di farlo per gli altri.»

«E per quanto riguarda Jean de Perronet?» indagò Cadfael.

Le labbra ferme e piene della fanciulla tremarono un poco. Era l'unico particolare che turbasse la sua determinazione, il fatto di non poter essere leale con l'uomo che stava per diventare suo marito. Cenred non gli aveva certamente detto che avrebbe ricevuto soltanto un triste avanzo, dopo che il cuore se n'era andato altrove. E nemmeno poteva dirglielo lei. Era un segreto di famiglia. La sola speranza per quella coppia infelice era che l'amore avesse a nascere in seguito, più devoto forse di quanto non fosse in tanti matrimoni, ma pur sempre lontano dal vertice.

«Cercherò di dargli tutto ciò che chiede», rispose risolutamente Helisende. «Tutto ciò che desidera e si aspetta. Lo merita e avrà quanto di meglio io possa dare.»

Inutile forse osservare che poteva non essere sufficiente, lo sapeva già ed era turbata per quell'inganno al quale non aveva possibilità di sottrarsi. E forse quella sorta di confessione fatta lì nella solitudine del canile aveva riaperto un abisso d'incertezze che lei era quasi riuscita a chiudere. Meglio lasciarla in pace, dato che non v'era modo di alleggerire il peso che portava.

«Bene, pregherò perché siate benedetta in tutto ciò che fate», promise il monaco, quasi come congedo prima di allontanarsi. La cagna si era alzata, in mezzo ai suoi piccoli, e strofinava il muso contro il secchio, agitando impaziente la coda. I comuni eventi quotidiani si svolgono tra matrimoni e nascite, tra funerali e feste. Quando si voltò a guardare indietro, dopo qualche passo, Helisende era china a riempire la ciotola per la cagna, con la pesante treccia bruna ciondolante tra l'irrequieta nidiata. Non alzò il capo, ma Cadfael ebbe la sensazione che fosse consapevole della sua presenza, finché lui non si fu girato di nuovo, andandosene definitivamente.

«Sentirete la mancanza della vostra prediletta», osservò Cadfael quando Edgytha venne a portare loro il pranzo. «O andrete con lei anche dopo che si sarà sposata?»

La donna esitò un poco, dibattuta tra il naturale riserbo e il desiderio di alleggerirsi il cuore, tutt'altro che rassegnato alla perdita della sua adorata pupilla.

«Che cosa potrei fare alla mia età, in un posto sconosciuto? Sono troppo vecchia, ormai, non servo più a molto. No, resterò qui, dove so come stanno le cose e mi conoscono tutti. Lei sì se ne andrà, come deve. E quel giovane non lascia niente a desiderare... se il mio agnellino non avesse un altro nel cuore!»

«Però ben lontano da casa», sottolineò gentilmente Haluin, ma si era sbiancato in viso e distolse lo sguardo quando gli occhi di Edgytha si fissarono su di lui.

Occhi chiari, di un azzurro slavato, che probabilmente un tempo erano stati di un bel pervinca, sotto folte ciglia scure, ora rade e sottili. «Un bravo giovane, per fortuna. Così dice il mio signore, così giurano tutti. Guai se non fosse vero, lei potrebbe fare di peggio. Lo so bene, io! Sono venuta qui al servizio di sua madre, tanti anni fa, e nemmeno il suo è stato un matrimonio d'amore... lei così giovane e lui che aveva quasi il triplo della sua età. Buono e gentile, ma vecchio, vecchio! Bisognava che lei avesse accanto a sé qualcuno della sua casa, qualcuno che conoscesse intimamente, di cui potesse fidarsi. Per la mia bambina, almeno, hanno cercato un marito giovane!»

Poiché nessuno aveva ancora detto una sola parola al riguardo, Cadfael si risolse a fare la domanda che gli girava da qualche tempo nel capo. «È morta, la madre di Helisende?»

«No, ha preso il velo a Polesworth dopo la morte del vecchio signore, circa otto anni fa. Monaca benedettina lei pure! Aveva sempre accarezzato quell'idea e quand'è rimasta vedova ha deciso di realizzarla, benché facesse gola a molti e tutti la esortassero a risposarsi. Una maniera per evadere», concluse Edgytha a labbra strette.

«Lasciando praticamente orfana sua figlia?» osservò Haluin, con un tono di disapprovazione più marcato di quanto fosse stato nelle sue intenzioni.

«Oh, no! Ne ha avute addirittura due, di madri: Lady Emma e me!» Negli occhi di Edgytha si accese una luce che lei si affrettò a nascondere abbassando le palpebre. «Quella bambina ha avuto tre mamme, e tutte affettuose. Lady Emma non ha mai saputo essere severa coi bambini. Troppo tenera... e quei due ottenevano sempre da lei ciò che volevano. Ma la mia signora era portata alla solitudine e alla malinconia e quand'è stato il momento ha preferito prendere il velo piuttosto che sposarsi di nuovo.»

«Helisende non ha mai pensato di fare altrettanto?» domandò Cadfael.

«No, lei no! Ce ne guardi Iddio! Non le è mai neppure passato per la testa. Se si sceglie il chiostro per vocazione può essere una gioia, ma se si è costretti dev'essere un inferno! Se volete scusare la mia sfacciataggine, fratello! Voi lo sapete meglio di me, avete avuto senza dubbio ottimi motivi per vestire il saio, ma Helisende... no, non lo vorrei mai per lei. Molto meglio quel Perronet, se non si può fare di meglio.» Aveva cominciato a radunare piatti e vassoi vuoti e prese la caraffa per riempire di nuovo le loro coppe. «Ho sentito dire che siete stati a Elford e avete parlato con Roscelin, è vero?»

«Sì, ieri. Ci siamo incontrati per caso e abbiamo chiacchierato un poco, ma soltanto stamattina abbiamo saputo che il signore di Vivers è suo padre.»

«Come vi è sembrato?» domandò Edgytha con affettuosa preoccupazione. «Sta bene? È abbattuto? Non lo vedo da un mese o più e so quale dispiacere sia stato per lui essere scacciato dalla sua casa come un paggio screanzato, mentre non aveva fatto niente di male e mai aveva pensato di farne. Un così bravo figliolo! Che cosa vi ha detto?»

«Era comunque in ottima salute», lo rassicurò il monaco. «E di ottimo umore, tutto considerato. Si è lamentato, sì, per essere stato esiliato a quel modo e non sembrava molto soddisfatto della sua attuale situazione, ma naturalmente non si è dilungato in particolari con due sconosciuti, in un incontro occasionale. Ha detto soltanto che non avrebbe mai trasgredito agli ordini di suo padre e avrebbe atteso il suo permesso, prima di tornare a casa.»

«Ma lui non sa che cosa stanno progettando qui!» proruppe la donna, incollerita e disperata a un tempo. «Oh, lo avrà certo il permesso di tornare, quando Helisende sarà ben lontana, nel maniero di suo marito! Bel ritorno a casa sarà per quel poverino! È una vergogna complottare così alle sue spalle!»

«Secondo loro lo fanno a fin di bene», osservò Haluin, turbato. «Nel suo stesso interesse, pensano. Ma non deve essere stato facile neppure per loro prendere una simile decisione. E se sbagliano tenendolo all'oscuro di questo matrimonio fino a cose fatte e finite, si può perdonarli.»

«Alcuni non potranno mai essere perdonati», ribatté cupa Edgytha. Prese risolutamente il vassoio di legno carico di stoviglie e le chiavi appese alla sua cintola tintinnarono, mentre si dirigeva verso la porta. «Avrebbero dovuto agire alla luce del sole, dirlo onestamente a Roscelin. Aveva il diritto di saperlo, di conoscere il vero motivo del suo esilio. Com'è accaduto che vi siate imbattuti in lui, a Elford, e che sappiate come si chiama, ma soltanto col nome di battesimo?»

«Lo ha detto la signora, accennando a un compagno di suo figlio», spiegò Cadfael. «E c'era lui con Audemar de Clary quand'è rientrato dopo una cavalcata. Noi gli abbiamo parlato più tardi. Ha visto il mio amico che si reggeva a fatica sulle stampelle, dopo aver trascorso una notte in ginocchio, a pregare, ed è accorso a sostenerlo.»

«C'era da aspettarselo!» esclamò Edgytha compiaciuta. «È sempre pronto ad aiutare chi ne ha bisogno. La signora di Elford, avete detto? La moglie di Audemar?»

«No, non era lui che cercavamo. Non abbiamo visto nessuno della sua famiglia. Volevamo parlare con sua madre, Adelais de Clary.»

I piatti tintinnarono un poco sul vassoio, ancora prima che la donna posasse una mano sulla maniglia della porta. «Ah, è là, ora?»

«Sì, o quanto meno c'era quando siamo partiti noi, ieri. E con la neve che è cominciata a cadere subito dopo, non si sarà mossa di sicuro.»

«Ci va di rado a Elford», commentò Edgytha, stringendosi nelle spalle. «Pare che non corra eccessivo amore fra lei e la consorte di Audemar. Che non è poi un fatto eccezionale, suppongo; così stanno bene lontano l'una dall'altra. Aprì abilmente la porta con un gomito e v'infilò di traverso il vassoio. «Sentite i cavalli, fuori? Senza dubbio è Jean de Perronet col suo seguito.»

Un seguito non certo appariscente: un domestico personale, due stallieri, un cavallo per la sposa e uno per la sua accompagnatrice e un altro ancora per le borse. Lo stesso Perronet era vestito modestamente, senza fronzoli, ma a Cadfael non sfuggì l'alta qualità degli animali e dei loro finimenti. Un giovane che sapeva come usare il proprio denaro, senza sprecarlo in spese vane.

I due monaci erano usciti a loro volta per assistere all'arrivo degli ospiti. Il pomeriggio era ancora chiaro, ma alte nel cielo correvano nubi minacciose, forse sarebbe caduta altra neve durante la notte, e i viaggiatori sarebbero stati ben contenti di avere un solido tetto sopra la testa e un impenetrabile riparo contro il vento gelido.

De Perronet smontò dal suo splendido roano davanti alla porta del vestibolo e Cenred scese di corsa la gradinata per salutarlo e abbracciarlo, poi risalì tenendolo per un braccio fino alla soglia, dove lo aspettava Lady Emma, per dargli il benvenuto con eguale calore. Helisende, notò Cadfael, non venne incontro al promesso sposo. Alla cena ufficiale, naturalmente, non sarebbe potuta mancare, ma frattanto aveva evidentemente preferito lasciar fare gli onori di casa al fratello e alla cognata, i suoi guardiani, gli artefici del suo destino, che sparirono ben presto nel vestibolo, mentre i servitori di Cenred scaricavano le borse e conducevano i cavalli nelle scuderie, con tale esperta rapidità che nel giro di pochi minuti il cortile rimase deserto.

Quello era dunque lo sposo! Cadfael rifletté per qualche momento su quanto aveva visto e non trovò niente da eccepire salvo il fatto che, come aveva detto Edgytha, quel matrimonio era una soluzione di ripiego. E un affetto di ripiego avrebbe ottenuto de Perronet. Un giovane sui venticinque anni, che dal piglio e dal portamento mostrava di possedere l'autorevolezza e il senso di responsabilità che la sua posizione richiedeva, ma ciò nonostante i suoi uomini, almeno i più vicini a lui, non ne avevano soggezione. L'uno e gli altri erano consapevoli dei propri compiti, dei propri doveri e si rispettavano a vicenda. Inoltre era pure un bell'uomo, alto e snello, dal viso aperto e cordiale, che sembrava per quanto possibile felice alla vigilia delle sue nozze. Cenred aveva fatto del proprio meglio per la giovane sorella e la sua scelta pareva promettere buoni frutti. Peccato che non fossero quelli desiderati da Helisende.

«Ma che altro avrebbe potuto fare Cenred?» mormorò Haluin, rivelando con quelle poche parole lo sgomento e i dubbi che lo angustiavano.

CAPITOLO VIII

Nel tardo pomeriggio, Cenred mandò il sovrintendente a chiedere ai due benedettini se gradivano unirsi alla famiglia per la cena nel vestibolo o se desideravano invece riposare e cenare nella loro camera. Haluin, che si era chiuso in una profonda, cupa meditazione, avrebbe preferito starsene appartato ma, rendendosi conto che sarebbe stata una scortesia, si sforzò di accettare l'invito.

Lo fecero sedere accanto agli sposi, giacché era il prete che avrebbe celebrato le nozze, e questo indusse Cadfael, seduto poco lontano da lui, in un punto dal quale poteva godersi lo spettacolo nello splendore delle torce, a riflettere che egli veniva chiamato per la prima volta a fare da intermediario fra Dio e gli uomini. Benché i fratelli più giovani fossero abitualmente esortati a prendere gli ordini sacerdotali, ora, ancor più che in passato, molti di loro sarebbero stati, come Haluin, preti senza cura d'anime, probabilmente senza essere mai chiamati a celebrare battesimi, nozze o funerali. Una responsabilità tremenda, pensò il monaco, che dal canto proprio non aveva mai aspirato al sacerdozio, essere il mandatario della grazia divina, avere il privilegio e l'onere d'interferire nella vita d'altri uomini, di promettere loro la salvazione col battesimo, di legare due persone col sacro vincolo del matrimonio, di detenere la chiave del purgatorio al momento della loro morte. Se talvolta mi sono immischiato, rifletté devotamente, e Dio sa se l'ho fatto quand'è stato necessario e non v'era nessuno più adatto di me per quel compito, almeno mi sono comportato come un altro peccatore, un compagno di strada, non come un inviato dal cielo dispensatore di grazie. Adesso Haluin si trova per la prima volta di fronte a questa stessa terribile responsabilità, non c'è da stupirsi se gli trema il cuore.

Girò lo sguardo dall'uno all'altro dei volti che Haluin, così vicino a loro, poteva vedere soltanto come profili sovrapposti: quello di Cenred un po' contratto per l'intima tensione, ma volutamente gioviale, la sua consorte che presiedeva al convito con la debita amabilità della perfetta padrona di casa e un sorriso vagamente ansioso, de Perronet con un'aria d'innocente felicità per avere accanto a sé Helisende già quasi sua, e la fanciulla, pallida e quieta al suo fianco, che si sforzava palesemente di apparire altrettanto felice, perché lui non aveva alcuna colpa del suo dolore e meritava di meglio. Vedendoli così, l'uno accanto all'altra, non v'era da dubitare dei sentimenti del giovane e se egli si rendeva conto che non erano ricambiati in egual misura, probabilmente lo accettava come una situazione comune al principio d'ogni matrimonio ed era disposto a pazientare finché la gemma non fosse sbocciata.

Haluin rivedeva per la prima volta Helisende, da quando lei lo aveva fatto balzare in piedi per lo stupore e poi crollare di schianto sul pavimento, mezzo abbacinato com'era già dal vento pungente e dalla neve. E ora l'esile figura riccamente abbigliata e dorata dalla luce delle torce sarebbe potuta essere quella di un'estranea qualsiasi, mai vista prima. La guardava, quando il suo profilo emergeva per caso dagli altri, dubbioso e stupito, oppresso da una responsabilità del tutto nuova per lui e tanto pesante.

Era già tardi quando le donne si ritirarono, lasciando gli uomini al loro vino e alle loro chiacchiere, e i due monaci si scambiarono un'occhiata come a dirsi che era tempo anche per loro di lasciare la compagnia. Haluin aveva già teso le mani per prendere le stampelle quando nel vestibolo rientrò a precipizio Emma, ansiosa e preoccupata, seguita da una giovane ancella.

«Cenred, Edgytha è sparita! È uscita da un bel po' e non è ancora ritornata. E sta nevicando di nuovo! Dove mai può essere a quest'ora? L'avevo fatta chiamare perché venisse a prepararmi per la notte, ma non l'hanno trovata da alcuna parte e ora Madlyn mi ha detto che se n'è andata da ore, quando cominciava a fare buio.»

Cenred faticò un poco a distogliersi dai suoi doveri d'ospite per occuparsi di un piccolo problema domestico che non era affar suo.

«E allora? Edgytha è padrona di uscire quando vuole», ribatté, senza perdere il buonumore. «E di tornare quando le pare e piace. Non è una schiava, sa quello che fa e quali sono i suoi doveri. Se una volta tanto non è lì a rispondere quando la chiamano non è poi la fine del mondo! Perché ve ne preoccupate tanto?»

«Quando mai se n'è andata senza avvertire? Nemmeno una sola volta. È uscita da quattro ore o più, a quanto dice Madlyn. Se le fosse accaduto qualcosa? Non sarebbe mai stata fuori per tanto tempo, volontariamente. E voi sapete quanta stima io abbia di lei, mi atterrisce il pensiero che possa esserle accaduta una disgrazia!»

«E lo stesso è per me», cercò di consolarla suo marito. «A lei o a chiunque altro della nostra casa. Bene, se non è tornata, andremo noi a cercarla. Ma non tormentiamoci prima del tempo. Voi, figliola, che cosa sapete esattamente? Quattro ore fa, avete detto?»

«Sì, sir.» Madlyn venne avanti senza esitare, spalancando gli occhi per l'emozione. «Era già tutto pronto, quando ho visto Edgytha uscire dalla cucina col mantello sulle spalle. Allora le ho fatto osservare che avremmo avuto molto da fare più tardi, con tanti ospiti, e si sarebbe sentita" la sua mancanza, ma ha ribattuto che sarebbe tornata presto, prima che ci fosse bisogno di lei.»

«E non le avete chiesto dove stava andando?»

«Certo che gliel'ho chiesto, pur sapendo che non parla mai molto delle sue faccende e che mi avrebbe risposto con malagrazia, nel caso poco probabile che lo facesse. Ma quello che ha detto, mi sembra che non abbia senso. Vado a prendere un gatto da mettere fra i piccioni, ha detto.»

Ma se quella frase non significava niente per lei, significava indubbiamente qualcosa per Cenred e sua moglie. Emma guardò sbigottita il consorte balzato bruscamente in piedi e, nell'occhiata che i due si scambiarono, Cadfael seppe leggere come in un libro aperto. Era in possesso di nozioni sufficienti per farlo. Edgytha li aveva allevati entrambi, era sempre stata indulgente con loro, li amava come se fossero suoi figli, soffriva di quella separazione e, checché avesse da dire la Chiesa sui vincoli di sangue, ancora più di quel matrimonio che rendeva definitiva la separazione... È andata a chiedere aiuto per impedirlo, seppure all'ultimo momento. È andata ad avvertire Roscelin di ciò che si sta facendo alle sue spalle. È andata a Elford!

Considerazioni che non si potevano fare ad alta voce, lì davanti a Jean de Perronet che, accorso al fianco di Cenred, girava lo sguardo da un viso all'altro, perplesso ma partecipe di un guaio che non lo riguardava. Andare alla ricerca di una vecchia, fedele governante allontanatasi da casa di sera era un dovere, ora che si approssimava la notte e nevicava. Lo disse apertamente, rompendo un silenzio che da un momento all'altro avrebbe potuto indurlo a indagare più da vicino ciò che stava accadendo.

«Non dovremmo andare a cercarla, se manca da tanto tempo? Le strade non sono troppo sicure, di notte, e una donna sola...»

Un suggerimento che agli interessati parve un dono del cielo e Cenred l'accolse con gratitudine. «Lo faremo subito. Manderò i miei uomini a perlustrare la strada più probabile. Può darsi che sia andata a trovare qualcuno in paese e che l'abbia bloccata la neve. Ma voi non dovete preoccuparvi, Jean, non voglio guastarvi la festa. Lasciate fare ai miei uomini, ne abbiamo più che a sufficienza. State tranquillo, non può essere molto lontana, la ritroveranno ben presto e la riporteranno a casa sana e salva.»

«Verrei volentieri con voi», si offrì de Perronet.

«No, no, non è necessario. Lasciate fare a noi e dormite tranquillo questa notte. Domani sarà tutto sistemato.»

Ma forse quell'offerta era stata fatta dal premuroso ospite come un puro e semplice atto di cortesia, e non fu difficile dissuaderlo. I problemi familiari di un uomo riguardano soltanto lui, meglio lasciare che sia lui a risolverli. Offrire aiuto a chi ne ha bisogno è doveroso, ma è saggio arrendersi garbatamente. Cenred sapeva fin troppo bene dove poteva essere andata Edgytha, non v'erano dubbi riguardo alla strada dove cercarla. E ormai era davvero il caso di preoccuparsi perché quattro ore o più sarebbero state un tempo più che sufficiente per andare e tornare, anche con la neve. Cenred non ne perse altro. Augurata cordialmente la buonanotte a de Perronet, che interpretò rassegnato l'augurio come un definitivo congedo, radunò in fretta gli uomini del suo seguito davanti alla porta del vestibolo e impartì secchi ordini a quelli che gli sembrarono i più adatti per una disagevole spedizione notturna: sei giovani vigorosi, oltre al proprio sovrintendente.

«Noi che cosa dobbiamo fare, ora?» domandò a mezza voce Haluin, ritto sulle stampelle accanto a Cadfael, un po' in disparte.

«Voi andarvene a letto, da persona ragionevole, cercando di dormire, se vi riesce», fu la risoluta risposta. «E un paio di preghiere non saranno sprecate. Io vado con loro.»

«Lungo la strada più vicina a Elford, vero?»

«A prendere un gatto da mettere fra i piccioni, sì, dove altro? Ma voi restate qui. Non potreste fare o dire niente che non sia in grado di fare o dire io, se fosse il caso.»

La porta del vestibolo era rimasta aperta, dietro gli uomini che erano scesi nel cortile, con due torce, e Cadfael si accodò al gruppo, nella notte gelida. Il terreno biancheggiava di neve, ma era uno strato sottile e piccoli fiocchi pungenti come aghi cadevano da un cielo quasi chiaro, punteggiato qui e là da qualche stella, troppo freddo per una vera e propria nevicata. Quando il monaco si girò a guardare indietro dal portone della cinta, le donne presenti nel maniero, dame e domestiche insieme, erano raggruppate al sommo della gradinata, unite da una medesima preoccupazione, seguendo con lo sguardo i loro uomini che si allontanavano.

Soltanto Helisende se ne stava in disparte, l'unica che non si aggrappasse a qualcuno in cerca di conforto. Tutto ciò che Emma aveva detto al marito, tutto ciò che aveva riferito Madlyn lo sapeva certamente anche lei. Sapeva dove fosse andata Edgytha e con quale intento e guardava fisso davanti a sé, a un futuro che non poteva più prevedere, un futuro in cui si celavano incertezze, sgomento e forse persino una catastrofe. Si era preparata a un sacrificio del quale conosceva i termini, ma si scopriva del tutto impreparata a ciò che la minacciava ora. Il suo viso sembrava fermo e composto come sempre, ma aveva perduto la sua abituale, calma sicurezza, la risolutezza aveva lasciato il posto all'impotenza, la rassegnazione si era cambiata in disperazione. Era giunta su un campo di battaglia dove aveva creduto di poter mantenere la propria posizione, ma ora le si era aperto il terreno sotto i piedi e lei non sapeva più che cosa le riserbasse la sorte. L'immagine della sua forza d'animo distrutta, inerme e vulnerabile, fu l'ultima visione che Cadfael portò con sé nel buio e nel gelo.

Stringendosi un lembo del mantello intorno al viso per difendersi dal vento, Cenred si avviò lungo un sentiero nuovo per Cadfael, diverso da quello che aveva seguito con Haluin verso la luce delle torce del maniero. In quella direzione avrebbero raggiunto la strada maestra molto più vicino a Elford, probabilmente accorciando il tragitto di almeno mezzo miglio. La notte non era molto scura, un po' per il vago chiarore del cielo e un po' per il riverbero della neve, cosicché potevano procedere speditamente, in fila indiana al centro del sentiero, nel silenzio della campagna rotto soltanto dal rumore dei loro passi e dal lieve fruscio del vento fra i pochi arbusti. Una volta, e poi un'altra, Cenred li fece fermare perché non si facesse alcun rumore e lanciò un grido di richiamo, ma non ebbe risposta.

Seguendo questa strada, calcolò Cadfael, ci saranno più o meno due miglia per arrivare a Elford. Edgytha, che senza dubbio la conosceva bene, sarebbe potuta essere di nuovo a Vivers da un pezzo, tanto più se, a quanto ha riferito Madlyn, intendeva tornare molto prima che la sua signora avesse bisogno di lei. E non si sarebbe certo smarrita, lungo una strada nota, in una sera limpida e con appena una spruzzatina di neve. Cominciò ad apparirgli chiaro che qualcosa doveva averle impedito di attuare il suo proposito o di tornare al maniero. Non il freddo o la neve o un qualsiasi incidente naturale, ma la mano di un uomo. Ed era poco probabile che fuorilegge in cerca di viaggiatori da depredare, ammesso che ve ne fosse qualcuno lì in aperta campagna, fossero in giro in una sera simile, che avrebbe trattenuto chiunque dall'avventurarsi su strade isolate. Restava, forse, un'altra possibilità: che fosse arrivata regolarmente a Elford e che Roscelin, informato di ciò che si stava preparando, l'avesse persuasa a restare là, al riparo, lasciando il resto a lui. Ma Cadfael stesso credeva poco a quell'eventualità. Se fosse stato così, Roscelin, indignato, sarebbe piombato come un fulmine a Vivers ancora prima che si notasse l'assenza della sua informatrice.

Il monaco, frattanto, aveva risalito la fila e raggiunto Cenred, che non sembrò troppo stupito al vederlo. «Non dovevate sobbarcarvi questa fatica, fratello», si limitò a osservare. «Siamo già in tanti.»

«Uno di più non guasta.»

Forse non guastava, ma nemmeno era il benvenuto. Sarebbe stato meglio che quella vicenda fosse restata nello stretto ambito della famiglia. Tuttavia pareva che l'inattesa presenza di un benedettino tra i suoi uomini non turbasse eccessivamente Cenred. La sua preoccupazione era quella di trovare Edgytha, preferibilmente prima che arrivasse a Elford, ma in ogni caso in tempo perché vi fosse modo di rimediare ai danni che poteva avere creato. Forse si aspettava persino d'incontrare prima o poi il figlio, risoluto a prevenire a ogni costo quel matrimonio che avrebbe distrutto le sue ultime speranze. Ma avevano percorso ormai un miglio abbondante e la strada era ancora deserta.

Una strada che ora correva attraverso un bosco rado, con sparsi ciuffi d'erba che il lieve strato di neve non arrivava neppure a piegare, e forse sarebbero passati, senza notarlo, accanto a una sorta di grosso fagotto sul ciglio destro, se non fosse stato perché tra il merletto di neve che lo ricopriva apparivano chiazze più scure del terreno imbiancato intorno a loro. Cenred era già un passo avanti, ma si fermò di botto quando si arrestò Cadfael e seguì la direzione del suo sguardo.

«Presto, portate qui una torcia!»

La luce giallastra rivelò la natura di quel fagotto: una donna distesa in una posizione un po' scomposta, con la testa fuori del sentiero, supina ma leggermente girata su un fianco e con le braccia alzate ai lati del capo come se il suo ultimo gesto fosse stato il tentativo di parare un colpo. Il monaco si chinò e sgombrò dal lieve velo cristallino un viso con gli occhi sbarrati e contorto in un'espressione di atterrito stupore, i capelli grigi lasciati scoperti dal cappuccio che le era scivolato sulle spalle nella caduta e il mantello nero. Sul petto una piccola chiazza rompeva il velo candido, dove un rivolo di sangue aveva fatto sciogliere i fiocchi via via che cadevano. Dalla sua posizione era impossibile capire se fosse stata aggredita all'andata o al ritorno, ma, comunque fosse, rifletté Cadfael, probabilmente si era accorta che qualcuno la seguiva furtivamente e si era girata di scatto, alzando le mani per proteggersi la testa. E così il pugnale che l'aggressore intendeva piantarle nelle spalle le aveva trafitto il petto.

«Dio benedetto!» mormorò Cenred in un sussurro roco. «Chi lo avrebbe mai pensato? Ma perché, perché, qualunque cosa avesse in mente di fare?»

«I lupi cacciano anche col gelo», osservò tristemente il sovrintendente. «Benché sa il cielo quale ricco bottino si possa sperare di trovare qui! Però non è stato preso niente, neppure il suo mantello. Uomini senza legge l'avrebbero spogliata di tutto.»

Cenred scrollò la testa. «Non ce n'è nemmeno l'ombra, da queste parti, potete esserne certo. No, qui si tratta d'altro. Quello che vorrei sapere è da quale parte andasse quand'è stata uccisa.»

«Questo potremo scoprirlo quando la muoveremo», disse Cadfael. «Purtroppo non c'è più niente da fare, per lei. Chiunque abbia usato quel pugnale sapeva il fatto suo, non ha avuto bisogno di un altro colpo. E non possiamo nemmeno aspettarci di trovare impronte perché, anche dove non le avesse coperte la neve, il terreno è troppo indurito dal gelo.»

«Adesso dobbiamo portarla a casa», dichiarò mesto Cenred. «Sarà una dolorosa sorpresa per mia moglie e mia sorella. Avevano molta stima di lei, sempre devota e fidata in tutti questi anni, da quando era entrata nella nostra casa al servizio della mia giovane matrigna. Un delitto simile grida vendetta al cielo! Manderò qualcuno a Elford a sentire se c'era arrivata, se possono dirci qualcosa sul suo conto, se è giunta loro voce di qualche predone che si aggiri da queste parti, magari in fuga da altre regioni. Per quanto non mi sembri molto probabile, Audemar governa con mano ferma le proprie terre.»

«Mandiamo indietro qualcuno a prendere una lettiga, Milord?» domandò il sovrintendente. «Ma non è un gran peso, forse potremmo cavarcela portandola a turno avvolta nel suo mantello.»

«Sì, è inutile fare un altro viaggio. E voi, intanto, andate con Jehan a Elford a chiedere se sanno qualcosa, se qualcuno l'ha vista o ha parlato con lei. No, prendete due uomini con voi. Non voglio che corriate qualche pericolo, se vi fossero davvero in giro dei fuorilegge.»

Il sovrintendente obbedì immediatamente e, presa una torcia, si avviò con due compagni. La piccola luce andò via via decrescendo lungo il sentiero verso Elford, finché non svanì nel buio, mentre gli altri uomini sollevavano la povera morta e la posavano di lato per stendere sul terreno il suo mantello.

«Guardate, c'era neve sotto di lei!» esclamò Cadfael. L'impronta del corpo era scura e umida dove il suo calore l'aveva fatta sciogliere, ma tutt'intorno, dove si era posato soltanto il mantello, il velo candido era quasi intatto. «È caduta quando nevicava già. Stava tornando a casa.»

Il corpo si abbandonava mollemente tra le mani degli uomini, freddo per il gelo esterno, non per il rigor mortis. Lo avvolsero nel mantello, legandolo stretto con tre cinture e il cordiglio del monaco da usare come maniglie per sorreggerlo. E così, la povera Edgytha tornò finalmente a Vivers.

Là erano ancora tutti alzati, inquieti, incapaci di dormire finché non avessero saputo che cos'era accaduto. Una cameriera vide entrare nel cortile il mesto corteo e corse ad avvertire la padrona, cosicché quando i portatori giunsero nel vestibolo, tutta la starnazzante colombaia delle domestiche era di nuovo radunata, l'una stringendosi all'altra per farsi coraggio.

Emma prese il comando con un vigore che nessuno si sarebbe aspettato da una persona tanto dolce e gentile, impartendo ordini con un'autorità che non lasciava spazio per lacrime o lamenti: fece approntare in una camera una tavola su cavalietti come catafalco e portare acqua calda e lenzuoli, provvedendo lei stessa a comporre ordinatamente la salma. Queste incombenze servirono alla morta come ai vivi, tenendoli occupati con le mani e con la mente, consolandoli con le cure presenti di eventuali manchevolezze passate. E ben presto il mormorio di voci proveniente dalla camera ardente passò dal tono di angustia e sgomento a quello di un'elegiaca cantilena.

Emma tornò nel vestibolo, dove il marito e i suoi aiutanti si stavano riscaldando davanti al fuoco le mani e i piedi intirizziti.

«Cenred, com'è possibile? Chi può avere commesso una simile infamia?»

Domande alle quali naturalmente nessuno fu in grado di rispondere.

«Dove l'avete trovata?»

A questo rispose Cenred, passandosi una mano sulla fronte corrugata. «A circa mezza strada tra qui ed Elford, sul ciglio del sentiero. E non era là da molto tempo, perché c'era neve sotto il suo corpo. Era diretta a casa, quando qualcuno l'ha aggredita.»

«Pensate che fosse andata a Elford, allora?»

«E dove altro, da quella parte? Ho già mandato là Edred a informarsi se v'era arrivata, se qualcuno aveva parlato con lei. Dovrebbe essere di ritorno entro un'ora, Dio solo sa con quali notizie.»

Giravano entrambi cautamente intorno al nocciolo della questione, evitando con cura di nominare Roscelin o di accennare, fosse pure di sfuggita, al motivo che aveva indotto Edgytha a uscire sola in una sera come quella. Però la voce ormai si era sparsa tra i domestici e tutti si andavano raggruppando ansiosi, quelli di casa lì in un angolo del vestibolo e gli altri fuori nei cortili, incapaci di tornare alle proprie mansioni e persino di ritirarsi per il normale riposo senza sapere qualcosa di preciso. Alcuni, in maggiore intimità col loro signore, erano forse al corrente dell'amore proibito di Roscelin e molti, probabilmente, avevano intuito che cosa si nascondeva dietro il frettoloso matrimonio di Helisende: meglio non parlare troppo davanti a loro.

Poco dopo, a complicare le cose, sopraggiunse Jean de Perronet, sceso dalla camera dove si era ritirato per un atto di riguardo, non certo per dormire, perché era tuttora elegantemente vestito come a cena. Poi comparve fratello Haluin, taciturno e ansioso sulle sue grucce, e infine tutti i presenti, in quella tragica sera, tornarono via via nel vestibolo.

No, non tutti, osservò Cadfael guardandosi intorno. Mancava una persona. Come mai Helisende non era venuta a unirsi a tutti gli altri?

A giudicare dalla sua espressione, de Perronet doveva aver riflettuto a lungo, dopo essersi arreso alla volontà del suo ospite, rinunciando ad aggregarsi al gruppo che usciva alla ricerca di Edgytha. Col viso grave e composto, sostò per qualche momento a osservare i presenti, soffermandosi in particolare su Cenred, ritto davanti al focolare ad asciugarsi gli stivali, con la testa china e lo sguardo vacuo fisso sui tizzoni ardenti.

«Non è andata bene, pare», disse risolutamente. «L'avete trovata, la vostra domestica?»

«Sì, l'abbiamo trovata», rispose Cenred, avvilito.

«Ferita? Morta? L'avete trovata morta?»

«E non di freddo! Uccisa con una pugnalata e abbandonata là di fianco al sentiero. Non abbiamo trovato tracce di nessun altro, là intorno, benché non fosse passato molto tempo. È stata uccisa dopo che aveva cominciato a nevicare.»

«Era con noi da diciotto anni», gemette Emma torcendosi le mani. «Pover'anima, finire così... aggredita da un vagabondo fuorilegge e lasciata a morire in mezzo alla neve! Perché, perché le è accaduta una simile disgrazia?»

«Ne sono profondamente addolorato anch'io», disse de Perronet. «In un momento come questo, poi! Può esservi qualche collegamento tra il motivo che mi ha condotto qui e la morte di quella poveretta?»

«No!» proruppero all'unisono marito e moglie, come per respingere quel pensiero già nato nella loro mente, più che per mentire all'ospite. «No», continuò in tono più sommesso Cenred. «Mi auguro di no, sono certo che non è così. È la più malaugurata delle possibilità, comunque non più che una vaga possibilità.»

«Esistono sempre ipotesi deprecabili», osservò de Perronet. «Anche nei momenti più felici, persino nei matrimoni. Non intendete rimandare questo, vero?»

«No, perché mai? È un dolore nostro, non dovete soffrirne voi. Ma si tratta di un omicidio, dovrò avvertire lo sceriffo perché inizi subito la caccia all'assassino. Che io sappia, Edgytha non aveva parenti prossimi, e quindi tocca a noi provvedere alla sepoltura. Faremo tutto quanto è necessario, ma nessun'ombra deve riflettersi su di voi.»

«Temo che sia già accaduto per Helisende», obiettò lo sposo. «Era la sua bambinaia, se non sbaglio, e lei le era molto affezionata.»

«Ragione di più perché la portiate via da qui al più presto, in una casa nuova, verso una nuova vita.»

Cenred si guardò in giro per la prima volta a cercare la sorella e fu stupito di non vederla, ma al tempo stesso contento che non fosse lì a complicare ancora di più una situazione già abbastanza difficile. Se era andata a letto ed era riuscita a prendere sonno, meglio così, che dormisse tranquilla e non sapesse niente fino all'indomani. Le donne erano tornate dalla camera dove Edgytha giaceva composta nell'eterno riposo, non avevano più altro da fare e la loro presenza, in un gruppo taciturno e timoroso, cominciava a diventare opprimente. Cenred guardò la moglie.

«Emma, mandate a letto le vostre donne. Non c'è più bisogno di loro, è inutile che stiano qui. E voi, amici, andate a riposare. Tutto ciò che si poteva fare è stato fatto, manca solo che Edred torni da Elford; però non è necessario che la casa intera resti ad aspettarlo. L'ho mandato con due compagni a informare il mio signore dell'accaduto», spiegò rivolgendosi a de Perronet. «Un omicidio da queste parti è di sua competenza, riguarda lui quanto me. Venite, Jean, andiamo nel salone, staremo più comodi.»

Senza dubbio, rifletté Cadfael notando l'espressione leggermente infastidita di Cenred, preferirebbe di gran lunga che il caro Jean si ritirasse in buon ordine, senza ficcare oltre il naso in questa faccenda, ma non v'è alcuna probabilità che lo faccia. E per quanto lui giri attorno al vero motivo che lo ha indotto a mandare il suo sovrintendente a Elford, il semplice nome di quel posto ha assunto ora un significato che è impossibile eludere. E Cenred non è tipo né da ricorrere senza scrupoli all'inganno, né da praticarlo con piacere e abilità.

Le donne, obbedienti agli ordini, si erano allontanate per ritirarsi nelle proprie stanze mentre altri servitori spegnevano le torce, meno due ai lati della porta d'ingresso, e spargevano un po' di cenere sul fuoco perché ardesse lentamente durante la notte. De Perronet seguì Cenred fino alla porta del salone, dove questi si voltò, facendo cenno a Cadfael di andare con loro.

«Voi siete un testimone, fratello, potete attestare come l'abbiamo trovata. Siete stato proprio voi a farci notare che era già cominciato a nevicare quand'è caduta. Vi dispiace aspettare insieme con noi e sentire quali notizie ci porterà il mio sovrintendente?»

Né parole né cenni lasciarono intendere se l'invito includesse anche fratello Haluin, ma lui, ignorando l'occhiata ammonitrice di Cadfael, decise di fare come se fosse così. Era già accaduto più di quanto bastasse per mettere in subbuglio la sua mente, se doveva unire due persone in un matrimonio di cui si poteva sospettare che avesse causato una morte. Doveva sapere che cosa si nascondeva dietro quei vagabondaggi notturni ed esimersi eventualmente da quell'incarico, se ne vedeva un motivo. Strinse i denti e seguì i due nel salone, dove sedette su una panca nell'angolo più buio, spettatore discreto, mentre Cenred si abbandonava su una sedia davanti al tavolo, appoggiandovi i gomiti e stringendosi la testa fra le mani.

«I vostri uomini sono a piedi?» domandò de Perronet.

«Sì.»

«Allora dovremo aspettare un bel po', prima che tornino. Ne avete altri in giro?»

«No», rispose seccamente Cenred.

In un altro momento, pensò Cadfael, avrebbe risposto evasivamente o addirittura ignorato la domanda. Adesso non gli importa più niente della discrezione. Un omicidio porta a galla questioni non meno penose, sempre presenti come un'ombra in agguato nel buio.

Trattenendosi dal fare altre domande, de Perronet si dispose ad aspettare pazientemente. La notte si era chiusa intorno al maniero, immobile e tacita, minacciosa e opprimente. Forse non tutti si erano ritirati nelle loro camere, ma, se qualcuno si muoveva, lo faceva quasi furtivamente e, se parlava, si limitava a un sussurro.

L'attesa, tuttavia, non fu lunga. Il silenzio fu bruscamente interrotto da un affrettato scalpitare di zoccoli sul terreno ghiacciato del cortile e da una collerica voce giovanile che chiamava in tono perentorio un servitore. Al precipitoso accorrere di stallieri che seguì, fuori, si accompagnò lo scompiglio dei domestici ancora alzati, in casa. Piedi che correvano alla cieca, inciampando nell'oscurità, scintille da pietra focaia e acciarino troppo brevi per dar fuoco all'esca, finché una torcia non venne affondata tra le braci del focolare e usata per accendere in gran fretta le altre. Prima che qualcuno uscisse dal salone, attirato da quel trambusto, si udirono colpi furiosi bussati alla porta e la stessa voce minacciosa che chiedeva di entrare.

Due o tre domestici corsero ad aprire, ma furono scaraventati all'indietro dal pesante battente, spalancato con violenza e, nella luce delle torce, eruppe la figura di Roscelin, a capo scoperto, con i capelli biondi scomposti dalla cavalcata e gli occhi sfavillanti di adirato sdegno. Con lui entrò nel vestibolo un'ondata di aria gelida che fece tremare la fiamma delle torce, mentre dal salone sopraggiungeva Cenred, che si fermò di botto alla vista del viso infuriato del figlio.

«È vero quello che mi ha detto Edred?» proruppe Roscelin. «Che cosa state tramando alle mie spalle?»

CAPITOLO IX

Mai, finora, la sua autorità paterna era stata colta in tale posizione di svantaggio, e Cenred n'era fin troppo consapevole. Né lui aveva mai avuto in famiglia la reputazione di despota alla quale far ricorso, tuttavia fece del proprio meglio per riguadagnare l'iniziativa.

«Che cosa ci fai tu, qui?» domandò severamente. «Ti ho richiamato io? Il tuo signore ti ha congedato? Qualcuno ti ha sciolto dalla tua promessa?»

«No», ammise Roscelin, tutt'altro che sottomesso. «Nessuno mi ha dato alcun permesso, e io non ne ho chiesti. Quanto alla mia promessa, me ne avete sciolto voi stesso con la vostra slealtà nei miei confronti. Non sono stato io a rompere i patti. E sono pronto a tornare al mio servizio presso Audemar de Clary, se debbo, accettando qualsiasi punizione egli voglia infliggermi per la mia mancanza, ma non prima che voi mi rendiate conto qui, apertamente, di ciò che intendevate fare alle mie spalle. Io vi ho sempre dato retta, vi ho sempre rispettato e obbedito. Non mi dovete nulla in cambio? Nemmeno l'onestà?»

Un altro padre lo avrebbe forse castigato duramente per quell'insolenza, ma Cenred preferì lasciar perdere. Emma lo stava tirando per una manica, addolorata e preoccupata per quello scontro, e de Perronet, dietro di lei, osservava allarmato quel ragazzo troppo impetuoso, certo vedendo già in lui una pericolosa minaccia ai propri progetti. Che cos'altro, difatti, poteva averlo spinto a lanciarsi come un matto nel gelo della notte e, a quanto pareva, per la strada più breve, particolarmente pericolosa col buio, altrimenti non sarebbe arrivato così presto? Niente di quanto era accaduto in quelle ultime ore era stato un caso, un puro e semplice incidente. No, la causa di quella spirale di omicidio, ricerche e inseguimento era il matrimonio di Helisende e che cos'altro li aspettava ancora, Dio solo lo sapeva.

«Io non ho fatto niente di cui debba vergognarmi», dichiarò risolutamente Cenred. «E niente di cui debba rispondere a te. Sai benissimo qual è il dovere, lo hai accettato, non venire a lamentarti ora. Sono padrone in casa mia, ho diritti e doveri nei riguardi della mia famiglia e i miei doveri li assolvo come mi sembra più opportuno. Per il meglio!»

«Senza avere la cortesia di farne parola con me!» ribatté Roscelin, avvampando come un fuoco riattizzato. «No, da Edred dovevo saperlo, quando il misfatto è già in corso, dopo una morte della quale avete voi la responsabilità. Anche questo è stato per il meglio? Osate forse dirmi che Edgytha è stata uccisa per tutt'altro motivo, per mano di un estraneo? Sarebbe già una disgrazia, anche se non vi fosse di peggio. Chi era l'autore del progetto che l'ha indotta a precipitarsi fuori di casa, nell'oscurità della notte? Osate dirmi che era un altro il suo scopo? Edred dice che andava a Elford, quand'è stata aggredita. E io sono qui per impedire il resto.»

«Vostro figlio, suppongo», intervenne de Perronet, con voce alta e gelida, «intende riferirsi al matrimonio tra madamigella Helisende e me. A questo proposito penso di avere io pure qualcosa da dire.»

I grandi occhi azzurri di Roscelin si spostarono dal viso del padre a quello dell'ospite. Era la prima volta che lo guardava e ora rimase a fissarlo per qualche momento in silenzio. De Perronet non era un estraneo, per lui, rammentò Cadfael. Le loro famiglie si conoscevano, forse erano persino lontane parenti, e due anni addietro il giovane Jean aveva già chiesto ufficialmente la mano di Helisende. Non v'era ostilità personale nello sguardo di Roscelin, ma piuttosto una sorta di risentimento confuso e avvilito contro le circostanze, non contro il pretendente favorito, che non poteva, non doveva essere un rivale.

«Voi siete lo sposo?» domandò bruscamente.

«Sì, e intendo mantenere il mio diritto. Avete qualche obiezione?»

Ostilità o no, avevano cominciato a drizzare le penne come due galli in combattimento, ma Cenred posò una mano su un braccio di de Perronet, come per frenarlo, e guardò severamente il figlio, con un brusco gesto dell'altra mano.

«Calma, calma! Arrivati a questo punto, bisogna mettere le cose in chiaro. Tu, Roscelin, intendi dirmi di aver saputo di questo matrimonio e della morte di Edgytha soltanto da Edred?»

«Certo, da chi altri? È piombato ansimante a Elford con queste notizie e ha svegliato tutti, Audemar compreso. Forse non intendeva che udissi anch'io quando ha parlato del matrimonio, invece l'ho udito ed eccomi qui per scoprire direttamente quello che voi mi tenevate nascosto. Vedremo se anche questo è stato fatto per il meglio!»

«Allora non hai visto Edgytha? Non hai parlato con lei?»

«Come avrei potuto, se giaceva morta a un miglio o più da Elford?»

«È morta dopo che era cominciato a nevicare ed era uscita da ore, quanto bastava per raggiungere Elford ed essere in cammino per tornare a casa. Perché non era certo uscita per fare una passeggiata, e dove altro poteva essere stata?»

«Così avete pensato che fosse venuta proprio a Elford», osservò Roscelin. «Io non ho mai saputo altro, se non che era morta, su una strada. Mentre veniva da me! È questo che avevate in mente? Per avvertirmi di ciò che si stava tramando qui, mentre io ero lontano?»

Il silenzio di Cenred e l'espressione infelice di Emma furono una risposta più che sufficiente.

«No», riprese Roscelin. «Io non ho visto neppure l'ombra di lei. Né io né altri della casa di Audemar, per quanto ne so. Se mai è stata là, non so con chi potesse essersi incontrata. Certamente non con me.»

«Potrebbe averlo fatto», obiettò Cenred.

«Nossignore. Non è venuta a Elford. Tuttavia», insistette il ragazzo, inesorabile, «sono qui come se lo avesse fatto, perché ciò che forse intendeva dirmi lei l'ho saputo da un'altra fonte. Dio sa se mi addolora la sua morte, ma ormai non c'è più niente da fare per lei se non seppellirla reverentemente e dopo, se sarà possibile, trovare il suo assassino. Comunque non è troppo tardi per riflettere su ciò che era in programma qui per domani, o per cambiarlo.»

«Mi stupisce che tu non accusi addirittura me per la morte di Edgytha!» esclamò aspramente Cenred.

Quell'idea mostruosa lasciò di stucco Roscelin, che fissò per un momento il padre a bocca aperta, stralunato. Farfugliò una sdegnata, inarticolata protesta, poi la lasciò a mezzo per rivolgersi di nuovo a de Perronet.

«Ma voi... voi avevate un motivo sufficiente per volerla fermare, se sapevate che veniva ad avvertire me. Voi avevate un ottimo motivo per volerla ridurre al silenzio, così che nessuna voce potesse alzarsi contro il vostro matrimonio, come io alzo ora la mia. L'avete uccisa voi?»

«Scempiaggini!» ribatté sprezzantemente de Perronet. «Sono sempre stato qui sotto gli occhi di tutti, per l'intera sera.»

«Può darsi, però avete uomini ai quali avreste potuto affidare quell'incarico.»

«Per ognuno di loro potrebbero essere garanti i domestici di vostro padre. Inoltre ora sappiamo che quella poveretta è stata uccisa non all'andata, ma al ritorno. A che cosa mi sarebbe servito, allora? E vorrei chiedere a voi, padre e figlio, quale interesse ha questo ragazzo in una parente stretta per osare di mettere in discussione i diritti di suo fratello e del suo futuro marito.»

E con questo dovrebbe essere chiuso l'argomento, pensò Cadfael. Perché de Perronet è abbastanza intelligente per aver ormai capito quale particolare, proibita passione trascina questo figliolo. E dipenderà da Roscelin se saranno salvate le apparenze o no. Che è chiedere molto a un ragazzo già tormentato come lui e sdegnato per quello che considera un tradimento. Adesso si vedrà se ha coraggio.

Il volto di Roscelin si era fatto bianco e rigido come il marmo, con gli zigomi e la mandibola messi in risalto dalla luce delle torce. Prima che Cenred ritrovasse un po' di fiato per attestare la propria autorità, suo figlio rispose per lui.

«Il mio interesse è quello di un parente che le è stato vicino come un fratello per tutta la vita e desideroso della sua felicità sopra ogni cosa al mondo. Non ho mai messo in discussione i diritti di mio padre e non dubito che egli voglia il suo bene come lo voglio io. Ma quando sento parlare di un matrimonio combinato in tutta fretta in mia assenza, come posso accettarlo serenamente? Non me ne starò a guardare in silenzio se Helisende viene spinta a un matrimonio che potrebbe non essere di suo gradimento. Non sopporterò che venga costretta o persuasa contro la propria volontà.»

«Non è certamente questo il caso», protestò con calore Cenred. «Nessuno la costringe, ha acconsentito di buon grado.»

«Allora perché mi avete tenuto all'oscuro? Finché non fosse tutto finito? Come posso credere a ciò che la vostra stessa condotta smentisce?» Roscelin si girò di scatto verso de Perronet, sforzandosi di controllare l'espressione del viso cereo. «Non nutro alcun malanimo verso di voi, non sapevo neppure chi fosse il suo promesso sposo. Ma vi renderete certamente conto anche voi che è difficile credere all'onestà di qualcosa che si fa di nascosto!»

«Bene, ora non c'è più niente di nascosto», dichiarò seccamente de Perronet. «Potreste udirlo dalle labbra di madamigella Helisende. Vi basta?»

Il viso di Roscelin si contrasse in un'espressione dolorosa e per un momento egli lottò palesemente contro l'idea di una perdita irreparabile alla quale poteva andare incontro, ma non aveva scelta, doveva accettare.

«Se mi dirà che lo desidera lei pure, allora non avrò altro da obiettare.» Ma non aggiunse che tanto gli sarebbe bastato.

Cenred si voltò a guardare Emma, rimasta lealmente al suo fianco, pur senza staccare lo sguardo turbato dal volto tormentato del figlio.

«Andate a chiamare Helisende.»

Nel silenzio pesante e inquieto che seguì l'uscita di Emma, Cadfael non riuscì a capire se a qualcuno non apparisse strano, com'era sembrato a lui, che Helisende non fosse venuta già da tempo a vedere che cosa significasse tutto quell'andirivieni notturno. Non poteva levarsi dalla mente l'ultima visione che aveva avuto di lei, sola pur in mezzo a tanta gente, a un tratto sperduta e confusa su una strada che aveva creduto di poter percorrere con dignitosa fermezza sino alla fine. In una situazione tanto diversa e fosca si sentiva disorientata, ma era tuttavia singolare che, per difendere la propria lealtà, non fosse scesa come tutti in attesa delle notizie, buone o cattive che fossero, che avrebbero portato gli uomini usciti alla ricerca di Edgytha. Forse non sapeva neppure che era morta!

Cenred era venuto avanti fino a metà del vestibolo, rinunciando al relativo isolamento del salone, per il quale oltretutto non era protezione sufficiente una porta chiusa. Una donna della sua casa era stata uccisa. Il matrimonio di una giovane della sua famiglia era diventato causa di conflitti e di morte. Non v'era più distinzione, lì, tra signori e servitori. Aspettavano tutti con uguale inquietudine. Tutti tranne Helisende, che non si era ancora fatta vedere.

Fratello Haluin si era ritratto nell'ombra e sedeva immobile e silenzioso su una panca contro una parete, con le spalle curve tra le stampelle che si teneva ai fianchi. I suoi occhi scuri e infossati passavano attenti da un viso all'altro, penetranti e indagatori. Se anche era stanco e affaticato non ne dava segno. Cadfael lo avrebbe mandato volentieri a letto, ma pareva che tutti fossero trattenuti lì da una sorta d'incantesimo. Nessuno si sarebbe mai allontanato e Haluin meno degli altri. Una persona sola aveva resistito. Una persona sola si era sottratta a quell'influsso.

«Che cosa diavolo stanno facendo quelle due?» sbuffò Cenred spazientito, dopo qualche tempo. «Quanto ci vuole per infilare un vestito?»

Ma altri minuti trascorsero prima che Emma riapparisse nel vano della porta, col viso gentile costernato e sgomento, cincischiandosi il corpetto con dita tremanti. Dietro di lei c'era Madlyn, con gli occhi sbarrati. Di Helisende, nemmeno l'ombra.

«È sparita!» proruppe, troppo sconvolta per dare la notizia con qualche riguardo. «Non è a letto, né in camera sua, né da qualsiasi altra parte della casa. Jean è andato a controllare nelle scuderie. È sparito anche il suo cavallo con tutti i finimenti. Mentre voi eravate fuori, lo ha sellato lei stessa e se n'è andata di nascosto, sola.»

Ammutolirono tutti, fratello, promesso sposo, innamorato deluso, servitori... Mentre loro facevano progetti, si angustiavano, altercavano riguardo al suo futuro, lei aveva deciso per conto proprio, piantandoli tutti in asso. Sì, anche Roscelin, che se ne stava lì sorpreso e allibito, perplesso non meno degli altri. Per quanto suo padre lo guardasse corrucciato e de Perronet palesemente insospettito, era chiaro che egli non aveva avuto niente a che fare con quella fuga improvvisa. Ancora prima che si sapesse della morte di Edgytha, rimuginò Cadfael, la sua missione misteriosa e il suo mancato ritorno avevano infranto la sicurezza faticosamente raggiunta di Helisende. Sì, de Perronet era un uomo gentile, uno sposo degno del massimo rispetto e lei lo aveva accettato per allontanarsi da Roscelin, per togliere entrambi da una situazione insostenibile, ma se il suo sacrificio doveva generare soltanto collera, pericoli e conflitti, per non parlare di morte, allora cambiava tutto. Helisende si era tirata indietro e aveva scelto la libertà.

«È fuggita!» ansimò Cenred. «Come ha potuto farlo, senza che nessuno la vedesse? Dov'erano le sue ancelle? Non c'era uno stalliere nelle scuderie a chiederle dove andava, o almeno per venire ad avvertirci?»

Si passò desolato una mano sul viso e fissò il figlio con espressione ancora più severa. «E dove può essere fuggita, se non da te? L'hai nascosta da qualche parte e poi ti sei precipitato qui fingendoti indignato per nascondere l'imbroglio?»

Era venuto fuori, ora, e non v'era modo di ritrattare.

«Non crederete sul serio una cosa simile!» protestò Roscelin, offeso. «Non l'ho vista, non ho mai avuto una sola parola da lei né lei da me, lo sapete benissimo! Sono venuto da Elford per la stessa strada seguita dai vostri uomini, ci saremmo incontrati, se l'avesse presa lei. E pensate che l'avrei lasciata proseguire sola, di notte, ovunque fosse diretta? Se ci fossimo incontrati, saremmo insieme, ora, dove che fosse.»

«Consideriamo anche la strada maestra», suggerì de Perronet. «È più lunga, il che a cavallo non avrebbe molta importanza, ma molto più sicura. Potrebbe aver preferito quella, se intendeva davvero andare a Elford, anziché affrontare i rischi della scorciatoia.»

Parlava con voce secca e gelida e i tratti del suo viso erano composti in un'espressione grave, ma era un uomo pratico, non intendeva sprecare parole o commozione sull'amore sbagliato di un giovincello, che non minacciava la sua posizione. Le nozze che lui desiderava erano fissate di comune accordo, non dovevano essere e non sarebbero state annullate. Ciò che importava, ora, era ritrovare sana e salva la sposa.

«Può darsi», convenne Cenred, rincuorato. «È probabile che lo abbia fatto. Se arriverà a Elford, sarà al sicuro ma, comunque, andremo a cercarla anche là, meglio non lasciare nulla al caso.»

«Ci tornerò io per quella strada», si offrì ansioso Roscelin, e si sarebbe precipitato di corsa verso la porta se de Perronet non lo avesse trattenuto prendendolo per un braccio.

«No, non voi! Non mi piace l'idea che possiate incontrarvi, voi due. Lasciate che vada vostro padre, è sua sorella, e desidero io pure che possa essere di nuovo qui, a dirvi chiaro e tondo come la pensa. E quando lo avrà fatto, ragazzino, sarà meglio che vi rassegniate e teniate a freno la lingua.»

Ma a Roscelin non piacque affatto sentirsi quella mano addosso e tanto meno venire disprezzato da un uomo col quale riteneva di essere alla pari per rango e statura, anche se non per età e sicurezza di sé. Si liberò con uno strattone, facendo il viso scuro per evitare altri soprusi.

«Bene, trovate dunque Helisende e permettetele di dire qual è veramente la sua volontà, non la vostra, sir, né quella di mio padre o di chiunque altro, signore, prete o re che sia, e sarò soddisfatto. Ma anzitutto», aggiunse fissando il padre con un'espressione di sfida e di preghiera a un tempo, «trovatela, fate che io possa vederla qui, incolume e trattata col massimo riguardo. Che altro importa, ora?»

«Vado io stesso», dichiarò Cenred, ritrovando la propria autorità, e tornò a gran passi nel salone a riprendere il suo mantello.

Ma non vi furono altre cavalcate da Vivers, quella notte. Cenred si era appena gettato il mantello sulle spalle e nelle scuderie gli stallieri erano tuttora indaffarati con selle e finimenti, quando si udì avvicinarsi un precipitoso scalpitare di zoccoli, voci che interrogavano e altre che rispondevano al portone, poi il tonfo sordo degli zoccoli echeggiò sul terreno indurito dal gelo nel cortile, facendo accorrere tutti verso la porta del vestibolo per vedere chi mai arrivasse a quell'ora così inoltrata.

Edred e i suoi compagni avevano proseguito a piedi ed era logico che a piedi tornassero e lì invece c'erano uomini a cavallo. Servitori muniti di torce uscirono nel buio, subito seguiti da Cenred, Roscelin e de Perronet.

La luce guizzante delle torce illuminò i tratti marcati e la figura massiccia di Audemar de Clary che smontava, gettando le briglie a uno stalliere, e dietro di lui Edred e i suoi due compagni, in sella a cavalli evidentemente avuti in prestito, insieme con tre uomini dello stesso Audemar.

Cenred scese di corsa la gradinata. «Milord», esclamò, una volta tanto in tono molto formale con l'amico che era anche il suo signore, «non mi aspettavo davvero di vedere voi qui, ma arrivate proprio al momento giusto e pertanto siete ancora più gradito. Dio sa se vi stiamo procurando abbastanza guai con l'omicidio che ci ha toccati da vicino, ve ne avrà già parlato Edred, penso. Un omicidio nella vostra giurisdizione. È difficile crederlo, ma purtroppo è così.»

«Sì, l'ho saputo», assentì Audemar. «Ma entriamo e raccontatemi tutto. Non possiamo fare niente prima di mattina.» Poi, mentre entrava nel vestibolo, gli cadde l'occhio su Roscelin, notò la sua espressione angosciata, anche se non pentita, e aggiunse in tono tollerante: «Tu qui, figliolo? Questo in fondo me l'aspettavo».

Evidentemente, il reale motivo del bando di Roscelin non era un segreto per il suo signore che parteggiava per lui, lo comprendeva e per poco non scusava la sua follia. Gli batté affettuosamente una mano su una spalla, passandogli accanto, e cercò di trainarlo con sé nel salone. Ma Roscelin resistette e lo prese ansioso per una manica.

«Milord, c'è altro da dire! Padre», pregò appassionatamente, «parlate voi! Se si era diretta a Elford, dov'è adesso? Milord, Helisende è sparita, è uscita sola a cavallo e mio padre pensa che intendesse venire là, a cercare me! Ma io sono venuto per la strada più breve e non l'ho vista. Si è davvero rifugiata da voi? Oh, liberatemi da quest'ansia... Ha preso la strada maestra? È sana e salva a Elford, ora?»

«No, non c'è!» Irritato da quella nuova complicazione, Audemar passò bruscamente lo sguardo dal figlio al padre e poi di nuovo al figlio, rendendosi conto dell'apprensione che li tormentava. «Veniamo ora da quella strada e non abbiamo visto né lei né alcuna traccia del suo passaggio. Da una strada o dall'altra, qualcuno di noi l'avrebbe incontrata, se ci fosse stata. Ma andiamocene di là nel salone, fra noi», aggiunse prendendo Cenred per un braccio, «e vediamo di raccogliere le idee, di mettere insieme ciò che sappiamo rispettivamente, così da essere pronti a fare i passi necessari, domattina, senza sprecare altro tempo. Voi, Milady, dovreste andare a riposare un poco, non possiamo fare niente, per il momento, e d'ora in poi mi assumerò io ogni responsabilità. È inutile che restiate alzata tutta la notte.»

Appariva ormai chiaro chi fosse il padrone della situazione ed Emma fu ben contenta di obbedire all'invito. Congedandosi con un'occhiata mesta e affettuosa dal marito e dal figlio, se ne andò senz'aprir bocca per quel po' di sonno che poteva sperar di trovare prima dell'alba.

Uscita lei, Audemar girò lo sguardo per tutto il salone, uno sguardo amichevole e tuttavia autoritario, come un congedo per gli estranei. Si soffermò un momento sui due benedettini che si tenevano riguardosamente in disparte, li riconobbe e sorrise, con un breve cenno di rispetto per il loro abito.

«Buonanotte, fratelli!» disse e chiuse risolutamente la porta, ritirandosi in colloquio privato con i Vivers e il loro aspirante cognato e zio.

CAPITOLO X

«Giusto!» esclamò fratello Haluin, disteso sul letto ma perfettamente sveglio, rompendo il lungo silenzio osservato nel trovarsi a contatto con i guai altrui. «Buonanotte, fratelli, e addio! Più niente matrimonio. Si è perduta la sposa. E anche se tornasse, non si potrà procedere come se nessun incidente fosse intervenuto a destare tante perplessità. Quando ho accettato questo peso, perché anche senza tante complicazioni era già tale, pareva che fosse indubbiamente la soluzione migliore, per quanto dolorosa. Ma ora vi sono ottimi motivi per dubitarne.»

«Non sembrate troppo dispiaciuto per essere stato esonerato dall'incarico!» osservò Cadfael.

«E non lo sono, infatti. Dispiaciuto sì, lo sa Iddio, per la morte di quella povera donna, perché quei due ragazzi sono profondamente e irrimediabilmente infelici, ma non intendo addossarmi la responsabilità davanti a Dio di unire la fanciulla a qualsiasi uomo, finché non avrò ritrovata la certezza che ho perduta. È un bene che se ne sia andata, in un rifugio sicuro, spero e prego. E ora non ci rimane altro che andarcene a nostra volta. Non abbiamo più niente da fare qui, de Clary ce lo ha quasi detto in faccia e Cenred ne sarà felice.»

«E voi avete un voto da mantenere, senza altri ritardi», aggiunse Cadfael, dibattuto tra il sollievo e il rimpianto.

«Ho già tardato troppo. È tempo che io riconosca quanto lievi siano le mie pene e quanto grande sia la parte che mi sono attribuita, una parte che ho scelto soltanto per miei motivi personali, ma ora intendo spendere per motivi ben più validi la vita che mi resta, lunga o breve che sia.»

Questo viaggio dunque non è stato inutile, rifletté Cadfael. Per la prima volta Haluin si è avventurato nel mondo dal quale era fuggito in preda ai rimorsi per la propria colpa e la perdita che ne era seguita, e lo ha trovato colmo di dolore in cui il suo è caduto e si è perso come una goccia di pioggia nel mare. In tutti questi anni si è mostrato esteriormente ligio al dovere e rispettoso della Regola, mentre si tormentava in disperata solitudine. La sua vera vocazione comincia ora. Una volta toccato dalla luce, potrebbe mostrarci di quale stoffa sono fatti i santi. Quanto a me, sono un impenitente incallito.

Perché in cuor suo non avrebbe voluto andarsene da Vivers, lasciando tanti problemi insoluti. Tutto ciò che aveva detto Haluin era vero. La sposa era sparita, non si potevano più celebrare nozze di sorta, non v'era più alcun motivo per trattenersi lì e Cenred sarebbe stato davvero felice della loro partenza. Ma lui, Cadfael, non lo era affatto, al pensiero di lasciarsi alle spalle un delitto invendicato, la giustizia calpestata, un'iniquità alla quale non v'era rimedio.

Altrettanto vero che era Audemar de Clary il signore del feudo e toccava a lui, potente e risoluto, occuparsi di crimini che avessero ad accadere nell'ambito della sua giurisdizione e Cadfael non poteva dirgli nulla di più.

E, in fin dei conti, che cosa sapeva per certo lui, in quella dolorosa vicenda? Che Edgytha era morta parecchie ore dopo che si era allontanata da casa, quando era già cominciato a nevicare, che quindi stava tornando a Vivers e aveva avuto tutto il tempo per arrivare a Elford. Che non era stata derubata, come le sarebbe potuto accadere con un qualsiasi predone di strada, ma che l'assassino si era limitato a ucciderla. Ma se non per impedirle di parlare con Roscelin, per chiuderle la bocca prima che fosse di ritorno a Vivers. E perché? Quale nesso esisteva tra Elford e Vivers, se non l'esilio di Roscelin? Quale altro motivo poteva esservi per temere una spiata, all'infuori del progettato matrimonio?

Però Edgytha non aveva parlato col ragazzo, né con Audemar né con altri della casa. Se era stata davvero a Elford, come mai nessuno l'aveva neppure vista? E se non c'era stata, dove era andata?

E ancora, se lui stesso, Emma e Cenred si erano sbagliati, che cosa aveva inteso dire Edgytha parlando di un gatto da mettere tra i piccioni?

Con ogni probabilità non avrebbe mai trovato risposta a quelle domande né saputo quale sorte aspettasse la fanciulla scomparsa, il suo infelice innamorato e i loro parenti preoccupati e afflitti. Peccato! Ma non v'era niente da fare, lui e Haluin non potevano andare oltre i limiti del lecito in una situazione come quella. Non appena la servitù fosse stata in piedi, avrebbero dovuto congedarsi e riprendere la via di Shrewsbury. Nessuno se ne sarebbe dispiaciuto e loro sarebbero dovuti essere a casa già da tempo.

La mattina era grigia, ma le nubi che velavano il cielo erano alte, senz'alcuna minaccia di altra neve, e anche il freddo si andava attenuando. Soltanto pochi ricami bianchi erano rimasti alla base dei muri e sotto alberi e cespugli. Non sarebbe stata una cattiva giornata per viaggiare.

La servitù era già indaffarata di buon'ora, dopo un breve sonno, consapevole che l'aspettava un'altra giornata difficile. Qualunque decisione fosse stata presa nel corso della solenne riunione nel salone, a qualunque rifugio si fosse pensato per Helisende, non v'era dubbio che Audemar avrebbe spedito pattuglie a perlustrare tutte le strade dei dintorni, a indagare in ogni luogo, per il caso che qualcuno, da qualche parte, avesse visto Edgytha o scorto un'ombra furtiva lungo la strada che lei aveva seguito.

Erano già tutti radunati nel cortile, con i cavalli sellati, in attesa di ordini, quando i due monaci, in stivali e mantello, andarono a cercare Cenred per prendere congedo da lui. Lo trovarono nel vestibolo, occupato col sovrintendente, e furono accolti con fredda cortesia.

«Debbo scusarmi con voi, fratelli, per avervi trascurato tanto. Se abbiamo dei guai, non dovete soffrirne voi. Fate conto di essere a casa vostra.»

«Milord», ribatté Haluin, «vi siamo molto grati per la vostra cortesia, ma dobbiamo metterci in viaggio. La mia presenza qui non è più necessaria, dal momento che non esiste più alcun segreto. E noi abbiamo dei doveri che ci aspettano, alla nostra abbazia. Siamo venuti per congedarci da voi.»

Troppo onesto per fingersi dispiaciuto, Cenred non fece obiezioni. «Vi avevo trattenuti per uno scopo preciso, che ora purtroppo è andato in fumo, ma, dovete credermi, le mie intenzioni erano buone. Vi auguro un felice viaggio.»

«E a voi, noi auguriamo che possiate ritrovare al più presto la giovane signora sana e salva», ricambiò Haluin. «E che Dio vi assista nelle vostre difficoltà.»

Cenred non offrì loro cavalli, almeno per la prima parte del viaggio, come aveva fatto Adelais de Clary, ma li accompagnò fino alla porta e rimase a guardarli mentre scendevano la gradinata. Respirò di sollievo quando li vide finalmente allontanarsi nel cortile, felice di essersi liberato di quel fastidio, e tornò dal sovrintendente.

Roscelin, indispettito per il ritardo, era già accanto al portone, con le briglie in mano, e guardava spazientito verso la casa in attesa che suo padre o Audemar dessero il segnale della partenza. Gli si leggeva in viso l'ansia che lo torturava, ma riuscì ugualmente a sorridere ai due monaci.

«Tornate a Shrewsbury? Bene, vi auguro un viaggio tranquillo.»

«E a voi una felice conclusione delle vostre ricerche», auspicò Cadfael.

«Felice, per me?» ribatté il ragazzo, rannuvolandosi di nuovo. «Come potrebbe esserlo?»

«Se la trovaste indenne e al sicuro, non sposata con un uomo che non ha scelto lei, sarebbe una buona porzione di felicità, no? Dubito che potreste chiedere di più. Per il momento, almeno. Accettate ciò che di buono vi offre il cielo e siatene grato. Potreste poi ottenere altro, in seguito.»

«Parlate di cose impossibili, fratello, ma capisco che sono l'espressione della vostra premura per me e vi ringrazio.»

«Dove comincerete a cercare Helisende?» domandò Haluin.

«A Elford, naturalmente, per accertare che non sia arrivata davvero là, senza che nessuno di noi l'abbia vista lungo la strada. Poi ai manieri dei dintorni, per il caso che qualcuno sappia qualcosa di lei o di Edgytha. Non può essere andata molto lontano.» La tragica morte della sua bambinaia lo aveva dolorosamente colpito, ma quella che occupava quasi per intero la sua mente era Helisende.

I due monaci lo lasciarono così, irritato e tormentato, più irrequieto del cavallo che scalpitava al suo fianco. Quando, varcato il portone, si voltarono, Roscelin aveva infilato il piede in una staffa e i suoi compagni, dietro di lui, stavano montando in sella a loro volta. Per tornare a Elford, anzitutto, dove sembrava più probabile che Helisende avesse cercato riparo, sfuggendo in qualche modo alla vista di Roscelin o degli altri cavalieri, lungo la strada. Cadfael e Haluin dovevano andare invece nella direzione opposta, verso occidente. All'arrivo avevano svoltato dalla strada maestra verso nord, attirati dalle luci di Vivers, ma ora non tornarono da quella parte, si diressero a ovest, seguendo un sentiero ben battuto che costeggiava il muro di cinta. Poco dopo, all'udire i cavalieri di Audemar che uscivano dal portone, si fermarono a guardare il variopinto corteo che si allontanava e spariva tra gli alberi della prima cintura di boschi.

«E così è tutto finito?» mormorò Haluin, accorato. «Non sapremo mai che cosa ne sarà di loro! Povero figliolo, prigioniero di una situazione senza speranza. Il suo unico conforto al mondo dev'essere quello di vedere almeno Helisende felice, sempre che questo sia possibile senza di lui. Io so bene che cosa debbono patire!»

Ma il caso era definitivamente chiuso per i due monaci, non v'era senso a restar lì a guardare. Si rimisero in cammino, preceduti dalle proprie ombre allungate che il sole alle loro spalle, aprendosi un varco tra il lieve velo di nubi, proiettava sull'erba umida.

«Ormai dovremmo avere oltrepassato da un bel po' Lichfield, che è più a sud», osservò Cadfael facendo un rapido calcolo, quando si fermarono presso un filare di alti, folti cespugli per un frugale desinare composto di pane, formaggio e listerelle di bacon. «Non importa, troveremo un letto da qualche parte, prima che faccia buio.»

Frattanto il cielo si era fatto limpido e terso e la campagna intorno a loro era gradevole, ma scarsamente popolata. Poiché avevano dormito così poco quella notte, procedettero senza fretta, sostando per un breve riposo ovunque se ne offrisse loro la possibilità, talvolta una piccola radura artificiale dove trovavano una panca e qualcuno con cui scambiare due parole.

Con l'approssimarsi della sera si alzò un vento leggero ma pungente, che segnalò loro la necessità di trovare un riparo per la notte. Adesso si trovavano in una zona dov'erano tuttora evidenti i segni delle devastazioni subite cinquant'anni prima, quando gli abitanti, non particolarmente felici dell'arrivo dei normanni, avevano duramente pagato il fio della propria ostilità: relitti sparsi di abitazioni cadute in rovina tra erba e rovi, le macerie di un mulino sgretolato nella sua stessa gora invasa dalla vegetazione selvatica. I villaggi erano pochi e radi e Cadfael prese a scrutare il paesaggio alla ricerca di qualche segno che rivelasse l'esistenza di un casolare abitato.

Finalmente scorsero un vecchietto intento a raccogliere legna tra alcuni alberi, il quale raddrizzò la schiena per rispondere al loro saluto, fissandoli incuriosito.

«Meno di mezzo miglio più avanti, fratelli, vedrete sulla vostra destra la cinta di un convento di monache che vi ospiteranno sicuramente. Sono persino del vostro stesso ordine, benedettine anche loro.»

«Non sapevo che ve ne fosse uno da queste parti», disse Cadfael. «Come si chiama?»

«Farewell, come il villaggio vicino. Esiste soltanto da tre anni, lo ha fatto costruire il nostro vescovo. Sarete i benvenuti, là.»

I due monaci lo ringraziarono e proseguirono col cuore più leggero.

«Ricordo di aver sentito parlare di questo posto», disse Haluin. «O quanto meno delle intenzioni del vescovo di costruire un nuovo monastero qui da qualche parte, vicino alla sua cattedrale. Ne aveva parlato anche Cenred la sera in cui siamo arrivati a Vivers, ricordate? L'unica casa benedettina nei dintorni, ha detto, quando ci ha chiesto da dove venissimo. È stata una buona idea scegliere questa strada.»

Dopo una lunga giornata di cammino, cominciavano a venirgli meno le forze, nonostante le ripetute soste, e respirarono entrambi di sollievo quando, oltre uno spazio erboso attorniato da quattro o cinque linde casette, scorsero la lunga cinta del nuovo monastero sopra la quale svettava il campanile. Svoltarono da quella parte e un largo sentiero li condusse a una modesta portineria in legno. Porta e spioncino erano chiusi ma, come tirarono la fune della campanella, il tintinnio destò una serie di echi che si ripeterono in distanza e poco dopo vi rispose un rapido e leggero rumore di passi.

Lo sportello dello spioncino si abbassò e nel piccolo riquadro apparve un visetto giovanile, roseo e sorridente. Grandi occhi azzurri scrutarono i visitatori e riconobbero l'abito benedettino.

«Buonasera, fratelli», disse una voce gaia e squillante. «Ancora in giro a quest'ora? Possiamo offrirvi un tetto e un letto, se volete.»

«Stavamo appunto per chiedervelo», ribatté Cadfael. «Potete ospitarci per questa notte?»

«Anche di più, se è necessario. I monaci del nostro ordine sono particolarmente benvenuti. Siamo un po' lontano dalla strada maestra e pochi conoscono la nostra casa. Sarà un piacere ospitarvi.»

Si udì uno scorrere di catenacci, il battente si spalancò e la sorella portinaia, gentilmente, fece loro cenno di entrare.

Non poteva avere più di sedici o diciassette anni, giudicò Cadfael, una giovinetta all'inizio del noviziato, probabilmente figlia minore in una delle tante famiglie di piccola nobiltà ma povere, dove avrebbe avuto poco da sperare quanto a dote e scarse prospettive di un buon matrimonio. Piccolina e rotondetta, non molto bella ma fresca e genuina come il pane appena sfornato, splendente d'entusiasmo per la sua nuova vita e, a quanto pareva, senz'alcun rimpianto per il mondo che aveva abbandonato.

«Venite da lontano?» domandò, osservando turbata la faticosa andatura di Haluin.

«Da Vivers», rispose prontamente lui, per rassicurarla. «Non è tanto lontano e abbiamo camminato senza fretta.»

«Dove siete diretti?»

«A Shrewsbury. La nostra casa è l'abbazia dei Santi Pietro e Paolo.»

«Quella sì che è lontana!» commentò la suorina scuotendo la testa. «Avete bisogno di una buona notte di riposo, allora. Vi dispiace aspettare qui, mentre vado ad avvertire sorella Ursula che ha ospiti? È lei l'addetta alla foresteria. Monsignor vescovo ci ha fatto mandare due sorelle più anziane da Polesworth per qualche tempo, perché istruiscano le novizie. Siamo tutte nuove, qui, e abbiamo tanto da imparare, in aggiunta a tutto il lavoro per la casa e il giardino. Ci hanno mandato sorella Ursula e sorella Benedicta. Sedete e scaldatevi un poco, torno subito.»

E se ne andò con passo leggero e quasi danzante, gioiosa nei suoi nuovi compiti monacali come lo sarebbe stata una sposina nella sua nuova vita.

«È veramente felice», osservò Haluin, ammirato. «Non è stato un ripiego, per lei. Possiede fin dal principio quello che io ho trovato soltanto dopo tutti questi anni. Le sorelle di Polesworth debbono essere molto savie e avvedute, se le chiamano per siffatte incombenze.»

Sorella Ursula era alta e magra, sulla cinquantina, con un viso segnato da rughe dovute più all'esperienza che all'età, a un tempo sereno, rassegnato e vagamente divertito, come se lei avesse conosciuto e accettato tutte le stramberie umane e più niente ormai potesse sorprenderla e sconcertarla. Quelle fanciulle di Farewell, rifletté Cadfael, erano fortunate ad avere una maestra simile.

«Benvenuti tra noi, fratelli!» esclamò entrando nella portineria, con la giovane portinaia raggiante al suo fianco. «La madre badessa sarà felice di ricevervi domattina, ma frattanto dovete aver bisogno di cibo e riposo, tanto più se vi aspetta un viaggio così lungo. Venite con me, c'è sempre una camera pronta per eventuali ospiti e i nostri confratelli sono i più graditi.»

Li guidò in un cortiletto davanti alla chiesa, una modesta costruzione in pietra non ancora completata, come dimostrava il vario materiale accatastato al suo fianco. In soli tre anni avevano edificato la chiesa e tutta l'ossatura del chiostro, fuorché sul lato meridionale, rimasto al pianterreno dove si trovava il refettorio.

«Monsignor vescovo non ha badato a spese per tutto il necessario», spiegò sorella Ursula, «ma ci vorrà ancora qualche anno prima che sia tutto finito. Allora io dovrò tornare a Polesworth, ma mi dispiacerà andarmene. Mi sono affezionata a queste mie pupille e resterei qui volentieri, se potessi scegliere.»

Infermeria, foresteria, magazzini, servizi vari sarebbero stati costruiti a poco a poco, ma nel futuro chiostro lussureggiava già un bel prato e un basso bacino di pietra al centro era pieno d'acqua per attirare gli uccelli.

«L'anno venturo avremo anche i fiori», annunciò sorella Ursula. «È venuta con me sorella Benedicta, la nostra giardiniera più esperta a Polesworth, e si occuperà lei del chiostro. Ha un tocco magico, erbe e fiori crescono prodigiosamente e gli uccelli vengono a beccare nel palmo delle sue mani. Un dono che io non ho mai posseduto.»

«Hanno mandato anche la badessa da Polesworth?» domandò Cadfael.

«No, il vescovo ha portato madre Patrice da Coventry. Noi due dovremo tornare alla nostra casa non appena qui non ci sarà più bisogno di noi, a meno che, come ho detto, non ci permettano di restare in questo posto per sempre. Occorrerebbe la dispensa del vescovo, ma, chissà, forse Sion avrebbe alcuna difficoltà a concederla.»

Una sorta di foresteria provvisoria, in legno, si trovava in un altro piccolo cortile oltre il chiostro e la stanzetta in attesa di ospiti odorava della calda fragranza del legno. L'arredamento non era certo sibaritico: due lettucci, un tavolino e un inginocchiatoio sotto un crocifisso appeso a una parete.

«Restatevene pure a riposare tranquilli», disse la monaca. «Vi farò portare qui la cena. Siete arrivati tardi per il vespro, ma se vorrete unirvi a noi per compieta, vi avvertirà la campana. Intanto potete andare liberamente in chiesa per le vostre preghiere, se lo desiderate. È nata da poco, più anime buone ospiterà sotto il suo tetto, tanto meglio. E ora, se non vi occorre altro, vi lascio a riposare.»

Nella felice, verginale quiete del nuovo monastero, Haluin piombò in un sonno beato, appena tornato da compieta, e dormì come un bambino per tutta la notte e buona parte dell'alba di un giorno mite e sereno, senza più alcuna traccia di gelo. Quando si svegliò, Cadfael era già alzato e si stava preparando per andare a recitare l'uffizio del mattino e le sue preghiere personali in chiesa.

«È già suonata la campana per la prima?» domandò Haluin, affrettandosi ad alzarsi.

«No, ci vorrà ancora mezz'ora, a giudicare dalla luce. Potremo avere tutta la chiesa per noi, se volete venire con me.»

«Senz'altro.»

I due monaci uscirono insieme nel piccolo cortile e raggiunsero il chiostro, dove il prato era umido e verdissimo, invece che del colore sbiadito dell'inverno, svanito dalla sera alla mattina, e la timida bruma delle gemme appena spuntate sugli alberi si era trasformata in un concreto velo verde. Poche altre giornate così miti e sarebbe stata a un tratto primavera. La presentivano persino gli uccellini che già sbattevano le ali cinguettando nell'acqua limpida del basso bacino di pietra. Haluin si sentì confortato da quei presagi, mentre si avvicinava alla chiesa. Senza dubbio sarebbe stata ingrandita o addirittura sostituita più tardi, quando fossero stati costruiti gli altri edifici necessari e il monastero avesse goduto di una vita propria, sicura e indipendente, guadagnandosi una meritata rinomanza. Quel primo santuario, però, pur piccolo e modesto com'era, sarebbe stato sempre ricordato e rimpianto da chi lo aveva visto nascere.

Inginocchiati l'uno accanto all'altro, davanti alla fiammella della lampada sull'altar maggiore, Cadfael e Haluin recitarono insieme l'uffizio e le preghiere private. Il primo raggio di sole superò la cinta e illuminò di un tenue colore rosato la sommità della chiesa.

Cadfael fu il primo ad alzarsi. Doveva mancare poco alla prima, ormai, e probabilmente sarebbe stato imbarazzante per le giovani consorelle trovare lì due uomini, fossero pure confratelli del loro stesso ordine. Il monaco uscì silenziosamente e si fermò accanto alla porta socchiusa, guardandosi intorno in attesa che Haluin avesse bisogno di lui per alzarsi.

Accanto al bacino di pietra al centro del chiostro c'era una monaca, snella, diritta e composta, che dava da mangiare agli uccellini. Sbriciolava del pane sull'orlo del bacino, tenendone qualche minuzzolo sul palmo aperto di una mano. L'abito nero accentuava l'esilità della sua figura e il suo portamento aveva una grazia giovanile che destò un'eco confusa nella memoria di Cadfael. Il capo eretto sul lungo collo, le spalle dritte, la vita sottile e la bella mano, ora tesa a offrire briciole agli uccellini... lui li aveva sicuramente già visti, in un altro posto, sotto un'altra, ingannevole luce. Adesso era all'aria aperta, nella morbida luce del mattino, ma Cadfael era certo di non sbagliarsi.

Helisende... Helisende era lì a Farewell, indossava il saio. La sposa aveva risolto il suo intollerabile dilemma prendendo il velo, piuttosto che sposare chiunque altro all'infuori del suo infelice innamorato Roscelin. E benché, senza dubbio, non avesse ancora potuto pronunciare i voti, le sorelle dovevano avere ritenuto opportuno, nella sua angosciosa situazione, offrirle subito la protezione dell'abito, senza aspettare che avesse inizio il suo noviziato.

Doveva avere l'udito fine, o forse aspettava qualcuno e stava con l'orecchio teso, perché all'avvicinarsi pur silenzioso del monaco si voltò sorridendo, mostrando pienamente un viso che non era quello che egli si aspettava, un viso che non aveva mai veduto. Non una fanciulla giovane e inesperta, ma una donna matura, consapevole e serena. Gli tornò alla mente la breve apparizione nel vestibolo di Vivers e fece tra sé un confronto tra la fanciulla e la donna. Non Helisende, e nemmeno molto uguale a lei: soltanto la stessa fronte candida come una perla, il dolce ovale del viso e i grandi occhi schietti e innocenti. Ma la figura e il portamento, sì, erano identici. Se questa monaca avesse girato di nuovo le spalle, sarebbe stata la perfetta immagine di sua figlia.

Perché chi altri poteva essere se non la madre di Helisende, che dopo la morte del marito, il vecchio signore di Vivers, aveva preso il velo a Polesworth per sottrarsi alle fastidiose esortazioni a risposarsi? Chi altri se non sorella Benedicta, mandata dal vescovo al nuovo monastero di Farewell, a catechizzare le giovani novizie? Sorella Benedicta, capace di ammaliare fiori e uccelli, sino a far crescere più rigogliosi gli uni e indurre gli altri a posarsi sulla sua mano? Helisende doveva essere al corrente di quel trasferimento e sapeva già dove cercare rifugio, quando ne aveva avuto bisogno. Dove sarebbe potuta andare, se non da sua madre?

Assorto in quei pensieri, Cadfael non aveva più pensato ad Haluin, finché non lo richiamò alla realtà lui stesso, apparendo improvvisamente al suo fianco. Era riuscito in qualche modo a rimettersi in piedi senza il suo aiuto e ora si guardava intorno compiaciuto, nel chiostro dove alla luce velata del sole si mescolavano umide ombre.

Poi il suo sguardo cadde sulla monaca e lui s'irrigidì bruscamente, barcollando sulle grucce con gli occhi sbarrati e fissi come nello stupore di una visione soprannaturale, mentre le sue labbra pronunziavano quasi senza voce un nome. Quasi, ma non del tutto, perché Cadfael lo udì.

Tra meraviglia, gioia e pena, col tono trasognato dell'uomo rapito in un'estasi mistica: «Bertrade!» sussurrò Haluin.

CAPITOLO XI

Nessun dubbio era possibile, sull'esattezza di quel nome, pronunziato con tanta sicurezza da Haluin, e se Cadfael si aggrappò a tutta prima a una rassicurante, ragionevole incredulità, si ricredette subito di fronte all'inconfutabile evidenza. Haluin non aveva alcun dubbio, alcuna incertezza, quelli erano il nome e la donna che non aveva mai dimenticato: Bertrade!

L'apparizione improvvisa di sua figlia lo aveva sconvolto, a Vivers, tanto la copia che si stagliava contro la luce assomigliava all'originale, ma non appena Helisende era entrata nel vestibolo ben illuminato la somiglianza si era attenuata, la visione era svanita, lasciando al suo posto una fanciulla che egli non conosceva. Adesso era là di nuovo e girava verso di lui il viso indimenticato e pianto, e nessun dubbio era possibile.

Bertrade non era morta. Cadfael faticò ad accettare quella rivelazione. La tomba sulla quale Haluin aveva pregato e penato non era la sua. Non era stata uccisa dalla pozione che avrebbe dovuto liberarla del suo bambino, era scampata a quel pericolo e a quel dolore, l'avevano sposata a un uomo tanto più vecchio di lei e aveva dato alla luce una figlia che era il suo ritratto per figura e portamento. E finché era vissuto il vecchio signore aveva impegnato tutta se stessa per essere una brava moglie e madre, ma dopo la sua morte aveva rinunciato al mondo per seguire il suo primo e unico amore nella vita monastica, scegliendo il suo stesso ordine e sottoponendosi alla stessa disciplina alla quale lui si era sottoposto.

Allora perché, argomentò un incorreggibile monello nella mente di Cadfael, perché tu - tu, non Haluin! - hai notato sul viso di quella fanciulla a Vivers qualcosa di familiare che non sapevi spiegarti? Che cosa si celava in fondo alle caverne della tua memoria, rifiutando di rivelarsi? Helisende l'hai incontrata là per la prima volta e sua madre non l'avevi mai vista in vita tua. Chi ti guardava con i suoi occhi e avrebbe poi sollevato un velo non era Bertrade de Clary.

Un tumulto di pensieri che sfociarono nel lampo di una rivelazione pochi istanti prima che Helisende stessa venisse a raggiungere la madre nel chiostro. Non aveva indosso il saio, portava lo stesso vestito della sera precedente, a cena, ed era pallida e seria, ma tranquilla nella pace del convento, al sicuro da ogni costrizione e con tutto il tempo per riflettere e chiedere consiglio.

Con l'orlo delle vesti che tracciava un sentiero più scuro tra il verde argenteo dell'erba umida, madre e figlia si avviarono insieme verso la chiesa per unirsi alle sorelle nella prima funzione del mattino. Se ne andavano, fra un momento sarebbero sparite e niente era stato detto, niente chiarito! E Haluin era sempre là, aggrappato alle sue stampelle, muto, immobile e costernato... ma non voleva perderla di nuovo. Le due donne erano ormai al margine del chiostro, l'ultima speranza stava per morire.

«Bertrade!» gridò Haluin, in un impeto di terrore e di disperazione.

Bertrade ed Helisende si fermarono bruscamente, voltandosi a guardarlo stupite e allarmate, mentre lui, riscuotendosi con uno sforzo da quella sorta di doloroso intontimento che lo paralizzava, avanzava verso di loro, senza badare dove posava le grucce.

Le due donne indietreggiarono istintivamente, ma si fermarono subito al vederlo così storpio, e mossero persino qualche passo per andargli incontro, spinte dalla compassione. Per un momento non vi fu altro che quello, la pietà per un povero zoppo, poi tutto cambiò a un tratto.

Nella fretta di raggiungerle, Haluin inciampò, perse per un attimo l'equilibrio, rischiando di cadere, ed Helisende, commossa, fece un balzo avanti, tendendo le braccia per sorreggerlo, ma il suo peso li fece barcollare entrambi, e i due, nel sostenersi a vicenda, si trovarono quasi a guancia a guancia, e Cadfael ebbe così per qualche momento sotto gli occhi le due facce, l'una accanto all'altra.

Ecco finalmente la risposta che cercava. Ora sapeva tutto ciò che v'era da sapere, tutto tranne quale furioso livore poteva avere indotto un essere umano a compiere un'azione tanto spregevole e crudele ai danni di un suo simile. Ma anche quella risposta l'avrebbe trovata non molto lontano.

A quanto pareva, quella era l'ora delle rivelazioni, perché Bertrade de Clary, osservando con maggiore attenzione quel monaco sconosciuto, si rese conto che non era affatto uno sconosciuto.

«Haluin!»

Non vi fu altro, non ancora. Soltanto il reciproco riconoscimento e la comprensione d'ambo le parti di errori e dolori mai pienamente compresi, dapprincipio amari e terribili, ma presto cancellati da un'immensa ondata di gratitudine e di gioia. Rimasero tutti e tre a guardarsi per qualche momento muti e immobili, come affascinati, poi li riscossero i rintocchi della campana per le funzioni del mattino, il segnale che tra poco sarebbero sopraggiunte in processione le sorelle dirette alla chiesa.

Le due donne, ancora con lo stupore scritto in volto, si allontanarono lentamente per rispondere all'appello e unirsi alle sorelle, mentre Cadfael si avvicinava al confratello e lo prendeva garbatamente per un braccio, guidandolo, come se fosse un sonnambulo, verso la foresteria.

«Non era morta, non era morta», mormorò Haluin rigidamente seduto sull'orlo del letto, ripetendo quelle parole quasi per se stesso, come se stentasse a crederlo. «Tutto falso, falso, falso! Non era morta!»

Cadfael non aprì bocca. Non era ancora il momento di parlare di ciò che si nascondeva dietro quel miracolo. Per ora la mente scossa di Haluin non vedeva più in là del semplice fatto, la gioia di avere ritrovato, viva e sana, la donna che lui aveva pianto così a lungo come morta, e morta per colpa sua; lo sconcerto e lo sdegno per essere stato lasciato in preda al dolore e al rimorso per tanti anni.

«Debbo parlare con lei», dichiarò Haluin. «Non posso andarmene senza averle parlato.»

«No, certo», lo rassicurò Cadfael.

Era inevitabile, ormai. Si erano incontrati, si erano rivisti, non si poteva più tornare indietro. Il forziere ermeticamente chiuso era stato aperto, i segreti che conteneva stavano rotolando fuori, nessuno avrebbe più potuto richiudere il coperchio su di loro.

«Non possiamo andarcene oggi», insistette Haluin.

«Non ce ne andremo. Pazientate un poco. Vado a chiedere udienza alla madre superiora.»

La badessa di Farewell, portata dal vescovo da Coventry per dirigere il suo nuovo monastero, era più o meno sui quarantacinque anni, tozza e tonda come una pagnotta, col viso colorito e penetranti occhi scuri che soppesavano e misuravano al primo sguardo, certi del proprio giudizio. Quando arrivò Cadfael, sedeva bene eretta su una panca nel suo piccolo, spartano salottino, e si affrettò a chiudere il libro sullo scrittoio davanti a lei, al vederlo.

«Benvenuto nella nostra modesta casa, fratello. Sorella Ursula mi ha detto che venite dall'abbazia dei Santi Pietro e Paolo di Shrewsbury. Intendevo invitare voi e il vostro compagno a pranzare con me, ma voi mi avete preceduta chiedendomi questa udienza. Per un valido motivo, suppongo. Sedete, fratello, e ditemi che cosa desiderate.»

Cadfael sedette, riflettendo su quanto fosse conveniente dire o tacere. La badessa sarebbe stata senza dubbio capace di riempire per proprio conto i vuoti, giudicò, ma era anche dotata di una scrupolosa discrezione che l'avrebbe indotta a tenere per sé quanto avesse letto tra le righe.

«Reverenda madre, vengo a chiedervi di acconsentire a un colloquio privato tra il mio confratello Haluin e sorella Benedicta.»

Madre Patrice corrugò la fronte, ma i suoi occhi rimasero imperscrutabili, perspicaci come sempre.

«Da giovani», continuò il monaco, «vivevano nella stessa casa. Lui era al servizio di Adelais de Clary, la madre di sorella Benedicta, e trovandosi sempre così vicini, e della stessa età, finirono con l'innamorarsi l'uno dell'altra. Ma Adelais non vedeva di buon occhio quell'attaccamento e decise di separarli. Cacciò di casa Haluin, proibendogli di vedere ancora la fanciulla e convinse lei ad accettare un matrimonio più adatto alla sua famiglia. Il seguito lo conoscete senza dubbio anche voi. Haluin entrò in convento, non per vocazione ma per la disperazione, lo ammette lui stesso. Un motivo che tuttavia, per quanto riprovevole, ha indotto a indossare il saio molti altri, che sono stati poi fedeli e devoti servi di Dio. Così è stato per Haluin e, ne sono certo, per Bertrade de Clary.»

A Cadfael non sfuggì il lampo di stupore negli occhi della badessa all'udire quel nome. Probabilmente ignorava ben poco di quanto riguardava il suo gregge, ma se sul conto di Bertrade sapeva più di quanto aveva detto lui, non ne diede segno.

«Mi sembra», ribatté, «che una situazione simile minacci di ripetersi in un'altra generazione. Le circostanze non sono le stesse, ma potrebbe esserlo il risultato. Sarà bene studiare in tempo come comportarci in questo caso.»

«Ci ho pensato anch'io. Voi come avete agito finora? Da quando la ragazza si è precipitata qui, a tarda sera? Perché tutti gli uomini di Vivers sono fuori da due giorni a cercarla, perlustrando ogni strada.»

«Non più, perché io stessa ho mandato ieri ad avvertire suo fratello che è con noi e chiedergli di lasciarla in pace per un poco, a riflettere e pregare. Penso che rispetterà il suo desiderio, date le circostanze.»

«Delle quali lei vi ha parlato senza riserve», asserì con sicurezza Cadfael. «Per quanto ne sa, almeno.»

«Sì.»

«Dunque sapete della morte di una donna e del matrimonio combinato per Helisende. E anche del motivo per cui era stato combinato?»

«So che è parente troppo stretta del giovane che lei avrebbe voluto. Sì, me lo ha detto e penso che lo abbia rivelato anche al suo confessore. Non preoccupatevi per Helisende. Qui nessuno potrà molestarla e ha il conforto di essere vicina a sua madre.»

«Non potrebbe essere in un posto migliore», convenne calorosamente il monaco. «Ora, riguardo al motivo che mi ha condotto da voi, dovete sapere che ad Haluin era stato detto che Bertrade era morta e lui non ne ha mai dubitato in tutti questi anni, addossandosene addirittura la colpa. Ma stamattina, per grazia di Dio, se l'è vista davanti viva e vegeta. Non hanno scambiato una parola, all'infuori del loro nome, e penso che invece dovrebbero avere la possibilità di farlo, se voi acconsentite. Servirebbero meglio la propria vocazione, con il cuore in pace. E hanno pure il diritto di sapere, ognuno, che l'altro sta bene, ed è felice e appagato.»

«E pensate che lo sarebbero, dopo? Come prima?» domandò dubbiosa madre Patrice.

«Meglio di prima», affermò convinto Cadfael. «Se fossero separati di nuovo, senza aver potuto dirsi niente, ne sarebbero angustiati per tutto il resto della loro vita.»

«Non vorrei certo assumermi questa responsabilità davanti a Dio», esclamò la badessa con un fugace, pallido sorriso. «Bene, avranno ciò che chiedete, se questo potrà servire a dar pace al loro cuore. Male non può fare. Pensate di trattenervi qui ancora per qualche giorno, voi?»

«Almeno fino a domani. Perché ho qualcos'altro da chiedervi. Lascio a voi fratello Haluin. Io debbo trovare la risposta a un certo interrogativo, prima di tornare a casa. Ma non qui. Volete prestarmi uno dei vostri cavalli?»

Lei lo scrutò a lungo e parve soddisfatta di quello che vedeva perché, alla fine, disse: «A una condizione».

«Quale?»

«Che al ritorno mi raccontiate l'altra metà della storia.»

Il vescovo si era preoccupato di dotare il nuovo monastero di una comoda scuderia per le sue visite e di lasciarvi sempre due robusti cavalli da sella di rimonta per il caso che qualcuno dei suoi inviati venisse da quelle parti e decidesse di chiedere ospitalità al convento. Cadfael, naturalmente, scelse il migliore, un bel baio giovane e vigoroso.

Il viaggio che doveva compiere non era lungo, ma, già che ne aveva l'occasione, tanto valeva che cercasse di ricavare il maggior piacere da quella cavalcata.

Quando varcò la porta della cinta, il sole era già alto, e si fece sempre più limpido e splendente, diffondendo nell'aria un tepore decisamente primaverile.

La verde filigrana delle gemme su alberi e cespugli era sbocciata in un delicato piumaggio di nuove foglie, l'erba umida luccicava e ne emanava un lieve, fragrante vapore sotto il sole. Tanta bellezza intorno e lui si lasciava alle spalle una grazia insperata, una giusta consolazione e una rinnovata speranza. E davanti a sé aveva un'anima solitaria da assolvere o condannare.

Non prese la strada per Vivers, non era quella la sua meta. Quando si fermò a guardarsi indietro, la lunga linea della cinta del monastero era scomparsa tra le pieghe del terreno e nemmeno il paese si vedeva più. Haluin doveva essere là ad aspettare, brancolando in un sogno confuso, assillato da domande che non potevano avere risposta, dibattuto finché la badessa non l'avesse fatto chiamare per l'incontro che avrebbe finalmente chiarito tutto quanto.

Cadfael proseguì lentamente, con la speranza di trovare qualcuno cui chiedere informazioni sulla via da seguire. Lo trovò in una donna che stava portando alcune pecore al pascolo e che si fermò cortesemente, indicandogli la più breve. Passava lontano da Vivers, e tanto meglio, perché lui non aveva alcun desiderio d'incontrare Cenred o i suoi uomini, ora.

Raggiunta quella strada, Cadfael procedette più rapido e sicuro, finché non smontò al portone del maniero di Elford.

Più tardi, quando il sole si era ormai spogliato del suo velo e l'erba nel chiostro era asciutta, la giovane sorella portinaia bussò alla porta ed entrò nella stanza dove Haluin si macerava in una solitudine infestata dagli spettri. Lui, che si era aspettato di vedere Cadfael, la guardò con occhi ancora spalancati e vacui per lo stupore.

«Mi manda la madre badessa», spiegò la monaca con cortese sollecitudine, poiché sembrava che egli fosse quasi al di là di ogni comprensione, «a pregarvi di raggiungerla nel suo salottino. Se volete venire con me, vi mostrerò la strada.»

Obbediente, Haluin prese le stampelle. «Fratello Cadfael è uscito e non è ancora tornato», mormorò girando lo sguardo intorno come se si fosse appena svegliato. «È invitato anche lui? Non dovrei aspettarlo?»

«Non è necessario. Ha già parlato con madre Patrice e aveva qualcosa da fare, ha detto.»

Alzatosi faticosamente in piedi, Haluin uscì con lei, seguendola con aria assente nel cortile posteriore dov'era l'alloggio della badessa. La giovane portinaia commisurò il proprio passo al suo, guidandolo senza fretta sino alla porta del salottino, dove si fermò, con un sorriso incoraggiante.

«Entrate pure, siete atteso.»

Gli tenne aperta la porta, perché lui aveva bisogno di ambe le mani per reggersi sulle grucce, e Haluin avanzò esitante nella piccola stanza odorosa di legno e scarsamente illuminata, fermandosi appena oltre la soglia per fare il debito inchino alla madre superiora. Ma si raddrizzò di scatto, immobile e tremante mentre i suoi occhi si abituavano alla penombra. Perché la donna che lo aspettava là, ritta al centro del salottino, con un sorriso meraviglioso e le mani istintivamente tese per aiutarlo, non era la madre superiora, ma Bertrade de Clary.

CAPITOLO XII

Lo stalliere accorso ad accogliere il visitatore e chiedergli lo scopo della sua visita non era né Lothar né Luc, ma uno spilungone sui vent'anni, con una gran massa di capelli scuri. Nel cortile dietro di lui non ferveva la consueta attività, soltanto qualche servitore attendeva senza fretta ai propri compiti, quasi svogliatamente, come se nessuno vi badasse. A quanto pareva, il signore del maniero e la maggior parte dei suoi uomini erano tuttora fuori, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse condurli all'assassino di Edgytha.

«Se desiderate parlare con Lord Audemar», disse il ragazzo, «siete sfortunato. È andato a Vivers, per sentire se possono dirgli qualcosa riguardo a quella donna che è stata uccisa un paio di giorni fa. Però c'è il suo sovrintendente, è meglio che v'incontriate con lui, se cercate ospitalità.»

«Vi ringrazio», ribatté Cadfael, consegnandogli le briglie. «Ma non è Lord Audemar lo scopo della mia visita. Desidero vedere sua madre. So già dove sono le sue stanze. Se mi fate il favore di occuparvi voi del mio cavallo, posso andarci da solo. Pregherò la sua cameriera di chiedere alla signora se vuole essere tanto buona da concedermi un colloquio.»

«Come volete, allora. Siete già stato qui, vero?» aggiunse il giovane stalliere, strizzando gli occhi incuriositi, fissi sul visitatore. «Sì, me lo ricordo. Pochi giorni fa, con un vostro confratello che usava le stampelle.»

«Esatto. E ho parlato con la signora, non si sarà certo dimenticata di noi. Se rifiuta di vedermi, pazienza, non insisterò. Ma non credo sarà così.»

«Bene, andate allora», acconsentì il giovane stalliere, alzando le spalle. «So che è in casa. Esce poco, in questi giorni.»

«Aveva due stallieri con sé, padre e figlio, che si era portati dallo Shropshire. Avevamo fatto amicizia quand'eravamo qui e parlerei volentieri con loro, dopo, se non sono andati a Vivers con Lord Audemar.»

«Ah, quelli? No, sono al servizio della signora, non hanno niente a che vedere con lui. Ma non sono qui, ora. Sono partiti ieri mattina presto. Li ha mandati la vecchia signora in qualche posto, ma non so dove. Probabilmente ad Hales, dove lei sta per la maggior parte del tempo.»

Chissà, si domandò Cadfael avviandosi, se Adelais de Clary sarebbe contenta di sapere che i suoi domestici la chiamano «la vecchia signora». Senza dubbio a quel ragazzo ignorante sembrava vecchia come le montagne, ma in realtà conservava, probabilmente con molta cura, buona parte della sua bellezza, e questo bisognava riconoscerlo. Non per niente aveva scelto come sua cameriera personale una donna tutt'altro che bella e col viso butterato, che metteva in risalto il suo splendore.

Alla porta del vestibolo di Adelais, Cadfael chiese di poter parlare con la signora e poco dopo comparve Gerta, con l'aria altezzosa che si conveniva alla fedele guardiana dell'intimità della sua padrona e all'importanza della propria posizione. Cadfael non aveva detto il proprio nome e al vederlo la cameriera si fermò di botto, per nulla compiaciuta di rivedere così presto quel benedettino che non aveva alcun motivo per essere lì.

«La mia signora non desidera ricevere visite. Che cosa c'è di tanto importante perché veniate a disturbarla? Se avete bisogno di cibo e di un letto, se ne occuperà il sovrintendente di Lord Audemar.»

«Qualcosa che riguarda soltanto Lady Adelais e nessun altro. Ditele che c'è di nuovo fratello Cadfael, che viene dal monastero di Farewell e chiede di parlare con lei. Penso che non rifiuterà di ricevermi.»

Gerta non era tanto ardita da assumersi la responsabilità di congedarlo lei stessa, benché se ne andasse scuotendo la testa con un'espressione di sdegno. Sarebbe certo stata felice di tornare con un deciso rifiuto, ma quando ricomparve il suo viso diceva chiaro che quel piacere le era stato negato.

«La mia signora vi prega di accomodarvi», disse gelida spalancando la porta e sperando senza dubbio di poter assistere al colloquio.

«Lasciateci», disse la voce di Adelais dall'ombra sotto una finestra con le imposte accostate. «E badate a chiudere bene la porta.»

Questa volta non aveva alcun lavoro fra le mani, non finse di essere occupata a ricamare o filare, se ne stava semplicemente seduta su una grande poltrona, con le mani strette sulle teste di leone in capo ai braccioli. Non si mosse quando entrò Cadfael né diede segno di sorpresa o di fastidio. Quasi come se lo aspettasse.

«Dove avete lasciato Haluin?» domandò.

«Al monastero di Farewell.»

Lei tacque per un poco, col viso impassibile e lo sguardo fisso sull'ospite con tale intensità che egli lo avvertì come una vibrazione dell'aria. «Non lo vedrò mai più», disse con recisa determinatezza.

«No, non lo vedrete mai più davvero. E non vedrete più nemmeno me. Torneremo direttamente a Shrewsbury, dopo che avrò parlato con voi.»

«Ma voi... sì, lo sapevo che sareste tornato, prima o poi. Meglio così, forse. Le cose sono andate molto più in là di quanto potessi prevedere. Ditemi ciò che dovete, vi ascolterò in silenzio.»

«Non potete farlo», ammonì Cadfael. «È la storia di una parte della vostra vita.»

«Siate il mio cronista, allora. Raccontatemela! Rammentatemela! Fatemi sentire come suonerà all'orecchio del mio confessore, se mai ne avrò ancora uno.»

Tese a un tratto una mano, lunga e bianca, indicando imperiosamente una seggiola, ma lui preferì restare in piedi dov'era, dove poteva vederla meglio. E Adelais non cercò di evitare il suo sguardo. Il suo bel viso altero era impassibile, insondabile, soltanto i suoi ardenti occhi scuri erano eloquenti, ma parlavano in una lingua che il monaco non sapeva tradurre.

«Sapete fin troppo bene ciò che avete fatto», esordì. «Avete inflitto un tremendo castigo ad Haluin, perché aveva avuto la temerarietà di amare vostra figlia e metterla nei guai. Lo avete perseguitato persino nel chiostro dove il vostro odio lo aveva spinto... con troppa fretta, forse, ma i giovani si lasciano prendere facilmente dalla disperazione. Lo avete costretto a fornirvi i mezzi per provocare un aborto, facendogli poi credere che con quella pozione aveva ucciso mamma e bambino, una colpa inesistente che lo ha torturato per tutti questi anni. Avete detto qualcosa?»

«No, continuate. Avete appena cominciato.»

«Quell'intruglio non è mai stato usato. Doveva servire soltanto per avvelenare lui, non ha mai fatto male a nessun altro. E voi non ne avevate alcun bisogno. Molto prima di chiederlo ad Haluin e subito dopo averlo buttato fuori di casa vostra, vi siete affrettata a portare Bertrade qui a Elford e l'avete fatta sposare con Edric Vivers. Deve essere stato così, certamente è stato fatto in tempo per dare al suo bambino un padre credibile, anche se poco probabile, che dovette sentirsi orgoglioso di possedere ancora tanta virilità da poter generare un figlio. E voi avevate agito così in fretta che a nessuno sarebbe sorto il minimo dubbio riguardo alle date.»

Adelais non si era mossa, non aveva battuto ciglio, non aveva mai distolto lo sguardo dal viso del monaco, senza negare o ammettere niente.

«Non avete mai temuto», continuò Cadfael, «che potesse penetrare in qualche modo persino dentro le mura di un monastero la notizia che Bertrade de Clary era la sposa di Edric Vivers e non chiusa in una tomba? Che avesse dato al vecchio marito una figlia? Sarebbe bastato un visitatore occasionale con qualche propensione per il pettegolezzo.»

«Non esisteva alcun rischio del genere», disse semplicemente lei. «Quali rapporti v'erano tra Hales e Shrewsbury? Nessuno, finché Haluin non è caduto da quel tetto e ha progettato il suo pellegrinaggio. Né era pensabile che potesse mai esservene qualcuno con manieri di un'altra contea.»

«Bene, proseguiamo. Avete portato via entrambi vivi. È nata la sua bambina. Almeno questa clemenza l'avete avuta per lei, perché non per lui? Perché un odio tanto cocente e implacabile da farvi concepire una vendetta spietata? Non per ciò che era accaduto a vostra figlia, no! Perché non avete ritenuto Haluin un marito adatto per lei, in primo luogo? Apparteneva a un'ottima famiglia, avrebbe ereditato un ricco maniero, se non avesse indossato il saio. Che cos'avevate da rimproverargli? Eravate una bella donna, abituata all'ammirazione e agli omaggi. Vostro marito era in Palestina. E ricordo bene com'era Haluin quand'è venuto da me la prima volta, all'età di diciotto anni e ancora senza la tonsura. L'ho visto come lo avevate visto voi per alcuni anni nella vostra solitudine di temporanea vedova... un bel giovane...»

Cadfael non finì la frase, perché le labbra ostinatamente chiuse di Adelais si erano finalmente aperte per parlare. Lo aveva ascoltato senza fare un cenno, senza né interromperlo né protestare. A quel punto reagì.

«Troppo bello!» proruppe. «Io non ero avvezza alle ripulse, non avevo neppure idea di come si conquistasse un uomo e Haluin era troppo innocente per arrivare a leggermi nel cuore. Come sanno ferire con la loro innocenza bambini simili! E allora, se non potevo averlo io, non doveva averlo nemmeno lei. Nessun'altra donna doveva possederlo, ma lei meno di tutte!»

Adelais non aggiunse altro, riflettendo in silenzio sulle proprie parole, come se vedesse in un'altra donna ciò che lei non poteva più sentire con la stessa intensità, la bramosia e la collera.

«C'è dell'altro», osservò il monaco. «Molto di più. Quella vostra Edgytha, la confidente sicura che vi occorreva, l'unica che conoscesse la verità. Avete mandato lei a Vivers con Bertrade e, leale e devota com'era, ha conservato il vostro segreto e collaborato alla vostra vendetta per tutti questi anni. Eravate certa di poter contare per sempre sul suo silenzio e così sarebbe stato se non fosse sorto il problema di Roscelin ed Helisende che, cresciuti insieme come un fratello e una sorella, finirono con l'amarsi come un uomo e una donna. Sapendo, ma non tenendone conto, che il mondo lo avrebbe considerato un amore colpevole, immorale, condannato dalla Chiesa. Quando il segreto divenne una barriera fra loro - una barriera che in realtà non esisteva -, quando Roscelin fu esiliato a Elford e il matrimonio con de Perronet fece prevedere una separazione definitiva, Edgytha non poté sopportarlo. Si precipitò qui di notte, non a cercare Roscelin ma voi! Per pregarvi di dire finalmente la verità o permettere a lei di dirla.»

«Mi sono chiesta come avesse saputo che ero qui», confessò Adelais.

«Glielo avevo detto io. Io l'ho mandata involontariamente da voi, a supplicarvi di cancellare quell'ombra tra due ragazzi innocenti. Per puro caso ho accennato alla nostra visita a Elford, dove avevamo parlato con voi. Io l'ho mandata incontro alla morte, com'è stato Haluin a farvi correre qui a precipizio per scongiurare il pericolo di qualche perniciosa scoperta. Siamo stati lo strumento dei vostri misfatti, noi che non vi abbiamo mai augurato altro che bene. Riflettete dunque su ciò che potete ancora salvare.»

«Continuate!» ribatté aspramente lei. «Non avete ancora finito.»

«No, non ancora. Vi siete rifiutata di acconsentire a quanto vi chiedeva Edgytha e l'avete rimandata a Vivers in preda alla disperazione. Quello che le è accaduto mentre tornava lo sapete già.»

Adelais non negò niente. Era pallida, col viso leggermente contratto, ma i suoi occhi rimasero impassibili.

«Avrebbe rivelato la verità, nonostante il vostro divieto?» proseguì Cadfael. «Non lo sapremo mai. Ma qualcuno parimenti devoto a voi udì per caso quanto bastava perché si rendesse conto del pericolo che avreste corso se lo avesse fatto. Così l'ha seguita e le ha chiuso la bocca per sempre. Oh, no, non voi, certo! Avevate altri strumenti da usare. Ma una parolina avreste potuto sussurrarla all'orecchio giusto.»

«No!» esclamò Adelais. «Non ho mai fatto niente di simile! A meno che non abbia parlato per me il mio viso. Ma in tal caso avrebbe mentito. Non le avrei mai fatto del male!»

«Vi credo. Ma chi l'ha seguita? Padre e figlio tanto somiglianti, che sarebbero morti senza batter ciglio per voi, e senza batter ciglio uno di loro ha ucciso per voi. E ora sono spariti. Tornati ad Hales? Ne dubito, non è abbastanza lontano. Qual è il vostro maniero più lontano?»

«Non li troverete mai», dichiarò Adelais. «Quale dei due abbia commesso un delitto che forse avrei potuto impedire non lo so, e non voglio saperlo. Ho tappato loro la bocca quando hanno cercato di dirmelo. A che pro? La colpa, come tutto il resto, è soltanto mia, non intendo addossarla ad altri. Sì, li ho mandati via, non tocca a loro pagare i miei debiti. Aver seppellito onorevolmente Edgytha è stata una ben povera ammenda. Confessione, penitenza, la stessa assoluzione non possono restituire una vita.»

«Un'altra ammenda può ancora essere fatta», ribatté Cadfael. «Inoltre penso che un prezzo non esiguo lo abbiate pagato pure voi, nel corso di tanti anni. Ho visto il vostro viso quando ve lo siete ritrovato davanti in quelle condizioni, ho udito la vostra voce angosciata. Chi vi ha ridotto in questo stato? Quello che avete fatto a lui lo avete fatto anche a voi stessa e non si può più ripararlo, ma ora potete rimediare almeno a un danno, se volete. Sta a voi decidere.»

«Avanti, parlate», lo esortò lei, benché sapesse bene che cosa l'aspettava. Il monaco lo capì dalla compostezza che aveva sempre mantenuto. Senza dubbio era stata ad aspettare nella sua stanza in penombra che il dito di Dio si appuntasse contro di lei.

«Helisende non è figlia di Edric ma di Haluin», disse. «Non c'è una goccia di sangue dei Vivers nelle sue vene. Niente le impedisce di sposare Roscelin, se lo desidera. Lo vogliono entrambi ed è ora che venga tolta loro di dosso l'ombra di un amore incestuoso. Deve venire finalmente a galla la verità, com'è già accaduto a Farewell. Haluin e Bertrade sono là, insieme, artefici ognuno della pace dell'altro, e c'è Helisende, la loro bambina, con loro, la verità è già uscita dalla tomba.»

Adelais sapeva, lo sapeva fin da quando era morta Edgytha, che doveva venir fuori tutto, alla fine, e se aveva distolto deliberatamente gli occhi e rifiutato di riconoscerlo persino con se stessa, non poteva più farlo ora. Né era donna da delegare ad altri un difficile compito, una volta presa una decisione, o da fare le cose a metà, bene o male che fosse.

Cadfael non volle influenzarla. Si allontanò di qualche passo e si tenne in disparte per lasciarle il tempo necessario per riflettere, osservando la sua composta immobilità e pensando a quale doloroso fio avesse dovuto pagare in diciotto anni di silenzio, di odio spietato e di amore segreto. Le prime parole che udì da lei, ora, riguardavano ancora Haluin e l'angoscia le faceva tremare la voce.

Adelais si alzò all'improvviso e andò ad aprire le imposte della finestra, lasciando entrare aria, luce e freddo, poi rimase per qualche momento a guardare il cortile silenzioso, il cielo chiaro macchiato qui e là da candide nuvolette e il velo verde sugli alberi oltre il muro di cinta. E quando si voltò verso di lui, col viso in piena luce, Cadfael poté vedere a un tempo, come in una duplice visione, la sua intramontabile bellezza e i lievi segni degli anni che la incrinavano: il collo un po' floscio, piccole rughe agli angoli della bocca e degli occhi, le guance non più vellutate, qualche filo grigio tra il nero dei capelli. E lei era forte, non avrebbe abbandonato facilmente il proprio imperio. Sarebbe vissuta a lungo, battendosi con accanimento contro gli implacabili assalti della vecchiezza, finché la morte non l'avesse sconfitta e liberata a un tempo. La sua stessa natura sarebbe stata la sua penitenza.

«No!» proruppe ora in tono brusco e autoritario, come se Cadfael avesse suggerito qualcosa su cui lei non era d'accordo. «No, non voglio avvocati, nessuno mi toglierà ciò che spetta a me. Quello che deve essere detto, lo dirò io e nessun altro! Come sarebbero andate le cose se non foste mai venuto da me, voi con la mano eternamente posata sul gomito di Haluin e quei vostri occhi impenetrabili nei quali non sono mai riuscita a leggere, non lo so. E voi? Comunque non ha più importanza, ormai. Quanto rimane da fare, sarò io a compierlo!»

«Se volete che me ne vada...» replicò il monaco. «Non avete più bisogno di me.»

«Come avvocato no. Come testimone, forse! Perché defraudarvi della conclusione? Sì, sì!» affermò Adelais, con gli occhi scintillanti. «Verrete con me e assisterete al gran finale. Vi debbo questa soddisfazione, e debbo rispondere a Dio di una morte.»

Cadfael ripartì a cavallo con lei, obbediente al comando. Perché no? Doveva comunque tornare a Farewell e la strada per Vivers andava bene come qualsiasi altra. Il dramma era ormai alla fine, dopo quell'ultima scena non vi sarebbero più stati ritardi o impacci.

A differenza dell'altra volta, quando l'aveva vista dignitosamente seduta sul grande cuscino dietro il cavaliere, come si conveniva a una dama del suo rango e della sua età, ora Adelais, in stivali e speroni, inforcava mascolinamente il cavallo, eretta e a proprio agio sulla sella, procedendo a passo veloce ma sicuro, sempre ugualmente risoluta nella sconfitta come nella vittoria.

Cadfael non poté fare a meno di chiedersi se non fosse tentata di celare una parte della verità per sminuire le proprie responsabilità, ma la calma assoluta del suo viso lo rassicurò. Non avrebbe nascosto niente, né cercato scuse o pretesti. Ciò che aveva fatto, lo avrebbe dichiarato apertamente. Se poi ne fosse pentita o no, sarebbe stato soltanto Dio a saperlo.

CAPITOLO XIII

Giunsero a Vivers un'ora dopo mezzogiorno. Il portone era spalancato e il trambusto nel cortile si era acquietato, soltanto pochi servitori si aggiravano qui e là occupati nelle faccende consuete. Evidentemente il messaggero della badessa era già ripartito e Cenred aveva aderito al desiderio di Helisende di essere lasciata ancora per un poco tranquilla nella pace del suo rifugio. Esonerati da una ricerca, gli uomini di Audemar sarebbero stati liberi di dedicarsi col massimo impegno all'altra, la caccia all'assassino. Che non avrebbero mai trovato! Col buio e la neve, chi mai poteva essere in giro per i boschi, assistendo così a un omicidio? Del quale, in ogni caso, non avrebbe potuto riconoscere il colpevole, uno stalliere di Hales, lontano miglia e miglia!

Il sovrintendente di Cenred, che stava attraversando il cortile quando entrarono i due visitatori, riconobbe Adelais e accorse per aiutarla, ma lei smontò senza aiuto prima che potesse raggiungerla. Abbassò con cura le gonne e si guardò intorno, cercando con gli occhi qualcuno degli uomini di suo figlio. Cadfael aveva già notato che non se ne vedeva nessuno, non dovevano essere ancora tornati da Elford, e Adelais corrugò la fronte al pensiero di dover aspettare e tenersi più a lungo in cuore ciò che aveva da dire. Una volta presa quella decisione, non le garbava incontrare ostacoli.

«È in casa il vostro signore?» domandò al sovrintendente.

«Sì, Milady.»

«E anche mio figlio?»

«Anche lui, Milady. È tornato da poco e i suoi uomini sono ancora fuori con i nostri, a interrogare gli abitanti per miglia intorno.»

«Tempo sprecato!» disse lei, più a se stessa che a lui. «Bene, sono contenta che siano qui entrambi. No, non importa che li avvertiate del mio arrivo, vado direttamente da loro. Quanto a fratello Cadfael, questa volta è venuto ad accompagnare me, non come ospite.»

Il sovrintendente, che forse non aveva fatto molta attenzione al secondo cavaliere, lo fece ora, probabilmente chiedendosi, immaginò il monaco, che cosa avesse ricondotto lì il benedettino, oltretutto senza il suo strano confratello. Ma non v'era tempo per domande. Adelais si era era avviata risolutamente verso la gradinata che portava al vestibolo e Cadfael la seguì doverosamente, lasciando il sovrintendente a osservarli perplesso e incuriosito.

Nel vestibolo, i domestici stavano sparecchiando dopo il pranzo e Adelais passò tra loro senza una parola né un'occhiata diretta, con passo sicuro, alla porta del salone, dietro il pesante tendaggio. Dall'interno proveniva un mormorio di voci, attenuate dalla cortina ma chiaramente riconoscibili: quella profonda di Cenred e quella più vivace e giovanile di Jean de Perronet. Il pretendente non se n'era andato, era rimasto ad aspettare cocciuto il suo momento. Tanto meglio, pensò Cadfael. Aveva il diritto di sapere quale formidabile ostacolo si trovava ora sulla sua strada. Non aveva fatto niente di men che corretto, gli si doveva un comportamento leale.

Adelais scostò bruscamente la tenda e spalancò la porta. Erano tutti lì, a scambiarsi considerazioni e suggerimenti su una situazione che li lasciava sconfitti e impotenti. Se qualcuno nei dintorni avesse saputo qualcosa lo avrebbe già detto e quand'anche Audemar avesse pensato di contare i servitori di sua madre e nutrito qualche sospetto sui due che mancavano, lei si sarebbe messa risolutamente di mezzo fra lui e loro. Ovunque fossero ora Lothair e Luc, per quanto sconcertata e sconvolta potesse essere Adelais dal tremendo errore che avevano commesso per amor suo, non avrebbe mai permesso che si addebitasse loro un prezzo che riteneva di dover essere lei a pagare.

Al rumore della porta che si apriva, tutti girarono di scatto la testa per vedere chi entrava, perché nessun servitore l'avrebbe spalancata così, senza riguardo. Gli occhi di Adelais passarono dall'uno all'altro dei volti stupiti, Audemar e Cenred seduti accanto al tavolo con una coppa di vino davanti, Emma in disparte col suo telaio da ricamo, ma senza badare troppo al suo lavoro, aspettando al meglio che la vita riprendesse il proprio corso abituale. E l'estraneo... Cadfael capì che lei non aveva mai visto de Perronet, ma dopo essere rimasta a osservarlo per qualche momento intuì che era il promesso sposo. Le sue labbra si socchiusero in un mesto sorriso, prima che i suoi occhi si posassero su Roscelin.

Sedeva solo in un angolo dove aveva sott'occhio tutta la compagnia, come se prevedesse una battaglia imminente e si tenesse pronto ad affrontarla, rigido ed eretto su una panca contro la parete, con la testa alta e le labbra strette. A quanto pareva, si era rassegnato al desiderio di Helisende di essere lasciata in pace a Farewell, ma non aveva perdonato quei cospiratori che avevano progettato di farla sposare a sua insaputa, togliendogli anche l'ultima, folle speranza che lo aveva sostenuto. Il suo rancore verso il padre si estendeva come per contagio a de Perronet, persino ad Audemar de Clary, nella casa del quale era stato esiliato per togliere di mezzo l'ostacolo ai loro progetti. Come poteva essere certo che non fosse stato complice anche in qualcosa di più? Un viso per sua natura aperto, amabile e vivace ora si volgeva verso di loro chiuso, sospettoso e ostile. Un altro giovane troppo bello per il suo stesso bene, che attirava indebito amore come un fiore attira le api.

Il momento di vacua sorpresa passò. Cenred fu subito in piedi con ospitale premura, con una mano tesa a prendere quella della visitatrice, e l'accompagnò verso una seggiola accanto al tavolo.

«Benvenuta nella mia casa, Milady! È un onore per me!»

Ma Audemar non parve altrettanto soddisfatto. «Che cosa vi ha indotta a venire qui, signora?» domandò accigliato. «E senza scorta?» Gli accomodava di più che una madre dal carattere così ferreo si esiliasse nel lontano maniero di Hales, con tutta la sua corte. Al vederli ora a faccia a faccia, Cadfael notò una straordinaria somiglianza fra loro. Senza dubbio nutrivano un reciproco affetto, ma doveva essere difficile per quei due convivere nella stessa casa. «Non era necessario che vi scomodaste», continuò Audemar. «Non potreste fare più di quanto è già stato fatto.»

Adelais si lasciò condurre fino al centro della stanza, ma là si fermò, liberando risolutamente la mano, sola e sotto gli occhi di tutti.

«Era necessario, sì», dichiarò, guardando a turno i volti attenti. «E non sono venuta senza scorta. Ho fratello Cadfael con me. È appena arrivato dal monastero di Farewell e tornerà là, quando avremo finito.»

Fissò l'uno dopo l'altro i due giovani, dallo sposo privilegiato all'innamorato infelice, che la guardavano entrambi circospetti, intuendo che lei stava per rivelare qualcosa di grave, ma incapaci d'immaginare cosa.

«Sono contenta di trovarvi qui tutti assieme», riprese Adelais. «Così avrò da dire una volta sola ciò che devo.»

Non doveva mai essere stato difficile per lei attirare su di sé l'attenzione generale, ovunque andasse, rifletté Cadfael. Non appena entrata in una stanza, diventava il punto focale, la figura dominante su tutti. E ora tutti avevano gli occhi fissi su di lei, aspettando che parlasse.

«A quanto ho sentito, Cenred», disse, «intendevate far sposare a vostra sorella, diciamo meglio sorellastra, questo giovane gentiluomo, due giorni fa. Con giusta ragione, forse, dato che si era affezionata un po' troppo a vostro figlio Roscelin, parimenti ricambiata, e un matrimonio che l'avesse portata ben lontano da qui avrebbe anche cancellato l'ombra di un sacrilego affetto che gravava sulla vostra casa e sul vostro erede. E nessuno può biasimarvi, era l'unica soluzione per voi, sapendo soltanto ciò che sapevate.»

«Che altro c'era da sapere?» ribatté Cenred, perplesso. «Sono parenti stretti, lo sapete bene! Non avreste fatto lo stesso, voi, per salvaguardare vostra nipote da un tale errore, come io intendevo fare per mia sorella? Mi sento responsabile per lei come per mio figlio, e mi è altrettanto cara. Ricordo bene il secondo matrimonio di mio padre. Ricordo il giorno in cui avete portato qui la sposa, e l'orgoglio di mio padre per la figlia che gli aveva dato. E, morto lui, debbo a Helisende le cure di un padre, oltre che di un fratello. Certo, ho cercato di proteggere lei e mio figlio, e lo desidero tuttora. Questo è soltanto un intoppo temporaneo. Messer de Perronet non ha ritirato la sua parola, né io la mia approvazione.»

Audemar si era alzato e ora fissava la madre con la fronte aggrottata e un'espressione indecifrabile. «Che altro c'è da sapere?» ripeté, e benché la sua voce fosse pacata e sommessa, rivelava tuttavia una profonda contrarietà che per un'altra donna meno inflessibile avrebbe potuto suonare come una minaccia, ma Adelais sostenne il suo sguardo senza batter ciglio.

«Questo!» dichiarò. «Che non dovete più preoccuparvi. Non v'è alcun ostacolo tra vostro figlio ed Helisende, Cenred, salvo quello che avete eretto voi. Potrebbero sposarsi oggi stesso, e non sarebbe affatto un incesto. Helisende non è vostra sorella, non è figlia di vostro padre. Non v'è una sola goccia del sangue dei Vivers nelle sue vene.»

«Ma è una pazzia!» protestò lui, davanti a un'affermazione tanto inverosimile. «È nata e cresciuta qui, lo sappiamo tutti. Come potrebbe essere così, quando tutta la mia gente può testimoniare che sua madre era la moglie legittima di mio padre, che l'ha messa al mondo nel loro talamo nuziale, qui nella mia casa?»

«Dopo averla concepita nella mia», ribatté Adelais. «Non mi stupisce che nessuno di voi abbia pensato a contare i giorni. Mia figlia era già gravida, quando l'ho portata qui.»

Erano tutti in piedi, ora, tranne Emma, sempre seduta davanti al suo telaio, sbalordita, tra la bufera di esclamazioni di collera e d'incredulità che le turbinava intorno. Cenred era rimasto senza fiato, ma de Perronet andava strepitando che era una bugia, che la signora aveva perduto il senno e Roscelin lo affrontava eccitato, quasi fuori di sé, oscillando tra il rivale e Adelais, pregando, implorando che quanto lei aveva detto fosse vero. Finché Audemar non batté vigorosamente un pugno sul tavolo, alzando imperiosamente la voce per chiedere silenzio, mentre sua madre se ne stava rigida e immobile come una statua.

Finalmente regnò il silenzio, totale e ininterrotto. Tutti gli sguardi erano fissi su Adelais, come se si potesse leggerle in viso la verità o la falsità delle sue parole.

«Vi rendete conto di ciò che state dicendo?» domandò Audemar.

«Perfettamente, figlio mio. Me ne rendo conto, e so che è la verità. So che cosa ho fatto e so di essermi comportata in modo indegno. Non c'è bisogno che me lo dicano gli altri, lo dico io stessa. Ma l'ho fatto e né voi né io possiamo disfarlo. Sì, ho ingannato Lord Edric, sì, ho costretto mia figlia, sì, ho fatto entrare un figlio bastardo nella vostra famiglia. Ma dovevo proteggere il buon nome e l'eredità di mia figlia e assicurarle uno stato onorevole, come fareste voi, Cenred, per vostra sorella. Si è mai lamentato di qualcosa Edric? Credo proprio di no. È stata fonte di gioia per lui la sua supposta figlia? Senza dubbio. In tutti questi anni non mi sono mai fatta domande, ma ora Dio ha disposto diversamente e non me ne dispiace.»

«Se tutto questo è vero», osservò Cenred con un vago sorriso, «Edgytha lo sapeva. Era venuta qui con Bertrade, doveva sapere tutto fin dall'inizio.»

«Certo che lo sapeva», ammise Adelais. «E mi rammarico con tutto il cuore di averle proibito di parlare, quando mi ha chiesto di poter dire la verità, e tanto più mi duole ora che non possa essere qui a farmi da testimone. Ma c'è chi può farlo. Fratello Cadfael è stato al monastero di Farewell, dov'è ora Helisende, con sua madre. E per una strana combinazione c'è pure suo padre. Non è più possibile, ormai, chiudere gli occhi davanti alla verità.»

«Li avete chiusi già abbastanza a lungo, signora, a quanto pare», osservò cupo Audemar.

«È vero, e non è gran merito rivelarla ora, quand'è già venuta alla luce.»

Seguì ancora qualche momento di silenzio, prima che Cenred domandasse: «Avete detto che è là... suo padre? Là a Farewell con loro due?»

«Questo potrà dirvelo meglio di me fratello Cadfael, che li ha visti.»

«Sì, tutti e tre», confermò il monaco. «È vero.»

«Ma lui... questo padre, chi è?» domandò Audemar.

Adelais raccontò tutto, senza mai abbassare gli occhi. «Era stato al mio servizio, un tempo. Un giovane di buona famiglia, di solo un anno maggiore di Bertrade. Desiderava essere accettato come suo pretendente, ma io mi sono opposta e loro... hanno fatto in modo di forzarmi la mano. No, forse sono ingiusta, forse non è stato un calcolo ma la disperazione perché lei non era meno innamorata di lui. Comunque fosse, ho cacciato il giovane da casa mia e ho portato qui Bertrade in tutta fretta, a concludere un matrimonio che Edric desiderava da tempo. E ho mentito, dicendo al suo innamorato che era morta, insieme col suo bambino, quando avevamo cercato di liberarla di quel fardello. Soltanto ora lui ha saputo di avere una figlia.»

«E come mai», domandò Cenred, «l'ha trovata adesso, e in un luogo tanto appartato? Una storia così strana, scaturita com'è dal nulla, che stento a crederla!»

«Bene, dovrete ricredervi, perché né voi né io possiamo disconoscere la verità o cambiarla. L'ha trovata per un misericordioso dono di Dio. Non vi basta?»

Cenred si voltò spazientito verso Cadfael. «Fratello, siete stato mio ospite, voi, diteci dunque tutto ciò che sapete. È proprio vero, dopo tanti anni? E come sono arrivati a incontrarsi tutti e tre, alla fine?»

«È la sacrosanta verità», confermò il monaco. «Si sono incontrati, hanno parlato fra di loro. E lui ha trovato madre e figlia a un tempo perché convinto che la sua amata fosse morta ed essendo scampato miracolosamente alla morte lui stesso, pochi mesi or sono, è stato portato a riflettere sulla caducità della vita umana e, nell'impossibilità di rivedere lei in questo mondo, ha deciso di recarsi in pellegrinaggio alla sua tomba e pregare per la sua pace nell'altro. Ma ad Hales, dove pensava che dovesse essere, non l'ha trovata e allora è venuto qui a Elford, dove sono sepolti tutti gli appartenenti alla vostra casata, Lord Audemar. Stavamo tornando finalmente a Shrewsbury, ieri sera, quando Dio ha voluto che ci fermassimo a chiedere ospitalità per la notte al monastero di Farewell, dove la signora che era stata la vostra matrigna è ora maestra delle novizie. Ed Helisende era corsa a cercare rifugio là, nella dolorosa situazione in cui si trovava. Così ora sono finalmente tutti sotto lo stesso tetto.»

Dopo qualche momento di silenzio, Audemar osservò sommessamente: «Siete stato molto chiaro, fratello, ci avete spiegato molte cose, ma aggiungete qualcos'altro, ora... il nome del protagonista!»

«È entrato in convento molti anni fa ed è un mio confratello all'abbazia dei Santi Pietro e Paolo, a Shrewsbury. Quello che è venuto a Elford con me, camminando sulle grucce. Monaco e prete a un tempo, quello cui voi, Lord Cenred, avete chiesto di celebrare il matrimonio fra Helisende e l'uomo che avevate deciso di farle sposare. Fratello Haluin.»

Ora la sorprendente verità aveva cominciato a farsi strada in tutti, anche se non potevano ancora afferrarne pienamente le conseguenze. Poi, a poco a poco, ciascuno si rese conto di ciò che essa significava per lui. Per Roscelin, tremante e col viso illuminato da una luce incerta come quella di una torcia appena accesa, la liberazione dall'angoscia e dal senso di colpa, l'aria intorno a lui inebriante come vino, il mondo divenuto un'immensa isola di gioia incandescente che lo abbagliava e ammutoliva. Per de Perronet, la sfida di trovarsi di fronte un rivale formidabile laddove si era aspettato di non incontrare ostacoli, l'istintivo acuirsi del suo orgoglio e la risolutezza a lottare con tutte le proprie forze per il premio minacciato. Per Cenred, il capovolgimento di tante immagini familiari: un padre che la supina accettazione di un tale inganno faceva apparire come un povero, vecchio sciocco, una sorella divenuta a un tratto un'estranea, un'intrusa nella sua casa. Per Emma, silenziosa e intimorita nel suo angolo, l'afflizione di un simile affronto al suo consorte e la perdita di una persona cara che aveva finito per considerare quasi una figlia.

«Sicché non è mia sorella», disse tristemente Cenred, più a se stesso che agli altri, ripetendo subito dopo a tutti con un improvviso scatto di collera: «Non è mia sorella!»

«No», ribadì Adelais. «Ma lei credeva di esserlo. Non ha alcuna colpa, non dovete biasimarla.»

«Non è mia parente. Non le debbo niente, né dote né terre. Non ha alcun diritto su di me», insistette Cenred con amarezza più che con risentimento, deplorando la brusca rottura di un profondo legame affettivo.

«No, ma lo è per me», ribatté Adelais. «I beni dotali di sua madre sono passati al convento quando ha preso il velo, ma Helisende è mia nipote ed erede.»

«Mi avete frainteso, signora», protestò Cenred, irritato. «Questa è sempre stata la sua casa, può sempre considerarla tale. Che altro c'è per lei? È stata strappata a noi, tutt'a un tratto, ed è come se fossimo stati mutilati. Suo padre e sua madre sono entrambi in convento e da voi quale aiuto, quali cure ha mai ricevuto? Parente o no, il suo posto è qui, a Vivers.»

«Ma più niente impedisce ormai che io le rimanga vicino», esclamò Roscelin in tono trionfante. «Che la chieda per me, non vi sono più barriere fra noi. Non abbiamo fatto niente di riprovevole, non v'è alcuna ombra, alcun impedimento, fra noi. Andrò io a prenderla, a riportarla a casa. E lei verrà, ne sarà felice! Lo sapevo», esultò con gli occhi azzurri scintillanti di gioia vittoriosa, «lo sapevo che non commettevamo alcuna colpa! Siete stato voi a convincermi che era peccato! Signore, permettetemi di andare a prenderla!»

A questo punto de Perronet prese fuoco a sua volta e avanzò rapidamente di qualche passo, fermandosi di fronte a lui. «Correte troppo in fretta e troppo lontano, amico! Quale diritto avete più di me? Io non ritiro la mia richiesta, la riconfermo e la sosterrò con tutte le mie forze.»

«Fate pure», concesse Roscelin che, nell'ebbrezza del sollievo e della felicità, si sentiva generoso e comprensivo persino col suo rivale. «Ognuno è padrone di agire come crede, ma a parità di condizioni, voi, io e chiunque altro, e si vedrà che cos'ha da dire Helisende.»

Lui lo sapeva benissimo, naturalmente, la sua stessa incrollabile sicurezza era un insulto, e de Perronet aveva già la mano sull'elsa del pugnale e parole più accese sulle labbra quando Audemar batté imperiosamente un colpo sul tavolo.

«Smettetela!» proruppe alzando la voce. «Sono io il signore, qui, o no? A Helisende non mancano parenti, è mia nipote, se c'è qualcuno che ha diritti e doveri nei suoi confronti, senza averli mai delegati a nessun altro, sono io e, se Cenred è d'accordo, l'affido alla sua tutela, con gli stessi diritti che ha esercitato come parente in tutti questi anni, Quanto al suo matrimonio, esamineremo insieme, lui e io, che cos'è meglio per lei, ma sempre rispettando la sua volontà. Adesso basta! Ha chiesto di essere lasciata tranquilla per qualche tempo e lo faremo. Quando sarà disposta a tornare, andrò a prenderla io stesso.»

«Bene», approvò Cenred con un profondo sospiro. «Io sono d'accordo! Non chiedo di meglio.»

«E voi, fratello...» Audemar era di nuovo padrone della situazione, la sua autorità era prevalsa su tutto il resto, i suoi ordini sarebbero stati prontamente eseguiti e lui doveva cercare di rimediare per quanto possibile ai danni arrecati da sua madre. «Fratello, se tornate a Farewell, riferite ciò che ho detto. Quel che è fatto è fatto, quello che rimane dev'essere fatto apertamente, alla luce del giorno. Roscelin», ordinò bruscamente, guardando il ragazzo raggiante e irrequieto per la felicità, «fate sellare i cavalli, andiamo a Elford. Siete tuttora al mio servizio, finché non vi esonererò io, e non ho dimenticato che ve ne siete andato per i fatti vostri senza il mio permesso. Non datemi altri motivi di rimproverarvi.»

Ma né il tono della sua voce né la severità del suo sguardo poterono offuscare il gioioso splendore sul viso di Roscelin, che piegò brevemente un ginocchio in segno di obbedienza e uscì di corsa per eseguire l'ordine.

Audemar guardò finalmente e più a lungo la madre, che lo fissava a sua volta senza mai distogliere lo sguardo, in attesa delle sue decisioni.

«Voi, signora, tornerete a Elford con me. Qui avete già fatto ciò per cui eravate venuta.»

Tuttavia, fu Cadfael il primo a montare in sella. Nessuno aveva più bisogno di lui, lì, e qualsiasi naturale curiosità potesse provare riguardo agli affari di famiglia rimasti da sistemare, forse meno facili da portare a termine che da programmare, era destinata a restare per sempre insoddisfatta, perché era del tutto improbabile che lui avesse mai a tornare da quelle parti. Andò senza fretta a riprendere il suo cavallo, montò ed era a mezza strada dal portone quando Roscelin si staccò bruscamente dagli stallieri occupati a sellare i cavalli di Audemar e gli si avvicinò di corsa: «Fratello Cadfael...»

S'interruppe, come se non trovasse le parole, perché stupore e felicità in lui erano al di là di ogni parola, poi scosse la testa, ridendo della propria storditaggine. «Diteglielo! Ditele che siamo liberi, non dobbiamo rinunciare a niente, nessuno può biasimarci, ora...»

«Figliolo», lo rassicurò affettuosamente il monaco, «ormai lo sa anche lei, meglio di voi.»

«E ditele che presto, molto presto, andrò a prenderla. Oh, sì, lo so», aggiunse fiducioso, vedendo che Cadfael aggrottava la fronte, «ma affiderà a me l'incarico, lo conosco! Certo, avrebbe preferito un suo parente, uno sul quale sa di poter contare, uno dei suoi uomini, piuttosto che un giovane di una regione lontana. E mio padre non s'intrometterà fra noi due. Perché dovrebbe, quando questo risolve tutto? Che cosa è cambiato, all'infuori di quello che doveva cambiare?»

Non si poteva dargli torto, rifletté Cadfael osservando il bel viso raggiante alzato verso di lui. Che cosa c'era di diverso, tranne la verità al posto della menzogna? E il cambio, per quanto difficile da assimilare, era senza dubbio per il meglio. La verità può costare cara, ma alla fine vale sempre il prezzo che si è pagato.

«E dite a lui», aggiunse ansiosamente Roscelin, «il fratello storpio... suo padre...» La sua voce esitò un poco, sospesa tra stupore e reverente rispetto su quella parola. «Ditegli che sono felice, ditegli che gli debbo molto più di quanto potrò mai ricambiare. E che non deve darsi pensiero per la felicità di Helisende, perché sarà sempre l'unico scopo della mia vita.»

CAPITOLO XIV

Mentre Cadfael smontava nel cortile di Farewell, Adelais de Clary sedeva col figlio nel suo studiolo a Elford. V'era stato un lungo, pesante silenzio fra loro. Il giorno volgeva ormai alla fine, ma Audemar non aveva fatto portare candele.

«C'è un punto», disse finalmente, riscuotendosi da una cupa immobilità, «che si è a malapena sfiorato finora. Era venuta da voi, signora, quella povera donna. E voi l'avete mandata via con una brusca risposta. Incontro alla morte! Per vostro ordine?»

«No!» rispose spassionatamente lei.

«Non starò a chiedervi che cosa ne sapevate. A che scopo? È morta. Ma non mi piace il vostro modo di agire, e non voglio averci niente a che fare. Domani, signora, ve ne tornerete ad Hales. Potete tenerlo come vostro eremo, se volete, ma non dovete azzardarvi comunque a tornare qui, perché trovereste la porta chiusa per voi. Come lo saranno d'ora in poi quelle di tutti i miei manieri, all'infuori di Hales.»

«Come volete», ribatté lei in tono indifferente. «È lo stesso per me. Non ho bisogno di molto spazio, e forse nemmeno per troppo tempo. Hales andrà benissimo.»

«Allora, signora, partirete quando vorrete. Penserò io a darvi la debita scorta per il viaggio, visto che», aggiunse Audemar in tono velatamente minaccioso, «vi siete separata dai vostri abituali accompagnatori. E una lettiga, se preferite non farvi vedere in viso. Non sia mai detto che vi lasci viaggiare senz'alcuna difesa, come una povera vecchia che si avventuri da sola nella notte.»

Adelais si alzò e uscì senza aprir bocca.

Nel vestibolo i servitori avevano cominciato ad accendere le torce, ma l'oscurità si addensava ancora in ogni angolo, si aggrappava alle travi affumicate dell'alto soffitto in grandi ragnatele d'ombra.

Al centro della stanza, Roscelin, ritto davanti al focolare di pietra, stuzzicava con la punta di uno stivale le braci per ravvivarle dopo che erano state ricoperte di cenere per tutto il giorno. Aveva ancora su un braccio il mantello di Audemar e le fiamme che si andavano riaccendendo stendevano sul suo volto uno splendore dorato: un volto liscio, dai tratti delicati come quelli di una fanciulla, con le labbra socchiuse in un sorriso sognante e seducente, espressione della sua immensa felicità, e i capelli biondi che gli incorniciavano le guance, dividendosi sull'aggraziata curva della nuca, mettevano in risalto la sua giovanile bellezza. Adelais sostò per un momento nell'ombra, guardandolo senza essere vista, soltanto per il piacere, e la pena, di gustare una volta ancora l'irresistibile attrazione, l'intollerabile gioia e l'angoscia di vedere bellezza e giovinezza passare e sparire. Memento troppo pungente e dolce di cose finite da tempo, apparentemente dimenticate per anni, e ora rinate a un tratto come la fenice dalle proprie ceneri.

Poi proseguì senza rumore, perché Roscelin non avesse a udirla e girare verso di lei quei suoi occhi azzurri troppo radiosi, troppo felici. Gli occhi scuri che ricordava, infossati sotto l'arco delicato delle sopracciglia brune, non avevano mai avuto quell'espressione, nemmeno per lei.

Adelais uscì nel freddo della sera e si diresse verso le proprie stanze. Bene, era finita. Il fuoco si era ridotto in cenere. Non lo avrebbe rivisto mai più.

«Sì, l'ho vista», disse fratello Haluin. «Ho parlato con lei, le ho toccato la mano, carne tiepida, di una donna, non un'illusione. La sorella portinaia mi ha condotto da lei del tutto impreparato, non riuscivo più a parlare, a muovermi. L'avevo creduta morta per tanti anni. Anche quando l'ho vista di sfuggita là nel chiostro tra gli uccelli... Non riuscivo a convincermi di non avere sognato. Ma toccarla, sentirla pronunciare il mio nome... ed era felice... Il suo caso non era come il mio, benché Iddio sa se il suo fardello sia mai stato più leggero. Ma lei sapeva che ero vivo, sapeva dove e che cos'ero, non aveva niente di cui sentirsi colpevole, non aveva mai fatto altro male che amare me. E riusciva a parlare. Le cose che mi ha detto, Cadfael! 'Qui c'è una persona che vi ha già abbracciato, con pieno diritto. Adesso, abbracciatela voi. È vostra figlia!' Riuscite a concepire un tale miracolo, fratello? Lo ha detto sospingendola verso di me. Helisende, mia figlia! Viva e giovane, gentile, fresca come un fiore. E io credevo di averla uccisa, di averle perse entrambe! Mi ha baciato di sua spontanea volontà, la mia bambina. E anche se è stato soltanto per compassione... Che altro sarebbe potuto essere? Non poteva certo essere affetto per una persona che non aveva mai visto! Ma anche così è stato un dono inestimabile!

«E sarà felice, potrà amare, sposarsi come le detta il cuore. Una volta mi ha chiamato 'padre', ma soltanto come appellativo per un prete, penso, quale mi aveva conosciuto dapprima. Ma è stato ugualmente meraviglioso...

«L'ora che abbiamo trascorso insieme, tutti e tre, mi ripaga di tutte le pene di diciotto anni, anche se non ci siamo detti molto. Il cuore non potrebbe contenere di più. Adesso lei, Bertrade, è tornata ai propri doveri! Come io debbo tornare ai miei, presto... molto presto... domani...»

Cadfael aveva ascoltato in silenzio il monologo rivelatore, interrotto soltanto da qualche pausa durante la quale Haluin ricadeva in preda a uno stupito rapimento. Neppure una parola riguardo all'infame trattamento che gli era stato inflitto: tutto era stato cancellato dalla gioia immensa che ne era seguita, persino il ricordo di qualcosa da condannare o perdonare. E quello, ironia della sorte, fu l'estremo giudizio su Adelais de Clary.

«Andiamo al vespro?» domandò Cadfael. «La campana è già suonata da un po', saranno tutte al loro posto, ormai, potremo scivolare in chiesa senza farci notare.»

Dall'angolo in ombra che avevano scelto, Cadfael girò lo sguardo sui volti giovani e schietti delle sorelle e si soffermò a lungo su sorella Benedicta, un tempo Bertrade de Clary. Accanto a lui, la voce sommessa e gioiosa di Haluin si accompagnava a risposte e preghiere, ma al suo orecchio risuonava come quella che, incerta ed esitante, mormorava nel fienile del guardaboschi, nel buio antelucano. Là nel suo stallo, serena, appagata e in pace col mondo intero, c'era la donna che egli aveva cercato di descrivere. «Non era bella come sua madre. Non pareva risplendere come lei, ma possedeva una sua grazia gentile, la grazia semplice e naturale di un fiore. Non aveva paura di niente... non allora. Si fidava di tutti. Nessuno l'aveva mai tradita... non ancora. Le è accaduto dopo, e ne è morta.»

No, non era morta. E indubbiamente possedeva tuttora la sua grazia semplice e naturale. Mentre se ne stava lì, devota e reverente, sul suo viso ovale risplendeva la pace che regnava nel suo cuore, la gioia riconoscente per il dono che Dio le aveva concesso dopo tanti anni. Senz'alcun rimpianto, nessun'ombra offuscava la sua contentezza. La via che aveva intrapresa senza vocazione e percorsa forse suo malgrado per tanti anni aveva certamente raggiunto la meta soltanto ora, con la rivelazione della grazia. Non si sarebbe mai rammaricata di non essere tornata indietro, nemmeno per quel suo primo amore. A che scopo? V'è una stagione per l'amore. Il loro aveva superato le burrasche della primavera e il calore dell'estate, per addentrarsi nella calma dorata del primo autunno, innanzi che cominciassero a cadere le foglie. Bertrade de Clary appariva come fratello Haluin: salda e invulnerabile nella pace dello spirito. Ormai la presenza reale era inutile, la passione senza importanza. Entrambi si erano liberati del passato, ora dovevano lavorare per il futuro, con tanto maggiore impegno e devozione, sapendo ognuno che l'altro viveva e lavorava nella stessa vigna.

La mattina seguente, subito dopo la prima, preso congedo da tutti, si misero in cammino per il lungo viaggio di ritorno a casa.

Le sorelle erano riunite in capitolo, quando Cadfael e Haluin si avviarono, accompagnati da Helisende. Cadfael aveva l'impressione che, con le abluzioni mattutine, quei due si fossero lavati dal viso ogni ombra e ogni dubbio. Entrambi erano illuminati dalla stessa, nuova luce, dallo stesso stupore per l'enorme bene ricevuto. Adesso appariva ancora più chiara la loro somiglianza, come se i segni degli anni fossero stati in qualche modo cancellati dal viso di Haluin.

Helisende lo abbracciò senza parlare, quando si congedarono, affettuosamente ma intimidita. Comunque avessero trascorso la giornata precedente, qualsiasi confidenza si fossero scambiata, per lei Haluin era tuttora poco meno che uno sconosciuto, ma, grazie a quanto le aveva detto la madre, sapeva che era una persona buona, gentile e amabile e come tale lo avrebbe sempre ricordato, con una simpatia non molto lontana dall'affetto. Un sentimento prezioso per lui, anche se non l'avrebbe rivista mai più.

«Dio vi protegga, padre», disse Helisende. Era la prima e sarebbe stata l'ultima volta che lo chiamava così, come un uomo e non come prete, ma fu un dono che lo avrebbe accompagnato per tutto il resto della sua vita.

Si fermarono per la notte ad Hargedon, dove i canonici di Hampton avevano una masseria, in una campagna che si andava riprendendo lentamente dalla desolazione seguita all'insediamento dei normanni. Soltanto ora, dopo sessant'anni, il terreno veniva strappato all'invasione di arbusti selvatici e qualche piccolo villaggio solitario appariva in prossimità di crocicchi o torrentelli in grado di fornire l'acqua per un mulino. La relativa sicurezza offerta dalla presenza di canonici, fattori e domestici aveva indotto altri a insediarsi lì intorno, e ora, tra il fitto dei boschi, venivano creati, da intraprendenti, giovani figli, alcuni spazi aperti.

Ma era pur sempre un territorio scarsamente popolato, piatto e oltremodo malinconico nella luce serale. Tuttavia, a ogni faticoso passo verso occidente, il viso di Haluin andò facendosi sempre più luminoso e colorito dall'impazienza, anche attraverso quella triste campagna.

Dalla finestrella senza imposte del fienile, guardò il cielo ormai trapunto di stelle. In direzione di Shrewsbury, dove le colline preannunciavano le montagne più alte del Galles, cielo e terra si dividevano equamente lo spazio, ma lì la volta sopra di loro sembrava immensa e la terra degli uomini compressa e indistinta. Il limpido luccichio delle stelle era indizio di un tocco di gelo nell'aria, ma prometteva una giornata splendida per l'indomani.

«Non sentite mai il desiderio di guardarvi indietro?» domandò Cadfael sommessamente.

«No», dichiarò calmo Haluin. «Non ve n'è bisogno. Là dietro di me è tutto a posto. Nel migliore dei modi. Non ho più niente da fare, là, e ho altri vincoli altrove. Siamo semplicemente un fratello e una sorella, ora, e non chiediamo, non desideriamo niente di più. Posso offrire a Dio il mio cuore tutto intiero e sono immensamente felice che mi abbia abbattuto, per risollevarmi poi, rinnovato, al Suo servizio.»

Seguì un lungo, imperturbato silenzio durante il quale Haluin rimase a fissare la notte limpida, con una sorta di brama ansiosa dipinta in viso. «Ho lasciato a metà una pagina, quando siamo partiti», disse soprappensiero. «Pensavo di poter tornare a completarla molto prima. Spero che Anselm non l'abbia data a qualcun altro. Era una N maiuscola per il NUNC DIMITTIS alla quale mancava quasi tutto il colore.»

«Sarà tuttora là ad aspettare voi, non dubitate», lo rassicurò Cadfael.

«Fratello Aelfric è bravo, ma non sa che cosa intendevo fare io. Potrebbe esagerare con l'oro.»

«Smettete di preoccuparvi. Ancora qualche giorno di pazienza e sarete di nuovo là, con penne e pennelli in mano. E lo stesso sarà per me con le mie erbe, gli armadietti delle medicine saranno quasi vuoti, ormai. Coricatevi, figliolo, e cercate di dormire. Vi aspettano un altro bel po' di miglia, domani.»

Dalla finestra aperta sul buio entrava un venticello lieve e Haluin sollevò la testa, annusando l'aria come un cavallo di razza che senta l'odore della stalla.

«Com'è bello tornare a casa!» sospirò.

FINE