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La biforcazione tra reale – esterno, oggettivo e conoscibile – e interno – irreale, soggettivo e inconoscibile – non avrebbe messo nessuno in imbarazzo, o sarebbe passata per una semplice esagerazione di scienziati poco al corrente delle realtà di quaggiù, se non si fosse sovrapposta al vettore di modernizzazione di cui abbiamo parlato.1

È a questo punto che il senso positivo e quello negativo della parola “Globale” cominciano a divergere nettamente.

Il soggettivo verrà associato a quanto vi è di arcaico e superato; l’oggettivo al moderno e al progressista. Vedere le cose dall’interno non avrà più altra virtù se non quella di rinviare alla tradizione, all’intimo, all’arcaico. Al contrario, vedere le cose dall’esterno diventerà il solo mezzo per cogliere la realtà che conta e, soprattutto, per orientarsi verso il futuro.

È questa brutale divisione ad avere dato, per così dire, consistenza all’illusione del Globale quale orizzonte della modernità. Da quel momento in poi bisognava spostarsi virtualmente, armi e bagagli (anche se si rimaneva sul posto), da posizioni soggettive e sensibili verso posizioni oggettive, finalmente liberate da ogni sensibilità – o meglio da ogni sentimentalismo.

Ed ecco allora apparire, per contrasto con il Globale, la figura inevitabilmente reattiva, riflessiva, nostalgica del Locale (si veda la figura 1).

Perdere sensibilità rispetto alla natura come processo – secondo l’antico significato del termine – diventava l’unico modo per accedere alla natura come universo infinito – secondo la nuova definizione.2 Progredire nella modernità equivaleva a sradicarsi dal suolo primordiale e mettersi in cammino per accedere al Grande Fuori, diventare, se non naturali, almeno naturalisti.3

Attraverso una strana perversione delle metafore del parto, non dipendere più dalle antiche forme di genesi avrebbe permesso di “nascere finalmente alla modernità”.

Come hanno dimostrato le femministe analizzando i processi alle streghe, da questa tragica metamorfosi sortirà l’odio verso un gran numero di valori femminili, rendendo grottesca ogni forma di attaccamento agli antichi suoli natii.4 Fuggire l’appartenenza alla terra era come dire: “Copritevi il seno che io non lo veda!” [Molière, Tartufo, iii, 2].

Si pretenderà poi di imporre questo grande trasloco – l’unica vera “Grande Sostituzione”5 – al mondo intero che diverrà il passaggio alla mondializzazione-univoca via via che le ultime aderenze dell’antica natura-processo saranno state sradicate in modo duraturo.

È questo il senso dell’espressione divenuta ormai desueta, ma di cui si sente l’eco ogni volta che si parla di progresso, di sviluppo e di futuro: “Stiamo modernizzando il pianeta in via di unificazione…”.

O si parla di “natura”, ma allora siamo lontani; o si è vicini, e allora esprimiamo solo dei sentimenti. Questo è il risultato della confusione tra la visione planetaria e il Terrestre. Considerando le cose “dall’alto”, del pianeta si può dire che è sempre cambiato e che durerà più a lungo degli umani, e ciò porta a considerare il Nuovo Regime Climatico una oscillazione priva di importanza. Il Terrestre, invece, non autorizza questo genere di distacco.6

Da qui è facile comprendere l’impossibilità di fornire una descrizione abbastanza precisa dei conflitti per il suolo e quindi la necessità di imparare a liberare dall’incantesimo la nozione di “natura” che si pretende di applicare a questi due attrattori.

Quando i partiti che si dicono “ecologisti” cercano di interessare la gente a quel che capita alla “natura” che essi sostengono di “proteggere”, intendendo con questo termine la natura-universo vista da nessun luogo e che si suppone estendersi dalle cellule del nostro corpo fino alle galassie più lontane, la risposta sarà semplicemente: “È troppo lontano, è troppo vago; la cosa non ci riguarda; ce ne infischiamo altamente!”.

E a ragione. Non si farà alcun passo in avanti verso una “politica della natura” finché si utilizzerà lo stesso termine per indicare, per esempio, una ricerca sul magnetismo terrestre, la classificazione di 3500 esopianeti finora individuati, la segnalazione di onde gravitazionali, il ruolo dei vermi nell’aerazione dei suoli, la reazione dei pastori dei Pirenei alla reintroduzione dell’orso, o quella dei batteri del nostro intestino all’ultimo piatto di trippa alla moda di Caen… La natura così intesa è un vero e proprio guazzabuglio.

Non vale la pena di andare a cercare oltre la causa delle difficoltà delle mobilitazioni a favore della natura-universo. Essa è del tutto incapace di smuovere una dimensione politica. Fare di questo genere di esseri – gli oggetti galileiani – il modello di ciò che ci mobiliterà nei conflitti geo-sociali significa destinarsi al fallimento. Tentare di fare appello alla natura così concepita all’interno dei conflitti di classe è come immergere i piedi nel cemento per prepararsi ad andare a manifestare meglio …

Per poter cominciare a descrivere oggettivamente, razionalmente, efficacemente la situazione terrestre, per rappresentarla con una certa dose di realismo, abbiamo bisogno di tutte le scienze, ma posizionate diversamente.

In altri termini, per essere scientifici è inutile teletrasportarsi su Sirio. E non è nemmeno necessario abbandonare la razionalità per aggiungere dei sentimenti alla fredda conoscenza. Bisogna conoscere il più freddamente possibile la calda attività di una terra finalmente colta da vicino.


1. D. Debaise, L’Appât des possibles. Reprise de Whitehead, Presses du Réel, Dijon 2015, fornisce una versione particolarmente illuminante della storia filosofica di questa biforcazione.

2. Di qui il titolo spesso non compreso di É. Hache (a cura di), De l’univers clos au monde infini, cit. È per le sue pieghe che il mondo è infinito; infinito rispetto a cui l’universo, per quanto vasto sia, sembra chiuso.

3. Il termine “naturalista” ha avuto una definizione divenuta ormai canonica in Ph. Descola, Oltre natura e cultura, tr. it. seid, Firenze 2014.

4. Si veda S. Federici, Calibano e la strega. Donne, corpi e accumulazione originaria, tr. it. Mimesis, Milano 2015; e É. Hache (a cura di), De l’univers clos au monde infini, cit.

5. Un’ossessione del pensiero reazionario sui rischi prodotti dalle immigrazioni che verrebbero a sostituire un popolo autoctono, “originario”, con un popolo straniero. Come tutte le ossessioni, simboleggia e sta al posto di un altro fenomeno, di un’altra grande sostituzione: il cambiamento di suolo.

6. Di qui lo sforzo per rendere visibile il contrasto tra Pianeta e Terrestre grazie alla cartografia, come nel progetto di F. Ait-Touati, A. Arènes, A. Grégoire, Terra Forma, di prossima pubblicazione.