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La prova che l’ecologismo non è arrivato a definire questo attore politico di prima grandezza, il Terrestre, con sufficiente precisione, è che non ha saputo produrre una mobilitazione all’altezza dei problemi. Ci si sorprende sempre nel vedere la distanza che esiste tra la potenza delle emozioni suscitate dalla questione sociale a partire dal xix secolo e quella dei movimenti ecologisti dopo il secondo dopoguerra.
Un buon indicatore di questo scarto è il prezioso libro di Karl Polanyi La grande trasformazione.1 Ciò che colpisce profondamente, leggendo Polanyi, non è evidentemente che egli si sia sbagliato pensando che i disastri del liberalismo fossero ormai acqua passata, ma che questi disastri abbiano avuto come unica risposta quella che si potrebbe definire la grande immobilità degli schemi politici.
I settant’anni successivi all’uscita di questo libro, che risale infatti al 1945, delineano con esattezza il posto, purtroppo rimasto vuoto, dell’altra grande trasformazione che avrebbe dovuto aver luogo se i movimenti ecologisti avessero ripreso, prolungato e amplificato l’energia creata dai diversi tipi di socialismo.
Ora, questa trasmissione non è avvenuta. Invece di unire efficacemente le loro forze, il socialismo e l’ecologismo, che avevano entrambi l’obiettivo di far cambiare direzione alla storia, hanno potuto solo rallentarne il corso.
Se sono stati troppo deboli, è perché hanno creduto di trovarsi di fronte alla scelta tra occuparsi di questioni sociali o occuparsi di questioni ecologiste, mentre si trattava di un’altra scelta, ben più decisiva, tra due direzioni della politica: una che definisce la questione sociale in modo restrittivo e l’altra che definisce i problemi di sopravvivenza senza introdurre differenze a priori tra i tipi di associazioni che compongono i collettivi.2
Queste due direzioni non riguardano attori diversi. Per riprendere un cliché, non c’è da scegliere tra il salario degli operai e la sorte degli uccellini, ma tra due tipi di mondo in cui ci sono, in entrambi i casi, sia i salari degli operai sia gli uccellini, ma diversamente congiunti.
La questione diventa quindi la seguente: perché il movimento sociale non ha fatto subito proprie le sfide ecologiste, cosa che gli avrebbe consentito di sfuggire all’obsolescenza e di dare manforte all’ecologismo ancora debole? In altri termini, perché l’ecologia politica non ha saputo dare il cambio alla questione sociale?
Durante questi settant’anni che gli studiosi chiamano della “Grande Accelerazione”,3 tutto si trasforma – le forze del mercato si scatenano, la reazione del sistema terra si attiva –, ma si continua a definire la politica progressista o reazionaria secondo l’unico ed eterno vettore – quello della modernizzazione e dell’emancipazione.
Da un lato, maggiori trasformazioni e, dall’altro, un quasi completo immobilismo nella definizione, nel posizionamento, nelle aspirazioni associate alla parola “socialismo”. Conosciamo d’altronde le immense difficoltà che hanno avuto le femministe per imporre le loro battaglie giudicate a lungo “periferiche” rispetto alle lotte per la trasformazione sociale. Come se la bussola si fosse bloccata.4
Invece di incastrare queste rivolte tra loro, non si è fatto altro che subire, in una quasi totale impotenza, la Grande Accelerazione, la disfatta del comunismo, il trionfo della mondializzazione-univoca, l’isterilirsi del socialismo, per finire con un’ultima buffonata, l’elezione di Donald Trump! Prima di ulteriori catastrofi, il cui solo pensiero ci fa tremare.
Durante tutti questi avvenimenti, ci si è limitati a un’opposizione tra conflitti “sociali” e conflitti “ecologici”.
Come se si avesse a che fare con due insiemi distinti tra i quali, come l’asino di Buridano, si continua a esitare mentre si muore di fame e di sete. Ma la natura non è un sacco di crusca, così come la società non è un secchio d’acqua… Se non c’è scelta, è per l’eccellente motivo che non ci sono, da una parte, puri e semplici esseri umani nella loro nudità e, dall’altra, oggetti inumani.
Ecologia non è il nome di un partito, né di una particolare preoccupazione, ma quello di un appello a cambiare direzione: “Verso il Terrestre”.
1. K. Polanyi, La grande trasformazione, cit.
2. Le difficoltà dei sociologi del sociale già nel collocare la sociologia delle associazioni (detta anche dell’attore rete) forniscono, su scala ridotta, un parallelismo quasi perfetto con la lentezza dei movimenti socialisti nel sapere che cosa fare delle questioni ecologiste. Ricordiamo che “collettivo” è il termine che permette di sostituire “sociale” allargando la gamma di associazioni così raccolte. B. Latour, Changer de société – refaire de la sociologie, La Découverte, Paris 2006.
3. Il termine indica la crescita esponenziale dell’influenza dell’attività umana sul pianeta e inizia, per convenzione, nel dopoguerra. È, se vogliamo, la versione distopica del tema dei “trenta gloriosi”. W. Steffen, W. Broadgate, L. Deutsch, O. Gaffney, C. Ludwig, “The trajectory of the anthropocene: The great acceleration”, in The Anthropocene Review, 1-18, 2015.
4. Un blocco sottolineato ancora dai continui lamenti sulla “fine dello spirito rivoluzionario”, sulla necessità di “inventare nuove utopie” o di proporre “nuovi miti mobilitanti”. Tutti mezzi per continuare a sognare al di sopra della traiettoria storica.