14.
Oltre agli incontri di gruppo, Antonella accoglie anche singole persone.
– In pustinia ci mettiamo a nostro agio, invochiamo lo Spirito Santo e rimaniamo in silenzio. Chi viene, appena lo desidera, comincia a parlare. Io ascolto con attenzione, consapevole che non siamo soli, ma al cospetto della luce dello Spirito.
Un giorno arrivò Federico, un giovane molto sensibile, intelligente, dotato di un particolare talento artistico. Giunse afflitto da una grande oppressione, tanto che disse ad Antonella: «Sento un peso tremendo nei visceri come se dovessi partorire». Era in crisi, confuso. Cominciò a raccontare delle sue lacerazioni: problemi affettivi, situazioni pesanti in ambito artistico, paure verso il futuro. Ma quel groppo era qualcosa di piú.
Antonella prosegue a rievocare l’incontro.
– Da giorni Federico percepiva un crescendo di angoscia, di dolore. Dopo un momento di silenzio lo invitai ad aprire il Vangelo. Uscí la pagina del brano delle nozze di Cana: «Venuto a mancare il vino, la madre di Gesú gli disse: “Non hanno piú vino”». È Maria a rendersi conto che manca il vino, è lei a spronare Gesú ad agire. La madre inizia il figlio alla propria missione. Quel passo giovanneo a un tratto m’illuminò. Maria assume grande autorevolezza. Mette bene in luce il valore di una maternità spirituale. Fa crescere figlie e figli di Dio la madre che non tarpa le ali, che non avvinghia a sé, che non cerca di trattenere le proprie creature, ma le invita a incamminarsi sulla loro strada. Maria sa che il figlio sarà esposto all’invidia, all’odio, alla violenza, eppure un amore piú grande la spinge a iniziarlo alla missione per la quale è venuto nel mondo.
– Questo ragazzo si sentiva oppresso da sua madre?
– Non tanto dalla propria madre biologica, quanto da una visione distorta e coercitiva del materno. Il coraggio si matura attraverso un materno autorevole che aiuta a crescere, che permettere di lanciarsi nella vita, di rischiare.
– Federico è tornato ancora?
– Sí, quando ha bisogno torna. Nel momento di maggiore esasperazione ha avuto il coraggio di staccare, di prendersi una pausa. Ha smesso di interrogarsi, di tormentarsi, ha trascorso un periodo in cui ha mollato tutto dedicando molto tempo al silenzio, alla preghiera, all’abbandono interiore, senza piú pensare al futuro. Si era troppo identificato con aspettative che percepiva piú grandi di lui. Lo opprimevano, lo schiacciavano. Pian piano ha cominciato a trovare il suo centro. Il parto che doveva affrontare era quello di nascere a sé stesso. Ha detto sí all’atto creativo. L’azione creatrice chiede di non essere ostacolata. Si rivela facendo emergere l’identità profonda, quel nome che ognuno racchiude nel segreto. La fatica di nascere richiede di interiorizzare una madre purificata, che dia il coraggio di uscire dalle false sicurezze, che esorti ad affrontare le resistenze che si contrappongono alla potenza creatrice.
– Maria rimane quindi il modello di riferimento a cui dobbiamo guardare? A me sembra però piuttosto controcorrente rispetto al femminile e al materno che caratterizza il nostro mondo. Anche l’emancipazione femminile propone immagini diverse: donne vincenti, capaci di stare al passo con gli uomini anzi, per certi versi, in competizione con loro, a volte perfino un po’ aggressive.
– L’aspetto emergente è ancora questo. Ma l’emancipazione femminile, non dimentichiamolo, è avvenuta proprio nell’Occidente cristiano. Il cristianesimo porta una grande spinta di liberazione nei confronti di ogni forma di potere, possesso, sopruso. Le donne prima hanno dovuto prendere coscienza di sé stesse, riconoscersi nell’altra, parlare una lingua comune, riscoprire la sacralità del corpo espropriato da una cultura mercificante. Ne è emersa una nuova soggettività con la quale la società, compresa la Chiesa, è obbligata a confrontarsi. Per tirarsi fuori dallo stato subalterno in cui le ha relegate una plurimillenaria tradizione patriarcale, le donne hanno avuto bisogno di imporsi, appropriandosi di ruoli e modalità maschili. Questo ha comportato una reazione fortemente aggressiva da parte di uomini che si sono visti privati di un diritto acquisito e considerato naturale. Al contempo certi eccessi hanno snaturato le donne stesse provocando sofferenze e crisi di identità. Ora è necessario che il femminile emerga in tutta la sua nobiltà e potenzialità creatrice per bilanciare lo squilibrio di un maschile fuori controllo e per aiutare gli uomini a intraprendere anch’essi un percorso di consapevolezza. Il modello non può che affiorare dal profondo dove è inscritto da sempre. I tratti autentici, direi archetipici, ontologici del femminile sono recettività, accoglienza, dolcezza, mitezza, interiorità, umiltà, capacità di ascolto. Esprimono la parte contemplativa dell’anima, estranea a ogni forma di possesso, potere, violenza, cupidigia. Questa, solo all’apparenza piú debole, costituisce in realtà la parte piú forte, sensibile alla bellezza, all’intuizione, alla vitalità creatrice.
– C’è una correlazione con l’emergere del volto materno di Dio?
– Sí, certo. Il processo di emancipazione femminile è il segno di una trasformazione in atto che, spostando il punto di vista, mette a fuoco tratti rimasti in ombra per millenni. Piú si colmano i tasselli vuoti del mosaico, piú il divino amore potrà manifestarsi in tutta la sua luce. Questo vuoto teologico, fin dalle origini, è stato mirabilmente colmato da Maria, ma l’affiorare degli aspetti materni di Dio, nel nostro tempo tecnologico, sradicato e disumanizzato, costituisce una spinta dinamica nuova necessaria all’incarnarsi dei piú autentici tratti materni nell’umanità. La divina maternità si è incarnata in Maria, si è manifestata attraverso di lei, ma in sé stessa è sempre rimasta in ombra. In realtà si rivela proprio nell’Annunciazione. Lo Spirito Santo discende in pienezza nella vergine fanciulla di Nazaret perché in lei non trova ostacoli. Maria concepisce il figlio divino perché accolto senza riserve. Cosí avviene l’immacolata concezione. La vergine fanciulla di Nazaret rimanda alla vergine figlia di Sion cantata dai profeti. Allude alla fedeltà all’alleanza, a quella verginità del cuore in cui è morta ogni seduzione idolatrica. Solo dove trova questa condizione la divina maternità, cioè lo Spirito Santo, concepisce il figlio divino nella natura umana.
– Mi sembra importante valorizzare la verginità di Maria come verginità del cuore. Il piano fisico allora diviene secondario?
– La verginità del cuore implica una purezza che investe corpo, anima e spirito. È il presupposto necessario che, a livello simbolico, prepara il passaggio dalla Grande Madre alla Vergine Madre, come dire il passaggio da una maternità dominata da potenze naturali e psichiche a una maternità spirituale. Solo dove governa lo Spirito Santo le potenze si quietano, si armonizzano. La Grande Madre è legata al ciclo ripetitivo, è coercitiva, possessiva. Fa leva sulla seduzione, piega le forze psichiche e fisiche alla propria volontà, arriva a uccidere i figli. Permane in essa un potere che decide sulla vita e sulla morte. La Vergine Madre è invece interamente spostata sul piano di un amore gratuito, purificata da ogni forma di seduzione e attaccamento che impedisce al figlio di divenire l’essere umano che potenzialmente è. Maria incarna in pienezza la Vergine Madre: umile, silenziosa, nascosta, ma presente. Radiosa nel Magnificat, autorevole a Cana, forte sotto la croce. Il tempo dello Spirito Santo richiede l’elaborazione psichica di questo passaggio. Solo una madre liberata può far crescere figlie e figli di Dio. Lo Spirito Santo santifica. La santificazione è la lunga gestazione che abbraccia l’intera creazione per spostarla di piano.