Connie Willis e Cynthia Felice
Terra Promessa
A Sheba e Gracie, per la loro cieca fedeltà, e a Laura perché ha fatto da ponte tra noi due.
CAPITOLO PRIMO
Non c’era nessuno ad aspettarla.
Delanna si fermò ai piedi della rampa della navetta, proteggendo gli occhi con una mano dall’intensa luce del sole che si rifletteva sulla striscia argentea della pista. All’estremità opposta, dove la pista scompariva nell’erba verdazzurra, scorse un tipico terminal da spazioporto e un edificio rettangolare di colore azzurro che doveva essere il magazzino, costruito da qualcuno decisamente a corto di immaginazione. Una strada in terra battuta attraversava in linea retta il paesaggio spoglio e privo di qualsiasi punto di riferimento, e conduceva alla fila di edifici, tutti di diverse e vivaci sfumature di colore, della città di Grassedge, apparentemente appollaiata sull’orlo dell’orizzonte. Delanna si scostò i capelli dal viso e si girò con le spalle al sole. Anche da quel lato non vide nulla, tranne un mare d’erba punteggiato da quelli che dovevano essere i campi irrigati delle fattorie; in lontananza, verso est, sorgevano le montagne, ma erano tanto distanti che Delanna non riuscì a scorgere neppure le loro cime, coperte di neve, che ricordava dalla sua infanzia.
«Non è venuto nessuno a prenderla?» le chiese il pilota della navetta quando scese dalla rampa.
«Sarebbe dovuto venire un vicino, ma forse mi sta aspettando al terminal.»
«Lo ritengo decisamente improbabile. Di solito i passeggeri usano il terminal per accamparvisi dentro fino a quando non li trasportiamo sulle navi.»
Delanna annuì: ricordava vagamente di essersi rannicchiata contro la madre in un sacco a pelo mentre attendevano che arrivasse la nave che l’avrebbe condotta su un altro pianeta dove sorgeva la scuola che doveva frequentare. La madre l’aveva accompagnata a bordo della navetta e solo quando il portello si era chiuso tra di loro, separandole, Delanna si era resa conto che sua madre non sarebbe andata con lei. Aveva pianto disperatamente per tutto il tempo che la navetta aveva impiegato per entrare in orbita e non si era calmata fino a quando qualcuno non le aveva offerto un gelato. Non ricordava molto altro, tranne di avere viaggiato in un solaris per quelli che le erano sembrati giorni e giorni, e di aver visto un incendio nella prateria, ma all’epoca aveva avuto solo cinque anni. Grassedge e le pianure da cui era circondata le sembravano solo vagamente familiari e il paesaggio era spoglio come sua madre lo aveva descritto nelle sue lettere. «Questo è un pianeta orribile,» le aveva scritto riferendosi a Keramos. «Spero che tu non debba tornare mai più qui.»
In effetti Delanna era tornata, ma si sarebbe trattenuta soltanto il tempo necessario per regolare la questione della proprietà della madre.
«Forse il mio vicino è accampato al terminal,» commentò Delanna in tono speranzoso rivolgendosi al pilota. «Non poteva certo sapere a che ora sarebbe arrivata la nave, vero?»
«Certo,» convenne il pilota. «Ma quando sono partito di qui all’alba, non ho visto nessuno accampato nel terminal.»
«Però sarà meglio che vada a dare un’occhiata in ogni caso.»
Il pilota scrollò le spalle con indifferenza e indicò l’edificio in ceramica verde, distante mezzo miglio, che sorgeva al limitare dello spazioporto. Anche così, Delanna distingueva meglio la lunga ombra proiettata dal terminal piuttosto che l’edificio stesso. «Segua la linea gialla.»
«Non mi starà mica dicendo che devo arrivarci a piedi?» gli chiese Delanna, rivolgendogli uno sguardo incredulo. Sapeva che anche i trasporti pubblici di Grassedge, la città più grande di Keramos, non erano neppure paragonabili a quelli di cui era dotata Gay Paree, la piccola città su Rebe Primo che ospitava l’Abbazia; inoltre sua madre l’aveva avvertita che Keramos era un pianeta primitivo, ma questo era addirittura ridicolo.
Il pilota di navetta scrollò di nuovo le spalle. «Gilby se n’è già andato a casa,» le spiegò. «Di solito è lui che si occupa dei passeggeri, quando ne abbiamo qualcuno, ma qualche volta non ce la fa ad andare oltre i bar della città.»
«Ma sicuramente ci sarà qualcun altro.»
Il pilota scosse la testa. «Ci siamo solo io e Gilby, fino a quando non giungerà l’epoca del raccolto autunnale delle coltivazioni destinate alla vendita,» spiegò, poi aggiunse in tono pensieroso, «Per quelli che le coltivano.»
«E lei?»
«Noi tentiamo di accontentare i passeggeri,» rispose il pilota con un tono che Delanna non trovò per nulla convincente, «ma devo scaricare la navetta prima che faccia buio. Le casse funzionano a energia solare e, come può vedere chiaramente anche lei, è quasi il tramonto.»
Delanna fissò l’enorme palla dorata all’orizzonte, sentendosi, sia pure per solo un istante, spaesata e triste come si era sentita quando era scesa per la prima volta su Rebe Primo: una bambina di cinque anni appena arrivata in una strana scuola situata in una strana città su un pianeta ancora più strano. Allora, come adesso, era stata completamente sola: i suoi amici erano rimasti a Gay Paree e ormai erano quasi dieci mesi che sua madre riposava in una tomba, da qualche parte nelle vicinanze di Milleflores Lanzye. Ma adesso lei non era più una bambina. Respirò a fondo.
«Non posso certo camminare con queste,» affermò, indicando le scarpe con i tacchi alti e ornate di un fiocco. Senza dubbio il pilota non poteva non rendersi conto che per lei camminare a lungo era assolutamente impossibile.
«Be’, immagino che se non le dispiace viaggiare su una cassa, potrei portarla fino al magazzino merci.»
Delanna osservò con attenzione la cassa, poi finalmente annuì: qualsiasi mezzo di trasporto sarebbe stato meglio di camminare.
Il pilota si chinò sotto la tozza ala della navetta e si avvicinò al portellone della stiva. Delanna lo osservò tirare una leva e poi scostarsi mentre la prima cassa scendeva lungo la rampa. Come tutte le altre casse, era sigillata, ma era dotata di serbatoi d’ossigeno e un cartello scritto a mano avvertiva, «Bestiame! Proteggere da sbalzi di temperatura estremi.» Udì uno starnazzare sommesso. Fantastico: avrebbe dovuto viaggiare su una cassa di oche, ma a Gay Paree aveva diviso i taxi con compagni di viaggio ancora più strani e alcuni di loro avevano avuto voci molto simili.
Si appollaiò sulla cassa metallica e strinse saldamente il portadocumenti da viaggio e la sacca mentre il pilota camminava a fianco della cassa, filoguidandola. Quando la cassa abbandonò la pista, il viaggio divenne alquanto disagevole e Delanna fu costretta a reggersi al gancio per la gru al centro della cassa.
Chiuse gli occhi per difendersi dai raggi del sole e si appoggiò al gancio. La luce del sole splendeva calda sul suo volto, nell’aria aleggiava un meraviglioso profumo di terra e di erba falciata di fresco. Ebbe l’impressione che apprezzarlo la rendesse quasi una traditrice: sua madre aveva odiato qualsiasi cosa avesse a che fare con Keramos; più di ogni altra cosa avrebbe voluto fuggire dal pianeta, ma non ci era riuscita. Lo odierei anch’io, se fossi bloccata qui, pensò Delanna, ma in quel momento l’aria fresca, il calore e gli ampi spazi le sembravano assolutamente meravigliosi, dopo il lungo viaggio nella nave angusta e dall’atmosfera stantia.
Improvvisamente il sole scomparve e Delanna aprì gli occhi. Il pilota aveva guidato la cassa nell’ombra del magazzino, le cui pareti esterne erano ricoperte di mattonelle di ceramica azzurre; era così buio che in un primo momento Delanna non si accorse del varco, ancora più buio, di un portello per le merci aperto. Poi due uomini uscirono dall’ombra e la salutarono.
Delanna ricambiò il saluto. «Forse è uno di loro,» mormorò in tono ansioso. Uno degli uomini era anziano — aveva i capelli bianchi — indossava una camicia a fiori dai colori vivaci e aveva una pancia che sporgeva oltre la cintura dei pantaloni. L’altro era un, uomo attraente con i capelli neri. Delanna ricordò che, quando aveva avuto dieci o undici anni, il ragazzo dei Tanner aveva avuto i capelli biondi. Ma adesso doveva essere cresciuto e, forse, i suoi capelli si erano scuriti.
Anche il pilota li salutò. «Quello è il veterinario dello spazioporto, Doc Lyle. L’altro è il capitano della carovana della prateria, Jay Madog. Senza dubbio il veterinario deve prelevare dei campioni di sangue da queste oche e probabilmente Jay vuole controllare i manifesti di carico per vedere di quanto spazio ha bisogno per il prossimo viaggio verso est. E poi penso che debba anche firmare delle licenze di software.»
«Oh,» commentò Delanna in tono deluso.
Raggiunsero gli uomini, «…per caso hai visto qualche mandarino reale l’ultima volta che sei stato lì?» stava chiedendo il veterinario.
«Neppure uno,» rispose l’uomo più giovane.
Entrambi si girarono a guardare la cassa.
«Le oche sono lì dentro?» chiese il veterinario mentre infilava una mano oltre il bordo del buco nero; evidentemente stava cercando un interruttore, poiché la profonda oscurità venne improvvisamente inondata di luce. L’interno del magazzino ospitava alcuni contenitori, che però non riuscivano a riempirlo neppure per metà. «Dove sono i loro permessi di importazione? Una volta tanto mi piacerebbe tornare a casa in tempo per l’ora di cena.»
«Eccoli,» rispose il pilota. «Lì dentro c’è qualcuno in attesa di un passeggero?»
«Non c’è nessuno.» Il veterinario andò incontro al pilota, che, senza fermarsi, gli tese un fascio di fogli. «Comincia a farle uscire dalla cassa,» ordinò mentre era già impegnato a esaminare i documenti. «Entro subito.»
Il pilota chinò la testa e scomparve oltre la bassa entrata. Delanna si rese conto che non sarebbe riuscita a superare il montante senza battervi la testa.
L’uomo più giovane, Jay Madog, i cui capelli neri gli cadevano disordinatamente sulla fronte, si avvicinò alla cassa che continuava a muoversi. «E lei chi sarebbe?» chiese, tendendo le braccia verso Delanna.
Delanna esitò, guardò la porta che si avvicinava sempre di più, poi saltò giù. Madog l’afferrò per la vita e l’aiutò a scendere. Dopo averla deposta a terra, la tenne stretta un istante di troppo mentre i suoi polsi premevano contro i seni di Delanna. Poi la lasciò andare, sollevò un braccio verso la parte superiore della cassa e prese la sacca da viaggio e il portadocumenti. Mentre offriva quest’ultimo a Delanna, le chiese di nuovo, «E allora qual è il suo nome, signorina?»
«Mancano dei documenti,» intervenne il veterinario. «Non trovo il permesso di importazione di questo maiale.»
«È in fondo,» gli spiegò l’uomo dai capelli scuri, poi, giratosi di nuovo verso Delanna, aggiunse, «Mi permetta di presentarmi. Io sono Jay Madog. E quel tizio che mi sta rompendo le scatole con i documenti è Doc Lyle.» Il suo sorriso si allargò; Delanna decise che si trattava di un sorriso decisamente gradevole.
Strinse la mano offertale da Madog. La stretta dell’uomo era ferma, ma non dolorosa come quella di alcuni ragazzi su Rebe Primo. Ai ragazzi piaceva sempre pavoneggiarsi, ma Delanna era sicura che Jay Madog non avesse alcun bisogno di farlo. «Come sta, Capitano Madog?» replicò cortesemente, come le avevano insegnato a scuola.
«Tutti mi chiamano Jay,» replicò lui, continuando a portare la sacca da viaggio e conducendo Delanna oltre la porta del magazzino.
«Hrrrumph!» Delanna sentì esclamare il veterinario, si girò e vide che la stava studiando al di sopra del fascio di fogli. «Lo chiamano anche Cane Pazzo, e per un buon motivo.»
Jay non le lasciò ancora andare la mano. «Non credere a nulla di quello che si dice sul mio conto, se prima non l’hai visto con i tuoi occhi,» la avvertì. «Io non lo faccio,» replicò il veterinario, poi tornò ai suoi documenti.
«E non farlo neppure tu,» proseguì Jay rivolto a Delanna, che si girò a guardarlo. Jay le stava sorridendo. «La gente dei lanzye spettegola decisamente troppo, ma non è che si possa biasimarli molto, visto che non c’è nient’altro da fare.»
«E immagino che a te questo non dispiaccia troppo,» commentò Delanna mentre allungava la mano nel tentativo di prendere la sua sacca: non aveva tempo da perdere con il dongiovanni locale, anche se apprezzava il suo comportamento amichevole. E poi non voleva che nessun altro portasse la sacca, e il suo contenuto.
Ma Jay rifiutò di cedere la sacca e indicò una panca accanto a un recinto per il bestiame. «E io cosa posso farci?» replicò assumendo un’espressione esageratamente innocente.
«Scommetto che riusciresti a pensare a qualcosa, se solo ci provassi,» commentò Delanna, seguendolo verso la panca, «ma, da quel che ricordo di Keramos, arrecheresti un grosso dispiacere all’intera popolazione.»
Jay rise. «Ecco una donna che mi capisce! E per giunta una donna con dei bellissimi capelli rossi. Ma dove sei stata per tutta la mia vita? E ora che ti ho trovato, dov’è che stai?»
«Non sto da nessuna parte,» rispose Delanna, continuando a tenere d’occhio la sacca. «Partirò domani pomeriggio.»
Jay rivolse un’occhiata al pilota, che annuì. «È vero. Ha prenotato un posto per tornare sulla Scoville domani pomeriggio. Non ha neppure portato giù il suo baule.»
Jay sembrò assolutamente desolato. «Ma perché qualcuno dovrebbe scendere su Keramos per un giorno solo?» le chiese.
«Dovrei riuscire a sbrigare i miei affari in poche ore,» gli spiegò Delanna. «Ma una domanda ancora migliore sarebbe: perché chiunque dovrebbe rimanere su Keramos per più di un giorno?»
Il veterinario, che li aveva seguiti all’interno del magazzino, emise di nuovo uno sbuffo sprezzante.
«Sono venuta qui solo per vedere un avvocato,» annunciò Delanna, allungando di nuovo la mano verso la sacca.
Jay si affrettò a nasconderla dietro la schiena. «Be’, ma se abbiamo solo una notte a disposizione,» commentò, avvicinandosi a Delanna, «abbiamo il dovere di sfruttarla al massimo.»
«Jay!» esclamò Doc Lyle. «Smettila di infastidire i turisti e va’ a controllare il tuo carico. Oppure vieni ad aiutarmi con queste oche.»
«Andremo al lago a fare un picnic, Delanna,» proseguì Jay, ignorando le parole del veterinario. «E magari ci concederemo una nuotata di mezzanotte, se non fa troppo freddo.»
«Ma tu non devi prendere il treno di mezzanotte?» chiese Doc Lyle.
«Una nuotata serale,» si corresse Jay. «Oppure potremmo accendere un falò e guardare le stelle.»
Delanna rise e scosse la testa. «Mi dispiace,» si schermì, «ma domani mattina devo svegliarmi presto per incontrare l’avvocato.» Questa volta riuscì a togliergli di mano la sacca e se la mise a tracolla, in modo che Jay non potesse più impadronirsene, poi si avviò verso il veterinario e il pilota, che stavano aprendo la cassa piena di oche che emettevano starnazzi allarmati.
Jay la seguì. «Allora ti accompagnerò in albergo.»
«Solo dopo che avrai controllato il carico,» intervenne il veterinario. «Non ho alcuna intenzione di rimanere qui per tutta la notte. E non hai anche delle licenze di software da firmare prima che la navetta decolli?»
«Anch’io voglio tornare su,» intervenne il pilota.
«E va bene, andrò a prendere le licenze,» si arrese Jay. «Ci vediamo stasera,» sussurrò a Delanna, le fece l’occhietto, poi uscì dal magazzino.
Il pilota e il veterinario avevano aperto la cassa e stavano spingendo le oche starnazzanti in un recinto.
«Qualcuno avrebbe dovuto venirmi a prendere allo spazioporto,» annunciò Delanna.
«Solo un attimo,» si scusò il veterinario, allungando le braccia verso un’oca che si era rifugiata nell’angolo opposto della cassa. Quando riuscì ad afferrarla, il pennuto starnazzò come se fosse sul punto di essere macellato.
Delanna si allontanò dall’oca che sbatteva freneticamente le ali, trovò una panca accanto al recinto e si sedette. Aprì la sacca con cautela, gettò una rapida occhiata all’interno, poi la richiuse, osservando il veterinario e il pilota. L’oca era riuscita a liberarsi di nuovo e adesso svolazzava intorno alla cassa.
«Qui, qui,» la chiamò Doc Lyle in tono tranquillizzante, «non ti farò del male.» Allungò un braccio e riuscì ad afferrarla per una zampa. Le ali dell’oca gli percossero il volto e il veterinario tentò di bloccarne una sotto l’ascella, ma l’uccello dal lungo collo stava lottando tanto freneticamente che Doc Lyle ebbe bisogno di entrambe le mani per immobilizzarla. «Wilbur, ti dispiace darmi una mano?» chiese al pilota.
Il pilota aggrottò la fronte e scosse la testa. «Il mese scorso ho tentato di aiutarti con quella puledra e mi sono preso un calcio proprio sulle…» Si controllò appena in tempo e rivolse un’occhiata a Delanna, arrossendo.
«Questa non è una puledra, è un’oca,» replicò il veterinario, tentando di bloccare le ali contro il corpo dell’animale. «Vieni ad aiutarmi.»
«Devo andare a firmare quelle licenze di Jay,» rispose il pilota, poi uscì frettolosamente dal magazzino.
Il veterinario sollevò lo sguardo verso Delanna. «Tu. Vieni ad aiutarmi.»
«Io?»
«Sì, proprio tu.»
Delanna si alzò dalla panca, si tolse la sacca e si guardò intorno, in cerca di un posto in cui poggiarla.
«Subito!» esclamò il veterinario. Delanna infilò la sacca sotto la panca, si avvicinò al recinto, entrò e prese l’oca, ormai frenetica, dalle mani del veterinario, bloccandole con fermezza l’ala nell’incavo del braccio mentre con l’altra mano le immobilizzava il lungo collo e la testa. «Adesso taci, stupida bestiaccia!» intimò all’oca.
Il veterinario si raddrizzò ed estrasse una fiala dalla tasca. «Ho la netta sensazione che tu abbia già fatto qualcosa del genere,» affermò.
«L’ho fatto,» ammise Delanna. «Ma non per molto tempo.»
Il veterinario scostò alcune piume sul dorso dell’oca, poi premette la fiala contro la pelle.
«Avrei dovuto incontrare qualcuno qui,» affermò Delanna, facendo un nuovo tentativo. «Si tratta di Mr. Tanner. Di Milleflores Lanzye. Lei lo conosce?»
«Queste sono le sue oche,» spiegò il veterinario. Allontanò la fiala dalle piume dell’oca.» Tienila ferma per qualche altro istante. Devo finire il trattamento.» Infilò una mano in tasca. «Se stai aspettando Sonny Tanner, verrà sicuramente qui, visto che deve ritirare queste oche.»
«Magari verrà più tardi?»
Lyle prese dalla tasca un’altra fiala, più grande della prima. «Sarà meglio che lo faccia. Anche queste oche devono essere a bordo di quel treno che parte a mezzanotte.» Premette la fiala contro il collo dell’uccello. «Tienila ferma. Così va bene. Dove hai imparato ad avere a che fare con le oche?»
«Mia madre ne aveva qualcuna.» E a scuola Delanna aveva seguito un corso di allevamento, facendo venire alla madre quasi una crisi isterica. «Non sprecare il tuo tempo frequentando corsi del genere,» aveva scritto a Delanna. «Io voglio che impari a vivere in una città, non in una fattoria.»
«Strano,» commentò Doc Lyle, tirando fuori dalla tasca un lungo tubo. «Non pensavo che gli Stranieri allevassero delle oche.»
«Gli Stranieri?»
«Le persone provenienti da altri mondi. Stendi l’ala.»
«Non sono precisamente una ‘Straniera’,» rivelò Delanna, cambiando presa sull’oca per liberarle l’ala. «Io sono nata su Keramos.»
Doc Lyle strinse saldamente l’ala dell’oca e sollevò il tubo. «Colorante vegetale,» spiegò, «così potrò riconoscere quelle che ho già vaccinato,» poi spruzzò di verde la punta dell’ala.
Durante le due vaccinazioni, l’oca non aveva opposto alcuna resistenza, ma lo spruzzo di colorante la fece scatenare: emise uno starnazzo isterico e quasi sfuggì alla presa di Delanna.
«Non osare,» la ammonì Delanna, tentando di non perdere la presa sull’oca.
Finalmente riuscì a farla calmare. «Mettila qui dentro,» le ordinò Doc Lyle, prendendo una gabbia pulita. Delanna vi spinse dentro l’oca, poi ne bloccò un’altra nella cassa e la tirò fuori.
Doc Lyle la stava fissando con aria meditabonda. «Devi incontrare Sonny Tanner… tua madre allevava oche… tu sei la ragazza di Serena Milleflores che andò via dal pianeta per frequentare la scuola, vero?»
«Lei conosceva mia madre?» gli chiese Delanna.
«Ai vecchi tempi conoscevo tutti su questo mondo,» rispose il veterinario. «Ma questo è logico: al primo atterraggio eravamo solo cinquecento. E qualche anno fa vedevo abbastanza spesso tua madre. Allora a Milleflores Lanzye c’erano una coppia di mandarini reali che stavano facendo il nido.» Sorrise per la prima volta. «Erano una coppia meravigliosa. E anche Milleflores è un lanzye meraviglioso. Però non penso che a tua madre sia mai piaciuto molto.»
Questo era un vero e proprio eufemismo.
Doc Lyle prese un’altra fiala. «E così sei qui per prendere le redini di Milleflores insieme a Sonny?»
«Sono qui per vendere la proprietà di mia madre,» dichiarò Delanna, scostando le piume dell’oca in modo che il veterinario potesse eseguire la vaccinazione. «Poi andrò a Carthage.»
«Ahh, capisco: la grande città,» commentò Doc Lyle mentre vaccinava l’oca. «È un vero peccato. Keramos ha molto da offrire.»
«Posso immaginarlo.»
«Senza dubbio sei figlia di tua madre,» commentò il veterinario, allargando l’ala. «Quando vivevi a Milleflores hai mai visto un mandarino reale?»
«Non me lo ricordo,» rispose Delanna, bloccando l’oca in modo che Doc Lyle potesse applicare il colorante. «Quando me ne andai, avevo solo cinque anni.»
«Sono uccelli meravigliosi,» le spiegò Doc Lyle. «Il loro piumaggio ha tutte le sfumature dell’arcobaleno. Adesso ne sono rimasti pochissimi e la maggior parte sono sterili, ma quando arrivai su Keramos ce n’erano migliaia.»
Delanna stava ancora tenendo tesa l’ala, ma sembrava che il veterinario, travolto dal suo entusiasmo per i mandarini reali, si fosse dimenticato di spruzzarla di colorante.
«Il colorante,» gli ricordò allora Delanna.
«Scusami,» rispose Doc Lyle, tornando in sé. Spruzzò l’ala di verde, prese l’oca dalle mani di Delanna e la spinse nella gabbia. «Il mio lavoro è proteggere gli animali di Keramos e immagino di lasciarmi trasportare in modo eccessivo quando si tratta di esemplari meravigliosi come i mandarini reali. Ecco a cosa servono tutte queste vaccinazioni: a evitare che gli animali importati da altri mondi introducano una qualsiasi infezione su Keramos.»
«A che ora pensa che Mr. Tanner verrà qui?» gli chiese Delanna, sperando che sarebbe accaduto molto presto: le oche emanavano una puzza terribile. Certo, le oche della madre e quelle del corso di allevamento avevano avuto un odore tremendo, ma la frase «sudicio come un’oca» acquistava un nuovo significato quando l’oca in questione era stata rinchiusa in una nave per due mesi.
«Mi aspettavo che Sonny arrivasse prima delle vaccinazioni,» commentò Doc Lyle. «Passami quella laggiù.»
Delanna si affrettò a bloccare l’oca indicatale ed eseguirono di nuovo la routine delle vaccinazioni, mentre il veterinario parlava tutto il tempo dei mandarini reali, dei pericoli di infezioni extraplanetarie e di Milleflores. «È un lanzye meraviglioso: tutti quei fiori!»
Meglio così, pensò Delanna. Questo significa che riuscirò a spuntare un buon prezzo.
«Però, ovviamente va detto anche che è in pessime condizioni.»
Ovviamente.
«Credo che tua madre sia stata la prima a fare schiudere uova d’oca su Keramos,» la informò Doc Lyle, vaccinando l’ultima oca. «Si trattava di oche Toulouse, con il piumaggio grigio come quello delle Juno.»
«Non so se fossero oche Toulouse, però ricordo che erano enormi. Dovevo dare loro da mangiare ogni giorno,» rivelò Delanna. «Io le odiavo.»
Il veterinario scostò goffamente le piume dell’oca. «L’odio non sembra essere durato.»
Delanna arricciò il naso. «Vista la puzza di queste oche, potrebbe tornare molto in fretta,» replicò, ma continuò a tenere stretta l’oca mentre il veterinario le spruzzava l’ala di colorante.
Quando tutte e tredici le oche poterono sfoggiare macchie verdi sulle loro ali sinistre e vennero messe al sicuro in gabbie pulite, Delanna seguì il veterinario fuori dal recinto. Doc Lyle prese il fascio di fogli e iniziò a inserire i dati nel computer.
Delanna si avvicinò all’entrata del magazzino e guardò all’esterno. Non vide alcun segno che stesse arrivando qualcuno, neppure Jay Madog o il pilota. Tornò di nuovo dentro, tirò giù dalla parte superiore della cassa un sacco di mangime e iniziò a distribuirlo agli uccelli in gabbia. Il cibo fece svanire come per magia la ritrosia dei pennuti, che si accalcarono l’uno sull’altro, starnazzarono e inghiottirono i chicchi mentre ancora cadevano dal sacco. Chinandosi, Delanna sparse i chicchi come ricordava di avere fatto molti anni prima: tracciando una lunga scia lungo i bordi della gabbia, in modo che tutte le oche, non solo quelle più grandi, potessero mangiare.
«Ma bene, vedo che sei ancora qui,» commentò Jay Madog. «E quel tuo amico non c’è, il che significa che posso darti un passaggio in città.» Si protese verso di lei. «E poi andremo al lago di cui ti ho parlato.»
Doc Lyle sollevò lo sguardo dal terminale. «Penso che dovresti sapere che l’amico che sta aspettando è Sonny Tanner,» annunciò.
«Davvero?» Jay si avvicinò alla panca, infilò la mano sotto di essa e prese la sacca di Delanna. «Tu conosci Sonny Tanner? È davvero un brav’uomo.»
«Penso che dovresti anche sapere che questa è Delanna Milleflores,» aggiunse Doc Lyle.
«Delanna…» mormorò Jay, chiaramente sbalordito. «Tu sei la figlia di Serena Milleflores?» Sembrava provare un misto di sorpresa e di un’altra emozione che Delanna non riuscì a identificare.
«Pensavo solo che dovessi saperlo,» commentò Doc Lyle in tono divertito. «Prima di portarla a fare quella nuotata al chiaro di luna. Non che saperlo possa impedirtelo.»
Delanna li guardò con sorpresa, chiedendosi cosa ci fosse sotto.
«Ma io pensavo di averti sentito dire che saresti rimasta solo fino a domani mattina,» affermò Jay, tendendole la sacca.
«Ed è proprio così,» confermò Delanna, ma prima che potesse prendere la sacca, da essa provenne un sonoro ruggito.
Jay quasi la lasciò cadere di scatto. «Ma cosa diavolo c’è qui dentro?» esclamò.
Delanna afferrò la sacca, la depose frettolosamente a terra e la aprì. La sacca ruggì di nuovo.
«Sì, cosa c’è lì dentro?» chiese Doc Lyle, comparendo da dietro la cassa.
«È tutto a posto,» li rassicurò Delanna. «È solo Cleopatra, il mio scarabeo. Evidentemente ha un po’ di fame.»
Delanna tirò fuori lo scarabeo dalla sacca e lo coccolò dolcemente, mentre il morbido ventre dell’animale aderiva contro il petto e il muso peloso le sfiorava il mento. Quando si rese conto di essere al sicuro tra le braccia di Delanna, Cleopatra iniziò immediatamente a fare le fusa.
«Cos’è?» chiese Jay, tenendosi a distanza di sicurezza. «Qualche tipo di grosso scarafaggio?»
«È uno scarabeo,» gli spiegò Doc Lyle, poggiando il fascio di fogli su un angolo della cassa e tendendo le mani verso Delanna. «Non ne avevo mai visto uno da vicino prima d’ora. È davvero uno scarabeo?»
Delanna annuì e avvicinò la guancia contro la piastra che copriva la spalla di Cleopatra per tenerla ferma: l’animale aveva visto le braccia tese del veterinario e non voleva andare con lui. «Non ti farà del male.» le sussurrò, poi, rivolta a Doc Lyle, aggiunse, «Probabilmente ruggirà di nuovo.»
Il veterinario prese lo stesso lo scarabeo, in modo fermo ma gentile. Cleo si ritrasse nelle sue piastre, ma non ruggì. «Devi passare molto tempo a lucidare queste piastre,» commentò Doc Lyle in tono ammirato. «Sembra un cesto pieno di gioielli.»
«Non avevo molto altro da fare durante il viaggio. E poi le piastre di Cleo hanno dei motivi bellissimi, vero?»
Doc Lyle annuì e andò a mostrare lo scarabeo a Jay Madog, che si irrigidì. «Non ha nulla a che vedere con gli scarafaggi,» affermò Doc Lyle, girando Cleo con attenzione per osservarle il ventre. «Appartiene alla specie Scaraeoptera, originaria di Rebe Quarto. Su Keramos non esiste nessuno scaraeoptera.» Da tutte e sei le zampe dell’animale spuntarono unghie sottili come aghi e Cleopatra ringhiò per scoraggiare l’esame, ma il veterinario non si lasciò intimorire. Tirò una delle zampe dell’animale e, poiché era molto più forte dello scarabeo, riuscì a farla allungare fino al ginocchio. «Dovrebbe allungarsi di più,» commentò Doc Lyle, voltandosi verso Delanna. Jay Madog si allontanò, come se improvvisamente fosse molto interessato ai documenti sulla cassa. «Si tratta di un arto retrattile, vero? Non voglio farle male.»
Delanna allungò una mano, sbloccò il ginocchio di Cleopatra ed estese la zampa coperta di peluzzi in tutta la sua lunghezza. «Quando le zampe sono in piena estensione, mi arrivano alla vita, ma Cleo è pigra e non ha mai dovuto fare attenzione a qualcosa che fosse più alto di un marciapiede. Si estende solo di rado. Di solito cammina tenendosi vicina al suolo.»
Cleo ritrasse la zampa non appena Delanna la lasciò andare, ma sporse il muso. Gli occhi sfaccettati, posti sopra le narici, luccicavano come gioielli e quando Cleo riconobbe Delanna sollevò le membrane nittitanti che coprivano gli occhi anteriori.
«Un esemplare interessante,» commentò Doc Lyle, poi fissò Delanna. «Ma temo che dovrò sequestrarlo.»
«Sequestrarlo!»
«È proibito importare qualsiasi animale su Keramos, tranne quelli certificati come appena nati, oppure quelli nati in viaggio e in un ambiente sterile. Qui non abbiamo risorse sufficienti per effettuare nessun altro tipo di controllo per evitare il diffondersi di malattie e possiamo fare ancora di meno per eliminare i parassiti che potrebbero nascondersi su un animale adulto.»
«Ma Cleo non ha parassiti!» protestò Delanna, iniziando a frugare nel suo portadocumenti. «Ho il suo certificato di buona salute. Ha fatto tutte le vaccinazioni.»
Doc Lyle scosse la testa. «È un animale adulto. Non posso permettere che entri su Keramos.»
«Ma allora… posso almeno rimandarla sulla navetta?»
«È già partita,» la informò Jay.
Il veterinario rivolse a Delanna uno sguardo severo. «Gli animali provenienti da altri mondi costituiscono una minaccia per le forme di vita di Keramos.»
«Non potrei semplicemente tenerla nella mia sacca?» chiese Delanna, tendendo le mani. Cleo estese le zampe anteriori ed emise un ruggito sommesso. «Ha una serratura e prometto che non la farò uscire di lì; tanto dormirà per tutto il tempo. E la terrò lontana dagli altri animali.»
«Mi dispiace, ma le leggi sono le leggi.» Lyle si girò, portando con sé lo scarabeo.
«Cosa ne farà di lei?» gli chiese Delanna, seguendolo. «Non sapevo che non avrei dovuto portarla giù con me. Sulla nave nessuno mi ha avvertito che portarla sul pianeta costituiva una violazione delle leggi di Keramos e a me non è neppure passato per la mente…»
Lungo la parete c’era una fila di gabbie. Il veterinario ne aprì una e vi depose Cleo. Lo scarabeo si raggomitolò su se stesso, fino a quando non sembrò una palla ingioiellata al centro della gabbia. Il veterinario chiuse di nuovo il lucchetto, si mise la chiave in tasca e poi si avviò verso una grande scatola metallica con un pannello di controllo.
«Ma io non sto tentando di importarla,» obiettò Delanna. «Io rimarrò qui solo un giorno.»
Doc Lyle sembrò riflettere per qualche istante. «Prenderai la navetta domani?»
«Pensavo che avessi detto che questa era Delanna Milleflores,» intervenne Jay.
«Ed è proprio così,» confermò Delanna. «Ma sono qui solo per firmare alcuni documenti. Non mi fermerò neppure un giorno. E Cleo non ha alcuna malattia o parassita o qualsiasi altra cosa. È stata sterilizzata, ha fatto tutte le vaccinazioni. Vede, ecco il suo certificato medico.» Lo spinse sotto il naso del veterinario.
Doc Lyle non gli diede neppure un’occhiata. Allungò una mano verso un armadietto posto sopra la scatola metallica e prese uno spesso taccuino. Iniziò a sfogliarlo, leggendo le pagine con attenzione.
«Ha detto che su Keramos non esiste nessuno scaraeoptera,» proseguì Delanna in tono incalzante. «A scuola ho imparato che le malattie non si trasmettono da una specie all’altra, dunque Cleo non può infettare nessun altro animale.»
«Io lascerei perdere,» mormorò Jay, prendendola per un braccio. «Con Doc Lyle è inutile discutere: per lui l’unica cosa importante è rispettare le leggi.»
Allora spero che trovi una legge che permetta a Cleo di rimanere, pensò Delanna.
Evidentemente il veterinario ci riuscì. Dopo pochi minuti, poggiò un dito su un passaggio e lesse, «L’animale non deve essere considerato ufficialmente importato fino a quando non sia stato sottoposto ai necessari controlli e non abbia lasciato lo spazioporto. Il trattamento dell’animale deve essere completato entro ventiquattro ore. Fino a quel momento, l’animale non è stato importato e, conseguentemente, un’eventuale richiesta di importazione non può essere rifiutata.» Sollevò lo sguardo. «Sei sicura che impiegherai non più di ventiquattro ore per firmare quei documenti?»
«Sì, ne sono sicura,» gli assicurò Delanna.
«Allora fino a quando l’animale rimane qui e non viene sottoposto al trattamento, non ho trovato nulla nelle nostre leggi che ti impedisca di portarlo di nuovo con te sulla Scoville.» Prese la chiave dalla tasca e aprì il lucchetto della gabbia di Cleo.
«Oh, benissimo!» esclamò Delanna.
«Per precauzione, la metterò in una gabbia isolante,» spiegò Doc Lyle, aprendo la gabbia. Cleo continuò a conservare l’aspetto di una palla ingioiellata. «In questo modo non ci sarà alcun rischio di esporla a qualsiasi altro animale.» Portò lo scarabeo fino a una gabbia trasparente con numerosi quadranti sulla parte anteriore e ve lo mise dentro.
«Va bene,» si arrese Delanna, osservando Cleo. Detestava la prospettiva di lasciarla lì, ma non voleva neppure mettere a dura prova la propria buona sorte; con un po’ di fortuna, l’indomani mattina avrebbe visto l’avvocato molto presto, in modo da essere di ritorno verso mezzogiorno. Si avvicinò alla gabbia e poggiò una mano sul lato trasparente per consolare lo scarabeo. Cleo allungò prima una zampa dal carapace, poi un’altra e infine sporse anche la testa. Cercò di toccare la mano di Delanna, percepì la barriera, ritrasse di nuovo la testa. Delanna emise un sospiro.
«Non preoccuparti,» la rassicurò Jay. Delanna sentì le mani dell’uomo posarsi sulle proprie spalle. «Non le succederà niente. Doc Lyle si prenderà buona cura di lei.»
Ma Delanna scosse la testa. «Rimarrà così fino a quando non sarò tornata. Povera piccola, è spaventata.» Sospirando di nuovo, Delanna esitò per un istante: detestava davvero dover lasciare lo scarabeo. «È solo fino a domani,» affermò, dando un ultimo colpetto sul lato trasparente della gabbia. Fece per girarsi, ma le mani di Jay erano ancora sulle sue spalle.
«Adesso sei pronta per quel passaggio in città?» le chiese Jay, dando alle spalle una strizzatina finale prima di lasciarle andare. Quando Delanna si girò, vide che aveva la sacca tra le mani. Annuì e allungò la mano per prenderla, ma Jay ancora una volta non mollò la presa.
«La porterò…»
«Yuuu!» provenne un grido dall’esterno.
Si girarono tutti e videro un uomo stagliato sulla soglia.
«Sono quelle le mie oche?» chiese il nuovo arrivato in tono apparentemente felice. Entrò sotto le luci del magazzino: una figura alta e sottile che indossava pantaloni larghi con gli orli rovesciati e una camicia a fiori arancione. Portava la giacca sulla spalla e in testa indossava un berretto rosso. «Sono arrivate tutte e dodici?» chiese, porgendo un fascio di fogli al veterinario e affrettandosi verso il recinto: ovviamente non poteva non sapere con esattezza dove si trovassero le oche, visti gli starnazzi che emettevano. «Ma guarda!» esclamò dopo un istante. «Si è schiuso anche l’uovo in omaggio! Grazie, Doc, per avermi raccomandato le oche Juno. Non avrei mai creduto che sarebbero riuscite ad arrivare sane a salve tutte e tredici.»
«Ecco perché i conti non tornavano,» commentò Jay, scuotendo la testa. «Hai prenotato spazio solo per sei di quelle oche nella Cane Pazzo.»
«È tutto a posto,» si affrettò a rassicurarlo l’uomo. «Posso portarle tutte e tredici: ho comprato un nuovo rimorchio e sono venuto con il mio solaris dal lanzye. Adesso è da Grayson: uno dei motori ha bisogno di qualche riparazione. Trasporteremo le altre sette nel rimorchio e metteremo il resto del mio carico nel tuo rimorchio.»
«Avrai bisogno di altri sette permessi,» lo avvertì Doc Lyle. «Non posso consegnarti queste oche senza prima avere i loro permessi di importazione, ma tu ne hai solo sei.»
E le leggi sono le leggi, pensò Delanna, anche se si tratta solo di uova.
«Me li farò dare da Maggie quando andrò in città,» rispose l’uomo, sollevando lo sguardo. Vide Delanna e rimase a bocca aperta.
«È questo Mr. Tanner?» chiese in tono dubbioso Delanna. Sperò ardentemente che non lo fosse. Non somigliava per nulla al ragazzo dai capelli biondi che ricordava: era vestito così male e sembrava così stupido! La stava ancora fissando a bocca aperta.
«Sì, è lui, Delanna. Non riconosci tuo…» fece Doc Lyle.
L’uomo lo interruppe. «Tu non puoi essere Delanna,» affermò stupidamente. «Tu dovresti essere al terminal.»
«Riprovaci,» intervenne Jay. «Lei è proprio qui.»
«Come stai?» gli chiese educatamente Delanna, come le avevano insegnato a scuola. «Io sono Delanna Milleflores. Tu, invece, devi essere Tarleton Tanner.»
«Tarleton?» ripeté Jay con un sogghigno.
«Tutti mi chiamano Sonny,» le spiegò il nuovo arrivato, arrossendo leggermente mentre si puliva la mano sui pantaloni e la tendeva verso Delanna. Quando la ragazza esitò a stringerla, se la pulì di nuovo sui pantaloni. «Non ho toccato le oche,» si giustificò Sonny: evidentemente stava cercando di capire perché Delanna non volesse stringergli la mano.
«Ma l’ho fatto io,» affermò Delanna, stringendogli la mano con decisione.
Sonny le rivolse un sorriso timido mentre le stringeva la mano… con troppa forza!
«Mi dispiace!» si scusò immediatamente quando vide Delanna fare una smorfia di dolore, poi ritrasse di scatto la mano come se avesse ricevuto una scarica elettrica. Agitò la mano e fletté le dita. «Non intendevo… Fiuu! Eri dentro con le oche, vero?»
«Avevo un po’ di tempo da far passare,» rispose Delanna in tono gelido, «e così ho aiutato il veterinario.»
«Sì,» confermò Doc Lyle, prendendo un fascio di fogli da fare firmare a Sonny. «È una fortuna che tu sia arrivato proprio in questo momento. Jay Madog era sul punto di andare via con tua…»
«Stavo solo per offrire a Delanna un passaggio in città,» lo interruppe Jay. «Dove sei stato?»
«Sono dovuto passare a ritirare il rimorchio prima che il negozio chiudesse. Sarei andato a prendere Delanna al terminal subito dopo aver dato un’occhiata alle oche, ma adesso risparmieremo un po’ di tempo perché non dovrò andare al terminal.»
«Giusto,» commentò Delanna. «Visto che io sono qui, vero?»
«Giusto!» esclamò Sonny, quasi raggiante.
Alle sue spalle, Jay sussultava nel tentativo di reprimere una risata.
Sul volto di Doc Lyle non comparve neppure un sorriso. «Adesso devi accompagnare Delanna in città, Sonny,» dichiarò, controllando i documenti firmati. «Ha avuto una giornata molto lunga e probabilmente è stanca. Puoi portarmi i permessi dopo che l’avrai fatta sistemare in albergo.»
«In albergo,» ripeté Sonny, prima annuendo, poi scuotendo la testa. «Ma la tua lettera diceva che, per prima cosa, volevi incontrare l’avvocato.» Sembrava confuso.
«Presumevo che saremmo andati dall’avvocato domani mattina.»
«Lo faremo questa sera,» le spiegò Sonny.
Delanna impiegò un istante per capire che anche su Keramos era possibile incontrare un avvocato a qualsiasi ora, come su Rebe Primo. Aveva presunto che tutti i posti pubblici di accesso ai terminali vega di Grassedge chiudessero al tramonto, come tutto il resto. Tranne i bar, ricordò a se stessa, e la sala da ballo. Ma se l’avvocato era disposto a incontrarli quella sera, tanto meglio. Sarebbe potuta tornare prima al magazzino per prendere Cleo.
Finalmente Sonny si accorse della sacca tra le mani di Jay. «Questa è tua?» chiese a Delanna, allungando una mano verso il bagaglio.
«Potrei ancora accompagnarti all’albergo,» si offrì Jay, resistendo al tentativo di Sonny di toglierli di mano la sacca.
Delanna quasi accettò, ma poi scosse la testa. «Gli affari che devo sbrigare sono con… Sonny,» rispose, ormai sicura, dopo averlo conosciuto, che avrebbe avuto bisogno di ogni minuto disponibile per assicurarsi che quel bifolco si rendesse conto che anche lui doveva essere presente dall’avvocato.
Jay lasciò andare la sacca. «Be’, allora, sarà per la prossima volta,» affermò, chiaramente dispiaciuto.
«È improbabile che ci si riveda,» replicò Delanna in tono cortese.
«Sarò in lutto per trenta giorni,» annunciò Jay con gli occhi che luccicavano.
«Io scommetterei più su trenta minuti,» rispose Delanna con una risata. Jay scrollò le spalle.
«Andiamo,» annunciò Sonny, girandosi di colpo. Uscì dal magazzino a passi brevi e veloci, portando la sacca di Delanna e spingendo una delle gabbie delle oche oltre le ombre e verso la luce del sole. Delanna rivolse uno sguardo di rimpianto a Cleo, ancora raggomitolata in una piccola palla.
«Grazie per il tuo aiuto, ragazza,» le disse Doc Lyle. «Ci vedremo domani. E non preoccuparti per il tuo scarabeo: me ne prenderò buona cura.»
«Sei sicura che non hai cambiato idea sul rimanere?» le chiese Jay, prendendole la mano. «Da queste parti abbiamo bisogno di una quantità maggiore di stupende ragazze dai capelli rossi.» Delanna sentì qualcosa passare dal palmo di Jay al proprio.
«Ne sono sicura,» rispose Delanna. «Addio,» disse rivolta a entrambi, poi si girò per seguire Sonny, che era già uscito.
Si fermò sulla soglia per vedere cosa le avesse passato Jay: era un biglietto da visita, fatto di vera carta, come i manifesti di carico.
Jay Madog
Capitano delle carovana della prateria Mad Dog
Chiamate il 5373 notte e giorno a Grassedge
Se non risponde nessuno, provate con la frequenza
139 della radio.
Delanna si affrettò a uscire dal magazzino.
CAPITOLO SECONDO
Sonny la stava aspettando all’esterno, ancora reggendo la sacca. Delanna guardò di nuovo il biglietto, memorizzando il numero, poi lo infilò in tasca.
«Io non mi immischierei con Jay Madog, se fossi in te,» le consigliò Sonny.
Devo solo resistere la prossima mezz’ora, pensò Delanna. Poi, non appena avrò incassato i soldi, lo ucciderò.
«Voglio incontrare l’avvocato il più presto possibile,» dichiarò in tono tagliente. «Hai preso un appuntamento?»
«Appuntamento?» ripeté Sonny, come se non avesse la più pallida idea del significato della parola, poi rimase lì impalato con un’espressione stolida.
«Sì: un’ora stabilita in cui andremo a incontrarlo.»
Invece di rispondere, Sonny scomparve improvvisamente oltre l’angolo dell’edificio e tornò tirandosi dietro un grande rimorchio, sul cui pianale, in un angolo, era stata poggiata la gabbia con le oche mentre la sacca di Delanna era stata sistemata sul lato opposto, sopra la giacca di Sonny. Le oche stavano starnazzando freneticamente.
«Devi venire anche tu per firmare i documenti,» gli spiegò Delanna. «Abbiamo bisogno di un appuntamento.»
«Potremo incontrare Miz Barlow in qualsiasi momento arriveremo in città,» rispose Sonny, sollevando l’asta del rimorchio e dandogli uno strattone che fece starnazzare le oche ancora pili forte. «Dunque muoviamoci.»
«Non vorrai certo portare quell’affare con te dall’avvocato, vero?»
Sonny sembrò sorpreso. «O ce lo portiamo dietro, oppure le facciamo camminare con noi. Grayson ha detto che il solaris non sarà pronto lino a stasera e immagino che le loro zampe non siano abituate a un terreno accidentato. Sono nate sulla nave, capisci.»
Sonny diede un nuovo strattone al rimorchio che provocò altri starnazzi e si avviò verso la fila di edifici che sorgevano verso sud. Delanna si chiese se sarebbe stato meglio dirgli che stava tornando al magazzino per chiedere a Jay Madog di darle un passaggio in città, ma probabilmente Sonny l’avrebbe fissata assumendo una di quelle stolide espressioni a bocca aperta e le avrebbe chiesto perché non poteva camminare; visto che lei voleva soltanto farla finita con tutta quella faccenda, incontrare l’avvocato e sistemare tutto in tempo per prendere la navetta l’indomani, preferì seguire Sonny.
«Terreno accidentato» era un vero eufemismo. La strada in terra battuta era a volte fangosa a volte dura come le pietre di cui era disseminata, ma evidentemente a Sonny non era neppure passato per la mente che i piedi di Delanna potessero essere delicati quanto le zampe delle oche.
«Quanto manca alla città?» gli chiese Delanna, sforzandosi di tenergli dietro.
«Circa un miglio,» rispose Sonny. «Se fossi una donna, non mi fiderei assolutamente di Jay Madog. Ha amichette da Grassedge fino alle montagne e in tutti i posti durante il viaggio.»
E io sono sicura che questo è più di quanto si possa dire su di te, pensò acidamente Delanna. Ricordava Tarleton Tanner come un ragazzo intelligente e di bell’aspetto, che qualche volta le leggeva le favole o giocava con lei, quando non era impegnato a lavorare nei frutteti con il padre. La sua trasformazione dimostrava quanto sua madre avesse avuto ragione su quel pianeta: spegneva ogni scintilla di spirito e di intelligenza nelle persone, riducendole ad animali da fatica. Sonny avrebbe potuto avere ancora un aspetto attraente, se non avesse indossato quei vestiti assolutamente ridicoli: la camicia dai colori troppo accesi, i pantaloni con gli orli arrotolati fin sopra le caviglie. Ma Delanna non pensava che cambiare semplicemente vestiti avrebbe fatto dimenticare il fatto che Sonny sembrava a stento capace di rispondere a una semplice domanda.
«Sei sicuro che l’avvocato ci riceverà senza un appuntamento?» gli chiese.
«Sì.»
«E ha preparato tutti i documenti che dobbiamo firmare?» Sonny non rispose a questa domanda, ma continuò a trainare il rimorchio pieno di oche. Dopo un po’ commentò, «Non ricordi molto di Milleflores, vero? Sei andata via quando non eri più grande di una pomarancia.»
Delanna non sapeva cosa fosse una pomarancia, ma pensò di avere capito dove volesse andare a parare Sonny: sua madre l’aveva avvertita che tutti avrebbero tentato di convincerla a non vendere la terra. «Non permetterò che tu finisca in qualche lanzye dimenticato da Dio come me,» le aveva scritto sua madre. «Sto lavorando con l’avvocato per risolvere alcune difficoltà tecniche, in modo che tu non debba tornare mai più su Keramos.» Ma evidentemente quelle difficoltà non erano mai state risolte. Poi sua madre era morta e l’avvocato aveva informato Delanna che avrebbe dovuto venire su Keramos, se voleva proteggere i suoi interessi.
«Ricordo abbastanza di Keramos per sapere che non voglio vivere qui,» rispose Delanna. «Ho già dato istruzioni all’avvocato di vendere la terra e immagino che sia riuscito a trovare un acquirente.»
Sonny non rispose nulla neppure questa volta, ma continuò a camminare con un’andatura rapida e regolare che Delanna trovò difficile imitare. Per l’incontro con l’avvocato aveva indossato un vestito di taglio classico: una semplice gonna corta, una camicetta fatta su misura e un gilè, ma le scarpe con i tacchi alti di metallo e aperte sul davanti non erano certo adatte alla strada dissestata. Dopo pochi minuti iniziò ad avere il respiro affannoso e la città non sembrava più vicina di quanto fosse stata in precedenza.
Il sole stava tramontando sull’orizzonte piatto, arrossando i campi e l’aria. A molte miglia di distanza si era alzata una bassa nebbiolina. «Cos’è?» chiese Delanna, fermandosi per indicarla e sperando che anche Sonny si fermasse, in modo da permetterle di riprendere un po’ di fiato.
Sonny si schermò gli occhi con la mano. «Fumo.»
«Fumo? Vuoi dire che si tratta di un incendio della prateria?» Sua madre le aveva raccontato di quegli incendi, le cui fiamme ruggenti potevano devastare centinaia di miglia di pianura.
«Sì,» rispose Sonny in tono assolutamente placido. «Probabilmente lo hanno appiccato le scimmie incendiarie.» Sollevò di nuovo l’asta del rimorchio.
Nelle lettere che le aveva scritto, la madre di Delanna non le aveva mai parlato delle scimmie incendiarie, dunque probabilmente non costituivano un problema troppo grave. In tutti i casi, Sonny non sembrava particolarmente preoccupato, ma anche se lo fosse stato, non lo avrebbe certo detto a Delanna.
«Come stanno i tuoi fratelli?» gli chiese per godere di un altro minuto di pausa. «Sono venuti con te?»
Sonny scosse la testa. «Siamo in estate,» affermò e Delanna suppose che significava che l’estate era un pessimo periodo per lasciare il lanzye. Ah, non valeva davvero la pena di parlare con quel tizio, perfino se questo significava avere la possibilità di riprendere fiato. Lo superò di slancio, tentando di trovare un solco abbastanza largo per i suoi tacchi, ma Sonny la raggiunse immediatamente.
«Avremo un buon raccolto, se il tempo rimane asciutto,» la informò. «Ricaveremo almeno duecento botti.»
«Che bello,» rispose Delanna, anche se non sapeva se duecento botti costituissero un buon raccolto oppure no. Sua madre non le aveva scritto quasi nulla, se non brevi accenni, sui frutteti di alberi di palle di cannone.
«Wilkes e Harry hanno sistemato la casa di tua madre,» proseguì Sonny.
«Bene,» commentò Delanna. «Questo dovrebbe fare alzare il prezzo della mia terra.»
«Hanno installato anche una pompa. In questo periodo dell’anno il lanzye è molto bello: sbocciano moltissimi fiori.»
Delanna non rispose. Stava facendo tutto il possibile per stargli dietro e non aveva la più pallida idea di quale risposta Sonny si aspettasse di ricevere dopo un’affermazione del genere. Ovviamente non poteva nutrire l’illusione che Delanna fosse intenzionata a visitare il lanzye.
«È davvero importante che l’avvocato ci incontri questa sera,» gli ricordò Delanna, nel caso Sonny non avesse ancora capito che lei sarebbe partita l’indomani mattina. «Devo assolutamente prendere la navetta che parte domani.»
Sonny si fermò al centro della strada e si girò verso Delanna. Anche se lei aveva le scarpe con i tacchi e si trovava su uno dei mucchietti di terra più alti, Sonny torreggiava ancora su Delanna. «A tua madre Milleflores non è mai piaciuto,» commentò con quel tono di voce strascicato che lo faceva sembrare un imbecille, «ma a tuo padre piaceva molto. Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per conservarlo.»
Ci siamo, pensò Delanna. Ecco che arriva il grande discorso. «E…?» lo esortò a proseguire, irrigidendo la mascella.
Sonny abbassò lo sguardo per un paio di lunghi secondi. «E nulla,» concluse in tono disgustato, poi tirò l’asta del rimorchio con tanta forza che le oche starnazzarono. Non disse un’altra parola per tutto il resto del tragitto verso la città.
Quando arrivarono a Grassedge, Delanna era stanca morta per l’andatura rapida mantenuta da Sonny, che, invece, non stava neppure ansimando.
Il sole sembrava librarsi immobile all’orizzonte e solo la sfumatura bronzea assunta dalle erbe di colore scuro indicava che stava tramontando. La città di Grassedge non aveva un inizio ben definito. Sonny e Delanna superarono un prefabbricato, poi un campo, poi i resti di una capanna Quonset, intorno alla quale erano sparsi frammenti di mattonelle di ceramica di vario colore. Dopo che ebbero superato un silo ricoperto di mattonelle di ceramica leggermente discosto dalla strada e un altro campo, gli edifici divennero gradualmente più grandi e più vicini l’uno all’altro, fino a quando non formarono una linea irregolare.
Le oche si erano più o meno abituate al movimento durante il viaggio verso la città, ma non appena videro il primo vero edificio iniziarono di nuovo a starnazzare. Sonny si fermò di fronte a un edificio rivestito di assicelle. Sul tetto c’era un’insegna di legno dipinto su cui c’era scritto «Billy’s.» Su entrambi i lati dell’insegna era stata disposta una fila di scimmie di ceramica. Ogni statua aveva il braccio destro sollevato e tra di esse era stata appesa una serie di luci di Natale, in modo che ogni scimmia sembrava tenere sollevata una torcia verde, blu o rossa.
La facciata anteriore dell’edificio era ricoperta da insegne che reclamizzavano marche di birra e di liquore; la maggior parte di esse erano state ricavate dalle scatole di cartone in cui arrivavano i liquori e poi inchiodate sulla parete. Su un’insegna intagliata a mano c’era scritto «Ambrosia» e c’era anche una grande e scintillante insegna in plasequin della Watney’s Ale, ovviamente portata sul pianeta via navetta. Doveva trattarsi di un bar o di un saloon o come lo chiamavano su quel pianeta.
«Torno subito,» annunciò Sonny e la lasciò lì impalata mentre entrava dentro. Meraviglioso. La madre di Delanna avrebbe considerato quel ritorno a casa decisamente appropriato all’atmosfera che regnava su Keramos. «Sull’intero pianeta non troveresti un solo grammo di intelligenza o di buone maniere,» si era lamentata in una delle sue lettere.
Be’, forse almeno su questo sua madre si era sbagliata. Jay Madog si era comportato in maniera decisamente educata e l’avvocato doveva essere intelligente. La lettera che le aveva inviato era stata scritta in un ottimo stile, anche se, con grande delusione di Delanna, si era mantenuta sul vago; ovviamente nessuno dei due avrebbe piantato in asso Delanna al centro della strada in compagnia di un branco di oche.
Delanna si sedette sul bordo del rimorchio e si preparò ad aspettare, lieta di potersi concedere un po’ di riposo. Il sole scese ancora più in basso e la fila di luci colorate spiccò maggiormente contro l’edificio. Si chiese se Sonny intendesse lasciarla lì mentre lui era impegnato a sbronzarsi.
Sonny riapparve sul portico, girandosi per parlare con qualcuno all’interno. «Grazie,» lo sentì dire Delanna. «Non mi piaceva per niente la prospettiva di lasciare qui le oche in più. Ti pagherò dopo il raccolto.» Infilò un rotolo di banconote in tasca e si avvicinò al rimorchio. «Ho preso in prestito un po’ di soldi per accelerare l’invio delle oche che ho lasciato nel magazzino,» spiegò a Delanna, poi iniziò a camminare di nuovo.
Quella spiegazione la fece pensare a Cleo. Sperò che lo scarabeo stesse bene.
Ma certo che sta bene, si disse Delanna. Ogni volta che, a bordo della nave, aveva messo Cleo nella sua gabbia, si era raggomitolata su se stessa e aveva dormito fino al suo ritorno. Ma sulla nave non c’erano state delle oche starnazzanti a svegliarla. E se si fosse spaventata?
Sarà meglio che andiamo dall’avvocato, pensò Delanna. E sarà meglio che abbiamo un appuntamento. E sarà meglio che abbia pronti quei documenti, in modo che possa firmarli per andare poi a salvare Cleo.
Sonny si era fermato ancora una volta. «Portami da…» fece Delanna, ma lui era già scomparso di nuovo, questa volta in un grande edificio simile a un fienile con un piccolo cartello in plastica luminosa su cui c’era scritto «Ferramenta Sakawa.» Anche qui c’era una fila di scimmie, apparentemente di metallo, che stringevano tra le zampe quelle che sembravano torce elettriche.
Ma cosa stava facendo Sonny? Stava chiedendo in prestito altri soldi? O faceva compere? Se continuavano così, non sarebbero riusciti a incontrare l’avvocato prima di mezzanotte. Ma molto probabilmente lo scopo di Sonny era proprio questo: non voleva che Delanna vendesse la sua terra; lo aveva lasciato intuire fin troppo chiaramente quando aveva affermato che il padre di Delanna aveva amato molto Milleflores.
Aguzzò lo sguardo lungo la strada, tentando di capire dove potesse trovarsi l’ufficio dell’avvocato. Non riuscì a vedere neppure un edificio che somigliasse sia pure remotamente a un complesso di uffici, ma di sicuro avrebbe potuto chiedere a qualcuno. «Usando parole di una sola sillaba,» borbottò Delanna, prendendo la sacca da dove era stata incastrata accanto alla gabbia delle oche, «visto che ogni abitante di questo pianeta è un imbecille.»
Si voltò a guardare lungo entrambi ì lati della strada, chiedendosi dove andare per chiedere indicazioni. Tranne la ferramenta Sakawa, la città sembrava essere fatta interamente di bar, tutti dotati di scimmie e insegne di cartone. Esitò, e stava guardando dubbiosamente il bar accanto al negozio di ferramenta Sakawa, quando Sonny uscì dal fienile in compagnia di un uomo basso e tarchiato che indossava un berretto da baseball.
«È bellissimo,» stava dicendo Sonny. «Verrò a prenderlo non appena avrò concluso questa faccenda dell’avvocato.»
«Ah, sì, ne ho sentito parlare,» rispose l’uomo basso. «Arriverà con la navetta di domani?»
«No. È già qui.»
«Già qui?» ripeté l’altro uomo, spingendo indietro il berretto e scoprendo la fronte. «Be’, ma allora dove diavolo è? L’intera città era ansiosa di dare un’occhiata a tua…»
«Devo andare,» lo interruppe Sonny. «Abbiamo un appuntamento con l’avvocato.» Attraversò la strada, dicendo da sopra la spalla, «Tornerò non appena possibile.» Si avvicinò al rimorchio ed esclamò «Andiamo!» rivolto a Delanna, come se fosse stata lei a fare aspettare lui.
Si avviò a un’andatura tanto rapida che spaventò le oche, facendole ammutolire, dimentico del fatto che Delanna doveva portare la sua sacca.
«Aspetta!» gridò una voce di donna alle loro spalle. Sonny si girò per dare un’occhiata, poi accelerò ancora di più l’andatura. Le oche emisero un basso borbottio di protesta. «Sonny Tanner!» gridò la donna. «Aspettami! Voglio parlare con te!»
Anche Delanna si girò. Una donna con un largo cappello sformato si era piantata al centro della strada, a mezzo isolato di distanza, ma Delanna vide che non faceva alcun tentativo di raggiungere Sonny. Anzi, era perfettamente immobile, con le mani sui fianchi dei jeans molto attillati. Era più giovane di Sonny e i suoi capelli, quei pochi che Delanna riuscì a vedere sotto il cappello, erano biondi.
«Sonny Tanner, ci sono alcune cosette che hai trascurato di dirmi!»
«Oh, per amor del cielo!» esclamò Sonny. Lasciò andare l’asta del rimorchio e si voltò. «Tu rimani qui,» ordinò a Delanna. «Tornerò tra un minuto.» Raggiunse rapidamente l’altra ragazza. «Cosa ci fai qui, Cadiz?»
La ragazza gli andò incontro, con le mani ancora sui fianchi. «Cosa ci faccio qui? Cosa diavolo credi di fare sgattaiolando via senza neppure degnarti di dirmi cosa stai facendo?»
«Ho detto a B.T. di spiegarti cosa stava succedendo e…»
«B.T.!» lo interruppe Cadiz, quasi sputando le parole. «Non hai avuto il coraggio di dirmelo di persona e così hai pensato di mandare il tuo fratello idiota.»
«Adesso non arrabbiarti con B.T. per tutta questa faccenda. Non è stata colpa sua.»
«B.T.? Ma perché dovrei sprecare sia pure un briciolo di energia per arrabbiarmi con lui?» Cadiz avvicinò improvvisamente una mano al petto e iniziò a osservare le unghie dell’altra mano. «A un imbecille come B.T. non sarebbe mai venuto in mente che, in un momento del genere, potresti avere bisogno delle persone che ami.»
«E così sei venuta tu,» commentò Sonny, sollevando il berretto da baseball per passarsi una mano tra i capelli. «Come sei arrivata qui?»
«Mi ha portato Jay Madog,» rispose Cadiz, gettando indietro la testa in un gesto di sfida. «E date le circostanze, non hai alcun diritto di essere geloso.» Indicò Delanna con un gesto. «È lei?»
«Sì,» rispose Sonny, tentando di dirigerla verso uno dei bar. «Ma adesso calmati, Cadiz.»
Delanna non riuscì a udire il resto della loro conversazione. Ebbe l’impressione che fosse Sonny a parlare per la maggior parte del tempo, il che era una vera sorpresa, ma qualsiasi cosa disse, non sembrò calmare Cadiz che, a un certo punto, si tolse il cappello e lo gettò a terra.
«Io voglio conoscerla!» esclamò Cadiz in un tono di voce abbastanza alto da farsi udire da Delanna, poi raccolse il cappello e si avvicinò lentamente. «E così tu sei la figlia di Serena,» commentò, girando intorno a Delanna mentre batteva ritmicamente il cappello contro la gamba. «Be’, non so proprio di cosa mi preoccupavo.»
Sonny disse rapidamente, «Cadiz, questa è Delanna Milleflores. Delanna, questa è Cadiz Flaherty. È una nostra vicina. La sua famiglia vive nel lanzye confinante con Milleflores.»
«Come va?» chiese Delanna, offrendo la mano a Cadiz e osservandola con una certa sorpresa: nonostante il cappello, Cadiz era decisamente carina. Aveva corti capelli biondi e grandi occhi azzurri. Delanna aveva sempre sentito dire che, su pianeti come Keramos, le donne scarseggiavano. Se questo era vero, non riusciva a immaginare perché una ragazza carina come Cadiz corresse dietro a qualcuno come Sonny Tanner.
«E così sei tu la ragazzina per cui Serena ha speso tutti i suoi soldi per mandarla a scuola su un altro pianeta?» chiese Cadiz, rivolgendo un’occhiata di disgusto alla mano tesa di Delanna. «Non sembra che il suo investimento abbia dato grandi frutti.»
«Almeno ho imparato le buone maniere,» ribatté Delanna, poi ritrasse la mano.
Cadiz non rispose, infilò i pollici nei passanti del pantaloni e sputò nella polvere ai piedi di Delanna. «Quelle cose che porti ai piedi sono scarpe? Non è che saresti disposta a vendermele, vero? Mi serve qualcosa per spaventare le scimmie.»
«Dobbiamo andare dall’avvocato, Cadiz,» intervenne Sonny.
Cadiz sputò di nuovo e si rimise il cappello. «Immagino che resisterà al massimo due giorni, se le scimmie incendiarie non se la prendono prima,» commentò rivolta a Sonny. Attraversò la strada, dirigendosi verso Billy’s, poi salì sul portico del locale. «Le ho viste strappare un arto dopo l’altro a degli esseri umani per impadronirsi di una semplice scatola di fiammiferi, dunque figuriamoci cosa le farebbero per avere quelle scarpe!» gridò verso di loro, poi scomparve oltre la porta.
«Le scimmie incendiarie non uccidono gli esseri umani,» spiegò Sonny a Delanna.
«Insisto nel vedere l’avvocato adesso,» replicò Delanna a denti stretti.
«Penso che sia una buona idea,» ammise Sonny. «Solo un attimo.» Corse dall’altro lato della strada ed entrò in un bar che sfoggiava un’insegna della Coors Newbeer su cui era disegnata una gorgogliante cascata. Non appena Sonny fu sparito nel locale, le oche diedero il via ai loro assordanti starnazzi.
«Oh, ma chiudete il becco!» sbottò Delanna. Sorprendentemente, le obbedirono. «Ma vi rendete conto che siete le uniche creature che mi stanno a sentire su questo pianeta dimenticato da Dio?» Rimise la sacca sul rimorchio. «Spero che l’avvocato non sia come tutti gli altri abitanti di Keramos; in caso contrario, non riuscirò mai ad avere il mio denaro.»
Un ragazzo apparve sulla soglia del saloon. Sembrava avere circa quattordici anni. «Stai parlando con le oche?» le chiese, poi si girò verso Sonny, che era proprio dietro di lui. «Non mi avevi detto che bisognava anche parlare con loro.»
«Tu devi soltanto tenerle d’occhio, Buck,» rispose Sonny. Saltò giù dal portico e rivolse un cenno a Delanna. «Vieni dentro.»
«Senti,» replicò Delanna, «tu puoi avere tutto il tempo del mondo, ma io no.» Praticamente gridò la parola no, facendo starnazzare di nuovo le oche.
«Be’, ma allora cosa stai aspettando? Vieni dentro.» Si girò verso il ragazzo. «Tu rimani accanto al rimorchio e non lasciare che nessuno disturbi le mie oche.» Rientrò di nuovo nel saloon.
Ma è un vero uomo di Neanderthal! pensò Delanna. Attraversò la strada con andatura furiosa e iniziò a salire gli scalini. Adesso era abbastanza arrabbiata da trascinarlo di peso via dalla sua Watnet o dalla Coors ed esigere che la conducesse direttamente dall’avvocato.
Poggiò il piede sul secondo scalino, ma il tacco della scarpa vi passò attraverso. Afferrandosi a un palo per mantenere l’equilibrio, Delanna abbassò lo sguardo: evidentemente anche gli scalini erano stati costruiti con scatole di liquore perché nel secondo scalino era apparso un foro, provocato dal tacco della scarpa.
Alle sue spalle udì un selvaggio scoppio di risa. Si girò come una furia. Buck era piegato in due e rideva fragorosamente; ovviamente le oche stavano seguendo il suo esempio. «State zitte!» gridò lei. «E tu, Buck o come diavolo ti chiami, se vuoi essere pagato, pensa a tenere d’occhio queste oche come ti è stato ordinato di fare.»
Tirò il piede con forza verso l’alto, ma era rimasto incastrato. Allora si chinò e sciolse i lacci della scarpa, tentando di mantenere l’equilibrio. Questo strappò un’altra risata a Buck, che rise di nuovo quando finalmente Delanna riuscì a sfilare il piede dalla scarpa. Reggendosi in equilibrio su un piede solo, afferrò la scarpa con entrambe le mani e la liberò con uno strattone.
«Dove sei stata?» le chiese Sonny, apparendo sulla soglia. Evidentemente non aveva notato che Delanna indossava solo una scarpa. «Vieni. L’avvocato ci sta aspettando,» la esortò, poi tornò dentro.
Visto che il ragazzino pensava che quello spettacolo fosse incredibilmente divertente, Delanna non voleva certo fornirgli un’altra occasione di divertimento indossando di nuovo la scarpa. Salì saltellando gli ultimi due gradini ed entrò nel saloon. All’interno era così buio che non riuscì a vedere nulla, tranne un insegna al neon della Seagram.
«Benvenuta da Maggie’s, tesoro,» la salutò una donna apparsa dall’oscurità. Era una donna enorme, con una massa disordinata di capelli tenuta al suo posto da un fiore. Indossava pantaloni con gli orli rovesciati, una camicia a fiori come quella di Sonny e una collana luccicante. «Vieni a bere qualcosa. Cosa desideri?»
«Nulla, grazie,» rispose Delanna, tentando di sottrarsi alla mano che la donna le aveva poggiato sulla spalla. «Sto cercando Sonny Tanner. Doveva…»
«È qui, ti sta aspettando,» la interruppe la donna, precedendo Delanna verso un bancone fatto di scatole di liquore impilate una sull’altra; evidentemente erano l’unico materiale di costruzione disponibile su Keramos. Allungando una mano dietro le scatole, la donna prese tre grandi tazze di ceramica e una bottiglia marrone. «Che te ne sembra di Grassedge finora?»
Delanna provò l’improvviso impulso di colpire la donna con la scarpa che stringeva ancora in mano. «Non mi piace,» rispose, fissando infuriata Sonny, che stava iniziando a distinguere nella penombra. «Voglio vedere l’avvocato in questo istante,» gli sibilò, «e poi voglio lasciare questa palla di fango di pianeta.»
«Stai già vedendo l’avvocato,» replicò Sonny. «Maggie Barlow, questa è la figlia di Serena. Delanna, questa è Maggie Barlow, l’avvocato.»
«L’avrei riconosciuta ovunque,» affermò Maggie, senza neppure stringere gli occhi nella penombra. «Anche se non l’ho vista da quando era alta come uno stelo d’erba. Allora era una cosina molto graziosa.»
«Lei è Margaret Barlow,» mormorò Delanna in tono incredulo. Aveva l’impressione di stare vivendo in un incubo. Aveva immaginato l’avvocato come un avamposto di sanità mentale su quel pianeta selvaggio, e invece eccola lì, appoggiata al bancone mentre beveva ambrosia.
«Certo che sono io,» replicò Maggie. «Vuoi qualcosa da bere? Hai provato la nostra ambrosia?»
«No, grazie.»
«Immagino che tu sia ansiosa di concludere l’affare,» proseguì Maggie, assumendo un tono quasi da avvocato, «dunque perché non venite sul retro, nel mio ufficio, dove potremo dare un’occhiata al testamento?»
«Mi piacerebbe risolvere tutte le formalità il più in fretta possibile,» affermò Delanna. «Devo assolutamente prendere la navetta che parte domani mattina.»
Maggie fissò Sonny. «Quanto le hai detto sulla faccenda?» gli chiese.
«Sei tu l’avvocato. Pensavo che saresti riuscita a spiegarle meglio come stanno le cose.»
«E così non le hai detto nulla?»
Sonny si agitò a disagio sotto quello sguardo di rimprovero fino a quando Maggie prese la bottiglia marrone. «Penso che faresti meglio a bere un po’ di ambrosia, Delanna,» le consigliò, versando un liquido dorato dalle sfumature rossastre in una delle tazze di ceramica. «Ti renderà le cose un tantino più facili.»
«No, grazie,» rispose in tono fermo Delanna. «Andiamo nel suo ufficio?»
«Ma certo, tesoro,» rispose Maggie e fece loro strada verso il retro del bar, portando con sé la bottiglia e le tazze.
Ormai Delanna aveva rinunciato alla speranza che l’ufficio avesse l’aria di un ufficio e che il testamento e tutti gli altri documenti fossero conservati ordinatamente in una cartellina. Sarebbe stata felice se la stanza avesse almeno avuto una lampadina. Ce l’aveva, oltre a due tavoli ricoperti di panno verde e a un terminale vega.
Maggie poggiò le tazze e la bottiglia su uno dei tavoli coperti di feltro e frugò in una cassetta di birra. Delanna si sedette su una sedia dallo schienale dritto e si infilò la scarpa. Sonny si sedette a due sedie di distanza da lei e fissò il tavolo: apparentemente era impegnato a studiare i cerchi lasciati sul feltro da numerose bottiglie di birra.
Meraviglia delle meraviglie, Maggie estrasse dalla cassetta un fascicolo ordinato. Poi, sedendosi, inforcò un paio di occhiali dalla montatura rosa e scrutò Delanna. L’effetto fu quasi rassicurante. «Cosa sai di Milleflores Lanzye, Delanna?»
«So che metà di esso apparteneva a mia madre,» rispose Delanna, decisa a iniziare con il piede giusto, «e che lei l’ha lasciata a me. Le ho scritto che intendevo venderla.»
Dietro gli occhiali rosa, Maggie sembrava preoccupata. «Ha avuto la mia lettera, vero?» le chiese Delanna in tono ansioso.
«Sì, l’ho avuta.» L’avvocato osservò Sonny, impegnato a seguire con un dito il contorno di uno dei cerchi lasciati dalle bottiglie di birra.
«Be’, allora è riuscita a vendere la mia metà, vero? Mi ci sono voluti quasi tre mesi per arrivare qui. Senza dubbio in tutto questo tempo sarà riuscita a trovare un acquirente.»
Maggie riempì la sua tazza d’ambrosia fino all’orlo e la vuotò d’un fiato. «Permettimi di darti qualche spiegazione su Keramos e Milleflores,» esordì. «I coloni di prima generazione di Keramos erano nella maggior parte dei casi coloni insoddisfatti provenienti da New Heaven e da Starbuck. Avevano visto le terre di quei pianeti venire comprate da grandi megacorporazioni e da speculatori, ed erano decisi a non permettere che una cosa del genere accadesse anche su Keramos. Io stessa vengo da Starbuck e lascia che ti dica che il primo raccolto era appena stato messo nei granai che gli speculatori erano già sul posto, per comprare terre che non valevano ancora nulla da persone che si erano stufate o scoraggiate, oppure che non riuscivano a ricavarci da vivere.»
Si aggiustò gli occhiali. «I coloni di prima generazione sapevano che se avessero reso difficile vendere la terra, gli speculatori avrebbero semplicemente aumentato il prezzo che erano disposti a pagare, e così fecero in modo che la terra non potesse essere venduta. Poteva essere trasmessa in eredità, oppure essere acquisita in seguito a un matrimonio, ma era impossibile venderla. Se qualcuno voleva andarsene, doveva farlo senza portare con sé alcun frutto del suo duro lavoro e per evitare che la gente si facesse venire delle idee brillanti, tipo costringere i propri vicini ad andarsene per poi comprare la loro terra, la terra abbandonata non poteva essere lavorata per dieci anni dopo che il proprietario vi aveva rinunciato.»
Questo spiegava perché la madre di Delanna fosse rimasta su Keramos tutti quegli anni, anche se aveva odiato il pianeta con tutto il cuore, ma non spiegava perché Maggie avesse sentito il bisogno di farle quel lungo preambolo, oppure perché Sonny avesse un’aria tanto infelice. «Mia madre rimase sulla sua terra, vero?» chiese Delanna, quasi in preda al panico per quello che Maggie le avrebbe potuto rispondere.
«Sì, Serena rimase sulla sua terra,» confermò Maggie. «Morì nel suo letto, a Milleflores.» Prese il testamento, ne sfiorò l’orlo, poi lo depose di nuovo sul tavolo. «Le leggi stabilite dai coloni di prima generazione funzionarono molto bene per le fattorie interne, ma non altrettanto bene per la regione dei lanzye, che avevano bisogno di una superficie di terra dieci volte superiore per produrre profitti. Non funzionò per nulla per i frutteti.
«Vedi, c’è bisogno di un numero sufficiente di boschi di alberi di palle di cannone che forniscano alberelli da trapiantare nei frutteti; è impossibile entrare in un bosco di palle di cannone con l’equipaggiamento per raccoglierne i frutti a causa del modo in cui i rami degli alberi si intrecciano quando sono troppo vicini uno all’altro e c’è bisogno di una foresta adulta che fornisca una quantità sufficiente di assi per costruire le botti in cui fare invecchiare l’ambrosia. E ovviamente c’è bisogno di una riserva d’acqua che non si prosciughi negli anni di siccità e di qualche tratto di terreno pianeggiante per le coltivazioni destinate alla vendita fino a quando i frutteti non iniziano a produrre a sufficienza. Tuo padre e Douglas Tanner avevano stretto un accordo che assicurava la presenza di tutti questi fattori. Ma, ovviamente, non si trattava di un accordo riconosciuto in modo legale e, se uno dei due fosse morto, potevano solo sperare che l’erede, chiunque fosse, avrebbe deciso di mantenere in vigore l’accordo. Quanti anni aveva quando morì suo padre, Miz Milleflores?»
«Cinque,» rispose Delanna.
«Dunque non è abbastanza vecchia da ricordare molto sulla febbre delle scimmie, vero?»
«No.» In effetti, dopo che Maggie ebbe menzionato quel nome, Delanna ricordò qualcosa sulla malattia: sua madre a letto in una stanza in cui non permettevano a Delanna di entrare, qualcuno che faceva un commento sulle scimmie. L’avevano portata a stare a casa dei Tanner e lei ne era stata felice: le piaceva molto giocare con Tarleton. «So che entrambi i miei genitori la contrassero e che uccise mio padre.»
«Tua madre la prese per prima,» spiegò Sonny, sollevando lo sguardo per la prima volta. «Erano tutti sicuri che sarebbe morta. Tuo padre la ebbe in forma molto più leggera.»
«Non esisteva un vaccino contro la febbre delle scimmie e le persone morivano come mosche,» aggiunse Maggie. «Colpiva solo gli adulti; i bambini erano immuni. Tuo padre temeva che, se lui e sua moglie fossero morti, i tuoi parenti che non vivevano sul pianeta avrebbero potuto portarti via dalla tua terra e allora non saresti stata in grado di riceverla in eredità. Su Keramos non avevi parenti. Se fossi andata a vivere con i tuoi parenti su un altro pianeta, il lanzye sarebbe stato confiscato, i Tanner non avrebbero potuto lavorarlo per dieci anni e Milleflores avrebbe cessato di esistere. La stessa cosa sarebbe successa se i Tanner fossero morti di febbre e avessero lasciato Sonny e i suoi fratelli.»
Delanna aveva tentato di seguire attentamente la spiegazione, ma non riusciva a capire dove volesse arrivare Maggie. Sua madre non era morta di febbre e i Tanner non l’avevano certo contratta. Si aggrappò a qualcosa che Maggie aveva detto sui suoi parenti. «Ha detto che se i miei parenti mi avessero portato a vivere lontano da questa pianeta, avrei perso Milleflores. Non mi sta dicendo che, visto che sono andata a scuola su un altro pianeta, non ho diritto all’eredità, giusto?» Nonostante i suoi sforzi, la sua voce si incrinò in una nota di spavento alla fine della domanda. Sua madre le aveva detto che aveva diritto all’eredità. Non l’avrebbe mai mandata via dal pianeta, se questo avesse significato farle perdere l’eredità a cui aveva diritto.
«No, ovviamente no,» la rassicurò Maggie. «Tua madre era la proprietaria del lanzye. Era lei quella che doveva occupare la terra, cosa che ha fatto. Non c’è alcun dubbio che tu abbia diritto all’eredità.»
«Allora a cosa servono tutte queste spiegazioni?» le chiese Delanna, incapace di sopportare la tensione più a lungo. Il suo sguardo corse da Sonny a Maggie: il primo stava fissando il tavolo con aria cupa, la seconda fissava il testamento con aria altrettanto tetra. «Ovviamente c’è qualcosa che non va. Di cosa si tratta? La mia metà non può essere venduta?»
«Può essere venduta,» replicò Maggie. «Le leggi sono state profondamente emendate, soprattutto grazie alle pressioni degli Stranieri. Un proprietario di lanzye può vendere la propria terra, se vi risiede fino a quando la vendita non venga conclusa.»
Ecco qual era il problema: Delanna avrebbe dovuto rimanere su Keramos per una settimana, o per due settimane, oppure perfino per un mese, fino a quando la vendita non sarebbe stata perfezionata. Provò una profonda sensazione di sollievo, nonostante avesse sperato di partire l’indomani e nonostante fosse stata convinta che non sarebbe riuscita a sopportare di rimanere su Keramos un altro secondo in più. Dall’aria assunta da Sonny e da Maggie e dagli accenni malaugurati che avevano lasciato cadere, aveva pensato che si trattasse di qualcosa di davvero catastrofico, invece che di un semplice ritardo. Non aveva denaro sufficiente per rimanere due settimane sul pianeta, ma senza dubbio sarebbe riuscita a farsi versare un anticipo dall’avvocato.
«Se un lanzye è in comproprietà, come nel caso di un matrimonio,» proseguì Maggie, «e uno dei soci vuole vendere, il socio rimanente ha la prima opzione sulla terra; ha a disposizione fino a un anno per rilevare la terra del socio, dopodiché essa può essere venduta liberamente. Il socio che vuole vendere deve occupare la terra fino a quando la vendita non sia stata completata.»
Un anno! «Ma la mia terra non è in comproprietà,» obiettò Delanna. «Lei ha detto che mia madre ha lasciato Milleflores solo a me.»
«All’epoca dell’epidemia di febbre delle scimmie, tuo padre e il padre di Sonny decisero di assicurare la sopravvivenza del lanzye di Milleflores unendo i due lanzye. Alla morte di tutti i genitori, i due lanzye sarebbero diventati uno solo dal punto di vista legale.»
«Pensavo che avesse detto che non potevano farlo, che potevano solo trasmettere la terra ai loro figli.»
Maggie si versò un’altra tazza di ambrosia e la vuotò d’un fiato. Prese la tazza che Delanna aveva rifiutato in precedenza e gliela offrì di nuovo. «Sei sicura di non volere bere un po’ d’ambrosia?»
«Sì,» rispose Delanna in tono impaziente.
Maggie poggiò la tazza sul tavolo. «Durante l’epidemia tuo padre e il padre di Sonny fecero pronunciare a voi due una promessa di matrimonio, con valore legale, che sarebbe stata suggellata quando tutti e quattro i vostri genitori fossero morti. In questo modo i due lanzye divennero uno solo, posseduto in comproprietà.»
«Una promessa di matrimonio?» ripeté Delanna, fissando Sonny. «Una promessa di matrimonio?» Prese la tazza di ambrosia e la vuotò in un solo sorso bruciante che le lasciò in bocca un sapore orribile. Non l’aiutò certo a riprendersi. «Questo vuol dire che io sono fidanzata con te?»
«No,» rispose Sonny allungando una mano verso la bottiglia. «Questo vuol dire che siamo sposati.»
CAPITOLO TERZO
«Sposati!» gracchiò Delanna. Scosse la testa e si schiarì la gola. «Sposati,» ripeté. «Non sono venuta su Keramos per sposarmi. Sono venuta per incassare il denaro dalla vendita della terra di mia madre. Domani devo assolutamente partire per Carthage.»
Sonny le riempì di nuovo la tazza, poi fece lo stesso con la propria. «Non hai bisogno di sposarti.»
Delanna fu sul punto di lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo, ma le rimase in gola quando vide l’espressione di Maggie.
«Sonny intende dire,» spiegò l’avvocato, «che sei già sposata: lo sei stata da quando è morta tua madre.»
«Anche se avessi il denaro per rilevare la tua metà del lanzye…» fece Sonny.
«Che non ha,» puntualizzò Maggie.
«Non posso farlo,» terminò Sonny. Bevve un sorso di ambrosia. Quando abbassò la tazza, si appoggiò allo schienale della sedia e allungò le gambe sotto il tavolo.
«Almeno non per un anno,» spiegò Maggie quando si rese conto che Sonny non lo avrebbe fatto. «La legge non consente altrimenti.»
Delanna bevve un altro po’ di ambrosia. Le bruciò di nuovo la gola, ma questa volta riuscì a sentirne il sapore: era orribilmente amaro e lasciava un pessimo retrogusto. «Se pensi che sia disposta a rimanere un anno a Grassedge per avere il divorzio e il mio denaro, sei pazzo.»
«Non a Grassedge,» la corresse Maggie. «A Milleflores. Adesso la proprietaria sei tu: devi risiedere sulla tua terra per proteggere il diritto di proprietà che hai su di essa mentre viene presa una decisione sul caso. E devi arrivarci il più presto possibile. Esiste un limite di tempo entro cui devi prendere residenza nella tua terra. C’è un treno…»
«Io non andrò a Milleflores,» la interruppe Delanna. «E non andrò da nessuna parte fino a quando questa situazione ridicola non verrà risolta.»
Sonny aggrottò la fronte. «Ma devi farlo.»
«Chi ti credi di essere per dirmi cosa devo fare?» lo rimbeccò Delanna in tono furioso.
«Quello che Sonny intende dire,» intervenne Maggie, «è che se non lo fai, perderai tutto. Tesoro, non c’è altro modo. Il mio consiglio ufficiale come tuo avvocato è che tu debba recarti a Milleflores il più in fretta possibile, in modo da non mettere in pericolo i tuoi diritti, prima che siamo riusciti a raddrizzare la faccenda davanti alla Corte Itinerante.»
«Wilkes e Harry hanno sistemato la casa di tua madre,» le ricordò Sonny. «E in questa stagione dell’anno i fiori sono splendidi.»
Delanna lo ignorò. «Farà appello alla Corte Itinerante?» chiese a Maggie in tono speranzoso.
«Ma certo!» esclamò Maggie con un tono di voce leggermente indignato. «Sono il tuo avvocato e le tue istruzioni erano molto chiare. Mi dispiace solo che tua madre non ti abbia spiegato nulla e che tu abbia scoperto tutto solo quando sei venuta qui. Sono ricorsa in appello alla Corte Itinerante del Consiglio dei Mondi subito dopo che abbiamo perso davanti alla Corte per l’Applicazione dello Statuto di Keramos.»
Delanna annuì mentre pensava alle lettere della madre. Aveva menzionato alcuni dettagli legali che andavano sistemati, ma non aveva rivelato quali fossero; si era limitata a insistere, per pagine e pagine, su quanto era felice che Delanna fosse al sicuro a Gay Paree, visto che Keramos non era certo il posto migliore su cui crescere. «Quando sapremo se il nostro appello è stato accolto?»
«La Corte Itinerante entrerà in orbita all’incirca all’epoca del raccolto. Dovrebbe prendere una decisione abbastanza rapidamente, perché siamo stati tra i primi a ricorrere in appello dopo il periodo della semina.»
«La Corte Itinerante entra in orbita?» chiese Delanna in tono dubbioso.
Maggie annuì. «Due volte l’anno, al tempo del raccolto e della semina, arriva la Justice ed entra in orbita geosincrona su Grassedge.»
«Ma è terribile,» mormorò Delanna. «Che stupido pianeta arretrato.»
«Sembri tua madre. In effetti, penso di averla sentita pronunciare esattamente queste parole. Ma Keramos è considerato molto progredito, rispetto a molti altri mondi di pionieri,» replicò Maggie, non senza simpatia. «Per fortuna adesso la Corte Itinerante arriva due volte l’anno. E mancano solo cinque settimane al tempo del raccolto.»
«E nel frattempo io sono sposata a un Neanderthal,» commentò Delanna.
Sonny impallidì.
Bene! pensò Delanna. Non mi aspettavo che conoscesse una parola tanto difficile. «E cosa succederà se la Corte Itinerante deciderà a mio sfavore?» chiese a voce alta.
«Allora ricorreremo di nuovo in appello,» le spiegò Maggie, «ma non credo che sarà necessario.»
«Per allora avrò un raccolto da vendere,» intervenne Sonny, «e potrò versarti il ricavato come anticipo del pagamento per la tua metà di Milleflores.»
«E se il raccolto va male?»
«Non permetterò che accada,» replicò Sonny.
«Ma ammettiamo che vada male lo stesso; cosa succederà allora?»
«Ci sarà il raccolto dell’anno prossimo.»
«O un altro acquirente,» ipotizzò in tono disperato Delanna.
Ma Sonny scosse la testa. «Non posso essere d’accordo. Non sarebbe giusto.»
«Quello che è altrettanto ingiusto è che io non possa lasciare domani stesso questo pianeta dimenticato da Dio!» protestò Delanna, allontanando di scatto la sedia dal tavolo. Non solo era ingiusto, ma era anche impossibile. Doveva rassegnarsi: era bloccata lì con Sonny Tanner. Anzi, era sposata con Sonny Tanner.
«Sì, ma è la legge che ti impedisce di andare via,» le fece notare Sonny. «Una vendita a terzi non sarebbe giusta.»
«Quello che Sonny vuole dire,» spiegò Maggie, «è che i vostri genitori hanno trascorso le loro vite nel tentativo di fare prosperare il lanzye di Milleflores e che sarebbe un peccato venderlo a un estraneo, specialmente adesso che, per la prima volta, c’è la possibilità di realizzare grossi profitti. Ma devo dire che su questo non sono sicura di essere d’accordo con Sonny. Per te, Delanna, potrebbe essere meglio vendere prima che le esportazioni di ambrosia di Milleflores corrano il rischio di diminuire.»
«Non diminuiranno,» affermò in tono ostinato Sonny.
«Ne abbiamo già parlato,» ribatté Maggie. «E tu sai bene che questo rischio esiste. Ora, non voglio certo dire a voi due cosa fare, ma penso che dovreste trascorrere il lasso di tempo che ci separa dal raccolto conoscendovi meglio e discutendo su tutte le possibilità. Voi due dovrete trascorrere il prossimo mese insieme in ogni caso e, di solito, quando le persone hanno la possibilità di discutere su qualsiasi problema, giungono a un accordo reciprocamente vantaggioso.»
Ma come faccio a parlare con Sonny Tanner, si chiese Delanna, se Maggie ha dovuto interpretare praticamente tutto quello che ha detto? Si alzò dal tavolo coperto di feltro, si incuneò tra di esso e il mucchio di sedie per dare un’occhiata dalla finestra. Non c’era nulla da vedere, tranne la parete di ceramica azzurra dell’edificio adiacente, a stento visibile. Il davanzale di Maggie era coperto dalle stesse mattonelle azzurre della parete. Stava calando il buio. Delanna si allontanò, sentendosi in trappola. Si strinse le braccia al petto e voltò la schiena alla finestra.
«Dunque mi sta dicendo che andare a Milleflores e aspettare lì fino al raccolto è l’unica opzione disponibile?» chiese a Maggie.
«Puoi annullare il tuo diritto di proprietà, insieme a quello di Sonny,» le ricordò Maggie con aria cupa. «Poi puoi andare allo spazioporto, tornare sulla Scoville e recarti dove preferisci.»
No, non posso, pensò Delanna. Aveva lasciato Rebe Primo con l’assegno dell’ultimo mese e il biglietto per Carthage. Non aveva neppure saldato il conto della scuola. E adesso le erano rimasti solo centoventicinque crediti. Senza il denaro ricavato dalla vendita della proprietà, per lei sarebbe stato impossibile recarsi a Carthage.
Doveva affrontare la realtà: era bloccata lì. «Quanto tempo ho a disposizione per recarmi a Milleflores?» chiese in tono rigido.
«C’è un treno che parte stanotte,» la informò Sonny.
Delanna guardò Maggie. «Non posso partire stanotte,» affermò, assalita dalla sensazione che quella faccenda le stesse sfuggendo di mano. «Devo ritirare il mio bagaglio dalla Scoville.» E Cleo. Si era dimenticata di Cleo. Avrebbe dovuto farla uscire dalla quarantena, prendere accordi per portarla a Milleflores, procurarsi un permesso d’importazione da mostrare al veterinario.
«Mi dispiace, tesoro,» stava dicendo Maggie. «Il treno di stanotte è l’unico mezzo di trasporto per raggiungere Milleflores per tutto il mese prossimo. Se non lo prendi, non farai in tempo a consolidare il tuo diritto. Nel frattempo, io cercherò di eliminare tutti gli ostacoli, incluso quello che ci impedisce di vendere a una terza parte.»
«Ma Maggie…» fece per dire Sonny.
«So che non è quello che vuoi, Sonny, e non penso che ci siano molte speranze di ottenere questo risultato, ma posso provarci. Qualsiasi cosa succeda,» proseguì rivolgendo a Delanna un’occhiata eloquente, «devi proteggere i tuoi diritti stabilendo la tua residenza a Milleflores. Se non ci vai, perderai tutto in men che non si dica.»
Qualcuno bussò bruscamente alla porta dell’ufficio.
Maggie fece finta di niente. «Mancano due ore e mezzo alla partenza del treno. Devi andare alla stazione…»
«Ma io non posso partire,» la interruppe Delanna in tono disperato. «Non senza…»
«I tuoi bagagli ti seguiranno con la prossima carovana.»
«Lei non capisce…» fece Delanna.
Jay Madog oltrepassò la soglia, torreggiando su Maggie per mezzo secondo prima di chinarsi a baciare l’avvocato sulla punta del naso. «Sembra che sia arrivato al momento culminante,» commentò, superando Maggie tanto in fretta dopo il bacio che lo schiaffetto di ammonimento dell’avvocato lo mancò. «Farò in modo di recuperare il suo bagaglio, Mrs. Tanner,» affermò in tono tranquillo. «E vedrò cosa posso fare per farle ottenere il rimborso della porzione del suo biglietto che non utilizzerà. Se ho capito bene, intende rimanere?»
«Delanna sta andando a Milleflores,» affermò Maggie. «Ho già prenotato il passaggio.»
«Meraviglioso!» esclamò Jay. «Ne sono deliziato. E sarei anche deliziato di recuperare il suo bagaglio.»
«E di addebitarti una bella somma per averlo fatto,» commentò Maggie rivolta a Delanna.
«Una piccola somma,» la corresse Jay. «Il che è un vero affare, specialmente se si considera che il contratto di trasporto firmato da Mrs. Tanner non dice nulla su eventuali trasferimenti o rimborsi.»
A quelle parole, Maggie si avvicinò al terminale vega e iniziò a toccare alcune icone. Lo schermo mandò un lampo verde, eruppe in un arcobaleno di colori e poi mostrò una serie di frasi nere che scorrevano su uno sfondo blu. Maggie poggiò un dito sullo schermo per bloccare lo scorrimento del testo. Lesse per qualche secondo, poi scosse la testa. «Non avresti mai dovuto firmare un contratto del genere, Delanna. Hanno tutto il diritto di trasportare i tuoi bagagli fino a Carthage e poi di inviarli qui di nuovo, addebitandoti tutte le spese. Certo, potresti citarli in tribunale, ma…»
«Lo so,» la interruppe Delanna in tono rassegnato. «Dovremmo sollevare il caso presso la Corte Itinerante, ma quando verrà emesso un verdetto, il mio baule sarà già stato considerato come un oggetto abbandonato o qualcosa del genere e venduto al migliore offerente.»
«Vede,» commentò Jay, sorridendo di nuovo. «Le sto offrendo un affare. Non dovrà affrontare nessuno dei fastidi di una causa legale, non dovrà pagare nessuna spesa di trasporto nel caso perda la causa, ma riceverà solo un baule consegnato direttamente a casa sua, a Milleflores.»
«Però adesso non iniziare a spiegarci come ci riuscirai,» commentò Maggie, «o sono sicura che ce ne pentiremo entrambi.»
«Tsk, tsk, Maggie,» la ammonì Jay con un sorrisetto di superiorità. «Così spingerai Mrs. Tanner a pensare che userò chissà quale sistema illegale o…»
«Sta’ zitto, Jay,» lo interruppe Maggie con voce divenuta improvvisamente dura come pietra. «Io non faccio giochetti con la legge.»
«C’è qualcos’altro di cui ho bisogno,» annunciò Delanna.
Jay si girò verso di lei, sorridendo in modo malizioso. «Al suo servizio, Mrs. Tanner.»
«Io non sono Mrs. Tanner,» spiegò Delanna. «Io sono Delanna Milleflores.»
Jay annuì saggiamente. «So che molti di voi Stranieri preferite mantenete i vostri cognomi anche da sposati.»
«Io non sono sposata,» ribatté Delanna in tono esasperato. «Si tratta solo di un pasticcio legale.»
«Questa è esattamente la mia concezione del matrimonio,» commentò Jay con un sogghigno. «E sono lieto di scoprire che lei la pensa come me. Era questo che voleva dirmi?»
«No, ovviamente no,» rispose Delanna. Gli fece cenno di avvicinarsi alla finestra. Voltando le spalle a Sonny e Maggie, gli sussurrò, «A causa di questo pasticcio sono costretta a rimanere su Keramos più a lungo di quel che pensavo e così ho assolutamente bisogno di fare uscire Cleo dalla quarantena.»
«Il tuo piccolo scarafaggio?» replicò Jay mentre il suo sorriso svaniva. «Non so se posso aiutarti: discutere con Doc Lyle non è come avere a che fare con la Copperfield Transport Company per recuperare un baule. In effetti, sono venuto qui proprio per assicurarmi che Sonny si fosse procurato i permessi d’importazione per le altre sette oche. Doc Lyle attraverserebbe le Pianure di sale a piedi pur di confiscare un’oca senza permesso di importazione. Sospetto che si agiterebbe ancora di più per una creatura proveniente da un altro pianeta.»
«Ma se lascio qui Cleo, domani la metterà sulla navetta e la spedirà a Carthage senza di me.»
Jay stava scuotendo la testa. «Non la rimanderebbe mai a bordo della Scoville. Non senza i documenti di trasporto. Violerebbe le leggi del pianeta e Doc Lyle è uno che applica le leggi sempre alla lettera.»
«Ma non può rimanere in quarantena per un intero mese.»
«Su questo hai ragione.» confermò Jay e aggrottò la fronte.
«Cosa vuol dire?» gli chiese Delanna.
«Il fatto è che hai portato qui questa cosa, questa cleo, senza un permesso di importazione. Questo è contro le regole. E Doc Lyle…»
«Applica le regole alla lettera. E questo cosa significa?» gli chiese di nuovo Delanna, iniziando a sentirsi spaventata.
«Significa che sarebbe meglio che spiegassi a Maggie questa faccenda.»
«Perché? Cosa succede agli animali che non hanno un permesso di importazione? Cosa farà il veterinario a Cleo?»
Delanna aveva alzato la voce. Maggie li stava fissando, corrugando la fronte, e Sonny commentò, curiosamente, «Cos’è una cleo?»
«Doc Lyle ha confiscato il piccolo animale da compagnia di Delanna,» spiegò Jay. «Si tratta di un qualche tipo di scarafaggio. L’aveva portato giù dalla Scoville nella sua sacca e Doc Lyle lo ha messo in quarantena.»
«Lei deve tirarla fuori,» disse Delanna rivolta a Maggie, ma l’avvocato aveva aggrottato la fronte come Jay.
«Non ha un permesso d’importazione?» le chiese Maggie.
«Ha fatto tutte le iniezioni necessarie prima che salissimo sulla Scoville,» rispose Delanna. «Ha tutti i documenti necessari per il viaggio fino a Carthage.»
Maggie sembrava ancora preoccupata.
«Cleo non è un semplice animale di compagnia,» tentò di spiegare Delanna. «È con me fin dal mio primo anno di scuola. Non posso lasciarla qui. Dovete farla uscire dalla quarantena.»
«Tu non capisci, tesoro,» replicò Maggie in tono tranquillizzante. «Le leggi di Keramos…»
«Sono assolutamente ingiuste!» la interruppe Delanna, poi scoppiò a piangere.
Jay le passò un fazzoletto a fiori. «Non possiamo falsificare qualche permesso di importazione, Maggie?» chiese, dando un colpetto di incoraggiamento sulla spalla di Delanna.
«Sai che non è possibile,» rispose l’avvocato. «Saranno necessarie venti pagine di documentazione solo per fare approvare a Doc Lyle l’importazione delle oche di Sonny e loro non sono state contrabbandate qui in una sacca da viaggio. Sai come la pensa Doc Lyle sul seguire le regole alla lettera. Ormai non accetterebbe neppure un mucchio di permessi di importazione alto dieci centimetri. Posso stilare una diffida in modo che Doc Lyle non possa…» Maggie si fermò, rivolse un’occhiata a Delanna, poi proseguì, «…prendere una decisione sull’animale per trenta giorni, ma è tutto quello che posso fare.»
Delanna si asciugò gli occhi con il fazzoletto. «Non andrò da nessuna parte senza Cleo e questa è la mia ultima parola!» esclamò facendo correre lo sguardo su tutti i presenti.
Maggie aveva di nuovo aggrottato la fronte e Sonny sembrava dispiaciuto. Jay le rivolse un sorriso rassicurante. «Andrà tutto bene. Una diffida è valida per trenta giorni; per allora Maggie avrà trovato una scappatoia legale, vero, Maggie, mio furbo avvocato?»
Delanna pensò che Maggie non fosse molto convinta, ma la donna replicò, «Potrebbe esserci qualche scappatoia nelle leggi originali del pianeta. Inizierò a studiarle non appena sarete partiti per Milleflores.»
«Io non…»
«Non hai scelta, tesoro,» replicò Maggie. «O prendi il treno di mezzanotte, oppure rinunci alla proprietà. E se lo fai,» aggiunse astutamente, «come farai a pagare le spese legali per fare uscire Cleo dalla quarantena?»
Delanna sapeva di essere stata sconfitta. «Ed è sicura che Cleo starà bene?»
«Certo che ne è sicura,» rispose Jay. «Tornerò prima che i trenta giorni siano trascorsi e andrò a sincerarmi delle sue condizioni. Maggie, scrivi quella diffida e io andrò a consegnarla di persona a Doc Lyle. Poi tornerò e la accompagnerò al treno, Mrs. Tanner.»
«Delanna viene con me,» affermò Sonny. «Hai preparato i permessi di importazione per le mie oche?»
«Sì.» Maggie si voltò verso il terminale vega, toccò alcune icone e un fascio di fogli cadde nel cestino. Maggie li tese a Sonny, toccò un’altra icona e un altro fascio, più spesso del primo, emerse dal terminale.
«E la diffida?» le chiese Delanna.
«Non ancora,» rispose Maggie, toccando alcune icone e osservando i fogli che continuavano a uscire dal terminale. «Quelli sono i permessi di importazione delle oche di Sonny.»
Delanna ebbe un tuffo al cuore. Ovviamente gli altri non avevano esagerato quando le avevano illustrato l’ossessione che il veterinario nutriva per il rispetto delle leggi. E quel mare di carta serviva solo per le uova che si erano schiuse dopo il decollo della Scoville.
Maggie passò a Sonny quella che sembrava un’intera risma di fogli, poi si girò verso il terminale e iniziò a toccare di nuovo delle icone… molte icone. Fece una pausa, lesse qualcosa sullo schermo, toccò molte altre icone, poi prese un singolo foglio dal cestino e lo tese a Jay. «Vale per trenta giorni: obbliga il diffidato a prendersi cura dell’animale in questione e a nutrirlo, assumendosi la piena responsabilità del suo benessere.»
«Bene,» commentò Jay, piegando il foglio e infilandolo nel taschino della camicia. «Venga, signorina,» invitò Delanna, cingendole la vita con il braccio.
Sonny si alzò. «Su, Delanna, andiamo. Ti accompagnerò io alla stazione ferroviaria.»
«Non andrò con nessuno di voi due,» replicò Delanna, allontanando ostentatamente il braccio di Jay dalla propria vita. «E non mi chiami ‘signorina.’»
«Sonny, Mad Dog, uscite di qui prima che vada a prendere la mia scopa e vi cacci,» minacciò Maggie spegnendo il terminale vega. «Non c’è bisogno che Delanna vada alla stazione con uno di voi. Può rimanere con me fino alla partenza del treno; la accompagnerò io. Voi due andate pure a sbrigare i vostri affari.»
Con una strizzata d’occhio a Delanna, Jay andò via. Sonny si fermò sulla soglia, fu sul punto di dire qualcosa, poi uscì fuori senza averlo fatto, di qualsiasi cosa si trattasse.
«Adesso,» proseguì Maggie quando furono andati via, «abbiamo due ore e mezzo fino alla partenza del treno e scommetto che sei esausta.» Si sedette e si versò un’altra tazza dalla bottiglia di ambrosia, poi, con un gesto, indicò un divano dall’aria polverosa sul retro dell’ufficio. «Perché non ti sdrai lì e schiacci un pisolino? Ti sveglierò a un’ora che ti permetterà di prendere il treno senza affrettarti.»
«Voglio vedere un altro avvocato,» affermò Delanna.
Maggie poggiò la tazza e fissò Delanna. tamburellando con le dita sul tavolo. A Delanna venne in mente che alienarsi la simpatia dell’unica persona che si era interessata a lei probabilmente era un grave errore, ma ora non le importava più. Visto il punto a cui era giunta con Maggie che proteggeva i suoi interessi, la sua situazione non avrebbe potuto peggiorare di molto avendola come nemica.
«C’è un altro avvocato in questo buco di città?» chiese Delanna fissando di nuovo Maggie.
«In effetti ce ne sono cinque.» Maggie si alzò, si avvicinò alla porta e la aprì. «Philo!» gridò nel bar, che adesso era diventato decisamente rumoroso. «Puoi venire qui un attimo?»
«Ma certo, Maggie, tesoro mio,» gridò una voce profonda.
«C’è qualche avvocato in questo posto che non sia ubriaco o non gestisca un saloon?» chiese Delanna, rendendosi immediatamente conto di quanto insultanti suonassero quelle parole.
«Philo!» gridò Maggie.
«Vengo, vengo,» rispose in tono impaziente l’uomo. «Fammi solo finire questa mano.»
«Non importa, dopo tutto non ho più bisogno di te!» gridò Maggie. «Mi serve Buck. Qualcuno esca fuori a chiamarlo!» gridò e chiuse la porta.
«Ho l’impressione che tu non sappia molto sugli ubriachi e sui gestori di saloon,» commentò in tono tranquillo Maggie, ancora accanto alla porta. «O sugli avvocati.» Qualcuno bussò alla porta. Maggie la apri e Buck, il ragazzo che aveva tenuto d’occhio le oche, entrò. Stava sogghignando come aveva fatto quando Delanna aveva forato lo scalino con il tacco. Si tolse l’ampio cappello ed esclamò, «Congratulazioni per il suo matrimonio, Mrs. Tanner!» e il suo sogghigno divenne ancora più ampio, tanto che Delanna sperò che il suo volto si aprisse in due e cadesse sul pavimento.
«Vammi a chiamare Lydia Stenberg,» gli ordinò Maggie e lo spinse fuori dalla porta prima che potesse fare una sola domanda, con quel sogghigno stampato in faccia. «Lydia Stenberg non è né un’ubriacona, né una proprietaria di saloon,» commentò, sedendosi pesantemente sulla sedia. «Ma è l’unico altro avvocato in città in questo momento. Guarda caso, in questa cittadina ne abbiamo cinque, ma uno è andato nella zona dei frutteti, un altro è alle miniere e tu hai già detto che non volevi avvalerti dei servigi di Philo.» Guardò Delanna con calma. «Lydia non ti dirà nulla di diverso da quello che ti ho detto io.»
«Questo lo vedremo,» replicò Delanna. «Mi rifiuto di credere che io possa essere costretta a un matrimonio e a rimanere su questo pianeta per un anno, se voglio ereditare la terra lasciatami da mia madre.»
«Fa’ pure,» replicò Maggie. Si sporse in avanti e si versò un’altra tazza di ambrosia. «Tua madre ti ha riempita di un bel po’ di veleno su Keramos, vero? Ti ha scritto parlandone solo in modo negativo?»
«Ovviamente non è stata abbastanza negativa,» ribatté Delanna, «visto che voi costringete le persone a sposarsi e rubate gli scarabei altrui.»
Questa replica mise a tacere Maggie, che si limitò a rimanere seduta, bevendo brandy di ambrosia, fino a quando Buck non tornò in compagnia di Lydia Stenberg, che indossava un vestito e delle scarpe con i tacchi alti, ma sembrava avere quindici anni.
«La mia tariffa di consultazione è di cinquanta crediti all’ora,» annunciò immediatamente. «Quante ore può permettersi di pagare?»
Nessuna, pensò Delanna, contando mentalmente i suoi centoventicinque crediti, ma rispose, «Due ore. Solo che non dovrebbe metterci tanto. Tutta questa faccenda non è che un grosso errore.»
«Due ore,» ripeté l’avvocato, sedendosi davanti al computer di Maggie. «E allora raccontami di questo errore, Maggie.»
Maggie la accontentò. Lydia Stenberg la interruppe molte volte per rivolgerle domande apparentemente pertinenti e iniziò a fare scorrere il testamento e a prendere appunti su una finestra sullo schermo addirittura prima che Maggie fosse arrivata a metà della sua spiegazione.
Richiamò i precedenti e gli statuti del pianeta, esaminò l’intero file e inserì ogni tipo di comandi, tamburellando impazientemente con le dita sulla tastiera mentre aspettava la risposta. Delanna iniziò a nutrire una vaga speranza.
Il computer iniziò a trillare mentre Lydia Stenberg aspettava che qualcosa apparisse sullo schermo, poi spense immediatamente il computer e si girò verso Delanna. «Mi dispiace,» affermò, raccogliendo le copie cartacee sparse sul tavolo e sistemandole in una pila ordinata.
«Cosa intende dire con ‘Mi dispiace?’» chiese Delanna.
«Intendo dire che è impossibile impugnare il testamento di suo padre. Avrei potuto dirglielo dopo cinque minuti, ma visto che lei ha pagato per due ore…» Scrollò le spalle. «Fanno centoventiquattro crediti.»
Delanna contò i crediti due volte. «Mi aveva detto cinquanta crediti all’ora.»
«Più l’IVA e le spese,» rispose Lydia Stenberg in tono pratico. Tese la mano. «Farà appello alla Corte Itinerante?»
«Sì,» rispose Delanna.
«Be’, sta sprecando il suo tempo e il suo denaro. La Corte Itinerante non farà altro che dichiarare valido questo testamento.» Tese la mano ancora di più.
Delanna vi poggiò il denaro, pensando, Ecco, adesso sono bloccata su questo pianeta senza soldi e senza alcun diritto legale.
«La tua tariffa è stata appena ridotta a quarantotto crediti all’ora,» annunciò Maggie, sfilando tre banconote dalla mano di Lydia Stenberg. «Defalca le spese dalla somma che avrei potuto farti pagare per il tempo che hai passato al mio computer.» Restituì le banconote a Delanna. «Ti serviranno per pagare il biglietto del treno.»
Lydia Stenberg sembrò irritata, ma mise il resto dei crediti nella valigetta, la chiuse di scatto e andò via.
Maggie chiuse la porta dietro di lei. «Vuoi che ti vada a prendere l’ubriacone? Manca ancora mezz’ora alla partenza del treno.»
«Per lasciare che mi dica la stessa cosa e che mi faccia spendere anche l’ultimo credito? No, grazie.»
«Ti darò un passaggio alla stazione,» si offrì Maggie, in tono piatto. Prese le tre tazze dalla tavola e uscì dall’ufficio.
Delanna si guardò intorno, cercando la sua sacca, poi si rese conto che doveva averla lasciato nel rimorchio, insieme alle oche. Sperò che Sonny si sarebbe ricordato di caricarla sul treno. Come se servisse a qualcosa: dentro c’erano soltanto un paio di pigiami, qualche indumento intimo e gli oggetti da toeletta. Più che sufficienti per una permanenza di una sola notte, pensò amaramente. Avrebbe dovuto comprare degli altri vestiti in qualche negozio della stazione, se le fosse rimasto qualche credito dopo avere pagato il biglietto del treno. Seguì Maggie nel bar.
Adesso il locale era affollato da uomini e donne, tutti giovani: indossavano camicie a fiori in tinte vivaci ed erano seduti al bancone oppure intorno ai tavoli da gioco.
«Ehi, Maggie. Chi è la tua amica?»
«Ti va di ballare, zuccherino?» chiese a Delanna un giovanotto che indossava una camicia a fiori rosa e rossi.
«Non mi sembra un granché per ballare,» commentò una donna, mettendosi davanti al ragazzo. Le sue braccia erano coperte di gesso e Delanna vide strisce di polvere bianca anche sul collo. «E poi scommetto che non sai neppure ballare, vero, dolcezza?»
Dopo avere poggiato le tre tazze sull’estremità del bancone, Maggie strinse la mano di Delanna e la trascinò attraverso la folla; un codazzo di risatine e sghignazzate le seguì oltre la porta d’ingresso.
«Minatori,» commentò Maggie in tono disgustato. Erano uscite sul portico di legno; fuori era ormai buio. «Odio i venerdì sera. Probabilmente per quando sarò tornata avranno già distrutto il locale.»
Maggie scese rapidamente gli scalini, con le scarpe con il tacco basso che producevano tonfi sordi. Ai piedi delle scale c’era Buck, che guardò con anticipazione Delanna mentre iniziava a scendere. Il suo volto si allungò in un’espressione delusa quando Delanna riuscì a scendere senza forare nessun altro scalino con il tacco. Delanna sollevò orgogliosamente il mento mentre gli passava accanto per seguire Maggie oltre l’angolo del saloon.
Percorsero un vicolo privo di qualsiasi illuminazione, così buio che Delanna pensò di essere entrata in una caverna. Il retro dell’edificio non era molto più illuminato, ma riuscì a distinguere una sagoma un po’ più chiara e pensò che fosse il solaris di Maggie. La donna allungò una mano e improvvisamente il retro del bar si illuminò, rivelando un cortile e un solaris: un piccolo veicolo con ruote e dotato di numerosi fari che correvano lungo la parte inferiore della carrozzeria e il tettuccio dell’abitacolo. Maggie tenne aperto il tettuccio per fare salire a bordo Delanna, che si sistemò su uno stretto sedile, con le ginocchia quasi incollate al mento, poi passò davanti a lei sull’altro sedile. Il solaris si attivò con una serie di ronzii quando Maggie chiuse il tettuccio. Il veicolo aveva un motore piccolo e rumoroso che necessitava di boccole nuove al punto di far vibrare l’intera carrozzeria; i programmi di dialogo tentarono tutti di fare rapporto a Maggie nello stesso momento.
«Silenzio,» ordinò l’avvocato. «So di cosa hai bisogno, ma stasera non l’avrai. Dimmi solo se il tuo cervello riesce a immaginare come arrivare alla stazione ferroviaria.»
«So come arrivare alla stazione ferroviaria.»
Era la voce quasi maschile di un computer, deliberatamente modulata per essere riconosciuta come meccanica. «Stavo iniziando a pensare che su Keramos non ci fossero programmi di dialogo fino a quando non sono entrata in questo veicolo,» commentò Delanna. «Almeno ho trovato qualcosa di familiare.» Tentò di inclinare all’indietro lo schienale del sedile, ma non ci riuscì.
«Dai a Keramos almeno una possibilità, Delanna. So che tua madre non ne aveva una buona opinione, ma questo era dovuto più alla sua paura per te che al disprezzo per il nostro mondo.»
«Certo,» commentò Delanna.
Il solaris iniziò a dirigersi verso il vicolo da cui erano arrivate. Delanna pensò che non sarebbe riuscito a passare, ma lo fece; i suoi fari fecero brillare le pareti di ceramica.
«Qualcuno ci sta sbarrando la strada,» annunciò il programma di dialogo mentre il veicolo rallentava. «Devo iniziare manovre evasive?»
«Non è una scimmia incendiaria, stupido pezzo di silicone. È Philo. Fermati e apri il finestrino,» ordinò Maggie. Il solaris si fermò all’estremità del vicolo, dove era in attesa Philo.
«Sonny Tanner mi ha detto di darle questo, solo che prima me ne ero dimenticato,» informò Delanna, porgendole la sua piccola sacca attraverso il finestrino. Nel farlo, fissò con aria stolida le gambe scoperte di Delanna.
Delanna tentò di tirare la corta gonna sulle cosce, ma Philo continuò a fissarle. Delanna prese la sacca dalle sue mani e la sistemò sulle ginocchia. «Grazie,» disse in tono gelido.
«Lì dentro c’è il suo corredo da sposa?» le chiese Philo rivolgendole un sogghigno ammiccante. «Ho sentito che lei e Sonny Tanner vi siete sposati. Non è un granché come valigia. Ma, dopo tutto, di quanti vestiti c’è bisogno per andare in luna di miele?»
«Chiudi il finestrino sulla mano di Philo,» ordinò Maggie al computer. Il solaris fece del proprio meglio per eseguire l’ordine, ma Philo ritrasse la mano di scatto, ancora sogghignando.
«Riprendi il viaggio,» ordinò Maggie al solaris. «Come stavo dicendo, nonostante gli imbecilli locali, Keramos non è poi così male, ed è anche un pianeta molto bello. Stanno iniziando ad arrivare perfino alcuni turisti che vogliono vedere le Pianure di sale; se gli piacciono quelle, aspetta di vedere cosa succederà quando scopriranno le montagne! A me piacciono soprattutto le colline ai loro piedi, specialmente la zona in cui si trova Milleflores…»
«Maggie, se mi hai dato un passaggio solo per tentare di farmi cambiare idea sulla possibilità di rimanere a Milleflores, ti avverto che stai solo sprecando fiato. Non mi interessano praterie infinite o montagne suggestive. Io preferisco i panorami cittadini, con edifici più alti delle montagne, a posti che sembrano l’interno di una sauna troppo riscaldata. Ma quello che voglio davvero è la civiltà. Per come la penso io, dei contadini che pensano di potermi dire con chi posso o non posso andare alla stazione sono quasi allo stesso livello dei minatori che mi chiamano ‘zuccherino.’»
Viaggiarono in silenzio per qualche minuto. Delanna fissò fuori dal finestrino. C’erano altri edifici di ceramica illuminati da file di luci multicolori e anche la strada era fiancheggiata da lampioni in ceramica. Quando il solaris svoltò, abbandonando la strada in terra battuta per imboccarne una pavimentata, Delanna ipotizzò che la pavimentazione fosse in ceramica. A parte le scatole di liquori, sembrava che l’intera città di Grassedge fosse stata costruita in ceramica.
Era bloccata su un pianeta fatto di piastrelle per il bagno, senza soldi, senza vestiti e senza alcun diritto legale.
«Sei preoccupata per il tuo baule, vero?» le chiese Maggie. «Abbiamo ancora un po’ di tempo. Passerò da casa mia e ti presterò un po’ di vestiti, così potrai arrangiarti fino a quando non arriverà il baule.»
«No, grazie,» rispose Delanna, pensando, Se avessi voluto davvero aiutarmi, mi avresti liberato da questo falso matrimonio e mi avresti aiutato ad andarmene da questo pianeta. «Non mi andrebbero,» aggiunse crudelmente.
«Come vuoi,» rispose Maggie. Proseguirono in silenzio per qualche altro minuto.
«Non essere così dura con Sonny,» la esortò infine Maggie. «È un brav’uomo, per quanto possibile. Non ha potuto ricevere un’educazione molto approfondita, ma c’è un buon motivo se le cose sono andate così.» Fece una pausa, poi proseguì. «Praticamente si è quasi ammazzato di fatica per tentare di ricavare qualche soldo da Milleflores e, dopo la morte del padre, non è rimasto più nessuno ad aiutarlo.»
«Lo ha fatto mia madre,» ribatté Delanna.
Questa affermazione fece tacere Maggie per un lungo minuto. «So che non parla bene, come Jay Madog, ma non stava tentando di darti ordini quando ti ha detto di andare con lui. Vedi, è abituato a dare ordini ai suoi fratelli e si è semplicemente dimenticato di pensare prima di aprire la bocca.»
«Non ho notato alcun indizio che indichi che sia in grado di pensare,» commentò Delanna. «È solo uno zoticone.»
Ancora una volta Maggie tacque. Davanti a loro era apparso un edificio vasto e illuminato a giorno che non solo torreggiava sugli altri edifici che lo circondavano, ma aveva una forma diversa. In effetti somigliava a una gigantesca torta nuziale circondata da elaborate balaustre, simili a decorazioni di glassa. Il solaris si fermò davanti alla facciata dell’edificio, da dove la luce si diffondeva proveniente da alte porte doppie. All’interno c’era un altro paio di porte.
«È questa la stazione?» chiese Delanna, sentendosi più sollevata. «Sì,» rispose Maggie.
Delanna annuì con approvazione. Aveva pensato che il terminale della ferrovia sarebbe stato ancora più primitivo dello spazioporto, forse nulla di più di una baracca con una panchina.
«Apri la porta,» ordinò Delanna al solaris. Il tettuccio si aprì, ma non del tutto. Delanna fu costretto a spingerlo con la sacca. «Vuoi che ti accompagni?» le chiese Maggie.
«No,» rispose Delanna.
«Ti terrò informata sul tuo caso via radio. Qualche volta i temporali e le macchie solari disturbano le trasmissioni, dunque chiamerò quando posso. Se non ricevi mie notizie, puoi chiamare tu.»
«Temporali,» ripeté Delanna in tono inespressivo. «Meraviglioso!» Sporse la gambe fuori dal solaris e, con una contorsione, riuscì a far uscire anche il resto del corpo. Quando si avviò verso la stazione illuminata a giorno, Maggie la chiamò. Delanna si fermò e si voltò a guardare indietro.
«Se proprio non vuoi concedere a Keramos una possibilità, almeno sii buona con Sonny. Gli devi molto.»
«Io non gli devo nulla,» replicò Delanna, ma Maggie aveva chiuso il tettuccio e il solaris stava già facendo inversione.
Il terminal ferroviario di Grassedge non era certo paragonabile a qualsiasi terminal di Gay Paree, ma sembrava più promettente di qualsiasi altro edificio Delanna avesse visto fino a quel momento a Grassedge. Si avviò sul vialetto pavimentato a mosaico fino al bordo esterno della torta nuziale, leggermente sorpresa di scoprire che era lo stesso tipo di mosaico che i commercianti avevano usato, senza badare a spese, per i vialetti che conducevano alle porte dei loro negozi nel centro di trasporto di Gay Paree, rimodernato da poco.
Guardò l’orologio. Mancavano venti minuti alla partenza del treno: un intervallo di tempo più che sufficiente per trovare qualche negozio di vestiti. Forse, con un po’ di fortuna, uno di essi avrebbe accettato carte di credito. Su quel mondo tanto periferico era impossibile che fosse disponibile la lettura di stato istantanea e dunque i negozianti non avrebbero avuto alcun modo per appurare che le sue carte di credito erano scadute. Delanna avrebbe potuto permettersi di acquistare un intero guardaroba nuovo di zecca.
CAPITOLO QUARTO
La biglietteria era la prima cosa che si incontrava una volta superate le porte, però non era situata dentro la stazione vera a propria, bensì nel piccolo atrio delimitato dalle due coppie di porte. Non era neppure una vera biglietteria, ma un cavalletto con un’asse sopra e un cartellone degli orari attaccato all’elaborata parete di ceramica alle spalle. Una perfetta metafora dell’intero maledetto pianeta, pensò Delanna, compresi gli uomini male in arnese in fila di fronte a essa.
Erano tutti uomini che non si radevano da almeno una settimana e non facevano il bagno da almeno un mese e si girarono tutti a guardare Delanna quando entrò, come se fossero sopraffatti dalla gioia di vederla. Delanna andò a mettersi in quella che presunse fosse l’estremità della fila disordinata, stando bene attenta a mantenere la distanza maggiore possibile tra lei e gli uomini.
«Passi pure avanti, signorina,» la invitò l’uomo davanti a lei, facendole segno di avanzare con una mano nerastra. La fila ondeggiò, si aprì e Delanna si ritrovò davanti alla biglietteria, chiedendosi se quello fosse uno dei modi in cui si manifestava la cavalleria locale, oppure se il cerchio di uomini si sarebbe improvvisamente chiuso intorno a lei.
«Dove vuole andare?» le chiese il bigliettaio. La domanda le fece comprendere di non avere la più pallida idea di quale fosse la sua destinazione. Milleflores non poteva avere una stazione ferroviaria e Delanna non sapeva quale fosse la città più vicina che ne avesse una. Quando aveva lasciato Keramos per andare a scuola non esisteva neppure la linea ferroviaria e non riusciva a ricordare che la madre le avesse scritto qualcosa sulla costruzione di una stazione.
Studiò il tabellone alle spalle della biglietteria, sperando di leggere un nome citato nelle lettere della madre. Si Chrome Lode, China Dome, Richmond Furnace, Last Chance, Cermet Summit. Non ne riconobbe nessuno, tranne Last Chance.
«Non riesce a decidere, signorina?» le chiese un minatore dall’aria sudicia con una barba molto folta, invece della solita peluria. «Perché non viene all’Anaconda?»
«Sì,» confermò il suo amico, ovviamente sbronzo per la troppa ambrosia bevuta. «La faremo divertire davvero un sacco.»
«Non vada con quei mangiatori di minerale.» intervenne un altro, coperto dalla testa ai piedi di polvere grigio-nerastra. «Se vuole conoscere dei veri gentiluomini, deve venire all’lmpareggiabile. Stavo per prendermi una settimana di riposo, ma — al diavolo! — tornerò con lei e le mostrerò la strada. Mi chiamo Frank Fuller. E lei, signorina?»
«Io voglio andare a Milleflores,» disse Delanna rivolta al bigliettaio, tentando di parlare a bassa voce. «Qual è la stazione più vicina?»
«La stazione più vicina?» rispose il bigliettaio con voce inespressiva. «A Milleflores?»
«Milleflores?» ripeté il minatore che aveva appena affermato di chiamarsi Frank Fuller. «Sta andando dalla parte sbagliata, signorina. In quella direzione non c’è nulla, tranne polvere, sale e altra polvere, esattamente in questo ordine. Lei non può sprecare il suo fascino con un mucchio di pesta-frutti. Lei deve venire all’lmpareggiabile.»
«Ho bisogno di un biglietto per Milleflores, o per la stazione più vicina,» sibilò Delanna al bigliettaio.
L’uomo la guardò di nuovo in modo inespressivo.
«Sembra che lei non possa andare a Milleflores in ogni caso,» la incalzò il minatore barbuto, «dunque perché non viene con me e…»
Delanna spinse il proprio denaro verso il bigliettaio. «Mi dia un biglietto per Milleflores,» ordinò.
L’uomo si limitò a fissare il denaro ammiccando, poi il suo volto si illuminò improvvisamente. «Lei è la moglie di Sonny Tanner, vero?»
No, pensò Delanna, assolutamente no. «Sì,» rispose invece.
Il bigliettaio prese una custodia rossa. «Ecco il suo biglietto. Jay Madog ha detto che sarebbe passato a prenderlo.» Delanna tentò di dargli il denaro, ma lui Io spinse di nuovo verso Delanna. «Ha già pagato Mad Dog. E così tu sei la moglie di Sonny. Cavolo, scommetto che Cadiz Flaherty starà schiumando di rabbia! Sono tre anni che tenta di prendere al laccio Sonny, senza riuscirci. E poi lui sposa te così, di botto. Devi averlo davvero colpito.»
Mi piacerebbe molto colpirlo, pensò Delanna. Lui, te e un mucchio di altre persone. Tentò di prendere la custodia del biglietto, ma il bigliettaio la allontanò. «Sei stata su Rebe Primo, giusto? Ma come avete fatto voi due a innamorarvi, visto che Sonny era qui e tu andavi a scuola?»
«Non l’abbiamo fatto,» replicò in tono secco Delanna, poi capì immediatamente che era la cosa sbagliata da dire di fronte a quella banda di tipacci. Ovviamente la faccenda non era affare loro, però questo non poteva certo dirlo. No, adesso doveva dire qualcosa che avrebbe soddisfatto il bigliettaio, in modo che si decidesse a darle finalmente il biglietto, permettendole di andarsene di lì.
«Non l’avete fatto?» commentò il bigliettaio assumendo la stessa espressione stolida di quando Delanna gli aveva chiesto un biglietto per Milleflores.
«Volevo dire che non ho dovuto innamorarmi di lui: lo conoscevo fin da quando ero bambina e immagino di averlo sempre amato.» Il volto del bigliettaio conservò la sua espressione vuota. «E, ovviamente, ci scambiavamo delle lettere.» L’espressione del bigliettaio divenne ancora più stolida, ammesso che fosse possibile. «Ci scrivevamo delle lettere. Ma ora devo sbrigarmi. Sonny arriverà da un momento all’altro.» Allungò una mano verso il biglietto e riuscì finalmente a prenderlo. «Grazie,» disse rapidamente e iniziò a farsi largo tra la folla di uomini. «Scusatemi, scusate, chiedo scusa.»
«Hai detto di essere la moglie di Sonny Tanner?» chiese Frank Fuller, piantandosi di fronte a Delanna.
«Sonny Tanner non si sarebbe mai sposato,» obiettò il minatore barbuto. «E se ci avesse provato, Cadiz Flaherty avrebbe avuto qualcosa da ridire.»
«Immagino sia inutile chiederti in che modo tu sia riuscita ad accalappiare Sonny,» affermò il minatore sbronzo. Lanciò un’occhiata eloquente alla gonna corta di Delanna.
«Lei dice che gli scriveva delle lettere,» intervenne il bigliettaio.
«Be’, allora qualcuno mi dia subito un pezzo di carta!» esclamò il minatore barbuto. «Anch’io voglio una moglie!»
«Cosa gli dicevi in quelle lettere?» le chiese qualcuno, Delanna non riuscì neppure a vedere chi fosse.
«Scommetto di sapere cosa gli diceva!» urlò il bigliettaio. «E non era certo ‘Caro Sonny’!»
«Ora basta!» gridò Delanna, sbattendo la sacca sul bancone della biglietteria. «Ne ho abbastanza di questo buco infernale che chiamate pianeta e ne ho abbastanza di voi gratta-sudiciume! Sono venuta per comprare un biglietto e prendere un treno, non per essere molestata da un branco di sudicioni zotici e ignoranti! Ora chiudete il becco e toglietevi dai piedi!»
«Andiamo, Mrs. Tanner, ci stavamo soltanto divertendo un po’,» si difese il bigliettaio.
«E non mi chiami Mrs. Tanner!» gridò Delanna. «E neppure signorina!» Afferrò la sacca, preparandosi a vibrarla contro lo stomaco di qualcuno, se fosse stato necessario. Frank Fuller arretrò, sollevando le braccia coperte di polvere come per difendersi, ma sul volto aveva stampato un sogghigno irritante.
Delanna passò davanti ai minatori con andatura decisa e oltrepassò le porte interne.
«Dove è diretta?» le chiese con aria leggermente timorosa un uomo che indossava il berretto da conduttore. Meglio così. Questo significava che aveva sentito la sfuriata di Delanna.
Delanna non avrebbe accettato espressioni stolide da parte del conduttore quando rispose, «Milleflores.» Tese il biglietto verso di lui.
Il conduttore aprì la custodia e vi guardò dentro. «Superi il cancello su cui c’è scritto Last Chance,» la indirizzò con un tono di voce sorprendentemente educato, poi indicò un’altra coppia di porte.
Delanna gli strappò il biglietto di mano e spinse le porte. Dietro di lei, udì qualcuno commentare, «Povero Sonny. Qualcuno dovrebbe avvertirlo. Si è ficcato in un bel guaio.» Le porte si chiusero alle sue spalle e Delanna entrò nella stazione.
L’edificio non era fatto di piani sovrapposti, ma era un unico, vasto ambiente, il cui soffitto si restringeva ogni dieci metri fino a culminare, molto in alto, in un lucernario. L’intera sala era ricoperta di mattonelle di ceramiche con incredibili sfumature rosse e verde pallido, fiamme e tozzi alberi che bordavano il secondo livello e una serie di archi in uno stridente colore turchese su cui erano scritti gli stessi nomi del tabellone: Si Chrome Lode, Last Chance, Richmond Furnace, Cermet Summit; ovviamente gli archi conducevano ai treni.
E questo era tutto. Non c’erano né ristoranti, né negozi, né banche e neppure delle panchine su cui sedersi. Accanto all’arco contrassegnato dalla scritta Anaconda, un gruppetto di uomini dall’aspetto malmesso sedevano sul pavimento con la schiena appoggiata alla parete e, al centro dell’ampio pavimento piastrellato, un vecchio stava dormendo con la bocca aperta, russando in modo così sonoro da far tremare l’aria fino al lucernario.
Meraviglioso, pensò Delanna. Non solo sono sposata a un imbecille e mi ritrovo bloccata su questo pianeta dimenticato da Dio, diretta verso un zona desolata e perfino più dimenticata da Dio, ma lo sto facendo indossando scarpe con i tacchi alti e una gonna che mi espone alle voglie di qualsiasi straccione e minatore ubriaco sul pianeta. Qualcuno mi dica che è tutto un sogno, che non sta succedendo davvero.
Uno degli uomini seduti contro la parete sollevò lo sguardo e le rivolse un fischio, che riecheggiò stranamente nell’immenso spazio piastrellato. Iniziò ad alzarsi.
Delanna superò rapidamente il cancello contrassegnato dalla scritta Last Chance e percorse un lungo tunnel illuminato solo sporadicamente da una luce gialla, mentre i tacchi risuonavano come colpi di fucile sul pavimento di ceramica. Si chiese se avrebbe dovuto cambiare treno a Last Chance e per quale stazione fosse valido il biglietto. Visto quanto era fortunata, il treno non sarebbe arrivato a meno di cinquanta miglia da Milleflores e lei avrebbe dovuto coprire a piedi la distanza rimanente, in compagnia di Sonny e di tredici oche. Era indecisa su chi fosse più stupido.
Desiderò non avere pensato alle oche: le avevano fatto ricordare Cleopatra. Povera Cleo, tutta sola nello spazioporto, senza sapere perché Delanna fosse stata costretta a lasciarla! Avrebbe dovuto insistere per tornare allo spazioporto a vedere come stava. Avrebbe dovuto insistere con Maggie per farsi dare la diffida, in modo da poterla consegnarla immediatamente al veterinario. Sicuramente sarebbe riuscita a convincerlo a farle portare con sé lo scarabeo, oppure avrebbe fatto qualcosa. Almeno avrebbe potuto vedere Cleo, rassicurarla.
Il tunnel terminò improvvisamente davanti al treno; accanto ai binari c’era a stento lo spazio per camminare. Delanna tese il biglietto a un altro uomo con il berretto da conduttore. Lui gli diede una rapida occhiata, disse, «Ultima carrozza,» e le restituì il biglietto. Delanna lo infilò nella sacca e iniziò a camminare lungo lo stretto passaggio. Il treno era un veicolo a monorotaia di un modello antiquato, ma nello stesso tempo più moderno di quanto si fosse aspettata. C’erano solo quattro carrozze passeggeri, ma alle spalle dell’ultima si allungava una fila di carri senza sponde, carichi di casse coperte di fogli di plastica e di oggetti più grandi e meno definibili, tutti legati con funi e corde. Delanna sperò che il conduttore non avesse davvero voluto riferirsi all’ultima carrozza del treno.
Salì sull’ultima carrozza passeggeri, trovò lo scompartimento indicato sul suo biglietto e sedette sul primo sedile confortevole da quando era scesa su Keramos. Si rese conto di quanto fosse stanca: si era dovuta sorbire il lungo viaggio nella navetta, quella ridicola scarpinata fino a Grassedge, la frustranti ore trascorse nel locale di Maggie. Dunque non c’era da meravigliarsi che fosse così stanca. Forse, se Sonny Tanner l’avesse lasciata in pace, avrebbe potuto dormire un po’ durante il viaggio verso Milleflores.
Qualcuno fischiettò nel corridoio all’esterno dello scompartimento. «Perché non viene a China Dome, signorina?» le chiese una voce artificialmente baritonale, poi la ragazza che Delanna riconobbe come Cadiz entrò, indossando il suo cappello floscio e trasportando due grossi zaini di tela. «Ho sentito che hai dato il fatto loro a quei minatori! Quando sono arrivata, Frank Fuller stava ancora tremando. Non sapevo che nelle scuole degli altri pianeti insegnassero un linguaggio del genere!»
Questo era proprio quello di cui avevo bisogno, pensò Delanna. «Cosa ci fai qui?»
«Io?» rispose Cadiz in tono innocente. «Be’, sto solo tornando a casa! Avrei dovuto trattenermi a Grassedge una settimana o giù di lì, ma poi ho pensato: Perché non andare a casa con Sonny e sua moglie e fare loro compagnia? Cosa c’è di più divertente di andare in luna di miele?»
«Ma davvero,» commentò Delanna. «Invece io avrei pensato che il ‘vero divertimento’ dell’Anaconda fosse più di tuo gusto.»
«Ah, ah, ma allora Frank aveva ragione: la tua lingua potrebbe forare la buccia di una palla di cannone.» Cadiz poggiò gli zaini sulla reticella e poi vi gettò anche il cappello. «Dov’è il timido sposino?» chiese, scuotendo i suoi corti capelli biondi.
«Non lo so,» rispose Delanna.
«Brutto segno,» commentò Cadiz, sbirciando nel tunnel dal finestrino. «Sai, lo sposo che fugge la notte di nozze e tutto il resto. Sei sicura che tornerà?»
Il treno ebbe un sobbalzo improvviso, facendo quasi cadere Cadiz. Delanna non aveva mai avuto l’occasione di rendersi conto che anche le monorotaie potessero sobbalzare. Cadiz si sedette di fronte a Delanna e scosse tristemente la testa. «Il tuo sposo perderà il treno, se non arriva qui entro cinque secondi.»
La porta esterna della carrozza si aprì ed entrambe si girarono in direzione del rumore. Jay Madog entrò nello scompartimento.
«Oh, bene, Delanna, temevo che potessi… Ma cosa diavolo ci fai tu qui, Cadiz?!»
«Sto tornando a casa,» rispose la ragazza, rivolgendogli il più innocente dei sorrisi. «Con te.»
«Puoi scordartelo: per questo viaggio siamo al completo.»
«Sonny ha spazio. Lui mi ha detto che andava bene.»
«Ci scommetto che l’ha fatto,» commentò Jay. Il treno sussultò di nuovo e poi iniziò a muoversi lentamente.
«Dov’è Sonny?» gli chiese Delanna in tono ansioso. L’imbecille stava davvero per perdere il treno.
«Ci raggiungerà a Last Chance,» rispose Jay in tono pensieroso, come se fosse preoccupato da qualcosa. «Ha avuto un problema.»
«Un problema?» chiese Delanna, pensando a Cleo. «Con il veterinario.»
«No, ha sistemato la faccenda delle oche in un battibaleno,» replicò Jay, ancora accigliato. «Ha avuto dei problemi con l’equipaggiamento che ha comprato: non si fidava di caricarlo sul treno.»
E posso anche capire perché, pensò Delanna quando il treno acquistò velocità: ondeggiava continuamente da un lato all’altro e sussultava periodicamente, come se qualcuno stesse cambiando marcia; il fatto era che le monorotaie non avevano marce.
«Io dico che se l’è filata,» affermò Cadiz.
«Hai consegnato la diffida a Doc Lyle?» intervenne Delanna rivolta a Jay.
«Sì,» rispose Jay in tono distratto, poi sembrò tornare in sé. «Sì. Non ci sono problemi. E il tuo scarafaggio sta bene: ho controllato di persona. Doc Lyle mi ha assicurato che se ne prenderà buona cura.»
«Sei sicuro che Cleo stia bene?» gli chiese Delanna in tono ansioso.
«Chi è Cleo?» chiese Cadiz. «Tua figlia? Non dirmi che Sonny ha una moglie e una figlia di cui non so nulla.»
«Cleo è il mio scarabeo da compagnia,» le spiegò Delanna. «Adesso è in quarantena, ma presto il mio avvocato la farà uscire e me la manderà.»
«Certo… e le Pianure di sale si trasformeranno in zucchero,» ribatté Cadiz.
Jay scosse bruscamente la testa.
Cadiz lo ignorò. «Doc Lyle non toglierebbe mai dalla quarantena nessun animale sprovvisto di un permesso di importazione. Non ha autorizzato l’ingresso neppure di quei gatti che il bordello ordinò quella volta.» Imitò la voce del veterinario: «’Le leggi sono le leggi. Non posso fare nulla che metterebbe in pericolo Keramos.’ Mi dispiace, tesoro.»
Il treno saettò in avanti con un sibilo, superando macchie confuse che erano edifici bui e campi ancora più bui.
«Cosa vuoi dire?» chiese Delanna. «Cosa vuole dire, Jay?»
«Nulla,» rispose lui, rivolgendo a Cadiz un’altra occhiata severa.
«Te l’ho detto, il suo scarafaggio sta bene. Ho consegnato la diffida a Doc Lyle. Per trenta giorni non può fargli nulla.»
«Non può fargli nulla… ma cosa farà a Cleo dopo trenta giorni?»
«Lo arrostirà,» affermò Cadiz, stiracchiandosi sul sedile. «Il tuo piccolo animaletto è cibo per le scimmie incendiarie.»
«È vero?» domandò Delanna a Jay. «Dimmi, è vero?» Lui sembrò a disagio.
«Ma certo che è vero!» rispose al suo posto Cadiz. «Doc Lyle ha avuto ordine di incenerire qualsiasi creatura sprovvista di un permesso di importazione. Se Sonny non si fosse procurato tutte quelle scartoffie per le oche nate sulla nave, adesso staremmo mangiando oca arrosto. Cosa ti ha detto Jay… che avrebbe convinto Doc Lyle a restituirti il tuo animaletto?» Intrecciò le mani dietro la testa. «Sta’ a sentire, la prima cosa che devi imparare è che Jay Madog dirà qualsiasi cosa a una donna, se questo serve a farle fare ciò che vuole lui.»
«Come salire su un treno?» chiese Delanna, guardando Jay.
Madog si era tolto il cappello. «Senta, io ho una carovana da guidare e lei deve arrivare a Milleflores. Ho detto che avrei ritirato il suo baule e ho detto che avrei tentato di fare uscire il suo scarafaggio dalla quarantena.» Si rigirò il cappello tra le mani. «La diffida è valida per trenta giorni e Doc Lyle non si azzarderà a violarne le disposizioni, di questo può stare certa.»
Le leggi sono le leggi, pensò Delanna.
«Io sarò di ritorno prima che i trenta giorni siano scaduti,» proseguì Jay. «Andrò da Maggie non appena metterò piede a Grassedge. Farò tutto il possibile per salvare il suo scarafaggio, signora. Tutto,» ripeté in tono enfatico. «Adesso devo andare a controllare le merci sulle altre carrozze,» affermò. «Voi signore godetevi pure il panorama.»
Uscì dallo scompartimento.
«Vengo con te,» dichiarò Cadiz. Prese il cappello dalla reticella. «Farò tutto il possibile per salvare il suo scarafaggio, signora,» ripeté, rigirando il cappello tra le mani. «Lei è una che non perde tempo, signora. È arrivata su Keramos solo da un paio di ore, ma si è già trovata un marito e un fidanzato.» Gettò il cappello in aria, lo prese al volo e poi uscì dallo scompartimento.
Delanna si girò e guardò fuori dal finestrino. All’esterno era sceso il buio. Il treno superò alcune abitazioni illuminate da lampioni di ceramica, che diventarono sempre più rade e più distanziate, fino a quando Delanna non riuscì a vedere più nulla. Poggiò la testa contro il finestrino, desiderando di poter dormire, ma probabilmente Cadiz sarebbe tornata da un momento all’altro.
Quando si svegliò, il treno si era fermato. Cadiz era seduta di fronte a lei, le braccia conserte sul petto e il cappello che le copriva gli occhi. Delanna si raddrizzò. «Siamo arrivati a Last Chance?»
«Siamo a Vira’s,» rispose Cadiz. Con un colpetto della mano sollevò ii cappello. «Stiamo caricando delle provviste.»
All’esterno era ancora buio, ma lungo l’orizzonte assolutamente piatto era apparsa una sottile linea grigia. Delanna sbadigliò. «Quanto tempo ci fermeremo qui?»
«Circa…» iniziò Cadiz, poi il treno sussultò in avanti. «Non a lungo,» concluse e abbassò di nuovo il cappello sugli occhi.
Delanna guardò dal finestrino il panorama che cambiava lentamente. Non era ancora l’alba, ma ormai riusciva a riconoscere le varie sagome. Non che ci fosse molto da riconoscere: piccoli campi quadrati circondati da ampie e spoglie distese di polvere. Delanna si chiese se fossero barriere frangifiamme. Molto lontano, verso nord, il suo sguardo colse un bagliore di luce rossastra che poteva anche essere quello di un incendio.
Provò l’impulso di chiedere a Cadiz quanto fosse lontana Milleflores, ma la ragazza sembrava essersi addormentata, con la testa poggiata contro lo schienale del sedile e le braccia di nuovo incrociate sul petto. Sembrava una posizione molto scomoda.
Bene, pensò assonnatamente Delanna, spero che le venga un bel torcicollo.
Quando Delanna si svegliò di nuovo, era giorno fatto. I campi quadrati con i loro confini tracciati accuratamente erano stati sostituiti da chiazze irregolari di vegetazione circondate da arbusti e sabbia. Non si vedeva alcun edificio da nessuna parte.
Cadiz la stava fissando con irritazione.
«Dove siamo?» le chiese Delanna, massaggiandosi il collo: le era venuto un terribile torcicollo.
«Circa dieci miglia dopo Bismuth,» rispose Cadiz. «Hai continuato a dormire anche quando il treno si è fermato. E hai continuato a dormire anche durante il pranzo. Ti stai riposando per la notte di nozze?»
Delanna ignorò quella battuta. Il suo orologio le rivelò che erano le quattro e mezza del pomeriggio; era impossibile, ma era altrettanto ovvio che non era mezzogiorno. Le poche ombre in quel paesaggio desolato si stavano già allungando. Doveva essere stata sopraffatta dalla stanchezza.
«Quanto manca per Milleflores?» chiese.
«Cinquemila miglia,» rispose Cadiz, guardando fuori dal finestrino. «Con un’approssimazione per difetto o per eccesso di un paio di centinaia.»
Delanna era stata stupida a pensare di potere avere una risposta diretta da Cadiz. Doveva trovare Jay. Uscì nel corridoio e si imbatté in Sonny. «Cosa ci fai qui?» gli chiese, sorpresa.
«Ho raggiunto il treno prima di quanto mi aspettassi.» Sonny scrutò il corridoio e poi si guardò brevemente alle spalle. «Ho guidato come un pazzo per arrivare qui,» affermò. Non aveva certo l’aspetto di un uomo che avesse guidato senza interruzione per una notte e un’intera mattinata: sembrava perfettamente sveglio e felice per qualche motivo. Il suo volto era rosso per l’eccitazione e, per un istante, Delanna pensò che somigliava al ragazzo che lei ricordava.
«Torna nello scompartimento,» sussurrò Sonny, prendendola per un braccio.
«Ma…» fece Delanna, e Sonny aveva già aperto la porta dello scompartimento e la stava spingendo dentro.
«Delanna, devo parlarti,» le rivelò in tono pressante. «Ho…»
«Ma guarda un po’ chi si vede: lo sposo perduto da lungo tempo,» commentò Cadiz, mettendosi a sedere e spingendo indietro il cappello. «Pensavo che ci avresti raggiunto a Last Chance.»
«Cosa ci fai qui, Cadiz?» chiese Sonny, apparentemente sorpreso.
«Sto andando a casa,» rispose lei.
«Non con questa carovana.»
«È la carovana di Mad Dog, non la tua,» replicò Cadiz, alzandosi per affrontarlo, «e lui mi ha invitato a venire con voi.»
Pronunciando quella bugia colossale, Cadiz non rivolse neppure un’occhiata a Delanna, che fu costretta ad ammettere che l’altra ragazza era molto brava a mentire.
«Stai facendo tutto questo solo per provocare guai e tu lo sai, Cadiz,» replicò Sonny e Delanna fu lieta che Sonny avesse saputo intuire lo scopo dell’altra donna.
«Provocare guai?» gridò Cadiz. «Provocare guai? Chi ha sposato una Straniera con i tacchi alti? A me sembra che sia tu quello che ha provocato tutti i guai.»
Il treno sussultò, Cadiz allungò un braccio per riguadagnare l’equilibrio e batté la testa contro il finestrino. Spero che svengo, pensò Delanna.
«Se Jay Madog ti ha invitato, perché non vai a tenergli compagnia?» chiese Sonny.
«In modo che tu possa parlare alla tua timida sposina? ‘Delanna, devo parlarti!’» lo imitò Cadiz in tono svenevolmente romantico. «In effetti Jay mi ha confessato che non sopporta di rimanere senza di me neppure un minuto, ma immagino che dovrà farlo. Voglio vedere questo ‘equipaggiamento’ che non ti sei fidato di fare caricare sul treno a Grassedge. Però ti fidi di farlo caricare a Bismuth. Come mai?» Uscì rabbiosamente dallo scompartimento.
Sonny esitò accanto alla porta, guardandola andare via. «Delanna, senti, devo parlarti, ma…» Il treno sussultò di nuovo. «Devo andare a controllare il mio equipaggiamento. Cadiz è capace di… Comunque, non preoccuparti,» aggiunse in modo criptico, poi andò via.
Non preoccuparti, pensò Delanna. Ma certo, era ovvio che non c’era nulla di cui preoccuparsi: era semplicemente bloccata su uno strano pianeta senza il becco di un quattrino e, se il suo orologio andava bene, tra cinque minuti avrebbe perso la navetta che l’avrebbe ricondotta sulla nave, dopodiché sarebbe rimasta davvero bloccata. E stava dividendo lo scompartimento con la fidanzata gelosa di suo «marito,» su un treno apparentemente diretto il più lontano possibile da quella che passava per civiltà su quel pianeta dimenticato da Dio.
I campi invasi dalla vegetazione divennero chiazze marroni e poi scomparvero del tutto. Perfino gli arbusti iniziarono a sembrare più piccoli e più radi nel paesaggio polveroso.
Delanna si chiese di cosa volesse parlare Sonny. Era troppo sperare che fosse riuscito a trovare una scappatoia in quel ridicolo testamento; probabilmente era riuscito soltanto a trovare un modo per anticipare la decisione della Corte Itinerante a quattro settimane da quel momento, e non cinque.
La porta dello scompartimento si aprì. Delanna sollevò lo sguardo con speranza, ma non era Sonny. Era Jay Madog.
«Sonny è sul treno,» la informò.
«Lo so,» rispose Delanna. «L’ho visto.»
«Dov’è Cadiz?»
«Ha detto che sarebbe venuta a cercarti. Ha anche detto che non potevi stare senza di lei neppure un istante.»
«Oh,» mormorò Jay, come se non avesse sentito Delanna, poi uscì di nuovo, ma tornò quasi immediatamente, portando una grossa busta di carta con l’orlo superiore ripiegato. «Philo mi ha detto di darti questo,» spiegò e andò via senza aspettare che Delanna aprisse la busta.
Maggie doveva averle inviato dei vestiti dopo tutto, anche se con lei Delanna si era comportata peggio di Cadiz. Iniziò ad aprire il sacchetto.
Cadiz entrò nello scompartimento, prese un panino e un frutto verde-giallo da uno degli zaini e si sedette. «Hai fame? Ceneremo a Last Chance, ma manca ancora un’ora. Cos’è? Sonny ti ha portato un regalo di nozze?»
«No, me lo ha dato Jay,» rispose Delanna. Venne colpita da un pensiero improvviso. Jay aveva detto che era stato Philo a dargli il sacchetto, ma se era così, perché aveva aspettato tanto tempo per darglielo? E perché aveva aspettato fino a quando aveva visto che nello scompartimento non c’era nessuno tranne lei? Farò tutto il possibile per riportarle Cleo, aveva detto. Tutto il possibile.
«Ah, un regalo da parte di Jay,» commentò Cadiz in tono sarcastico. «Me l’ero dimenticato: tu hai un marito e un fidanzato.» Prese un temperino e cominciò a sbucciare il frutto. «Be’, cos’è?»
«Vestiti,» rispose Delanna, chiudendo frettolosamente l’orlo della busta. «Il mio baule è ancora a bordo della Scoville. Avevo bisogno di qualche vestito di ricambio.» Si alzò e mise la busta sulla reticella, spingendola verso il fondo e mettendo davanti la sacca.
«Vestiti, eh?» commentò Cadiz, togliendo un pezzo della buccia verde-gialla. «È la prima volta che sento parlare di Jay Madog che dà dei vestiti a una donna. Ho sempre sentito dire che preferiva toglierglieli, bada bene. A sentire Sally Jane Parkiner, non aveva più un solo filo di tessuto addosso quando attraversò le Pianure di Sale con Mad Dog. Lui le strappò i vestiti direttamente dalla schiena.» Tolse un altro pezzo di buccia e riuscì a estrarre un pezzo di polpa della grandezza di un noce. «Ovviamente, posso anche capire perché tu ci tenga tanto a coprirti.» Si infilò il pezzo di frutto in bocca. «Cosa ti ha portato? Un’acconciatura e un velo?»
Delanna non la stava ascoltando. Si stava chiedendo cosa avrebbe potuto dire a Cadiz per farla andare via. Ovviamente era impossibile riuscirci senza insultarla. Stava chiedendosi se dirle che Jay la stava cercando, quando Cadiz si alzò di nuovo, prese un altro frutto dal sacco e uscì sbattendo la porta.
Delanna aspettò fino a quando non udì chiudersi la porta esterna, poi attese un altro paio di minuti, che le sembrarono infiniti, prima di alzarsi e di togliere la busta dalla rastrelliera. La poggiò delicatamente sul sedile, poi uscì nel corridoio e controllò in entrambe le direzioni: non c’era nessuno in vista, ma Cadiz aveva la sconcertante abitudine di apparire dal nulla. Tentò di chiudere a chiave lo scompartimento, ma non riuscì a inserire il chiavistello. Dal finestrino filtravano i raggi obliqui del sole del tardo pomeriggio. Non c’erano ombre.
Si sedette, si mise la busta in grembo e la aprì. «Cleo?» sussurrò, poi infilò dentro una mano. Trovò una camicia a fiori simile a quelle indossate dai minatori, un paio di pantaloni stazzonati e un maglione di lana. Delanna li tirò fuori dalla busta frettolosamente. Sul fondo della busta c’era una pesante scatola di cartone. Delanna lanciò di nuovo un’occhiata ansiosa al corridoio, poi, con il cuore che le batteva forte, aprì la scatola.
Maggie le aveva mandato un pranzo: alcuni panini, un contenitore di latte, tre frutti simili a quello che stava mangiando Cadiz e un biglietto. «So che per te tutto questo è stato molto difficile, ma andrà tutto per il meglio. Sonny è uno degli uomini migliori che conosca.»
«Bella camicia,» commentò Cadiz, entrando nello scompartimento nel suo tipico modo. «Quando la indosserai, somiglierai a Frank Fuller. Stiamo arrivando a Last Chance.»
«Davvero?» replicò Delanna, tentando di evitare che le lacrime le arrochissero la voce. Tutto il possibile, aveva detto Jay Madog, ma non aveva avuto alcuna intenzione di salvare Cleo. Aveva una carovana da guidare e, in ogni caso, Cadiz l’aveva avvertita di non fidarsi mai di quello che diceva. Evidentemente aveva ragione.
«Di cosa ti crucci?» chiese Cadiz, togliendo gli zaini dalla rastrelliera. «Quella camicia non è poi così brutta, però i pantaloni sono addirittura orrendi.»
Delanna chiuse la scatola e ammucchiò i vestiti su di essa. «Per quanto tempo ci fermeremo qui?»
Cadiz le rivolse un’occhiata inespressiva. «Fino a quando non saremo pronti a partire, immagino.»
«Posso lasciare le mie cose sul treno?»
«No, a meno che tu non voglia che tornino a Grassedge. Questo è il capolinea.» Riuscì ad aprire la porta e vi fece passare gli zaini.
«Ma…» fece Delanna.
«Last Chance, signorine,» annunciò Jay, sporgendosi oltre gli zaini per affacciarsi nello scompartimento. «Avete fatto un bel viaggio?»
«È qui che prenderemo la coincidenza?» gli chiese Delanna, ma ricevette la stessa occhiata inespressiva rivoltale pochi istanti prima da Cadiz. «Il treno arriva davvero solo fin qui?»
«Certo. Dovremo coprire il resto del percorso viaggiando in carovana.»
«Carovana? Vuoi dire in autobus o qualcosa del genere?»
«No, viaggeremo nei solaris. Maggie non te lo ha spiegato?»
Maggie non le aveva spiegato un bel po’ di cose. E quante avrebbe dovuto scoprirne nel modo peggiore? «Nei solaris,» ripeté Delanna. «E quanto sarebbe lungo questo resto del percorso?»
«Te l’ho già detto,» intervenne Cadiz.
Delanna la ignorò. «Quanto è lontano Milleflores, Jay?»
«Dipende da quale strada faremo.»
«Quanto è lontano all’incirca?»
«Te l’ho già…» fece Cadiz.
«Mmm,» esclamò lentamente Jay, come se stesse immaginando il viaggio nella sua testa, «se non troviamo troppi crepacci o valanghe e non dobbiamo aggirare nessun temporale, cinquemila miglia.»
CAPITOLO QUINTO
«Cinquemila miglia!»
«E io che ti avevo detto?» replicò in tono divertito Cadiz. «Ehi, hai un colorito verdastro. Non pensi che sarà un viaggio molto divertente?»
«Quanto tempo ci vorrà?» chiese Delanna con voce fioca.
«Dipende,» rispose Cadiz. «Tre settimane e mezzo. Quattro. Cinque. Due mesi.»
«Scusatemi, signore,» le interruppe Jay. «Questo treno trasporta un bel po’ del mio carico e mi piacerebbe scaricarlo di persona. A bordo ci sono delle cose preziose.» Fece l’occhiolino a Delanna. «Avrò bisogno del tuo aiuto con le oche. Senza dubbio Sonny starà già occupandosi della cassa che ha ritirato da Sakavva.»
«E io andrò ad aiutare Sonny,» affermò Cadiz, uscendo nel corridoio con la sua andatura provocante.
«Stai davvero morendo di curiosità visto che non sai cosa c’è in quella cassa, vero?» chiese Jay, seguendo Cadiz.
Cadiz girò l’angolo e l’assordante fischio del treno inghiottì la sua risposta.
Cinquemila miglia.
Delanna si abbandonò sul sedile, fissando fuori dal finestrino, tentando di non piangere. La piattaforma era polverosa, ma alle spalle c’era un sentiero di mattoni pulito che avrebbe avuto un aspetto invitante, se non fosse stato fiancheggiato da arbusti alti e sottili i cui tronchi erano quasi piegati su se stessi, forzati dalla massicce palle rosse dei frutti che crescevano sulle punte dei rami scheletrici. Alcuni degli alberelli dall’aria triste si chinavano su un muretto di mattoni che delimitava un cortile davanti a un insieme di edifici le cui facciate erano coperte dalle inevitabili mattonelle di ceramica, tutte in qualche sfumatura di verde: verde muschio, verde oliva, acquamarina, verde malachite, verde bottiglia, verde mela e smeraldo; tutti gli edifici avevano un tetto color rosso fuoco e Delanna pensò che somigliavano a tante olive farcite ritte su un’estremità.
Alcuni uomini erano usciti dagli edifici e stavano percorrendo il sentiero di mattoni verso il treno; tutti indossavano una camicia a fiori in tinte vivaci. Un dito che batteva sul finestrino fece sussultare Delanna. Era Jay Madog, che indicò prima lei e poi il rimorchio di oche che aveva appena fatto fermare. Le oche stavano emettendo starnazzi eccitati.
«Non sono la guardiana delle oche di Sonny,» commentò Delanna in tono rabbioso, ma Jay si era già girato, gridando e salutando qualcuno all’estremità opposta della piattaforma. In ogni caso, non sarebbe riuscita a sentirla attraverso il finestrino. Le oche continuarono a starnazzare freneticamente, molte di loro stavano beccando qualcosa all’angolo della gabbia. «Per me possono pure continuare a starnazzare,» affermò Delanna, rivolta al vuoto. «Non me ne importa un fico secco se il baccano farà impazzire tutti. Anzi, spero che lo faccia. Spero…» Vide lampeggiare un arcobaleno, poi notò un luccicare perlaceo di unghie su una sbarra della gabbia delle oche. «Cleo!» Ecco perché Jay aveva voluto che si prendesse cura delle oche! Aveva nascosto Cleo nella gabbia con loro. Improvvisamente Delanna si rese conto che gli uomini sul sentiero di mattoni erano quasi arrivati alla banchina della stazione.
Afferrò con un unico movimento la sacca, la busta con la scatola del pranzo e i vestiti, poi si precipitò oltre la porta dello scompartimento. Corse lungo il corridoio… e inciampò mentre scendeva lungo la scaletta verso la banchina; i tacchi alti le impedirono di riprendere l’equilibrio prima di cadere a gambe levate nella polvere. Le oche starnazzarono, spaventate dal tonfo. Un uomo, che avrebbe potuto essere il fratello di Frank Fuller, stava correndo verso di lei. Delanna si alzò, ignorando il dolore alla caviglia e gridò, «Sto bene! Davvero, sto bene!» poi zoppicò verso la gabbia delle oche, sventolando pantaloni, camicia, maglione e sacca verso l’uomo. Doveva avere un aspetto minaccioso perché l’aspirante soccorritore si fermò con un piede sulla banchina. «Sto bene,» ripeté Delanna, stringendo al petto la sacca e i vestiti.
«Bene.»
«Lei deve essere la moglie di Sonny Tanner,» affermò l’uomo.
«Eh, sì, devo proprio esserlo,» rispose Delanna in tono falsamente gioviale.
«Allora questo spiega tutto.» Si toccò il cappello, si girò e seguì gli altri uomini verso l’estremità della piattaforma.
Spiega cosa? si chiese per un attimo Delanna mentre si girava verso la gabbia delle oche. Non vide più le unghie di Cleo, ma sentì il suo ruggito. Nella gabbia volavano piume d’oca e gli animali stavano strombazzando a più non posso. «Cleo,» sussurrò Delanna mentre apriva i chiavistelli della porta in filo metallico. Pensava di trovare il piccolo scarabeo in preda al panico, invece, in un angolo della gabbia, Cleo sembrava al culmine della gioia, appollaiata sul sacco di grano da cui era ovviamente fuggita. Aveva sparso qualche chicco di grano sul pavimento della gabbia e con i suoi arti telescopici si divertiva a sottrarre i chicchi dai becchi delle oche. Gli stupidi pennuti si limitavano a cercare un altro chicco, di solito per farsi sottrarre anche quello. Tutte e sei le zampe dello scarabeo erano impegnate in quel continuo furto di grano. «Cleo, vieni qui!» ordinò Delanna. Era così sollevata di sapere che lo scarabeo era sano e salvo che non se la sentì di rimproverarlo per essersi preso gioco delle oche. Cleo ammiccò con le membrane nittitanti e zampettò sul pavimento della gabbia verso le mani di Delanna. Le oche si gettarono avidamente sul grano.
«E io che per tutto questo tempo ho pensato che tu fossi raggomitolata a palla per la paura!» commentò Delanna, rimproverando scherzosamente il piccolo scarabeo mentre lo stringeva al petto. Ma Cleo era chiaramente felice di vederla. Estese le zampe, simili a quelle dei ragni, intorno a Delanna e premette il ventre caldo contro il suo collo, sistemandosi sotto il mento della ragazza come un pendente ingioiellato… visibile a chicchessia. Delanna usò la camicia a fiori per coprire la camicetta che indossava, ma non servì a molto per nascondere Cleo. Allora indossò i pantaloni sulla gonna corta e li allacciò alla vita. «Nella tasca, tesoro,» ordinò, staccando le zampe di Cleo dal collo. Lo scarabeo si raggomitolò a palla e Delanna lo fece scivolare nella tasca, dove entrò comodamente. Delanna si infilò nell’altra tasca uno dei grossi frutti contenuti nella scatola di Maggie, assicurandosi che fosse visibile una parte della buccia giallo-verde. Cleo non era grossa come il frutto, ma Delanna pensò che le due protuberanze nelle sue tasche non avessero un aspetto particolarmente sospetto. E fece appena in tempo. Cadiz, Sonny e metà degli uomini sulla banchina era diretti di nuovo verso l’ultima carrozza, con Jay Madog che latrava ordini mentre faceva strada.
«Tirate fuori le scatole da sotto i sedili nell’ultima carrozza,» stava dicendo Jay agli uomini, «e trascinate questa cassa di oche fino al punto di raccolta.» Si girò verso Delanna. «Come sei riuscita a farle stare zitte?»
«Ho dato loro da mangiare,» rispose Delanna. Infilò la mano in tasca, chiudendola sullo scarabeo raggomitolato e sorridendo quando lo sentì iniziare a fare le fusa.
«Hanno trovato il grano, eh?» commentò Sonny, dando un’occhiata nella gabbia.
Cadiz osservò distrattamente la gabbia. «Perderanno tutte quelle piume per tutto il viaggio di ritorno?» chiese.
«Attacca il rimorchio delle oche alla fine della carovana,» ordinò Jay all’uomo che era arrivato per trainare a mano il rimorchio. «In questo modo potranno mutare tutte le piume che vogliono senza dare fastidio al resto della carovana.» Rivolse un’occhiata a Delanna. «Se per te va bene, cioè. Sembrano sul punto di diventare i tuoi animali preferiti.» Le rivolse un sogghigno.
Delanna annuì con aria felice. «E darò perfino loro da mangiare per tutto il viaggio,» si offrì. «Capisci, mi occuperò io di dare loro il grano.» E, disse a se stessa, nasconderò Cleo ogni volta che sarà necessario, senza che nessuno, specialmente Sonny, lo venga a sapere.
Jay Madog batté una mano sulla spalla dell’uomo, segnalandogli di avviarsi.
Cadiz stava studiando gli abiti di Delanna. «Credo che quella camicia abbia fatto tornare un po’ di colore sulle tue guance,» commentò, calcandosi di nuovo in testa il cappello sformato e abbassandone l’orlo per proteggere gli occhi dai raggi del sole, adesso lunghi e obliqui. «Però quei pantaloni ti fanno i fianchi larghi.»
«Andiamo,» la interruppe Jay. «Andiamo a prendere una stanza d’albergo. Ho fame e, se conosco Chancy, servirà la cena non appena il sole sarà calato oltre l’orizzonte.»
Tese le braccia per guidare tutti lungo il sentiero. Per la prima volta, Delanna si rese conto che una dozzina di altre persone si erano unite a loro sulla banchina: erano passeggeri scesi dal treno. Delanna rimase indietro fino a quando la maggior parte di loro non ebbe imboccato il sentiero di mattoni tra gli alberi sovraccarichi di frutti.
«Non ho avuto occasione di ringraziarti in modo appropriato,» si scusò quando Jay la guardò con aspettativa.
«E adesso per quale motivo stai ringraziando Jay?» chiese Cadiz che li precedeva di almeno dieci metri. Deve avere l’udito di un gatto, pensò Delanna. «Ah, certo, per la camicia. Probabilmente sarebbe felice di avere indietro i pantaloni, vero, Jay?»
Delanna ignorò i commenti salaci di Cadiz. «Ti sono davvero grata,» disse rivolta a Jay e si sollevò sulle punte dei piedi per baciarlo sulla guancia.
«Allora, venite sì o no?» chiese Sonny, comparendo da sotto i rami curvi dell’albero più vicino.
«Andiamo,» affermò Jay. «Se consegnarti un sacchetto da parte di Maggie ti rende abbastanza grata da baciarmi, non vedo l’ora di scoprire quello che succederà quando ti consegnerò il tuo baule.»
Percorsero il sentiero fino alla locanda ed entrarono nell’edificio con la sfumatura verde più intensa. Si ritrovarono in un atrio con un luccicante pavimento di ceramica e una grande scrivania. Dietro di essa, un unico impiegato digitò qualcosa su un terminale vega negli intervalli tra le occhiate che rivolgeva ai nuovi arrivati mentre premevano i loro pollici sull’identificatore, dalla cui fessura caddero targhette numerate, che fungevano da chiavi, ancora sfrigolanti, visto che un raggio laser aveva inciso su di esse i duplicati delle impronte digitali di ciascuno. L’impiegato lesse con una certa difficoltà il numero della stanza sulle targhette ancora calde, le gettò agli ospiti e li indirizzò attraverso il cortile verso le loro stanze.
Grazie a Dio siamo in un posto civile almeno a metà, pensò Delanna. Sperò che le chiavi significassero vere stanze, con bagni e saune; in ogni caso significavano la presenza di porte dotate di serratura, che le avrebbero permesso di tenere Sonny fuori della stanza.
«Cadiz,» disse l’impiegato quando la ragazza premette il pollice sull’identificatore. «Non ti aspettavamo, ma penso che riusciremo a infilarti da qualche parte.»
Una targhetta uscì dalla fessura. Cadiz la afferrò prima ancora che l’impiegato potesse impedirglielo. «Cinquantatré,» lesse. «Conosco la strada, Chancy.»
Chancy annuì bonariamente e poi sollevò lo sguardo. «Sonny e Mrs. Tanner,» esclamò con un largo sorriso. «La suite matrimoniale, presumo?»
«Vogliamo camere separate,» replicò Delanna in tono gelido.
«Ah, Ah,» rise Chancy. «Questa è buona. Stanze separate per lo sposo e la sposa. Avevo già sentito dire per radio che ha un bel caratterino. Bene, poggi anche lei il pollice sull’identificatore, Mrs. Tanner, così le farò un’altra targhetta.»
Delanna si girò verso Sonny. «Questo non è divertente.»
«È stata una giornata molto lunga per la signora,» commentò Sonny. «Vorrei che avesse una camera separata, in modo che possa godere di un po’ di riposo.»
«Be’, ovviamente sarei lieto di accontentarti,» rispose Chancy, apparentemente esterrefatto. «Ma la suite matrimoniale è l’unica stanza rimasta. E qualsiasi litigio voi sposini abbiate avuto…»
Delanna poggiò il pollice sull’identificatore e prese la targhetta che uscì dalla fessura, insieme a quella di Sonny, che si era raffreddata nel cestino. «Tu puoi dormire con le oche,» informò Sonny mentre lo piantava in asso.
«Ehi, aspetta un minuto,» iniziò a dire Sonny.
«O magari Cadiz ti ospiterà in camera sua,» aggiunse Delanna in tono allegro.
Cadiz, con le sue orecchie da gatta — non si era ancora diretta verso la sua stanza — si girò e sogghignò.
«Dormirò nel solaris,» mormorò Sonny.
A Delanna non importava dove avrebbe dormito Sonny o chiunque altro, fino a quando lei avrebbe potuto godersi un lungo bagno caldo e un letto tutto per sé. Attraversò il cortile, sorpresa di scoprire che era pieno di piante graziose, di un verde vivo, non di ceramica dai colori chiassosi. Trovò la porta con il numero che corrispondeva a quello inciso sulle targhette che aveva in mano, premette l’identificatore e là porta si aprì. La suite matrimoniale aveva un letto a forma di cuore con lenzuola bianche di raso e cuscini orlati di pizzo. Nella stanza non c’erano altri mobili. Le finestre che davano sul cortile erano coperte da pesanti tende che erano state premurosamente chiuse. Per la coppia in luna di miele, pensò Delanna con irritazione. Sbatté la porta, tirò Cleo fuori dalla tasca e affondò sul letto.
«Noi non abbiamo bisogno di nulla tranne che di un letto, vero, Cleo?» chiese allo scarabeo raggomitolato a palla. Cleo non sporse neppure il muso. Giocare con le oche doveva averla stancata e, ovviamente, si era sentita abbastanza al sicuro da addormentarsi nella tasca di Delanna, che pensò che le sarebbe piaciuto sentirsi altrettanto al sicuro. Ma non credeva che si sarebbe mai sentita al sicuro su Keramos, con le sue folli leggi e i suoi abitanti ancora più folli. Tirò al centro del letto uno dei cuscini orlati di pizzo e vi depose Cleo. Lo scarabeo allungò pigramente un’unghia, la immerse nei ricami di pizzo e la lasciò lì.
L’altoparlante sul letto emise un crepitio e Delanna poté udire la voce di Chancy che annunciava, «La cena è servita in sala da pranzo.» L’altoparlante venne spento e poi riacceso. «Venite a prenderla.»
Per un istante Delanna fissò con invidia lo scarabeo addormentato, ma sapeva che se si fosse stesa, sia pure per un minuto, non si sarebbe svegliata fino al mattino seguente e lo stomaco vuoto avrebbe brontolato per tutta la notte. Non aveva mangiato nulla da quando era scesa sulla navetta. Sospirando, andò nel bagno, che era dotato di una vasca, ma non della sauna, si spruzzò dell’acqua sul volto da un lavandino di ceramica a forma di cuore e si asciugò con un asciugamani ornato con cuoricini e angioletti. Si passò la spazzola tra i capelli; avrebbe dovuto lavarli per dare loro un bell’aspetto, ma non le importava. Non c’era nessuno per cui volesse apparire bella, tranne, forse, Jay Madog. Dopo tutto, almeno lui si era preoccupato abbastanza per lei da salvare Cleo, che era più di quanto si potesse dire di Sonny Tanner. Ma probabilmente Sonny non aveva nessun pensiero, dunque figuriamoci se poteva venirgli in mente di rubare Cleo dalla gabbia di Doc Lyle!
Delanna prese un po’ di schiuma modellante dalla sacca e la strofinò sui capelli, poi li spazzolò di nuovo. Adesso i suoi luminosi riccioli rossi le scendevano lungo le guance con un bell’effetto. Soddisfatta, Delanna si raddrizzò la camicia a fiori e l’abbottonò, lasciandola cadere sui pantaloni. Aveva quasi dimenticato che, sotto, portava ancora la gonna; sicuramente non sarebbe riuscita a capirlo osservando la forma dei pantaloni. Infilando una mano sotto la cintura, Delanna tirò la gonna fino a quando non fu arrotolata intorno alla vita, poi aprì la cucitura per toglierla. La infilò nella sacca e si avviò verso la porta, fermandosi accanto al letto per assicurarsi che Cleo stesse ancora dormendo, cosa che stava facendo. Delanna aprì la porta e uscì all’esterno.
Durante i pochi minuti che era stata nella stanza, il sole era tramontato, lasciando il cortile immerso nel buio tranne la luce emessa dalle foglie fosforescenti delle piante che delimitavano i viottoli. Delanna seguì le piante fino all’atrio della locanda, dove pensava di avere scorto una sala da pranzo. Aveva ragione. I tavoli erano coperti di grandi foglie verdi che evitavano che i piatti e le posate facessero rumore sui ripiani di ceramica e su ciascun tavolo c’era una composizione di fiori di un giallo vivace che avrebbero potuto essere i gemelli delle bocche di leone che crescevano nei prati dell’Abbazia. Su metà dei tavoli era già stata servita la cena. Delanna si chiese dove avrebbe dovuto sedersi. Notando Chancy sul lato opposto della sala da pranzo, impegnato a infilare un fiore tra i capelli di una donna, Delanna si avviò per chiederlo a lui.
«Le piacerebbe un accompagnatore?» sentì sussurrarle Jay Madog alle spalle.
Delanna si girò e scoprì che Jay aveva indossato una giacca bianca sui pantaloni color kaki, si era pettinato i capelli e profumava di acqua di colonia. «Non sapevo che avremmo dovuto vestirci da sera per la cena,» commentò Delanna, abbassando lo sguardo con dispiacere sui pantaloni informi.
«Scoprirai che su Keramos una signora deve soltanto infilarsi un fiore tra i capelli per essere vestita per l’occasione,» replicò Jay, e, con un gesto galante, fece apparire un mazzolino di fiori bianco crema attaccati a una forcina. «Questi ventagli-di-dama hanno bisogno di una chioma rossa che faccia spiccare il loro colore. Mi permette?»
«Ma certo,» rispose Delanna, sorridendo nonostante la stanchezza che provava. Le dita di Jay le sfiorarono la guancia quando le fissò i fiori tra i capelli e Delanna pensò che le sue mani indugiassero anche dopo che i fiori fossero stati sistemati. Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi di Jay. «Cosa farei senza di te?»
«Probabilmente staresti già mangiando seduta a tavola,» intervenne Cadiz dalla porta che dava sul cortile. Aveva il cappello floscio sotto il braccio ed era china in avanti nel tentativo di fissare un fiore dietro l’orecchio. Scoprendo che non ci sarebbe mai riuscita senza posare il cappello, lo mise sul tavolo appena oltre la porta. «Mi ero quasi dimenticata che a Chancy piace che le signore siano vestite eleganti per le sue cene,» affermò, riuscendo finalmente a fissare il fiore. «Ecco fatto. Così andrà bene.» Si avviò con la sua andatura flessuosa verso Jay e lo prese a braccetto. «Non vorrai mica farmi aspettare, o che sia Chancy a farmi sedere, vero?» chiese, trascinandoselo dietro.
Jay si fermò, facendo quasi cadere Cadiz, e offrì l’altro braccio a Delanna. «Due bellissime signorine,» commentò. «Quale privilegio!»
Delanna fece per prendere il suo braccio.
«Delanna, aspetta!» gridò qualcuno.
Lei si voltò e vide Sonny entrare di corsa nell’atrio, gesticolando animatamente verso di lei.
«Sonny Tanner, non puoi entrare qui dentro senza una giacca,» lo rimproverò Chancy, frapponendosi tra Sonny e la sala da pranzo. «Lo sai benissimo. E per giunta è il giorno del tuo matrimonio.»
«Devo parlare con Delanna,» rispose Sonny.
«Tua moglie ha già iniziato a mettere la roba dove non puoi raggiungerla?» gli chiese Chancy con un sogghigno.
«No, è…» Sonny sussurrò freneticamente qualcosa a Chancy, ma l’altro scosse la testa.
«Mi dispiace, nessuna eccezione, Sonny. No, corri a prenderla.»
Sonny diede l’impressione di voler discutere, poi si allontanò in direzione delle camere.
«Delanna?» chiese Jay, sfiorandole la mano e lasciando cadere quella di Cadiz per farlo. Delanna sollevò lo sguardo verso di lui, vide il suo sogghigno sbarazzino, e glielo restituì. «Il tavolo è da questa parte,» la informò con un gesto.
Jay fece sedere Delanna mentre Cadiz batteva nervosamente il piede, e poi fece sedere anche lei. Cadiz stese le gambe sulla quarta sedia. «La conserverò per Sonny,» dichiarò.
Delanna pensò che Jay sembrava dispiaciuto quasi quanto lei. Il pensiero di dover tenere una conversazione sia pure educata con Sonny Tanner sembrava un’impresa decisamente proibitiva, e Delanna era sicura di essere troppo stanca perfino per effettuare un tentativo.
Sonny tornò in tempo per la portata principale, indossando una giacca le cui maniche erano leggermente corte, con i capelli spettinati come prima e sul viso un’espressione ancora ansiosa. Aveva con sé il cappello di Cadiz e lo reggeva da entrambi i lati dell’orlo.
«Ti sei dimenticata il cappello,» commentò, ma prima che Cadiz potesse prenderlo, lo poggiò sotto il tavolo e tirò la sua sedia, facendo quasi cadere Cadiz, che vi teneva ancora i piedi poggiati.
«Sonny, ma non guardi mai prima di fare qualcosa, vero?» commentò Cadiz, riuscendo a stento a togliere i piedi dalla sedia prima che Sonny si sedesse.
Sonny non rispose. Passò il braccio davanti a Delanna per servirsi una cucchiaiata di verdure, quasi rovesciando il calice di ambrosia nel farlo. Poi passò di nuovo il braccio davanti a Delanna, per prendere la sua porzione del piatto principale, ancora sul vassoio. Lei si affrettò a spostare il calice di ambrosia in modo che Sonny non lo rovesciasse.
È davvero un imbecille, pensò. Non solo non sa camminare, ma non sa neppure come si mangia. Ne fu sicura quando Sonny iniziò a ingurgitare il cibo come se non mangiasse da un mese. Perfino Jay e Cadiz lo fissarono con stupore.
Delanna riprese a mangiare gli ultimi bocconi del suo piatto, tentando di non guardare Sonny con la coda dell’occhio. Quel tizio non sapeva neppure dove stessero di casa le buone maniere. Sua madre le aveva detto che lui e i suoi fratelli erano praticamente degli animali, e aveva avuto ragione. Almeno Jay Madog aveva dei modi educati. Gli rivolse un sorriso, ma lui non stava mangiando: stava fissando la porta.
«Cosa ci fa qui Doc Lyle?» esclamò Jay, mentre si puliva l’angolo della bocca con il tovagliolo.
Cadiz sollevò lo sguardo oltre l’orlo del calice di ambrosia. Sonny tenne bassa la testa, divorando ancora il suo cibo come un animale affamato. Delanna si irrigidì, la forchetta a metà strada tra il piatto e la bocca.
Il veterinario era sulla soglia: discuteva con Chancy su qualcosa e indicava il loro tavolo. Delanna lasciò cadere la forchetta, che urtò sonoramente contro il piatto, ma lei non se ne accorse neppure. Sapeva perché Doc Lyle era lì, a Last Chance, dove non avrebbe dovuto trovarsi. Aveva scoperto che Cleo era sparita e sapeva anche dove cercarla. Oh, non avrebbe dovuto mettere Cleo nella sacca. Stava informando Chancy che aveva un mandato di arresto per lei? O stava esigendo la chiave della sua stanza?
No. Apparentemente la causa dell’animata discussione con Chancy era il fatto che il veterinario non avesse la giacca, poiché la discussione terminò quando Chancy diede a Doc Lyle la propria. Le maniche erano troppo lunghe, ma apparentemente la giacca rispettava il codice di abbigliamento di Chancy, che annuì e lasciò entrare Doc.
Jay lanciò un’occhiata preoccupata a Sonny, che stava ancora mangiando. «C’è qualcosa che non va in quei tuoi permessi delle oche?» chiese a Sonny. «Doc Lyle è diretto verso di noi, e sembra decisamente infuriato. ’Sera, Doc,» terminò in tono dolce.
«Hai fatto tutta questa strada per partecipare ai festeggiamenti di nozze?» chiese Sonny, pulendo il piatto con un pezzo di pane. «È stato molto gentile da parte tua. Non è così, tesoro?» chiese a Delanna.
Doc Lyle lo ignorò.
«Chi di voi ha preso la scarabeo?»
«Quale scarabeo?» ribatté Sonny.
«L’unico esistente su Keramos,» ribatté Doc Lyle. «Il suo,» aggiunse, indicando Delanna.
«Hai perso lo scarabeo di Delanna?» gli chiese Jay. «Questa è una faccenda molto seria, Doc. La diffida di Maggie ti rendeva responsabile del suo benessere per i prossimi trenta giorni.» Emise uno tsk di disapprovazione.
«So che è stato uno di voi a prenderlo,» ribatté Doc Lyle, con le vene che sporgevano sulla fronte.
«Uno di noi!» replicò Cadiz in tono offeso. «La tua accusa mi offende. Non ruberei uno scarafaggio più di quanto ruberei un marito. A differenza di alcune persone.»
«Non tu, Cadiz. Lui,» replicò il veterinario, indicando Jay Madog. «O lui,» proseguì, spostando l’indice su Sonny. «Sono gli unici che potrebbero essere entrati nel recinto la notte scorsa. Uno di loro ha rotto il sigillo della gabbia isolante e lo ha preso.»
«Puoi provare le tue affermazioni?» chiese Sonny, sollevando finalmente lo sguardo dal piatto, che adesso era pulito quanto quelli di tutti gli altri seduti al tavolo. «Potrebbe essere stato uno dei minatori di China Dome. Sai che ruberebbero qualsiasi cosa su cui riescano a mettere le mani. O qualcuno di Grassedge.»
«Non ho prove, però so questo: avete preso quello scarabeo e ce l’avete qui con voi. Ho aggirato le regole per tenere quell’animale per ventiquattro ore. Avrei dovuto distruggerlo quando l’ho trovato nella sua sacca,» affermò Doc Lyle, indicando Delanna. «E questa volta, non appena l’avrò trovato, lo distruggerò. E dopo averlo fatto, accuserò chiunque di voi sia il colpevole di importazione illegale di animale pericoloso, e dunque di avere seriamente messo in pericolo la flora e la fauna indigene di Keramos.»
«Sappiamo entrambi che questo non è vero,» ribatté Sonny. «Lo scarabeo ha fatto tutte le vaccinazioni. Ed è uno scaraeoptera. Su Keramos non c’è nulla a cui potrebbe far venire neppure il raffreddore, e tu lo sai.»
«Le leggi sono leggi!» insistette Doc Lyle mentre il suo volto diventava paonazzo. Invece le nocche delle mani serrate a pugno erano bianche. «Mi fidavo di voi, mi fidavo di entrambi, l’ho fatto per anni, e guardate un po’ cosa avete avuto il coraggio di fare. Avete violato le leggi di Keramos, e pagherete per questo. Troverò quell’animale, anche se dovessi perquisire ogni camera di questo albergo e ogni solaris della vostra carovana. E quando lo troverò, accuserò tutti e due di tentato omicidio.» Si girò e uscì con andatura furiosa.
«E di avere violato le leggi,» mormorò Cadiz. «Il che, per Doc Lyle, è anche peggio. Uno di voi è in un mucchio di guai.»
«Se vuole cercare stanza per stanza, gli ci vorrà metà della notte,» commentò Jay.
«Fa’ qualcosa,» lo implorò Delanna, rivolgendogli un’occhiata ansiosa. «Per favore!»
«Sì, Jay, perché non vai a dare una mano a Doc Lyle?» intervenne Sonny. «Sai che se non trova quello che sta cercando, ti costringerà ad aprire ogni bagaglio della carovana.»
«Maledizione,» borbottò Jay. «Rimarremo bloccati qui per almeno tre giorni.» Si alzò. «A meno che, ovviamente, non trovi quello che sta cercando. Lo farà?»
«Spero di sì,» rispose Sonny. «Non vorrai tenere sulla corda il vecchio Doc troppo a lungo. Manderà all’aria la tabella di marcia della carovana.»
«Devo andare a prendere Cleo,» affermò Delanna, iniziando ad alzarsi in preda al panico. La mano di Sonny si posò sulla sua coscia e la costrinse a sedersi di nuovo. «Jay, aiutami!» esclamò allora, quasi fuori di sé per l’agitazione. «Sonny manderà all’aria tutto quello che abbiamo fatto, pur di tornare al suo prezioso Milleflores.» Tentò di alzarsi di scatto dalla sedia, ma Sonny la costrinse di nuovo a rimanere seduta.
«Siediti,» le ordinò, «e abbassa la voce. Certo che Doc troverà qualcosa,» spiegò a Jay, «a meno che non venga distratto da tutto questo baccano. Nella cucina di Chancy ci sono alcune scaglie di scarabeo. Accanto allo smaltitore dei rifiuti.»
«Hai ucciso Cleo!» esclamò Delanna, terrorizzata.
«No. È stato il cuoco di Chancy,» spiegò Sonny a Jay. «L’ha trovata in un mucchio di mangime per le galline, l’ha colpita con un apri-palle di cannone e poi l’ha buttata nell’inceneritore tanto per non correre rischi. Di Cleo non è rimasto nulla, tranne poche scaglie.» Si girò di nuovo verso Delanna, che aveva premuto una mano sulla bocca per l’orrore. «E per giunta questo scherzetto mi è costato tutti i crediti che avevo, più altri venti. Ho detto al cuoco di Chancy che lo avresti pagato quando la carovana sarebbe partita. Immaginavo che saresti stato disposto a spendere una simile somma, pur di non avere Doc Lyle alle nostre calcagna fino a Milleflores.»
«Sarei stato disposto a spendere anche di più,» commentò Jay, rivolgendo un’occhiata verso la cucina. «Sei sicuro che il cuoco di Chancy abbia capito bene la storia che deve raccontare?»
Sonny annuì.
«Storia?» Stupefatta, Delanna fissò i due uomini.
«E sei sicuro che Doc Lyle non troverà per caso qualcos’altro prima di arrivare in cucina?» chiese Cadiz.
«Assolutamente,» rispose Sonny. «Però tenetelo sotto il cappello.»
«Il mio cappello,» affermò Cadiz, abbassando lo sguardo verso il cappello. «Sonny Tanner, non mi starai dicendo che hai messo quella cosa orribile nel mio cappello?»
«Lascialo lì,» le ordinò Sonny. «Sei peggio di Delanna e, già che ci siamo, perché non guardi anche tu il cappello, Jay, o magari preferisci fare un annuncio all’intera sala da pranzo?» commentò Sonny, appoggiandosi allo schienale della sedia con aria disgustata.
«Cleo è nel cappello?» sussurrò Delanna, facendo uno sforzo per non guardarlo. «Non è morta?»
«Cleo è morta,» affermò Sonny. «Il cuoco di Chancy le ha dato una bella botta in testa, e tu farai meglio a ricordarlo, oppure Cleo morirà davvero. Doc Lyle diceva sul serio: se la trova, la incenerirà. Dunque, bevi un sorso di ambrosia e da’ l’impressione di starti divertendo.» Sollevò distrattamente il suo calice e bevve un sorso.
Cadiz si sporse sul tavolo e gli sussurrò, «Ma come ti è saltato in mente di portare qui quello scarafaggio?»
«Be’, non potevo certo lasciarlo dove l’aveva lasciato Delanna, proprio al centro del letto.»
«Non è questo che volevo dire e tu lo sai,» sibilò Cadiz.
Sonny la ignorò. «Non è il posto migliore in cui mettere un animale fuggiasco, Delanna. Da ora in poi dovrai tenerlo nascosto. E non preoccuparti, non le ho fatto del male. Ho solo staccato qualche scaglia da lasciare intorno allo smaltitore in modo che Doc Lyle creda alla storia del cuoco.»
«Come facevi a sapere che era nella mia stanza?» gli chiese Delanna. «Come hai fatto a entrare?»
«E in che altro posto avresti potuto metterla? E poi è anche la mia stanza.»
«Ma come mai sapevi che ce l’avevo io?»
«E chi altro avrebbe potuto averla? Hai detto di avere trovato il grano, ed era proprio lì che l’ho messa. Pensavo che non sarei mai riuscito a infilare tutte quelle zampe nel sacco,» aggiunse, scuotendo la testa.
«Sei stato tu? Ma io pensavo…» Delanna guardò Jay Madog, che sorrise con aria confusa. «Sei stato tu a rubarla dallo spazioporto, Sonny?» chiese Delanna.
«Nessuno l’ha rubata,» la corresse Sonny. «Noi non sappiamo neppure di cosa stia parlando Doc Lyle. Vero?» aggiunse, guardando Cadiz e Jay.
«No,» confermò Jay. «Forse dovrei andare ad aiutare Doc Lyle.» Si allontanò dal tavolo, spingendo la sedia il più possibile lontano dal cappello. «Forse posso guidarlo direttamente alla cucina di Chancy prima che inizi ad aprire i bagagli della carovana.» Superò in fretta i tavoli diretto verso l’atrio.
«Sarà meglio che vada ad aiutarlo,» affermò Cadiz. «Jay Madog è trasparente quanto la ragnatela di un insetto-violinista bagnata di rugiada. Quanto a voi due, tenete pure il cappello. Consideratelo un mio regalo di nozze.»
Delanna osservò Cadiz cercare la strada tra i tavoli mentre il suo posteriore ben formato, profilato contro le luci dell’atrio, attraeva numerosi altri sguardi oltre quello di Delanna. Solo Sonny non stava guardando: beveva ancora la sua ambrosia e fissava Delanna.
«Non guardare adesso, ma il tuo cappello si sta muovendo,» le mormorò. «E per favore, non tentare di prenderlo.»
Con aria mite, Delanna obbedì. Allungò le gambe e con i talloni bloccò entrambi gli orli del cappello. «Va’ a dormire, Cleo,» sussurrò, sperando ardentemente che lo scarabeo smettesse almeno di muoversi. Sentì Cleo premere contro il cappello prima di ritrarre gli arti. Sonny stava ancora fissando Delanna; adesso aveva entrambi i gomiti poggiati sul tavolo, il piatto spinto avanti a sé, la dita intrecciate intorno al gambo del suo calice di ambrosia. Delanna si morse il labbro. Anche se lei aveva creduto che fosse stato Jay Madog a salvare Cleo, in realtà era stato Sonny a farlo. E l’aveva salvata una seconda volta, ma lei non l’aveva neppure ringraziato. «Grazie,» disse. «Non so cosa farei senza Cleo.»
«Il tuo sorriso è un ringraziamento sufficiente,» replicò Sonny.
«Stavo sorridendo?»
Sonny annuì. «Prima. Accanto al treno. Quando l’hai trovata la prima volta. Hai sorriso.»
«All’uomo sbagliato,» gli ricordò Delanna.
Sonny scrollò le spalle. «Io l’ho visto. Questo è sufficiente.»
Ha degli occhi molto belli, pensò Delanna, di un colore grigio chiaro. Allungò una mano verso il calice di ambrosia, poi ci ripensò. Aveva lo stesso aspetto della bevanda che le aveva bruciato la gola nel locale di Maggie il giorno precedente. Era già il giorno precedente? Sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia, osservando Sonny che beveva la sua ambrosia.
«Voi sposini gradite il dessert?» chiese Chancy.
Delanna sussultò. Nessuno dei due lo aveva sentito avvicinarsi.
Chancy non attese una risposta prima di mettere davanti a loro due piccoli monticelli di crema rosa. «Stavamo per prepararvi una torta nuziale,» spiegò, «ma abbiamo avuto un piccolo incidente in cucina.»
«Sul serio?» chiese Sonny.
Delanna prese il cucchiaino, stando attenta a tenere basso lo sguardo, e mangiò un boccone di crema.
«Il cuoco ha ucciso una specie di scarafaggio e Doc Lyle si è fatto venire una crisi d’isterica. Sai come la pensa sugli animali.»
«Sì,» confermò Sonny. «E ancora lì fuori?»
«Sì, sta sbraitando contro il mio cuoco,» commentò Chancy. «Voleva smontare l’inceneritore, ma io gli ho detto che se non era in grado di rimontarlo, gliene avrei fatto pagare un altro importato da Carthage. Com’è il suo dessert, Mrs. Tanner?»
«Ottimo,» rispose Delanna. Non aveva neppure fatto caso al sapore della cucchiaiata che aveva assaggiato.
«Dopo che Doc Lyle sarà andato via,» proseguì Chancy, «vi prepareremo una torta da portare con voi.»
«Grazie,» rispose Delanna.
«E tu, prenditi cura di tua moglie, Sonny,» disse Chancy e fece cadere un pallina di carta in grembo a Sonny. «Da parte di Jay,» sussurrò in tono da cospiratore, poi si allontanò per andare a servire i dessert al tavolo accanto.
«Cosa dice il biglietto?» chiese Delanna, piluccando il dessert. Aveva un sapore forte ma dolce. In effetti, aveva davvero un buon sapore.
«Ci avverte di rimanere qui fino a quando Doc Lyle non sarà andato via.»
«Non l’hai ancora letto,» obiettò Delanna.
Sonny passò la pallina di carta a Delanna. Lei la apri. «Hai ragione. Dice di rimanere qui fino a quando Doc Lyle non sarà andato via.»
«Davvero?»
«Più o meno. In realtà, dice, ‘Lui morde. State attenti.’ Penso che non voglia che Doc Lyle giri intorno al cappello di Cadiz. Come facevi a sapere cosa avrebbe detto il biglietto?»
Sonny scrollò le spalle. «Era la cosa più sensata. Non avevo bisogno di leggerlo. Jay dimostra di avere un po’ di buon senso… ogni tanto.» Allungò il braccio oltre il tavolo e poggiò la mano su quella di Delanna. «Non sollevare lo sguardo adesso, ma Doc Lyle è sulla porta.»
Cleo premette contro il cappello.
«Hai la mano fredda,» commentò Sonny, allargando le dita su quelle di Delanna.
«Ho paura: Cleo vuole uscire,» sussurrò lei.
«L’hai bloccata?» le chiese Sonny.
Delanna annuì.
Sonny avvicinò la sedia e passò il braccio intorno a Delanna. «Io…» Lei fece per protestare, poi comprese che Sonny aveva poggiato il piede sull’orlo del cappello.
«Dammi l’altra mano,» la invitò lui. «Non sappiamo nulla su Cleo. Ci stiamo semplicemente godendo la nostra luna di miele.»
«Ma non è così,» ribatté Delanna, però Sonny si era già impadronito di entrambe le sue mani.
«Questa scenetta è solo a beneficio di Doc Lyle,» la tranquillizzò Sonny. «Non vuoi che venga a chiederci perché abbiamo i piedi sul cappello di Cadiz, vero?»
Il cappello sussultò improvvisamente tra le caviglie di Delanna, che sentì una zampa sfiorarle l’alluce. «No,» rispose e lasciò che Sonny sollevasse la mano e le carezzasse la guancia.
«Non se ne è ancora andato?» gli sussurrò.
Sonny sollevò lo sguardo verso la porta. «Uh-oh,» commentò.
«Uh-oh cosa?»
«Non guardare,» la avvertì Sonny. «Guarda me.»
Delanna lo guardò dritto negli occhi. Erano più verdi che grigi, e molto luminosi.
Dopo un lungo istante, Sonny annunciò, «Penso che l’abbiamo convinto,» poi allontanò le mani, tentando di far sì che Delanna continuasse a distogliere lo sguardo dalla porta, ma lei vi rivolse un’occhiata. «Ma lì non c’è nessuno!» esclamò in tono accusatorio.
Sonny le prese di nuovo la mano, poi si rilassò e prese il calice pieno davanti a Delanna. «Hai intenzione di bere questa ambrosia?»
«Non penso che Doc Lyle sia mai stato lì,» commentò Delanna, chiedendosi perché avesse creduto a Sonny.
«Infatti non c’era,» ammise Sonny, bevendo l’ambrosia. «Devo pur riscaldarmi in qualche modo. Non posso usare le batterie del solaris per produrre calore, oppure domani non ci sarà energia sufficiente per il viaggio.»
«Ti riferisci al fatto che stai bevendo la mia ambrosia o all’avermi ingannato per tenermi la mano?»
Non la stava neppure ascoltando. Osservava Chancy che, accanto alla porta, stava parlando con tre uomini. «Mettiti il cappello,» le ordinò Sonny. «Ti accompagnerò alla tua stanza.»
«Cosa c’è?» chiese Delanna, di nuovo ansiosa. Chancy e gli uomini stavano ancora confabulando con aria da cospiratori.
«Tu bada solo a tenere il cappello in testa,» la avvertì Sonny. Allungò una mano sotto il tavolo, raccolse il cappello e lo mise sulla testa di Delanna con lo stesso gesto abile di quando l’aveva infilato sotto il tavolo. Le unghie di Cleo si aggrapparono ai capelli della ragazza.
Sonny si alzò e tirò via la sedia di Delanna, che si alzò, tentando di resistere all’impulso di stringere il cappello con entrambe le mani. Infilò una mano in tasca. Sonny le prese l’altra.
«Questo è assolutamente necessario?» gli sussurrò lei in tono tagliente.
«È sempre a beneficio di Doc.»
Chancy e i tre uomini smisero di parlare non appena lei e Sonny si avvicinarono e Chancy annunciò, «Abbiamo risolto il piccolo problema in cucina, Sonny. Doc Lyle è andato via molto infuriato, non prima di avere multato il mio cuoco di venti crediti per non avere consegnato alle autorità un animale importato di contrabbando. E così adesso tu e tua moglie potete proseguire nella vostra luna di miele.»
«Grazie, Chancy,» rispose Sonny, poi trascinò Delanna lungo il viottolo.
I tre uomini e Chancy iniziarono a parlare di nuovo l’istante in cui Sonny e Delanna si furono avviati. Il cuore di Delanna iniziò a battere forte, ma nessuno li seguì attraverso il cortile verde immerso nell’ombra.
Delanna fece per prendere la chiave, ma Sonny stava già aprendo la porta. «Dove hai preso la chiave?» gli chiese lei.
«Me l’ha data Chancy» rispose Sonny, precedendola nella stanza. «Ha detto che odia vedere dei novelli sposi che litigano.»
«Noi non siamo sposi novelli,» ribatté Delanna. Si erano fermati appena oltre la soglia. «Voglio ringraziarti per avere salvato…»
Sonny avvicinò un dito alle labbra.
«Per avermi riportato il mio cappello. Sai quanto significhi per me.»
Lui sogghignò. «Certo, ti sta benissimo.»
Delanna aprì la porta. «Bene, buona notte,» gli augurò.
«Devo parlarti di alcune cose,» annunciò Sonny, chiudendo la porta.
«Quali cose?» Delanna si tolse il cappello di Cadiz e vi infilò dentro una mano per prendere Cleo. Lo scarabeo strinse l’orecchio di Delanna con le zampe e si sistemò lì. «E non dirmi che devi rimanere qui a beneficio di Doc Lyle, perché è andato via.»
«Non si tratta di Lyle,» ribatté Sonny, liberando i capelli di Delanna dalla presa di due delle zampe di Cleo. «Vedi, su Keramos, quando ci si sposa…» Staccò Cleo dall’orecchio di Delanna.
«Noi non siamo sposati!» ribatté in tono enfatico Delanna, tentando di liberare un ricciolo di capelli da una delle giunture di Cleo. «E non voglio sapere nulla dei vostri costumi matrimoniali locali. In effetti, non voglio sentire una parola di più su questo pianeta dimenticato da Dio. Ho già sentito e visto troppo.»
Cleo improvvisamente ritrasse tutti gli arti e si raggomitolò. Sonny la tolse dalla testa di Delanna e gliela passò.
«Qualsiasi altra cosa tu voglia dirmi,» proseguì Delanna, «tipo che siamo seduti su una linea di faglia o che le scimmie sacrificano le spose novelle, potrà aspettare fino a domani mattina. Io me ne vado a letto.» Poggiò Cleo sul letto. Lo scarabeo zampettò fino al centro del materasso e iniziò a farsi il nido tra i cuscini di pizzo.
«Be’, in effetti, andare a letto è proprio quello di cui volevo parlarti. Vedi, su Keramos, quando le persone si sposano…»
«Noi non siamo sposati,» ripeté Delanna, «e se hai in mente di reclamare i tuoi diritti coniugali…»
«Shh,» disse Sonny, inclinando la testa di lato. Si avvicinò alla finestra e scostò leggermente le tende.
«E non tentare di usare di nuovo con me quella solfa di «Doc Lyle sta tornando». Ci hai già provato nella sala da…»
«Shh.» Sonny si allontanò dalla finestra e andò dall’altro lato del letto. Scostò le tende della finestra che si apriva su quel lato e fece passare la mano lungo il davanzale.
«È per questo che hai salvato Cleo?» gli chiese Delanna. «Pensavi che ti sarei stata tanto grata da caderti tra le braccia?»
Sonny smise di fare qualsiasi cosa stesse facendo alla finestra. «Io non pensavo nulla,» ribatté. «Stavo pensando a te. Io…»
«Ci scommetto. Stavi pensando a come entrare nella mia stanza con qualche pretesto. ‘Shh. C’è qualcuno alla finestra. Forse sarà meglio che rimanga per la notte.’ Be’, non funzionerà. Devi essere un vero pazzo per avere pensato che avrebbe funzionato.»
Sonny aprì la porta. «Sarò nel solaris, se deciderai di avere bisogno di me.»
«Non avrò bisogno di te!» gli gridò dietro Delanna, poi sbatté la porta.
«Qual è il problema, Sonny?» chiese una voce maschile all’esterno della finestra. Sembrava quella di Chancy. «Voi due avete avuto un altro litigio?»
Delanna scostò cautamente la tenda e guardò fuori. Chancy e i tre uomini con cui lo aveva visto parlare erano al centro del cortile. Delanna chiuse a chiave la porta e poi si guardò intorno, cercando qualcosa con cui sbarrarla.
Cleo si era distesa sui cuscini come un ragno che tesseva il pizzo. Delanna la sollevò con gentilezza, prese tutti i cuscini, tranne uno, e riempì lo spazio tra la porta e il letto con i cuscini e gli asciugamani che riuscì a trovare. Poi aprì la sacca, tirò fuori la sua camicia da notte e incastrò la sacca tra i cuscini e il letto. Cleo era strisciata sul cuscino di Delanna, che la scostò e si mise a letto.
Qualcuno bussò alla porta. «Vattene,» gridò Delanna e poi, improvvisamente, pensò, E se lì fuori c’è davvero Doc Lyle? Il suo cuore iniziò a martellarle in petto. «Chi è?» chiese.
«Sono io, Mrs. Tanner. Chancy. Andiamo, lasci rientrare Sonny. Si è pentito, qualsiasi cosa abbia fatto.»
«O non abbia fatto!» esclamò un’altra voce. Ci furono più risate di quante potessero produrne due uomini. Chi altro c’era lì fuori? Delanna si mise a sedere sul letto, le coperte di pizzo tirate fino al collo, guardando con aria dubbiosa la porta e chiedendosi se avrebbe dovuto tentare di spostare il letto.
«Forse Mrs. Tanner si rabbonirà se le cantiamo un paio di canzonane,» disse una terza voce quando le risate si furono calmate.
«Una buona idea,» approvò Chancy. «Mrs. Tanner, non so se lo sa o no, essendo nuova del nostro bel pianeta, ma, su Keramos, quando due persone si sposano, abbiamo l’abitudine di cantare per farle addormentare. Ora, sappiamo che lei e il suo sposo novello avete avuto una piccola discussione, ma dopo che ci avrà sentito cantare, sappiamo che farete pace. Un, due…»
Dall’esterno della finestra di Delanna provenne una terribile cacofonia. Pensò di riconoscere un tamburo a braccialetto e un trifono. O forse le oche erano fuggite e qualcuno le stava macellando. Cleo tentò di strisciare sotto le coperte. Delanna si tappò le orecchie con le mani. Almeno non può diventare peggio di così, pensò. Il trifono emetteva dei trilli, seguendo quella che Delanna immaginò fosse la melodia, ma era impossibile. Sembrava quasi un’antica melodia natalizia.
Poi iniziarono a cantare e non vi fu alcun dubbio: poteva diventare peggio.
Udite, lo sposo e la sposa uniti si son,
oh che diletto!
E, oh, meraviglia, adesso son andati a letto!
«Andiamo, Mrs. Tanner,» gridò Chancy. «Questo non la spinge a perdonarlo?»
Delanna infilò la testa sotto le coperte. Non servì a nulla.
«Tardi il talamo occupano, è pazzesco!
mentre cantiamo un altro verso.
Udite, il loro matrimonio è andato in rovina,
orsù, cantiamo un’altra quartina!»
CAPITOLO SESTO
Delanna riuscì a godere di esattamente tre ore di sonno. Sapeva che si trattava solo di tre ore poiché, perfino con la testa infilata sotto ogni pesante cuscino di pizzo nella stanza, riuscì ancora a sentire un’allegra versione di «Tre del mattino/Non ci farete entrare?» sulla melodia di «Jingle Bells» e poi Chancy batté sulla porta, gridando, «Sono le sei. È ora di colazione.»
Era troppo stanca perfino per pensare a mangiare, ma aveva paura che i cantori della notte precedente potessero arrivare a stanarla con «O venite, novelli sposi» e testi su uova e pancetta. Si alzò, indossò i pantaloni e la camicia a fiori datagli da Maggie e si pettinò i capelli. Aveva l’impressione di avere dormito per dieci minuti.
Durante la notte Cleo era strisciata sotto il letto e si era raggomitolata in una palla delle dimensioni di un pugno nell’angolo meno raggiungibile. Delanna strisciò sotto il letto. «Povera piccola, ti hanno spaventato a morte con quelle canzoni tremende, vero? Povero tesorino mio.»
Fece per afferrare lo scarabeo. Cleo si raggomitolò ancora più fuori portata. «Lo so, lo so, tesoro. Non avere paura. Quei cattivoni sono andati via.» Riuscì a impadronirsi di una zampa piegata. «Devi fare un altro viaggio nel cappello.» Delanna iniziò ad arretrare, stringendo la giuntura in modo che Cleo non potesse estendere una zampa per graffiarla. «Che te ne pare? Un bel viaggetto nel cappello di Cadiz. Sta molto meglio su di te che su di lei.» Delanna, sempre stringendo la zampa di Cleo, uscì con una certa difficoltà da sotto il letto.
Sonny era lì e la guardava.
Delanna si rialzò immediatamente, stringendo lo scarabeo e ricevendo un graffio come ricompensa dei suoi sforzi. «Cosa ci fai qui?» gli domandò.
«Sono venuto a prendere il tuo scarabeo. Devo metterlo con le oche.» Tese un sacco di grano come quello da cui Cleo era fuggita il giorno precedente. «Tu rimani qui. Tornerò e poi ti accompagnerò a fare colazione.»
«Tu non mi porterai da nessuna parte,» replicò Delanna in tono rabbioso. «So prendermi cura di me stessa.»
«Non su Keramos. Non sai quanto determinati possano essere i ragazzi.»
Lei arretrò in modo che Sonny non potesse impadronirsi di Cleo. «Immagino che questo faccia parte del ‘trattamento completo,’ insieme all’avere un branco di ubriachi che fanno baccano all’esterno per tutta la notte.»
«Temo di sì,» replicò Sonny. Rivolse a Cleo un suono chiocciante, come se fosse una delle sue oche. «Vieni nel sacco.» Cleo iniziò a estendere le zampe. «So che viaggiare in un sacco non è elegante, ma, non appena avremo messo un po’ di miglia tra noi e Doc Lyle, potrai uscire.» Lo scarabeo estese una zampa, sfoderò le unghie e afferrò l’apertura del sacco.
«Dai, entra,» la esortò Sonny, ancora chiocciando. «Va’ nel sacco. È meglio che sotto il letto.»
Delanna lo osservò, stupita. Da quando lo aveva conosciuto, non aveva pronunciato tante parole come in quel momento. Cleo entrò nel sacco aperto e prontamente si raggomitolò di nuovo a palla.
Sonny chiuse il sacco con un tratto di corda dalla sua tasca. «Torno subito,» annunciò. «Oppure vieni con me a caricare le oche, il che sarebbe ancora meglio.»
«Te l’ho detto,» replicò Delanna, «non ho intenzione di andare da nessuna parte con te.»
«Fa’ come credi,» ribatté Sonny, poi si mise il sacco in spalla. «Sono ancora lì fuori, sai. Chancy e i suoi cantori mi hanno visto entrare qui. Se adesso esco da solo, non rispondo di quello che potrebbero combinare.»
«Vengo con te,» cambiò idea Delanna. Infilò le scarpe con i tacchi alti, allacciò i cinturini delle caviglie e si affrettò a seguirlo.
Sonny l’aveva attesa appena oltre la soglia. Quando uscì, la prese per mano.
«Ah, ah!» esclamò una profonda voce di basso, e un giovanotto che portava un tamburo a braccialetto uscì da dietro il muretto di mattoni. Due altri uomini, che reggevano strumenti di fabbricazione casalinga, lo seguirono. «Voi due avete finalmente fatto pace?»
«Sì,» confermò Sonny. Il giovane con la voce di basso iniziò ad accordare il tamburo. «Andiamo, tesoro,» disse Sonny, stringendo la mano di Delanna e conducendola fuori dal cortile quasi di corsa.
Le lasciò andare la mano non appena furono usciti dal cortile e si passò il sacco di grano sull’altra spalla. «Avevo paura che ricominciassero,» spiegò in tono di scusa.
«Anch’io,» ammise Delanna. «Non penso che sarei riuscita a sopportare un altro ritornello di «Noi di Keramos tre gentiluomini siam.»
Sonny sogghignò e si avviò lungo il sentiero fiancheggiato da arbusti. I massicci frutti rossi sembravano ancora più pesanti del giorno precedente. Proprio come mi sento io, pensò Delanna. Arrivarono alla banchina dove il treno si era fermato il giorno prima. Su di essa, le ruote anteriori poggiate sul orlo, in modo che i loro pannelli fossero angolati rispetto al sole, c’erano dozzine di solaris. Dietro c’erano numerosi rimorchi coperti di teloni; alcuni erano già agganciati ai solaris, altri venivano ancora caricati e sistemati al loro posto.
Sonny fece strada attraverso quel labirinto verso la gabbia delle oche. Non appena lui e Delanna apparvero alla loro vista, le oche iniziarono a starnazzare con eccitazione.
«Fai questo effetto su tutti?» chiese Cadiz. Stava arrivando dalla direzione della piattaforma, portando un sacco a pelo. «Non ho mai sentito un baccano come quello della notte scorsa. Sono dovuta andare a dormire con gli animali per riuscire a dormire almeno un po’.» Guardò le oche, che si erano affollate nell’angolo della gabbia più vicino a Delanna e stavano sporgendo i colli oltre le sbarre. «In effetti, le oche cantano molto meglio degli amici di Chancy.» Cadiz rivolse un’occhiata significativa al sacco di Sonny. «Stiamo nascondendo le prove, eh?»
«Sì,» rispose Sonny con aria imperturbabile. Si tolse il sacco di spalla e lo poggiò nell’angolo più lontano della gabbia. Delanna si aspettava che Cleo iniziasse immediatamente a progettare la propria fuga, ma dall’interno del sacco non provenne alcun movimento. Povera Cleo, pensò Delanna. Probabilmente è profondamente addormentata su quegli scomodi chicchi di grano.
Delanna poteva capirla: lei stessa sognava di addormentarsi sul tavolo, davanti alla colazione, mentre aspettava che Sonny e Cadiz finissero di agganciare i rimorchi, ma quando finalmente arrivarono in sala da pranzo, non c’era neppure un tavolo. Accanto alla porta, Chancy era impegnato a versare quello che sembrava caffè e a distribuire sacchetti di carta.
«Sapevo che voi due avreste fatto pace, se avessimo continuato a cantare,» commentò, dando a Delanna un panino alle verdure. «Non c’è nulla di meglio di una bella canzone per fare sentire romantica una persona. Non è così, Sonny?»
Sonny bevve un sorso di caffè,» poggiò la tazza e si infilò il panino in tasca. «Devo andare a controllare il mìo carico,» annunciò, poi andò via.
Chancy si accigliò. «Voi due non avrete litigato di nuovo, vero?» chiese a Delanna.
«No,» rispose lei, guardandosi nervosamente intorno, in cerca di cantori in agguato. Bevve un sorso del liquido marrone, sperando che riuscisse a svegliarla. Senza dubbio non era caffè, ma era troppo dolce per essere ambrosia: aveva il sapore di un succo di pera caldo.
«Di solito io e i ragazzi cantiamo un paio di canzoni alle coppie in luna di miele, sa è come cantare loro la ninna nanna per farli addormentare, ma quando abbiamo visto suo marito che usciva per andare a dormire nel solaris, ho detto, ‘Non possiamo permetterlo. Ragazzi, dobbiamo continuare a cantare fino a quando non lo farà entrare di nuovo’.»
Meraviglioso: se Delanna avesse permesso a Sonny di rimanere qualche minuto, i cantori se ne sarebbero andati, lasciandola in pace. «Noi siamo sposati, e su Keramos esistono certe tradizioni,» le aveva detto Sonny. Improvvisamente Delanna comprese che Sonny aveva tentato di avvertirla sui cantori e che non aveva avuto alcuna intenzione di reclamare i propri diritti coniugali. Be’, se aveva tentato di dirglielo, perché non glielo aveva detto e basta, invece di vagare per la stanza armeggiando con le finestre? Ma forse aveva intenzione di uscire dalla finestra in modo che i ragazzi di Chancy non si accorgessero che era andato via, pensò dispiaciuta, e dovette ammettere di non avergli concesso molte possibilità di dirle alcunché. Be’, però lui avrebbe potuto metterci più impegno.
«Quale canzone le è piaciuta di più?» si stava informando Chancy.
Erano state tutte egualmente tremende. «È difficile dirlo,» mormorò Delanna, sorseggiando il succo di pera.
«La mia preferita è ‘Buon Re Venceslao,’» le rivelò Chancy ed eruppe in uno straziante acuto tenorile. «Venite ad ascoltare, o buona gente / quest’allegra canzone / Oggi si son sposati / Io sono andato al loro…»
«La carovana sta partendo senza di te,» intervenne Cadiz, entrando frettolosamente con il cappello sformato e la sacca di Delanna, che non era mai stata così contenta di vedere qualcuno in tutta la sua vita.
«Arrivo,» rispose, poggiò la tazza e il sacchetto che non aveva toccato e prese la sacca dalle mani di Cadiz.
Cadiz tentò di darle anche il cappello.
«È il tuo cappello,» protestò Delanna.
«Adesso non più. Non mi piacciono molto gli scarafaggi.»
Non era certo il momento di mettersi a discutere. Delanna prese il cappello e si avviò verso il solaris.
«Sulla coppia felice / quando apparvero i cantori…»
La voce di Chancy svanì pietosamente in lontananza quando svoltarono l’angolo. «È un vero talento, ecco cos’è,» commentò Cadiz. «Non vedo l’ora di vedere l’effetto che farai sulle scimmie incendiarie. Per quanto se ne sa, sono mute, però non ti hanno ancora visto.»
«Cleo non è uno scarafaggio,» ribatté Delanna e tentò di restituire il cappello a Cadiz.
«Mi sembra uno scarafaggio. Probabilmente ha deposto delle uova lungo tutto l’interno del cappello che si trasformeranno in larve che mangiano il cervello.»
«Se ci fossero delle uova di scarabeo, te ne saresti accorta,» spiegò Delanna, provando il desiderio di sbattere il cappello sul volto compiaciuto di Cadiz. «Somigliano a perle giganti. Ma Cleo è stata sterilizzata.»
«Be’, tu immagina un modo per sterilizzare il mio cappello, e io me lo riprendo. Fino ad allora, ne prenderò un altro dal mio zaino,» ribatté Cadiz. Si fermò accanto a un solaris agganciato a quattro grandi rimorchi coperti e alla gabbia scoperta delle oche. «Questo è il veicolo su cui viaggeremo.»
«Noi? Pensavo che ti saresti fatta dare un passaggio da qualcuno.»
«Ed è così. Da Sonny. Avrei dovuto viaggiare con Jay, ma lui non aveva neppure un po’ di spazio. A proposito di Jay, eccolo lì.» Agitò la mano. «Jay!»
Madog era accovacciato accanto a un rimorchio coperto ed era impegnato a controllarne la parte inferiore mentre parlava con un uomo basso e tracagnotto con una camicia a fiori rossa e un volto ancor più rosso. Jay sollevò lo sguardo, disse qualcosa all’uomo e si affrettò a raggiungere Delanna. «Mrs. Tanner, questa mattina è più graziosa che mai,» si complimentò.
Cadiz emise un grugnito ironico.
«Ho sentito che stanotte i cantori le hanno dato filo da torcere,» proseguì Jay. «Sono dovuto andare da Joriko per prendere alcune provviste, oppure avrei fatto in modo che la lasciassero in pace. Sta bene? C’è qualcosa che posso fare per lei?»
«A me puoi procurare un altro rimorchio,» intervenne l’uomo grassoccio. Si avvicinò e il suo volto sembrò ancora più rosso. «Il fondo si romperà al primo fosso che prenderemo. E le mie piantine finiranno ai quattro venti.»
«Oggi non prenderemo nessun fosso,» gli assicurò Jay. «Sono appena arrivati i dati delle guide. Avremo cielo azzurro e terreno solido fino a Whitewater. Questa sera rafforzeremo il fondo del rimorchio.» Si girò di nuovo verso Delanna. «Faremo un viaggio davvero molto facile. Potrà dormire per tutta la strada fino a Milleflores.» Rivolse un’occhiata al piccolo solaris. «Non appena arriveremo alle Pianure di Sale, potrà viaggiare con me.»
«Pensavo che non avessi spazio,» intervenne Cadiz.
«Non ne ha,» confermò l’uomo, il cui volto adesso era addirittura violaceo, «perché se quel fondo si rompe, sarà lui a portare le mie piantine.»
«Se ha bisogno di qualcosa, Delanna, mi chiami,» affermò Jay, poi andò a controllare gli altri rimorchi.
«Apri il tettuccio,» ordinò Delanna al solaris. Il tettuccio rimase dov’era.
«Sul solaris dei Tanner non esiste più il programma vocale,» la informò Cadiz, sollevando di scatto il tettuccio. «Wilkes non riesce più a farlo funzionare.»
«Ma almeno il pilota automatico funziona?» chiese Delanna, temendo che non sarebbero riusciti a rimanere agganciati alla carovana.
«Non ne abbiamo,» rispose Cadiz in tono disinvolto. «Non abbiamo strade, cioè. Il pilota automatico probabilmente funziona. E probabilmente non è mai stato attivato. Mmm. Mi chiedo se…» Si sporse nell’abitacolo e premette un pulsante sul pannello.
«Le guide dell’autostrada non rispondono,» rispose il programma di dialogo. «Siete pregati di riprendere il controllo manuale.»
«La strada non ha nessuna guida automatica?» chiese Delanna.
«Quale strada?» ribatté Cadiz. «Andiamo, salta dentro.»
L’interno del solaris non sembrava abbastanza grande per ospitare Cleo, figuriamoci tre persone. Specialmente quando due di quelle persone erano Sonny Tanner e Cadiz.
«Tu siedi accanto a tuo marito e io mi metterò dietro,» spiegò Cadiz. «Andiamo, vieni dentro. Non stare lì a sprecare energia.»
Dopo numerosi contorcimenti, Delanna riuscì a sistemarsi nel piccolo sedile anteriore.
«Devo andare a controllare le piantine,» annunciò Cadiz, poi sbatté il tettuccio praticamente sulla testa di Delanna.
Nel solaris non c’era assolutamente spazio. Le ginocchia di Delanna erano premute contro il cruscotto e i piedi nelle scarpe con i tacchi alti erano piantati contro il pavimento. Con il tettuccio abbassato, non c’era neppure spazio per sedersi con la schiena dritta. Delanna fu costretta a inclinare le spalle in avanti, ritrovandosi praticamente con le ginocchia accanto alla faccia. Tentò di spostare le gambe in una posizione più confortevole e, nel farlo, riuscì a incastrare uno dei tacchi nello spazio angusto accanto al cambio. Riuscì a sbloccarlo solo quando tornò Cadiz.
Non posso viaggiare per cinquemila miglia in queste condizioni, pensò Delanna. Si chiese in che modo Sonny fosse riuscito a dormire la notte precedente. Stava già iniziando ad avere il torcicollo.
«Voglio sedermi dietro,» annunciò quando Cadiz fu di ritorno e poi dovette subire l’umiliazione costituita dallo spostarsi dal sedile anteriore su quello posteriore. Quando finalmente ci riuscì, fu perfino peggio. Lo spazio tra i sedili era troppo piccolo per stare seduti dritti e il sedile era troppo stretto per appoggiarvisi completamente. Delanna riuscì solo a sedersi a stento di lato e a rimanere seduta passando un braccio sullo schienale e piantandovi dentro le unghie, come avrebbe fatto Cleo.
Cadiz abbassò il tettuccio a pochi centimetri dal suo orecchio.
«Non possiamo lasciarlo aperto fino a quando non partiamo?» le chiese Delanna.
«E sprecare energia?» commentò Cadiz in tono irritato. Era riuscita, dopo numerose manovre, ad assumere una specie di posizione del loto al centro del sedile anteriore e sembrava assolutamente comoda, con grande irritazione di Delanna. «Questi solaris non funzionano a ombra, sai.»
Il tacco di una delle scarpe di Delanna le stava premendo sull’altro piede. Tentò di spostarlo. «Perché non li costruiscono più grandi?»
«Lo fanno. Hai sentito quello che ha detto Jay. Lui ha un mucchio di spazio.»
Le mani di Delanna si stavano addormentando, vista la forza con cui stringevano lo schienale del sedile, e non riusciva a sentire i piedi. Spinse in alto il tettuccio e tentò di alzarsi.
«Grazie,» disse Sonny, poi si sedette sul sedile di guida. «Voi due vi siete sistemate?» Abbassò il tettuccio e lo bloccò. «La guida dice che avremo cielo azzurro per tutto il giorno. Dovremmo riuscire ad arrivare a Whitewater.» Fece scattare un interruttore e attivò il veicolo.
Il ronzio vibrante del motore era più forte di quanto lo fosse stato nel solaris di Maggie e sembrava provenire da qualche parte sotto l’orecchio destro di Delanna. Sonny fece allontanare a marcia indietro il solaris dalla banchina, con un forte tonfo, fece inversione e si avviò. Delanna fece un altro tentativo di sistemarsi in maniera comoda, non ci riuscì e allora poggiò la faccia sullo schienale del sedile, che non vibrava. Si addormentò quasi immediatamente.
Si svegliò udendo alcune voci. In un primo momento pensò che il solaris si fosse fermato, anche se era troppo stordita per aprire gli occhi e controllare, ma il motore stava ancora ronzando. E poi la voce maschile che stava parlando non era quella di Sonny.
«… giù a Honeycomb. Sto cercando Trader Kearney. Chiunque sappia dove si trovi, gli dica che ho una partita di palle di cannone che voglio vendere, pagamento in contanti.»
Intervenne un’altra voce, questa volta di donna. Aveva un tono diverso, non confuso o disturbato, ma lontano, come se provenisse da una distanza maggiore. «Penso che incontrerete un temporale, eh? Kearney è a New McCook con…» vi fu una scarica di statica «ma non penso che stia cercando palle di cannone. Secondo me, si tratta di Nance Fremont.»
Delanna immaginò che si trattasse di una specie di bollettino radio. Maggie aveva menzionato qualcosa sul fatto che si sarebbe messa in contatto con lei via radio. Ecco cosa intendeva dire. Giacque con gli occhi chiusi, ascoltando.
«Se pensa che Nance gli presterà attenzione, allora è pazzo» proseguì la voce, punteggiata di scariche di statica una parola su tre. «Non con York Chantsall nei paraggi.»
Delanna si corresse: non era un bollettino. Era un angolo in cui i ficcanaso potevano mettersi a spettegolare.
Vi fu un’altra scarica di statica, poi una voce completamente diversa affermò, «A proposito di matrimoni, avete sentito di…»
Sonny allungò una mano e spense la radio.
«Perché l’hai spenta?» gli domandò Cadiz.
«In questo solaris non ascolteremo la radio,» la informò Sonny.
«Perché no?»
«Lo sai il perché.»
«Ma lei sta dormendo,» gli fece notare Cadiz.
«Ho detto di no,» rispose Sonny.
Vi fu un attimo di silenzio, poi Cadiz replicò, «Ti preoccupi dei suoi sentimenti, immagino. Questo è buffo: proprio tu che ti preoccupi tanto dei suoi sentimenti. È un vero peccato che tu non sia in grado di preoccuparti anche dei sentimenti della tua famiglia o dei tuoi amici. Sai come l’ho scoperto? Ascoltando la radio. Quella ficcanaso di Liz Infante a Blue Rug ha chiesto di rintracciarmi. ‘Oggi Sonny Tanner ha trovato una moglie a Grassedge. E ora cosa farà Cadiz Flaherty? Ho sentito dire che ha fatto a pezzi il suo bouquet di nozze!’» Cadiz sembrava più indignata che ferita.
«Mi dispiace,» mormorò Sonny. «Fino a quando non sono andato a Grassedge, non sapevo se sarebbe rimasta oppure no.»
«E da come sembrano stare le cose, non lo sai ancora. Non si sta comportando esattamente come la tipica sposina felice. Si sta comportando come qualcuno che pensa di avere commesso un terribile errore.»
«È stanca,» le ricordò Sonny. «Ieri notte non è riuscita a chiudere occhio, grazie al benvenuto canterino di Chancy e compagnia. Immagino che sia stata tu a organizzare tutto.»
«Io?» esclamò Cadiz. «Io ero con gli animali a consumarmi gli occhi a furia di piangere perché non ero io quella a cui stavano facendo la serenata.»
«Ci scommetto,» ribatté Sonny. «Tu ti stavi consumando gli occhi perché, adesso che sono sposato, non puoi più usarmi per fare arrabbiare e ingelosire B.T.»
«B.T. Tanner può anche rimanere a seccare in un crepaccio!» affermò Cadiz. «La tua sposina non può sentire la radio. Dorme. Ha russato per tutta la mattinata.»
Delanna udì un interruttore che scattava e la stessa voce che era stata interrotta in precedenza riprese a blaterare. «… l’ha buttato fuori. Giusto in braccio a Chancy e ai suoi cantori. Ha passato la notte nel suo solaris.»
Intervenne un’altra voce, come se stesse portando avanti una conversazione. «Lo sapete che con gli Stranieri succede sempre questo. Ricordate quella volta che Willy Schell tornò da Starbuck dopo avere sposato quella Pursoor piccola e scura, come si chiamava?»
«Be’, ma la moglie di Sonny è nata qui. Ovviamente, è andata per tutti quegli anni in quella scuola per aristocratici, come si chiamava?»
Una nuova voce affermò, «Io ho sentito che la prima cosa che ha detto quando ha visto Sonny Tanner era che voleva trovare un avvocato per tentare di ottenere il divorzio.»
«Allora devi avere sentito male,» intervenne la voce di una ragazza. Ma di cosa si tratta? si chiese Delanna. Di una specie di dibattito via radio? «Chiunque pensi che Sonny non sia l’essere più bello a est delle Pianure di sale deve essere pazzo.»
«Sì, be’, Lizabeth,» replicò la prima voce. «Sappiamo tutti cosa provi per Sonny. E un vero peccato che sua moglie non la pensi nello stesso mo…»
Sonny spense la radio a metà della parola. «Non hanno niente di meglio da fare che attaccarsi alla radio e sparlare?» chiese in tono rabbioso.
«Be’, però devi ammettere che è un argomento interessante,» commentò Cadiz. Delanna avrebbe scommesso qualsiasi cosa che sul volto aveva stampato quel sorrisetto compiaciuto. «Voglio dire, lei che vuole incontrare Maggie e Lydia Stenberg, tu che rubi il suo scarafaggio dalla quarantena e poi lei che ti butta fuori la tua notte di nozze.»
«Non è che hai raccontato a qualcuno dello scarabeo via radio? Avevo raccomandato a te e a Jay di non dire una parola ad anima viva.»
«Lo so. C’ero anch’io. Non devi preoccuparti. Non ho spifferato nulla, e Jay non dirà nulla. Non vuole certo che Doc Lyle ci segua e confischi il carico. Però è davvero romantico che tu corra un simile rischio per tua moglie, anche se poi lei ti butta fuori a gambe levate. Non c’è stato nulla di tanto eccitante da quando Jay venne scoperto a corteggiare entrambe le gemelle Spellegny. Non mi avevi mai detto che Lizabeth Infante aveva una cotta per te.»
«E perché avrei dovuto, visto che puoi scoprire qualsiasi dannata cosa succeda su Keramos semplicemente ascoltando la radio?»
Il solaris si fermò improvvisamente con un brusco scossone. Delanna quasi cadde dal sedile.
«Jay ha alzato la bandiera,» annunciò Sonny. «Sarà meglio che vada a vedere cosa è successo.» Spinse in alto il tettuccio, facendo entrare una folata di aria secca e calda, e scese dal solaris.
Delanna si mise a sedere in posizione eretta. Doveva avere dormito per molte ore. Il sole stava tramontando e il paesaggio era completamente mutato. Le graziose fattorie e i pozzi di irrigazione coperti di piastrelle erano spariti; al loro posto c’era una piatta distesa marrone grigia su cui crescevano pochi arbusti. Delanna non riuscì a stabilire se quello fosse il colore naturale delle piante o se invece fossero ricoperte della polvere grigiastra che saturava l’aria.
Sonny tornò tossendo. «Davanti a noi c’è un polverone tremendo» annunciò, sporgendosi sul finestrino, «e la guida sta eseguendo dei sondaggi. Andrò in perlustrazione per conto di Jay. Cadiz, dovrai guidare tu. Sta’ dietro agli Hansen.»
«E Cleo e le oche?» chiese Delanna, voltandosi a guardare indietro con ansia. La polvere era tanto spessa che non riusciva a vedere la gabbia.
«Ho un vecchio telone incerato. Andrò a metterlo sopra la gabbia,» annunciò Sonny.
«Cleo non può viaggiare con me?»
«Non può, non mentre guido io,» replicò Cadiz. Si alzò dal sedile posteriore e passò sul sedile di guida. «Non voglio nessuno scarafaggio che mi si arrampica sul collo.»
«Cleo non è uno scarafaggio,» replicò Delanna in tono tagliente.
Sonny allungò una mano sul sedile posteriore, ne tirò fuori un’incerata spiegazzata e tornò verso la gabbia. Sparì quasi immediatamente nella polvere soffocante. Cadiz alzò il braccio per abbassare il tettuccio. Delanna la fermò.
«Passo avanti,» disse. Le si era addormentato il piede. Si chinò sotto il tettuccio e le si incastrò di nuovo il piede. Cadiz la osservò, con un sorrisetto ironico.
Sonny scaricò Cleo in grembo a Delanna, rimise a posto il tettuccio e sparì di nuovo nella polvere. Cadiz accese la radio e premette l’acceleratore con tanta forza che il solaris, se avesse funzionato a combustibile fossile, avrebbe fatto un balzo in avanti.
«…lo ha rubato dalla quarantena,» stava dicendo una voce maschile. «Il veterinario era più infuriato di una scimmia ustionata. L’ha arrostito da Chancy, davanti a tutti.»
Un altro uomo fece una domanda che venne trasmessa sotto forma di statica, ma apparentemente il primo interlocutore riuscì a comprenderla lo stesso.
«No,» rispose. «Qualche animale di cui non ho mai sentito parlare. Non so, una specie di scarafaggio.»
«Te l’ho detto che era uno scarafaggio,» commentò Cadiz, fissando accigliata Cleo, che stava arrampicandosi sulla camicia di Delanna.
«Qui parla Markie Woodward, giù a Shelter Lanzye. Ho appena sentito dire che Sonny Tanner si è sposato. Con chi?»
«Con una rossa piena d’arie a cui piacciono gli scarafaggi.» Delanna riconobbe quella voce. Era Lizabeth Infante, la ragazza che aveva la cotta per Sonny. «E ho sentito dire che non è molto felice di essere sposata. Soli Hansen ha detto che quando era a Grassedge è andata da Maggie Barlow per capire se era possibile annullare il matrimonio.»
«Non riesco a immaginare qualcuno che non voglia essere sposato con Sonny,» commentò Markie.
«Neppure io,» si dichiarò d’accordo Lizabeth. «Potete dire per conto mio a quella rossa che se non lo vuole, me Io prendo io.»
Cadiz fissò Delanna con un sogghigno. «Hai capito?»
Delanna non le avrebbe mai dato la soddisfazione di risponderle. Carezzò il carapace di Cleo e guardò avanti a sé, verso il polverone. La nube di polvere divenne più spessa e poi, di colpo, più sottile, poi emersero di nuovo tra gli arbusti, sotto il cielo azzurro. Il solaris che avrebbero dovuto seguire era a pochi metri di distanza.
«Potete anche dire a Sonny Tanner che se avesse sposato me,» proseguì Liz, «non avrebbe dovuto trascorrere la sua prima notte di nozze in un solaris. Ma cosa credeva, che avesse bisogno di ricaricare le batterie?»
Apparentemente su Keramos non c’era nulla di sacro o di segreto. Delanna ricordò che Sonny l’aveva avvertita che i coloni dei lanzye facevano un mucchio di pettegolezzi, ma lei aveva presunto che lo facessero di persona, non via radio.
«Qui è B.T. Tanner, da Milleflores. Sto cercando Cadìz Flaherty. Chiunque sappia dove si trovi, me lo faccia sapere.»
Delanna lanciò un’occhiata interrogativa a Cadiz. «Sei tu, vero?» le chiese.
Cadiz strinse il volante e fissò dritto avanti a sé.
«Se sei in viaggio verso ovest, ho un amplificatore di segnale.» Il tono di voce di B.T. passò dal pratico al rabbioso. «Cadiz, non so cosa tu abbia in mente, ma se stai correndo dietro mio fratello come un’oca innamorata, è mio dovere come tuo amico di avvertirti che ti stai coprendo di ridicolo agli occhi di tutti. Vuoi che parlino di te sulla radio?»
Cadiz spense la radio con un gesto tanto brusco che Delanna immaginò che l’avesse rotta. Il volto e il collo avevano assunto un colore purpureo. «È mio dovere come tuo amico,» scimmiottò. «Be’, B.T. Tanner, è mio dovere dirti che sei il peggiore imbecille su questo pianeta. ‘Vuoi che parlino di te sulla radio?’ Non ho sentito il mio nome citato neppure una volta, ma puoi scommetterci che lo faranno adesso. Ci hai pensato tu, pezzo di imbecille. Sei perfino più scemo di tuo fratello maggiore.»
Si girò verso Delanna e la gratificò di un’occhiata rabbiosa. «Immagino che ti stia divertendo un mondo.»
Delanna non rispose. Stava tentando di ricordare quale dei fratelli fosse B.T. Pensava che fosse il secondo. Gli altri, tranne uno, erano molto più giovani di Sonny perché erano nati dopo che lei aveva lasciato Keramos; sua madre non li aveva citati quasi mai nelle sue lettere. Ma a Delanna sembrava di ricordare che i loro nomi fossero Wilkes e Harry, dunque B.T. doveva essere il secondo in ordine di età.
«Era ora che cominciasse a dar segno di un po’ di interesse,» commentò Cadiz. Cleo si appiattì contro Delanna. «Prima non mi rivolge neppure un’occhiata e adesso, all’improvviso, è ‘suo dovere come amico’. Amico! E Sonny se ne va senza dire una parola a nessuno e si sposa!» Frenò premendo selvaggiamente il pedale. Il solaris si fermò con un sussulto. I rimorchi vi urtarono contro, uno alla volta, le oche iniziarono il loro solito concerto isterico. «È tutta colpa tua!» gridò Cadiz a Delanna. «Mi hai rubato Sonny Tanner e, quando arriverai a Milleflores, probabilmente tenterai di rubarmi anche B.T.!»
Cleo si arrampicò fino a metà del collo di Delanna, tentando di allontanarsi. Improvvisamente Delanna venne travolta dalla rabbia. «Benissimo,» replicò, staccando le unghie di Cleo dal colletto. «Se vuoi litigare, sarò ben lieta di accontentarti.» Tentò di mettersi Cleo in grembo, ma lo scarabeo si tuffò improvvisamente verso il pavimento e si aggrappò alle caviglie di Delanna. «Tutto è meglio degli agguati che mi stai tendendo da quando ti ho conosciuto.»
«Agguati?» gridò Cadiz. «E tu come lo chiami rubarmi Sonny Tanner da sotto il naso?»
«Adesso chiariamo questa faccenda una volta per tutte: io non ti ho rubato il tuo fidanzato. E non Io voglio neppure. Se lo vuoi tu, prenditelo pure.»
Cadiz la stava fissando a bocca spalancata, ma non riusciva a spiccicare parola. «E allora che cosa lo hai sposato a fare?» le chiese infine.
Fu il turno di Delanna di fissarla. «Non l’ho fatto,» rispose. «Non ti ha raccontato del testamento?»
«Quale testamento?»
«Il testamento firmato da suo padre e dal mio. Volevano che il lanzye rimanesse indiviso e, in base alle folli leggi di questo pianeta dimenticato da Dio, potevano esserne sicuri solo facendo fidanzare ufficialmente i loro eredi. Quando mia madre è morta, il matrimonio è diventato automaticamente legale.»
Cadiz scosse la testa come se volesse schiarirsela. «Stai scherzando!» esclamò. «Un testamento precauzionale? Non mi meraviglio che Sonny non me l’abbia detto.» Guardò Delanna con aria calcolatrice. «Ecco perché hai avuto tutti quegli incontri con Maggie e Lydia Stenberg. Ma non riesco ancora a capire: se questo testamento è l’unico motivo per cui sei sposata, perché non sei rimasta a Grassedge e non hai chiesto il divorzio?»
«Perché, se l’avessi fatto, avrei perso l’eredità di mia madre e Sonny avrebbe perso Milleflores. Per chiarire la questione bisogna aspettare l’arrivo della Corte Itinerante e, nel frattempo, io devo stabilire la mia residenza a Milleflores.»
«Cavolo, spero che questa faccenda non finisca sulla radio,» commentò Cadiz, poi mormorò, in un modo che Delanna la udì a stento, «Povero Sonny.» Con un tono di voce più alto commentò, «Immagino che Sonny non me l’abbia detto anche perché mi sarei arrabbiata ancora di più.»
«Non hai alcun motivo per essere gelosa,» le assicurò Delanna. «Non voglio essere sposata con Sonny e lui non vuole essere sposato con me.»
«Su questo non ci scommetterei troppo,» replicò Cadiz. «Lui non fa altro che parlare di te fin da quando mi ricordo. Quando ho sentito la notizia, ho pensato che finalmente era riuscito a convincerti a tornare per sposarlo.»
«Ma io pensavo che fosse il tuo fidanzato.»
Cadiz assunse un’aria imbarazzata. «Ah, quella faccenda,» replicò. «L’anno scorso mi ha accompagnato al ballo del raccolto.»
«Visto che B.T. non voleva?» chiese Delanna.
Si udì un colpetto sulla sommità del tettuccio che le fece sussultare entrambe. Cleo si nascose ancora di più tra le caviglie di Delanna. Cadiz aprì il tettuccio.
«Cosa è successo?» chiese Sonny, torreggiando su di loro. «C’è qualcosa che non va con il solaris?»
«No, perché?» replicò Cadiz in tono inespressivo.
«Perché la carovana è già arrivata nel prossimo quadrante, ecco perché.»
Delanna guardò l’orizzonte grigio-marrone. Era impossibile vedere qualsiasi veicolo della carovana, tranne il solaris di Jay, che si sporse dall’altro lato.
«Pensavamo che vi foste perse nella tempesta di polvere,» commentò Sonny.
«E che vi foste uccise a vicenda,» aggiunse Jay. «Immaginavo che non avremmo trovato più nulla, tranne tracce di artigli.»
«Stavamo parlando,» spiegò Delanna.
«È così,» intervenne Cadiz. «Delanna mi stava illustrando le vostre interessanti abitudini. Erano così interessanti che ci siamo dimenticate di non perdere contatto con la carovana.»
Sonny e Jay sembrarono stupefatti.
«Be’, sono felice che il solaris sia a posto,» commentò Jay. «Delanna, ti piacerebbe viaggiare con me per un po’? Ho una cuccetta su cui potresti schiacciare un pisolino.»
«No, grazie,» replicò Delanna. «Penso che viaggerò con Cadiz.»
«Proprio così,» confermò Cadiz con un sorriso dolce. «Abbiamo molte cose di cui parlare.»
CAPITOLO SETTIMO
Cadiz rifiutò di cedere il sedile di guida a Sonny, che così si sistemò sul retro del solaris, piegato in avanti e con il mento sulle ginocchia in modo potere vedere fuori dal tettuccio e, senza dubbio, ascoltarle parlare. Ma adesso le due ragazze viaggiavano in silenzio. Di tanto in tanto, Cadiz rivolgeva un’occhiata a Sonny e ridacchiava tra sé e sé, un comportamento che faceva apparire un’espressione accigliata sul volto di Sonny, ma non lo spingeva a fare alcun commento.
Il suo sguardo era concentrato sul lontano orizzonte; aveva occhi chiari con ciglia lunghe e nere, un filo di barba lungo la mascella volitiva. Poi qualcosa mutò nella sua espressione e, anche se i suoi occhi non si erano mossi, Delanna capì che adesso l’attenzione di Sonny si era concentrata su di lei. Si appoggiò lentamente allo schienale e le sorrise. Delanna si sentì arrossire e distolse in fretta lo sguardo.
«Cosa c’è?» chiese Cadiz, sporgendosi in avanti per poi girarsi verso Sonny. «Oh, lei sa sorridere. Tesoro, dovresti farlo più spesso. Quell’espressione arcigna che hai avuto tutto il giorno ti dà l’aria di una prugna secca.»
Delanna fissò fuori dal finestrino, lasciando che i cespugli marroni e gli occasionali alberi privi di foglie le passassero accanto come macchie confuse fino a quando sentì il calore del rossore che svaniva. Non importa che aspetto abbia Sonny, si disse severamente. L’unica cosa importante per me è ricevere l’eredità e andarmene da questo pianeta.
«Accelera, Cadiz,» ordinò Sonny.
Delanna si arrischiò a guardarlo ed emise un sospiro di sollievo rendendosi conto che Sonny aveva di nuovo rivolto la propria attenzione verso l’orizzonte.
«Non posso accelerare di più. Siamo già al massimo,» replicò Cadiz.
«Ma stai rimanendo di nuovo indietro,» le fece notare Sonny.
«Me ne sono accorta,» rispose Cadiz. Stava controllando i quadranti sul cruscotto. «Stiamo assorbendo i raggi solari dalla batteria troppo in fretta. Sarà meglio che chiami Jay.»
«Non ancora,» replicò Sonny mentre allungava un braccio e faceva scattare più volte un interruttore.
«Ho già alzato la vela solare,» lo informò Cadiz in tono apparentemente irritato.
Ma Sonny non le prestava ascolto: si era incuneato tra i sedili per poggiare le mani sull’albero della trasmissione al centro del pavimento. «Tenta di scalare marcia. Quest’albero è addirittura bollente.»
Delanna osservò Cadiz abbassare con il pollice una leva sul volante e il solaris ebbe un lieve sussulto. Il gemito del motore divenne più alto, anche se il solaris continuò a rallentare.
Iniziarono a seguire un sentiero di erba battuta che saliva su basse collinette oppure girava loro intorno e che, con il passare del tempo, li separò sempre più spesso dalla carovana.
«Fermati, Cadiz. Quest’albero sta diventando ancora più bollente.»
«Sarà meglio che chiami Jay,» rispose lei. «Ormai non riesco più neppure a vedere la bandiera.»
«Fammi prima provare ad aprire la carrozzeria e fare entrare un po’ d’aria per raffreddare la parte inferiore.»
Cadiz sospirò, ma fece fermare il solaris. Sonny aprì i ganci del tettuccio, uscì all’esterno e aprì altri ganci sulla carrozzeria, poi la tirò verso l’alto in modo che si sollevasse di qualche centimetro lungo l’orlo del veicolo. Quando tornò dentro e richiuse il tettuccio, Cadiz fu costretta a sollevare il mento per vedere oltre il cofano del veicolo. Si inerpicarono lungo un’alta collina, discesero senza alcun problema lungo l’altro versante e giunsero a metà del versante della collina successiva.
«Cos’è questa puzza?» chiese Delanna, rendendosi improvvisamente conto che nell’aria secca e polverosa c’era una nuova sfumatura acre.
«Un motore,» spiegò cupamente Sonny.
«O forse tutti e due,» commentò Cadiz. «Adesso posso chiamare Jay?»
«Chiamalo pure e spegni quei dannati motori: così li stai bruciando.»
«Io li sto bruciando?» ribatté Cadiz. «Sei tu quello che non ha voluto farmi fermare mezz’ora fa.»
Sonny si limitò a scuotere la testa.
«Immagino che Sonny pensasse che scalare marcia e aprire la carrozzeria sarebbe stato d’aiuto,» intervenne Delanna.
Sonny annuì impercettibilmente e allungò un braccio oltre di lei per aprire il gancio sopra le loro teste. Quando Cadiz fece fermare il solaris, Sonny spalancò il tettuccio e fu costretto a scavalcare Delanna per uscire. Gettò il cappello a terra, poi strisciò sotto il solaris.
«Jay, mi senti?» stava dicendo Cadiz nel microfono.
«Sì, ti sento.» Udirono la voce di Jay provenire da entrambi gli altoparlanti. «Di quanto siete rimasti indietro? Per caso voi ragazze dovete parlare di nuovo?»
«Qui abbiamo un problema, Jay,» spiegò Cadiz. «Stiamo consumando tanta energia solare quanta riusciamo ad assorbirne e il nostro albero di trasmissione è bollente.»
«Il motore numero uno è andato,» annunciò Sonny quando strisciò vìa da sotto il solaris. Aveva lo sguardo rivolto verso il cielo. Delanna pensò che stesse fissando il sole, che ormai sfiorava l’orizzonte occidentale. Sonny scosse la testa. «Lo avevo appena fatto riparare a Grassedge.»
«E abbiamo perso il motore numero uno,» aggiunse Cadiz al microfono.
Udirono Jay emettere un fischio. «Rimanete lì,» ordinò. «Tornerò indietro per rimorchiarvi.»
Sonny spostò il pannello solare in modo che fosse perpendicolare ai raggi del sole, poi rimase in piedi con le mani in tasca, appoggiandosi al solaris. Cadiz uscì dal solaris e Delanna la seguì, portandosi dietro Cleo, grata di quell’opportunità di sgranchirsi le gambe.
Delanna fece un respiro profondo. Senza il polverone sollevato dal resto della carovana, l’aria era quasi piacevole, per quanto fosse leggermente calda e secca. L’erba sotto i suoi piedi era fragile e si spezzava con un crepitio a ogni passo che faceva. Dietro di loro, le dolci colline erano di un uniforme colore marrone; non c’era nessuna traccia dei campi verdi e irrigati che aveva potuto osservare dal finestrino del treno il giorno precedente.
Tanto per fare qualcosa, Delanna iniziò a camminare sull’erba schiacciata verso la sommità della collina, ma i tacchi alti la rendevano troppo goffa per spingersi così lontano. Sedendosi, Delanna si girò a guardare il solaris. La sua linea snella era allungata per avere un’aerodinamica migliore, le ruote erano molto all’interno della carrozzeria e montate su supporti triangolari; il solaris ricordava un insetto volante in un momento di riposo. Perfino il rimorchio che trainava era stato costruito in maniera più o meno aerodinamica: era lungo, sottile e finiva a punta. Sonny doveva avere tolto l’incerata, poiché le oche stavano sporgendo i becchi da dietro le sbarre. Ma qualcuno ha dato loro da mangiare? si chiese improvvisamente Delanna. Con riluttanza, si alzò e tornò indietro per andare a controllare, portando Cleo con sé. Dopo avere dato da mangiare alle oche, avrebbe nascosto Cleo nel sacco del mangime.
Quando Jay comparve a bordo del suo grande solaris equipaggiato di tutto punto, i due uomini non impiegarono molto tempo nell’attaccare una barra di rimorchio al piccolo solaris di Sonny e salirono tutti nella cabina del veicolo di Jay. Anche con quattro passeggeri, c’era abbastanza spazio per stendere le gambe. Jay prese delle tazze da un compartimento e tirò giù uno spinotto da un pannello del soffitto, poi riempì le tazze con una mano mentre guidava con l’altra. Era acqua semplice, ma era fredda e molto rinfrescante. Delanna la bevve tutta e Jay le riempì di nuovo la tazza.
«Hai un motore di ricambio?» chiese Jay a Sonny.
«Non servirà a nulla,» replicò Sonny in tono cupo.
«C’è qualcosa che fa surriscaldare l’albero di trasmissione,» spiegò Delanna. «Sostituire il motore sarebbe inutile fino a quando Sonny non riuscirà a capire di cosa si tratta. Un altro motore si limiterebbe a bruciare come il primo.»
«Pensi di essere capace di aggiustarlo?» chiese Jay.
«Ci proverò,» rispose Sonny, ma Delanna pensò di avere colto nella sua voce un tono dubbioso.
Avevano appena raggiunto la sommità di un’altra collina e Delanna vide un cambiamento sorprendente nel territorio davanti a lei. Le dolci colline terminavano di colpo in una sporgenza rocciosa che dominava una pianura di terra secca e cotta dal sole, interrotta soltanto da una linea serpentina di bassi arbusti di un colore verde polveroso, che non riuscivano a celare il luccichio dell’acqua corrente. Il resto della carovana si era fermato accanto al ruscello e tutti i solaris avevano i pannelli solari perpendicolari sui pennoni, dando l’impressione di una fila di lucertole intente a godersi gli ultimi raggi del sole.
Jay si fermò all’estremità della fila e uscì per aiutare Sonny a sganciare il rimorchio e poi il solaris; Cadiz e Delanna scesero e rimasero a osservarli. Non appena il solaris venne sganciato, Jay tornò nel suo veicolo, raggiunse l’inizio della carovana e parcheggiò. Sonny sollevò completamente la carrozzeria e il suo busto scomparve sotto il solaris.
«Sarà un viaggio molto lungo,» commentò Cadiz, stiracchiandosi.
«Quanto è lontano l’albergo?» le chiese Delanna.
«Albergo?» Cadiz sembrò perplessa. «Quale albergo?»
«Quello dove dormiremo stanotte.» L’acqua offertale da Jay aveva placato la sete di Delanna, ma era coperta di polvere e ancora molto stanca. Avrebbe gradito molto concedersi un lungo bagno caldo.
«Oh, vuoi dire il campzye. Il sole tramonterà tra un’ora, dunque immagino che per stanotte ci fermeremo qui.» Cadiz la fissò inclinando la testa. «Sonny non ti ha detto che ci accamperemo all’aperto fino a quando non arriveremo a casa?»
«No,» rivelò Delanna. «Non me l’ha detto. Naturalmente io presumevo che…»
«Devi smetterla di presumere, tesoro. Qui siamo su Keramos.»
«Non me lo sono dimenticato,» replicò Delanna. «Abbiamo almeno una tenda?»
«Penso che Sonny abbia un bozzolo per una persona. Può essere usato anche da due persone, se sono disposte a stare strette come sardine.» Cadiz ridacchiò. «Anche B.T. ha un bozzolo. La scorsa primavera, quando andammo insieme a controllare la fioritura del lotto orientale, io dimenticai il mio.»
Delanna la osservò con interesse.
Ma Cadiz si limitò a scrollare le spalle. «B.T. mi cedette il suo bozzolo e allora io mi misi il più possibile da un lato.» Si fermò e aggrottò la fronte. «Il mattino dopo, io ero ancora lì e B.T. era ancora fuori. I Tanner possono essere così dannatamente nobili!»
«Vorrei averlo saputo ieri notte,» commentò Delanna. «Forse sarei riuscita a dormire almeno un po’.»
«Non dirmi che eri preoccupata per Sonny!» esclamò Cadiz, poi rise perché Delanna non lo negò. Improvvisamente ridivenne seria. «Però, se fossi in te, avrei qualche motivo per preoccuparmi.» Sorrise. «Forse allora vedremo se B.T. è ancora solo un amico.»
«Di cosa stai parlando, Cadiz?» chiese Delanna. «Non riesci a farti notare da B.T. e così tenti di attirare l’attenzione di Sonny, nella speranza che B.T. si ingelosisca?»
«Perché dovrebbe importarmi quello che pensa B.T.?» replicò Cadiz in tono triste. «Lui è solo un amico. O almeno, è quanto lui dice a me e a chiunque altro su Keramos.»
«Almeno è un inizio migliore di molti altri,» cercò di rincuorarla Delanna.
«Come il tuo matrimonio, vero?» commentò Cadiz.
«Non è un matrimonio.»
«Anche Sonny la pensa così?» le chiese Cadiz.
«Sì,» rispose Delanna. «È un accordo finanziario.»
«Ne sei proprio sicura? Non fa che parlare di te da un bel po’ di anni.»
«Non riesco a immaginare Sonny che parla di qualcuno, figuriamoci di me. E anche se fosse vero, non riesco a immaginarne il motivo.»
«Be’, immagino che non sia proprio vero che parlasse di te. Parlava della ragazzina che ricordava, sempre curiosa su quello che lui stava facendo e che lo seguiva tutto il tempo. Sonny Tanner sa parlare, però ci vuole un po’ d’ambrosia per sciogliergli la lingua.»
«Sì, ricordo che gli stavo sempre intorno. E lui era gentile con me quando ero bambina. Ma questo è il passato. Adesso è diverso, adesso non desideriamo più le stesse cose.»
«E tu cosa vuoi?»
«Andarmene da questo pianeta dimenticato da Dio e tornare alla civiltà, dove posso fare il bagno ogni volta che ne ho voglia.»
«A Milleflores c’è una doccia,» rivelò gentilmente Cadiz.
«Grazie dell’informazione, ma è difficile che questo dettaglio sia sufficiente a farmi rimanere. La cosa peggiore di questo pianeta sono i suoi orribili costumi, le sue leggi primitive. Sono sposata a un uomo che non conosco neppure. Quando sono state promulgate quelle leggi qualcuno si è fermato a riflettere che forse io consideravo il matrimonio come qualcosa di sacro e di personale?»
«Ti sei mai fermata a riflettere che forse lo stesso vale anche per Sonny? Che forse vale per tutti noi?»
«Tutto quello che importa a Sonny è il suo prezioso lanzye e il prossimo raccolto.»
«È necessario dedicarsi totalmente alla propria terra,» replicò Cadiz. «E lui lo sa.»
E senza dubbio Sonny Tanner si dedicava totalmente… alla sua terra e al suo raccolto. Frustrata, Delanna scosse la testa. Cleo sporse il muso da sotto le scaglie ingioiellate.
«Si è mosso!» esclamò Cadiz, allontanandosi di scatto da Delanna. «Il tuo scarafaggio si è mosso.»
Delanna provò l’impulso di ribattere, Guarda che Cleo non è uno scarafaggio, ma era troppo stanca per mettersi a discutere, così si limitò a voltare le spalle a Cadiz. Sonny era ancora sotto la carrozzeria del solaris e Delanna non riuscì a vedere Jay da nessuna parte tra le file di solaris.
Lo scarabeo sgusciò via dalle braccia di Delanna e si diresse verso il ruscello. Delanna si affrettò a bloccarlo. «Stai viaggiando in incognito, Cleo,» le ricordò. «Non puoi andare laggiù.»
Cleo lottò contro di lei, agitando le zampe, adesso completamente estese, tentando di scendere a terra. Ovviamente voleva fare un po’ di esercizio, dopo essere stata rinchiusa tutto il giorno nel solaris e nella gabbia delle oche, ma Delanna non poteva correre il rischio che qualcuno la vedesse. Avrebbero immediatamente diffuso la notizia via radio e Doc Lyle sarebbe apparso di nuovo.
«Aspetta solo un istante,» disse Delanna, e poi andò a prendere la sacca dal retro del solaris. «Starai qui dentro solo fino a quando non avremo superato la carovana,» spiegò a Cleo mentre la infilava dentro e chiudeva la sacca. «Poi ti lascerò uscire.» Iniziò a camminare lungo la fila di solaris parcheggiati. Si fermò quando pensò di avere visto Jay davanti a sé, ma si trattava di un altro uomo, che la fissava con la fronte aggrottata.
«Non hai niente di meglio da fare di proiettare la tua ombra sul mio pannello solare?» le chiese l’uomo.
«Non l’ha fatto apposta,» spiegò il suo compagno, l’uomo dal volto rosso che Delanna aveva visto quella mattina. «È la sposa novella di Sonny Tanner.» Rivolse un sogghigno a Delanna. «Se qualcuno si mette davanti ai collettori solari, non si caricano più, signorina: devono essere esposti direttamente verso il sole.»
«Mi dispiace,» si scusò Delanna, affrettandosi a spostarsi.
«Sta andando da qualche parte?» le chiese il primo uomo, che adesso sogghignava anche lui. Indicò la sacca.
«Vado a fare una passeggiata,» rispose Delanna e se ne pentì immediatamente. Poteva già sentire i commenti che sarebbero stati trasmessi via radio il giorno seguente. Avreste dovuto vederla. Non sa andare neppure a fare una passeggiata senza portarsi dietro il suo bagaglio.
«E allora, com’è la vita matrimoniale?» le chiese l’uomo dal volto rubizzo.
Delanna lo ignorò, superò rapidamente la fila di solaris e si diresse verso il ruscello. Si voltò indietro per assicurarsi che nessuno la stesse osservando, specialmente i due uomini che le avevano rivolto la parola, poi lasciò uscire Cleo dalla sacca.
Lo scarabeo zampettò su una roccia piatta ed estese le zampe anteriori. Delanna si sedette accanto a Cleo e si tolse le scarpe. L’acqua era fresca e scorreva rapida sulle dita dei piedi. Se ne spruzzò un po’ sulle braccia e la sensazione di frescura fu meravigliosa. Cleo, tuttavia, si allontanò dal ruscello, zampettò sul collo di Delanna, scese lungo la schiena e si fermò sulla riva, osservando la propria padrona.
«Cosa c’è, Cleo?» le chiese Delanna; di solito allo scarabeo piaceva l’acqua, a patto che non fosse troppo fredda. Però Cleo non aveva mai visto un ruscello prima d’ora, ma soltanto eleganti e tranquille piscine, con scalini di pietra e corrimano a cui aggrapparsi. Ora che ci penso, si rese conto Delanna, neppure io ho mai visto dell’acqua corrente da quando ero bambina su Keramos. Ricordò che allora non aveva avuto bisogno di scalini di marmo o di corrimano, dunque non ne aveva bisogno neppure adesso.
Delanna fece qualche altro passo nel ruscello, lasciando che l’acqua le arrivasse oltre la vita dei pantaloni. L’acqua aveva il colore del tè, ma non era fangosa, tranne quando i piedi di Delanna agitavano il fondo. Avanzò ancora, indecisa se togliersi i vestiti. Si voltò a guardare verso la carovana. L’uomo che le aveva intimato di smetterla di bloccare il suo collettore solare la stava osservando, così come una donna, Delanna pensò che fosse la moglie, e almeno un’altra mezza dozzina di persone.
«Non hanno mai visto nessuno fare il bagno,» borbottò. «Ma, probabilmente, loro si lavano solo due volte l’anno.»
Non aveva certo voglia di dare spettacolo togliendosi i vestiti, ai quali probabilmente un bel bagno avrebbe fatto altrettanto bene. Avanzò ancora, lasciando che i pantaloni si gonfiassero nell’acqua, che sembrava già più calda. Quando l’acqua le arrivò ai fianchi e Delanna era già giunta al centro del ruscello, si tappò il naso e si tuffò. La corrente si impadronì di lei e la trascinò lungo il letto roccioso, rovesciandola sulla schiena. Staccò la mano dal naso per raddrizzarsi, andò a sbattere contro una roccia e ansimò di paura.
Riemerse sputacchiando e soffocando, con in bocca un tremendo sapore di sale e gli occhi che le bruciavano. Sulla riva, Cleo stava gridando, ma Delanna non riuscì ad aprire gli occhi per scoprire perché: le bruciavano come se fossero in fiamme.
«Cleo…» chiamò lo scarabeo, poi iniziò a tossire. L’acqua le colò lungo il viso dai capelli gocciolanti, entrandole nella bocca. «Sono…» Soffocò di nuovo. «Arrivo.»
«Delanna, ma cosa diavolo ci fai li dentro?» senti urlare Sonny.
Si gettò indietro i capelli e cercò a tentoni la riva, tentando di costringere i propri occhi ad aprirsi.
«Esci subito di lì, Delanna!» snidò Sonny.
Riuscì a socchiudere gli occhi nonostante il terribile bruciore. Sonny era una sagoma confusa sul bordo della riva, una sagoma confusa con in mano un gioiello. E stava parlando al gioiello.
«Va tutto bene, Cleo,» stava dicendo Sonny. «Non si è fatta male… O no?»
Delanna scosse lievemente la testa, troppo orgogliosa per dirgli quanto dolore avesse provato battendo il gomito contro la roccia. Lottò per tornare a riva, sentendosi incredibilmente goffa e stupida, adesso che qualcuno la stava osservando.
Cleo si allungò verso di lei, estendendo una zampa anteriore per afferrare la camicia a fiori fradicia, ma la lasciò andare immediatamente. Si pulì l’unghia sulla camicia di Sonny, gemendo come faceva sempre quando entrava in contatto con qualcosa di sgradevole.
«Quello è un ruscello di sale,» spiegò Sonny.
«L’ho appena scoperto,» ribattè Delanna.
«Tutto quel sale ti farà venire un prurito terribile,» aggiunse Sonny.
«Fantastico. Come se non fossi già abbastanza depressa dall’essere coperta di polvere.» Allungò una mano verso Cleo, ma lo scarabeo si affrettò a spostarsi sulla nuca di Sonny. «Traditrice,» sibilò Delanna, poi si girò e si avviò lungo il ruscello, furiosa nei confronti del mondo intero.
Non solo per colpa del sale, ma anche per l’uomo che era stato tanto brusco nel proteggere la sua preziosa luce solare e per l’uomo dal volto rubizzo che l’aveva trattata con tanta condiscendenza e per Cadiz, che parlava di Keramos e di Sonny come se Delanna non avesse alcun diritto di essere infuriata; ma poi, che diritto aveva un dannato ruscello che scorreva al centro di un continente di essere pieno di sale? Sua madre aveva ragione su Keramos: era davvero un pianeta dimenticato da Dio.
Urtò con l’alluce e si fermò perché il dolore era troppo intenso per permetterle di fare un altro passo. E poi, dove pensava di potere andare? Di nuovo a Last Chance? Non aveva alcuna possibilità di riuscirci. A piedi, ci sarebbero voluti dei giorni. Si voltò indietro. Sonny era ancora immobile accanto al ruscello e la stava osservando. In mano aveva la sacca di Delanna: doveva avervi infilato Cleo. Delanna rivolse un’occhiata all’accampamento: anche tutti gli altri la stavano guardando, alcuni erano perfino saliti sui loro solaris per godere di una vista migliore. Meraviglioso! E come se non fosse già abbastanza famosa, quando la notizia sarebbe stata trasmessa via radio, Delanna avrebbe fatto la figura di una vera stupida.
«Voi non avete mai commesso uno stupido errore?» gridò rivolta verso di loro, portando le mani sui fianchi in un gesto di sfida.
Probabilmente erano troppo lontani per sentire con chiarezza le parole di Delanna, ma, si trattasse della posizione o del fatto che si erano annoiati, i curiosi ripresero qualsiasi occupazione stessero svolgendo in precedenza. Delanna guardò di nuovo Sonny, che abbassò lo sguardo verso gli stivali, poi si girò e si avviò verso l’accampamento con la sacca. Delanna infilò le mani nelle tasche bagnate e finse di osservare le brillanti sfumature dorate e purpuree nel cielo occidentale mentre la palla di colore dorato iniziava a scivolare sotto l’orizzonte; poi si avviò di nuovo verso l’accampamento.
Quando tornò, Sonny era di nuovo sotto la carrozzeria e Jay era accovacciato sui talloni accanto al solaris. Cadiz aveva acceso il fuoco e Cleo apparentemente era tornata nella gabbia delle oche, poiché da essa provenivano starnazzi isterici. Delanna prese una spazzola dalla sacca e si sedette accanto al fuoco. Cadiz aveva appeso sul fuoco una pentola di qualcosa e ne stava girando il contenuto con un mestolo.
«Ti sei goduta il bagno?» le chiese Cadiz con un sogghigno che andava da un orecchio all’altro. «Cavolo, avrei voluto esserci quando hai capito in cosa stavi nuotando!»
«Avresti potuto avvertirmi, Cadiz.» Il sale sulle braccia e le gambe di Delanna si era già seccato, formando una crosta bianca, la camicia a fiori e i pantaloni erano diventati appiccicosi.
«La verità è che nessuno pensa come uno Straniero, tranne, forse, un altro Straniero, cosa che io di certo non sono,» si difese Cadiz, togliendo il mestolo dalla pentola per assaggiare. «Ha bisogno di un altro po’ di sale,» commentò. «Non è che ti andrebbe di saltarci dentro?» Iniziò a ridere. «No, diventerebbe troppo salato. Che ne dici di infilare solo la testa?» Scoppiò a ridere a crepapelle.
Delanna la ignorò e continuò cupamente a tentare di passare la spazzola tra i ciuffi di capelli appiccicosi.
Jay si alzò, smettendo di fare qualsiasi cosa stesse facendo accanto al solaris, poi si avvicinò a Delanna.
«Ho una doccia sonica nel mio solaris,» affermò. «Se vuoi, puoi usarla.»
«Oh, ma questa mi pare…»
«Abbiamo dell’acqua che può usare per lavarsi,» affermò Sonny, interrompendo Delanna quando apparve dall’oscurità alle spalle di Jay.
L’acqua era una prospettiva ancora migliore rispetto alla doccia sonica. Delanna era sul punto di dirlo, quando Cadiz chiese, «Quale acqua? Per caso la nostra acqua potabile?»
«Delanna è mia moglie,» affermò Sonny, rivolto non a Cadiz, ma a Jay. «Non ha bisogno della tua doccia sonica.»
«Mi piacerebbe molto usare la tua doccia,» affermò Delanna, rivolgendo un’occhiata rabbiosa a Sonny. «Grazie per l’offerta, Jay. Cadiz, hai qualche vestito da prestarmi?»
«Sì,» rispose Cadiz in tono cauto. Passò a Sonny il mestolo e iniziò a frugare nel suo zaino.
Aggrottando la fronte, Sonny immerse il mestolo nella pentola e ne agitò il contenuto. Lo stufato tracimò oltre i bordi e sfrigolò nel fuoco.
«Devi girarlo, Sonny, non montarlo,» lo avvertì Cadiz senza sollevare lo sguardo. Un istante dopo passò a Delanna un involto di vestiti.
«Grazie,» le disse Delanna, poi si girò verso il veicolo di Jay. «Questo è molto gentile da parte tua,» disse a Jay, perfettamente consapevole che Sonny e Cadiz la stavano sentendo. «Non potrei sopportare di viaggiare fino al lanzye coperta di sale. Non sono davvero cinquemila miglia, vero?»
«Adesso sono un po’ più di quattromila e cinquecento,» replicò Jay. Anche se il sole era tramontato, Jay fu ben attento a camminare dietro i solaris con le loro vele sollevate. O forse aveva scelto il percorso meno illuminato dai fuochi da campo.
Quattromila e cinquecento miglia… dunque quel giorno avevano percorso cinquecento miglia. «A questa velocità, ci vorranno dieci giorni,» affermò Delanna, sentendosi quasi altrettanto scoraggiata di quanto si era sentita quella mattina.
«No, ce ne vorranno più di venti. Una volta giunti nella Pianure, potremo procedere a velocità dimezzata. Se non piove.»
Jay si fermò, il piede poggiato su una roccia, la mano tesa per aiutare Delanna a salire lungo una serie di cenge, fino alla cima di uno spuntone roccioso piatto dove era parcheggiato il suo solaris. Le rocce erano nude come ossa.
«Pioggia?» ripeté Delanna in tono incredulo, stringendo la mano di Jay in modo da saggiare la superficie della cengia prima di appoggiare l’intero peso del corpo sui piedi nudi. «È difficile credere che da queste parti cada una sola goccia di pioggia.»
«Alla radio abbiamo sentito di una lunga serie di temporali a est di qui. Guarda laggiù,» la invitò Jay, indicando verso est mentre Delanna saliva su un’altra stretta cengia. «Riesci a vederli?»
Quando Delanna si girò, ondeggiando leggermente, Jay le lasciò andare la mano e le cinse i fianchi per permetterle di riprendere l’equilibrio. Delanna guardò nella direzione indicatale. Il cielo era di un colore rosa pallido, sopra la testa di Delanna stavano già spuntando le stelle. Vicino all’orizzonte c’era una striscia di rosa più scuro. Delanna l’aveva già notata durante la sua passeggiata e aveva sperato che fossero le montagne da cui erano racchiusi i lanzye.
«Vedi quella linea di nuvole?» chiese Jay, salendo finalmente sulla cengia con lei. «Lì sta piovendo, il che significa guai sulle pianure.»
«Perché?» gli chiese Delanna. Jay non le aveva ancora lasciato andare i fianchi. «È per colpa del fango?»
Jay rise. «Vorrei che il fango fosse l’unico problema che dovremo affrontare. No. L’intera pianura è formata da rocce di sale cristallizzato. Quando piove, l’acqua scava crepacci e buche tanto grandi da inghiottire un solaris. Dovremo eseguire sondaggi sul grado di erosione del sottosuolo e questo ci costringerà a rallentare. Speravo che potessimo passare a nord di qui, ma non sembra molto probabile.»
«No,» confermò Delanna, osservando la sottile striscia di nuvole. Adesso era rossa, mentre il cielo sovrastante aveva assunto una sfumatura di un arancione rosato. Due stelle, molto vicine, spiccavano con la loro fievole luminosità contro lo sfondo di colore intenso.
«Il cielo ha un colore meraviglioso, vero?» chiese Jay, avvicinandosi di più.
«Sì,» replicò Delanna. Si girò verso ovest e, nel farlo, si scostò da Jay. «Guarda il tramonto!» Si avvicinò al bordo opposto della cengia. «Cos’è quello?» chiese, indicando una macchia scura molto lontana dietro di loro. «Anche quello è un temporale?»
«No.» Jay si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla. «È solo un incendio. Probabilmente appiccato da quelle maledette scimmie.»
«Le scimmie incendiarie?» chiese Delanna, pensando a quello che le aveva detto Cadiz su quelle creature. «Sono pericolose, vero?»
«Sono una maledetta seccatura: rubano il legname dei coloni, appiccano incendi. Qualche volta ne appiccheranno uno che brucerà tutte le pianure fino ai lanzye.» La sua mano scivolò lungo la spalla di Delanna. «Ma non si spingono mai fin qui. Delanna…»
A Delanna non rimase altro che scendere dalla cengia. «Ma perché li appiccano?» chiese frettolosamente.
«Sono rettili. A sangue freddo. Appiccano gli incendi di notte per mantenere alta la loro temperatura corporea.» Il braccio di Jay si strinse intorno a lei. «Ma tu non devi preoccuparti delle scimmie o di qualsiasi altra cosa quando ci sono io con te, Delanna.»
Non devo preoccuparmi di nulla, a parte te, pensò Delanna, ricordando la storia raccontatale da Cadiz sulla moglie di Miller e le gemelle Spellegny. Si grattò il braccio. «Sarà meglio che faccia quella doccia prima che finisca per grattarmi a morte,» affermò, poi salì sulla cengia successiva.
«Hai ragione.» Jay la superò e poi si girò per aiutarla a percorrere gli ultimi metri. Aprì la portiera del solaris e si fece da parte per farla entrare prima di lui. Delanna salì a bordo e Jay la seguì. «Una rilassante doccia sonica,» commentò Jay, indicando con la mano un angolo del veicolo protetto da una tendina, «una buona cena, un po’ di ambrosia…»
Delanna aveva detto a Cadiz che sapeva prendersi cura di se stessa, ma adesso si chiese se fosse vero. Il veicolo di Jay era piccolo ma lussuoso; non solo era dotato di una doccia sonica, ma aveva anche un’unità di lavaggio chimico per i vestiti e i piatti, un’unità per la cottura dei cibi e un vero letto. Ed era ovviamente progettato per sedurre le mogli dei coloni: il letto occupava quasi l’intero interno del veicolo ed era coperto da una pelliccia di un rosso vivo. Delanna si chiese se fosse appartenuta a qualche scimmia incendiaria. Accanto al letto, a portata di mano, era sistemato un tavolino con inserite delle bottiglie ornamentali. Una rilassante doccia sonica, un po’ d’ambrosia…
«Puoi gettare i tuoi vestiti nell’unità di lavaggio chimico. Basta premere il pulsante,» la invitò Jay, passando rasente al letto per arrivare a una credenza. «I vestiti di Cadiz sono troppo piccoli per te.» Le gettò una vestaglia. «Puoi indossare questa fino a quando i tuoi vestiti non saranno pronti.»
Andò al terminale che era inserito nella parete opposta a quella della doccia sonica, si sedette e lo accese. «Darò un’occhiata a quel temporale e poi preparerò la cena,» annunciò, toccando alcune icone. Sullo schermo apparve un’immagine multicolore, ma che non somigliava assolutamente a una mappa.
Delanna, stringendo contro il petto la vestaglia e l’involto di vestiti datogli da Cadiz come se fosse già svestita, entrò nella cabina della doccia e tirò la tendina di plastica chiara. Darò un’occhiata a quel temporale. Bene, pensò, poi si chiese quante altre donne impolverate Jay avesse invitato per una rilassante doccia sonica e un po’ d’ambrosia. Entrambe le gemelle Spellegny? Lizabeth Infante?
Aprì di nuovo la tendina. «Jay, penso che…» iniziò.
Lui si girò. «Vuoi un po’ di intimità?» le chiese, rivolgendole un sorriso ironico. «Solo un attimo, poi andrò a fare il mio solito giro di controllo.» Si girò di nuovo verso il terminale. «Ho questo nuovo programma, che dovrebbe interpretare i sondaggi, ma non riesco neppure a farmi dire quanto sia lontano quel fronte di tempesta.» Toccò alcune icone, si accigliò, scosse la testa. Poi, con un sospiro, si alzò e andò alla porta. «Tornerò tra mezz’ora.» Indicò una serratura numerica accanto alla porta. «Puoi chiuderti dentro, se vuoi,» le disse, poi le fece l’occhiolino. «Tornerò tra poco.»
«Questo non…» iniziò Delanna, ma Jay era già uscito. Delanna rimase a fissare infuriata la porta. Gli uomini di quel pianeta erano così irritanti! Sonny la considerava come un oggetto di sua proprietà, Jay come un’altra conquista e, cosa ancora peggiore, una conquista che era sicuro di avere già in pugno. Tornerò tra poco.
Raggiunse la porta e attivò la serratura, poi tornò alla cabina della doccia e iniziò a togliersi i vestiti. Entrò dentro, chiuse la tendina e indossò i guanti sonici.
Attivò la batteria e iniziò a lavarsi i capelli. Una folata d’aria calda provenne da sopra la sua testa mentre si strofinava il cuoio capelluto. Non era acqua, ma era meglio di niente e costituiva un tocco di classe per un’unità portatile. Si lavò via la crosta di sale e poi si strofinò la pelle fino a quando non assunse un colore rosato e Delanna si sentì pulita, se non rinfrescata. Quando ebbe finito, appese i guanti e guardò con aria dubbiosa i vestiti datigli da Cadiz. Jay aveva ragione: Cadiz era molto più piccola di lei, ma mentre prendeva la biancheria intima, Delanna si rese conto che Jay non aveva immaginato che Cadiz sapesse scegliere così bene. Le mutandine e la canottiera erano in tessuto elasticizzato e la gonna era a portafoglio: un po’ corta, ma poteva andare. Delanna riuscì a indossare anche il top, sia pure con un po’ di sforzo; le andava un po’ più aderente di quanto preferisse, ma non era particolarmente scomodo. Tra i vestiti Cadiz aveva messo anche una spazzola. Delanna la usò per sistemarsi i capelli, uscì dalla cabina, gettò i vestiti sporchi nell’unità chimica e regolò la manopola sul lavaggio indumenti.
Si guardò intorno in cerca di un posto dove sedersi. Non vide nulla tranne il letto e lo sgabello di fronte al terminale. Delanna girò intorno al letto e si sedette al terminale. Jay aveva richiamato la mappa sullo schermo. Si trattava solo di un’immagine trasmessa dal raggio di ritorno di un satellite, ma Delanna riuscì a distinguere sulla mappa quella che doveva essere la pianura di sale: un cerchio di colore grigio smorto al centro del continente, simile a una padella, con un «manico» che si estendeva verso nord. Toccò il bordo della mappa per richiamare i pannelli di controllo, li trovò e premette il localizzatore. Un puntino giallo lampeggiò sull’orlo sud-occidentale della padella. Delanna mosse le dita in basso, verso gli alfanumerici, iniziò a digitare «lanzye.» Un altro puntino giallo iniziò a lampeggiare non appena toccò la Z. Erano lontani come aveva detto Jay; il che significava che, tutto considerato, non erano particolarmente distanti.
Disgustata, Delanna salvò la mappa di Jay in una finestra e richiamò l’immagine termografica delle caratteristiche della superficie con i sondaggi multispettro del satellite. Adesso poté vedere la linea di fuoco azzurra, incredibilmente fredda, che ostruiva la via più diretta tra i due puntini gialli e il fronte temporalesco che sovrastava come una pesante cortina la pianura di sale, dividendola in due come una pesante cortina. Se avessero scelto qualsiasi altra strada, avrebbero avuto bisogno di barche per attraversare i verdi mari interni. No, avrebbero dovuto attraversare per forza la pianura di sale.
Delanna cercò rapidamente i dati dei sondaggi nella banche dati di Jay, trovò dati vecchi solo di tre settimane e li inserì nel modello su cui stava lavorando. L’immagine mostrò una linea punteggiata che aggirava le depressioni color magenta: apparentemente era il percorso più recente per attraversare la pianura di sale lungo il suo bordo orientale. Il resto della pianura aveva assunto un colore giallo zafferano, il che significava che non c’erano dati disponibili. Il puntino giallo più vicino non era che una pallida scintilla. Jay non aveva scherzato quando aveva parlato di pericoli. Delanna pensò di dare un’occhiata alle immagini del sottosuolo, ma doveva andare a vedere se i suoi vestiti erano asciutti. Annullò la sua richiesta e richiamò la mappa di Jay dalla finestra.
«Adesso sei bellissima,» affermò Jay.
Delanna si girò di scatto sullo sgabello. Jay era sulla soglia e la stava osservando. Ecco a cosa è servito chiudere la porta, pensò Delanna. «Se la doccia sonica riesce a provocare effetti del genere, allora quando ho comprato questo solaris ho fatto un vero affare.»
Delanna si alzò. «Grazie per avermela lasciata usare,» gli disse. «E per avermi permesso di usare l’unità di lavaggio.» Con un gesto indicò l’unità di lavaggio in cui stavano ancora ruotando i vestiti. «Adesso mi sento molto meglio.»
«Hai un aspetto magnifico.» Jay iniziò a girare intorno al letto per avvicinarsi a Delanna. «Sapevi che i tuoi capelli sono perfino più luminosi del tramonto a cui abbiamo appena assistito?»
«Ehm… ora dovrei proprio andare,» balbettò Delanna, dirigendosi verso l’unità di lavaggio. «I miei vestiti dovrebbero essere quasi pronti.»
Jay la precedette. «No,» rispose, dopo avere dato una rapida occhiata ai controlli. «Ci vorrà almeno un’altra mezz’ora. Abbiamo un mucchio di tempo.» Aprì un pannello a muro sopra l’unità di lavaggio. «Cosa preferisci da bere? Ambrosia?»
«No, grazie,» rispose Delanna. «Non mi piace il suo sapore.»
«Allora un po’ di succo di scimmia.» Jay prese una tazza di ceramica e vi versò un liquido chiaro da una grande caraffa smaltata d’azzurro. Passò la tazza a Delanna e prese un’altra tazza.
«Succo di scimmia?» chiese Delanna, scrutando la tazza con aria dubbiosa.
«È acqua minerale frizzante con dentro un po’ di succo di frutta,» le spiegò Jay, versandosene anche lui una tazza. «È chiamato succo di scimmia perché d’inverno le scimmie incendiarie vivono intorno alle sorgenti termali, non perché dentro c’è un po’ di carne di scimmia macinata.»
Delanna ne bevve un sorso, con una certa cautela. L’acqua poteva anche essere sgorgata da una sorgente calda, ma era fresca e Delanna non si era resa conto di quanta sete le avesse fatto venire tutta l’acqua salata che aveva ingurgitato. Vuotò la tazza e ne chiese un’altra. «Ha un sapore di rosa,» affermò.
Jay le versò una seconda razione, mettendo la mano su quella di Delanna in modo da tenere ferma la tazza. «E tu sembri una rosa,» affermò, mentre i suoi occhi incontravano quelli di Delanna. Toccò la tazza di Delanna con la sua. «Brindo alle rose e ai tramonti e alle cene romantiche…» Si sporse verso di lei. «… E a qualsiasi cosa venga dopo…»
«A proposito di cene,» affermò Sonny.
Delanna si girò di scatto: Sonny era appoggiato allo stipite della porta.
«È quasi pronta,» affermò. «La cena, voglio dire.» Guardò Jay e scrollò le spalle. «La porta era aperta. Vieni, Delanna.»
«Non sono ancora pronta,» replicò Delanna. «Sto aspettando che i miei vestiti finiscano di essere lavati.»
«Puoi tornare a prenderli dopo cena,» propose Sonny in tono divertito. «Oppure può portarteli Jay, quando saranno pronti. Che ne dici, Jay?»
Delanna guardò Jay, aspettandosi che dicesse, Ho invitato a cena Delanna, ma invece lui annuì e rispose, «Sicuro, li porterò io più tardi.»
«Magnifico!» esclamò Sonny. «Vieni, Delanna.»
«Preferisco aspettare qui fino a quando non saranno pronti,» ribatté Delanna.
«Oh, okay,» si arrese Sonny, sempre con un tono divertito. Si allontanò dalla porta e andò a sedersi sul letto.
«Non c’è bisogno che aspetti anche tu,» gli fece notare Delanna in tono gelido. «Sono perfettamente in grado di trovare da sola la strada del ritorno.»
«Ne sono lieto,» ribatté Sonny. «Mi dispiacerebbe molto se mia moglie cadesse di nuovo nel ruscello.»
«Io non sono tua…» iniziò Delanna, infuriata.
«Penso che sarà meglio che vada a vedere cosa sta facendo il temporale,» intervenne Jay e uscì dalla porta.
«Io non sono tua moglie!» concluse Delanna non appena Jay fu andato via. «E tu non hai alcun diritto di seguirmi.»
Sonny si alzò. «La legge dice che lo sei,» replicò, «e tutti i componenti della carovana pensano che tu lo sia. Cosa pensi che stiano dicendo sul fatto che sei venuta qui da sola con Madog? Ha sedotto ogni donna nubile su Keramos, e metà di quelle sposate. Jay è uno che ha la lingua svelta, Delanna. Non voglio che tu cada in…»
«Non ho bisogno dei tuoi consigli o della tua protezione!» lo interruppe Delanna. «Jay mi ha invitato a cena e io intendo rimanere.»
«Molto bene,» replicò Sonny. «Allora rimarrò anch’io.» Afferrò un cuscino, lo sprimacciò ben bene e vi si appoggiò con espressione beata.
«Tu…» Delanna lo fissò furiosa, tanto arrabbiata da non riuscire neppure a parlare. Però poi ci riuscì e disse la prima cosa che le venne in mente. «Tu invece te ne vai subito.»
Sonny intrecciò le mani dietro la testa. «Quando arriveremo nel nostro lanzye, potrai comportarti come preferisci,» affermò, «ma fino a quando non saremo a Milleflores, non permetterò che tu divenga lo zimbello di quelli che spettegolano via radio, né che, per colpa tua, lo divenga io.»
Jay entrò di nuovo; sul volto aveva un’espressione guardinga.
«Delanna mi ha detto che l’hai invitata a cena insieme al suo novello sposo,» dichiarò Sonny. «È molto gentile da parte tua. Cosa fa il temporale?»
Qualcuno bussò alla porta. Jay andò ad aprire.
«Ma come mai non si riesce a far sedere nessuno a tavola quando la cena è pronta?» chiese Cadiz. Entrò nel solaris e Delanna vide che aveva portato con sé la pentola di stufato. Cadiz rivolse un’occhiata eloquente prima a Sonny, sdraiato sul letto, poi a Delanna. «E allora, visto che non sono riuscita a far venire nessuno per cena, ho deciso di portarvela direttamente.»
«Fantastico!» approvò Sonny. Si alzò dal letto. «Ti aiuterò ad apparecchiare.» Prese la pentola dalle mani di Cadiz e la poggiò sul tavolino, che quasi sparì sotto di essa, poi iniziò ad aprire i pannelli a parete.
«Davvero un bel solaris, Madog,» si complimentò Cadiz, guardandosi intorno con un’espressione di approvazione. «Come mai non mi hai mai invitato a fare una doccia sonica? Hai visto il fronte di quel temporale laggiù? Secondo te quanto a nord si spinge?»
«Troppo lontano per poterlo aggirare,» replicò Jay.
Sonny passò a Jay una ciotola di stufato e un cucchiaio. «Di quanti giorni ci farà rallentare?» chiese.
«Un bel po’, se è così esteso come penso che sia. Forse impiegheremo un paio di settimane in più, se non dobbiamo deviare verso sud e raggiungere il ponte. Altrimenti, ci metteremo un mese in più.»
Non posso sopportare di vivere un altro mese in questa situazione, pensò terrorizzata Delanna. Poi si sedettero tutti sul letto — Cadiz si mise al centro, con le gambe incrociate — mangiarono lo stufato e discussero sui vantaggi di rinunciare subito ad aggirare il temporale e di dirigersi direttamente a sud, verso il ponte, qualsiasi cosa significasse. Jay e Sonny sembravano essersi completamente dimenticati di lei.
«Ho un nuovo programma che dovrebbe servire a integrare i dati dei sondaggi con quelli del satellite e a indicarci il percorso migliore,» spiegò Jay, mangiando lo stufato, «ma quel dannato affare è troppo complicato. Non riesco neppure a visualizzare una mappa che mostri il percorso del temporale.» Passò la sua ciotola vuota a Cadiz e si avvicinò al terminale. «Ehi, ma la mappa è sullo schermo!» Si sedette. «Il temporale non è poi così grosso come pensavo. Forse, dopo tutto, possiamo dirigerci a nord per aggirarlo.»
Sonny lo raggiunse e rimase alle sue spalle, Cadiz strisciò sul letto fino a un punto da cui poteva osservare lo schermo.
Delanna era ancora così furiosa con tutti loro, che riusciva a parlare a stento, ma voleva dare un’altra occhiata alla mappa. Se il temporale era abbastanza piccolo da potere essere aggirato, questo significava che avrebbe dovuto trascorrere meno tempo con loro. Girò intorno al letto e si mise dall’altro lato di Jay.
«Questa è la posizione attuale del temporale?» chiese Cadiz, inginocchiandosi sul letto e appoggiandosi alle spalle di Jay.
«Sì,» rispose lui. «I dati provengono direttamente dal satellite.» Fissò accigliato la tastiera. «Sto tentando di ottenere un ingrandimento, ma non riesco a…» Toccò due icone e la mappa si congelò improvvisamente.
«Tocca l’icona APRI FINESTRA,» suggerì Delanna.
Jay la guardò come se l’avesse vista per la prima volta.
«Così comparirà una griglia,» spiegò Delanna. «Seleziona l’icona APRI FINESTRA, inserisci le coordinate del punto che vuoi ingrandire e poi tocca ZOOM.»
Adesso la stavano guardando tutti come se improvvisamente la sua pelle fosse diventata di un verde intenso.
«Tu sai come far funzionare questo programma?» chiese Jay in tono incredulo.
«Ma certo,» replicò Delanna, accigliandosi per la sorpresa. «Si tratta di un semplice programma per l’integrazione e l’interpretazione di dati statistici. Seleziona l’icona APRI FINESTRA,» ripeté.
Jay lo fece e sulla mappa comparve una griglia numerata. Allora fece scorrere le dita lungo le linee, inserì le coordinate e toccò ZOOM. La mappa ingrandì la sezione desiderata.
Il temporale occupava quasi l’intero ingrandimento, ma Sonny indicò la parte superiore dello schermo e affermò, «Guardate: le sezioni non sono neppure collegate.»
«Puoi darmi una lettura di densità delle nuvole?» chiese Jay.
«Seleziona le nuvole, poi tocca MISURAZIONI e seleziona ANALISI,» spiegò Delanna, ma Jay si alzò e con un gesto la invitò a sedersi di fronte al terminale. Allora Delanna si sedette e inserì i comandi che le avrebbero fornito una lettura di densità.
«Ma guarda!» esclamò Sonny. «Zero virgola quattro cinque. Non sono abbastanza dense per essere cariche di pioggia.»
«Abbiamo bisogno dell’immagine del sottosuolo,» affermò Jay.
Delanna richiamò il menu e lesse la configurazione necessaria per eseguire un esame della densità del sottosuolo. Fece apparire l’immagine usando i dati del satellite, poi la sovrappose all’immagine del raggio di ritorno. Adesso la pianura di sale sembrava pili un guscio d’uovo incrinato che una padella; molte delle crepe erano piene di acqua, rappresentata in verde, la cui direzione di scorrimento era indicata da una luce lampeggiante. Delanna seguì con un dito una spessa linea verde e chiese al terminale vega di interpretarla.
«È il fiume sotterraneo!» esclamò Jay nello stesso istante in cui il terminale visualizzò la risposta. «Quel ruscello in cui ti sei tuffata scorre nel sottosuolo fino a poche miglia da qui. Credo che abbia mutato di nuovo corso a causa delle colate di lava.»
Adesso Delanna vide i tentacoli di lava che provenivano da est rispetto alle nuvole temporalesche e lambivano la confluenza dei vari ruscelli, prima che svanissero nel sottosuolo. Non riuscì a capire come questo potesse influenzare il corso di un fiume fino a quando non si rese conto che il flusso d’acqua era stato deviato verso una regione costituita, secondo l’analisi del computer, principalmente di gesso e sale, entrambi solubili in acqua.
«Di solito noi ci teniamo a sud della pianura di sale,» spiegò Cadiz, «ma gli incendi a sud-est sono tanto grandi che o attraversiamo la pianura di sale, o facciamo tutta la strada fino al ponte.»
«È impossibile stabilire fino a che profondità il fiume abbia eroso il gesso e il sale,» affermò Jay. «Almeno basandosi su queste immagini. Pensavo che questo programma fosse uno strumento di analisi fantastico, ma questi dati sono già vecchi di due settimane.»
«Davvero?» chiese Delanna; a lei sembrava un trasmissione in tempo reale, visto che mutava costantemente.
Annuendo, Jay allungò una mano oltre Delanna e toccò l’icona della fonte dati. Delanna vide che due settimane prima aveva pagato per ricevere dal satellite un aggiornamento completo delle banche dati. Solo le immagini del raggio di ritorno erano in tempo reale, e gratis; Delanna notò che provenivano dal canale di trasmissione pubblico. Aveva utilizzato il programma di analisi nel modo in cui lo aveva sempre fatto a scuola, dove aveva conosciuto meglio il contenuto delle banche dati e le fonti a cui attingevano. Allora attivò alcuni indicatori di funzionamento standard, in modo da non essere più colta di sorpresa, memorizzò i dati vecchi di due settimane sotto l’immagine tremolante del raggio di ritorno e si accigliò.
«Se avessi a disposizione un buon albero di probabilità, probabilmente questo programma sarebbe in grado di mostrarci la situazione attuale,» rifletté.
«Nel mio database ce n’è uno davvero ottimo,» rivelò Jay. «Se puoi migliorare quell’immagine, vale la pena di dargli un’occhiata.»
Era un albero di probabilità semplice ma molto buono. Delanna riuscì a focalizzarlo sul centro della pianura di sale. Ingrandì sulla pianura, selezionò il fiume sotterraneo che seguiva il suo probabile corso di due settimane prima, poi aggiunse le nuvole temporalesche.
«Dacci un ingrandimento di Spencer’s Wagon,» le chiese Sonny, indicando una macchia azzurra in un’area sullo schermo colorata di un rosso intenso.
La fecero lavorare per più di mezz’ora. Ma dopo pochi minuti, Cadiz sbadigliò, si alzò dal letto e annunciò, «Questa è stata una serata davvero romantica, Jay, ma ora devo proprio andare.» Prese la pentola e uscì. I due uomini non sembrarono neppure accorgersene.
«Se il temporale non devia verso nord stanotte, penso che riusciremo ad arrivare a Spencer’s Wagon,» annunciò finalmente Jay. «Delanna, puoi inserire i dati dei sondaggi?»
Lei consultò di nuovo il menu e chiese le istruzioni. «Sì.»
«Bene. Stasera manderò Nagle e Pierce a compiere i sondaggi preliminari e domani mattina ci dirigeremo verso Spencer’s Wagon. Grazie, Delanna.»
Lei lo guardò. «Abbiamo finito?»
«Per questa sera, sì,» rispose Jay. «Domani avrò ancora bisogno di te per inserire i dati preliminari. Ora devo andare a parlare con Nagle e Pierce.»
Andò via. Delanna spense il terminale e rimase seduta fissando lo schermo vuoto. Tanti saluti alle rose, ai tramonti e alle cenette romantiche, pensò. E a quello che viene dopo.
«Allora, possiamo andare?» le chiese Sonny. «Adesso i tuoi vestiti dovrebbero essere pronti.» Si avvicinò all’unità di lavaggio e iniziò a tirarli fuori.
Delanna tentò di pensare a qualche risposta devastante, non ci riuscì e allora uscì dal solaris di Jay. All’esterno era buio, erano comparse le prime stelle e le lune di Keramos erano a un terzo del loro cammino nel cielo. Il temporale si stagliava come una muraglia nera contro l’orizzonte. Sembrava più vicino di prima e, mentre Delanna lo osservava, un lampo illuminò la porzione centrale di nuvole. Delanna iniziò a scendere lungo le cenge rocciose, desiderando di avere portato una torcia, e quasi cadde.
«Sta’ attenta,» la avvertì Sonny, afferrandola per il braccio.
Delanna scostò rabbiosamente il suo braccio. «Non ho bisogno del tuo aiuto!» replicò in tono tagliente. «So prendermi cura di me stessa.»
«Molto bene,» rispose Sonny. Lasciò cadere il mucchio di vestiti tra le braccia di Delanna, saltò rapidamente da una cengia all’altra e scomparve nell’oscurità.
«E non sono tua moglie!» gli gridò dietro Delanna.
CAPITOLO OTTAVO
Partirono per Spencer’s Wagon non appena il sole fu abbastanza alto da caricare lentamente le batterie solari. Faceva già caldo, l’aria era diventata oppressiva e appiccicosa. Cadiz accese il condizionatore, ma Sonny le ordinò di spegnerlo.
«Il motore non è stato ancora aggiustato,» le spiegò. «Non voglio sottoporlo a nessuno sforzo inutile.»
Aveva lavorato sul motore per tutta la notte. Quando Delanna era tornata al loro accampamento, Sonny era già sotto il solaris, mentre Cadiz reggeva una lanterna per fargli luce. «Cavolo, che serata romantica!» aveva esclamato Cadiz quando Delanna si era avvicinata. «Tutta a base di sondaggi e griglie e sottosuoli!» Aveva battuto le mani con aria drammatica.
«Tieni ferma la lanterna, Cadiz,» le aveva ordinato Sonny da sotto il solaris.
«Vorrei che Madog chiedesse a me di fare funzionare un programma per il calcolo delle probabilità,» aveva commentato Cadiz.
Delanna l’aveva ignorata, era entrata nel solaris e si era addormentata accanto a Cleo. Quando Cadiz l’aveva svegliata, commentando in tono allegro, «Pensavo che ti sarebbe piaciuto fare un altro tuffo nel ruscello prima di partire,» Sonny stava ancora lavorando al motore.
Ovviamente era riuscito a ripararlo alla meno peggio, in modo che il solaris fosse in grado di mantenere la velocità con cui avanzava la carovana, ma Delanna sentiva la trasmissione gemere ogni volta che risalivano un pendio e Sonny si piegava con aria tesa sui quadranti, controllando continuamente il livello dell’energia solare, quello dell’energia del motore e la velocità, senza rispondere alla domande di Cadiz.
Cadiz accese la radio, cosa che evidentemente non rischiava di guastare il motore, visto che Sonny non le intimò di spegnerla, poi iniziò a ruotare la manopola, tentando di trovare un segnale abbastanza forte.
«…e così Sonny va a tirarla fuori e lei sgocciola acqua salata e sputacchia come una gallina in un temporale e lui le dice, ‘Cosa diavolo stavi facendo?’ e lei risponde, ‘Volevo fare un bagno!’ Ma ci credete? ‘Volevo fare un bagno!’»
«Spegni la radio, Cadiz,» ordinò Sonny.
«Sto tentando di captare qualche collegamento via satellite per vedere cosa dicono sul temporale,» rispose Cadiz, continuando a ruotare la manopola.
«…preparando la cena e poi, improvvisamente, ci finisce dentro fino alle orecchie. La madre ha speso tutti quei soldi per mandarla in qualche scuola esclusiva e non sa neppure stare alla larga da un ruscello di sale. È così che ha detto Tom…»
«È Far Reach,» commentò Sonny.
«Lo so.» Cadiz stava sogghignando. «Le notizie viaggiano in fretta, vero?» Ruotò la manopola di un’altra frazione verso destra.
«…quasi annegata…»
«…detto a Edgar: Sonny Tanner non avrebbe dovuto sposare una Straniera. Non hanno più buonsenso di…»
«…ha inghiottito tanto sale da poterci conservare un…»
Cadiz ruotò completamente la manopola e poi ricominciò da capo, cambiando frequenza non appena identificava chi stava parlando o quando Sonny esclama, «Cadiz!» Ma non faceva alcuna differenza: la notizia era su ogni banda di frequenza.
In versioni assortite: Delanna era inciampata per colpa dei tacchi alti ed era caduta nel ruscello; ci si era tuffata; Sonny si era tuffato per salvarla; c’erano voluti sei uomini per tirarla fuori; Sonny aveva dovuto praticarle la respirazione bocca a bocca.
Solo una voce menzionò la doccia sonica che aveva fatto nel solaris di Jay.
«Ma senza dubbio non può essere così stupida da andare da sola nel veicolo di Jay!» intervenne una voce femminile, piacevolmente scossa.
«Te l’ho detto, è una Straniera,» rispose l’altra voce, anch’essa di donna, in un tono che indicava chiaramente che una Straniera poteva essere così stupida. «Ma Sonny non glielo ha permesso ed è andato con lei. Sonny Tanner non avrebbe mai lasciato sua moglie da sola con Madog, come ha fatto Emil Vanderson.»
La donna proseguì raccontando una storia ricca di dettagli coloriti i cui protagonisti erano la moglie di Emil Vanderson, Jay e un fienile. Delanna sprofondò nel sedile, pregando che una macchia solare interrompesse il segnale e cercando di immaginare quale sarebbe stato il modo più doloroso per uccidere Cadiz.
Non lascerò che tu diventi lo zimbello di quelli che spettegolano via radio, l’aveva avvertita Sonny. Be’, ovviamente lo era diventata, però almeno non stavano spettegolando sulla doccia sonica che aveva fatto nel solaris di Jay. Quello che era davvero accaduto non era molto importante: quegli zotici erano ovviamente capaci di inventarsi qualsiasi particolare di cui non fossero a conoscenza. E di sbandierarlo all’intero pianeta. Avrebbe dovuto essere felice che tutto quello che stavano dicendo su di lei era che aveva tentato di fare un bagno nel sale.
E sicuramente Sonny sedeva impettito nel sedile anteriore, pronto a dire, Te l’avevo detto, aspettando che lei lo ringraziasse per avere protetto la sua reputazione da un branco di stupidi pettegoli, aspettando che Delanna ammettesse, Hai ragione, non so prendermi cura di me stessa. Grazie per avermi salvato da un fato peggiore della morte. Che borioso, superbo…
«’Non puoi farti una nuotata lì dentro,’ dice Sonny,» spettegolò la prima donna. «Ma lei lo sta a sentire? No. Si toglie quei suoi vestiti da gran signora e…»
«Spegni quella radio, Cadiz,» intimò Sonny in tono brusco. «Voglio sentire il rumore del motore.»
«Stavo soltanto tentando di trovare qualche notizia sul temporale,» protestò Cadiz, però obbedì.
Per un minuto rimasero entrambi in ascolto del motore, che emetteva un ronzio irregolare, poi Sonny disse, «Mi dispiace, Delanna. In questo periodo dell’anno i coloni non hanno molto da fare e la maggior parte di loro vivono a centinaia di miglia di distanza gli uni dagli altri. La radio è il loro unico divertimento.»
Il tono di scusa usato da Sonny sembrava sincero, ma questo non fece altro che fare arrabbiare Delanna ancora di più.
Che borioso, condiscendente… ribollì dentro di sé. Quando arriveremo a Spencer’s Wagon, telefonerò a Maggie Barlow e le dirò che non me ne importa nulla dell’eredità. Voglio che mi metta in condizione di andare via da questo pianeta subito! Perfino firmare un contratto di servitù perpetua sulla Scoville sarebbe meglio di questo.
Si girò sul piccolo sedile posteriore in modo da poter vedere fuori dal finestrino laterale e scrutò l’orizzonte, in cerca di segni di civiltà, ma non ne trovò nessuno; quando Sonny fece affiancare il solaris al rimorchio di quello che lo precedeva e parcheggiò, i segni di civiltà brillavano per la loro assenza.
Il luogo in cui si erano fermati sembrava esattamente identico a quello in cui si erano accampati il giorno precedente, solo che era più caldo e non c’era nessun ruscello. Delanna non vide alcun segno di vita, tranne un macchia di arbusti, apparentemente morti, a cento metri sulla sinistra.
«Qui intorno non c’è nulla in cui tu possa cadere,» osservò Cadiz. Si allontanò per andare a controllare il temporale, i cui lampi illuminavano ancora l’orizzonte, mentre Sonny sollevava la carrozzeria del solaris.
Delanna scese e girò intorno al muso del solaris per chiedergli quanto tempo ci sarebbe voluto per arrivare a Spencer’s Wagon, ma Sonny era già scomparso sotto il solaris. Allora Delanna diede da mangiare a Cleo e poi tornò a sistemarsi sul sedile anteriore, decisa a non fare nulla di cui gli zotici locali avrebbero potuto sparlare via radio.
Jay si avvicinò, si piegò verso il solaris e gridò a Sonny, «Nagle e Pierce sono appena tornati! Porto Delanna nel mio solaris per inserire i dati preliminari.»
Sonny borbottò qualcosa che suonò tipo, «Bene,» e Jay prese il braccio di Delanna e la condusse fino all’inizio della carovana. «Stamattina sembri ancora più bella di ieri sera,» si complimentò.
«Grazie,» replicò Delanna in tono rigido, arrabbiata con Jay perché aveva ritenuto necessario chiedere il permesso a Sonny di venirla a prendere. La trattavano entrambi come se fosse un oggetto, però evidentemente a Sonny non importava più se veniva criticata via radio, perché non aveva fatto nessuna mossa per seguirli, ma aveva semplicemente permesso a Jay di camminare accanto a lei sotto gli occhi dell’intera carovana. «Quanto dista da qui Spencer’s Wagon?» gli chiese.
«Circa quaranta miglia,» rispose Jay, indicando il punto da cui Cadiz e metà della carovana stavano osservando il temporale. «L’ultimo mezzo miglio è tutto in discesa.»
«In discesa?»
«Sì. Da queste parti abbondano le doline. Un paio di anni fa Rick Spencer ha ci ha rimesso un rimorchio proprio in una di esse.»
Ah, ecco spiegato il nome, pensò Delanna. Avrei dovuto immaginarlo. «Da qui in poi ci sono delle città?»
«Temo di no. Ma copriremo questo tratto di strada in pochissimo tempo e poi ci dirigeremo verso il manico della padella, se il programma fa il suo lavoro,» affermò Jay, aprendo la porta del suo veicolo.
Fece sedere Delanna di fronte al terminale, le passò i dati preliminari e poi le si accovacciò accanto, con la guancia vicinissima a quella di Delanna mentre lei inseriva i dati.
«Fantastica,» le mormorò all’orecchio quando iniziò a comparire l’immagine, ma Delanna non riuscì a stabilire se si riferisse a lei, oppure all’immagine sullo schermo.
La tastiera esclusivamente alfanumerica la rendeva più impacciata del solito e così le ci volle più tempo del previsto per eliminare i dati inutili. Ma finalmente riuscì a inserire i dati dei sondaggi eseguiti la sera precedente in uno schema che il programma sapeva come interpretare e l’immagine iniziò a comparire sullo schermo.
«Fantastica,» mormorò di nuovo Jay e le sue labbra quasi le sfiorarono la guancia.
«Salve,» salutò Cadiz. «Ho dimenticato il mio mestolo.» Entrò nel solaris e rivolse un’occhiata a Delanna. «Quello che ho usato per lo stufato di ieri sera. Devo averlo lasciato qui.»
«Il tuo mestolo?» ripeté Jay in tono inespressivo.
«Sì. Deve essere qui da qualche parte,» rispose Cadiz, ma invece di guardarsi intorno, si avvicinò al terminale. «E allora, come vanno le cose?»
Era tanto chiaro che si trattava di una scusa e Cadiz sembrava così irritata di essere lì che era ovvio che era stato Sonny a mandarla. E così, pensò Delanna, gli importa ancora di non lasciarmi diventare un altro pettegolezzo sulle imprese di Jay trasmesso via radio. Provò una strana sensazione di piacere.
«Stanno andando bene,» replicò Jay. «Fino a questo momento, le infiltrazioni non costituiscono un grosso problema.» Indicò l’immagine sullo schermo. «Penso che riusciremo a passare di qui,» spiegò, tracciando un percorso con le dita. «Se questa sezione tiene.» Indicò una sezione ancora bianca.
Delanna inserì il resto dei dati preliminari e chiese al computer di prevedere i sondaggi di densità del satellite. L’immagine cambiò, mostrando le letture multisensorie più probabili, ma la sezione indicata da Jay rimase bianca.
«Dovrò mandare di nuovo fuori Pierce e Nagle,» commentò Jay, annotando le coordinate. «E sarà meglio che mandi anche una squadra per verificare quanto è larga,» aggiunse, indicando la parte più stretta del percorso che aveva tracciato. «Delanna, tu puoi rimanere qui, se vuoi, ma ci vorranno parecchie ore. Cadiz, vuoi riportarla indietro all’accampamento?»
«So trovare da…» iniziò Delanna, ma Jay era già andato via. «So trovare da sola la strada del ritorno,» concluse rivolta a Cadiz.
«Sai, Sonny non vuole che tu cada in qualche buco,» si giustificò Cadiz. Attese mentre Delanna stampava una copia della mappa e poi uscì insieme con lei.
«Dove sono questi buchi in cui si suppone io non debba cadere?» chiese Delanna mentre si avviavano.
Cadiz indicò in direzione del temporale. «Iniziano a circa mezzo miglio oltre il posto in cui siamo accampati. Qui siamo ancora sulle rocce scistose. Ma non avventurarti oltre.»
«C’è qualcos’altro che non mi hai ancora detto? Scimmie incendiarie? Piante velenose? Pozze di catrame?»
Cadiz scosse la testa. «Le scimmie incendiarie non sono così stupide da spingersi fin qui.» Indicò la macchia di arbusti. «Laggiù ci sono degli arbusti reddsie e qualche palma del sale, ma nulla di speciale.» Si sventolò con la mano. «Ragazzi, che caldo!»
Aveva ragione. L’aria era così spessa e appiccicosa che Delanna aveva l’impressione di nuotarci dentro. Si fermò e si girò a osservare il temporale. «Vorrei che si dirigesse verso di noi e rinfrescasse l’aria.»
«Non dirlo neppure,» la avvertì Cadiz, «a meno che non voglia passare le prossime tre settimane bloccata qui oppure in solaris, diretta a sud, verso il ponte.» Fissò il temporale. «Pensi che sia stia avvicinando?»
«No,«rispose Delanna. Le nuvole non sembravano essersi avvicinate, però sembravano più nette, più definite e, dopo che le due ragazze furono tornate al loro campo, Delanna pensò di avere udito un fioco rombo di tuono.
Cadiz andò a osservare il temporale dall’inizio della carovana. Sonny era ancora sotto il solaris, mentre Cleo era sotto uno dei pannelli solari, sdraiata all’ombra con le zampe completamente estese.
«L’ho lasciata uscire,» spiegò Sonny a Delanna, scivolando da sotto il solaris per concedersi un minuto di riposo. «Nel solaris faceva troppo caldo. Adesso che può godersi un po’ d’ombra sembra contenta. Non pensò che scapperà via. Hai inserito i dati preliminari?»
«Sì,» rispose Delanna e fu sul punto di aggiungere in tono brusco che non aveva bisogno di un’accompagnatrice, ma Sonny era già scivolato di nuovo sotto il solaris.
Delanna entrò nel solaris, ma era caldo come un forno. Uscì di nuovo, si sedette accanto a Cleo e si sventolò usando il cappello di Cadiz. Si appoggiò alla fiancata e tentò di dormire, ma faceva troppo caldo e riuscì solo a sonnecchiare. Venne svegliata da un coro di starnazzi oltraggiati.
Si avvicinò alla gabbia delle oche e scoprì che Cleo le stava infastidendo, sporgendo una delle zampe anteriori oltre le sbarre della gabbia. Una delle oche aveva deposto un uovo; era molto piccolo rispetto alla media, ma a Cleo non importava: gli scarabei tentavano di covare qualsiasi uovo su cui riuscissero a mettere le zampe. Cleo era impegnata nel tentativo di sottrarre all’oca l’uovo.
«Cattivona!» la rimproverò Delanna, poi la prese tra le braccia. «Qualcuno potrebbe vederti!»
Portò Cleo di nuovo al campo e la depositò all’ombra del pannello solare, le ordinò di rimanere lì, poi tornò indietro e diede da bere alle oche, versando l’acqua in piatti disposti ai quattro lati della gabbia, in modo che gli animali non avessero bisogno di accalcarsi, rischiando di soffocare. Poi tornò indietro e si sedette di nuovo accanto al solaris.
Il pomeriggio si trascinò stancamente. Vide Jay dirigersi verso di lei e si alzò, spolverandosi la gonna di Cadiz, ma lui si fermò a due accampamenti di distanza, parlò con l’uomo che l’aveva rimproverata per avere bloccato la luce del sole e si avviò con lui di nuovo verso l’inizio della carovana.
Anche Delanna si avviò in quella direzione, pensando che camminare l’avrebbe fatta sudare e che così si sarebbe rinfrescata, ma non servì a nulla. Il temporale sembrava essersi allontanato leggermente, le sue nuvole brillavano di un bianco luminoso nel sole del pomeriggio. Delanna notò che c’erano più persone a osservarle di quante ce ne fossero state in precedenza, ma tra di esse non scorse Cadiz.
Tornò al loro accampamento, pensando che perfino un bagno di sale le sarebbe sembrato rinfrescante, bevve un bicchiere d’acqua e riempì una ciotola d’acqua per Cleo. La poggiò accanto al pannello solare, ma Cleo non era lì.
Delanna si accovacciò e scrutò sotto il solaris. Sonny la fissò ammiccando, il volto sporco e striato di sudore. «Cleo è lì sotto con te?» gli chiese.
«No,» rispose lui, poi riprese subito a svitare qualcosa.
Delanna si raddrizzò e si guardò intorno; preoccupata. Cosa sarebbe successo se Cleo fosse entrata in uno degli altri accampamenti e qualcuno l’avesse vista? Iniziò a camminare lungo la fila di solaris, cercando Cleo e, nello stesso tempo, sforzandosi di non darne l’impressione.
Negli accampamenti non si muoveva nessuno; tutti erano allungati all’ombra dei pannelli dei solaris, oppure erano sulla cengia, impegnati a osservare il temporale. Delanna non udì urla o strilli, il che era un buon segno, ma poteva anche significare che nessuno aveva visto lo scarabeo fino a quel momento.
«Cleo,» chiamò a bassa voce sporgendosi sotto un rimorchio. «Cleo!» Lo scarabeo era troppo timido per essersi allontanato in cerca di persone, ma sarebbe potuto andare in cerca di uova. Tom Toricelli, tre veicoli più giù lungo la fila, aveva delle galline che stava portando a casa da Grassedge. Delanna si avviò verso la loro gabbia.
Dietro di lei, dalla gabbia delle oche provennero starnazzi terrorizzati.
«Cleo!» esclamò Delanna in tono disgustato e tornò verso i rimorchi. Cleo non era lì, ma era chiaro che se n’era appena andata: le oche si erano radunate nell’estremità più lontana della gabbia e i loro starnazzi isterici spiegavano a quale terribile persecuzione fossero state sottoposte.
Delanna osservò con attenzione gli altri rimorchi intorno a quello delle oche, poi si girò verso il solaris di Sonny, ma Cleo non si vedeva da nessuna parte. Non si sarebbe mai allontanata dall’accampamento, anche se le oche stavano guardando proprio in quella direzione. Lo scarabeo era ancora tanto traumatizzato da Keramos e dai suoi abitanti da raggomitolarsi a palla ogni volta che udiva un rumore sconosciuto; e poi, anche se si fosse allontanato nella pianura, Delanna sarebbe riuscita a vedere facilmente il suo carapace, il cui colore brillante spiccava contro la sabbia chiara.
«Cleo!» chiamò, sperando che lo scarabeo sarebbe comparso tra due dei rimorchi.
Delanna sollevò la mano per schermarsi gli occhi e scrutò il paesaggio polveroso. Tra la gabbia delle oche e la macchia di arbusti dall’aria decisamente defunta, a cento metri di distanza, non c’era neppure una roccia. Ovviamente Cleo non poteva essere andata da quella parte.
«Ma dov’è andata?» chiese Delanna alle oche, poi si voltò a metà per vedere se lo scarabeo fosse strisciato sotto uno dei rimorchi. Mentre lo faceva, qualcosa lampeggiò accanto alla macchia di arbusti.
«Cleo!»
Lo scarabeo era quasi arrivato alla macchia, muovendosi rapidamente, e apparentemente senza alcun timore, sulle zampe in piena estensione.
«Cleo, torna indietro!» chiamò Delanna, anche se parlare allo scarabeo era utile quanto parlare alle oche.
Diede un’occhiata al solaris di Madog, ma non c’era nessuno in vista e Cleo stava già scomparendo tra i cespugli.
Delanna iniziò a correre: un grosso errore in quel calore soffocante. Quando raggiunse la macchia di cespugli, ansimava pesantemente e la camicia prestatale da Cadiz era fradicia di sudore.
Vista da vicino, la macchia di arbusti aveva un aspetto ancora più lugubre: i rami privi di foglie degli arbusti secchi si intrecciavano in un intrico impenetrabile, sotto il quale Delanna fu costretta a chinarsi.
Si accovacciò, scrutando nell’ombra, poi chiamò lo scarabeo, che era strisciato fino al centro esatto della macchia e poi si era fermato. Evidentemente il suo spirito d’avventura, acquisito tanto di recente, era già scomparso e l’animaletto si era raggomitolato a palla per la paura.
«Vieni qui, Cleo,» chiamò Delanna. «Ti piacerebbe bere un po’ d’acqua? Dai, vieni qui.»
Dalle scaglie di Cleo non provenne neppure un fremito.
«Dico sul serio, Cleo,» proseguì Delanna in tono severo. «Vieni qui. Non costringermi a venirti a prendere.»
Ma era chiaro che sarebbe stata costretta a fare esattamente questo. Si alzò e camminò lungo il bordo della macchia di arbusti, tentando di trovare il modo di superare l’intrico dei rami, poi si voltò a guardare la carovana. Le gambe di Sonny non spuntavano più da sotto il solaris. Doveva averlo aggiustato, oppure aveva raggiunto tutti gli altri, ancora impegnati a osservare i fulmini che sembravano non avvicinarsi mai. Lampeggiavano ancora all’orizzonte, troppo lontani per biforcarsi.
Delanna si mise in ginocchio. Cleo non si era mossa. Allora la ragazza si sporse verso la macchia di arbusti, sperando che Cadiz avesse detto la verità e che non ospitasse pericolose forme di vita locali. Per fortuna poteva vedere il terreno. Il sottobosco era completamente assente, tranne un paio di rami nodosi, seccatisi per il calore. Ma forse si trattava di un paio di serpenti abilmente mimetizzati da rami.
«Cleo, vieni fuori di lì in questo istante,» ordinò Delanna in tono severo. «Non costringermi a venire a prenderti,» minacciò, poi si decise a entrare.
Lo spazio tra i rami era sufficiente solo per strisciare sullo stomaco. Evidentemente all’esterno doveva soffiare una leggera brezza, anche se Delanna non l’aveva percepita, perché, sotto i cespugli, la temperatura era più alta di almeno dieci gradi. Se Cleo si era infilata lì dentro pensando che avrebbe fatto più fresco, aveva commesso un grave errore. Ecco perché probabilmente era così immobile: aveva avuto un colpo di calore o qualcosa del genere.
Lo spazio sotto i cespugli divenne ancora più basso e così Delanna fu costretta a proseguire con il volto praticamente nella polvere e poi si ritrovò a pochi centimetri da Cleo.
Si alzò e si guardò intorno. Dall’esterno, aveva avuto l’impressione che Cleo si trovasse in uno spazio aperto in cui cresceva una specie di erba seccata dal sole e dunque si era aspettata di sbucare in una radura; invece si ritrovò in un boschetto di alberi alti, che somigliavano a delle palme, con tronchi spessi e squamosi e pochi rami biancastri che crescevano molto in alto.
Quegli alberi gettavano ben poca ombra e all’interno dello spazio delimitato dalla macchia sembrava di essere in un forno. Tra gli alberi il suolo era spoglio, con occasionali chiazze di erba bluastra. A poca distanza da Cleo, l’erba era carbonizzata, come se in quel punto qualcuno avesse accesso un fuoco da campo, anche se Delanna non riusciva assolutamente a immaginare a chi sarebbe venuto in mente di accendere un fuoco, visto quel caldo infernale: l’aria era ancora più soffocante di quanto fosse stato sotto i cespugli. Forse l’erba aveva preso fuoco per il calore, che senza dubbio sembrava abbastanza intenso da provocare fenomeni di combustione spontanea.
Delanna si guardò intorno, sperando di trovare una via d’uscita più rapida rispetto a quella d’entrata, ma la macchia di arbusti circondava completamente il boschetto e, dall’interno, i cespugli sembravano ancora più impenetrabili. Erano tanto alti e fitti che Delanna non riusciva più a vedere la carovana; inoltre sembravano tagliare fuori anche i rumori. Nel tuono assordante di quel silenzio afoso Delanna non riuscì a sentire neppure gli starnazzi delle oche.
«Usciamo subito da questo posto, brutta cattivona!» esclamò Delanna per rompere quel silenzio, poi prese Cleo tra le braccia. Lo scarabeo tese immediatamente le zampe anteriori e le unghie e si aggrappò disperatamente alla camicia di Delanna.
«Eri spaventata?» le chiese Delanna, facendo una smorfia quando sentì le unghie di Cleo serrarle la spalla. Tentò di spostarle.
Lo scarabeo stava tentando di salirle sulla spalla.
«È tutto a posto,» lo rassicurò Delanna. «Ci sono io qui.» Diede una pacca sulle scaglie di Cleo per confortarla. «Dai, dobbiamo andare a separare quelle oche prima che soffochino.»
Stringendo lo scarabeo contro il petto, si piegò per scivolare di nuovo sotto la macchia di arbusti, quando Cleo si lanciò verso la sua testa e si aggrappò con le unghie ai capelli.
«Cleo! Ma che fai?» Delanna si girò, tentando di arrivare alla zampa anteriore dello scarabeo.
Tre creature, adesso immobili, avevano formato un semicerchio intorno a lei ed erano tanto protese in avanti da essere solo leggermente più alte di Delanna. «Aaaah!» strillò la ragazza e fece un passo indietro.
«Scimmie incendiarie,» bisbigliò, anche se quelle creature non avevano certo l’aspetto di scimmie. Non erano coperte di pelliccia rossa, ma Delanna capì immediatamente cosa fossero osservando i tratti, vagamente antropoidi, delle loro facce ovali. Erano dello stesso colore dei rami morti della macchia di arbusti e ovviamente erano dei rettili: la pelle sui loro ampi petti e sulle zampe posteriori era spessa e scagliosa e le mani terminavano in artigli sottili come quelli delle lucertole.
Cleo lasciò andare i capelli di Delanna e improvvisamente si tuffò prima sulla spalla e poi tra le braccia della ragazza, circondando con le zampe anteriori il collo di Delanna, che si strinse lo scarabeo al petto e fece un altro cauto passo indietro.
E finì tra le braccia di un’altra scimmia incendiaria. Si allontanò di scatto e gridò: un urlo agghiacciante che avrebbe dovuto fare accorrere l’intera carovana, ma che venne assorbito dall’aria stagnante. Fu come se fosse stato inghiottito dalla macchia di arbusti.
Altre tre scimmie emersero da dietro gli alberi simili a palme e avanzarono, mentre i loro occhi, di un colore giallo-arancione, la fissavano senza mai ammiccare. La scimmia più grande reggeva un bastone nella mano dotata di artigli. Delanna si guardò freneticamente intorno, in cerca di un’arma, ma tra l’erba secca non trovò nulla, neppure una foglia. La creatura con il bastone lo avvicinò alla bocca e vi soffiò sopra, mentre la gola si gonfiava come quella di una rana; il bastone iniziò a brillare di un rosso smorto.
«Non sapevo che questo fosse il vostro accampamento,» si scusò Delanna, dirigendosi verso la macchia di arbusti. «Sono venuta solo a prendere il mio scarabeo.» Si girò e gridò, «Se qualcuno può sentirmi, sono tra gli arbusti! Aiuto! Sonny! Qualcuno mi aiuti! Aiuto!»
Il suono rimbalzò sugli arbusti e, come per magia, un’altra scimmia incendiaria comparve dagli arbusti e si unì al cerchio. La scimmia con il bastone che ardeva si batté la testa con la mano libera e fece un altro passo avanti.
«Non avvicinarti di più, dico sul serio,» la avvertì Delanna, tendendo un braccio per respingerla e tenendo stretta Cleo con l’altro. «Dico sul serio!»
Udì un fruscio tra i rami alle proprie spalle e si allontanò dalla macchia, timorosa di distogliere lo sguardo dalla scimmie.
Quella che era appena comparsa avanzò verso di lei.
«Sta’ lontana da me!» gridò Delanna.
L’essere tese un lungo braccio verso Delanna e sfiorò Cleo con uno dei suoi artigli. Cleo si ritrasse tanto bruscamente che Delanna la lasciò quasi cadere e fu costretta ad afferrarla come se fosse stata una palla da baseball ricevuta in modo difettoso.
Il suo movimento sembrò spaventare la scimmia, che indietreggiò a passi saltellanti, facendo dardeggiare avanti e indietro la lingua biforcuta. Quella con il bastone lo passò alla scimmia accanto a lei e avanzò, la sua mano tesa verso il volto di Delanna, che arretrò ancora. «Lasciateci in pace!» esclamò e schiaffeggiò con violenza la mano della scimmia.
«Non colpirla,» le consigliò Sonny alle sue spalle. «Così la spaventerai.»
«Spaventarla?» ripeté Delanna, mentre veniva invasa dal sollievo. Si girò per guardare Sonny. Non era strisciato sotto i cespugli: era arrivato di corsa passando attraverso di essi. «Spaventarla?»
«Non c’è alcun motivo di avere paura di loro,» le spiegò Sonny. «Sono innocue.»
La scimmia colpita da Delanna ritrasse la mano, ma stava ancora fissandola con attenzione. La sua lingua dardeggiò di nuovo.
Delanna arretrò contro Sonny. «Non mi importa se sono innocue!» esclamò. «Falle andare via.»
Sonny batté le mani e le scimmie incendiarie si dispersero immediatamente, sparendo nel folto della macchia, tutte tranne quella colpita da Delanna, che arretrò, osservando Sonny con diffidenza, ma poi avanzò di nuovo con decisione verso Delanna.
La ragazza quasi si gettò tra le braccia di Sonny, cingendogli il collo con un braccio e stringendo Cleo con l’altro. «Falla andare via!» gridò. «Falla andare via!»
«È tutto a posto,» la rassicurò Sonny, abbracciandola come se volesse proteggerla. «Non ti farà alcun male. Le scimmie incendiarie non sono aggressive.»
«Non sono aggressive?» esclamò Delanna, scostandosi da lui. «Non sono aggressive?»
La scimmia si era fermata nel punto in cui si trovava quando Delanna si era lanciata verso Sonny, ma adesso iniziò di nuovo ad avanzare. Delanna si strinse di nuovo a Sonny.
«Non riesco a capire il suo comportamento. Di solito fuggono non appena vedono un umano,» commentò Sonny in tono perplesso. «E hanno degli ottimi motivi per farlo. Si vede chiaramente che è spaventata.» Allontanò il braccio da Delanna e batté di nuovo le mani.
La scimmia incendiaria sussultò udendo il rumore, si fermò, poi fece un mezzo passo incerto verso di lei e tese la mano. Delanna premette la testa contro il petto di Sonny.
«Sono i tuoi capelli!» esclamò Sonny. «Probabilmente non ha mai visto dei capelli rossi — su Keramos ci sono pochissime persone con i capelli rossi — e forse crede che siano in fiamme. Dimostrale che non è così.»
«Cosa?»
Sonny strinse una ciocca di capelli di Delanna. «Passaci attraverso le dita,» spiegò. «In modo che possa vedere che sono i tuoi capelli.»
Delanna inclinò la testa di lato e passò le dita tra i lunghi capelli.
«Vedi?» disse Sonny. «Capelli. Niente fuoco. Niente calore. Capelli.»
La scimmia incendiaria si protese in avanti fino a quando non fu quasi piegata in due e scrutò con attenzione i capelli di Delanna.
«Lasciaglieli toccare,» le ordinò Sonny.
«Sei sicuro che non sia pericolosa?»
«Ne sono sicuro, fino a quando non mette le mani su una scatola di fiammiferi.»
Delanna inclinò ancora di più la testa e allungò una ciocca di capelli verso la mano protesa della scimmia incendiaria, che fece un altro passetto in avanti e tese un dito artigliato. Sfiorò con esitazione i capelli, senza quasi toccarli, poi ritrasse di scatto il dito e lo infilò in bocca, come se si fosse scottata.
Sonny rise. Batté di nuovo le mani, con decisione. «Adesso va’ via. Va’!»
La scimmia incendiaria scomparve dietro una delle palme, muovendosi tanto in fretta che Delanna finalmente si convinse che quelle creature erano davvero dei rettili.
«Non tornerà, vero?» chiese in tono spaventato.
«No. Hanno paura dei rumori secchi e squillanti. E degli umani. Devono essere state davvero affascinate dai tuoi capelli per farsi vedere. Stai bene?»
«Sì,» rispose Delanna. Improvvisamente le venne in mente che era ancora aggrappata a Sonny. Tolse le braccia dal suo collo e si scostò. «Erano così… Cadiz ha detto che non c’erano animali in questa macchia di arbusti… Non hanno un aspetto innocuo,» terminò in tono lamentoso.
«Questo è vero,» concesse Sonny con un sogghigno. «La prima volta che ne vidi una, mi arrampicai di corsa su un albero di palle di cannone che aveva molti meno rami di queste palme di sale.» Si avviò verso la palma dietro la quale era scomparsa la grande scimmia incendiaria.
«Sei sicuro che siano andate via?» chiese Delanna, seguendolo: non voleva che si allontanasse troppo da lei.
«Ne sono sicuro,» rispose Sonny, osservando i cespugli. «Si nasconderanno fino a quando non ce ne saremo andati, poi spero che lasceranno questa macchia.»
«Che significa che lo speri?» Delanna si avvicinò maggiormente a Sonny. «Pensavo che avessi detto che erano innocue.»
«Loro sono assolutamente innocue,» confermò Sonny. «Ma ci sono un mucchio di persone in questa carovana, compreso Jay Madog, che sparerebbero a vista su qualsiasi scimmia incendiaria. Se scoprissero che sono qui…» Sonny si girò e la fissò. «Voglio che tu mi faccia un favore,» affermò in tono serio. «Non voglio che tu dica nulla sulle scimmie incendiarie quando torneremo. Nessuno sa che sono qui. Cadiz era convinta di dire la verità quando ti ha detto che in questa macchia non c’era nulla di cui preoccuparsi. Le scimmie incendiarie si spingono di rado nelle pianure e nessun altro umano verrà qui. Stiamo per partire.»
Le poggiò le mani sulle spalle. «Sono innocue. Appiccano qualche incendio, ma non tanti quanti gliene vengono attribuiti, mangiano qualche palla di cannone. Certo, sono una seccatura, ma non meritano di essere massacrate solo perché…»
«Perché io sono stata tanto stupida da venire qui,» concluse Delanna in tono dispiaciuto.
«Perché sono state così stupide da accamparsi tanto vicino a una carovana. Per favore,» disse Sonny, guardandola con ansia.
«Non dirò nulla. In ogni caso,» aggiunse Delanna, girando la testa, «penserebbero che si tratti di un’altra storiella divertente su come la moglie di Sonny sia incapace di prendersi cura di se stessa. Probabilmente la racconterebbero per radio e si divertirebbero un mondo a riferire come ho gridato, facendo la figura della perfetta imbecille.» Si fermò e sollevò lo sguardo verso Sonny. «Ma se qualcun altro oltre te mi ha sentito gridare?»
«Io non ti ho sentito gridare,» le spiegò Sonny. «Ti stavo cercando e ho visto che ti dirigevi qui.» Esitò. «Stavo venendo a scusarmi per quello che ti ho detto ieri sera.»
«Vuoi dire il fatto che non so prendermi cura di me stessa? Ovviamente avevi ragione, oppure non sarei finita a farmi circondare da un branco di scimmie incendiarie e non ti avrei gridato di venirmi a salvare.»
Sonny sorrise. «Hai chiamato me, eh? Non Jay Madog?»
Delanna arrossì. «Sapevo che stavi lavorando al solaris,» tentò di giustificarsi. Se ne pentì immediatamente.
«Giusto,» commentò Sonny. «Sapevo che doveva esserci un motivo logico.» Si chinò e raccolse Cleo. «Andiamo. Prima lasciamo questo posto, meno possibilità ci sono che qualcuno venga a cercarci.» Si avviò verso i cespugli sotto cui Delanna aveva strisciato con Cleo appesa al collo.
Come stavo facendo io un minuto fa, pensò Delanna. «Aspetta un attimo!» esclamò.
Sonny si fermò e si girò.
«Grazie per essere venuto,» gli disse Delanna. «Ero davvero spaventata.»
«Prego.»
«E voglio scusarmi per le cose che ho detto ieri sera. Stamattina ho ascoltato la radio, dunque so che stavi solo cercando di proteggermi dai pettegolezzi.»
«I coloni possono essere molto duri, specialmente nei confronti degli Stranieri,» spiegò lui. «Una volta, durante il raccolto, mi si è aperta la cucitura dei pantaloni mentre pigiavo le palle di cannone e ne parlano ancora.» Le rivolse un sorriso. «Vieni.»
Si avviò con passo deciso verso la macchia, portando Cleo su un braccio come un bambino. Delanna iniziò a seguirlo, poi si fermò.
«Come hai fatto ad arrivare qui?» gli chiese, guardando il cerchio intatto di cespugli.
«Cosa vuoi dire?» le chiese Sonny, tendendo la mano. «Ho camminato, ovviamente.» I rami si aprirono davanti a lui. «Questi sono arbusti reddsie.» Arbusti Mar Rosso, pensò Delanna.
Poi si affrettò a seguirlo, toccando i rami sottili con la stessa cautela con cui la scimmia incendiaria le aveva toccato i capelli. I rami si ritrassero, come le zampe di Cleo, nei rami più grandi e questi ultimi a loro volta rientrarono nei rami principali, lasciandole un sentiero libero. Delanna rimase a fissarli, affascinata.
«Ah, eccovi qui!» sentì dire Cadiz. «Vi abbiamo cercato dappertutto. Pierce è tornato.»
Delanna sollevò lo sguardo. Sonny era già uscito dalla macchia di arbusti, tendendo il braccio per continuare a lasciare aperto un sentiero per Delanna e Cadiz era accanto a lui con le mani sui fianchi. «Sono qui, Jay!» gridò Cadiz, agitando le braccia. «Stanno bene.»
Delanna si affrettò a uscire dalla macchia, guardandosi ansiosamente alle spalle per assicurarsi che le scimmie incendiarie non fossero visibili da nessuna parte, ma non aveva bisogno di preoccuparsi: i rami si erano già allungati di nuovo. Ormai non era rimasto alcun segno che qualcuno vi fosse passato attraverso.
«Ma cosa stavate facendo lì dentro voi due?» chiese Cadiz, tentando di scrutare attraverso la macchia di arbusti. «Jay vi sta cercando. Ha avuto i nuovi dati.»
«La scarabeo di Delanna si era allontanato,» affermò Sonny.
«Mmm,» bofonchiò Cadiz in tono scettico. «Questo spiega cosa ci faceva lei lì, ma non tu. Cosa sta davvero succedendo?»
«Mi era persa nei cespugli,» spiegò Delanna, guardando in faccia Cadiz. «Non sapevo che si aprivano e così sono strisciata sotto di essi. Sono rimasta bloccata, ho chiamato Sonny e lui è venuto a salvarmi.»
«Vuoi scherzare,» replicò Cadiz con una risata. «Sei strisciata sotto gli arbusti reddsie! Oh, ma questa è perfino migliore del tuo tuffo nel ruscello di sale! Riesco quasi a vederti mentre strisci quando tutto quello che dovevi fare era… Aspetta che lo racconti a Jay! Questa sì che è una storia fantastica!»
Si allontanò verso la carovana, presumibilmente per andare a cercare Jay.
«Non c’era bisogno che glielo dicessi,» commentò Sonny. «Questa storia finirà in onda prima del tramonto.»
«Dovevo pur dirle qualcosa. Immagino che sia meglio che vada a cercare Jay e a inserire i nuovi dati,» replicò Delanna. «E a lasciare Cleo nel solaris, così non si allontanerà un’altra volta, mettendomi di nuovo nei guai.» Allungò la mano per prendere Cleo da Sonny.
«Sì,» commentò Sonny, ma non lasciò andare lo scarabeo. «E sarà meglio che io vada a vedere se il solaris ha deciso di partire.» Le passò Cleo. «I tuoi capelli sembrano davvero in fiamme, sai. Non mi meraviglio che le scimmie incendiarie siano pazze di te.»
Jay arrivò di corsa. «State bene tutti e due?» chiese, osservando prima Delanna e poi Sonny. «Ero preoccupato da morire quando non sono riusciti a trovarvi.»
«Sto bene,» rispose Delanna. «Sonny era con me.»
CAPITOLO NONO
Quando Delanna ebbe terminato di inserire nel programma i nuovi dati forniti da Nagle e Pierce, Jay emise un urlo di gioia mentre strappava dal terminale vega la pellicola con la nuova mappa.
«Guardate qui!» esclamò con un sorriso largo come una casa. «Un percorso che ci permetterà di procedere quasi in linea retta da Spencer’s Wagon alla fine delle pianure.»
A Delanna la linea retta sulla mappa sembrava più la zampa posteriore di un cane, ma gli spazi vuoti dei sondaggi di densità del satellite adesso erano stati colmati e il fiume sotterraneo non incrociava da nessuna parte la zampa del cane.
Jay si affrettò a fare uscire Sonny e Delanna dal solaris, alzò una bandiera gialla sull’albero e si portò fino all’inizio della colonna per guidare la carovana lungo il percorso elaborato dal computer. Cadiz accese il solaris di Sonny, che ululò come un uccello banshee e spaventò le oche, facendole precipitare in un mutismo assoluto.
«Questo affare ce la farà ad arrivare dall’altra parte delle pianure?» chiese Cadiz quando sollevò il tettuccio per farli entrare.
«Non so neppure se arriverà fino a Spencer’s Wagon,» borbottò Sonny. «Devo chiamare B.T.: lui conosce questi affari meglio di me. Forse saprà dirmi cosa c’è che non va.»
Mentre Sonny invitava con un gesto Delanna ad accomodarsi sul sedile posteriore, Cadiz si impadronì del microfono e lo attivò. «Ho bisogno di chiamare Milleflores,» annunciò in tono allegro al microfono. «Potete liberarmi la nove sei?»
Sonny piegò le lunghe gambe sul sedile anteriore, abbassò il tettuccio e con un gesto invitò Cadiz ad avviare il solaris, che emise un acuto gemito di protesta, ma iniziò a muoversi.
«Sei tu, Cadiz?» chiese una voce di donna. «Sei ancora in carovana oppure adesso sei a casa? Perché se sei a casa, dovrai aspettare per fare la tua chiamata fino a quando Kaylee non avrà finito di cambiare i pannolini del bambino. Le sto insegnando a preparare il ragù di radice selvatica e voglio che mi dica a che punto sono le carote azzurre prima di permetterle di aggiungere lo zafferano.»
«Sì, sono io, Mrs. Siddons, e sono ancora in carovana.»
«Allora perché stai chiamando Milleflores invece di casa tua?» le chiese in tono severo Mrs. Siddons. «Di’ la verità: vuoi solo parlare con uno di quei ragazzi Tanner e hai usato una priorità di carovana per togliermi da questo canale? Se Kaylee aggiunge lo zafferano troppo presto, il ragù non sarà…»
Cadiz aveva rapidamente fatto scattare l’interruttore, avvicinando il microfono alla bocca, ma Sonny glielo strappò di mano prima che potesse dire una sola parola. «Mrs. Siddons, qui parla Sonny. Per favore, sarebbe così gentile da liberare la frequenza novantasei in modo che possa effettuare una chiamata con priorità di carovana a Milleflores?»
Cadiz seguì il polverone sollevato dalla carovana oltre la macchia di cespugli reddsie finché in breve iniziarono a procedere, formando una fila sinuosa come un serpente, oltre una serie di doline. Le doline non sembravano così profonde come Cadiz aveva indotto a credere Delanna; erano circolari e avevano una profondità di pochi centimetri e un diametro di qualche metro: nulla che gli ampi pneumatici dei veicoli non potessero affrontare. «Non ho mai capito perché quando stanno cucinando sono sempre pronte a pensare tutto il peggio possibile di chiunque,» borbottò Cadiz, superando l’orlo di una delle doline. Il solaris rimbalzò bruscamente.
«Sonny, sei davvero tu?» chiese Mrs. Siddons in tono improvvisamente zuccheroso.
«Sì, signora, sono io.»
«Se Cadiz ti ha lì in carne e ossa, non capisco perché voglia parlare anche con B.T.,» commentò Mrs. Siddons.
Cadiz fece di nuovo per afferrare il microfono, ma Sonny riuscì a evitare che se ne impadronisse. «Sono io che voglio parlare con B.T., non Cadiz. Lei stava soltanto facendo la chiamata al posto mio.»
«Be’, per te sono lieta di lasciare libero il canale, ma non penso che a Milleflores risponderà nessuno. O’Hara a Winterset ha chiamato Markie Woodward per controllare se ci fossero problemi dopo la pioggia e ha detto che Harry e Wilkes stavano andando a pescare.»
«Il piccolo è di nuovo asciutto,» annunciò un’altra voce femminile. «Ora, dove eravamo rimaste? Ehi, il mio ragù sta bollendo che è una bellezza!»
«Kaylee, Sonny Tanner ha bisogno della novantasei per una chiamata con priorità di carovana a Milleflores, così dovremo aspettare un po’ mentre prova a mettersi in contatto,» spiegò Mrs. Siddons in tono dolce. «Nel frattempo tu infila una forchetta in quelle carote azzurre.»
«C’è qualcuno in collegamento che può inoltrare la chiamata a Milleflores?» chiese Sonny al microfono.
«Finirai per fargli scoppiare i timpani,» commentò Cadiz.
«A B.T. non piace pescare,» replicò Sonny, «e se fosse in casa, ogni radioamatore in grado di mettersi in contatto con Milleflores gli avrebbe detto di Mrs. Siddons e lui sarebbe già intervenuto.»
«Sara Siddons è la donna più prepotente del mondo,» commentò Cadiz da dietro la spalla a Delanna. «Però le piace Sonny, perché è l’unico che ha il coraggio di mangiare quello stufato verdastro che manda sempre a lui, a B.T. e ai ragazzi.»
«Sto inoltrando la chiamata a Milleflores,» annunciò una voce maschile, «ma se Harry e Wilkes stanno pescando, non risponderà nessuno. Due giorni fa B.T. ha inviato un messaggio in cui diceva che era tutto a posto.»
Questa volta Cadiz riuscì a strappare il microfono di mano a Sonny. «Dov’è?»
«Le carote azzurre sono tenere,» annunciò Kaylee.
«E così volevi davvero parlare con B.T.,» commentò Mrs. Siddons in chiaro tono di disapprovazione. «Aggiungi due pizzichi di zafferano, Kaylee, poi…»
«Nessuno sano di mente vorrebbe parlare con B.T., men che mai io!» ribatté Cadiz, «ma a Sonny piace sapere come se la passano i suoi fratelli quando lui è via.»
«…abbassa la fiamma e metti il coperchio sulla pentola,» spiegò Mrs. Siddons in tono calmo. «B.T. è abbastanza grande per farsi un viaggetto e i ragazzini stanno bene.»
«Be’, Mrs. Siddons, noi non stiamo bene. Questo solaris cammina a stento e Sonny ha bisogno dell’aiuto di B.T. per aggiustarlo.»
Senza dubbio era chiaro, perfino per Mrs. Siddons e per chiunque altro fosse in ascolto, che Cadiz era decisamente irritata e Delanna ebbe l’impressione che l’altra ragazza fosse dovuta ricorrere alla buona reputazione di Sonny per ottenere un minimo di collaborazione.
«Non risponde nessuno,» intervenne la voce maschile. «Dite a Sonny che manterrò attivo il segnale di chiamata fino a quando non risponderà qualcuno e poi vi ritrasmetteremo la chiamata.»
«Scommetto che B.T. è andato a trovare Mary Brigbotham,» intervenne Kaylee. «Non ho sue notizie da giorni.»
«Eh, sì, neppure io,» commentò Mrs. Siddons. «Non sarebbero una coppia meravigliosa?»
«Mary!?» quasi gridò Cadiz. Sbatté di nuovo il microfono sulla forcella e fece girare il solaris, che gemeva ancora come un uccello banshee, intorno a una dolina.
Le doline stavano diventando sempre più profonde e più larghe; quando Delanna osservò quella intorno a cui stava girando Cadiz, comprese che il solaris stava costeggiando quello che sembrava un pozzo senza fondo.
«Rallenta, Cadiz,» la avvertì Sonny.
«Sto solo tentando di raggiungere gli altri,» ribatté Cadiz, «ma questo dannato ferrovecchio non fa altro che rallentare.»
«Questa volta non ci distanzieranno troppo,» le assicurò Sonny. «Si fermeranno al winchzye.»
Cadiz rallentò, non tanto perché glielo aveva chiesto Sonny, quanto perché adesso era di nuovo visibile l’intera carovana. Il solaris di Jay, con la sua bandiera di un giallo vivo, si era fermato e gli altri solaris si stavano incolonnando dietro di esso. Cadiz si accodò all’ultimo solaris e spense i motori. Sonny aprì il tettuccio e saltò fuori.
«Spegni i motori e falli raffreddare di nuovo,» ordinò. «Io andrò ad aiutarli a predisporre gli ancoraggi.»
Delanna osservò Sonny avviarsi lungo la fila di solaris, con i suoi lunghi passi che lasciavano un sentiero di polvere dietro di lui. Non si voltò indietro e Delanna scoprì di provare un vago senso di delusione.
«Cosa stai guardando con quella faccia mogia mogia?» le chiese Cadiz. «Oggi è di me che le vecchie pettegole parleranno via radio.»
«Spero solo che tutto questo parlare di winchzye e di ancoraggi non significhi quello che penso,» affermò Delanna, distogliendo lo sguardo da Sonny. «Quando Jay ha detto che Spencer’s Wagon era mezzo miglio verso il basso, ho pensato che si trattasse di un’esagerazione.»
«Con il solaris di Jay, si scende senza problemi. Non è molto difficile sistemare gli ancoraggi e il suo argano si inceppa di rado. Non ci vorranno più di due o tre giorni per trasferire tutta la carovana giù a Spencer’s Wagon.» Spense il motore e si protese in avanti per togliersi le scarpe. «E non andrò certo ad aiutarli, a meno che non me lo chiedano espressamente. E sta’ a vedere se tenterò di chiamare di nuovo B.T. per conto di Sonny.» Fece per sdraiarsi sui sedili anteriori, ma poi si rizzò a sedere di scatto. «Dov’è il tuo scarafaggio?»
«Cleo è qui con me,» rispose Delanna, «ma lei non è…»
«…uno scarafaggio,» finì Cadiz al suo posto. «Questo lo so, tesoro, ma ci somiglia decisamente parecchio. A B.T. piacerà. A lui piacciono gli animali perfino più di quanto piacciano a Sonny. B.T. e Wilkes pensano di avere avvistato un mandarino reale a Milleflores. Se proprio vuoi saperlo, penso che se lo siano sognati. Ormai non ne è rimasto quasi più nessuno.»
Delanna ricordò che Doc Lyle le aveva parlato dei mandarini reali mentre avevano vaccinato le oche. «Che aspetto hanno?» chiese.
«Be’, secondo Doc Lyle appartengono alla specie dei mandarini, ma hanno un aspetto completamente diverso. I mandarini reali hanno piume rosse, verdi e viola, mentre quelli normali di solito hanno un colore grigiastro. A mio parere quelli grigi sono saporiti quanto quelli reali, una volta farciti di mollica di pane e di spezie, ma ci sono delle persone che affermano che il sapore dei mandarini reali è molto migliore. E ovviamente le piume grigie non servono a fabbricare bei cappellini o cose del genere, e così vengono buttate. Però i mandarini reali sono anche più facili da individuare, ecco perché sono stati quasi spazzati via. Doc Lyle è riuscito a far passare una legge che stabilisce che sono uccelli in pericolo di estinzione e ne vieta la caccia.
«Doc Lyle si comporta come se fossero suoi figli,» proseguì Cadiz. «Probabilmente ucciderebbe chiunque scoprisse a sparare contro un mandarino reale, ma non ce sarebbero più molti anche se le persone smettessero di dare loro la caccia: depongono le uova nel terreno e le scimmie incendiarie le mangiano. Pensi che abbia tentato di chiamarmi mentre ieri Sonny ha tenuto spenta la radio?»
«Chi?»
«B.T. Di cosa pensi che abbiamo parlato per tutto il tempo?»
Di uccelli, pensò Delanna, ma adesso per lei la conversazione aveva molto più senso. Cadiz non dava certo l’impressione di essere una persona a cui piacesse osservare gli uccelli, ed era proprio così. Era B.T. a cui era interessata, non ai mandarini reali. Delanna venne colta da un pensiero improvviso. «Doc Lyle non verrebbe fino a Milleflores, vero? Per vedere questo uccello che B.T. pensa di avere trovato?»
«Doc Lyle?» ripeté Cadiz, che ovviamente stava ancora pensando a B.T. «Oh, hai paura che venga qui e scopra Cleo. Non penso che sia possibile. L’ultima volta che è venuto è stato due anni fa, ma B.T. gli riferisce tutti gli avvistamenti. Se avessero trovato una coppia che stava costruendo il nido, allora penso che sarebbe anche potuto venire, ma, così come stanno le cose, è estremamente difficile.»
Estremamente difficile, pensò Delanna. Speriamo che Cadiz abbia ragione e che non si tratti di una pia illusione.
«Perché non mi ha detto che andava a fare un giro?» Cadiz si mise a sedere e fissò Delanna come se si attendesse una risposta.
B.T. era stato solo un bambino quando Delanna era andata via, ma dubitava che sarebbe servito ricordarlo a Cadiz. Invece le chiese,»Di solito ti avverte se sta per andare a fare un giro?»
Cadiz rifletté un istante. «Non penso che sia mai andato a fare un giro, non senza Sonny, almeno.» Aggrottò la fronte e annuì. «Sarà meglio che vada a chiederlo.»
«Chiederlo a chi?»
«A Sonny. Gli chiederò se B.T. sia mai andato a farsi un giro da solo.» Cadiz si infilò le scarpe, uscì dal solaris e si avviò verso l’inizio della carovana. «Tu vieni?» gridò a Delanna da sopra la spalla.
Delanna scosse la testa. «Rimarrò qui per vedere se chiama qualcuno,» rispose. O forse chiamerò Maggie Barlow, pensò. Ormai l’avvocato aveva avuto molti giorni per lavorare sugli appigli legali che sosteneva di aver trovato. Delanna passò sul sedile di guida e poggiò Cleo su quello del passeggero. Le membrane nittitanti dello scarabeo si aprirono di scatto e rimase a fissare Delanna mentre prendeva il microfono e alzava il volume.
«Deve bollire a fuoco lento tutto il pomeriggio, poi appena prima di…» Delanna cambiò frequenza a malincuore, poiché ricordava che, il giorno precedente, Cadiz aveva trovato tutte le frequenze occupate. Senza dubbio avrebbe avuto lo stesso problema: era improbabile che Mrs. Siddons o qualcuno come lei le cedesse la frequenza come aveva fatto per Sonny.
«Nonno Maitz sta chiamando per…»
Continuò a ruotare la manopola.
«…ma quel simpatico Sonny Tanner le ha strappato il microfono di mano prima che Cadiz potesse dire…»
«…a Spencer’s Wagon, e tu sai cosa è successo lì quella volta che gli O’Hara hanno fatto il viaggio. Jay Madog portò Ingrid O’Hara nel suo solaris e…»
«…dritta nel ruscello di sale, ma Nagle dice che le ha parlato e che lei non somiglia per nulla alla madre.»
«Be’, grazie a Dio, allora!»
«…se avessi una moglie, di sicuro non viaggerei con la carovana di Madog…»
«…ha detto a Cadiz di chiamare, dunque è probabile che sua moglie non sappia neppure come…»
Delanna ruotò di nuovo la manopola e, sorprendentemente, trovò una frequenza libera: Cadiz non doveva ancora avere avuto il tempo di collegarsi e di riferire la storia dell’avventura di Delanna con i cespugli reddsie. Era sicura che la storiella avrebbe attirato maggiore attenzione di Sonny che cercava B.T., ma, almeno per quel giorno, il pettegolezzo peggiore che avrebbero potuto diffondere era che lei non sapeva far funzionare la radio.
Ma si sbagliavano: sapeva come usarla, e anche bene. Pulì il frontalino sudicio del trasmettitore con le dita fino a quando non riuscì a leggere i codici di chiamata che sapeva dovevano trovarsi lì. «Qui nove-bravo-X-ray chiama Grassedge alfa-dog-zulu. Mi sentite?»
«È il solaris di Sonny, ma non sembra lui, oppure Cadiz,» commentò una voce di donna. Fortunatamente non era quella di Mrs. Siddons.
«Chi è alfa-dog-zulu a Grassedge?» chiese un’altra voce.
«Maggie Barlow,» rispose Delanna.
«Tu non sembri Maggie,» replicò la prima voce di donna.
«Io non sono Maggie, ma sto tentando di mettermi in contatto con lei,» spiegò Delanna, ormai esasperata. Al diavolo il protocollo!
«Ah, ma perché non l’hai detto subito?» chiese la seconda voce.
«Oggi Maggie è andata alle miniere,» annunciò la prima voce. «Frank Fuller si è fatto beccare mentre tentava di fare un altro imbroglio dei suoi. Se quel tizio passasse a lavorare metà del tempo che spreca progettando piani per arricchirsi in fretta, avrebbe abbastanza soldi per andarsene in pensione su Rebe Terzo.»
Le oche avevano iniziato a starnazzare e Cleo si estese parzialmente per voltarsi a guardarle.
«Ma chi userebbe la uno-zero-sette per chiamare Grassedge?» chiese la seconda donna.
Lo scarabeo poggiò una zampa sulla carrozzeria del solaris. Delanna si sporse per afferrarla, ma Cleo ritrasse tutte e tre le zampe su quel lato del corpo e si aggrappò alla carrozzeria solo con una coppia di zampe laterali, sembrando una palla sbalzata di gioielli appesa lì senza alcun valido motivo.
«Deve essere la sposa novella di Sonny Tanner. Solo lei sarebbe capace di fare una cosa del genere. Deve interrompere subito la comunicazione, Mrs. Tanner. Questa è una conversazione privata; abbiamo prenotato in anticipo l’uso di questa frequenza.»
«Io non…» Ma Delanna sentì il click del microfono prima di riuscire a pronunciare «Mrs. Tanner!» e seppe di essere stata tagliata fuori.
«Subito, per favore. Siamo su una frequenza medica e questa discussione deve rimanere tra me e la mia paziente.»
«Mi dispiace,» mormorò Delanna. Si chiese se il dottore e la sua paziente fossero davvero le uniche due persone sintonizzate su quella frequenza, o se anche altre persone stessero origliando, ma, fino a quando sarebbero rimaste in silenzio, nessuno avrebbe mai potuto saperlo. Probabilmente alcuni origliavano davvero: persone come Mrs. Siddons e quelli come lei e, probabilmente, tutti sapevano esattamente chi fossero. E anche l’identità di quelli che non avrebbero mai origliato era ben nota. Delanna si sorprese a sperare che il dottore e la sua paziente fossero abbastanza simili a Sonny da perdonare la sua interruzione. Non voleva metterlo in imbarazzo più di quanto non avesse già fatto. Il che significava che avrebbe fatto meglio a non discutere via radio della vendita della proprietà con Maggie, a meno di non parlare in codice.
Poggiò il microfono sulla forcella e afferrò Cleo per il carapace proprio mentre stava per sgattaiolare fuori dal finestrino. «Oggi niente uova d’oca per te,» affermò. Si mise Cleo in testa, poggiò il cappello sformato di Cadiz sullo scarabeo e uscì dal solaris.
Non c’era neppure un filo di vento e l’aria era perfino più soffocante di prima. Delanna seguì la linea sinuosa di solaris e rimorchi che si snodava lungo i bordi delle numerose doline. La strada era in salita e più ripida di quanto si fosse aspettata, ma almeno poteva vedere il veicolo di Jay e tutti gli altri in cima alla collina. Continuò a camminare mentre i suoi passi sollevavano sbuffi di polvere intorno alle caviglie.
Quando ebbe aggirato l’ultimo fosso e si fu avvicinata alla cresta della collina, la prima cosa che notò fu che la linea di nuvole scure sembrava più lontana, ma sembrava estendersi lungo l’intero panorama: il temporale stava acquistando forza. La seconda cosa che notò fu che il paesaggio sfavillante sotto di lei era trafitto da ombre profonde e crepacci rocciosi: le pianure di sale erano tutt’altro che piatte. Erano state erose dall’acqua fino a formare ripide colline e profondi burroni e Delanna non riuscì a capire in che modo sarebbero riusciti ad attraversarle, mappa o non mappa.
Trascorsero tre giorni prima che giungesse il loro turno di essere calati con l’argano fino a Spencer’s Wagon. Il pomeriggio del terzo giorno, Delanna salì sulla collina per vedere come stesse procedendo il trasporto. Proprio sotto la bandiera gialla del solaris di Jay, gli uomini avevano assicurato un solaris azzurro a una catena, che stava fuoriuscendo dall’argano con una rapidità che allarmò Delanna. Circa trenta metri più in basso, Delanna vide un altro solaris, già in attesa all’inizio di quello che poteva essere al massimo un sentiero da percorrere a piedi e che passava tra un paio di collinette di sale. Ma senza dubbio non avrebbero imboccato quel sentiero.
«Vuoi un po’ di succo di scimmia?»
Delanna sussultò. Non aveva sentito Sonny avvicinarsi alle spalle.
«Mi dispiace,» si scusò lui. «Non volevo spaventarti. Stavo solo tornando a vedere se volevi un po’ di succo, invece dell’acqua tiepida della nostra borraccia, ma poi ti ho visto qui.»
Le stava tendendo una tazza di porcellana dotata di un coperchio svitabile. Era dello stesso colore dei piatti azzurri con il bordo dorato che Delanna aveva visto nel solaris di Jay. Accettò con gratitudine. Anche se si limitava a rimanere seduta nel solaris, beveva più di quanto facessero Sonny e Cadiz, e inerpicarsi lungo il fianco della collina le aveva fatto venire ancora più sete. Tolse il coperchio della tazza e iniziò a bere; il sapore di rosa dell’acqua le diede una sensazione meravigliosa. Stava sollevando la testa per bere fino all’ultima goccia quando sentì Cleo muoversi sotto il cappello. Restituì frettolosamente la tazza e il coperchio a Sonny in modo da potere prendere Cleo, mise lo scarabeo nell’incavo del braccio e lo coprì di nuovo con il cappello.
Sonny spruzzò qualche goccia di succo di scimmia nel coperchio della tazza, che poi tese verso Cleo. La scarabeo allungò le zampe con diffidenza e assaggiò le goccioline di liquido rimaste attaccate alle unghie perlacee. Evidentemente il succo di scimmia le piacque, poiché afferrò prontamente il coperchio con le zampe anteriori e, stringendo il braccio di Delanna con le zampe mediane mentre piantava le unghie di quelle posteriori nella gonna, si estese per succhiare il liquido dal coperchio. «Sei una vera acrobata, eh, Cleo?» commentò Sonny carezzandole il carapace. Al suo tocco, Cleo si inarcò e aprì il carapace in modo che Sonny potesse accarezzare anche la sottostante membrana morbida. Lui sorrise e accarezzò l’intera lunghezza del carapace, divertito dalla rapidità con cui Cleo era entrata in confidenza.
«Eccoti qui, Sonny!» esclamò Cadiz, scendendo di corsa lungo il fianco della collina verso di loro. «Mi hanno detto che eri tornato al solaris.» Si fermò di botto. «Puah! Per caso è dalla mia tazza che sta bevendo?»
«No, è quella di Jay,» rispose Sonny.
«Bene. Adesso ascolta: B.T. è mai andato in giro senza dirtelo?»
Sonny scosse la testa.
«Non ti preoccupa che adesso lo abbia fatto?»
Sonny scosse di nuovo la testa. «Harry e Wilkes torneranno dalla pesca stasera e forse Wilkes potrà dirmi cosa c’è che non va nel solaris.»
«Non mi riferivo al solaris,» affermò Cadiz.
Cleo aveva allontanato le zampe anteriori dal coperchio e si era sistemata di nuovo nell’incavo del braccio di Delanna. Sonny iniziò ad avvitare il coperchio sulla tazza vuota.
«So che non ti riferivi al solaris,» replicò Sonny con un sogghigno.
«Non sei preoccupato che tuo fratello sia andato chissà dove con un temporale in arrivo?»
«Assolutamente no,» replicò Sonny, mentre il suo sogghigno diveniva sempre più largo. «B.T. è un uomo fatto e può andare dove vuole e quando vuole.»
«Ma tu dove pensi che sia andato?»
Sonny scrollò le spalle. Sollevò gli occhi verso la collina e Delanna seguì il suo sguardo. Alcuni dei solaris stavano fermandosi per attendere il loro turno di essere calati con l’argano. Adesso gli uomini di Jay avevano sistemato due ancoraggi e stavano usando entrambe le catene. «Voi due fareste meglio a tornare al solaris e a portarlo qui,» affermò Sonny. «Io devo salire lassù e prepararmi per il mio turno all’argano.»
«E B.T.?» gli chiese Cadiz, ma Sonny si stava già avviando verso il veicolo.
«Forse chiamerà,» intervenne Delanna, nascondendo Cleo di nuovo sotto il cappello.
Cadiz prese a calci la polvere con lo stivale. «Non so se lo farà, Delanna. Lui chiama solo se sono io a dirgli di farlo, ma a un Tanner non verrebbe mai in mente di chiamare spontaneamente.»
«Mi dispiace che tu sia così delusa.»
«Non sono delusa,» si affrettò a ribattere Cadiz. «È solo che mi sono sempre occupata dei Tanner.» Fissò Delanna e arrossì leggermente. «Be’, qualcuno deve pur farlo. Sai, non sanno assolutamente prendersi cura di loro stessi,» aggiunse in tono secco.
Iniziarono a scendere di nuovo lungo il fianco della collina, dirigendosi verso il solaris. «Com’è?» chiese Delanna, improvvisamente curiosa su quel fratello di Sonny che sembrava avere un ascendente tanto grande sull’allegra e spavalda Cadiz da farla preoccupare solo perché per un paio di giorni non si era fatto sentire via radio.
Cadiz non le chiese a chi si riferisse. «È più magro di Sonny, ma ha i capelli più scuri e gli occhi di un azzurro tanto profondo che lo si potrebbe scambiare per viola.»
E aveva le fossette, ma portava i baffi, però Cadiz sapeva che la fossetta sulla guancia sinistra era molto più pronunciata di quella sulla destra, dunque Cadiz doveva averlo osservato con attenzione sin da prima che si facesse crescere i baffi. Era un asso con il fucile laser del padre, anche se andava a caccia solo con arco e frecce che si era costruito da solo, con cui era capace di colpire qualsiasi oggetto o animale fino a una distanza di cento metri.
«Pensi davvero che potrebbe chiamare?» chiese Cadiz quando il muso del solaris puntò direttamente in basso, verso la pianura di sale.
«Sterza, Cadiz,» sibilò Delanna. Aveva una mano poggiata sul cruscotto, il corpo che premeva contro la cintura e Cleo sotto l’altro braccio. Osservato dall’alto, il trasferimento via verricello era sembrato privo di scosse, ma adesso che era nel solaris sentiva un forte scossone ogni volta che un anello della catena usciva dal verricello.
«E se fosse andato a cercare un mandarino reale e gli fosse successo qualcosa? E se fosse caduto da una rupe o gli fosse capitato qualche altro incidente?»
Delanna non rispose. Non respirò fino a quando il solaris non giunse in fondo alla scarpata, venne staccato dalla catena dell’argano e riprese a muoversi in orizzontale, molte decine di metri più in basso.
«Non riesco proprio a capire cosa ci vedano tutti in Mary Bigbottom,» borbottò Cadiz. Ormai Sonny era tornato dietro il volante ed era impegnato a fare passare il solaris tra due colonne di sale vicinissime tra di loro. Delanna si girò a guardare il rimorchio, che era più largo del solaris; le oche starnazzarono quando il rimorchio raschiò via altro sale dalle colonne.
«Mary Brigbotham,» la corresse Sonny. Adesso il sentiero di polvere che stavano seguendo era scomparso; erano visibili solo impronte di pneumatici sulla crosta di sale sporco. «Fa’ attenzione dopo questa curva, Delanna, e potrai vedere Spencer’s Wagon.»
Delanna guardò fuori dal finestrino sulla destra e vide un paio di vecchi pneumatici sotto una sorta di fungo di sale scavato dall’acqua corrente. Non era difficile immaginare che Spencer stava guidando sulla sommità del fungo quando si trovava al livello del suolo. Evidentemente la crosta di sale era stata troppo sottile per reggere il peso del rimorchio e aveva ceduto. Ma cosa era successo a Spencer? Forse era sepolto sotto il rimorchio? Svoltarono di nuovo e intorno a loro non ci fu nulla se non collinette di sale e i resti della vecchia strada. Avevano superato Spencer’s Wagon; Delanna non sapeva cosa ci fosse davanti a loro, ma riusciva a immaginare, fin troppo bene, la crosta di sale, traforata dall’acqua, che improvvisamente si sbriciolava sotto il solaris.
La carovana si fermò nel tardo pomeriggio sotto un susseguirsi fatato di torreggianti archi di sale. Sulle loro basi erano visibili i segni lasciati dall’acqua fangosa, che indicavano come l’acqua avesse ristagnato lì per un po’, sciogliendo il sale, fino a quando non era riuscita di nuovo ad aprirsi un varco da qualche parte ed era defluita in fretta, come acqua che scorra via da una vasca da bagno. Sotto gli archi, il suolo era solcato da profondi crepacci, resi di un bianco luccicante dall’impeto dell’acqua, che scorreva ancora da qualche parte sotto la carovana.
Delanna iniziò a scaricare i sacchi di cibo dal solaris mentre Cadiz cercava il fornello da campo: quella notte sarebbe stato impossibile accendere un fuoco in quella terra desolata fatta solo di sale e in cui non cresceva nulla.
«Non so perché non hai portato un fornello atomico, Sonny Tanner,» si lamentò Cadiz mentre gettava un altro sacco fuori del bagagliaio. «Sei sicuro che il fornello sia qui?» Si alzò e mise le mani sui fianchi, guardando Sonny con aria accusatoria. «Forse se l’è portato dietro B.T.»
«È lì dentro,» replicò Sonny in tono tranquillo.
Cadiz si piegò di nuovo sul bagagliaio, scomparendo fino alla vita mentre sacchi, scatolette vuote, frammenti di ceramica e scatole di dolci volavano in aria. Una delle padelle sfiorò il naso di Delanna, mettendola sul chi vive e permettendole di schivare una scarpa vecchia. Allora si avviò verso il muso del solaris per aiutare Sonny a montare l’albero, in modo da potervi fissare i pannelli solari per catturare gli ultimi raggi del sole. Le sembrava un incarico meno rischioso.
Sonny avvitò il supporto dell’albero, poi iniziò a inserire i paterazzi. Delanna preparò il rotolo di cellule solari e insieme lo fissarono al picco e lo tesero sulle asticelle. Avevano appena finito quando vennero raggiunti da Jay.
«Come va il motore?» chiese a Sonny.
«In quest’ultimo tratto non ha dato troppi problemi,» replicò lui.
E Delanna si rese improvvisamente conto che era stato davvero così. Da quando erano scesi a Spencer’s Wagon, il motore aveva funzionato perfettamente, senza mandare più gemiti, e l’albero di trasmissione non aveva più rischiato di ustionarle la gamba.
«È un vero sollievo,» commentò Jay. «Pensavo che domani sarei stato costretto a trainarvi.» Non stava guardando Sonny, ma Delanna, però la sua espressione era tutt’altro che sollevata. Delanna si chiese quale altra scusa avrebbe potuto escogitare per fare viaggiare Sonny e Cadiz nel solaris mentre Delanna viaggiava nel suo veicolo. E adesso stava forse per chiederle di andare da lui per preparare un’altra mappa?
«Mi farebbe davvero piacere se stanotte usassi il mio programma,» disse a Delanna. «Dopo cena, è ovvio.»
Quando cala la sera e l’atmosfera diventa romantica? si chiese Delanna. «Hai ricevuto nuovi dati rispetto a stamattina, altri sondaggi di Pierce e Nagle?»
«No, ma penso che il temporale si sia spostato,» rispose Jay. «Avremo bisogno di sapere se sulla tua mappa è cambiato qualcosa.»
«È più ragionevole controllare domani mattina,» gli fece notare Delanna. «In questo modo potremo rilevare qualsiasi cambiamento verificatosi durante la notte.»
Jay annuì senza insistere troppo, ma era chiaro che era rimasto deluso. Delanna si chiese che tipo di esca avesse usato per Ingrid O’Hara; sperò che fosse più interessante di un programma di calcolo delle probabilità.
«Be’, adesso me ne vado,» annunciò Jay, anche se non si girò e non sembrò voler fare nulla tranne rubare un po’ d’ombra alla vela del solaris. «Volevo solo assicurarmi che qui dietro tutto fosse a posto.»
Sonny allungò la mano nel solaris e prese la tazza di ceramica con il coperchio, che lanciò a Jay. «Portati dietro questa,» disse quando Jay afferrò al volo la tazza. «E grazie per avermela lasciata usare.»
«Prego,» rispose Jay, poi finalmente si raddrizzò, come se avesse davvero deciso di andare via. In effetti fece tre passi, ma poi si voltò e tornò indietro. Lasciò la tazza sulla carrozzeria del solaris e vi poggiò le mani, scuotendo la testa. «Quasi me ne dimenticavo,» esclamò. «C’è una chiamata per voi sulla frequenza novantasette.»
«È B.T.?» chiese Cadiz, alzandosi tanto in fretta che fece versare del combustibile dal fornello da campo.
«No, è per Delanna. Maggie Barlow sta tentando di mettersi in contatto con te.» Rivolse un sorriso a Delanna. «Se riguarda il tuo baule, fammelo solo sapere e incaricherò qualcuno a Grassedge di occuparsene.» Li salutò con un elegante gesto della mano e andò via, lasciando Sonny che scuoteva la testa mentre andava ad aiutare Cadiz con il fornello da campo.
Delanna aprì la portiera del solaris, si sedette e sollevò il microfono. «Qui è Delanna con una richiesta di chiamata per Maggie Barlow,» dichiarò, poi fece scattare l’interruttore per ascoltare. Il microfono emise alcuni crepitii. Delanna raccolse distrattamente alcuni granelli di sale e li strofinò sui codici di chiamata del frontalino della radio. Alcuni granelli rimasero attaccati.
«Delanna, finalmente sei tu? Mi dispiace di non avere potuto rispondere alla tua chiamata, ma uno dei ragazzi si era cacciato nei guai alle miniere. Se non fossi andata lì, avrebbe rischiato di trascorrere la notte in prigione. Probabilmente se lo meritava, ma forse ha imparato la lezione.»
«Hai qualche notizia da darmi?» le chiese Delanna, quasi certa che non ne avesse nessuna. Se non fosse stato così, Maggie avrebbe chiamato per avvertirla.
«Sì, ho delle notizie. Ti ricordi la faccenda di cui abbiamo discusso prima che tu partissi?»
«Sì, la…»
«Non hai bisogno di dire di più via radio,» la avvertì Maggie. «Se capisci cosa voglio dire.»
«Ricordo,» rispose Delanna. E così aveva avuto ragione sul canale privato: le persone origliavano davvero. «Sì. Quella faccenda di cui abbiamo discusso.»
«Bene, ho lavorato il più in fretta possibile e la faccenda sembra promettere bene, ma per queste cose ci vuole tempo.»
«Quanto tempo?» le chiese Delanna.
«Dovremo solo aspettare che la Corte Itinerante arrivi qui. Senti, so che deve sembrarti un’eternità, ma so anche che se userai questo lasso di tempo per dare a Sonny una mezza possibilità, scoprirai che…»
«Lo farò,» la interruppe Delanna. Non sapeva con certezza quello che Maggie avrebbe detto, ma era fin troppo consapevole che, probabilmente, metà della popolazione di Keramos era in ascolto e pensava che neppure Sonny avrebbe apprezzato le loro illazioni su quello di cui stava parlando Maggie.
«Davvero?» La sorpresa nella voce di Maggie fu genuina. «Pensavo che saresti tornata in te una volta che l’avessi conosciuto di nuovo,» commentò in tono soddisfatto. «Penso che neppure una Straniera potrebbe prendere sotto gamba tutti i sacrifici che ha fatto.»
Quali sacrifici? si chiese Delanna.
«Un giorno, quando avrò più tempo, dovrai proprio raccontarmi di quella scuola esclusiva che hai frequentato,» proseguì Maggie. «Senza dubbio sembra averti fornito un’educazione molto solida, almeno per quanto riguarda il calcolo delle probabilità. Jay è rimasto davvero molto impressionato dalle tue capacità. Sonny deve essere molto fiero. Ti piace il viaggio in carovana? Scommetto che non hai mai visto un territorio del genere a Gay Paree, vero?»
Delanna rivolse un’occhiata alle lunghe ombre che minacciavano di raggiungere i pannelli solari. «No, non avevo mai visto un posto come Spencer’s Wagon,» ammise. «Su Rebe Primo di solito il paesaggio è molto meno movimentato.» Osservò Sonny accendere il fornello da campo e poi arretrare mentre Cadiz vi poneva sopra la pentola. Aprì dei pacchetti e vuotò il loro contenuto nella pentola, poi allungò la mano verso la brocca dell’acqua e praticamente la rovesciò sulla pentola. Sonny le disse qualcosa e Cadiz gli schiaffò la brocca tra le mani, senza dubbio esigendo che fosse lui a versare l’acqua. Sonny obbedì, ma stava sogghignando ed era ovvio che a Cadiz questo dava tremendamente fastidio.
«Hai davvero strisciato sotto qualche cespuglio reddsie?» chiese Maggie.
Delanna fissò il microfono. Ma come aveva fatto Cadiz a trovare il tempo di diffondere via radio anche quella storia? Era stata in giro tutto il pomeriggio, infuriata, da quando aveva capito che B.T. non era a casa, dove si era aspettata che fosse. Delanna sospirò. «È vero: l’ho fatto,» ammise.
Maggie rise di cuore. «Solo a uno Straniero potrebbe venire in mente di esplorare una macchia di quei cespugli strisciando a quattro zampe. Ma cosa ci facevi lì dentro?»
«Io…» Delanna non poteva rispondere Sono andata a cercare Cleo via radio: Doc Lyle avrebbe potuto sentirla. «Io…» Ma non poteva neppure rispondere Sono stata circondata da un gruppo di scimmie incendiarie perché le persone avrebbero potuto portarsi dietro i loro laser quando la prossima carovana sarebbe passata da quelle parti. «Devo andare a cenare,» rispose in tono laconico. «Ciao.»
«Ciao.»
Delanna mise il microfono sulla forcella, si alzò e chiuse il solaris. Sonny aveva rinunciato ad aiutare Cadiz, che stava agitando qualsiasi cosa fosse nella pentola con tanta energia da farla schiumare. Delanna sperò che non fosse di nuovo stufato: si sarebbe ridotto a una poltiglia immangiabile.
«Tutto bene?» le chiese Sonny.
Delanna annuì e sorrise. «Maggie voleva sapere se ho davvero strisciato sotto qualche cespuglio reddsie.»
«Non le avrai…»
«Ovviamente non le ho detto nulla sulle scimmie incendiarie,» gli assicurò Delanna. «Mi sono ricordata che stavo parlando via radio.»
Sonny le rivolse un sorriso di apprezzamento. «Grazie.»
«Quando è pronta la cena?»
Ma Sonny stava fissando la tazza di ceramica lasciata da Jay sulla carrozzeria del solaris. La prese in mano. «Vuoi riportarla a Jay?» chiese a Delanna. «Stasera, al buio e da sola? Voglio dire, questo è ciò che spera lui.»
«Forse,» rispose Delanna, prendendo la tazza e, come per caso, facendola scivolare deliberatamente tra le dita. La tazza cadde a terra e si ruppe. «Oops,» esclamò lei.
Sonny sembrò sorpreso.
«È così facile intuire i suoi propositi,» commentò Delanna e Sonny ridacchiò; sembrava molto più felice e sicuro di quanto lo avesse mai visto, e quella consapevolezza fece sorridere anche lei.
Lasciando i cocci sul terreno, andarono ad aiutare Cadiz.
Talvolta Delanna ebbe l’impressione che sarebbero usciti più in fretta dalle Pianure di sale se le avessero attraversate a piedi invece che a bordo dei solaris. Le ruote stridevano la maggior parte del tempo perché sterzavano costantemente e probabilmente anche perché lo strato superiore di sale veniva sciolto dall’aria satura di umidità. Gli altri avevano detto a Delanna che, di solito, il clima delle Pianure di sale era secco, ma il temporale, che gravava immobile sull’orizzonte, stava spingendo avanti a sé una massa d’aria calda e umida che l’alta pressione proveniente dalle spalle della carovana riusciva semplicemente a bloccare in quella zona. In modo che potesse dissolvere il terreno sotto i loro piedi.
Le notti erano la cosa peggiore. Delanna sentiva il suolo vibrare sotto di lei, vibrazioni che talvolta si trasmettevano nell’aria, producendo un gemito perfettamente udibile. Allora giaceva sveglia per ore, ascoltando quei rumori; poi cessavano e lei riusciva quasi ad addormentarsi, solo per scoprire che era l’alba e che doveva alzarsi per affrettarsi ad andare nel solaris di Jay per effettuare un nuovo studio di probabilità, in modo che potessero coprire con una certa sicurezza il tratto del giorno.
«Se questa non cambia,» affermò Jay il quinto giorno, battendo una mano sulla nuova mappa, «stasera arriveremo al limite opposto delle pianure.»
Delanna riferì a Sonny le parole di Jay mentre partivano da un campzye di bianche dune di sale; ormai era trascorso un giorno di viaggio da quando si erano lasciati alle spalle le collinette e gli archi di sale.
«Questo viaggio migliorerà di due giorni il record di attraversamento delle Pianure di sale,» commentò Sonny. Stava guidando di nuovo lui, facendo avanzare con molta cautela il solaris tra i piedi di due colline friabili. Erano ancora alla retroguardia della carovana, anche se il motore non si era surriscaldato neppure una volta da quando avevano iniziato a viaggiare sul sale.
«A Jay dispiacerà molto perderti, Delanna,» commentò Cadiz.
«Non è merito mio,» si schermì Delanna. «Chiunque potrebbe ottenere gli stessi risultati con il programma giusto… e lui ce l’ha.»
«Sì, ma non sa farlo funzionare, vero?»
«Non ne sarei così sicuro,» intervenne Sonny, «dopo che ha visto Delanna utilizzarlo ogni giorno.»
«Anch’io l’ho vista usare quel programma ogni giorno,» replicò Cadiz in tono triste, «ma non saprei certo farlo funzionare. L’hai osservata pure tu, la maggior parte dei giorni, ma scommetto che neppure tu ci riusciresti. B.T. avrebbe imparato a usarlo in un baleno, ma lui chissà dov’è.»
Delanna represse un gemito: Cadiz era stata molto irritabile da quando erano entrati nelle Pianure di sale e ogni tanto riusciva a riportare la conversazione su dove potesse trovarsi B.T. Tanner, da cui nessuno aveva ricevuto neppure una parola.
Ormai Sonny non sorrideva più quando Cadiz si lamentava del fratello e non le rispondeva mai, neppure rivolgendole quelle scrollate di spalle che facevano tanto infuriare Cadiz. Adesso la ragazza fissò accigliata Sonny e si protese in avanti per accendere la radio. Iniziò a fare un giro delle frequenze.
«…un altro bambino!»
«E Nonno Maitz dice che quella della scorsa primavera è stata la migliore fioritura che ha visto in trent’anni…»
«…e così ho detto a Bianca, ‘Non hai alcun bisogno di impegolarti con Jay Madog…’»
«Con il temporale in attesa lassù a est, ho detto a Dominic che era assurdo livellare la strada fino a quando…»
Delanna ascoltava distrattamente la radio mentre si stiracchiava sul sedile posteriore. Prese una spazzola con le setole dure e iniziò a lucidare le scaglie sulle piastre del carapace di Cleo, che, come tutto il resto, erano incrostate di sale. Dopo un po’, si appoggiò al finestrino e lasciò vagare lo sguardo sulle bianche dune scintillanti che le passavano accanto. Almeno adesso procedevano a una velocità maggiore. I suoi occhi, pesanti per la mancanza di sonno, iniziarono a chiudersi. Forse quella notte sarebbe riuscita a dormire con della vera terra sotto di lei, un letto di roccia che non scricchiolava perché frammenti di esso stavano cadendo in un abisso creato dal sale sciolto.
Il solaris sussultò e Delanna aprì di scatto gli occhi. In quel punto le dune di sale non erano più così alte e lungo la pista che stavano seguendo c’era una pianta, schiacciata dalle ruote dei solaris e coperta di sale, ma pur sempre una pianta. Apparve un’altra pianta, poi un’altra ancora, questa volta di lato, perché le dune sembrarono aprirsi come i cespugli reddsie, permettendo il passaggio alla fila di solaris. Il motore stava arrancando leggermente, non come quando aveva surriscaldato l’albero di trasmissione, ma abbastanza da indicare che stavano salendo. Delanna si mise a sedere e si guardò intorno.
Si rese subito conto che erano saliti di molto, poiché alle loro spalle le dune di sale si allungavano per miglia e miglia, brillando come cumuli di neve sotto la luce del sole. Davanti a loro c’era un nuovo orizzonte, ingentilito da foglie di colore giallo-verde che crescevano su rami neri che Delanna continuò a osservare fino a quando non iniziarono a sfiorare il finestrino. Avanti a sé, poteva vedere l’intera fila di veicoli da cui era formata la carovana, con alla testa quello di Jay.
«Sarà meglio che Jay si fermi per cena,» commentò Cadiz, «oppure non ci sarà luce sufficiente per ricaricare i pannelli solari rimasti.»
«Sembra che voglia tirare dritto fino a Little Dip,» commentò Sonny.
«Cos’è Little Dip?» si chiese Delanna ad alta voce. «Una palude di sale?»
Sonny scosse la testa. «È una pozza d’acqua fresca,» spiegò. «Un piccolo ruscello sbarrato da… Mmm, guarda lì. C’è del fumo che si alza dal boschetto. Nagle e Pierce sono andati in avanscoperta anche stamattina?»
«Non credo,» rispose Delanna, tentando di ricordare. Poi scosse la testa. «No, sono sicura che non l’hanno fatto. I loro scooter erano caricati sul rimorchio e loro viaggiavano dietro Jay.»
«Be’, ma allora chi sarebbe tanto imbecille da accamparsi qui?» si chiese Cadiz. «È troppo lontano da qualsiasi posto abitato per venirci a fare una gita e quelli che si sono accampati dovranno aspettare almeno una settimana, se vogliono che Jay li prenda con sé nella carovana di ritorno.»
L’aria aveva un profumo più dolce, di cose che crescono, anche se era ancora decisamente soffocante. Cleo si era estesa completamente, il metodo migliore per guardare dal finestrino, e sembrava più interessata all’erba e ai cespugli di quanto non lo fosse stata alle colline di sale.
La carovana avanzò serpeggiando attraverso onde di piante simili all’erba che ricoprivano il fondo della vasta pianura; davanti a loro c’era Little Dip: era davvero una semplice pozza d’acqua, però era circondata da un boschetto di alberi rachitici, da cui si innalzava un sottile filo di fumo.
«Be’, tu cosa pensi?» disse Sonny.
«Oh, no!» gemette Cadiz.
«Cosa c’è?» chiese Delanna, fissando il fumo. «Scimmie incendiarie?»
«Scimmie incendiarie!» esclamò Cadiz. «E cosa ci farebbero qui delle scimmie incendiarie?» Tirò il suo zaino sul sedile anteriore e iniziò a frugarvi dentro freneticamente. «Dov’è finito il mio pettine?»
«Non si tratta di scimmie incendiarie,» commentò Sonny in tono divertito. «Cadiz non si preoccuperebbe certo di pettinarsi per una banda di scimmie incendiarie.»
Delanna si protese in avanti per scrutare attraverso il finestrino. Vide un solaris parcheggiato sull’orlo della pozza e un uomo in piedi accanto a esso, le braccia incrociate sul petto, che osservava con calma l’arrivo della carovana. «Chi è?»
«Qualcuno mi presti un pettine!» gridò Cadiz, spostando lo specchietto retrovisore in modo da potersi specchiare.
Con tutta calma Sonny infilò la mano nel taschino e prese un pettine. «Non ti sei mai preoccupata di aggiustarti i capelli per noi.»
«Oh, ma chiudi il becco!» sbottò Cadiz, strappandogli il pettine di mano e passandolo tra i suoi riccioli biondi e scarmigliati.
«Ma chi è?» chiese di nuovo Delanna. Ormai erano abbastanza vicini da permetterle di vedere il volto dell’uomo, se non fosse stato per il solito polverone sollevato dalla carovana che avvolse la pozza fino a quando Delanna non poté vedere più nulla.
«Oh, ma guardatemi!» gemette Cadiz allo specchio. «Perché ieri sera non ho chiesto a Jay se potevo usare la sua doccia sonica?»
Sonny parcheggiò all’estremità della carovana opposta alla pozza, accanto a due solaris i cui pannelli solari erano già stati fissati ai loro alberi. Cadiz, dando un’ultima occhiata carica di nervosismo allo specchietto, si calcò il cappello in testa e saltò fuori dal solaris.
L’uomo si stava già allontanandosi dalla pozza, dirigendosi verso di loro con andatura decisa, ma Cadiz non gli andò incontro. Rimase impalata accanto al solaris, mordendosi nervosamente il labbro.
Delanna venne improvvisamente colpita da un pensiero tremendo. «Non è il veterinario, vero?» chiese, allungando per istinto una mano verso Cleo.
«Il veterinario?» esclamò Sonny in tono sorpreso. «E cosa ci farebbe quaggiù? No, quello è B.T.»
CAPITOLO DECIMO
B.T. percorse gli ultimi metri che lo separavano dal solaris e Delanna pensò, Avrei dovuto riconoscerlo. Era più magro di Sonny e più alto, ma aveva lo stesso sorriso timido, i capelli più scuri gli scendevano fino al collo e il modo in cui si fermò a poca distanza dal solaris e rimase lì, rigirandosi il cappello tra le mani, fu in puro stile Tanner.
Delanna uscì faticosamente dal solaris. Per un attimo si chiese se avrebbe dovuto portare Cleo con sé, ma lo scarabeo si era ritratto completamente nel suo carapace e dormiva alla grossa. Lo lasciò sul sedile e sollevò gentilmente il tettuccio in modo che il rumore non lo svegliasse, poi andò a conoscere B.T.
Nonostante le nuvole di polvere ancora nell’aria, i capelli di B.T. erano umidi e perfettamente pettinati e Delanna notò, con suo grande divertimento, che i baffi erano spariti. E così Cadiz non era stata l’unica a cercare freneticamente un pettine. E dal modo in cui stava guardando Cadiz, ovviamente non c’era nulla di vero nelle voci che riguardavano lui e Mary Brigbotham: B.T. aveva occhi solo per Cadiz, e per nessun altro. Le rivolse un sorriso incerto.
Delanna guardò Cadiz, aspettandosi che sul suo volto comparisse lo stesso sorriso, ma lei stava fissando con rabbia B.T. da sotto il cappello calcato sugli occhi. Nessuno dei due aveva ancora detto una parola.
«Cosa ci fai qui, B.T.?» chiese Sonny rompendo finalmente quel silenzio imbarazzante.
«Ho ricevuto il messaggio in cui mi dicevi che il solaris si era messo a fare le bizze,» spiegò B.T., «e così ho pensato di venirvi incontro a Spencer’s Wagon e mi sono fatto prestare il vecchio solaris di Flaherty. Non volevo che rimaneste in panne nelle pianure.»
«Be’, certo che te le sei presa comoda,» commentò Sonny. «Cadiz è stata attaccata alla radio notte e giorno, cercando di capire dove fossi finito.»
Rivolse un sorriso a Cadiz, ma lei lo gratificò di un’occhiata che sarebbe bastata a mettere in fuga una scimmia incendiaria.
B.T. guardò timidamente Cadiz, poi il suo sguardo tornò su Sonny. «Sono arrivato fin qui, ma poi è scoppiato un temporale durato tre giorni e non sono potuto andare da nessuna parte, però ho immaginato che avevo ancora molto tempo per trovarvi. Ma cosa avete fatto per attraversare le pianure così in fretta? Per caso avete volato?»
«Praticamente sì. Jay ha un nuovo programma,» spiegò Sonny, «e Delanna sapeva come farlo funzionare: è stato facile come scavalcare una pozza di fango.»
«E poi non avevamo bisogno di te,» intervenne Cadiz in tono bellicoso. «Jay e Sonny sono riusciti ad aggiustare il solaris da soli. Jay è bravissimo nell’aggiustare le cose.»
Delanna fissò a bocca aperta prima Cadiz e poi B.T., ma quest’ultimo si limitò a ignorare Cadiz.
«E così questa è tua moglie,» commentò poi, rivolgendo un cenno del capo a Delanna. «Sarebbe stato un bel guaio se avesse deciso di non rimanere. Per un po’ sarà strano pensare che sei un uomo sposato.»
Questo non è il momento di spiegargli che si tratta solo di un matrimonio pro forma, specialmente se Cadiz ha tentato di fare ingelosire B.T. usando Sonny, come adesso sta tentando di farlo ingelosire con Jay, pensò Delanna, poi avanzò e strinse la mano di B.T.
«Probabilmente non ti ricordi di me,» esordì in tono leggero. «Eri solo un bambino quando io sono andata via per frequentare la scuola.»
«Ma come sarebbe stato possibile non ricordarti,» commentò B.T. rivolgendole un sorriso, «visto che Sonny parlava continuamente di te? È sempre stato…»
«Penso che forse sarebbe meglio che tu dessi un’occhiata al solaris,» intervenne Sonny. «Jay e io abbiamo cercato di aggiustare la trasmissione, ma tende ancora a surriscaldarsi. E poi bisogna controllare i collettori e ricaricare le batterie.»
Mentre Sonny alzava l’albero, B.T. aprì il cofano del solaris, continuando a ignorare Cadiz, che lo stava fissando con rabbia, le braccia incrociate sul petto.
«Aspettate,» li avvertì Delanna. «Fatemi prima prendere Cleo.» Girò intorno al veicolo per aprire il tettuccio, ma Sonny aveva già montato il boma e così non riuscì ad aprirlo completamente.
«Cleo?» chiese B.T. «Ma con quante donne viaggi, Sonny?»
«È l’animale di compagnia di Delanna,» gli spiegò Sonny. «Ed è stato introdotto illegalmente sul pianeta, all’insaputa di Doc Lyle, così Delanna non può parlare di Cleo via radio o mostrarla alle persone. Nessuno sa delle sua esistenza, tranne Cadiz e Jay.»
Delanna allungò un braccio verso il sedile posteriore. «Cleo è uno scarabeo,» spiegò. «Lei…»
Cleo non era sul sedile. Delanna strisciò nel retro e tastò sotto il sedile, cercando lo scarabeo. «Non è qui,» annunciò raddrizzandosi. «Cleo non è qui.» Si sporse sul sedile anteriore per vedere se si fosse incuneato sotto il cruscotto.
«Come ha fatto a uscire fuori?» chiese Sonny. «Il tettuccio era chiuso, vero?»
«No,» rispose Delanna sulla difensiva. «Cleo stava dormendo.»
«Che aspetto ha?» chiese B.T. «Quanto è grande?»
«Probabilmente Cleo ha visto B.T. e si è spaventata,» intervenne Cadiz.
«Forse è tornata dalle oche,» ipotizzò Sonny.
«Sa nuotare?» chiese B.T., girandosi verso la pozza.
«No,» rispose Delanna, poi disse a Sonny, «Diamo un’occhiata alle oche.»
Ma prima che potessero avviarsi verso il recinto, Jay Madog li chiamò, «State cercando qualcosa?» Stava reggendo la sua giacca per le maniche, come se fosse un sacco, e quando Delanna corse verso di lui, gliela diede. Delanna separò le maniche e trovò Cleo, avvolta nel tessuto. Liberò con molta attenzione le zampe e le unghie dello scarabeo dalle pieghe del tessuto. Quando Cleo fu libera, estese immediatamente le zampe anteriori e si sistemò intorno al collo della padrona. «Dov’era?» chiese Delanna a Jay.
«Accanto al solaris di Tom Toricelli,» spiegò Jay.
«Che sta trasportando delle galline,» commentò Sonny. «L’ha vista qualcuno?»
«Non credo. Era diretta verso il rimorchio e così le ho buttato addosso la giacca prima che qualcuno potesse vederla. Ma come mai è tanto interessata a delle galline?» chiese Jay in tono perplesso.
«Continua a tentare di covare delle uova,» spiegò Sonny.
«Sei sicuro che non l’abbia vista nessuno?» chiese Delanna in tono ansioso.
«Se lo avessero fatto, avreste sentito un bel po’ di urla,» rispose B.T., avvicinandosi per fissare con curiosità Cleo. «Cos’è? Una specie di scarafaggio?»
«No,» rispose Delanna. «Sarà meglio che la metta nel solaris.» Si avvicinò al tettuccio, ancora aperto, staccò le zampe anteriori di Cleo dal collo, la depose gentilmente sul sedile posteriore, la coprì con la giacca di Cadiz, in modo che chiunque avesse guardato dal finestrino non sarebbe riuscito a vederla, poi si allontanò dal solaris e praticamente andò a sbattere contro Jay.
«Stavo venendo qui a parlarti quando ho trovato Cleo,» le rivelò lui a bassa voce. «Volevo…»
«Solo un istante,» lo interruppe Delanna. «Non mi fido di lei.» Si sporse dentro il solaris per controllare di nuovo dove fosse Cleo, poi chiuse il tettuccio.
«Jay!» chiamò Sonny. Era impegnato a tenere sollevato il cofano del solaris mentre B.T. era chino sul motore. Nel frattempo Cadiz lo fissava con sguardo assassino. «Vieni a far vedere a B.T. quale pensi che sia il problema.»
«Arrivo tra un attimo,» replicò Jay. «Domani arriveremo dai Flaherty,» annunciò a Delanna, «e io tornerò indietro. Volevo essere sicuro di averti detto quanto…»
«Jay!» esclamò Cadiz, come se si fosse appena accorta della sua presenza, poi si avvicinò con andatura provocante. «Hai detto che potevo venire a fare la doccia sonica ogni volta che volevo, vero?» chiese, prendendo sotto braccio Jay con aria civettuola. «La tua offerta è ancora valida?»
«Penso di sì,» rispose Jay, che sembrava assolutamente esterrefatto.
«Oh, bene,» commentò Cadiz, girandosi per essere sicura che B.T. la vedesse. «Perché qui non succede nulla di interessante.»
«Ho bisogno di parlare con Jay,» intervenne Delanna, provando il desiderio di mettersi Cadiz sulle ginocchia e di somministrarle una sonora sculacciata. «Jay, sei sicuro che Tom Toricelli non abbia visto Cleo?»
Lui annuì e tentò di scostarsi da Cadiz, ma lei accentuò la stretta sul suo braccio. «Io non ho visto nessuno e Cleo era quasi arrivata sotto il rimorchio in cui trasporta le sue galline.»
«Voleva covare le loro uova,» spiegò Delanna. «Cleo continua a volere covare e a fare il nido. Penso che ormai creda di essere un uccello.»
«Voi due potrete parlare di uccelli e scarafaggi più tardi,» intervenne Cadiz, tirando Jay per il braccio in modo scherzoso. «Be’, allora cosa ne dici di farmi fare questa doccia sonica?»
«Non devi andare a prendere qualche vestito, oppure un asciugamano, o magari qualcos’altro?» chiese Jay, guardando Delanna in cerca di aiuto.
«Ma no, visto che tu puoi prestarmi una vestaglia,» propose Cadiz, ridacchiando in maniera provocante.
B.T. chiuse con violenza il cofano del solaris. «Da queste parti c’è una brutta atmosfera,» annunciò, evitando volutamente di guardare Cadiz. «Vado ad alzare le vele del mio solaris.» Si avviò con andatura decisa verso la pozza, dove dal fuoco da campo si alzava ancora del fumo.
«Vieni, Jay,» insistette Cadiz, tirandolo per il braccio.
«Delanna, se fossi in te, io terrei Cleo dentro il solaris,» le consigliò Jay. «Manca solo un altro giorno per arrivare al lanzye dei Flaherty, ma non vorrai certo che qualcuno la veda.»
«Farò come dici,» gli assicurò Delanna, ma Cadiz aveva già trascinato via Jay, aggrappandosi al suo braccio e ridacchiando a voce alta in modo che anche B.T., ormai a metà strada dalla pozza, potesse sentirla.
Delanna e Sonny li seguirono con lo sguardo. «Be’, questa sì che è stata una bella scena,» commentò Sonny.
«Senza dubbio,» convenne Delanna aggrottando la fronte. «Non ho mai visto nulla del genere.»
«Qualcuno dovrebbe dare una bella lezione a Jay Madog per avere ficcato il naso in faccende che non lo riguardano,» affermò Sonny, stringendo un ultimo nodo della vela.
Delanna si girò a guardarlo, sbalordita. «Stai dicendo che è colpa di Jay?»
«No,» rispose Sonny, sollevando il cofano del solaris con un movimento brusco. «Sto dicendo che è colpa di Cadiz. Si comporta sempre così. Di solito lo faceva con me. Hai visto come si è comportata a Grassedge, come se lei fosse la mia fidanzata. Ed è una storia che va avanti da due anni. Immaginavo che adesso sarebbe stata costretta a smetterla, visto che sono sposato con te, ma poi arriva Jay e…»
Delanna avrebbe potuto protestare sulla questione del matrimonio, ma era troppo arrabbiata per farlo. «Jay era venuto semplicemente a riportare Cleo!»
«Che sei stata tu a lasciare fuggire.»
«E così adesso la colpevole sarei io? Insieme a Jay e a Cadiz?»
«Be’, e chi altro potrebbe essere?»
«Che ne dici di B.T.? Arriva qui lemme lemme, non saluta neppure Cadiz, anzi, non la guarda neppure!»
«Se ci avesse provato, probabilmente lei gli avrebbe staccato la testa a morsi.»
«E visto che ti piace tanto giocare a scaricabarile, che ne dici di te?» Imitò la voce di Sonny. «’Dove sei stato, B.T.? Cadiz era tremendamente preoccupata per te. È stata attaccata giorno e notte alla radio, cercando di capire dove fossi finito’.»
«Be’, ma è proprio così!»
«Ma Cadiz non vuole che lui lo sappia, visto che si comporta come se non fosse felice di vederla!»
«Felice di vederla!» gridò Sonny. «E perché diavolo pensi che B.T. abbia fatto tutta la strada per venire fin qui?»
«Ma allora perché non lo dice? Perché non le ha detto quello che provava?»
«Con il tuo fidanzato e Cadiz appiccicati l’uno all’altra?»
«Jay non è il mio fidanzato!»
«Sì, be’, io so solo che un ragazzo deve avere qualche indizio che la ragazza non gli riderà in faccia prima di dichiararle quello che prova,» ribatté Sonny, «e se lei continua a fare giochetti, non puoi biasimarlo se tiene la bocca chiusa.» Sbatté giù il cofano del solaris. «Adesso andrò a parlare con B.T.,» annunciò, poi andò via in fretta e furia.
«E noi non siamo sposati!» gli gridò dietro Delanna, ma a voce non troppo alta.
Nonostante avesse tentato di difendere Cadiz, sapeva che Sonny aveva ragione: non ci si poteva aspettare che B.T. dicesse a Cadiz che era venuto per lei, se pensava che le piacesse Jay, e Cadiz questo lo aveva fatto intendere fin troppo chiaramente.
Delanna avrebbe voluto andare al solaris di Jay prima che Cadiz commettesse sul serio qualche stupidaggine, ma aveva paura che questo sarebbe servito soltanto a peggiorare la situazione. Si ricordò di quanto fosse stata furiosa quando Sonny era venuto a salvarla da Jay.
E non era neppure ansiosa di sentire cosa avesse da dirle Jay. I suoi modi erano cambiati da quando Delanna era riuscita a configurargli il programma: aveva smesso di tentare di sedurla ricorrendo a quel comportamento da dongiovanni da strapazzo e lei era stata compiaciuta che avesse iniziato a considerarla una vera persona, invece di un’altra conquista di cui fregiarsi. Sperava che adesso che avevano attraversato le Pianure non avesse intenzione di tentare di sedurla di nuovo.
E poi non osava lasciare da sola Cleo. Si girò e guardò lo scarabeo. Aveva poggiato le zampe anteriori contro il finestrino laterale e sbirciava fuori come se fosse un bambino con la faccia premuta contro il vetro di una finestra. Delanna sperò che Jay avesse ragione e che i Toricelli non avessero visto Cleo. Ma B.T. l’aveva detto: ci sarebbero state delle urla, se non di peggio, qualcuno sarebbe venuto a riferire a Jay che un enorme scarafaggio si aggirava tra i veicoli della carovana. Ma non si udiva alcun rumore oltre quelli soliti delle persone che si preparavano ad accamparsi per la notte. Il sole era quasi del tutto tramontato, il cielo e il lago avevano assunto una tenue sfumatura giallo-verde.
Delanna rivolse un’ultima occhiata a Cleo, poi si sedette contro la fiancata del solaris e pensò a quello che le aveva detto Sonny. Aveva avuto ragione su Cadiz e sul suo vizio di fare giochetti, ma ovviamente non si era reso conto di quanto fosse stata ferita Cadiz quando B.T. l’aveva ignorata.
O forse se ne era reso conto. Un ragazzo deve avere qualche indizio che la ragazza non gli riderà in faccia prima di dichiararle quello che prova, aveva detto, e Delanna si chiese se avesse davvero voluto riferirsi a Cadiz. O se, in realtà, si fosse riferito a lei, che non gli aveva riso in faccia quando Maggie l’aveva informata che erano sposati, però aveva commentato: E così, grazie alle vostre stupide leggi, sono sposata con un Neanderthal. E che a Last Chance lo aveva buttato fuori dalla loro camera di fronte a tutti. E che aveva fatto una doccia sonica nel solaris di Jay. E che, appena pochi istanti prima, gli aveva ripetuto che non erano sposati sul serio. E Sonny le aveva detto che non c’era da meravigliarsi se le scimmie incendiarie fossero pazze di lei. E poi aveva salvato sia Cleo che lei dalle scimmie incendiarie e dal veterinario.
Il crepuscolo scese gradualmente e nell’aria si diffuse l’odore dei pasti che venivano messi a cuocere, ma Sonny e B.T. non tornarono; non tornò neppure Cadiz. Delanna riuscì ad accendere una specie di fuoco, riscaldò quello che era rimasto dello stufato di Cadiz, si sedette e ricominciò ad aspettare.
Cadiz tornò poco dopo il calare dell’oscurità: aveva un’aria decisamente pulita e profondamente abbattuta. «Dov’è B.T.?» chiese in tono triste.
«Non lo so,» rispose Delanna. «Penso che sia con Sonny alla pozza.»
«Oh,» mormorò Cadiz e si sedette accanto al fuoco. Si era tolta il cappello e Delanna notò che i suoi capelli biondi erano lavati e ben spazzolati.
Cadiz raccolse un ramo di arbusto reddsie e, per un po’, lo usò per giocherellare con il fuoco.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» le chiese Delanna.
«No,» rispose Cadiz, tenendo il ramo nel fuoco e osservando i rametti più piccoli cercare di allontanarsi dalle fiamme. «Ho cenato con gli Hansen.»
«Gli Hansen?»
«Ho deciso che, dopo tutto, non avevo voglia di usare la doccia sonica di Jay,» rivelò Cadiz. Il ramo prese fuoco e iniziò a bruciare, contorcendosi come un essere vivente. Guardarlo era uno spettacolo doloroso. «E così sono andata dagli Hansen e ho chiesto loro in prestito un po’ d’acqua, in modo da potermi dare una ripulita.» Rivolse a Delanna un’occhiata di sfida. «Sono solo a mezza giornata da casa, hanno acqua a volontà.» Gettò nel fuoco il ramo, che si contorceva ancora. «Oh, Delanna, lui non mi ha detto neppure ciao!»
Delanna tentò di pensare a qualche modo per dirle, Ma tu non sei stata molto carina con lui, però, considerando lo stato d’animo di Cadiz, sarebbe stato come prendere a calci un cane bastonato. Invece replicò, «Ha fatto tutta questa strada.»
«Sì,» ammise Cadiz. «Per aggiustare il solaris. Mi piace da quando ero piccola,» sbottò. «Ho sempre fatto tutto quello cui riuscivo a pensare affinché mi notasse!»
E continui a farlo, pensò Delanna, ma non disse neppure questo. «Forse dovresti dirgli ciò che provi,» suggerì.
«Certo! Per vederlo guardarmi come se non fossi neppure lì e rispondermi che ama Mary Brigbotham.» Cadiz si alzò. «Me ne vado a letto. Posso dormire sul sedile posteriore?»
«Certo, se riesci a sopportare Cleo. Ho paura che se dorme qui fuori, andrà di nuovo da quelle galline non appena mi sarò addormentata.»
«Posso sopportarla,» replicò Cadiz in tono cupo. «Almeno a lei piaccio.»
Piaci anche a B.T., pensò Delanna e desiderò che il fratello di Sonny potesse vedere Cadiz, il suo bel volto che aveva lavato apposta per lui, la sua espressione disperata. Se avesse visto Cadiz in quel momento, di sicuro avrebbe dato sfogo al sentimento che Delanna era sicura provasse per Cadiz. Così tolse lentamente il sacco a pelo dal retro del solaris, nella speranza che lui e Sonny tornassero.
In effetti tornarono, ma quando ormai le due ragazze dormivano profondamente, perché la cosa seguente che Delanna seppe era che Sonny era piegato su di lei, scuotendola e dicendo, «Andiamo. È ora di partire.»
Era ancora buio pesto. Delanna si limitò a fissarlo con aria sonnolenta. «Cosa c’è? Qual è il problema?»
«Non c’è nessun problema. Partiamo presto, ecco tutto. La carovana vuole arrivare dai Flaherty per mezzogiorno.»
Delanna si mise a sedere, ancora non del tutto sveglia. B.T. era in piedi e beveva una tazza di cava accanto al solaris che si era fatto prestare e che doveva aver portato lì durante la notte, Cadiz stava riponendo il suo sacco a pelo nel bagagliaio del solaris di Sonny. «Non capisco,» affermò Delanna. «Come fanno i solaris a funzionare al buio?»
«Useremo le batterie fino a quando non spunterà il sole,» le spiegò Sonny, poi si raddrizzò. «Andiamo. Faremo colazione per strada.»
Delanna si alzò goffamente in piedi, arrotolò il suo sacco a pelo e lo portò a Cadiz. «Dov’è Cleo?» le chiese.
«Dorme sul sedile posteriore,» rispose in tono brusco Cadiz. «Ed era ora: ha passato metà della notte a zampettare contro il finestrino, tentando di allontanarsi da me.» Strappò di mano a Delanna il sacco a pelo e lo mise a posto nel bagagliaio. «È ovvio che anche lei avrebbe preferito dormire con Mary Bigbottom.»
Quella mattina in Cadiz non c’era un briciolo di tristezza. E non era visibile neppure un ricciolo dei suoi capelli: Cadiz si era calcata sulla testa il cappello floscio a tal punto che Delanna non riusciva a vedere neppure un capello. Quando B.T. si avvicinò con il suo sacco a pelo, Cadiz commentò, «Poi, quando Cleo si è finalmente arresa ed è andata a dormire, qualche imbecille ha portato il suo solaris fin qui, svegliandomi di nuovo.» Strappò il sacco a pelo dalle mani di B.T. con una violenza tale che Delanna fu contenta che non fosse un’arma.
«Okay, andiamo,» commentò Sonny, dando a Delanna una tazza di cava e una spessa fetta di pane. «Come viaggiamo?»
Vi fu un altro di quei silenzi mortali. Delanna guardò speranzosa B.T., ma lui stava studiando la sua tazza di cava. Delanna non poté biasimarlo: Cadiz lo stava fulminando con lo sguardo. Anche se fosse riuscito a trovare il coraggio di chiederle di viaggiare con lui, Cadiz non era dell’umore per accettare e, se Sonny si fosse intromesso e le avesse detto di farlo, era probabile che lei e B.T. si uccidessero a vicenda prima che Little Dip fosse scomparsa alla vista, dunque era estremamente improbabile che sarebbero riusciti ad arrivare dai Flaherty!
«Viaggerò io con B.T.,» propose Delanna in tono disinvolto e, come ricompensa dei propri sforzi, ottenne un’occhiata minacciosa da parte di Cadiz e una delusa da parte di B.T. «Solo un istante,» aggiunse. «Devo prendere Cleo.» Scivolò nel retro del solaris e prese lo scarabeo, che le rivolse un’occhiata tanto malevola quanto lo era stata quella di Cadiz, e si aggrappò al cuscino del sedile come se ne andasse della sua vita. Quando Delanna riuscì a staccarlo da lì, metà della carovana era già partita e B.T. stava aspettandola con impazienza accanto al suo solaris.
«Mi dispiace,» si scusò Delanna, poi si sistemò sul sedile del passeggero, staccò di nuovo Cleo e la scaricò sul sedile posteriore. «Adesso va’ a dormire,» la ammonì.
B.T. attivò il solaris e si incolonnò nella carovana alle spalle di Sonny. Delanna si girò per controllare cosa stesse facendo Cleo. Lo scarabeo non stava dormendo. Era aggrappato allo schienale del sedile anteriore e stava tentando di risalirlo. Un solaris si accodò dietro di loro e suoi fari illuminarono direttamente Cleo.
«Oh, no!» esclamò Delanna, si girò e iniziò a staccare le unghie di Cleo dal sedile.
Lo scarabeo le affondò ancora di più. «Cleo, sta giù! Finiranno per vederti.»
«Qual è il problema?» le chiese B.T.
«Ho paura che dal solaris dietro di noi possano vedere Cleo,» spiegò Delanna, tentando di staccare le unghie di Cleo dal sedile. Fu inutile. Ogni volta che riusciva a staccarne una, Cleo si aggrappava allo schienale con un’altra.
«Tieni,» disse B.T. Le passò la sua giacca. «Mettigliela sopra.» Sterzò leggermente in modo che le luci dei fari non illuminassero direttamente il sedile posteriore. «Come va adesso?»
«Meglio, grazie,» rispose Delanna. Tese la giacca sul sedile posteriore come se fosse una tenda e la fissò con una torcia e due bottiglie di ambrosia vuote. «Okay,» disse a B.T. e lui tornò in fila.
«Ma come hai fatto a contrabbandare qui il tuo scarafaggio sotto il naso di Doc Lyle?» chiese mentre Delanna si sedeva e si guardava intorno.
«Non sono stata io, ma Sonny.» Gli raccontò tutta la storia su come Sonny avesse sottratto Cleo alla quarantena e ingannato Doc Lyle, facendogli credere che Cleo fosse finita nello smaltitore di rifiuti a Last Chance. Però iniziò a sbadigliare e continuò a mormorare, «Scusa.»
«Perché non ti concedi un’oretta di sonno?» le propose infine B.T. «Poi potrai guidare tu, mentre io dormo.»
«Okay,» approvò Delanna. «Però prima sarà meglio che dia un’occhiata a Cleo.» Sbirciò sotto uno dei bordi della giacca: Cleo si era ritirata all’angolo opposto del sedile posteriore e si era raggomitolata a palla. «Dorme,» annunciò Delanna, poi si addormentò anche lei, quasi immediatamente.
Dormì molto più a lungo di un’ora. Quando si svegliò era giorno fatto; le pianure piatte e marroni erano scomparse. Ora stavano viaggiando tra catene di dolci colline e qua e là crescevano chiazze di erba grigioverde.
«Che ore sono?» chiese, stiracchiandosi.
«Le dieci passate.»
«Le dieci? Oh, cavolo, mi dispiace. Vuoi che guidi adesso?»
«No. Tra poco faremo una sosta per pranzare con un po’ anticipo e io sono completamente sveglio. Sarà meglio se dai un’occhiata al tuo scarafaggio. Un po’ di tempo fa l’ho sentito muoversi.»
Delanna si girò per guardare Cleo. Sì, si era decisamente mossa: aveva tirato giù la giacca di B.T. e ora era al centro di essa, completamente raggomitolata.
«Ha usato la tua giacca per fare un nido,» spiegò Delanna a B.T. «La tirerò fuori di lì quando ci fermeremo.»
«Non preoccuparti, se la giacca serve a tenerla fuori dai guai. E poi non credo proprio che ne avrò bisogno: oggi sembra che farà molto caldo.»
Delanna guardò fuori del finestrino. Il cielo era limpido e di un azzurro brillante, il terreno intorno alla carovana stava già scintillando. Continuarono a viaggiare attraverso la catena di colline, che adesso erano un po’ meno spoglie e un po’ più verdi.
«Se aguzzi la vista, vedrai le montagne,» la informò B.T., indicando avanti a sé.
Delanna si protese in avanti e socchiuse gli occhi. In un primo momento non riuscì a vedere nulla, tranne alcune nuvole bianche all’orizzonte, poi comprese che stava osservando la neve che copriva le cime delle Montagne Greatwall, ancora tanto lontane che erano quasi dello stesso colore del cielo. «Le vedo!» esclamò. «Ma sono bellissime! Mi ero dimenticata di quanto fossero alte le Greatwall. Ricordo che da bambina pensavo che era da lì che si andava nello spazio.»
Rivolse un’occhiata a B.T. e vide che la stava fissando con la fronte aggrottata. «Cosa c’è?» chiese. «C’è qualcosa che non va?»
«Nulla,» rispose lui. Sbadigliò fin quasi a slogarsi le mascelle e scosse la testa, come se volesse schiarirsela.
«Sei sicuro che non vuoi che guidi io?» insistette Delanna. «Mi farebbe piacere.»
«Non manca molto,» rispose B.T. e Delanna notò che si era accigliato di nuovo. «Non sei assolutamente come mi ero aspettato.»
«Perché, tu cosa ti aspettavi?»
«Non lo so.» Scrollò le spalle. «Sei una Straniera, sei andata in una scuola esclusiva e tutto il resto. Sonny non è neppure andato alla scuola dei lanzye. Io immaginavo che…» Esitò.
Che avrei pensato che Sonny era uno zotico, concluse mentalmente Delanna, rendendosi conto, con un certo disagio, che aveva pensato proprio questo quando aveva visto Sonny, vestito con i suoi rozzi stivali, la camicia a fiori e i pantaloni a sacco, impegnato a tirare quel rimorchio carico d’oche.
«Immaginavo che non avresti saputo cosa fartene di Sonny,» stava dicendo B.T. «Pensavo che saresti saltata a bordo della prossima navetta.»
Questo lo credevo anch’io, pensò Delanna.
«E se lo avessi fatto, immagino che adesso io e Sonny ci staremmo cercando un lavoro nelle miniere. Le persone venute qui pensando che nelle miniere ci si poteva arricchire in fretta sono molto diverse dai coloni.» Scosse la testa. «Le miniere non sono certo il posto più adatto in cui fare crescere Wilkes e Harry. Ma avremmo dovuto fare qualcosa per tirare avanti dieci anni e immagino che fabbricare mattonelle sia un lavoro onesto. Il fatto che tu abbia deciso di rimanere ci offre molte altre possibilità.»
Ma io non rimarrò qui, pensò Delanna. Sonny non aveva detto a B.T. che lei voleva andarsene il più presto possibile, non appena Maggie avesse trovato un modo? Delanna non poteva biasimarlo, se aveva deciso di tacere: annunciare via radio una notizia del genere avrebbe reso il loro viaggio completamente insopportabile, ma Delanna era sorpresa che Sonny non lo avesse rivelato a B.T. la sera precedente. A meno che non avesse pensato che esistesse una possibilità che Delanna cambiasse idea.
Stranamente, quel pensiero non la fece infunare come al solito. Pensò a Sonny che veniva a salvarla nella macchia di arbusti, alle sue parole, «Non mi meraviglio che le scimmie incendiarie siano pazze di te.» Si sentì bruciare le guance e guardò nervosamente B.T., ma lui non si era accorto di nulla.
«Immaginavo che dopo avere frequentato quella scuola esclusiva su Rebe Primo non avresti sopportato di doverti accampare all’aperto,» proseguì B.T., «e di non avere la possibilità di fare un bagno.»
«Non hai sentito la notizia? Ho fatto un bagno: in un ruscello di sale,» lo informò Delanna in tono triste.
B.T. sogghignò. «L’ho sentita. Ma hai sopportato in maniera sportiva i commenti ironici e hai dato una mano con la tenda, la cucina e la guida. Immaginavo che non avresti fatto altro che rimanere seduta a lamentarti, come…» Si fermò, assunse un’aria imbarazzata e poi aggiunse, «Sarà meglio che controlli via radio com’è il tempo davanti a noi.» Iniziò ad armeggiare con la radio.
Come chi? si chiese Delanna. Non come Cadiz, che poteva anche lamentarsi un po’, ma che certamente non poteva essere accusata di starsene seduta e di non dare una mano. Forse B.T. voleva riferirsi alla ormai leggendaria Mary Brigbotham? Ma non si aspettava certo che Delanna fosse come lei, vero?
La radio non trasmetteva nulla se non statica. «Deve essere colpa delle macchie solari oppure dei temporali,» commentò B.T., poi la sua voce sembrò assumere un tono sulla difensiva. «Sonny può non essere andato in una scuola esclusiva, ma lavora come un mulo per mandare avanti Milleflores.» Armeggiò di nuovo con l’apparecchio ricevente, che emise un lungo stridio che torturò le orecchie di Delanna.
«Lascia che ci pensi io,» si offrì Delanna, sentendosi più confusa che mai. Lei non aveva mai detto che Sonny non lavorasse duro, ma B.T. le era sembrato molto arrabbiato. Nei confronti di chi? Forse Sonny gli aveva davvero raccontato del loro matrimonio pro forma ed era arrabbiato proprio con lei, ma non credeva che le cose stessero così.
Armeggiò ancora un po’ con la manopola della sintonia e la voce di un uomo rimbombò nell’abitacolo, «…per dopodomani.»
«Scusa,» disse Delanna abbassando il volume, anche se pensava che fosse stato B.T. ad alzarlo quando aveva pasticciato con le manopole.
«Com’è il tempo lì?» proseguì l’uomo a un volume meno assordante.
«Nuvoloso, e il barometro sta scendendo,» rispose una voce di donna. «Sarà meglio che controlli di avere un po’ di energia nelle batterie di riserva prima di partire.»
L’uomo interruppe la comunicazione e un altro uomo intervenne prima che Delanna potesse chiedere com’era il tempo.
«Qui è Tom Toricelli che chiama il Valley View. Siamo quasi arrivati alla Strada Meridionale. Sarò a casa per cena, Sugarbabe.»
La voce di Sugarbabe rispose, «Devi aver fatto un bel viaggio.»
«Puoi starne certa,» le assicurò Toricelli. «Quando ho visto quel temporale, ho pensato che ci avremmo messo tre mesi per attraversare le Pianure, ma questo viaggio è stato come bere un bicchiere di ambrosia: Jay ha qualche nuovo programma che…»
«Betty vuole salutarti,» lo interruppe la moglie e una voce di bambina chiese, «Mi hai portato qualcosa, papà?»
«Ma certo,» rispose Toricelli. «Ho delle belle galline con cui potrai giocare e ti racconterò tutto sul viaggio quando arriverò lì.»
«Per caso hai visto qualche scimmia incendiaria?» gli chiese Betty. Delanna si protese in avanti e alzò il volume.
«Neppure una,» rispose Toricelli. «Però a Little Dip ho visto un animale stranissimo. Stava salendo di nascosto sul mio rimorchio. Somigliava a uno scarafaggio, ma…»
«Oh, no!» esclamò Delanna, portandosi la mano alla bocca. «Ma sta parlando di Cleo!»
«…era più grande di qualsiasi altro scarafaggio abbia mai visto,» proseguì Tom Toricelli.
«Scusatemi,» intervenne la voce di Sonny. «Vi chiedo scusa. Devo fare una chiamata con priorità di carovana. Ho bisogno di mettermi in contatto con Jay Madog.»
«Va bene, Sonny,» rispose Tom. «Betty, papà deve andare. Ci vediamo a cena.»
Sonny iniziò il solito controllo con Jay, ma Delanna era sicura che lo aveva fatto apposta.
«Almeno Sonny lo ha fermato prima che dicesse di più,» notò B.T.
«Lo so,» rispose Delanna in tono sollevato. «Jay ha detto che non l’aveva vista nessuno. Non pensi che Doc Lyle fosse in ascolto, vero?»
«Per sorbirsi una serie di saluti e di ‘Sarò a casa per cena?’ No, non preoccuparti. Sonny parlerà a Tom prima che parli di nuovo via radio e si assicurerà che non dica più nulla.»
Delanna annuì, ma ascoltò con ansia il resto delle trasmissioni del mattino e, non appena si furono fermati per il pranzo, saltò giù dal solaris e corse a parlare con Sonny.
Lui le confermò quello che le aveva anticipato B.T. «Ho appena parlato con Tom. L’ho convinto che quella che aveva visto era una tartaruga di stagno. Gli ho detto che l’ultima volta che sono stato a Little Dip ne ho visto una lunga un metro.»
«Sei sicuro che ti abbia creduto?»
«Sì. Non preoccuparti. Tom non parlerà più via radio: è quasi a casa. E Doc Lyle non avrebbe potuto sentire la trasmissione in ogni caso. Oggi è il giorno di atterraggio della navetta. Ha degli animali da visitare.»
La navetta. Delanna pensò a quando era arrivata sulla navetta e Doc Lyle aveva sequestrato Cleo nel magazzino delle merci. Sembravano essere passati mille anni. E mille miglia.
Cinquemila miglia, ricordò a se stessa e un viaggio di almeno due settimane attraverso le Pianure di sale. Sonny aveva ragione: Cleo era al sicuro.
Però continuò a tenere Cleo nascosta nel retro del solaris fino a quando non partirono di nuovo e poi fece accostare B.T. in modo che potesse farla uscire per qualche minuto.
Quando si riunirono alla carovana, i solaris avevano rallentato e tre di essi avevano svoltato ai piedi di una collina.
«Dove stanno andando?» chiese Delanna. «Dovevamo svoltare anche noi?»
«Stanno andando a casa. Quella è la strada diretta a sud, verso il lanzye di Toricelli, il Valley View, e quello di Yamomoto, il Silvan Springs. Per loro sarebbe inutile fare tutta la strada fino ai Flaherty per poi dovere tornare indietro.»
«Noi andiamo dai Flaherty?» chiese Delanna, pensando a Jay e chiedendosi se avrebbero svoltato anche loro, senza neppure salutarlo. Certo, non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sedurre da Jay, ma questo non significava che non le avrebbe fatto piacere salutarlo.
«Dobbiamo andarci per forza: questo è il solaris dei Flaherty. E, in ogni caso, la scorciatoia non fa risparmiare così tanto tempo.»
Delanna osservò i solaris che si allontanavano e diventavano sempre più piccoli. «Non si salutano neppure?»
B.T. allungò una mano verso la radio e la accese. «Ma lo stanno facendo.»
«Be’, ricordati che voglio quella ricetta della conserva di ambrosia,» disse via radio una voce di donna, «e dì a Maurey che mi deve un ballo alla festa del raccolto.»
«Allora ci vedremo al raccolto.» Era la voce di un uomo.
Si inserì un altro uomo. «Dite a Mort Sanderson di venirsi a prendere la sua scavatrice. E, lungo la strada, chiedete se qualcuno ha uno schiaccia-palle di cannone.»
«Arrivederci, Ellie!» esclamò la voce di un ragazzo, tanto colma di emozione che ascoltarla fu quasi doloroso.
«Arrivederci!»
«Non camminate sul sale.»
«Guidate con prudenza.»
«Addio!»
Andò avanti così fino a quando i solaris non scomparvero alla vista e il polverone che avevano sollevato si posò, proprio come se gli altri membri della carovana fossero rimasti a salutare e poi fossero tornati a sbrigare le solite faccende.
La radio tornò di nuovo in vita. «Ho una chiamata per Bruno Stern. E cos’è questa voce che ho sentito su Jay Madog e una delle ragazze Flaherty?»
B.T. allungò la mano e fece scattare l’interruttore con una tale violenza che Delanna pensò che avrebbe potuto romperlo.
«Le persone se ne escono con i pettegolezzi più incredibili via radio, vero?» commentò Delanna in tono mite.
«So da chi l’ha sentito,» replicò B.T. in tono cupo.
«Sonny mi ha detto che non bisogna credere a tutto quello che si sente via radio. Abbiamo sentito dire che tu eri andato a fare visita a Mary Brigbotham, mentre in realtà stavi venendo da noi.»
«Mary Brigbotham!» esclamò B.T. in tono rabbioso. «Non le ho mai rivolto più di due parole. È incredibile quante stupidaggini si sentono via radio!»
Delanna non disse nulla.
«Mary,» ripeté pensosamente B.T. «È per questo che Cadiz è così irritata da quando sono arrivato?»
Delanna annuì. «Hanno detto che eri andato a corteggiarla e Cadiz non è riuscita a trovarti quando ha tentato di mettersi in contatto con te.»
«Mary Brigbotham.» B.T. scosse la testa. «Mary è una di quelle creaturine timide che rischiano di cadere, se non le sostieni. Ma perché dovrei volere una ragazza del genere? Cadiz invece…» Si fermò.
«Le hai detto quello che provi?»
«Detto? E lei perché pensa che abbia fatto tutta questa strada?»
«Per aggiustare il solaris di Sonny,» rispose Delanna in tono innocente.
B.T. rifletté su quella risposta per qualche istante. «Ma come faccio a dirle qualsiasi cosa? Non ha nemmeno voluto parlare con me quando ci siamo fermati a pranzo. Era impegnata a civettare con Jay.»
Oh, Cadiz, pensò Delanna, sei assolutamente decisa a combinare un bel pasticcio! «A Cadiz non importa nulla di Jay,» affermò Delanna in tono deciso.
«Be’, di sicuro non saresti in grado di provarlo, visto il modo in cui gli sta appiccicata. Lo faceva sempre anche con Sonny, ma non mi sono mai preoccupato, perché lui non l’ha mai degnata neppure di uno sguardo. Non faceva che parlare di te. Ma Jay è diverso: ha corteggiato ogni donna e ogni ragazza su Keramos, dunque deve essere molto bravo e Cadiz dava l’impressione di prendere ogni sua parola per oro colato.» B.T. fece una breve pausa, poi aggiunse, «Eccone un altro.»
Indicò un solaris che si staccava dalla carovana. Delanna non riuscì a vedere alcuna strada, ma il solaris curvò verso sud e iniziò ad allontanarsi attraverso le colline punteggiate d’arbusti.
«Gli Oshiga e gli Hansen svolteranno tra pochi minuti,» commentò B.T. e prese il microfono. «Qui parla B.T. Tanner. Ho ancora quel vostro distillatore d’acqua. Volete che venga a riportarvelo?»
«Tienilo fino alla festa del raccolto,» replicò Hansen. «A Grassedge ne ho comprato uno nuovo. Cos’è questa voce su Jay e di Cadiz che starebbero per sposarsi? Si è stancata di darti la caccia e ha deciso di volere essere quella che veniva cacciata? Jay…»
B.T. avvicinò il microfono alla bocca ed emise un crepitio molto simile alla statica. «Macchie solari,» commentò, poi rimise il microfono sulla forcella con aria cupa.
«Quanto è lontano il lanzye dei Flaherty?» gli chiese Delanna.
B.T. indicò il punto in cui le colline diventavano più alte e più verdeggianti. «Vedi quel varco tra le colline? Subito dopo c’è il lanzye dei Flaherty. Non è molto lontano.»
«Non molto lontano» significò due ore di viaggio. Le colline divennero più verdi e più dolci e lungo i loro fianchi iniziarono a scorrere numerosi ruscelli. I solaris degli Hansen e degli Oshiga svoltarono seguendo il corso di uno di essi e sparirono quasi immediatamente tra le colline verso nord; subito dopo la carovana sembrò smettere di salire. Le colline divennero più basse e meno aspre; adesso erano coperte di erba alta, spessa e di colore verdazzurro.
Delanna si sporse in avanti, tentando di vedere il lanzye dei Flaherty e chiedendosi se sarebbe stato una delusione come Spencer’s Wagon. Aveva tentato di ricordare come fosse Milleflores, ma conservava solo un vago ricordo di una casetta e di un paio di baracche con i tetti spioventi. Suo padre aveva costruito la casa usando mattoni grezzi, ma gli abitanti di molti lanzye avevano dovuto accontentarsi di semplici tende, circondate da una palizzata per tenere fuori gli animali. E Doc Lyle aveva detto che Milleflores era «in pessime condizioni,» qualsiasi cosa significasse.
Fino a quel momento Delanna aveva evitato di pensare a come sarebbe stato Milleflores. Ci penserò quando sarò lì, si era detta, ma adesso erano quasi arrivati e il lanzye dei Flaherty le avrebbe dato qualche indicazione sul tipo di posto in cui avrebbe trascorso le due settimane seguenti. Oppure l’anno seguente, se l’appello di Maggie alla Corte Itinerante fosse stato respinto.
«Il lanzye dei Flaherty è bello?» chiese a B.T.
«Immagino di sì, e i suoi abitanti sono molto amichevoli, se escludi Cadiz.»
Delanna voleva sapere se si sarebbero accampati di nuovo all’aperto, ma era riluttante a chiedere a B.T. quali comodità avrebbero avuto a disposizione, non dopo che lui aveva lodato il modo in cui aveva sopportato i disagi del viaggio. Almeno i ruscelli che stavano guadando non sembravano del tipo di quelli che facevano bruciare la pelle. Però Delanna giurò a se stessa che avrebbe controllato, prima di immergere nell’acqua un solo dito.
B.T. sembrava ancora più triste di quando Hansen gli aveva chiesto di Cadiz e di Jay, ma non c’era molto da meravigliarsi: Cadiz era quasi tornata a casa e, se Delanna la conosceva, si sarebbe precipitata fuori dal solaris di Sonny e sarebbe entrata nella tenda o nella baracca o in qualsiasi altro riparo disponesse la sua famiglia senza rivolgere neppure un saluto a B.T.
«Rimarremo molto tempo dai Flaherty?» chiese.
«Probabilmente ci fermeremo solo per questa notte. Sonny vorrà tornare a casa il più presto possibile per dare un’occhiata a Harry e Wilkes. Se tu non stessi viaggiando con me, svolterei subito e rimanderei il solaris con Wilkes domani mattina. È assurdo concedere a Cadiz un’altra occasione per ignorarmi.»
Allora sono felice di stare viaggiando con te, pensò Delanna. Avrebbe voluto fare qualcosa per farli mettere insieme, ma erano entrambi così testardi! Se fossero arrivati lì in tempo per la cena… «Quanto hai detto che era lontano il lanzye dei Flaherty?»
«Saremo lì tra un’ora e mezzo. Dietro questa collina,» spiegò B.T. mentre il solaris ne raggiungeva la cima, «c’è il ranch. Vedi, cosa ti avevo detto?»
Per un istante, Delanna non vide quello che le stava indicando B.T. nella valle sotto di loro. Si era aspettata qualche baracca dal tetto spiovente, oppure una tenda dalle pareti sottili. E invece il ranch era dello stesso colore verde delle colline. Anzi, era ancora più verde. Il vasto edificio principale, le dipendenze e i fienili erano tutti costruiti con mattoni di ceramica di un brillante verde smeraldo e riempivano quasi l’intera valle, brillando come i gioielli dello stesso colore, allineandosi lungo il corso del ruscello; il piccolo fiume scorreva al centro del lanzye e poi curvava verso l’edificio principale, che era perfino più grande della locanda di Last Chance.
«Ma…» balbettò Delanna. «È bellissimo!»
B.T. iniziò a scendere lungo il fianco della collina. «Ammesso che gli abitanti si degnino di rivolgerti la parola.»
«Il che mi sembra probabile,» replicò Delanna, indicando una figura che indossava un paio di pantaloni e un cappello sformato e stava salendo lungo il fianco della collina a passo piuttosto svelto.
«Quella non è Cadiz,» replicò B.T., con voce ancora più triste. «Quella è sua madre.»
Mrs. Flaherty li salutò e mentre si avvicinava Delanna vide che il suo cappello era in condizioni peggiori di quello di Cadiz. La donna trottò fino al finestrino di B.T. e gli fece cenno di aprirlo.
«B.T. Tanner,» esordì, «cos’è questa faccenda di Cadiz e di quel buono a nulla di Jay? Pensavo che stavi andando a farle la dichiarazione.»
«Lei…»
«Ed ecco la sposa novella!» La madre di Cadiz allungò il braccio oltre la faccia di B.T. e strinse la mano a Delanna. «L’ultima volta che ti ho visto arrivavi al ginocchio di una palla di cannone, ma adesso, guardati! Non mi meraviglia che Sonny sia stato pazzo di te per tutti questi anni. B.T., cosa ti sei fermato a fare qui? Vieni giù a casa. Delanna, per te abbiamo preparato un ricevimento nuziale che batterà qualsiasi altro ricevimento mai dato!»
CAPITOLO UNDICESIMO
Delanna temeva che la festa sarebbe iniziata l’istante in cui sarebbero scesi dalla collina, ma quando imboccarono il vialetto di accesso la madre di Cadiz era ancora in cortile, nonostante li avesse preceduti con la sua andatura svelta, impegnata a salutare tutti e a dirigere il traffico agitando il cappello. B.T. percorse il vialetto e parcheggiò accanto a un trattore con la vela solare più grande che Delanna avesse mai visto. Sonny non si vedeva da nessuna parte, ma Cadiz era in piedi accanto al solaris e scrutava la folla.
«Ha davvero tentato di parlare con me via radio?» chiese B.T. a Delanna.
«Vaglielo a chiedere di persona,» rispose Delanna, coprendo Cleo con la giacca in modo che nessuno potesse vederla. Fortunatamente, lo scarabeo era ancora addormentato. Delanna sperò che tutta quella confusione non lo svegliasse. «Va’, B.T. Questa è la tua occasione.»
B.T. uscì dal solaris e si avviò verso Cadiz con aria decisa, ma prima ancora che potesse fare due passi, Cadiz gridò, «Jay! Jay Madog!» e si fiondò verso Jay, che stava dirigendosi verso di loro attraverso il labirinto di solaris e di rimorchi.
Cadiz fece scivolare il braccio sotto il suo. «Oh, Jay, avevo paura che avessi deviato sulla Strada Meridionale,» tubò ad alta voce, in modo che B.T. non potesse fare a meno di udirla, «e che non avrei potuto salutarti.»
L’espressione assunta da B.T. fece capire che gli sarebbe piaciuto strozzare Cadiz; Delanna si augurò che lo facesse davvero. Diede di nuovo un’occhiata a Cleo e poi andò a cercare Sonny per dirgli dei piani della madre di Cadiz per organizzare un ricevimento nuziale. Non pensava che a Sonny sarebbe piaciuto più che a lei dovere subire un altro intrattenimento come quello offerto da Chancy e i suoi amici. Si diresse verso lo scintillante ranch color smeraldo.
La madre di Cadiz era sulla soglia. «Adesso fate tutti come se foste a casa vostra,» li invitò. «Siete voi i padroni di casa, come se non se lo sapeste già. Il cibo è in cucina, l’ambrosia è nel fienile,» spiegò, indicando i vari posti. «La radio è in casa, se avete dei messaggi da inviare.» Afferrò Delanna per un braccio. «Tu e io dobbiamo parlare del ricevimento nuziale, Mrs. Tanner, e poi voglio sapere cosa sta succedendo tra B.T. e mia figlia,» aggiunse, indicando Cadiz che era accanto al veicolo di Jay e rideva insieme a lui. «Mi piacerebbe sbattere insieme le loro teste. Però dovrò aspettare la fine della baldoria. Immagino che ti piacerebbe darti una ripulita prima di metterci al lavoro.»
«Sarebbe davvero meraviglioso,» replicò Delanna, grata di poter smettere di parlare della festa incombente. E una doccia sonica sembrava il paradiso dopo il fango delle Pianure. «Voi non avete una doccia sonica, vero?»
«Una doccia sonica? Ma puoi fare il bagno, se vuoi. Cadiz!» gridò Mrs. Flaherty con una voce che si sarebbe udita anche dall’altra parte delle Pianure di sale.
Cadiz si allontanò da Jay e si avviò verso di loro. «Cadiz, vieni qui e fa’ vedere alla moglie di Sonny dove può fare un bagno, invece di oziare in compagnia di Jay Madog!» esclamò la madre, poi lasciò Delanna per andare ad aiutare una donna a fare scendere due bambini da un rimorchio.
«La vasca è nella distilleria,» spiegò Cadiz. «B.T. ti ha detto qualcosa su di me mentre voi due eravate nel solaris?»
«Ha detto che tu non volevi parlare con lui,» rispose Delanna. «Sai dov’è Sonny?»
«No, non l’ho visto da quando siamo arrivati qui.»
«Bene, allora va’ a cercarlo e digli che devo parlargli. Intanto io vado a prendere un asciugamano e qualche vestito pulito.»
«Benissimo,» rispose Cadiz. «B.T. era davvero infuriato per Jay?»
«E tu non lo saresti?» le chiese Delanna, poi si avviò nel cortile verso il solaris dei Flaherty per prendere l’asciugamano.
Cleo era sveglia ed era riuscita a passare dal sedile posteriore a quello anteriore. Delanna la convinse a tornare di nuovo nel nido che aveva ricavato dalla giacca di B.T. Mentre stava frugando nella sacca, cercando una camicia pulita, B.T. si avvicinò a passi furiosi, aprì il bagagliaio e afferrò il suo sacco a pelo.
«Cosa stai facendo?» gli chiese Delanna.
«Te lo dirò io quello che faccio: non rimarrò certo qui.» Scaricò il sacco a pelo nel retro del solaris di Sonny.
«Ma…» esordì Delanna, voltandosi per rivolgere un’occhiata ansiosa verso la casa.
B.T. stava frugando nel retro del solaris dei Flaherty. «Lo so, sua madre sta preparando una grande festa e tutto il resto per te e Sonny, ma non ne posso più di vedere Cadiz ronzare intorno a Jay.» Ripescò uno stivale. «Mi dispiace doverti dare una delusione.»
«Non è così, ma…» Delanna rifletté freneticamente, tentando di pensare a qualcosa che potesse convincerlo a rimanere.
B.T. trovò l’altro stivale, li gettò entrambi nel solaris di Sonny e chiuse con violenza il bagagliaio. Il rumore spaventò Cleo, che iniziò a zampettare contro il finestrino.
«Prima di andare via mi faresti un favore?» gli chiese Delanna, afferrando il braccio di B.T. che stava per entrare nell’abitacolo. «Ci vorranno solo pochi minuti. Cleo ha bisogno di fare una passeggiata, ma qui ci sono troppe persone. Conosci qualche posto riparato in cui possa sgranchirsi le zampe?»
«Potresti portarla nella baracca del fertilizzante.» B.T. indicò un piccolo edificio discosto dagli altri, che sorgeva dall’altra parte del vialetto. «Lì dentro non correrai il rischio di incontrare qualcuno.» Entrò nel solaris di Sonny.
Una baracca del fertilizzante non era decisamente un posto romantico. «Ma Cleo ha bisogno d’acqua. Nei paraggi non c’è un ruscello con qualche albero o magari un boschetto? Per favore. È rimasta nel solaris tutto il giorno.»
«C’è un boschetto di arbusti balla subito dopo il vialetto,» rispose lui, indicando nell’altra direzione. «Scendi lungo quella collina. Ai suoi piedi troverai un ruscello.» Inserì la marcia del solaris.
«Ma come farò a passare in mezzo a questa folla? E se qualcuno vede Cleo mentre la sto trasportando? Non potresti darci un passaggio fin lì? Per favore?»
B.T. sembrò disgustato, ma spense il motore, uscì dal solaris di Sonny ed entrò in quello dei Flaherty. Delanna lo imitò con aria felice. B.T. eseguì un vero e proprio slalom tra i solaris e i rimorchi parcheggiati in modo casuale e scese lungo il vialetto. «Almeno quaggiù non correrò il rischio di incontrare Cadiz,» commentò, facendo girare il solaris e iniziando a seguire il corso del piccolo ruscello. Si fermò accanto ad alcuni bassi arbusti fiancheggiati da alberi più alti. Gli arbusti avevano foglie simili a piume e fiori di un giallo tenue.
«Qui è perfetto,» commentò Delanna, sollevando Cleo e deponendola accanto al ruscello dal corso tortuoso. Lo scarabeo si raggomitolò immediatamente a palla.
«Non sembra molto interessata a fare un po’ di esercizio,» commentò B.T.
«Si estenderà tra un istante,» gli assicurò Delanna. «Senti, mi faresti un altro favore? Non ho fatto un bagno da quando siamo partiti da Last Chance e la madre di Cadiz dice che hanno una vasca e tutto il resto. Terresti d’occhio Cleo per qualche minuto, mentre io vado a fare il bagno? Prometto che farò in fretta.»
«Immagino di poterti accontentare,» replicò B.T. in tono riluttante. «Ma poi andrò via.»
«Penso che sia una buona idea,» approvò Delanna. «È inutile rimanere qui, se non vuoi dire a Cadiz quello che provi.»
«Cosa intendi dire? E poi, come faccio a dirglielo se ronza sempre intorno a Jay?»
«Non stava ronzando intorno a Jay quando sei arrivato a Little Dip e non le hai detto neppure ciao. Cadiz non è una telepate. Come può sapere cosa provi, se non sei tu a dirglielo?»
«Io ero pronto ad attraversare le Pianure di sale pur di vederla!»
«Ma poi le hai detto che eri venuto ad aggiustare il solaris. Sai cosa ha fatto quando ha capito che eri tu? Ha avuto quasi un crisi isterica perché non si era lavata i capelli. Praticamente ha sbattuto per aria me e Sonny per prendere un pettine, ma tu non l’hai degnata neppure di uno sguardo. Non posso certo biasimarla, se allora si mette a correre dietro a Jay.»
Delanna prese l’asciugamano, la camicia e un pettine per rendere più convincente la messinscena. «Se fossi in te, glielo direi la prossima volta che ne avessi la possibilità, oppure la radio annuncerà il suo fidanzamento con Jay, ma questa volta si tratterà di una notizia vera.» Indicò Cleo con il pettine. «Non lasciare Cleo da sola. Non è abituata all’acqua profonda. Tornerò il più in fretta possibile.» Iniziò a risalire il fianco della collina. Okay, pensò, il primo è sistemato. Adesso speriamo solo che Cadiz sia ancora a casa.
Era ancora lì e si stava sorbendo una ramanzina coi fiocchi dalla madre. «Perché ci hai messo tanto?» le chiese Cadiz, trascinando Delanna nella distilleria.
«Ho portato Cleo ai piedi della collina,» spiegò Delanna. «Era stata nel solaris tutto il giorno. L’ho lasciata lì, accanto a un ruscello, ma adesso non penso che avrei dovuto farlo.» Si voltò a guardare in quella direzione e assunse un’aria ansiosa. «E se viene a cercarmi e qualcuno la vede? La terresti d’occhio per me, solo per pochi minuti, mentre io faccio il bagno?»
«Dov’è?»
«Te lo farò vedere,» rispose Delanna, poi la condusse fuori della distilleria e attraverso il cortile. «B.T. sta andando a casa.»
«Andando a casa? Perché?»
«Ha detto che non riusciva a sopportare di vederti insieme a Jay: lo faceva soffriva troppo.»
«Davvero?» Cadiz si fermò e si voltò a guardare verso i solaris.
«Ormai è andato via. Quando sono andata a prendere Cleo, stava scaraventando tutta la sua roba nel solaris di Sonny. Mi raccomando, tieni d’occhio Cleo: sai che le piace allontanarsi.»
Cadiz guardò i solaris per un altro minuto, poi iniziò di nuovo a camminare con un’espressione abbattuta. «Stavo solo tentando di spingerlo ad accorgersi di me.»
«Lo so,» replicò Delanna, facendo strada lungo la collina. L’antenna del solaris non era visibile al di sopra dei cespugli ed era una vera fortuna. «Ma non puoi comportarti in modo tanto contraddittorio e sperare che B.T. capisca che è lui quello che ami.» Camminò oltre il primo degli alberi, ormai a portata d’orecchio di chiunque si trovasse nel boschetto. «E tu lo ami, vero?»
«Ma certo che lo amo!»
«Allora faresti meglio a smettere di giocare e a dirglielo. Ecco Cleo. Non lasciare che si arrampichi su nessun albero. Continua a tentare di covare le uova di qualsiasi uccello.»
«Non posso farglielo sapere,» ribatté Cadiz in tono lamentoso. «Se ne è già andato. Probabilmente è andato a trovare Mary Brigbotham.»
«Non lasciare che Cleo si allontani,» la avvertì Delanna in tono severo. «Può muoversi molto in fretta, se vuole. E tienila nel boschetto, in modo che nessuno possa vederla. Io tornerò il più presto possibile.»
Cadiz camminò verso Cleo, battendo il cappello sulla coscia con aria abbattuta.
«Parlale!» le gridò dietro Delanna, «Così non si spaventerà e non si raggomitolerà a palla. Dille ciao.»
«Ciao, scarafaggio,» salutò Cadiz in tono privo di entusiasmo.
Delanna non poteva vedere B.T. attraverso il boschetto, ma Cadiz doveva averlo visto, perché si fermò di botto, sollevò il cappello per metterselo in testa e poi lo lasciò cadere. «B.T.!» esclamò, in tono sorpreso ma almeno non bellicoso.
«Cosa ci fai qui?» le chiese B.T. Delanna pensò, Oh, no, se si rendono conto che sono stati condotti qui con l’inganno, è la fine.
«Sono venuta a dare un’occhiata a Cleo,» spiegò Cadiz. «E per chiederti se è vero quello che dicono su di te e Mary Brigbotham.»
«Mary Brigbotham!» esclamò B.T. in un tono che avrebbe dovuto essere l’unica risposta di cui Cadiz aveva bisogno.
Delanna si nascose dietro il tronco di un albero di palle di cannone, tentando di vedere B.T. Non solo fai la mezzana, come Maggie, si disse, ma adesso ti stai comportando come i pettegoli della radio, però si sporse lo stesso da dietro l’albero, tentando di godere di una vista migliore. In effetti riuscì a vedere le punte degli stivali di B.T.
«Sai bene che non bisogna prestare fede a quello che si dice via radio,» affermò B.T.
«Sì,» rispose Cadiz, rigirando il cappello tra le mani. «E tu? Non avrai creduto alle voci del mio fidanzamento con Jay, vero?»
«Non lo so. Sei fidanzata?»
«Vuoi scherzare?» ribatté Cadiz in tono colmo di disprezzo.
Finora tutto bene, pensò Delanna, osservandoli. Adesso se riuscissero a trascorrere cinque minuti insieme senza essere disturbati… Non avrebbe dovuto essere troppo difficile. Erano nascosti dal boschetto e tutti gli altri erano ancora accanto alla distilleria, impegnati a bere quella terribile ambrosia. E a fare il bagno.
Il che ricordò a Delanna che, se voleva farne uno anche lei, avrebbe fatto meglio a spicciarsi mentre ne aveva la possibilità. Si girò per tornare indietro.
«Cosa ci fai quaggiù?» chiese Jay.
Delanna sussultò come se avesse visto una scimmia incendiaria. «Jay!» esclamò, tentando di sembrare contenta invece che terrorizzata. «Se stai cercando Cadiz, è al ranch. Tornerò insieme a te.»
«Non stavo cercando Cadiz,» rispose Jay, poggiando la mano sullo spesso tronco di un arbusto balla.
«Oh.» Delanna rivolse una rapida occhiata al ruscello. Cadiz non si vedeva più, ma il boschetto non era un nascondiglio perfetto. «Be’, la sto cercando io,» replicò. «Cadiz mi ha promesso che mi avrebbe mostrato dove potevo fare un bagno.» Mostrò a Jay l’asciugamano e cercò di superarlo.
Jay non spostò la mano dall’albero. «Eri tu la donna che stavo cercando,» annunciò. «Avevo qualcosa da dirti.»
«Puoi dirmelo sulla strada del ritorno,» rispose Delanna, poi si chinò, passando sotto il braccio di Jay. Fortunatamente Jay smise di appoggiarsi al tronco e si affiancò a Delanna.
«Volevo parlartene ieri sera,» proseguì, «ma Cadiz stava facendo qualcuno dei suoi soliti giochetti con B.T. Tra l’altro, non ha fatto nessuna doccia sonica nel mio solaris.»
«Lo so: me lo ha detto lei,» commentò Delanna, precedendo Jay lungo la collina con un’angolazione che poneva l’intera ampiezza del boschetto tra loro e il ruscello. «Ha detto che aveva deciso di fare un vero bagno, come quello che voglio fare io. Le docce soniche sono piacevoli, ma ho l’impressione di essere coperta di polvere dalla testa ai piedi.»
«Non volevo che tu pensassi che stessi incoraggiando Cadiz,» proseguì Jay, sembrando stranamente a disagio. «Non sapevo che tipo di voci stessero girando, ma volevo dirti che non bisogna credere a tutto quello che si sente per radio. Non ho conquistato neppure la metà di tutte le donne che dicono.»
Anche metà è un numero sufficiente, pensò Delanna. Rischiò un’altra occhiata da sopra la spalla quando giunsero in vista delle dipendenze. Non vide né Cadiz, né B.T., il che significava che stavano ancora parlando. O almeno così sperava.
«Volevo anche dirti grazie per avere configurato il programma,» proseguì Jay. «Se non lo avessi fatto, saremmo stati raggiunti dal temporale e adesso saremmo ancora dall’altra parte delle Pianure.»
B.T. e Cadiz stavano uscendo dagli alberi. Delanna, impegnata a osservare gli edifici per vedere se qualcuno si stesse dirigendo verso di loro, non capì cosa aveva detto Jay e dovette chiedergli di ripetere.
«Ho detto: mi dispiace che non siamo stati raggiunti dal temporale.»
«Perché?» chiese Delanna in tono assente, osservando una coppia che si stava avviando mano nella mano verso uno dei solaris. La madre di Cadiz li salutò agitando il cappello e corse verso di loro.
«Perché…» Jay si fermò. «Non posso dirtelo mentre cammino.» Le strinse le braccia. «Perché se non avessi programmato il computer, saremmo ancora sull’altro lato delle Pianure e io non dovrei dirti addio. Delanna…»
Scioccata, Delanna si rese conto di quello che stava per dirle Jay. Avrebbe dovuto prevederlo, avrebbe dovuto capirlo non appena lui aveva iniziato a spiegarle la faccenda di Cadiz e della doccia sonica, ma era stata così impegnata nel suo ruolo di sensale di matrimoni, che non aveva prestato la dovuta attenzione ai segnali. Se lo avesse fatto, non avrebbe permesso che la faccenda arrivasse fino a quel punto.
«Non ti biasimerei se pensassi che io sono un dongiovanni,» proseguì Jay e per Delanna fu sconcertante vederlo tanto a disagio, «considerato il modo in cui ti sono corso dietro all’inizio, ma mentre attraversavamo le Pianure e ti osservavo lavorare al computer, io…»
Non avrei dovuto permettere che le cose si spingessero fino questo punto, si rammaricò Delanna. «Non puoi continuare a comportarti in modo tanto contraddittorio senza trovarti nei guai,» aveva detto a Cadiz; be’, anche lei avrebbe dovuto seguire quel consiglio.
«Domani devo tornare indietro,» proseguì Jay. La stretta sulle braccia di Delanna si accentuò. «Ho un’altra carovana che mi aspetta a Grassedge e voglio arrivare lì prima dell’inizio delle piogge. Starò via solo poche settimane, grazie al tuo aiuto nel configurare il programma, ma volevo dirti qualcosa prima di andare via.» Si protese verso di lei.
Delanna disse la prima cosa che le venne in mente. «Mi porterai il mio baule?»
«Il mio baule?» ripeté Jay in tono inespressivo.
«Quello rimasto sulla nave. Hai detto che l’avresti fatto portare giù con la navetta e me l’avresti mandato con la prossima carovana.»
Jay le lasciò andare le braccia e Delanna colse l’occasione per mettersi di nuovo a camminare. «Sarò così felice di riaverlo! Ho messo volentieri gli abiti di Cadiz, ma sarò molto felice di riavere di nuovo i miei, specialmente le scarpe. Le scarpe di Cadiz sono più piccole delle mie e i piedi mi fanno male fin da Spencer’s Wagon.»
«Ti porterò il tuo baule,» affermò Jay. Le strinse di nuovo le braccia e la fece girare verso di lui. «Ti porterei tutto quello che vuoi. Ma tu questo lo sai, vero? Delanna…»
«Eccovi qui!» gridò la madre di Cadiz. Delanna si girò. Mrs. Flaherty era diretta verso di loro, battendo il cappello sulla coscia.
«Cosa ci fai qui con Jay Madog? Nessuno ti ha detto che è un famigerato dongiovanni?» Diede un colpetto scherzoso con il cappello sul braccio di Jay. «Delanna, devo proprio metterti in guardia da lui. Mette l’occhio su qualsiasi donna carina sul pianeta, che sia sposata oppure no.»
Delanna represse un sorriso.
«Sta’ solo lontano dalla sposa, Madog, almeno fino a quando non avrò avuto la possibilità di organizzare la sua festa. E questo vale anche per Cadiz.» Lo colpì di nuovo con il cappello. «Ho sentito dire per radio che cercavi di attirarla nel tuo lussuoso solaris. Vergognati. Come possono mettersi insieme lei e B.T., se tu continui a intrometterti?»
«Io non mi…» esordì Jay, che, ancora una volta, sembrava profondamente a disagio.
«Adesso vieni con me, Delanna, prima che questo dongiovanni dalla lingua mielata ti rubi a Sonny,» affermò Mrs. Flaherty e afferrò Delanna per il braccio. «Devo raccontarti quello che ho preparato per il ricevimento nuziale.»
Delanna si lasciò condurre via.
«Probabilmente sei stata una Straniera troppo a lungo per ricordare cos’è una vera baldoria di nozze, eh?»
«No, le ricordo benissimo,» replicò Delanna, timorosa di essere caduta dalla padella alla brace. «Miz Flaherty, Cadiz mi ha spiegato dove potevo fare un bagno, ma mi sono persa.»
«Un bagno. Ma è ovvio che tu voglia fare un bagno dopo avere attraversato le Pianure. Vieni con me, ti darai una bella lavata e poi parleremo della festa.» La trascinò energicamente verso la distilleria. «A proposito di Cadiz, dov’è andata quella benedetta ragazza? Probabilmente a litigare con B.T., se conosco quei due.»
Probabilmente è proprio così, pensò Delanna. Tutti i suoi tentativi di farli mettere insieme avevano avuto come unico risultato quello di metterla nei guai con Jay; se il piano aveva funzionato altrettanto bene con B.T. e Cadiz, probabilmente ormai si erano annegati a vicenda nel ruscello.
«Non so cosa ci vorrebbe per fare mettere insieme quei due,» sospirò la madre di Cadiz, «specialmente con Madog sempre impegnato a rubare le donne degli altri uomini. Ecco Sonny. Sarà meglio che chieda a lui se ha visto B.T.»
Lo chiamò con un gesto del cappello. «Sonny! Sonny Tanner! Dov’è B.T.?»
«Non lo so,» rispose Sonny, avvicinandosi. «Lo sto cercando. Delanna, dobbiamo caricare il solaris e partire immediatamente.»
«Partire?» esclamò la madre di Cadiz. «E per dove?»
«Per Milleflores. Voglio arrivare ai piedi della colline per il tramonto, in modo che nella batterie rimanga abbastanza energia da permetterci di arrivare a casa.» Guardò l’asciugamano e la camicia pulita di Delanna. «Mi dispiace, Delanna. Il tuo bagno dovrà aspettare fino a quando non saremo tornati a casa. Non hai visto B.T., vero?»
«No,» rispose Delanna, ma poi lo vide risalire lungo il fianco della collina. Da solo.
«Ma non potete partire per Milleflores adesso!» protestò la madre di Cadiz. «Godetevi almeno il vostro ricevimento nuziale.»
«Purtroppo è impossibile,» le disse Sonny. «Devo portare queste oche a casa e poi Wilkes e Harry sono rimasti da soli.»
«Sono abbastanza grandi da sapersi prendere cura di loro stessi,» replicò Miz Flaherty. «E la baldoria in vostro onore? Mel e i ragazzi…» Vide B.T. «B.T. Tanner, vieni qui e di’ a tuo fratello che stasera non potete andare via.»
B.T. si avvicinò con passo tranquillo, sembrando… Delanna non avrebbe saputo dire che aria avesse: non sembrava arrabbiato, ma non sembrava neppure troppo felice. Il suo volto aveva assunto un’espressione assolutamente neutra. Forse ha davvero ucciso Cadiz, pensò Delanna.
«State andando via?» chiese B.T.
«Devo portare a casa queste oche e poi voglio controllare come stanno i ragazzi. Devi caricare le cose nel tuo solaris.»
«Be’, ecco, pensavo che forse…» balbettò B.T., guardando oltre Sonny, verso il vialetto. Cadiz salì rombando lungo la collina, alla guida del solaris dei Flaherty, imboccò il vialetto e frenò bruscamente davanti a loro. Come al solito, aveva il cappello ben calcato in testa, ma uscì dal solaris con un balzo energico e andò direttamente da B.T., che le cinse la vita con un braccio.
«Pensavo che forse mi sarei potuto trattenere qui ancora per qualche giorno,» spiegò lui. «Se per te va bene, Sonny.»
Sonny non rispose nulla, si limitò a fissarli a bocca aperta. Quanto alla madre di Cadiz, aveva lasciato cadere il cappello per la sorpresa.
«B.T. e io abbiamo pensato che sarebbe meglio andare a controllare quel filare di alberi a quaranta gradi est di latitudine,» spiegò Cadiz, rivolgendo a B.T. uno sguardo adorante. «Nel caso avessero bisogno di un po’ d’acqua. Poi B.T. potrà portavi la scavatrice, perché per allora papà avrà sicuramente finito di usarla. Non pensi che sia una buona idea, Sonny?»
Sonny li stava ancora fissando come un allocco. Delanna gli diede una gomitata tra le costole. «Ma certo, come no,» si affrettò a balbettare allora.
«Fantastico!» esclamò B.T. con un sorriso largo come una casa. Prese il sacco a pelo dal solaris di Sonny e passò a Cadiz gli stivali, poi si avviarono insieme verso il ranch, camminando mano nella mano.
«Be’, certe volte la realtà è davvero più strana della finzione,» mormorò la madre di Cadiz. Si chinò e raccolse il cappello. «Come pensate che sia potuto succedere?» si chiese ad alta voce, spolverando il cappello.
«Non ne ho la più pallida idea,» replicò Sonny, ma stava fissando con aria assorta Delanna. «Tuttavia, sono felice che sia successo. Adesso B.T. può portare a casa le provviste, mentre noi dovremo portare solo le oche.»
E Cleo, pensò Delanna, guardando preoccupata la coppia al culmine della felicità. Sperava che non fossero stati così assorbiti uno dall’altra da essersi dimenticati di Cleo.
«Cadiz!,» gridò Delanna, dispiaciuta di dovere spezzare l’idillio dopo tutta la fatica che aveva fatto per proteggere l’intimità della coppia. Corse verso di loro.
B.T. e Cadiz si fermarono, ma continuarono a tenersi per mano.
«Dov’è Cleo?» chiese Delanna.
«Cleo?» ripeté B.T., come se non avesse mai sentito quel nome.
«Il mio scarabeo,» gli ricordò Delanna.
B.T. si voltò a guardare ansiosamente verso il boschetto di alberi. «Immagino di essermi completamente dimenticato del tuo scarafaggio.»
«Ma dovevi tenerla d’occhio!» sbottò Delanna, poi si fermò, ma ormai era troppo tardi.
Cadiz stava sogghignando. «Cleo è nel retro del solaris, avvolta nella giacca di B.T.,» rivelò a Delanna. «Ho coperto quello scarafaggio in modo che tu non potessi vederlo, ma se pensi che non mi sia resa conto che ci hai ingannati, trascinandomi fino a quel boschetto e raccontandomi quella balla su B.T. che stava andando via, sei pazza.»
«Io stavo davvero andando via,» intervenne B.T., «ed è stata una vera fortuna per te che Delanna mi abbia chiesto di dare un’occhiata a quello scarafaggio, altrimenti sarei già molto lontano da qui.»
«Ho sempre pensato che Sonny avrebbe dovuto davvero buttare il tuo scarafaggio nello smaltitore di rifiuti,» commentò Cadiz, fissando B.T., «ma adesso devo confessare che inizia a piacermi.»
Sonny si avvicinò. «Delanna, mi dispiace interrompere la scenetta, ma se vogliamo arrivare ai piedi della colline per il tramonto, dobbiamo partire immediatamente. B.T., ho sganciato il rimorchio delle provviste: lo porterai tu quando tornerai a casa. Risparmieremo un po’ di energia solare delle batterie, se dovremo portare solo le oche e la cassa di Sakawa.»
Delanna andò al solaris dei Flaherty per prendere Cleo, ancora avvolta nella giacca di B.T., poi la poggiò sul sedile posteriore del solaris di Sonny. Il rimorchio con le oche era già agganciato dietro il rimorchio con la cassa; le oche stavano protestando sonoramente per essere state spostate. Delanna si sporse verso il sedile posteriore e infilò Cleo nella giacca.
«State andando via?» chiese una voce, qualcuno si sporse dal finestrino e Delanna fece un salto di mezzo metro.
«Oh, Jay, sei tu,» ansimò. «Avevo paura che qualcuno vedesse Cleo.» Mise di nuovo a posto l’asciugamano-tenda e tornò a sedersi. Sembrava più sicuro che scendere dal solaris.
«Non mi hai detto che stavi andando via questo pomeriggio,» commentò Jay, poggiando le braccia sul finestrino.
«Delanna non lo sapeva,» intervenne Sonny, arrivando con uno zaino che aveva preso dal vecchio solaris dei Flaherty. «Devo tornare a casa a vedere come stanno i ragazzi.» Passò a Delanna lo zaino, costringendo Jay a scostarsi dal finestrino, ma non appena Sonny andò a prendere qualcos’altro, Jay infilò di nuovo la testa dentro l’abitacolo.
«Questo pomeriggio non sono riuscito a dirti quello che volevo, ma non c’è fretta. Te lo dirò quando ti porterò il baule.»
«Non puoi riuscire a convincere quel buono a nulla di tuo marito a trattenersi almeno per cena?» chiese la madre di Cadiz, scostando Jay con una gomitata.
«No,» rispose Sonny. Passò a Delanna un sacco di mangime per oche attraverso il finestrino. «Devo sistemare queste oche in modo che possano iniziare a fare il nido.»
La madre di Cadiz rivolse un’occhiata carica di sottintesi a entrambi. «Non riescono certo a prendermi in giro,» commentò rivolta a Jay. «Sonny vuole semplicemente rimanere da solo con la moglie. Be’, non lo posso certo biasimare.» Rivolse un sorriso a Delanna.»Una carovana nel bel mezzo delle Pianure di sale non è un granché di posto per un viaggio di nozze. Ma visto che avete aspettato tanto a lungo, sicuramente potrete aspettare fino a domani mattina, non è così, Jay?»
«Mi piacerebbe se rimanessi,» disse Jay a Delanna.
«No,» ripeté Sonny. Salutò la madre di Cadiz dandole un bacetto sulla guancia.
«Non è giusto privare tua moglie della sua festa di nozze,» si lamentò lei. «Per non parlare di me. Sai quanto mi piacciono i ricevimenti nuziali.»
«Ho l’impressione che tra poco potrai organizzarne un altro,» replicò Sonny, indicando con un cenno del capo Cadiz e B.T. i quali, con le teste accostate, stavano ammirando alcuni fiori che spuntavano nel prato verdazzurro. Girò intorno al solaris e si sedette sul sedile di guida. «Sembra proprio che Cadiz e B.T. ne abbiano bisogno.»
«Cadiz e B.T.?» chiese Jay, guardando la coppia. «Ma come è successo?»
«Be’, non certo grazie a te, Jay Madog!» replicò la madre di Cadiz e poi lo colpì di nuovo con il cappello. «E adesso che è successo, bada a non metterci lo zampino!»
Sonny approfittò di quel vantaggio per avviare il solaris.
«Non pensate di potervela cavare tanto facilmente!» gridò dietro di loro la madre di Cadiz. «Alla festa del raccolto, avrete il vostro festeggiamento, una baldoria che farà impallidire tutte le altre!» Agitò il cappello. «Dico sul serio!»
«Mi dispiace,» disse Sonny a Delanna, superando i solaris parcheggiati in modo caotico e imboccando il vialetto. «Questa è l’ultima volta che dovrai affrontare una cosa del genere. Cadiz informerà la famiglia sulla situazione e noi penseremo a qualche scusa per la festa del raccolto.»
Arrivò al punto in cui il vialetto si trasformava in una strada che seguiva il ruscello fino agli alberi e poi deviava verso nord. Sonny svoltò in un viottolo che era a stento più largo di un sentiero.
«Cosa voleva Jay?» le chiese.
È proprio questo il problema, pensò Delanna. «Ha detto che mi porterà il baule con la prossima carovana.»
«Può lasciarlo dai Flaherty; ci penserà B.T. a venirlo a prendere. Tanto cerca solo scuse per vedere Cadiz.»
Bene, pensò Delanna. Perché la prossima volta, la madre di Cadiz potrebbe non essere lì per interrompere Jay quando mi preannuncia di volermi dire qualcosa. Non avrei mai dovuto permettere che le cose arrivassero a questo punto, non quando io… Rifiutò di completare il pensiero.
Si concentrò sul panorama. Mentre attraversavano il lanzye, lo stretto viottolo si era ridotto a un’incerta pista tra i campi; la maggior parte di essi erano seminati a granturco, ma Delanna vide anche file regolari di alberi di palle di cannone e, sulla sinistra, un pascolo di fieno verde quanto il ranch color smeraldo dei Flaherty.
«È bellissimo!» esclamò mentre entravano nell’ombra di due file di alberi di palle di cannone di prima generazione, alti e maestosi come colonne. La luce del tardo pomeriggio trasformava in oro puro il grigio dei tronchi.
«I Flaherty sono molto ricchi,» spiegò Sonny. «Dopo avere sposato Mel Flaherty, la madre di Cadiz, una Straniera, ha investito il suo denaro nella fattoria e così sono riusciti a comprare altri due lanzye dopo il periodo di attesa di dieci anni.»
«Davvero?» chiese Delanna.
«Hanno seminato uno dei lanzye a grano volante,» spiegò Sonny con un tono di voce stranamente bellicoso, «e così non devono dipendere solo dal raccolto di palle di cannone per produrre ambrosia. Tre anni fa, una tremenda grandinata ne distrusse la metà.»
Delanna lo guardò con curiosità, chiedendosi perché le stesse raccontando tutto questo. Sonny stava scrutando con attenzione la strada e le sue mani stringevano con forza il volante, anche se il sentiero non sembrava più stretto o più tortuoso di quando erano partiti. «Ricordo poco di Milleflores,» affermò Delanna. «Lì crescono molti più fiori che dai Flaherty, vero?»
«Migliaia di fiori. Proprio come dice il nome,» replicò Sonny. «Adesso non ne saranno fioriti molti, ma quando abbiamo scoperto che stavi arrivando, ho detto a Wilkes di sistemare il giardino di tua madre. Ricordavo che i fiori ti sono sempre piaciuti.»
Delanna aveva davvero amato i fiori alla follia. Ricordava di averne colti infiniti mazzi, facendo addentrare Sonny tra infinite erbacce per cogliere esattamente il bocciolo che voleva.
«La prima volta che andai a scuola, finii nei guai proprio per questo,» raccontò Delanna, ricordando un episodio a cui non pensava da anni. «Raccolsi alcuni fiori dal giardino della scuola. Il monaco che li curava si arrabbiò tremendamente, io invece ero sorpresa: non mi era mai passato per la testa che i fiori potessero essere scarsi.»
Sonny la stava osservando. «Non avrei mai immaginato che avessi avuto qualche guaio su Rebe Primo. Ho sempre pensato che la tua vita laggiù fosse perfetta.»
«Come mamma,» commentò Delanna. «Mi sembra di ricordare che a Milleflores c’era una specie di stagno. Io costruivo navi di fiori e le facevo navigare. È ancora lì?»
«La polla della sorgente minerale?» chiese lui. «Sì, c’è ancora, ma è da molto che non vado laggiù. Quando B.T. tornerà a casa, lo manderò a vedere se la sorgente ha bisogno di essere pulita. Ammesso che torni a casa.» Le rivolse un sogghigno. «È strano il modo in cui lui e Cadiz si sono messi insieme tutto d’un tratto. Tu per caso c’entri qualcosa con questa faccenda?»
«Io?» si stupì Delanna in tono innocente, poi gli restituì il sorriso. «Ero preoccupata che Cleo potesse allontanarsi di nuovo. Ho pensato che qualcuno avrebbe dovuto tenerla d’occhio.»
«E così hai mandato Cadiz?»
«E B.T.»
«Be’, hai fatto a tutti un grosso favore. Erano due anni che il povero B.T. ciondolava intorno a Cadiz.»
Ciondolare intorno. B.T. aveva usato le stesse parole. Sonny ha ciondolato intorno a te fin da quando riesco a ricordare, aveva detto. Guardò Sonny, ma lui stava di nuovo fissando la strada con estrema concentrazione, però questa volta era necessario perché sembrava che si stessero dirigendo dritti dritti in un folto boschetto.
Delanna si girò per dare un’occhiata a Cleo. Dormiva ancora, raggomitolata nel nido che aveva ricavato dalla giacca di B.T. e probabilmente sognava di covare un mucchio di ochette. Sonny le aveva detto di non preoccuparsi del racconto che Tom Toricelli aveva fatto via radio, Delanna era sicura che nessun altro avesse visto Cleo da allora in poi, ma si sentiva ancora nervosa.
Coprì Cleo con la giacca e si girò giusto in tempo per vedere il solaris tuffarsi in una parete grigioverde. Emise un ansimo di paura prima di rendersi conto che si trattava di cespugli reddsie, con folte chiome sulle punte dei rami, altrimenti spogli.
Sonny guidò attraverso di loro senza rallentare e le foglie grigioverdi e i rami, di un grigio più scuro, si aprirono un istante prima che il cofano del solaris li toccasse. Li circondavano da ogni lato, molto più folti di quanto fossero stati nella macchia in cui Delanna aveva visto le scimmie incendiarie, ma Sonny manovrò tra di essi come se il sentiero esistesse ancora.
Delanna scrutò in avanti, tentando di cogliere qualche indizio che gli arbusti si stavano diradando e intravide con la coda dell’occhio qualcosa che si muoveva. «Era una scimmia incendiaria?» chiese, indicando avanti a sé e subito dopo a sinistra.
«Non se i Flaherty possono farci qualcosa,» rispose Sonny, dando una rapida occhiata nella direzione indicatagli da Delanna e poi riportando la propria attenzione sulla strada che, in realtà, non esisteva. «Però ne vedrai alcune a Milleflores. Doc Lyle dice che non sono capaci di comunicare, ma sembrano essersi passate parola su chi sparerà loro addosso e su chi non lo farà.» Rivolse un’occhiata a Delanna.
«Non sono preoccupata. La prossima volta saprò dare loro un pugno sul naso,» replicò Delanna.
«Forse dovrai farlo. Se possono comunicare, e io sono convinto che lo facciano, avrai un mucchio di turisti.»
«Turisti?»
«Sì: verranno a vedere i tuoi capelli. Però di solito si tengono alla larga dalla casa di tua madre, dunque dubito che tu debba preoccuparti.»
Il solaris uscì all’improvviso dalla macchia di arbusti reddsie e imboccò una strada. Non era un granché: al centro cresceva un’abbondante vegetazione ed era disseminata di pozze di fango, ma Sonny accelerò come se fossero arrivati su un’autostrada.
Sobbalzarono dentro e fuori delle pozze di fango, facendo diventare isteriche le oche; Delanna, reggendosi al sedile, decise che non era il momento di fare altre domande, ma si chiese perché le scimmie incendiarie non si avvicinassero alla casa della madre e cosa avesse voluto dire Sonny con quella frase. I Tanner avevano avuto una baracca di una sola stanza nel loro lanzye, ma quando Delanna era partita per andare a scuola, Mr. Tanner e i ragazzi avevano vissuto con loro. Sua madre non le aveva scritto nulla sul fatto che i Tanner avessero costruito un’altra casa.
Ma se il lanzye dei Flaherty costituiva una qualche indicazione, ormai a Milleflores c’erano dozzine di edifici e ciascuno dei fratelli Tanner aveva una propria casa.
Adesso che Delanna ci pensava, qualche volta la madre si era riferita a Sonny come se fosse un lontano vicino piuttosto che qualcuno che viveva con lei. Delanna lo aveva attribuito all’antipatia che la madre aveva provato nei confronti di Sonny, che criticava di frequente. Nelle sue lettere lo aveva definito, «testardo, taciturno e tardo di comprendonio» e Delanna aveva pensato le stesse cose su Sonny quando lo aveva incontrato per la prima volta.
Gli rivolse un’occhiata di soppiatto mentre era concentrato a evitare le pozze di fango. Poteva anche essere taciturno, ma di certo non era tardo di comprendonio. Era riuscito a evitare i festeggiamenti dai Flaherty con molta abilità e aveva intuito immediatamente il ruolo svolto da Delanna nel fidanzamento di B.T. e Cadiz.
Avevano viaggiato tra campi invasi dal sottobosco, in cui spiccavano pochi alberi di palle di cannone selvatici, simili a cartelli stradali, ma adesso erano tornati di nuovo nell’erba verdazzurra selvatica e la strada stava diventando sempre più stretta e accidentata. Invece di rallentare, però, Sonny accelerò sempre di più. Le oche avevano superato perfino l’isteria: ormai si limitavano a emettere sommessi gemiti starnazzanti; Cleo era strisciata in grembo a Delanna e le aveva avvolto le zampe anteriori intorno al collo.
«Scusami,» disse Sonny, la sua voce che sobbalzava al ritmo del solaris. «Se non arriviamo ai piedi delle colline per il tramonto, le batterie non ce la faranno mai a portarci fino a casa.»
Delanna aveva pensato che fosse quella la strada ai piedi delle colline.»Quanto manca ancora?»
«Cinque, sei miglia,» rispose Sonny. «Ce la faremo.»
Fecero perfino di più. Il sole stava ancora brillando sulle cime delle montagne quando entrarono sobbalzando in una macchia di arbusti reddsie, ne uscirono e guadarono un ruscello quasi in secca giungendo al bivio. «Fantastico!» esclamò Sonny. «Dovremmo essere a casa per il sorgere della prima luna.»
La strada che seguiva i piedi delle colline non costituiva certo un miglioramento rispetto a quella che avevano percorso in precedenza, ma Sonny rallentò leggermente e il paesaggio migliorò considerevolmente. Le macchie di arbusti reddsie cedettero il posto agli arbusti balla e, dopo poche miglia, iniziarono di nuovo a viaggiare tra file e file di alberi di palle di cannone. Qui gli alberi erano giovani, neppure lontanamente alti come quelli di prima generazione ed erano piantati con meno precisione, ma la luce rosata della sera filtrava tra di essi in raggi dalle delicate sfumature. Sotto gli alberi cresceva un intricato sottobosco che Delanna non pensava si sarebbe aperto al loro passaggio e qua e là poté vedere alcuni fiori di rosa intenso, quasi quanto il tramonto.
«Siamo a Milleflores…» iniziò a chiedere Delanna, ma proprio allora Sonny premette i freni e il solaris si fermò dopo una sbandata di qualche metro che strappò alle oche un coro di starnazzi terrorizzati.
«Guarda!» la invitò Sonny, indicando oltre il parabrezza un uccello che stava spiccando il volo da un albero. Era grande e le sue piume erano di un verde vivido, ma mentre superava le cime degli alberi, le ali si allargarono in una visione splendida di tutte le sfumature dell’arcobaleno: un azzurro, un rosso e un viola di intensità abbagliante.
«Ma cosa…» fece Delanna e poi un secondo uccello, dai colori altrettanto vividi, si lanciò dietro il primo razzo dai colori dell’arcobaleno.
Sonny aveva aperto la portiera ed era quasi sceso dal solaris, tentando di seguire il volto degli uccelli mentre svanivano in un lampo nel frutteto di palle di cannone. Rimase a osservare il cielo ormai vuoto per un altro minuto, poi si sedette di nuovo nel solaris ed esclamò in tono eccitato, «Una coppia di mandarini reali! Ma allora i ragazzi avevano ragione! Hanno detto di avere visto un mandarino reale a Milleflores, però io non ci avevo creduto!»
«Sono bellissimi,» commentò Delanna. Non c’era da meravigliarsi che Doc Lyle ne parlasse con tanto entusiasmo. Lei ricordava di avergli detto di non sapere se ne avesse mai visto uno, ma si sarebbe sicuramente ricordata uno spettacolo tanto superbo, anche se aveva avuto solo cinque anni.
«Sono quasi sicuro che sia una coppia che ha fatto il nido,» affermò Sonny. «Doc Lyle impazzirà. Per lui sono come i suoi animali da compagnia. Si è sforzato di farli riprodurre, ma avevo paura che si fossero estinti da molto tempo. Sono un paio d’anni che nessuno vedeva una coppia che ha fatto il nido.» Allungò la mano verso l’interruttore della radio. «Aspetta che Doc Lyle venga a sapere questa notizia.» Prese il microfono. «Sonny Tanner chiama Doc Lyle.»
«Stai chiamando il veterinario?» chiese Delanna, rivolgendo un’occhiata allarmata verso il sedile posteriore. «Ma non verrà fin qui, vero? Per vedere i mandarini reali?»
«No,» la rassicurò Sonny. «Le persone gli riferiscono gli avvistamenti e lui non fa che registrarli.»
«Ma hai detto che i mandarini reali sono un po’ come i suoi animali da compagnia…»
«Ed è così, ma gli avvistamenti sono un buon segno. Verrebbe solo se pensasse che fossero di nuovo nei guai, non quando se la stanno cavando benone. E poi, ha un sacco di lavoro da fare a Grassedge. Non ha il tempo per precipitarsi qui.»
«Ma cosa succederà se Tom Toricelli dice di nuovo qualcosa su Cleo? O se Cadiz racconta alla madre in che modo lei e B.T. si sono fidanzati?»
«La madre di Cadiz ha notizie più succose da diffondere: sono due anni che tentava di fare fidanzare Cadiz e B.T.» Sonny la guardò con aria seria. «Non preoccuparti: Doc Lyle è a cinquemila miglia di distanza. Non comparirà come per magia per toglierti Cleo. Fidati.»
Delanna annuì.
Sonny si girò di nuovo verso la radio. «Non è nel suo ufficio. Deve essere andato alla navetta. Qui è Sonny Tanner che chiama Grassedge. Collegatemi con lo spazioporto.»
Vi fu un crepitio di statica, poi una voce annunciò, «Qui parla Maggie. Di cosa hai bisogno, Sonny?»
«Di Doc Lyle.»
«Non è qui.»
«E dov’è?»
«Non lo so. Mi ha lasciato un messaggio radio in cui mi diceva di eseguire i controlli sulla navetta. Non ha detto dove stava andando.»
«Okay, grazie.» Sonny guardò Delanna. «Probabilmente è andato alle miniere. Non sta venendo qui, se è questo a cui stai pensando. Se fosse diretto qui, avremmo sentito la notizia via radio. E non sarebbe mai venuto da solo. Avrebbe aspettato una carovana.»
Delanna annuì di nuovo, ma allungò una mano sul sedile posteriore, dove Cleo era tornata nel suo nido improvvisato e se la mise in grembo.
Sonny parlò di nuovo nel microfono. «Ho bisogno di sapere dove si trova Doc Lyle.»
Rispose una voce di donna. «Sonny, sono Liv Webster. Doc Lyle è giù a Harvest Home. Le pecore di Harry Corning sono state colpite da un’epidemia di brucellosi. Vuoi che ti metta in contatto con lui?»
«No, grazie, Liv. Quando torna, digli soltanto che ho avvistato una coppia di mandarini reali sulla mia terra.»
«Ho sentito che hai rinunciato alla tua baldoria di nozze per rimanere da solo con tua moglie,» affermò Liv. «E allora come mai ti metti a guardare gli uccelli quando potresti baciare lei?»
«Di’ a Doc Lyle di chiamarmi per i particolari,» replicò Sonny e poi spense la radio. «Ti ho detto che non c’era bisogno di preoccuparsi, Delanna. Harvest Home è a cinquemila miglia dall’altro lato di Grassedge. Se ti farà sentire meglio, però, troveremo qualche nascondiglio per Cleo. Così, nel caso Doc Lyle dovesse venire davvero, cosa che non farà, visto che ha delle pecore da curare, non riuscirà a trovarla.»
«Grazie,» disse Delanna, rivolgendo a Sonny un sorriso colmo di gratitudine. «Lo apprezzerei molto.»
Il sole era tramontato mentre Sonny parlava alla radio e il cielo aveva assunto una tenue sfumatura tra il rosa e il giallo. «Il piacere è tutto mio,» affermò lui.
«Siamo sulla terra di Milleflores?» chiese Delanna, anche se conosceva già la risposta da quello che Sonny aveva detto alla radio.
«Sì. Ho seminato questi campi negli ultimi due anni, tentando differenti colture. Non abbiamo abbastanza manodopera per coltivare altri frutteti, ma immagino che quando Harry e Wilkes saranno abbastanza cresciuti da poter piantare anche loro, avremo abbastanza piantine per creare altri tre frutteti. Nel lanzye ce ne sono quattro, più una fila di alberi lungo la strada.»
Sonny aveva avuto un tono tanto orgoglioso mentre le raccontava dei frutteti che Delanna si sentì in colpa: Sonny doveva essere rimasto incredibilmente dispiaciuto scoprendo che lei non vedeva l’ora di vendere la sua parte di Milleflores.
«Hai fatto molto,» commentò. «Non vedo l’ora di vederlo.»
«Sì,» rispose Sonny in tono cupo. Aprì di colpo la portiera, uscì e si avviò verso gli alberi.
«Cosa c’è?» gli chiese Delanna. «Un altro mandarino reale?»
«Tornerò tra un istante,» le assicurò Sonny, poi sparì tra gli alberi. Delanna aprì il finestrino e si affacciò, osservando il cielo, ma non riuscì a vedere nulla. Però udiva il cinguettio degli uccelli che si apprestavano al riposo serale. La luce stava svanendo in fretta, passando dal rosa-giallo a un azzurro chiaro. Soffiava una leggera brezza, l’aria aveva un odore dolce; doveva essere piovuto da poco.
Cleo abbandonò il grembo di Delanna e si appollaiò sul finestrino, estendendo le zampe anteriori per stiracchiarsi. Delanna osservò il boschetto di palle di cannone, ma vi era già calata l’oscurità e non riuscì a vedere Sonny. Sull’estrema sinistra Delanna scorse un lampo di luce arancione. Qualche falò delle scimmie incendiarie?»
Si udì un fruscio di rami che venivano spostati e Sonny emerse dagli alberi, portando qualcosa tra le braccia. «Tieni,» disse e consegnò a Delanna un enorme mazzo di boccioli rosa attraverso il finestrino.
«Fior-di-rosa,» mormorò Delanna. Affondò il volto nei fiori. «Sono bellissimi.»
«Sì,» commentò Sonny, ancora accanto al solaris. Cleo si arrampicò sul finestrino e uscì fuori. Sonny la bloccò, ancora osservando Delanna. «Bellissimi.»
La sera improvvisamente sembrò farsi incredibilmente silenziosa: gli uccelli non cinguettavano più, la brezza era cessata. «Grazie,» disse Delanna. «Avevo dimenticato quanto fosse bella Milleflores.»
«Sì. È davvero bellissima,» ripeté Sonny e gli uccelli iniziarono a cantare di nuovo. Sonny girò intorno al solaris e si sedette al volante. «Mi ricordo quanto ti piacevano i fior-di-rosa,» commentò, «e quelli nei dintorni del lanzye non sono ancora in fiore.» Accese il motore e iniziò a percorrere di nuovo la strada.
«Li amo moltissimo,» affermò Delanna, rivolgendogli un’occhiata.
«Ne sono felice,» rispose Sonny, guardando la strada, ormai difficile da distinguere.
Superarono con una serie di violenti sobbalzi numerose pozze di fango incredibilmente larghe, terrorizzando di nuovo le oche e inondando l’abitacolo di petali di fiore, ma Sonny non accese i fari. Si limitò a protendersi in avanti sul volante.
«Non voglio sprecare le batterie,» spiegò quando caddero in una buca profonda quanto una di quelle che avevano aggirato nelle Pianure di sale. «Abbiamo ancora un po’ di strada da fare. Prova a dormire un po’.»
Delanna non riusciva a immaginare come fosse possibile dormire con tutti quegli scossoni, però si appoggiò contro lo schienale del sedile e chiuse gli occhi; senza dubbio si addormentò davvero perché, a un certo punto, sentì Sonny dire, «Svegliati.»
Delanna aprì gli occhi. Sonny la stava guardando e lei si accorse di essersi rannicchiata contro di lui mentre dormiva. La sua testa riposava sulla spalla di Sonny. Non aveva lasciato cadere il suo mazzo di fiori. Non si mosse. Il solaris era colmo del profumo dei fior-di-rosa e di una luminosità argentea: doveva essere sorta la luna.
«Svegliati,» le disse di nuovo Sonny e Delanna gli sorrise.
Sonny la fissò con aria seria. «Delanna…» esordì e, a differenza di quando era stato Jay a pronunciare quel nome, lei non ebbe alcuna voglia di dire qualcosa, qualsiasi cosa, per impedirgli di proseguire. Invece, le braccia colme di fiori illuminati dalla luna, attese che lui finisse quello che stava per dire.
«Delanna,» ripeté Sonny, poi le scosse gentilmente la spalla. «Siamo arrivati.»
Delanna si rizzò a sedere. Il solaris era fermo sotto una fila di alberi di palle di cannone, che, nell’oscurità, avevano assunto un aspetto quasi minaccioso. La strada si era ridotta di nuovo a un sentiero e accanto a esso, in un intrico di piante, sorgevano un paio di baracche dai tetti spioventi. Alle loro spalle, ancora più in profondità nel sottobosco, c’era un capanno, chiaramente costruito in fretta e furia. Forse serviva per conservare l’equipaggiamento agricolo, oppure era una distilleria abbandonata.
«Dove siamo?» chiese Delanna ammiccando. «Perché ti sei fermato? Le batterie si sono esaurite?»
«No,» rispose Sonny. «Siamo arrivati.» Aprì la portiera e scese dal solaris. «Benvenuta a Milleflores.»
CAPITOLO DODICESIMO
Delanna uscì dal solaris, stringendo ancora tra le braccia il mazzo di fior-di-rosa. «Non ricordo che avesse questo aspetto,» commentò, socchiudendo gli occhi per osservare meglio le baracche.
«Quelle sono nuove,» le spiegò Sonny mentre spostava l’equipaggiamento da campeggio per arrivare alla sacca da viaggio di Delanna. «Be’, o almeno lo erano quando hai lasciato Keramos. Usammo un tipo di ceramica estremamente luminosa sotto la luce del sole, ma molto opaca alla luce della luna. Ce ne rimase a sufficienza per rivestire anche la casa di tua madre.» Con un gesto vago indicò le fitte ombre del sottobosco. «Prendi Cleo, io ti mostrerò la strada. Ormai il giardino ha cancellato quasi completamente il sentiero.»
In una delle baracche si accese una luce e Delanna vide le sagome di due ragazzi mentre correvano davanti alle finestre. La porta si aprì con un tonfo. «Sonny, sei tu?» urlò uno di loro dal portico davanti alla porta. «Io e Wilkes stavamo dormendo.»
«Sì, proprio,» borbottò Sonny. «Probabilmente sono arrivati fin qui di corsa dallo stagno dopo avere visto il riflesso dei raggi lunari sul solaris quando siamo scesi lungo la collina. Sanno che non mi piace che vadano a pesca senza di me o B.T.» Stava scuotendo la testa, ma non sembrava troppo arrabbiato. «Sono io!» gridò ai ragazzi. Poggiò la sacca sul solaris e chiuse il tettuccio. «Visto che siete svegli, venite a mettere queste oche nel recinto, così potrete salutare anche Delanna.»
Mentre il ragazzo più alto si avviò verso di loro con la stessa andatura strascicata che Delanna aveva visto usare a entrambi i suoi fratelli maggiori, quello più piccolo corse a rotta di collo verso di loro, si gettò contro Sonny fingendo di volerlo placcare, ma poi lo abbracciò con grande affetto.
«Questo è Harry,» lo presentò Sonny, mentre stringeva ancora il bambino che si divincolava e che aveva già spostato la propria attenzione da Sonny a Delanna. Le stava sorridendo.
«Salve,» lo salutò Delanna. Harry era tutto un sogghigno, aveva i capelli arruffati inargentati dalla luce della luna e gli occhi troppo luminosi per essersi appena svegliato. Delanna pensò che dovesse avere sui sette anni.
«E questo è Wilkes,» disse Harry, indicando il fratello.
Wilkes era magro, molto alto e dimostrava circa undici o dodici anni. I suoi capelli erano arruffati come quelli del fratello minore, ma più scuri. Tese la mano con aria seria a Delanna, che la strinse.
«Harry, ma hai fatto almeno una doccia da quando sono andato via?» chiese Sonny, arricciando il naso mentre metteva giù il bambino.
«Certo che l’ho fatta: mi ci ha costretto B.T.,» replicò Harry in tono indignato.
«E così non hai fatto la doccia da quando B.T. è andato via, eh?»
Harry ignorò Sonny e si girò verso Delanna. «Sei stata davvero in un’astronave?» le chiese Harry. «Fa molto freddo lassù nel buio? Non mi piacerebbe se non spuntasse mai il giorno. Ho scattato una fotografia della Gripsholm. È la prima nave ad avere fatto scendere una navetta su Keramos. Vuoi vederla?»
Harry aveva preso Delanna per mano e lei si sarebbe fatta guidare via, tanto era affascinata da quel piccolo chiacchierone, ma Sonny afferrò Harry per la manica della camicia.
«Va’ ad aiutare Wilkes con le oche, Harry. Domani mattina potrai mostrare la fotografia a Delanna.»
«Ma Sonny…» iniziò a protestare Harry, però Wilkes aveva sostituito il fratello maggiore nello stringergli la camicia e adesso stava trascinando Harry verso il rimorchio. «Buonanotte, Delanna,» le augurò Harry in tono rassegnato. Lottò per liberarsi della presa del fratello per qualche istante, poi si immobilizzò di botto, ma Wilkes continuò a stringere la manica e, senza fermarsi, lo trascinò fino al rimorchio. Gli starnazzi allarmati delle oche coprirono la risatina maliziosa di Harry.
«Da questa parte, Delanna,» la invitò Sonny. Aveva messo la sacca sotto un braccio e Cleo sotto l’altro e stava camminando attraverso un oscuro intrico di erbacce. Delanna lo seguì da vicino, a stento capace di vedere il sentiero che stava seguendo attraverso il sottobosco. Piante sconosciute dalle foglie nere le sfiorarono le braccia e le gambe, alcuni rami si ruppero sotto i suoi piedi. Uscirono su un sentiero di ghiaia sgombro di erbacce e poi arrivarono a un portico di pietra davanti la casa.
Delanna non ricordava che davanti alla casa della madre ci fosse stato un portico di pietra. «Ma io ricordo un portico di legno,» si stupì, «e pensavo che ci fossero delle pergole.»
«Questa è un’aggiunta recente,» le spiegò Sonny. «Le pergole sono sull’altro lato, quello da cui si può ammirare il panorama.» Salì i due scalini di pietra con un solo passo, poi passò Cleo a Delanna in modo da potere aprire la porta della casa. «Devo accendere la luce,» annunciò, entrando prima di lei. «Anche l’interno non ti sembrerà più lo stesso, perché, quando vivevamo con tua madre, abbiamo aggiunto una vera cucina alla casa, dunque adesso è più grande di prima.»
Non sembra più grande, pensò Delanna quando la luce si accese, ma solo strana. Anche se la cucina in cui era entrata non le era familiare, riconobbe il tavolo di legno con le gambe che terminavano in zampe di leone. Ormai era quasi bianco per tutti gli anni in cui era stato pulito con la candeggina, e il suo ripiano portava le cicatrici provocate da infinite pile di verdure che erano state pulite o tagliate a dadini sulle sue assi semplici ma robuste. Al di là del tavolo, gli scaffali di ceramica azzurra scheggiata che occupavano la parete più lunga della casa, andando dal pavimento al soffitto, erano gli stessi che Delanna ricordava di avere visto sopra il camino; riconobbe anche le grandi pentole e le padelle della madre e perfino il motivo floreale che decorava i piatti. La parete in cui si apriva il grande camino era stata sfondata e adesso Delanna poteva vedere quella che, in precedenza, era stata l’unica stanza della casa. Quella che era stata la zona cucina quando la casa aveva avuto un’unica camera adesso era stata arredata con qualche sedia e un tappeto e formava un piccolo salotto di fronte al camino; il letto e il baule della madre erano lungo la parete opposta, accanto alla porta. Senza dubbio il portico che Delanna ricordava si trovava oltre quella parete.
«È rimasta più o meno uguale a come l’aveva lasciata tua madre,» spiegò Sonny. «Io e i ragazzi ci siamo limitati a ripulirla un pochino.»
La casa era immacolata. Avevano perfino pulito i pavimenti con la candeggina e il tappeto davanti al camino, anche se aveva un’aria consunta, sembrava essere stato sbattuto da poco. Nell’aria non c’era neppure l’odore di stantio che avrebbe dovuto caratterizzare una casa rimasta chiusa per quasi un anno. «C’è un bagno?» chiese Delanna in tono speranzoso. Vedeva che il vecchio lavandino era stato dotato di una pompa e di un tubo di scarico. Forse avevano sostituito anche il gabinetto esterno.
«Be, sì, una specie,» rispose Sonny, mostrandole una stanzino dietro la cucina, costruito con le stesse mattonelle, solo che la maggior parte di esse erano fatte di frammenti incollati insieme. «C’è solo una doccia a gravità, ma puoi riscaldare l’acqua usando questa piccola stufa.»
La stufa era fatta di ceramica annerita dalla fuliggine ed era molto fredda al tocco. La doccia non era che un piatto di ceramica protetto da una tendina e dotato di un foro di scolo. La tazza era di un tipo che Delanna aveva visto solo in vecchie fotografie, ma, considerando l’alternativa, era felice che ci fosse.
Sonny stava fissando accigliato la doccia, come se fosse insoddisfatto. Ma quando si accorse che Delanna lo stava osservando, si affrettò a dire, «Posso accendere il fuoco nella stufa prima di andare via. So quanto ci tenevi a fare un bagno, ma forse per stasera una doccia andrà bene. Domani tenterò di immaginare qualcosa…» Era entrato nella minuscola stanza da bagno e osservava la doccia come se stesse prendendo delle misure. «Ho un vecchio tino che potrei pulire, forse entrerà…»
Delanna toccò la spalla di Sonny per richiamare la sua attenzione. «Me la caverò benissimo, Sonny. Mi preoccuperò della doccia domani. Va tutto bene.»
«Quando aggiungemmo il bagno, tua madre riutilizzò tutto il possibile per risparmiare denaro,» spiegò Sonny. «Io penso che lei… Be’, penso che avesse tutto il diritto di riutilizzare quello che voleva.»
Delanna annuì in modo incerto. Sua madre le aveva scritto di avere avuto una discussione con Sonny perché lui non voleva riutilizzare della ceramica perfettamente buona, solo perché poche mattonelle erano rotte. Ma non erano state così poche: la gran parte di quelle mattonelle erano rotte. Doveva esserci voluta molta pazienza per disporre i loro frammenti sulla parete e fissarli con il cemento… davvero molta pazienza.
«È tutto molto più arrangiato di quello a cui sei abituata,» si scusò Sonny.
«Me la caverò benissimo con le cose di mia madre,» gli assicurò Delanna.
Sonny sembrò sollevato. Delanna sorrise e si aspettò che le augurasse la buonanotte e andasse via, ma Sonny rimase lì a guardarla.
«Cosa c’è?» gli chiese Delanna. «C’è qualche problema?»
«Problema? No. Um, le notti sono molto fredde. Ti accenderò il fuoco, se vuoi.» La sfiorò quando si avvicinò alla cassetta della legna e iniziò ad accendere il fuoco nel grande camino che separava le due stanze.
Delanna poggiò i fior-di-rosa sul tavolo, poi andò nell’altra stanza per mettere Cleo su un cuscino. Lo scarabeo non aprì neppure un occhio: si stava abituando a essere sistemato in posti strani come un cappello sformato, oppure un cuscino imbottito di piume. Il vecchio baule da spaziale della madre di Delanna era ai piedi del letto; era ben misera cosa se paragonato a quello di Delanna, ma le serrature funzionavano ancora e il coperchio si aprì abbastanza facilmente. All’interno c’erano lenzuola impilate ordinatamente su un lato e libri mastri sull’altro, mentre in mezzo c’erano alcuni pacchi. Delanna fece per chiudere il baule, pensando che lo avrebbe esaminato meglio la mattina seguente, quando si rese conto che tra i libri mastri c’erano numerosi altri libri, di dimensioni più piccole. Li tirò fuori, ansiosa di vedere che tipo di libri sua madre avesse deciso di conservare in forma cartacea. La maggior parte delle persone usavano lettori portatili o addirittura i loro terminali vega per leggere libri di intrattenimento, dunque si tendeva a conservare i vecchi libri rilegati solo quando erano ricordi cari, oppure oggetti da collezione. Prese il primo libro della pila. Aveva una copertina rossa, senza graziose lettere dorate; un titolo scritto a mano con inchiostro nero diceva Diario di Serena Milleflores.
«Mia madre teneva un diario?» si chiese Delanna, aprendo il libro a caso. La carta era molto sottile, ma liscia e opaca.
«Sì, i vari volumi sono nel suo baule,» rispose Sonny, sporgendo il volto oltre il camino. «Oh, vedo che li hai trovati.»
«Non sapevo che mia madre tenesse un diario,» commentò Delanna, sedendosi sull’orlo del letto. Aprì il libro a caso: la madre aveva scritto usando la stessa calligrafia piccola e stretta delle lettere che aveva spedito a Delanna.
Oh, mamma! pensò Delanna, provando un improvviso tuffo al cuore. Chiuse il diario e rimase seduta lì, con il libro in grembo, pensando alle lettere della madre e poi alla lettera ricevuta dall’avvocato su Rebe Primo. «Siamo dolenti di informarla del decesso di sua madre…»
«Penso che li leggerò più tardi,» affermò poi, ricacciando indietro le lacrime.
Sonny la guardò, ma non disse nulla. Aveva accesso un fuoco che crepitava allegramente nel camino ed era venuto in salotto per tirare la tenda. Le luci tremolarono.
«Qui non abbiamo una batteria molto grande,» si scusò. «Le luci si spegneranno tra dieci minuti, che tu lo voglia oppure no. Laggiù, accanto alla radio, c’è un’ottima lanterna, ed entrambe useranno automaticamente la batteria di riserva se ne hai bisogno durante la notte. Ma tutto il resto funziona sfruttando le cellule principali per l’immagazzinamento dell’energia.»
«Tutto il resto?» si stupì Delanna, guardandosi intorno. A parte la radio e le luci, non riuscì a vedere nulla che consumasse energia elettrica: nessun terminale vega, nessun rinfresca-vestiti e nessun sistema computerizzato. Perfino la coperta sul letto era fatta con pezze di flanella cucite insieme, non era una di quelle coperte dotate di sensori di temperatura e unità di risposta.
«C’è la pompa dell’acqua,» spiegò Sonny. «Se hai sete, adesso potresti anche bere. Anche se c’è sempre dell’acqua nel serbatoio dell’acqua calda, che è dotato anche di un rubinetto.»
«Be’, forse dovrei riempire una brocca d’acqua,» commentò Delanna, dirigendosi in cucina. Prese una brocca bianca dallo scaffale e andò al lavandino per riempirla in modo che, prima di andare via, Sonny potesse vedere che l’aveva fatto davvero. Voleva anche essere sicura di sapere come fare uscire l’acqua. Era più che certa che non ci fosse nessuna unità computerizzata a cui avrebbe potuto rivolgersi per chiedere informazioni.
«Premi solamente il rubinetto,» le spiegò Sonny, dopo averla osservata tirare e poi spingere le leve sul lavandino.
Delanna spinse e l’acqua uscì dal rubinetto, che funzionava in modo molto simile a quello di una borraccia da picnic. Riempì la brocca, la poggiò sul tavolo e vi mise dentro il mazzo di fior-di-rosa. Poi riempì un’altra brocca per sé.
«Hai fame?» le chiese Sonny. Aveva aperto la credenza dietro il tavolo. Era piena di vasetti di ceramica e di contenitori di terracotta. «Questi cracker sono ottimi con il formaggio,» commentò, togliendo il coperchio di uno dei contenitori.
«No, non ho fame. Ma sono molto stanca,» rispose Delanna, quasi in tono di rimpianto. Non voleva dirgli davvero di andare via, considerato soprattutto che stava cercando con tanta sollecitudine di metterla a proprio agio, visto che Delanna non sapeva ancora orientarsi molto bene in quella casa. Ma stava iniziando a sentirsi così stanca che pensava che se si fosse seduta al tavolo per consumare uno spuntino, sarebbe finita a russare con la testa nel formaggio.
Sonny prese alcuni cracker prima di rimettere il coperchio sul contenitore. «Be’, immagino che sia meglio che vada a controllare le oche. Devo assicurarmi che Harry e Wilkes abbiano chiuso la porta del pollaio.» Chiuse la credenza e andò alla porta. Delanna lo vide rivolgere un’occhiata ai fior-di-rosa e sorridere prima di uscire nella notte.
Le luci tremolarono di nuovo. Forse è il preavviso che mancano cinque minuti? si chiese Delanna. Entrò nell’altra stanza, dove aveva visto il cassettone della madre. Nel secondo cassetto trovò alcune camicie da notte. O almeno avevano l’aria di esserlo, visto che si trattava di lunghi abiti sciolti, tutti in sfumature pastello. Però non avevano un’aria comoda, come avrebbero dovuto averla della camicie da notte. Prese quella più morbida proprio nell’istante in cui le luci si spensero. Che fosse una camicia da notte oppure no, per quella sera lo sarebbe diventata. La luce proveniente dal camino fu sufficiente per permetterle di trovare il letto senza inciampare da nessuna parte. Lasciò i vestiti di Cadiz in un mucchio sul pavimento, indossò l’indumento consunto e scostò le coperte dal letto. Sentì Cleo fare la fusa sul cuscino. Sarebbe stato bello fare un bagno, ma dopo settimane di campeggio all’aperto, il pensiero di un vero letto era ancora più attraente. Spostò leggermente Cleo e poggiò il volto sul cuscino. L’ultima cosa che ricordò furono gli starnazzi delle oche.
I loro starnazzi furono anche i primi rumori che udì al risveglio, seguiti dalle urla di Harry; il tutto proveniva direttamente da sotto la finestra della sua camera da letto. La luce del sole filtrava dalla finestra e Cleo non era più sul cuscino. Delanna scese dal letto, sicura che sarebbe dovuta andare a salvare le oche da Cleo, anche se non riusciva a capire come avesse fatto lo scarabeo a uscire dal letto. Ma Cleo era sul tavolo della cucina, impegnata ad assaggiare i petali dei fior-di-rosa; un biglietto, anch’esso mordicchiato da Cleo, che evidentemente non lo aveva trovato di suo gusto, rivelò a Delanna che Sonny era entrato nella stanza di mattina presto per accendere il fuoco nella stufa per l’acqua calda.
Guardò fuori della finestra della cucina, verso gli alberi di palle di cannone che fiancheggiavano la strada fin dove giungeva lo sguardo: la sommità di una cresta rocciosa che doveva essere distante molte miglia. Delanna rimase sorpresa che le piantagioni fossero tanto vaste, anche se era ragionevole che seguissero il tracciato della strada, poiché così era più facile arrivarvi con l’equipaggiamento per la raccolta, ammesso che esistesse.
Più vicino, nel punto in cui la strada terminava davanti alla casa, qualcuno aveva srotolato sul solaris i pannelli per la raccolta dell’energia solare; Delanna vide anche dei piedi che spuntavano da sotto il veicolo, così immaginò che Sonny stesse di nuovo provando ad aggiustarlo. Invece il piccolo Harry stava tentando di condurre le oche dal pollaio allo stagno, ma stavano andando nella direzione sbagliata: ormai erano quasi tornate al pollaio e Harry stava cercando di arrivare lì prima di loro, senza dubbio per chiudere la porta prima che entrassero dentro e si rifiutassero di uscire di nuovo. Delanna ebbe la tentazione di andare ad aiutarlo, che durò solo fino a quando non diede un’altra occhiata al biglietto che stringeva in mano. Non ebbe bisogno di una seconda occhiata per stabilire che, per prima cosa, avrebbe fatto una doccia. Le unghie e le nocche erano nere e i suoi capelli erano così sporchi che le prudeva il cuoio capelluto; le oche non sarebbero state certo più felici con due persone a dare loro la caccia. Tornò in camera da letto per trovare degli asciugamani e qualcosa da indossare che non fossero gli abiti sporchi di Cadiz.
Gli asciugamani erano nell’armadio delle lenzuola, proprio dove Delanna ricordava che erano sempre stati, e trovò anche un vestito sciolto e con le maniche corte appeso tra i pantaloni da fatica e le camicie, tutte apparentemente troppo grandi per lei. Prese il vestito, se lo strinse in vita usando la cintura della gonna di Cadiz e si diresse verso la doccia. In un primo momento, l’acqua fu calda e carezzevole, ma si era appena lavata i capelli per la seconda volta quando iniziò a diventare fredda. Iniziò subito a risciacquarli, ma non abbastanza in fretta da evitare un risciacquo finale nell’acqua ghiacciata. Dopo essersi asciugata e avere indossato il vestito aveva ancora la pelle d’oca, così prese un pettine e andò a sedersi alla luce del sole per asciugarsi i capelli. Cleo la seguì zampettando.
All’esterno della camera da letto c’era un vero portico, con una panca e un tavolo per lavorare all’aperto. Il giardino ormai lambiva i gradini e le piante si arrampicavano sui pergolati, dove Cleo aveva già adocchiato una profusione di boccioli rosa che avrebbe potuto gustare a suo piacimento. Delanna si guardò intorno per vedere dove fossero le oche e le trovò che nuotavano con aria soddisfatta nello stagno. Era improbabile che attirassero l’attenzione di Cleo a quella distanza, e così si limitò a chiamarla, invece di andare a prenderla.
Scesero in giardino, dove, mentre si asciugava i capelli al sole, Delanna poté dare un’occhiata più da vicino alla piante in fiore e a quelle che stavano per fiorire. C’erano molte candele di scimmia e alcune facce-di-zucca appena fiorite. Nei dintorni della casa il giardino sembrava ben curato: i fiori crescevano in file ordinate, le piante erano state palettate. Ma più Delanna si allontanava dalla casa, più la vegetazione diventava fitta e intricata. Tentò di pettinarsi i capelli mentre camminava, ma, dopo qualche minuto, infilò il pettine nella cintura in modo da usare entrambe le mani per raddrizzare un bocciolo pendulo, ammirandone i petali arancioni e aspirandone la dolce fragranza.
«Lo senti questo profumo, Cleo?» chiese al piccolo scarabeo che si estendeva per vedere ciò che Delanna sembrava trovare tanto interessante. Erano vicine all’angolo del giardino in cui una folta siepe fiancheggiava l’intrico di vegetazione. In quel punto fiori e ortaggi crescevano fianco a fianco: ormai era impossibile riconoscere qualsiasi schema avesse regolato in precedenza quella confusione. La pianta cespugliosa che Delanna stava osservando somigliava a una cascata di foglie che spuntassero da un letto di rape, ma i fiori erano assolutamente adorabili. «Penso che sia una peonia, anche se non ne ho mai vista una così grande.»
«Con chi stai parlando?» le chiese la voce di Harry, facendola balzare in piedi.
Si voltò di scatto e vide che il bambino era a un paio di metri di distanza, seduto a gambe incrociate tra le piante mentre il succo di un frutto con un colore tra il rosso l’arancione gli scorreva lungo la mano e il mento. In grembo aveva una ciotola di metallo. «Ciao, Harry,» lo salutò. «Vedo che sei riuscito a portare le oche allo stagno.»
«È quello lo scarafaggio?» le chiese Harry mentre si alzava. «Non pensavo che l’avresti portato qui fuori. Sonny mi ha detto di stare attento a Doc Lyle e tutto il resto.» Harry saltellò agilmente tra le piante a piedi nudi, tenendo in equilibrio nella mani la ciotola e il frutto mangiato a metà.
«Lei non è uno…»
«Scarafaggio,» finì per lei Harry quando notò Cleo, che si era rannicchiata ai piedi di Delanna. «Sonny ha detto che non fai che dire questa frase. Però di sicuro somiglia a uno scarafaggio, e per giunta a uno scarafaggio bello grosso.» Passò a Delanna la ciotola e il frutto gocciolante e si chinò per prendere Cleo. Lo scarabeo si ritrasse completamente e Harry scoppiò a ridere, deliziato. «Ti nascondi lì dentro, Cleo?» chiese lui, battendo gentilmente sulla piastra toracica. «Oh, ma senti quant’è liscia!» Fece cadere qualche goccia di succo sulle piastre di Cleo e il liquido rifletté i raggi del sole. «Ohh,» mormorò Harry, girando Cleo in modo che le sue piastre catturassero meglio i raggi del sole. «Guarda qui. Ma è bellissima!»
Il carapace di Cleo si sollevò leggermente: lo scarabeo sapeva quando qualcuno lo stava ammirando. Harry continuò a fissarlo a bocca aperta, aspettando che succedesse qualcos’altro. Delanna poggiò il frutto nella ciotola e allungò una mano per accarezzare il carapace di Cleo. Lo scarabeo si ritrasse di nuovo e Harry guardò Delanna, come se fosse convinto che Delanna avesse il potere di costringere Cleo a fare qualcosa che l’animale non voleva fare. «Ci vorrà un po’ di tempo prima che si abitui a te, Harry,» gli spiegò Delanna in tono gentile. «Probabilmente la cosa migliore che potresti fare per abbreviare le cose è metterla giù e aspettare che sia lei a venire da te.»
Harry poggiò Cleo accanto alla peonia e si accovacciò accanto a lei, con il naso a non più di trenta centimetri di distanza. Lo scarabeo rimase raggomitolato a palla mentre Harry lo fissava con aspettativa.
«È meglio che andiamo a sbrigare le nostre faccende, Harry,» suggerì Delanna, prendendolo per mano. Cleo non avrebbe certo familiarizzato con Harry nei prossimi quindici secondi, ovvero, almeno secondo Delanna, il lasso di tempo massimo per cui un bambino di sette anni sarebbe rimasto paziente. «Cosa stavi facendo, per caso sarchiavi le erbacce?» gli chiese Delanna, dando un’occhiata alle piante nella ciotola.
«No, facevo colazione,» rispose Harry, allungando una mano nella ciotola per prendere il frutto che aveva mangiato a metà. «E devo portarne qualcuno anche a Wilkes e a Sonny. Solo perché devono aggiustare il solaris, io devo raccogliere la colazione anche per loro. Però loro non mi aiuterebbero mai con le oche! Non è giusto, ecco cosa.»
«Anch’io dovevo prendermi cura delle oche, quando ero piccola,» gli rivelò Delanna.
«E scappavano via anche da te?» le chiese Harry.
«Sì, eccome se scappavano! Ma solo fino a quando non imparai a ingannarle,» spiegò Delanna. Si erano allontanati di un paio di metri da Cleo, che era ancora ritratta nel suo carapace. «Che cosa dovresti raccogliere, Harry?»
«Raccogliere,» ripeté Harry, inghiottendo l’ultimo boccone di frutto. «Oh, ma la colazione. Tutto quello che è maturo; di solito, pomarance,» spiegò, sollevando il frutto rosso-arancione. Ecco cos’era. In effetti, il frutto sembrava davvero un incrocio tra un pomodoro e un’arancia.
«Come riesci a imbrogliare le oche, Delanna?» le chiese Harry.
Delanna si rese conto che in quella parte del giardino crescevano esclusivamente ortaggi e che non sapeva riconoscere la maggior parte di essi. «Tu raccogli e io ti reggo la ciotola,» propose Delanna a Harry. «E mentre raccogli, ti racconterò in che modo sono riuscita a imbrogliare le oche.»
Ovviamente sarebbero bastate poche frasi per spiegare il trucco. Ma il piano di Delanna era di tenere Harry occupato con qualcosa che non fosse Cleo — che appena adesso si stava estendendo con cautela e li osservava con diffidenza — e di rimanere al sole, in modo che i suoi capelli potessero asciugarsi. Nel frattempo avrebbe immaginato quali parti di quelle piante fossero commestibili osservando Harry mentre le raccoglieva. Il raggiungimento di tutti quegli obiettivi richiedeva una storia molto lunga e così Delanna iniziò da quando aveva aiutato Doc Lyle a vaccinare le oche allo spazioporto.
Harry la stette ad ascoltare con espressione affascinata, mentre entrambi strisciavano a quattro zampe nel giardino fino a quando il bambino non si fermava per strappare una pianta dalla radice oppure per raccogliere solo le foglie di un’altra. Gettava tutto nella ciotola, dove Delanna ne assaggiava dei pezzetti. Qualche volta Harry si immergeva completamente nella storia e Delanna doveva esortarlo a muoversi per continuare a raccogliere le verdure. Erano giunti all’estremità opposta del giardino, dove i rampicanti e le foglie erano pili spessi e più alti: probabilmente si trattava della sezione del giardino che, quell’anno, era fiorita prima. Lì Harry divenne più selettivo, evitando di raccogliere i frutti più grossi e probabilmente più acerbi. Adesso Cleo li stava seguendo più da vicino; Delanna la intravide abbastanza spesso da intuire che anche lei stava esplorando l’ambiente circostante: talvolta si allontanava di un filare o due di piante, qualche altra volta si avvicinava di più e Delanna sentiva le piccole unghie delle scarabeo sfiorarle i capelli.
«Pensi che adesso abbiamo raccolto abbastanza verdure, Harry?» gli chiese dopo avere terminato la sua storia. «Ormai la ciotola è quasi piena.»
Harry tornò indietro di corsa per dare un’occhiata alla ciotola e scrollò le spalle. «B.T. è via, dunque non dobbiamo raccogliere nulla per lui, ma Sonny è tornato e poi ci sei anche tu.»
«Quando era via, riempivi tutta questa ciotola?» gli chiese Delanna, immaginando che probabilmente B.T. e Sonny mangiavano porzioni eguali e dunque dovevano solo raccogliere qualche altra pianta per lei.
Harry scosse la testa. «Non usavo una ciotola,» rispose. «B.T., Wilkes e io ci fermavamo qui e mangiavamo tutto quello che volevamo.»
«Bene,» commentò Delanna, misurando a occhio la quantità di verdure raccolte, «se avessimo qualche uova d’oca, penso che basterebbero per preparare una bella frittata.»
«Ma noi abbiamo delle uova!» rispose Harry in tono allegro. «Ce ne sono due nel pollaio. Andrò subito a prenderle.» Balzò in piedi, pronto a correre verso il pollaio, poi guardò Delanna e sbarrò gli occhi. «Non hai ancora paura delle scimmie incendiarie, vero?»
«Perché me lo chiedi?» replicò Delanna, sicura di non volere saperlo. «Per favore, non dirmi che c’è una scimmia incendiaria alle mie spalle. È Cleo che mi tocca i capelli, vero?» Si girò.
Era davvero Cleo, che aveva infilato un’unghia tra i capelli di Delanna mentre si raggomitolava a palla nel palmo coriaceo di una scimmia incendiaria. Istintivamente, Delanna allungò una mano verso lo scarabeo, ma la scimmia lanciò Cleo di lato, gli occhi sempre fissi sul movimento dei capelli di Delanna, poi si portò appena fuori della portata delle braccia della ragazza con i passi danzanti caratteristici della sua specie. Un’altra scimmia prese al volo Cleo.
«Dalle un colpetto sul muso,» consigliò Harry a Delanna.
«Daglielo tu,» replicò Delanna. Adesso c’erano quattro scimmie incendiarie e Delanna non riuscì a immaginare in che modo creature tanto grandi si fossero avvicinate tanto senza che lei le avesse viste oppure sentite.
«Non posso,» rispose Harry. «Non sono abbastanza alto. E non servirebbe a niente neppure se battessi le mani.»
«Non spaventarle, oppure fuggiranno portandosi dietro Cleo,» lo avvertì Delanna. La scimmia che aveva in mano Cleo le stava carezzando le scaglie, evidentemente affascinata dalla loro lucentezza. Probabilmente la scimmia pensava che si trattasse di fuoco, come era capitato per i capelli di Delanna, che prese il pettine dalla cintura e iniziò a passarlo tra i capelli. La scimmia smise di accarezzare Cleo e la osservò. Le altre scimmie — adesso erano sette, ma all’esterno del giardino ce n’erano delle altre — fecero alcuni passi verso di lei con andatura elastica, ma quella che reggeva Cleo rimase immobile, fissando Delanna con i suoi occhi giallo-arancioni che non ammiccavano mai.
«Cavoli, i tuoi capelli devono davvero piacere un sacco alle scimmie!» commentò Harry. «A me non si sono mai avvicinate tanto.»
Delanna fece un mezzo passo verso la scimmia che reggeva Cleo, ma la scimmia fece un mezzo passo indietro. Allora Delanna passò il pettine tra i capelli, pettinandoli in avanti, sperando che la scimmia tentasse di afferrare il pettine. Il braccio della creatura ebbe una contrazione e, la volta seguente che il pettine scese in avanti, si allungò. Nello stesso istante Delanna tentò di afferrare Cleo, ma la scimmia incendiaria lanciò lo scarabeo in aria, molto al di sopra della portata di Delanna. Delanna gettò un grido, ma un’altra scimmia incendiaria prese al volo Cleo prima che colpisse il suolo.
«Hai visto? Che presa magnifica!» esclamò Harry in tono ammirato.
«Harry, non penso che tu stia prendendo questa faccenda abbastanza seriamente. So che queste scimmie non intendono fare del male a nessuno, ma Cleo potrebbe farsi male, se la lasciano cadere.»
«Quando lanciano bastoni in fiamme, non li fanno cadere,» spiegò Harry a Delanna. «E possono afferrarli da una sola estremità.»
«Harry, non mi stai aiutando granché,» replicò Delanna. «Voglio indietro Cleo, e la voglio subito. Ora andrò da quella scimmia incendiaria…» Iniziò ad avanzare con andatura decisa mentre parlava, sperando che il suono della propria voce le desse coraggio. «E se non mi ridà indietro Cleo, le farò…»
La scimmia incendiaria lanciò Cleo in aria e arretrò di alcuni passi. Delanna tentò di prendere al volo Cleo, ma una mano scagliosa le sottrasse lo scarabeo a mezz’aria. Delanna allungò di nuovo il braccio, sperando di cogliere di sorpresa la nuova scimmia, ma la creatura si limitò a lanciare Cleo prima che Delanna fosse riuscita ad avvicinarsi come aveva fatto con le altre. Prima ancora che Delanna potesse cambiare direzione, Cleo venne gettata di nuovo in aria e passata a un’altra scimmia e poi a un’altra ancora.
Le scimmie incendiarie erano ancora in un semicerchio intorno a Delanna, ma sembravano avere perso interesse nei suoi capelli. Adesso la loro nuovo fissazione era la sagoma luccicante del carapace di Cleo. Delanna decise di rimanere immobile, perché ogni volta che si muoveva verso una di loro, la scimmia lanciava di nuovo Cleo e il sole brillava sulle sue piastre, traendone riflessi simili ad arcobaleni in miniatura.
«Probabilmente a loro piace il modo in cui il sole si riflette sulle scaglie di Cleo,» commentò Delanna, desiderando di non averle mai lucidate. Ma cosa poteva fare? Le scimmie incendiarie avevano il completo controllo della situazione. Se avesse tentato di battere le mani, avrebbe potuto lasciar cadere Cleo, oppure fuggire portandosela dietro. Non poteva correre quel rischio. Avrebbe dovuto superarle in pazienza.
«Ma cosa sta facendo Cleo?» chiese Harry.
Harry era ancora all’esterno del semicerchio di scimmie e si riparava con una mano gli occhi dal sole mentre osservava Cleo lanciata da una scimmia all’altra. Delanna, all’interno del semicerchio, era costretta ad ammiccare ogni volta che Cleo passava tra i suoi occhi e il sole, ma adesso capì perché Harry le avesse rivolto quella domanda. Ogni volta che Cleo veniva lanciata, quando raggiungeva circa l’apice della traiettoria, estendeva completamente le zampe, agitandole, ma manteneva chiuso il carapace, come se sapesse che le zampe, estremamente sottili, non avrebbero distorto di molto la traiettoria. Delanna pensò che lo scarabeo fosse in preda al panico, ma poi lo udì fare le fusa mentre sibilava in aria e le zampe si muovevano freneticamente.
«Che piccola peste!» esclamò Delanna. «Si sta divertendo! Cleo, vieni qui immediatamente.» Ovviamente Cleo non le obbedì: non lo faceva mai, o almeno non subito. Ma dopo pochi minuti, quando una delle scimmie la prese, o Cleo prese la sua mano, non era più raggomitolata a palla. Chiunque fosse stato a effettuare la presa, Cleo zampettò giù dalla scimmia come se si fosse trattato di un palo che aveva usato per grattarsi e si gettò tra le braccia della sua padrona. Delanna batté le mani verso le scimmie incendiarie e loro arretrarono fulmineamente di qualche passo. «Su, andate via!» esclamò, battendo di nuovo le mani. Strinse al petto Cleo e quando sollevò di nuovo lo sguardo, solo due delle scimmie erano ancora visibili. Delanna emise un sospiro di sollievo.
«Di sicuro è stato un bello spettacolo,» commentò Harry, avvicinandosi e toccando Cleo prima che Delanna potesse dire qualsiasi cosa. Lo scarabeo non si ritrasse. Delanna immaginò che, dopo aver fatto da palla per le scimmie incendiarie, Cleo poteva tranquillamente sopportare l’ammirazione di un bambino.
«Questa piccola vanitosa mi ha fatto spaventare a morte,» confessò Delanna.
«Penso che le scimmie mangino solo carne cotta,» la rassicurò Harry. «O la roba che trovano nei fuochi. Ma non le ho mai viste prendere qualcosa per cuocersela da sole.»
«Hai sentito, Cleo? Avresti potuto finire arrostita,» commentò Delanna, accarezzando la scarabeo. «Brutta cattivona, assecondarle in quel modo!»
«Oh, a proposito di cibo. Sei ancora disposta a cucinare quella frittata?» le chiese Harry, pronto a correre in pollaio.
Delanna annuì e si guardò intorno, cercando la ciotola di verdure, quasi sicura che se la fossero portata via le scimmie. Ma la ciotola era esattamente dove l’avevano lasciata e non era stata neppure rovesciata. Si chinò a raccoglierla e iniziò a seguire Harry, che stava già salendo di corsa lungo il fianco della collina, diretto verso il pollaio.
Quando Delanna arrivò a casa, Harry aveva preso le due uova. Cleo diede una sola occhiata alle uova e poi si estese completamente, in modo da potersi trasferire su Harry.
«Ehi, le piaccio!» esclamò Harry, tentando di reggere sia le uova che Cleo. Avrebbe fatto cadere una delle uova, se Cleo non l’avesse afferrata svelta come un fulmine, poi provvide a rimproverare il bambino con un cinguettio adirato. «Le vuole tutte e due lei!» esclamò Harry e le passò anche l’altro uovo. Cleo avvolse le sue zampe intorno alle uova, come se volesse proteggerle.
Delanna stava lavando le verdure in cucina quando entrò Sonny. «Stai bene?» le chiese. «Wilkes e io abbiamo visto una banda di scimmie incendiarie sbucare dal retro della casa.»
«Oh, Sonny, avresti dovuto vederle!» esclamò Harry e mentre il bambino cominciava a raccontare, Delanna tagliò le verdure e le mise in una padella.
Sonny, assentendo nei punti giusti del racconto di Harry, sollevò una piastrella di ceramica sul bancone, rivelando un’unità di cottura a energia solare, e prese dalla credenza alcuni barattoli di spezie. Delanna le odorò una per una, ne riconobbe due come origano e pepe e rimise a posto le altre, anche se molte di esse avevano un aroma stuzzicante: non voleva rovinare la frittata usando qualche spezia locale che non sapeva come usare. Ma Sonny prese dalla credenza una delle spezie che Delanna aveva rifiutato e ne aggiunse un pizzico alle verdure.
«E allora Cleo inizia a fare… vrrrr, vrrrr,» stava raccontando Harry, poi imitò il volo di Cleo tra le scimmie incendiarie. Lo scarabeo era sul tavolo, nascosto sotto i fior-di-rosa con le sue due uova.
Delanna girò le verdure, incerta sul tempo di cottura di quelle più polpose. Sonny si avvicinò e infilò la forchetta in uno dei tuberi, assaggiandone un pezzetto. Annuì per indicare che erano pronte, poi si avvicinò al tavolo per prendere le uova, ma Delanna lo fermò. «È meglio che lo faccia io. Cleo non lo perdonerebbe mai a nessun altro,» spiegò.
«Ehi, ma cosa sta facendo Cleo?» chiese Harry, accorgendosi finalmente che si era nascosta con le uova. Aveva finito la sua storia e adesso sembrava che stesse pensando ad alta voce, avvertendo Delanna e Sonny di un evento che chiaramente erano in grado di notare anche loro, cioè che Cleo si stava nascondendo con le uova di oca.
Fu abbastanza facile sottrarre le uova a Cleo: erano troppo grandi affinché Cleo potesse metterle nel suo marsupio, ma lo scarabeo emise un cinguettio lamentoso quando le vennero tolte e un sonoro stridio quando Delanna le ruppe in padella. Delanna le restituì i gusci vuoti. Lo scarabeo li annusò, poi, con quello che poteva essere interpretato solamente come un atteggiamento di totale disprezzo, scese dal tavolo sulla sedia, scivolò sul pavimento e zampettò nell’altra stanza. Harry la seguì a quattro zampe.
«Ehi, Cleo!» esclamò. «Vuoi aiutarmi a costruire un palo per le oche?»
«Un cosa?» chiese Sonny, ma Harry non lo sentì.
«Gli ho detto di provare a mettere un pezzo di pane sulla lenza di una canna da pesca,» spiegò Delanna. «Le oche gli corrono dietro e così si possono condurre quasi dappertutto. È più facile che sbracciarsi e correre avanti e indietro.»
«Io non ci avrei mai pensato,» commentò Sonny.
«Neppure io. Ho imparato come si fa durante una lezione sul comportamento degli animali.»
Sonny aveva preso alcuni piatti dalla credenza e stava apparecchiando. Spostò i fior-di-rosa e Delanna pensò a quanto fosse stato bello riceverli e a quanto fosse stato piacevole fare la doccia quella mattina, senza citare il fatto che dal giardino della madre erano state eliminate tutte le erbacce e che tutto era così pulito. Milleflores non possedeva gli edifici lussuosi del lanzye dei Flaherty, ma di sicuro i suoi abitanti erano altrettanto gentili.
Harry tornò in cucina portandosi dietro Cleo, che si era raggomitolata a palla e aveva un’aria triste. Ma a Harry questo non importava: sembrava che gli piacesse semplicemente tenerla in mano. «Sonny,» aggiunse, «oggi andremo al frutteto, oppure tu e Wilkes lavorerete sul solaris?»
«Wilkes ha già capito cosa non andava nel solaris,» replicò Sonny.
Delanna girò di nuovo le uova. «Be’, è una vera fortuna,» commentò.
«Lo ha sistemato in modo che tiri avanti fino a quando non potremo fare aggiustare il motore,» spiegò Harry. «Era colpa di un pezzo di metallo piegato nella trasmissione, vero, Sonny?»
«Sì, in effetti è proprio così,» affermò Sonny, fissando con aria cupa il fratellino. «Ma se Wilkes sapeva qual era il problema, perché non mi ha avvertito via radio? Abbiamo costretto la carovana a rallentare per giorni!»
Harry scrollò le spalle. «Ma tu continuavi a chiedere di B.T.»
«Cadiz. ha continuato a chiedere di B.T.» Sonny rivolse un’occhiata esasperata in direzione di Delanna.
Delanna sorrise: Sonny sembrava avere dei problemi di comunicazione perfino con i fratelli. Forse non avrebbe dovuto essere così dura con lui se non riusciva sempre a spiegarsi perfettamente quando parlava con lei.
«E così andremo al frutteto?» chiese Harry.
«Io e Wilkes andremo al frutteto,» rispose Sonny. «Tu rimarrai qui, sbrigherai le tue solite faccende e aiuterai Delanna.» Si girò verso di lei con un’espressione dispiaciuta. «Dobbiamo scavare i canali di scolo nei frutteti prima che le piogge arrivino fin qui, dunque per un po’ di tempo non potremo pulire la sorgente termale.»
«Non c’è problema. Tanto, almeno per ora, non ho nessun costume da bagno da indossare. Il mio è rimasto nel baule, che è ancora in orbita, oppure si trova allo spazioporto, in attesa che Jay Madog vada a ritirarlo.» Tolse la frittata dall’unità di cottura. Aveva assunto un bel colore dorato. «Va’ a chiamare tuo fratello, Harry. La colazione è pronta.»
«Wilkes!» gridò Harry, senza neppure avvicinarsi alla porta. Poi, in tono di voce normale disse a Delanna, «Be’, ma allora è perché non hai altri vestiti che hai messo la camicia da notte di tua madre?»
«La camicia da notte?» Delanna abbassò lo sguardo sul proprio vestito. Aveva pensato che avesse un colore troppo vivace per essere una camicia da notte e poi era stato appeso accanto agli indumenti da lavoro, come se fosse un vestito da portare all’aperto. Sospirò. Adesso immaginò che gli indumenti color pastello nel cassettone fossero i vestiti della madre, anche se non avrebbe saputo spiegare come le era venuta quell’intuizione. Sospirò di nuovo. «Immagino che dovrei ringraziare il cielo di non averlo scoperto ascoltando la radio.»
La porta sbatté e Wilkes entrò. Si lavò le mani e si sedette a tavola, poi lo sguardo gli cadde su Delanna. Non rimase esattamente a bocca aperta, ma Delanna si accorse che anche lui era sorpreso di trovarla in camicia da notte. Forse le camicie da notte erano considerate come facenti parte dell’abbigliamento intimo? Dall’espressione del volto di Wilkes, doveva essere proprio così.
«Sì, è una camicia da notte, Wilkes. Pensavo che fosse un vestito, ma mi sono sbagliata,» gli spiegò allora, ma il ragazzo le rivolse un sorriso incerto, come per dirle che non gli importava. «Tu,» disse Delanna a Sonny in tono accusatorio, «avresti dovuto avvertirmi subito, invece di lasciare che preparassi la colazione in camicia da notte, probabilmente imbarazzando a morte i tuoi fratelli.» Delanna sbatté la padella sul tavolo davanti a loro.
Sonny si sedette. «Non penso che siano così imbarazzati, anche se prima di adesso non hanno mai visto una camicia da notte che non fosse coperta da qualcosa,» replicò. «Inoltre, sanno che non hai il tuo baule e che dovrai arrangiarti. E per quanto riguarda il fatto che non ti ho avvertito subito, be’…»
Stava forse per ricordarle che aveva tentato di avvertirla di non fare il bagno nel ruscello di sale e di non allontanarsi dalla carovana, ma che lei non lo era stato mai a sentire e che lo aveva aggredito come una furia almeno la metà delle volte, dunque, considerati i precedenti, perché avrebbe dovuto avvertirla che stava indossando una camicia da notte?
Ma Sonny non disse nulla del genere. Le rivolse un sorriso e rispose semplicemente, «Pensavo che ti donasse.»
CAPITOLO TREDICESIMO
Delanna era quasi dispiaciuta che Harry le avesse rivelato che stava indossando una camicia da notte, visto che i vestiti della madre erano così lunghi e pesanti e i colori pastello si sporcavano nello stesso istante in cui usciva in giardino o prendeva il secchio per dare da mangiare alle oche. Si chiese in che modo sua madre fosse riuscita a svolgere qualsiasi lavoro indossando vestiti del genere.
Se solo avesse avuto il suo baule! Tentò di calcolare quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che Jay tornasse a portarglielo. Avrebbe impiegato quasi due settimane per andare e tornare, se la carovana avesse avuto la stessa fortuna che avevano avuto loro nell’attraversare le Pianure di sale e se non ci fossero stati temporali; questo significava che avrebbe dovuto aspettare da tre settimane a un mese, anche se Jay fosse tornato immediatamente a Grassedge; nel frattempo, sarebbe stata costretta a usare quei vestiti pesanti e color rosa confetto in cui riusciva a stento a muoversi. Un mese!
Spero che Jay si sbrighi, pensò e poi ritirò immediatamente quel desiderio. Non voleva che si sbrigasse. Anzi, non voleva neppure che venisse. «Quando tornerò, avrò qualcosa da dirti,» le aveva detto e lei aveva paura di sapere con assoluta certezza di cosa si trattasse.
Avrebbe dovuto mettere immediatamente a posto Jay. Non puoi continuare a comportarti in modo tanto contraddittorio senza finire nei guai, aveva detto a Cadiz. Avrebbe dovuto seguire anche lei il proprio consiglio. Invece, si era messa a flirtare con Jay, era andata nel suo solaris, aveva tentato di attirare la sua attenzione.
Ma adesso non voglio più attirarla… pensò, però non permise a se stessa di finire il pensiero. Be’, forse non sarebbe tornato. Grassedge era molto lontana e tra poche settimane sarebbero arrivate le piogge estive. Con un po’ di fortuna, sarebbe rimasto bloccato dall’altro lato delle Pianure di sale per un mese o anche di più e a quel punto avrebbe trovato qualche vedova o la figlia di un agricoltore da importunare.
Nel frattempo, però, doveva avere qualcosa da indossare. Trovò un paio di forbici e tagliò uno dei vestiti della madre all’altezza del ginocchio, il che le permise di muoversi con maggiore scioltezza ma non risolse il problema del colore e quando tentò di lavare le macchie di succo di pomarancia che si era fatta preparando il pranzo, il vestito si trasformò in un ammasso intrattabile di grinze.
Non sapeva se Sonny avesse un ferro da stiro e non poteva neppure chiederglielo perché lui non era quasi mai in casa. Evidentemente il suo viaggio a Grassedge lo aveva fatto ritardare sulla tabella di marcia e per una settimana e mezza Delanna lo vide pochissimo. Quando lo vedeva, era impegnato a montare il distillatore o a scavare canali di scolo nel frutteto, oppure impartiva ordini a Harry e a Wilkes, che continuavano a lavorare duro quasi quanto lui.
«Cosa posso fare per aiutarvi?» gli chiedeva Delanna ogni volta che lo vedeva, ma lui rispondeva, ansimando per la stanchezza e coperto di fango, «Se non ti è di troppo disturbo, potresti preparare qualche panino alle verdure. Wilkes e io dobbiamo andare a controllare il frutteto settentrionale.»
Preparare qualche panino alle verdure non significava certo svolgere la sua parte di lavoro e Delanna si sentiva colpevole di oziare quando era ovvio che di lavoro ce n’era tanto, più di quanto loro tre potessero svolgerne; il povero Harry era perfino costretto a portare pesanti secchi d’acqua e a sarchiare il giardino.
Una mattina Delanna bloccò Wilkes prima che andasse via con Sonny e gli chiese se poteva prendere in prestito un paio dei suoi pantaloni e una camicia, poi aiutò Harry a portare l’acqua fino al giardino in cui crescevano le verdure, lieta di essere almeno un po’ utile.
«Harry,» gli chiese mentre raccoglievano le verdure per la cena, «cosa faceva mia madre da queste parti?»
Harry si raddrizzò, con un’espressione apparentemente perplessa. Delanna si chiese se era possibile che nessuno lo avesse informato che lei era la figlia di Serena.
«Voglio dire Serena, Miz Milleflores,» gli spiegò allora. «Voglio fare la mia parte di lavoro e pensavo che avrei potuto iniziare dai lavori che svolgeva mam… Serena. Quali erano?»
Harry chinò la testa. «Non lo so,» bofonchiò. «Queste pomarance saranno mature tra un paio di giorni.»
«Si prendeva cura del giardino?» insistette Delanna. «Oppure distillava l’ambrosia?»
Adesso Harry sembrò a disagio, perfino imbarazzato. «Devo andare a sentire la radio. Sonny dice che devo scoprire che tempo farà,» rispose, poi corse in casa.
Ma che cosa significa tutta questa faccenda? si chiese Delanna. Sonny aveva ordinato ai ragazzi che non dovevano chiederle di svolgere alcun lavoro? Di sicuro lui non le aveva chiesto nulla del genere. Quando, proprio quella mattina, Delanna gli aveva chiesto cosa poteva fare mentre lui era via, Sonny le aveva risposto, «Riposati. Hai dovuto sopportare un viaggio molto duro.»
Ma anche lui aveva dovuto sopportare un viaggio molto duro, però questo non gli impediva di alzarsi alle prime luci dell’alba e di lavorare nei frutteti fino al tramonto. Il minimo che Delanna potesse fare era svolgere i lavori di cui si era occupata la madre.
Il giorno seguente Sonny portò con sé Harry, così Delanna svolse anche i suoi compiti: raccolse le verdure mature, lavò le camicie dei ragazzi incrostate di fango e diede da mangiare alle oche. Per loro Sonny aveva costruito accanto allo stagno un recito improvvisato fatto con pali e rete metallica. Delanna presunse che, una volta abituatesi al nuovo ambiente, le oche avrebbero potuto scorrazzare liberamente nell’aia, ma non aveva avuto la possibilità di chiedere a Sonny se in giro ci fossero dei predatori che avrebbero potuto attaccare le oche, o lei stessa, così decise di lasciarle nel recinto fino a quando non sarebbe riuscita a scoprirlo e andò in casa per ascoltare la radio. Anche quello era uno dei compiti di Harry: doveva sentire i rapporti sul tempo trasmessi dai lanzye circostanti e riferirli a Sonny.
Quei rapporti non giungevano a un orario o in un ordine particolari, ma erano mescolati a un guazzabuglio di notizie, ricette, consigli agricoli, richieste di rintracciare qualcuno e pettegolezzi. Delanna temeva che stessero ancora discutendo del suo incontro con i cespugli reddsie, ma quella ormai era storia vecchia. I pettegolezzi più recenti erano incentrati su un’epidemia del virus delle pecore a sud, su una rissa scoppiata nel saloon di Maggie e sulla storia d’amore tra B.T. e Cadiz.
Le informazioni sul tempo venivano trasmesse in mezzo a tante altre notizie sugli argomenti più disparati. «Questa mattina il barometro è alto,» riferì un uomo dal tono brusco che viveva a North Cutting. «Ho una gallina con una specie di eczema sulla cresta. Ho provato con la salvia a borsello e gli antibiotici, ma nessuno dei due ha funzionato. Qualcuno lì fuori ha qualche idea su cosa possa essere? Qui ci sono venticinque gradi e qualche cirro.»
La donna dal tono dolce che chiamava da Rambaugh’s Corner era perfino peggio. Mescolava le notizie sul tempo con le istruzioni su come cucire una manica in modo tanto disinvolto che Delanna non era mai sicura di cosa stesse ascoltando e infiorettava il suo rapporto con una versione incredibilmente colorita del corteggiamento di B.T. e Cadiz.
«E così lui le dice, ‘Cadiz, smettila di fare la civetta con Jay Madog!’» riferì la donna. «’Tu sei la mia ragazza, Cadiz,’ dice. Oh, Bob dice di riferirvi che stamattina ha visto una scimmia incendiaria con la barba. Secondo lui, questo significa che quest’anno le piogge saranno molto forti. E così, in ogni caso, B.T. deve avere detto a Madog il fatto suo, perché Jay è partito subito per le Pianure di sale, senza neppure salutare la ragazza dei Collins a cui continuava a ronzare intorno dai Flaherty.»
Bene, pensò Delanna, ovviamente Jay mi ha dimenticata lo stesso istante in cui io e Sonny siamo andati via dal cortile dei Flaherty.
«Non togliere i punti di sostegno prima di avere finito,» disse la donna alla radio e Delanna si rese conto che era tornata alla manica da cucire. «Stamattina fa più fresco del solito, un paio di cumuli su Sugarbowl.»
Delanna non aveva alcuna idea su dove si trovasse Sugarbowl, oppure North Cutting, o qualsiasi altro lanzye che nominava. Avrebbero potuto trovarsi a cinquanta miglia verso sud, oppure a cinquemila. Così annotava tutto, inclusi i nomi di coloro che trasmettevano i rapporti, quando li dicevano, cosa che di solito si guardavano bene dal fare. Ma ovviamente presumevano che tutti avrebbero saputo riconoscere le loro voci. Talvolta non si preoccupavano neppure di dire da dove stavano chiamando e Delanna era costretta ad annotare, «Una donna con una voce anziana, parla in fretta, molta statica. Ha menzionato qualcuno chiamato Lonell.»
«Deve essere Livvy Cameron su a Trickle,» commentò Sonny quando Delanna gli lesse gli appunti che aveva preso. «Nessuno ha riferito di un calore soffocante o che il barometro stava scendendo?»
«Solo Hardscrabble. Hanno detto che lì la temperatura aveva superato i cinquanta gradi.»
Sonny scosse la testa. «Quel lanzye si trova dalle parti di Spencer’s Wagon. Lì fa sempre caldo. Sembra che le piogge siano disposte ad aspettare fino a quando non avrò scavato i canali di scolo nel frutteto settentrionale.» Si alzò con aria stanca per tornare fuori. «Grazie per avere annotato i rapporti. Domani lascerò Harry a casa, in modo che possa occuparsene lui.»
«Ma hai molti altri lavori da fargli fare e poi a me non dà alcun fastidio scrivere i rapporti sul tempo. C’è qualcosa che posso fare per aiutarti a scavare?»
Sonny sembrò sorpreso e compiaciuto, ma si limitò a rispondere, «Ti sarei molto grato se potessi preparare dei panini di verdura per domani. Rimarremo nel frutteto dietro la casa per tutto il giorno.»
Sempre i soliti panini alla verdura. Però, dopo quella conversazione, Sonny portò con sé Harry ogni giorno. Eppure Delanna aveva ancora l’impressione di non stare facendo abbastanza. Sapeva che c’erano ogni sorta di cose che andavano fatte, ma non riusciva a capire quali fossero.
Tentò di chiamare Cadiz per farsi dare qualche suggerimento, ma non riuscì a trovare nessuno. Sono tutti fuori per prepararsi al raccolto, pensò Delanna, disgustata. Inviò una richiesta di rintracciare Cadiz, finì di annotare i rapporti sul tempo e uscì in giardino per cogliere le verdure e alcune pomarance per cena.
Molte delle pomarance erano mature e morbide al tocco e sembrava che le altre sarebbero state pronte a essere colte entro pochi giorni. E ovviamente bisognava farci qualcosa, ma cosa? Irradiarle? Conservarle in barattolo? Delanna non aveva la più pallida idea di come fare entrambe le cose e in casa non aveva visto alcun tipo di equipaggiamento adatto alla bisogna. Avrebbe dovuto chiederlo a Cadiz, se e quando sarebbero riusciti a rintracciarla.
Mentre tornava in casa diede un’occhiata nella camera da letto, vide il baule della madre e pensò, Forse troverò qualcosa nei diari di mamma. Lavò e tagliò le verdure, le mise a cuocere, poi andò in camera da letto e aprì il baule. Si sedette sul pavimento e tirò fuori i diari, provando una strana riluttanza ad aprirli. Sulle copertine non c’erano date. Aprì il primo. Non riuscì a trovare nessuna data neppure all’interno e non vide nulla che somigliasse a una ricetta o a una lista di istruzioni. I fogli erano scritti da un margine all’altro, senza alcuno spazio tra le varie annotazioni e senza quasi divisione in paragrafi.
Delanna provò di nuovo una fitta di dolore vedendo la scrittura a lei tanto familiare e il chiaro tentativo della madre di risparmiare la carta, ma tentò di ignorarla. Aveva bisogno di aiutare Sonny e sicuramente sua madre aveva scritto qualcosa sul raccolto e su come conservava gli alimenti.
Sfogliò varie pagine, trovando finalmente alcune date abbreviate che corrispondevano al periodo giusto dell’anno. Sua madre aveva registrato solo il giorno e il mese, così Delanna non riuscì a stabilire in che anno fossero state scritte le varie annotazioni, ma questo non era importante. Adesso doveva solo trovare il mese giusto.
La parola «raccolto» attirò la sua attenzione e lesse: «La festa del raccolto è finalmente finita, grazie a Dio. Praticamente si sono mangiati quasi tutta la casa. Il ragazzo dei Tanner avrebbe distribuito fino all’ultima goccia di ambrosia, se io non l’avessi chiusa a chiave. Due degli zotici hanno festeggiato quello che qui passa per un matrimonio e il ragazzo dei Tanner ha detto che dovevamo aprire bottiglie ambrosia almeno sufficienti per i festeggiamenti, ma io non avrei mai permesso che un mucchio di puzzolenti contadini ubriachi si bevesse il futuro di Delanna.»
Delanna si morse il labbro, pensando all’allegra combriccola di uomini che a Last Chance avevano intonato canti natalizi appositamente adattati e avevano riso fuori della finestra, poi pensò a Cadiz e B.T. Si chiese se sua madre avrebbe classificato anche loro come imbecilli, o se ci fossero altre cose che non aveva registrato nel diario, qualche altra preoccupazione che l’aveva resa tanto astiosa e inflessibile.
Di qualsiasi cosa si trattasse, le note non la stavano certo aiutando a scoprire cosa fare con quelle verdure che stavano maturando tanto rapidamente. Era andata troppo avanti. Sfogliò il diario fino a giungere a un mese prima.
«Sembra che quest’anno avremo un raccolto passabile, così potrò mandare a Delanna del denaro per permetterle di comprare nuovi vestiti. Voglio assolutamente che vada vestita alla moda.»
Oh, mamma, pensò tristemente Delanna, se potessi vedermi adesso.
«Avremmo avuto un raccolto maggiore, se i ragazzi dei Tanner avessero ripulito quella parte di boschi a nord, ma sono troppo pigri per farlo. Penso che dirò a Delanna di comprare qualche paio di quelle nuove scarpe con i tacchi alti.»
«Pigri,» mormorò Delanna, pensando, con un certo disagio, alle scarpe costose e alle gonne di strasse nel baule.
Qualcuno bussò alla porta sul retro. «Ciao, Delanna,» chiamò Harry. «Siamo a casa!»
«Sono in camera da letto. Arrivo tra un attimo,» rispose Delanna, lieta che la porta della camera da letto fosse parzialmente chiusa. Riordinò i diari.
«Com’era il tempo oggi?» le chiese Sonny.
Delanna ripose in fretta i diari nel baule. «I miei appunti sono accanto alla radio. Esco subito.» Chiuse il baule, abbassando il coperchio lentamente in modo da non produrre alcun rumore, vi poggiò sopra la sua camicia da notte piegata per bene e aprì la porta.
Harry le andò incontro appena fuori della porta della camera da letto. «Abbiamo finito di scavare i canali del frutteto settentrionale,» la informò, «e Sonny ha detto che non dovevamo iniziare a lavorare nel prossimo frutteto fino a domani.»
«Hai trovato i miei appunti?» chiese Delanna a Sonny, che si era seduto al tavolo e aveva l’aria esausta. «Andrò a prenderli io,» si affrettò a dire Delanna.
Raccolse gli appunti e si sedette di fronte a lui. «A Hernandez’s Holding fa bel tempo e il barometro segna trenta virgola sei. La stessa cosa a Rambaugh’s Corner,» riferì, leggendo dalla lista. «Ieri a Ultima Thule c’è stato un acquazzone…»
Sonny sollevò lo sguardo. «A che ora?»
«A metà del pomeriggio.»
«Allora era solo una nuvola temporalesca. Qualche temperatura superiore ai trentadue gradi?»
«No,» rispose Delanna, studiando la lista. «Aspetta.» Sonny aveva sollevato lo sguardo con interesse. «A Diehard ci sono trentaquattro gradi.» Scosse la testa.
«Quel lanzye si trova ai bordi delle Pianure di sale.»
Delanna lesse il resto dell’elenco, felice che questa volta fosse riuscita a identificare quasi ogni voce. «E a West Wall ci sono quasi ventotto gradi e alcuni cirri,» terminò. «North Cutting non ha chiamato.»
«Bene,» commentò Sonny. «Sembra che riuscirò a finire di scavare i canali prima che arrivino le piogge.» Si alzò con una certa difficoltà. «Penso che sarà meglio che vada a dare un’occhiata ai frutteti più esterni.»
«Non puoi mangiare prima?» gli chiese Delanna. «La cena è pronta.»
Sonny scosse la testa. «Voglio vedere quanti altri canali bisogna scavare prima che faccia buio. Tu e i ragazzi mangiate pure. Non aspettatemi.»
Si avviò verso la porta e Delanna lo seguì. «Aspetta un minuto e ti preparerò qualcosa da portare via.»
«No, grazie lo stesso,» rispose Sonny. «Mangerò qualcosa quando torno.» Improvvisamente allungò un braccio e le prese la mano. «Grazie per avere preso nota dei rapporti sul tempo, per avere preparato la cena e per tutto il resto.»
«Vorrei solo poter fare di più,» replicò Delanna. «Lo so, lo so,» proseguì prima che Sonny potesse parlare, «hai bisogno di panini alla verdura per domani.»
Sonny le rivolse un sorriso, diede alla mano di Delanna una lieve stretta e uscì, girando intorno all’angolo della casa. Delanna rimase sulla soglia per un istante, osservandolo. Eccolo il pigro ragazzo dei Tanner, che lavorava tutto il giorno e poi usciva di nuovo per andare a controllare i frutteti più lontani.
Si chiese improvvisamente se Sonny avesse letto i diari della madre. Era stato lui a riporre tutto nel baule della madre, a piegare le lenzuola e a sistemare i diari in una pila ordinata. Spero di no, pensò e giurò di non farsi mai vedere da Sonny mentre li leggeva.
Sonny non tornò dal frutteto se non molto tempo dopo che era calato il buio; aveva gli stivali incrostati di fango e il mattino seguente lui e i ragazzi si recarono al frutteto meridionale prima che Delanna avesse la possibilità di chiedergli cosa c’era bisogno che facesse, così continuò a svolgere le solite incombenze: strappare le erbacce dal giardino, portare a dormire le oche, annotare i rapporti sul tempo. Negli intervalli, dopo avere spinto il baule davanti alla porta della camera da letto, leggeva i diari della madre.
Ma non certo per leggere consigli su cosa fare con le pomarance mature, oppure per scoprire quali lavori avesse svolto la madre, perché le era bastato leggere solo poche annotazioni per rendersi conto che la madre non alzava neppure un dito per aiutare Sonny e i suoi fratelli.
Era stata malata: le annotazioni, specialmente nell’ultimo diario, erano piene di riferimenti a medicine e a giorni «cattivi,» ma, perfino da quanto c’era scritto nei primi diari, era chiaro che sua madre non aveva dato una mano a fare il raccolto o a curare il giardino oppure a tenere pulita la casa. Non c’era da meravigliarsi che Delanna avesse messo in imbarazzo Harry quando gli aveva chiesto quali fossero i lavori della madre: non ne aveva svolto nessuno.
Tutto quello che aveva fatto era lamentarsi di Keramos, del tempo, della mancanza di comodità civili, e soprattutto di Sonny.
«Ho chiesto al ragazzo dei Tanner perché non ha ancora conservato le verdure,» aveva scritto e «Ho detto di nuovo al ragazzo dei Tanner di aggiustare il tetto,» oppure «Ho preteso di sapere come mai la doccia non è stata ancora finita.»
Si riferiva sempre a Sonny come al «ragazzo dei Tanner,» non lo chiamava mai per nome, come se fosse un estraneo oppure un servo; pigro era l’epiteto più gentile che gli affibbiava. «È uno zoticone stupido e sudicio,» scriveva. «Grazie a Dio sono riuscita ad allontanare Delanna da lui e da questo posto!» Sonny era “disgustosamente rozzo” e “ignorante,” un “bruto scontroso”.
Sarei scontrosa anch’io, pensò Delanna, se qualcuno mi desse continuamente della stupida e mi comandasse come se fosse una regina. E questo non era neppure il peggio. «Ho detto al ragazzo dei Tanner che sto per mandare a Delanna il ricavato dell’ambrosia. Ovviamente ha detto che aveva bisogno lui di quel denaro, visto che voleva assumere qualcuno per pulire il frutteto meridionale. E adesso afferma che il solaris ha bisogno di un nuovo sistema di trasmissione, ma io so che è solo una scusa. Lui rimpiange ogni centesimo che invio a Delanna, ma intendo far sì che lei abbia il meglio di qualsiasi cosa. Può pulirsi i suoi boschi da solo.»
Ma Delanna sapeva che il solaris aveva davvero bisogno di un nuovo sistema di trasmissione, perché parti di esso si stavano staccando, incastrandosi nelle marce. Si chiese quale percentuale dei profitti del lanzye sua madre le avesse inviato. Era per questo che Milleflores era ridotto in quelle condizioni, mentre il lanzye dei Flaherty era tanto prospero?
Sollevò lo sguardo verso la luce che proveniva dalla finestra della camera da letto. Stava avvicinandosi mezzogiorno e Sonny e i ragazzi stavano lavorando nel frutteto sul retro della casa. Delanna si era offerta di portare loro il pranzo. «Oggi niente panini alla verdura,» aveva detto a Sonny.
Ripose i diari nel baule, pensando a tutto il denaro che aveva speso per comprare vestiti e gioielli, poi andò a prendere il sacco con il cibo e la brocca d’acqua.
Tre scimmie incendiarie erano in attesa accanto alla porta quando Delanna uscì all’esterno. «Adesso Cleo non può giocare,» spiegò, agitando la mano libera verso di loro. «Sciò.»
Due delle scimmie incendiarie iniziarono ad arretrare. La terza, un esemplare basso e tarchiato che Delanna non aveva mai visto prima, iniziò a gesticolare con eccitazione, indicando i suoi capelli.
«Adesso non ho tempo per questi giochetti,» la avvertì Delanna, poggiando la brocca e il sacchetto tra le ginocchia mentre si legava una sciarpa sui capelli. «Devo portare a Sonny il pranzo. Va’ a casa. Dico sul serio. Sciò!»
Batté insieme le mani, producendo un suono secco. La scimmia tarchiata arretrò per lasciarla passare; sulla sua faccia era comparsa quella che, probabilmente, era un’espressione di timore. Le altre due attesero fino a quando Delanna non fu uscita in cortile e poi si rimisero in attesa accanto alla porta. Quella tarchiata si sedette sullo scalino. Be’, almeno non la stavano seguendo.
Delanna girò intorno alla casa, cercando lo scarabeo. «Cleo!» iniziò a gridare e poi si interruppe. Non voleva che le scimmie incendiarie la sentissero e venissero a cercare la loro compagna di giochi… o la loro palla, visto che Delanna non avrebbe saputo stabilire con certezza cosa rappresentasse per loro Cleo.
Qualsiasi cosa rappresentasse per le scimmie, Cleo era accanto al recinto delle oche: era salita fino a metà altezza della rete metallica e aveva sporto una delle zampette pelose oltre la barriera, tentando di raggiungere la scatola in cui le oche deponevano le uova. Le oche, in particolare quella che sedeva sul nido, posto in angolo riparato del recinto, stavano sibilando furiosamente.
«Vieni, Cleo,» la invitò Delanna. «Andiamo a fare una passeggiata.»
Lo scarabeo si girò, guardò Delanna, poi si girò di nuovo verso il nido.
«Mi farai fare tardi per il pranzo,» si lamentò Delanna, poggiando di nuovo a terra il sacchetto e la brocca. «Dai, andiamo!» Staccò Cleo dalla rete — fu costretta a staccare l’ultima zampa un’unghia dopo l’altra — poi la depose davanti al sacco.
«Dai, andiamo,» ripeté, raccogliendo di nuovo il sacco. «Andiamo a fare una bella passeggiata nel frutteto.»
Cleo la seguì con riluttanza, rivolgendo sguardi colmi di desiderio in direzione della oche, che stavano starnazzando rumorosamente, come a voler dire, «Addio e non farti più rivedere!»
«Così si comportano le brave ragazze,» commentò Delanna. «Ci saranno un mucchio di uccelli. Potresti perfino trovare un bel nido abbandonato con un uovo che potrai covare tu.» Così la smetterai di fare venire l’infarto alle oche, pensò.
Il sentiero che conduceva al frutteto sul retro della casa in realtà era una semplice pista di piante schiacciate che passava attraverso una piccola macchia di candele di scimmia e oltre la radura, in cui Delanna ricordava che sgorgava la sorgente termale.
Fece per due volte il giro della radura, tentando di trovare la sorgente, ma il suolo era coperto da uno spesso strato di foglie secche.
Delanna si chiese se la sorgente si fosse seccata. Ma anche se era ancora lì, si stava facendo davvero tardi. Avrebbe cercato la sorgente dopo avere portato a Sonny il suo pranzo.
«Andiamo, Cleo,» disse e poi si guardò intorno. Lo scarabeo non si vedeva da nessuna parte. «Cleo!» gridò, scrutando tra gli alberi.
Si udì un orribile gracchio, poi un uccello svolazzò fuori dal sottobosco dirigendosi direttamente verso Delanna e spiccò improvvisamente il volo, spalancando le ali con un balenio di arcobaleno. Cleo emerse dal sottobosco, zampettando velocemente verso la sua padrona. Vi fu un altro rauco gracchio, seguito dal rumore di un frenetico battere di ali, simile a quello di un’oca, poi un secondo uccello uscì dal sottobosco allargando le ali in un improvviso arcobaleno di piume rosse, color indaco e verde brillante. Cleo si raggomitolò a palla, il che fu una fortuna perché il mandarino reale si tuffò direttamente verso la sua testa, la sfiorò e volò via dalla radura in tutto il suo splendore.
«Lì dentro c’è un nido di mandarini reali? Non dovresti dare fastidio ai loro nidi,» la rimproverò Delanna, «anche se li fanno a livello del suolo. Sono una specie in via di estinzione.»
Cleo sporse un occhio da dentro il guscio.
«E poi è probabile che te ne facciano pentire amaramente. Adesso, andiamo.»
Cleo la seguì docilmente per il resto del cammino, senza rivolgere agli alberi neppure un’occhiata. Sonny e i ragazzi erano sul lato opposto del frutteto, impegnati a scavare profondi canali ai piedi degli alberi di palle di cannone. Il suolo sembrava duro come la pietra e tutti e tre erano chiaramente esausti. Il sudore colava lungo il corpo di Sonny mentre affondava con forza la pala nel terreno duro come granito e ogni tanto si fermava per strofinarsi il collo e le spalle, come se gli dolessero.
Delanna si fermò, osservandolo lottare con il terreno ostinato e vergognandosi del denaro che aveva sperperato in vestiti, denaro che sarebbe potuto servire per comprare una scavatrice che avrebbe consentito a Sonny di non dover scavare l’intero lanzye a mano.
Sonny gettò via stancamente una palata di terra, ma quando Delanna disse, «Vi ho portato il pranzo,» sollevò lo sguardo con anticipazione e poggiò la pala contro il tronco di un albero.
«Harry, Wilkes, è ora di pranzo» annunciò, avviandosi oltre gli stretti canali verso Delanna e strofinandosi le spalle. «Cosa c’è?» le chiese, guardandola con ansia. «C’è qualcosa che non va?»
Sì, pensò Delanna, io mi sono divertita in giro per Gay Paree, comprando gonne luccicanti e scarpe con i tacchi alti di cui non avevo bisogno e spendendo soldi che sarebbero potuti servire per comprare strumenti utili per la fattoria.
«No,» rispose Delanna, aprendo il sacchetto del pranzo e passando a Harry e Wilkes una ciotola di zuppa e una fetta di pane.
I ragazzi si sedettero sotto l’albero più vicino e iniziarono a divorare il loro cibo, ma Sonny mangiò in piedi, mandando giù la zuppa a grandi sorsi e tornando subito al lavoro di scavo.
«Grazie per il pranzo,» disse a Delanna, appoggiando tutto il proprio peso sulla pala. «Sei sicura che non ci sia nulla che non va?»
«È solo che… state tutti lavorando così duro,» rispose Delanna. «Non c’è nulla che possa fare per aiutarvi?»
«Lo stai già facendo,» replicò Sonny. Si terse il sudore dalla fronte con il dorso della mano. «Sei venuta qui a portarci il pranzo, facendo a piedi tutta questa strada.» Prese un fazzoletto già zuppo e si asciugò la fronte.
Delanna si tolse la sciarpa e gliela tese. Sonny la prese con gratitudine e la usò per asciugarsi il volto. «Non avresti dovuto toglierti questa sciarpa, lo sai,» commentò, guardandole i capelli. «Potresti accecare qualcuno.»
Le rivolse un sorriso e il cuore di Delanna sembrò fare una capriola.
Si toccò goffamente i capelli con una mano. «Ho messo la sciarpa per evitare che le scimmie incendiarie mi seguissero.»
«Non ha funzionato,» commentò Harry e indicò alle spalle di Delanna.
Lei si girò: le tre scimmie incendiarie che erano state in attesa accanto alla porta adesso erano al bordo del frutteto e fissavano i suoi capelli.
«Sembra che tu abbia un vero corteo di ammiratori,» commentò Sonny.
«Probabilmente hanno seguito Cleo. Vogliono continuamente giocare a palla con lei.»
«Non penso che sia Cleo il vero spettacolo,» replicò Sonny e il cuore di Delanna fece di nuovo quella strana capriola.
Ma probabilmente Sonny non ha voluto dire nulla con quella frase, pensò Detanna mentre tornava indietro attraverso i boschi, perché le aveva immediatamente voltato la schiena e aveva iniziato a scavare di nuovo, senza neppure accorgersi che lei era andata via, seguita da Cleo e dalle scimmie incendiarie. Ma si era tenuto la sciarpa: l’aveva infilata nel taschino della camicia.
Delanna si fermò per cercare di nuovo la sorgente termale. Era ovvio che le spalle e il collo di Sonny gli dolessero; un bagno caldo avrebbe potuto alleviare il dolore dei suoi muscoli. E anche per Delanna sembrava una possibilità paradisiaca: l’acqua della doccia, che non rimaneva mai calda molto a lungo, non riusciva neppure a scalfire lo strato di sporco che si raccoglieva sulla pelle ogni giorno, quando lavorava in giardino.
Rimase per un lungo minuto sul sentiero, tentando di immaginare dove fosse stata la sorgente. Laggiù, pensò: all’estremità opposta della radura, sotto una larga roccia piatta, dove spuntava un boschetto di fior-di-rosa carico di boccioli. Ruppe un ramo da uno dei cespugli e iniziò ad aprirsi la strada attraverso la radura, usando il ramo come una scopa. Cleo la seguì, zampettando con una certa difficoltà tra il folto fogliame e, alle sue spalle, le tre scimmie incendiarie rimasero a osservare la scena con notevole interesse.
«Probabilmente ci cadremo dentro tutte e due,» commentò Delanna rivolta a Cleo, «e allora avranno davvero un bello spettacolo da guardare.» Scostò una parte dello strato di foglie, pensando che avrebbe visto la nuda roccia, ma sotto le foglie non trovò che altre foglie. Spazzò via anche quelle foglie e un getto di acqua nerastra iniziò a colmare il fosso.
Delanna usò il ramo per scavare nella massa di foglie bagnate, ma non era abbastanza resistente e si ruppe con un forte schiocco; due delle scimmie incendiarie si tuffarono dietro i fior-di-rosa.
Delanna si chinò e raccolse con le mani due manciate di foglie bagnate. L’acqua era fredda. Probabilmente è solo acqua piovana, pensò, ma tolse un’altra manciata di foglie e fu ricompensata da altra acqua, che colmò il fosso che aveva scavato. Era solo leggermente meno fredda, ma, dopo che Delanna ebbe tolto un altro paio di manciate di foglie, divenne più limpida e quasi tiepida. Cleo mise un’unghia nell’acqua.
«Ho bisogno di una pala o di qualcosa del genere,» mormorò Delanna, «ma almeno la sorgente è ancora qui. Vieni, Cleo. Torniamo a casa.»
Lo scarabeo seguì Delanna lungo il sentiero, attraverso il bosco e fin quasi al recinto delle oche. Poi si fermò di colpo, si girò verso le scimmie incendiarie, che le stavano seguendo mantenendosi a una discreta distanza, e tese le zampe anteriori verso di loro. La scimmia più vicina corse in avanti, afferrò Cleo e la lanciò con violenza in aria. La scimmia più vicina arretrò come un calciatore, prese lo scarabeo con una zampa e lo lanciò alla terza scimmia. Cleo lanciò uno strillo di piacere.
Delanna scosse la testa, controllò le oche, che erano attaccate al recinto e tenevano d’occhio Cleo ed entrò in casa. Probabilmente avrebbe preso la pala e sarebbe tornata subito alla sorgente, ma faceva caldo e lei non aveva pranzato. Si versò un po’ di zuppa in un piatto, trasmise un’altra richiesta di rintracciare Cadiz e mangiò ascoltando la radio.
Lo donna di Rambaugh’s Corner aveva finito di spiegare come attaccare una manica ed era passata a come fare le asole, mentre l’epidemia del virus delle pecore si era estesa a est. C’era una richiesta di rintracciare Doc Lyle e una chiamata per Jay.
«Qui è Clinton Manzilla. Qualcuno sa dove si trovi Jay Madog?»
Dovrebbe essere nelle Pianure di sale, pensò Delanna, ma un’altra voce intervenne dicendo, «Sta guidando una carovana attraverso le Pianure di sale.»
«Col cavolo che lo sta facendo! Sono ormai quattro giorni che stiamo aspettando a Last Chance che si faccia vedere.»
Intervenne la voce di una giovane donna. «Prova a Hashknife Lanzye. Scommetterei qualsiasi cosa che è lassù con Miriam Takahashi.» Sembrava disgustata e Delanna si chiese se fosse la «ragazza dei Collins» a cui Jay aveva «ronzato intorno» dai Flaherty.
Sam Noakes di West Canyon entrò in linea. «Io l’ho visto due giorni fa: era diretto verso sud e sembrava avere una fretta del diavolo. Io penso che sia giù a Meridian con Carolina Goldstein.»
«Ma pensavo che fosse promessa in matrimonio a Dig Perry.»
«Questo non fermerebbe di certo Jay,» replicò la donna in tono derisorio. «Jay Madog è specializzato in future spose.»
E in spose e basta, si disse Delanna con un sorriso mesto. Pensò a Jay che diceva, «Non bisogna credere a tutto quello che si sente per radio.» Anche se lei avesse creduto solo a un decimo delle storie, era decisamente chiaro che non doveva farsi molte illusioni sull’eventualità di riavere presto il suo baule. Il che era un sollievo, anche se avrebbe dovuto portate i pantaloni e le camicie di Wilkes per qualche settimana in più.
«Questa è una richiesta di parlare con Sonny Tanner,» annunciò una voce che Delanna riconobbe immediatamente.
«Cadiz!» esclamò Delanna, prendendo il microfono. «Sonny non c’è. Qui parla Delanna.»
«Oh, bene. Era proprio con te che volevo parlare. Sai, ho pensato: Scommetto che laggiù non hai nulla da mettere.»
«Ho i vestiti che mi hai prestato,» rispose Delanna, «ma non voglio rovinarli. Ho indossato un vecchio paio di pantaloni da fatica di Wilkes.»
«Sapevo che i vestiti che portava sempre Serena sarebbero stati inutili e volevo mandarti qualche indumento da lavoro, ma me ne…» — nella voce di Cadiz si intuì un sorriso — «sono dimenticata. Oh, Delanna, sono così felice!»
Poi si gettò con foga in un monologo di lodi sperticate rivolte a B.T. che avrebbe dovuto mettere a tacere le vecchie pettegole che, via radio, avevano insinuato che Cadiz si fosse fidanzata per ripicca; Delanna riuscì a stento a zittirla chiedendole delle pomarance.
«Sono quasi mature,» le disse quando Cadiz finalmente tacque per riprendere fiato. «Ma cosa devo farne? Forse devo irradiarle?»
«Irradiarle?» gridò Cadiz. «Oh, assolutamente no! E poi cosa ne faremmo? Le impacchetteremmo, le legheremmo con nastri rosa e le metteremmo in vendita in un mercato elettronico, proprio come su Rebe Primo, così potrai andare a fare compere. Irradiarle!?»
Delanna, con un tuffo al cuore, ebbe l’assoluta certezza che quello sarebbe diventato l’argomento principale dei pettegolezzi via radio per qualche giorno, ma insistette. «Be’, allora, dimmi cosa devo farne. E non dirmi di chiedere a Sonny. È troppo impegnato per essere disturbato.»
«Lo so. È colpa mia, visto che sto trattenendo B.T. Come ve la state cavando? B.T. mi ha detto di scoprire se avevate bisogno di lui subito. La nostra scavatrice si è rotta e B.T. pensa che ci vorranno altri due giorni per aggiustarla.»
Almeno voi ce l’avete, una scavatrice, pensò Delanna. «Non lo so. Sonny è tremendamente indaffarato, i ragazzi lavorano con lui tutto il giorno. Glielo chiederò.»
«Digli che, al massimo, saremo lì tra quattro giorni. Per quanto riguarda le pomarance, possono maturare ancora un po’, ma le ciliegie di terra inizieranno ad ammuffire, se non le togli da sotto quelle grandi foglie non appena diventano dolci; di solito, lo fanno all’incirca nello stesso periodo in cui maturano le pomarance.»
«Sono dolci,» confermò Delanna. Fantastico: avrebbe dovuto occuparsi delle pomarance e delle ciliegie di terra. «E cosa ci faccio con le ciliegie?»
«Le metti a seccare.» Cadiz disse a Delanna di tagliare le ciliegie, dopo avere tolto i noccioli, e di metterle a essiccare sulle apposite greppie, interrotta dalle correzioni della donna con la voce dolce che viveva a Rambaugh’s Corner.
«Metto a essiccare anche le verdure?»
«No, quelle devi conservarle nei barattoli di vetro. Ti farò vedere come si fa quando verrò lì. E ti porterò qualche vestito. Non puoi farti vedere da Sonny in pantaloni da fatica.»
«Cadiz, ho un’altra domanda da farti. Cosa puoi dirmi su mia madre?»
Vi fu un lungo silenzio, punteggiato da scariche di statica. La stessa reazione di Harry, pensò Delanna, poi si chiese se, in quel momento, anche Cadiz avesse assunto un’espressione imbarazzata e se avrebbe inventato qualche scusa per interrompere il collegamento.
«Non la conoscevo molto bene, davvero.»
Delanna pensò che fosse strano che Cadiz le avesse dato una risposta del genere, visto che conosceva tutti e aveva opinioni molto decise su tutti quanti.
«Lei era…» fece Delanna, poi si rese conto che non poteva fare via radio la domanda che aveva in mente. «Com’era?» terminò in tono incerto.
Vi fu un altro silenzio: «Stava molto a Milleflores. E negli ultimi due anni è stata male. Ora devo proprio andare. B.T. mi sta chiamando. Ci vedremo lì tra qualche giorno.»
Cadiz non voleva parlare e anche se lo avesse fatto, Delanna non sarebbe riuscita a chiederle: Mia madre era davvero la persona autoritaria e amareggiata che traspare dai suoi diari? Era dura con Harry? È perché lei mi mandava i soldi per farmi comprare i miei vestiti eleganti che Milleflores è in condizioni tanto disastrose?
Oh, mamma! pensò Delanna, poi uscì per trovare le greppie di cui aveva parlato Cadiz.
Passò i due giorni seguenti a raccogliere ciliegie di terra; le lavò, tolse loro i noccioli e le tagliò a fette. Sonny le aveva detto di avvertire B.T. di rimanere ad aggiustare la scavatrice, ma fu un bene che non gli avesse chiesto di tornare subito a casa, perché la radio smise di funzionare.
«Macchie solari,» annunciò North Cutting quando il crepitio dell’energia statica si attenuò per qualche minuto. «Ho delle chiamate per…» La voce si interruppe di nuovo.
Delanna lasciò la radio accesa tutto il giorno mentre lavorava, in modo da potere captare i frammenti di messaggi e di informazioni sul tempo che arrivavano ogni tanto, ma il secondo giorno non udì altro che un crepitio di statica continuo e irritante.
Fu impegnata con le ciliegie di terra fino a mezzogiorno e poi andò a lavorare alla sorgente. Con un pubblico composto da una banda di scimmie incendiarie e da Cleo (quando lo scarabeo non era impegnato a importunare qualsiasi uccello potesse avere un nido), tolse le foglie ingiallite che coprivano la sorgente e poi entrò nell’acqua tiepida e iniziò a scavare via palate di fango che ostruivano il flusso dell’acqua. L’acqua sgorgò fangosa e con un odore di marcio, ma dopo quelle che a Delanna sembrarono almeno mille palate di fango, iniziò a diventare limpida e la temperatura dell’acqua diventò calda e poi bollente. Le scimmie incendiarie si sedettero in cerchio intorno ai bordi della polla per osservarla, quasi altrettanto affascinate dalle sue fatiche nel fango quanto lo erano state dai suoi capelli. Di tanto in tanto, una di esse infilava una zampa nell’acqua e poi la ritraeva di scatto, portandola alla bocca.
Bene, pensò Delanna, questo significa che avrò la polla tutta per me. Ma il pomeriggio seguente, quando arrivò armata di una scopa per eliminare il fango accumulatosi all’interno della sorgente, due delle scimmie erano sedute nell’acqua, che arrivava loro fino al petto, e facevano scorrere manciate d’acqua sopra le loro teste con gesti languidi.
«Fuori!» gridò Delanna, entrando in acqua e colpendole con l’estremità più larga della scopa. «Non avete alzato un dito per aiutarmi, dunque non avete il diritto di fare il bagno. Questa è la mia sorgente!»
Le scimmie sgattaiolarono fuori dalla polla, tenendosi le teste con un’aria abbastanza intimidita, ma non appena ebbero raggiunto l’orlo si sedettero e iniziarono a dondolare i piedi nella polla formata dalla sorgente.
«Sono stata io a pulirla, dunque dovrei essere io a fare il primo bagno,» commentò Delanna.
Una delle scimmie raccolse una manciata d’acqua e se la versò in testa.
Delanna scosse la testa. Era inutile. Le scimmie amavano il calore, e la sorgente era deliziosamente calda. Avrebbe dovuto semplicemente portarsi dietro la scopa ogni volta che avesse deciso di fare il bagno. O avrebbe dovuto fare il bagno quando le scimmie non erano nei paraggi.
Pulì la fonte della sorgente con il manico della scopa e spazzò il fondo per buona misura. Per qualche attimo l’acqua divenne fangosa, poi tornò a scorrere di nuovo limpida. Delanna lavò la scopa nell’acqua e spazzò anche le rocce piatte al centro della pozza.
«È pronta,» disse Delanna rivolta alle scimmie incendiarie, «e domani, dopo che Sonny e i ragazzi saranno andati al frutteto, verrò qui e mi farò il bagno.» Le minacciò con la scopa. «Da sola.»
Non ne ebbe la possibilità. Il giorno seguente Sonny e i ragazzi lavorarono nel frutteto vicino alla casa e Harry non fece altro che correre dentro e fuori di casa tutto il pomeriggio, andando a prendere una brocca d’acqua, o una pala, oppure gli immancabili panini alla verdura. E il resto delle ciliegie di terra erano maturate tutte contemporaneamente. Delanna lavorò freneticamente l’intero giorno successivo, raccogliendo ciliegie, lavando, togliendo noccioli e affettando fino a quando non fu coperta di succo.
Quando portò gli ampi vassoi di rete metallica carichi di ciliegie di terra alle greppie sistemate nel cortile posteriore, le scimmie incendiarie la seguirono e controllarono sotto le reti metalliche e nel recinto delle oche; ovviamente stavano cercando Cleo.
«Non so dov’è,» spiegò loro Delanna, iniziando a legare alle greppie le reti metalliche. «Probabilmente è nel bosco.»
Evidentemente Cleo aveva apprezzato la loro passeggiata nel bosco: quando non era alla sorgente, era nel bosco, in cerca di nidi, cosa che le oche avrebbero certamente apprezzato, se le scimmie incendiarie non avessero continuato a sbirciare dall’esterno del recinto, cercando lo scarabeo. Adesso le oche stavano protestando ad alta voce.
Usando la pala, Delanna cacciò le scimmie via dal recinto e finì di legare le reti sui pali agli angoli delle greppie, sperando di farlo nel modo giusto. Non poteva chiamare Cadiz per scoprirlo: l’attività delle macchie solari impediva ancora alla radio di funzionare.
La statica svanì poco dopo mezzogiorno, ma era ovvio che tutti si attendevano che iniziasse di nuovo. Si limitarono a inviare rapporti sul tempo e messaggi molto brevi. «Il barometro segna trenta virgola otto, tempo stabile a West Wall, trentuno gradi e cirri a Salazar’s Gap, un acquazzone la scorsa notte a Diablo Lanzye.»
Il capo della carovana evidentemente non aveva trovato Jay. C’era una chiamata per lui e una per Delanna da parte di Maggie Barlow. «Cielo terso e ventinove gradi a Stillwater. Trenta gradi e…» La voce svanì di nuovo in uno scoppio di statica. Delanna avrebbe dovuto tentare di rispondere a Maggie più tardi.
Finì di affettare l’ultima delle ciliegie di terra e portò il vassoio alle greppie. Era tutta appiccicosa di succo. Quando andò in cortile per pompare un po’ d’acqua con cui lavarsi le mani, Harry era lì, senza fiato per la corsa.
«Sonny mi ha detto di dirti,» ansimò,»che abbiamo finito di scavare il frutteto davanti alla casa e che stiamo andando a quello orientale.» Partì a razzo e scomparve lungo il sentiero.
Mentre Delanna si lavava le mani sotto la pompa, udì un forte strillo e sollevò lo sguardo, pensando che le scimmie incendiarie dovevano aver trovato Cleo, che volò in aria direttamente verso la sua testa. Delanna si chinò per schivarla, ma una scimmia la afferrò senza alcuna difficoltà e sollevò il braccio per lanciarla di nuovo. Lo scarabeo squittí di piacere.
Delanna batté le mani seccamente. «Andate a giocare da qualche altra parte!» ordinò. La scimmia che aveva preso Cleo se la strinse protettivamente al petto. «Potete giocare con lei,» spiegò Delanna. «Ma non qui. Andatevene.»
Le cacciò nel cortile laterale e tornò in casa. All’interno faceva caldo e lavarsi sotto la pompa non era servito a molto. Si sentiva tutta appiccicosa. Ho bisogno di un bagno, pensò, poi si rese conto che quella era l’occasione perfetta per recarsi alla sorgente.
Sonny e i ragazzi erano nel frutteto orientale, le scimmie incendiane erano impegnate con Cleo e la radio era fuori uso, dunque non era obbligata a rimanere in casa per annotare i rapporti sul tempo. Era l’occasione giusta.
Prese un asciugamano e il sapone dalla doccia e uscì, ci ripensò e tornò in camera da letto per prendere una delle camicie da notte della madre. Non c’era nessuno in giro, ma se i ragazzi avessero finito presto, oppure se Cleo e le scimmie si fossero stancate del loro gioco, non voleva essere sorpresa completamente nuda.
Indossò la corta camicia da notte, desiderando di avere uno dei costumi da bagno conservati nel suo baule, ne incrociò la fascia intorno e sotto il petto, ne annodò le estremità intorno alla vita e uscì di soppiatto di casa.
Non aveva bisogno di preoccuparsi. Le scimmie, deliziate dall’aver trovato Cleo, stavano giocando a una qualche elaborata variante della palla avvelenata accanto al recinto delle oche. Cleo strillava di piacere, ma le oche si stavano facendo venire un vero e proprio attacco isterico. Non avrebbero notato Delanna neppure se si fosse messa a camminare in mezzo a loro.
Percorse in fretta il sentiero e attraversò la macchia di alberelli. Quando arrivò alla sorgente, si fermò e si girò verso la casa, ma le scimmie erano ancora impegnate nel loro gioco. Udì dei fiochi strilli.
Si tolse le scarpe di Cadiz ed entrò nell’acqua. Oh, era meraviglioso. L’acqua era deliziosamente calda. Fece un altro passo, poi si immerse nella sorgente e la gonna della camicia da notte si gonfiò intorno a lei come un gigantesco fiore acquatico.
Era più che meraviglioso, era un vero paradiso. Delanna si sentì pulita per la prima volta dal suo malaugurato tuffo nel fiume di sale e sentì la fatica e la tensione scivolare via nell’acqua calda. Un bagno avrebbe fatto meraviglie anche per i muscoli e il collo doloranti di Sonny. Lo avrebbe fatto venire lì con lei non appena sarebbe tornato a casa quella sera. Sonny si sarebbe opposto — avrebbe detto che era troppo stanco — ma sarebbe stato così contento quando avrebbe visto la sorgente!
Si chiese se Sonny avesse qualcosa da mettersi per fare il bagno. Non aveva costumi da bagno, questo era certo, visto che non aveva neppure due ricambi di vestiti e che non c’erano soldi sufficienti per comprare una scavatrice o il sistema di trasmissione di un solaris. Pensò di nuovo, provando un forte senso di colpa, ai vestiti che si era comprata su Rebe Primo.
Su questo ormai Delanna non poteva fare nulla, però l’aver pulito la sorgente almeno avrebbe dimostrato a Sonny che lei era disposta ad accollarsi la propria parte di lavoro. Pensò a quanto sarebbe stato contento Sonny quando avrebbe visto la sorpresa che gli aveva preparato: le avrebbe rivolto quel suo sorriso lento e…
Delanna si sdraiò nell’acqua calda e galleggiò a filo d’acqua, le braccia tese. Chiuse gli occhi. Sembrava che le scimmie avessero proseguito il loro gioco nel recinto delle oche. Riusciva a sentire i loro starnazzi indignati perfino da lì.
Ignorò qualsiasi rumore, si girò e fece alcune bracciate, poi galleggiò di nuovo sulla schiena, con i capelli che fluttuavano dietro di lei, osservando il cielo azzurro attraverso le chiome degli alberi sopra la sua testa. Cielo terso e trentuno gradi, pensò.
Ma come aveva fatto sua madre a odiare quel posto? Era bellissimo: la sorgente termale, il cielo, i fiori selvatici. Pensò a Sonny che le tendeva il mazzo di fior-di-rosa, sorridendole nel crepuscolo e dicendo, «Sì. Bellissima.»
Ti sbagliavi su Keramos, mamma, pensò. E ti sbagliavi anche su Sonny. Lavora duro, su di lui si può contare ed è sempre lì quando ne hai bisogno. Pensò a Sonny che la salvava dalle scimmie incendiarie nella radura, a Sonny che le diceva, «Non c’è da meravigliarsi che le scimmie incendiarie siano pazze di te.» Meraviglioso, pensò, chiudendo gli occhi e galleggiando, meraviglioso, meraviglioso, meraviglioso.
«Be’, mi venga un colpo se non è una sirena quella che vedo,» commentò una voce proveniente dall’alto.
Delanna aprì gli occhi e tentò di mettersi a sedere. Perse l’equilibrio e andò sotto, batté selvaggiamente le mani e inghiottì metà sorgente. Poi soffocò e iniziò a tossire.
«E allora, sirena, a cosa stavi pensando per sorridere in quel modo? A me, forse?»
Delanna lottò per mettersi in piedi nell’acqua che le arrivava al petto. «Jay!» esclamò, ancora tossendo. «Ma cosa ci fai tu qui?»
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
«Mi avevi chiesto tu di venire, ricordi?» replicò Jay, chinandosi per provare la temperatura dell’acqua con la mano. Indossava dei pantaloncini corti, non aveva né camicia, né scarpe e le stava sorridendo. «Anzi, mi hai implorato di venire.»
«Io ti avevo chiesto di portare il mio baule,» ribatté Delanna quando i suoi piedi riuscirono finalmente a trovare il fondo. Mise le mani sui fianchi e lo fissò perplessa, perché sapeva che Jay non aveva avuto il tempo sufficiente per compiere il viaggio di andata e ritorno da Grassedge.
«E io te l’ho portato,» replicò Jay in tono tranquillo, «insieme a qualche comodità della civiltà.»
Unì le mani a coppa per spruzzarla ma Delanna tese la mano per deflettere lo spruzzo. Sentì qualcosa urtarle la spalla e udì un plop che non sembrava acqua. Abbassando lo sguardo, vide una saponetta color rubino che galleggiava accanto al suo fianco.
«È stato un viaggio lungo e afoso,» commentò Jay. «Non mi dispiacerebbe concedermi un bel bagno.»
Ed era venuto preparato, indossando solo un paio di pantaloncini e portandosi dietro una saponetta. Doveva essere arrivato poco tempo dopo che Delanna era uscita di casa, l’aveva scoperta da sola nella polla ed era tornato indietro per togliersi la camicia e le scarpe e per prendere il sapone. E non si trattava neppure di sapone ordinario: gli oli aromatici stavano già formando una pellicola colorata mentre si scioglievano nell’acqua calda. Delanna si chiese per quanto tempo Jay fosse rimasto a osservarla prima di manifestare la sua presenza. Probabilmente abbastanza a lungo per essere sicuro che Sonny o i ragazzi non sarebbero tornati dai campi da un momento all’altro per unirsi a lei. Jay Madog le stava sfuggendo di mano e lei doveva fare qualcosa per impedirlo.
«Jay,» esordì. «Apprezzo davvero il fatto che tu mi abbia portato il baule tanto in fretta…»
«Non avrei mai potuto riuscirci senza avere i dati dei sondaggi correttamente integrati in quel programma. Penso di avere stabilito un record per i viaggi di andata e ritorno,» replicò Jay mentre si sedeva sulla cengia rocciosa che sporgeva sulla sorgente. «Sei davvero unica, Delanna: metà genio della cibernetica, metà sirena. Quali altri sorprese hai in serbo per me?»
«La prossima non ti piacerà,» replicò Delanna mentre Jay metteva i piedi in acqua e scopriva di trovarsi su un’altra cengia di roccia. Sembrava che fosse pronto a tuffarsi verso di lei, ma Delanna non era disposta a mettersi a fare giochi acquatici con Jay Madog da sola e in una polla isolata. Lanciò la saponetta nella sua direzione. Jay allungò un braccio e la prese al volo con abilità, sogghignando mentre apriva l’altra mano, rivelando che stringeva una seconda saponetta.
«Allora, qual è la mia sorpresa?» le chiese, lanciandole di nuovo, con estrema disinvoltura, una delle saponette, mentre gettava l’altra verso la cengia sul bordo della pozza.
Jay non poteva vedere la scimmia incendiaria che attraversò gli arbusti appena in tempo per prendere al volo la saponetta illuminata dalla luce del sole, che l’aveva fatta splendere come una gemma, ma vide il volto di Delanna assumere un’espressione di sorpresa mista a orrore quando si rese conto che la scimmia stringeva la saponetta con entrambe le mani e che Cleo stava superando in volo il cespuglio, cinguettando lietamente mentre ritraeva le zampe e allargava il carapace come se fosse un timone, assolutamente sicura che una delle scimmia l’avrebbe presa al volo.
«No!» gridò Delanna, poi eseguì un qualcosa che era a metà tra il salto e il tuffo per eseguire lei stessa quella presa impossibile.
Jay si girò appena in tempo per vedere il resto della banda di scimmie emergere dai cespugli. Barcollò all’indietro nell’acqua mentre Delanna lo superava di slancio. Era sicura che Cleo stesse per fracassarsi sulle rocce davanti ai suoi occhi, rompendosi l’esoscheletro o peggio, quando la scimmia incendiaria con la saponetta tra le mani allungò con calma un piede, afferrò Cleo e, con un movimento circolare aggraziato come quello di una ballerina, la inviò verso un un’altra coppia di mani tese.
«Torna qui!» gridò Jay. «Lascia che se la prendano.»
Le strinse la mano, ma era resa scivolosa dal sapone e Delanna riuscì a sfuggirgli. Salì affannosamente sulla cengia di roccia e poi sulla riva per afferrare la scopa dalla nicchia in cui l’aveva lasciata, appena in tempo per proteggersi dalle dita delle scimmie, tanto affascinate dai suoi capelli e, almeno quel giorno, tanto audaci che solo un uso energico e abbondante della scopa riuscì a farle desistere.
«Cleo, vieni subito qui da me!» gridò Delanna in tono brusco, sovrastando il whump! whump! della scopa. «E tu,» disse alla scimmia colpevole, che stringeva ancora la saponetta, «mettila giù e non prendere mai più nulla mentre stai giocando a palla con Cleo!» Whump! Whump!
La scimmia con la saponetta grugnì e sparì tra i cespugli; le altre la seguirono, non prima, però, di avere fatto un tentativo poco convinto di afferrare Cleo, che, sorprendentemente, era accanto al polpaccio sinistro di Delanna. La ragazza agitò di nuovo la scopa, che si limitò a tagliare l’aria. Le scimmie incendiarie erano sparite. Delanna gettò a terra la scopa e sollevò Cleo, iniziando a coccolarla. Lo scarabeo teneva stretta l’altra saponetta, che era più o meno delle dimensioni e della forma di un uovo d’oca. «Quei cattivoni dei tuoi amici mi hanno spaventata a morte. Guarda qui: ti sei rotta un’altra scaglia,» la rimproverò in tono distratto, mentre nel corpo le scorreva ancora l’adrenalina del pericolo corso da Cleo. Respirò a fondo, si sentì meglio e infine si ricordò di cercare Jay.
Lui la stava raggiungendo dal centro della polla. «Quelle scimmie incendiarie sono troppo audaci,» commentò in tono leggermente nervoso.
Le unghie di Cleo ormai erano coperte di sapone. Lo assaggiò e non trovandolo di proprio gusto se le pulì sui capelli di Delanna. Delanna entrò di nuovo nella pozza, tentando di togliere la saponetta dalle unghie di Cleo mentre raggiungeva la parte in cui l’acqua le arrivava al petto. Riuscendo infine a togliere la saponetta dalle zampe di Cleo, la gettò di nuovo sulla cengia mentre lo scarabeo si puliva di nuovo le unghie sui suoi capelli.
«Dovrei andare a prendere il mio fucile,» commentò Jay. Aveva allungato un braccio verso Delanna, ma si fermò quando si rese conto che aveva Cleo tra le braccia.
«Sono solo i miei capelli,» spiegò lei. «Alle scimmie incendiarie piace il loro colore.» E adesso i suoi capelli erano striati da grumi di sapone sciolto. Lavò le unghie di Cleo e quando ebbe tolto tutta la terra dalla scaglie, fu sicura che lo scarabeo stava bene.
«Una banda di scimmie incendiarie così numerosa e così vicina alla casa potrebbe diventare pericolosa,» commentò Jay in tono irritato.
Delanna appese Cleo al collo, come se fosse un pendente, si tolse in fretta il sapone tra i capelli. «Questa volta è stata la tua saponetta rossa ad attrarre la loro attenzione,» spiegò a Jay.
«Ho dell’altro sapone,» replicò lui in tono ancora irritato. «Sonny sa bene che non dovrebbe farne rimanere in giro così tante.»
«A Sonny piacciono le scimmie incendiarie,» ribatté Delanna, piegandosi per lavare velocemente il sapone dai capelli, per poi scuoterli con una spruzzata che fece ammiccare Cleo; lo scarabeo si ritrasse il più possibile senza lasciare la presa.
«Quelle dannate creature sono davvero un grosso fastidio,» insistette Jay.
Delanna poteva percepire che Jay era scosso — a suo parere, stava reagendo in maniera eccessiva — e irritato perché ovviamente avrebbe voluto abbracciarla e assicurarsi che stesse bene, ma il disgusto che provava nei confronti di Cleo era tanto intenso da impedirglielo. Senza dubbio si rendeva conto che quella repulsione era sufficiente a separarli. Ma Delanna si rese conto che non era così, perché Jay rimase lì, come se stesse aspettando che lei mettesse giù Cleo, senza pensare che le zampe di Cleo non erano abbastanza lunghe per muoversi nell’acqua in quel punto.
«Vai in giro con una scopa in mano tutto il giorno?» le chiese.
«Questa faccenda è andata troppo oltre,» dichiarò Delanna. Respirò profondamente, sorpresa dal tono veemente di Jay, ma il peggio, ne era assolutamente certa, era che non sorgeva tanto dalle scimmie, quanto dalla paura di Jay per lei. «Ti avevo detto che la mia sorpresa non ti sarebbe piaciuta,» affermò, girandosi per tornare verso il bordo della pozza mentre raccoglieva tutto il suo coraggio per dirgli… cosa? Che le piacevano le scimmie incendiarie quando non la spaventavano a morte e che Sonny non avrebbe mai parlato di sparare loro, senza citare il fatto che Sonny avrebbe voluto sapere se anche Cleo stesse bene. Questo era quello che avrebbe voluto dirgli, ma come dirlo era un’altra faccenda.
«No, non mi piace incontrare una banda di scimmie incendiarie con nient’altro che una donna armata di scopa tra loro e me,» commentò Jay. Era dietro di lei, sembrava leggermente più calmo. «Ma non posso fare a meno di ammirare il modo in cui hai maneggiato la scopa.»
Diglielo ora, si disse severamente Delanna. Afferrò l’asciugamano e se lo avvolse intorno alla testa. Il pomeriggio era ancora abbastanza caldo per asciugarsi i capelli all’aria. «Jay…»
«Delanna!» Era Harry che stava gridando. «Delanna, c’è un solaris enorme accanto alla casa. Delanna!»
Jay era sulla cengia, facendo gocciolare acqua sulle rocce e scuotendo la testa con aria confusa. «Sapevo che non sarei dovuto andare a prendere il sapone.»
«Delanna!» Harry irruppe dai cespugli, diede una lunga occhiata alla pozza ed esclamò, «Wow! L’hai pulita. Salve, Mister Madog.» Passando tra di loro, Harry salì sulla cengia e poi entrò in acqua, bagnandosi i pantaloni fino alle ginocchia. «Ha un nuovo solaris, eh, Mister Madog?» E rivolto a Delanna, «Sonny dice che B.T. e Cadiz saranno qui tra pochi minuti e che tu dovresti venire a casa.» Si spruzzò un po’ d’acqua sul volto e la polvere formò rivoletti fangosi mentre usciva. «Abbiamo visto una banda di scimmie incendiarie… Oh, no!»
Delanna si girò di scatto, cercando a tentoni la scopa, ma non erano scimmie incendiarie. Era Wilkes, che, in una rara dimostrazione di velocità, si tuffò oltre di lei, afferrò con un braccio teso il fratello e lo trascinò nella parte più profonda della pozza. Wilkes tornò a galla come un tappo di sughero, afferrò Harry per i pantaloni e lo immerse su e giù nell’acqua, agitando il bambino come se fosse un panno da lavare fino a quando Harry non circondò con le braccia il collo di Wilkes e rifiutò di mollare la presa. Wilkes andò sotto, portando con sé il fratello e poi nuotò verso la bassa cengia, a una certa distanza dal punto in cui stavano Delanna e Jay. Quando Wilkes si alzò e uscì dalla pozza, Harry era ancora aggrappato a lui.
«Penso che dobbiamo andare,» commentò Harry, strofinandosi gli occhi con quello che adesso era un pugno pulito. «Andiamo, Delanna. Ehi, Mister Madog, dove ha preso il nuovo solaris? Come mai il boma è così grosso? Ha due batterie? Scommetto che Sonny rimarrà sorpreso che non deve portarmi a fare la doccia.»
Jay sospirò e Delanna scrollò le spalle mentre seguivano i ragazzi attraverso i cespugli verso la casa. Il continuo chiacchierio di Harry riempì la macchia.
Trovarono Sonny in cucina che riempiva d’acqua la grande pentola da venti litri. Era senza camicia, come Jay, la pelle di un rosso marrone, quasi altrettanto sporca di quella di Wilkes e di Harry prima del loro tuffo impetuoso nella sorgente termale, su cui Harry stava effondendosi, facendo a stento una pausa abbastanza lunga per permettere a Sonny e a Jay di salutarsi.
Dopo qualche minuto Sonny mise una mano sulla bocca di Harry e si sedette sulla sedia, annunciando, mentre lottava scherzosamente con il bambino in grembo, che quando aveva visto lo scooter di B.T. in lontananza aveva deciso di concedersi un pomeriggio di riposo e di preparare una cena sostanziosa, a cui invitò Jay a partecipare. Quando Jay ebbe accettato ben volentieri e lui e Sonny iniziarono a parlare delle dimensioni della vela del nuovo solaris di Jay, Delanna andò in camera da letto per mettersi una vestaglia sul vestito, ormai quasi asciutto, che stava indossando. Quando tornò in cucina, la fiamma era ancora accesa sotto la pentola e sul bancone c’era un sacco di frutti-di-sole, ma gli altri erano andati via. Un’occhiata fuori dalla finestra le rivelò che erano andati al solaris di Jay, probabilmente per prendere il suo baule. Delanna si affrettò a tornare in camera da letto. Con Jay già lì e Cadiz e B.T. che stavano arrivando e una cena abbondante già sul fornello, non avrebbe avuto la possibilità di rispondere alla chiamata di Maggie. Sorprendentemente, fu Maggie a chiamarla.
«Dove sei?» le chiese.
«In camera da letto,» rispose Delanna in tono sorpreso.
«Voglio dire, in che lanzye?»
«Milleflores, ovviamente.»
«Be’, è un vero sollievo. Quando non hai risposto alla mia chiamata, ho temuto che avessi gettato la spugna e fossi andata dai Flaherty ad aspettare Mad Dog. Per colpa delle macchie solari sono rimasti isolati per due giorni e quando non ho sentito più storielle sulla sposa novella, ho pensato che, proprio quando le cose sembravano mettersi bene, tu avessi rovinato tutto.»
«Rovinato cosa?»
«Ricordi quanto sia importante per te essere a Milleflores, vero?»
«Ma certo, l’obbligo di residenza.»
«Bene. Perché è qui.»
La radio emise un crepitio e una nuova voce si inserì nella conversazione. «Da quando hai iniziato a dare consigli alle spose novelle, Maggie?» Quella poteva essere solo Mrs. Siddons.
«Sara Siddons, quando si tratta di essere una sposa novella, sappiamo che tu hai più esperienza che certificati matrimoniali.»
«E cosa vorresti dire con questo?»
«Anche qui ci sono state delle macchie solari,» intervenne Delanna, «e non ci sono altre storielle da raccontare sulla sposa novella, a meno che non consideriate una storiella rimanere sotto la doccia fino a quando l’acqua calda non finisce.»
«O almeno nessuna che possa essere trasmessa via radio!» esclamò qualcuno con una risata fragorosa. Non era Miz Siddons.
«Senti, tesoro, questo non è un canale privato,» stava dicendo Maggie. «Le macchie solari hanno provocato molto traffico di emergenza, dunque le frequenze pubbliche dovranno andare bene fino a quando…» Vi fu una pausa, ma nessun crepitio che indicava un’interferenza. «Ecco! Ho una prenotazione sulla uno-zero-sette a una settimana da oggi. Nel frattempo, sta’ tranquilla, se capisci cosa voglio dire.»
«Non vado da nessuna parte.»
«Bene. Ah, sì: quel pazzo di Mad Dog ti sta portando il tuo baule.»
«È già qui.»
«In camera da letto?» Era di nuovo Mrs. Siddons.
«Sonny lo sta aiutando a scaricare il baule dal solaris,» aggiunse Delanna in tono disinvolto.
Qualcuno ridacchiò. Avrebbe potuto essere Maggie, che poi aggiunse, «Non ti interessa sapere come ha fatto ad averlo, vero?»
«Come mai, Maggie?»
«Diciamo che è meglio non saperlo. Però puoi incassare il rimborso della porzione di biglietto che non hai sfruttato. Dubito che i proprietari della Scoville si cureranno di citarti in tribunale, ma se lo fanno, puoi anche usare il credito fino a quando non se ne accorgeranno.»
«Forse sarà una somma sufficiente per comprare una nuova scavatrice,» affermò la voce di Nonno Maitz. «Sonny ne ha davvero bisogno.»
«Probabilmente la spenderà in una vasca da bagno,» intervenne una voce di donna, «e in bagni di sale!»
Delanna emise un gemito.
«Ora, per quanto riguarda le condizioni del baule,» stava dicendo Maggie. «Vuoi che intenti loro causa? Adesso ho io le lettere e Frank Fuller è in prigione, ma ho detto allo sceriffo di non iscriverlo nel registro degli accusati prima di avere parlato con te.»
«Quali lettere?»
«Quelle di cui hai raccontato a tutti alla stazione ferroviaria. È stata dura, ma adesso saremo noi a farci due risate a spese di Frank. Ha detto che pensava che fossero le lettere d’amore di Sonny e che sarebbero servite a farsi quattro risate nei bar, ma erano solo le lettere di tua madre. Penso di averle tutte. Il primo tizio a cui ne ha venduta una è andato a cercare Frank con uno storditore, urlando di essere stato imbrogliato. Penso che lo storditore sia stata una punizione più che sufficiente, ma se il baule è gravemente danneggiato, forse vorrai che faccia causa per ottenere un risarcimento. Mad Dog non ti ha raccontato nulla su questa faccenda?»
«Immagino che non ne abbia avuto la possibilità,» rispose Delanna, pensando, Perché credevo che stesse per dirmi qualcos’altro e dunque non glielo ho permesso. Jay Madog era un innocuo dongiovanni che da lei non voleva altro che una ricompensa in denaro per aver salvato il suo baule. Che sollievo!
Sentì la porta che sbatteva.
«Delanna? Dove sei? Sono io, Cadiz. Ti portato dei vestiti.»
«Qui dentro, Cadiz!» gridò Delanna. Poi disse rivolta a Maggie, «Adesso devo andare. È arrivata anche Cadiz.»
«B.T. non le ha ancora chiesto di sposarlo?» le chiese Mrs. Siddons.
«Questi non sono affari tuoi, vecchia gatta,» replicò Cadiz.
«Sembra che abbiate una casa piena di ospiti,» commentò Maggie. «Chiamami, okay tesoro?»
«Okay. Addio, Maggie. Addio, Mister Maitz. Grazie per avermi detto della scavatrice.» Posò il microfono.
«Come fai a sapere che abbiamo portato la scavatrice? È da ieri che siamo isolati per colpa delle macchie solari, ma papà ha detto che se fossimo tornati subito e avessimo portato Wilkes per aiutare B.T. a fare legna, avremmo potuto venire qui, lasciare la scavatrice e ripartire subito. Papà quest’anno ha deciso di scavare altri canali e, con B.T. che cerca luoghi adatti alla costruzione, Sonny deve essere rimasto molto indietro nel lavoro.»
«Ma B.T. non ti ha ancora proposto di sposarlo?» le chiese Delanna.
«In effetti, sì,» rispose Cadiz con un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. Si gettò sul letto. «Oh, quei ragazzi Tanner sono così carini!»
Lo sono davvero, pensò Delanna, pensando ai capelli neri di Sonny, al suo sorriso lento.
«Lo sapevo!» esclamò Cadiz, rizzandosi a sedere. «Lo sapevo che se foste rimasti insieme da soli sarebbe successo qualcosa. E allora, cos’ha fatto?»
«Nulla,» rispose Delanna, sorridendo nonostante tutto.
«Ma lui ti piace. E ti piace Milleflores.»
«Avevo dimenticato quanto fosse bello,» rispose semplicemente Delanna.
«Lo sapevo!» ripeté Cadiz. «Tieni.» Gettò un sacco verso Delanna. «Indossa questi. A Sonny piaceranno. Wilkes sta portando il resto.»
«Vuoi dire i miei vestiti?»
«No. Questi sono in prestito. Ho fatto mettere a Jay tutta la roba del tuo baule nella sua lavatrice. Erano pieni di grasso e di sporco, visto che Frank Fuller ci ha frugato dentro. Quell’uomo non ha un grammo di cervello.»
«Vuoi dire Frank Fuller?»
«No, voglio dire Jay Madog. Spero solo che le macchie non abbiano avuto il tempo di diventare permanenti. Se avesse un briciolo di cervello, avrebbe messo tutto nell’unità di lavaggio, mentre le macchie erano ancora recenti, invece di aspettare che avessero la possibilità di asciugarsi nel calore infernale delle Pianure di sale.»
Delanna aprì il sacco e ne tirò fuori un vestito. Un vero vestito, con una gonna aderente in tessuto morbido e con fiori malva e grigio-azzurri lungo l’orlo. C’era anche una sottoveste color malva e un paio di pantaloni grigi.
«È molto bello,» commentò Delanna. «Ma non ne avrai bisogno per il tuo matrimonio?»
«Manca ancora molto,» rispose Cadiz, girandosi pigramente sul letto. «Ancora non siamo neppure fidanzati.»
«Ma pensavo che ti avesse chiesto di sposarlo,» commentò Delanna, togliendosi il vestito della madre e infilandosi la sottoveste.
«Lo ha fatto. O sono stata io a chiederglielo. Be’, diciamo che ce lo siamo chiesti a vicenda. Ma questo non significa che siamo fidanzati. Dobbiamo ancora concludere tutte le trattative.»
«Quali trattative?» Delanna indossò il vestito.
«Ricordi le leggi matrimoniali di Keramos, le stesse per cui ti sei ritrovata con Sonny? B.T. e io non eravamo promessi in matrimonio, così dobbiamo stabilire quello che ciascuno di noi porterà in dote. Mio padre deve darmi una parte del nostro lanzye, e anche B.T. deve portare delle proprietà, e poi c’è da stilare il testamento. Saremo fortunati se riusciremo a fidanzarci per il raccolto. Vorrei essere stata promessa in matrimonio, come te.»
Delanna ignorò quel commento. Invece si guardò nello specchio, si aggiustò la sottoveste. «È davvero un bel vestito,» commentò. «Sei sicura di volermelo prestare?»
«B.T. mi ha già chiesto di sposarlo. Sei tu quella che ha un uomo su cui fare colpo.»
Qualcuno bussò alla porta. «La cena è quasi pronta,» annunciò Sonny.
Delanna aprì la porta. I pantaloni di Sonny erano ancora sporchi di terra, ma si era lavato e aveva indossato una camicia pulita. La fissò. «C’è qualcosa che non va?» gli chiese Delanna.
«No. È solo che sembri…»
«Bellissima,» terminò Jay, avanzando dalle spalle di Sonny per prendere la mano di Delanna e accompagnarla in cucina. «Mi dispiace per il baule, ma dubito che qualsiasi abito tu abbia lì dentro possa essere più grazioso di questo. Non è uno spettacolo magnifico, B.T.?»
B.T. stava versando i frutti-di-sole nella pentola. Sorrise ma non disse nulla.
Cadiz passò davanti a Delanna, prese una pila di piatti dalle mani di Wilkes e iniziò ad apparecchiare. Lo sguardo di B.T. la seguì tanto in fretta che Delanna fu quasi sicura che il sorriso di prima era rivolto a Cadiz.
«Dov’è Cleo?» chiese Harry, infilando dentro la testa in modo da poter guardare in camera da letto.
«L’ho lasciata sul bancone,» rispose Delanna.
«Probabilmente è riuscita a sgattaiolare fuori con tutto questo andirivieni,» ipotizzò Sonny.
«La troverò,» gridò Harry mentre si lanciava verso la porta.
«Dove tieni il sale, Delanna?» chiese B.T., guardando in una scansia che lei aveva riordinato solo pochi giorni prima. «Oppure ti serve solo per infilarci il dito?»
«Vedo che Cadiz si è divertita a raccontare qualche storiella su un bagno nel sale,» commentò Delanna, allontanandosi da Jay per andare a trovare il sale per B.T.
Harry irruppe di nuovo in casa. «Venite a vedere!» gridò. «Lì fuori c’è un mandarino reale.» E la porta sbatté prima ancora che Wilkes potesse oltrepassarla e sbatté di nuovo prima che B.T. riuscisse a bloccarla. Il resto degli adulti non sbatté la porta, ma si affollarono sul portico di pietra appena in tempo per vedere un lampo verde e viola svanire tra il denso fogliame.
«Te l’avevo detto che ne avevo visto uno a Milleflores,» commentò B.T. rivolto a Sonny.
«Stava trascinando un’ala,» intervenne Harry in tono serio, «come se fosse ferito.»
«Gli uccelli si comportano così per fare allontanare dal nido eventuali predatori,» spiegò B.T. in tono eccitato. «Non pensate che qui intorno ci sia un nido di mandarini reali, vero?»
«Io scommetto che c’è!» esclamò Harry, poi si lanciò tra i cespugli.
«Sarà meglio che vada a dare un’occhiata,» dichiarò B.T., seguendo il fratello più piccolo.
«Vengo anch’io con te,» si offrì Cadiz e lei e Wilkes seguirono B.T. e Harry.
«Trovate anche Cleo!» gridò dietro di loro Delanna.
«Non troveranno nulla con tutto il baccano che fanno,» commentò Sonny, proteggendosi gli occhi con la mano contro il sole del pomeriggio. Stava osservando una sottile linea di nuvole profilate contro le montagne che sorgevano a est. «Quali sono i dati sul satellite riguardo a quelle nuvole, Jay?»
«È solo un acquazzone, Sonny,» rispose Jay in tono disinvolto. «Le vere piogge sono ancora sui versanti orientali: la pressione non è abbastanza alta per fare loro attraversare la catena. Il varco meridionale è ancora sgombro. Se le previsioni sono giuste, lo rimarrà fino al raccolto. Per il momento non avremo nessun temporale di cui valga la pena parlare.»
«Be’, io mi fido solo di quello che riescono a vedere i miei occhi,» commentò Sonny.
Jay sorrise. «Qui nei lanzye si fa una vita terribile: prima ci si preoccupa della pioggia, poi della sua mancanza.»
«Le bucce delle palle di cannone sono così dure e i piccioli così resistenti che non avrei creduto che un po’ di pioggia potesse danneggiarli,» commentò Delanna. «Iniziano a marcire, o qualcosa del genere?»
«Non sono le palle di cannone a preoccuparmi,» le spiegò Sonny. «Una volta che i boccioli siano fioriti, ben poco può danneggiarli. Sono le coltivazioni da giardino e le infiltrazioni che mi preoccupano. Ho un altro frutteto da scavare prima di poter scavare i canali dei campi.»
E per farlo non hai nient’altro che una scavatrice presa in prestito per cinque giorni, pensò Delanna. Il che le fece ricordare del suo rimborso menzionatogli da Maggie. «Jay, non ho ricevuto un rimborso da parte della Scoville?»
«Non secondo loro. Dicono che hai abbandonato la tua cuccetta, ma quando si sono resi conto che stavano per alienarsi il loro cliente più importante su Keramos, le Carovane della Prateria Mad Dog, ero certo che mi avrebbero permesso di scaricare sulla mia ultima fattura quella che pensavo fosse la giusta somma.»
«E l’hanno pagata?» chiese Delanna.
«Be’, il pagamento è soggetto all’autorizzazione del loro contabile capo, che probabilmente non otterranno, ma la notizia arriverà troppo tardi per farli scarpinare fino all’altra parte del pianeta per farsi restituire la somma dopo che te l’avrò già versata.»
«Delanna, se fossi in te, io la prenderei finché è possibile,» consigliò Sonny, «cioè, se è rimasto qualcosa dopo che Jay ne ha detratto le spese di trasporto.»
Jay rivolse a Delanna un sorriso galante. «La signora deciderà se si tratta di una somma appropriata oppure no.»
«Di qualsiasi somma si tratti, Jay, ti sarò grato se vorrai riscuoterla in contanti,» replicò Sonny in tono cupo, «e non in servizi, come, per esempio, un’altra lezione di quel tuo programma o qualsiasi altra scusa ti farai venire in mente per portare Delanna nel tuo solaris.»
«Sono le signore a inventarsi delle scuse,» ribatté Jay con un sorrisetto di superiorità.
«Oh, allora sentiamo quella che avete usato tu e Amanda Rhathborn quando suo padre tornò a casa in anticipo perché i pesci non ne volevano sapere di abboccare all’amo.» Era Cadiz, che aveva svoltato oltre l’angolo della casa con Cleo in una mano e una pomarancia matura nell’altra. Salì sui gradini e tese Cleo verso Delanna. «Qualcuno andrà a controllare l’acqua che bolle? Oppure per cena avremo poltiglia di frutti-di-sole?»
Sonny si precipitò in cucina.
«Ho preso il tuo scarafaggio mentre era diretto verso i boschi,» annunciò Cadiz. «Adesso B.T. si è convinto che il mandarino gironzola da queste parti. Cleo l’aveva visto prima che la sorprendessi, e così adesso sta frugando nella macchia. La campana del pranzo è l’unica cosa che penso possa impedire a B.T. di mettere a soqquadro l’intero bosco.» Diede un morso alla pomarancia.
«Allora vediamo cosa possiamo fare per aiutare Sonny ad affrettare la cena,» commentò Delanna, aprendo la porta e tenendola aperta per Jay e Cadiz.
«Ehi, ma questi sono maturi!» esclamò Cadiz, pulendosi il succo di pomarancia rosa dall’angolo della bocca con il dorso della mano.
«Hai detto di mettere a seccare prima le ciliegie di terra,» le ricordò Delanna.
Cadiz annuì. «Volevo solo dire che possiamo farne qualcuno a dadini. Le pomarance sono ottime, quando vengono servite con i frutti-di-sole.»
«Ce n’è un cesto pieno sul bancone,» la informò Delanna. «Inizia ad affettarle. Jay, perché non vai in ghiacciaia a prendermi un sacco di ciliegie di terra? Penso che, sbriciolando qualche cracker di grano, posso preparare una bella crostata in pochi minuti.» Poi, rivolgendosi a Sonny, chiese, «Ti sei ricordato del sale?»
Lui le rivolse un’occhiata del tipo «Ma certo!» e prese la saliera dal bancone dove l’aveva lasciata Delanna. Jay sollevò la botola sul pavimento della cucina e sparì lungo la scala che conduceva alla ghiacciaia.
Adesso la fiamma sotto la pentola si era ridotta a piccole perline azzurre e i frutti-di-sole, cuocendo, stavano diventando gialli. In un paio di minuti sarebbero diventati color zafferano e sarebbero stati pronti da mangiare, dunque non c’era abbastanza tempo per sbriciolare i cracker di grano. Allora Delanna stese in fretta uno strato di cracker sul fondo di una teglia.
«Sarà meglio che chiami i ragazzi,» affermò Sonny, «oppure questi frutti-di-sole diventeranno arancioni e inizieranno a disfarsi.»
Jay salì di nuovo in cucina e lasciò che la botola si richiudesse con un tonfo.
«Hai altre pomarance qui dentro?» chiese Cadiz. «Alcune sono già troppo mature, vanno bene solo per le torte.»
«Ce ne sono un sacco nel portico sul retro,» rispose Delanna, tentando di guidare con le mani la caduta delle ciliegie di terra nella teglia mentre Jay teneva inclinato il sacco. «E ho bisogno che tu, prima di andare via, mi dica cosa farne. Penso che molte pomarance siano mature, ma non so se dovrei bollirle, oppure gettarle nella ghiacciaia o qualsiasi cosa bisogna fare.»
«Mettile in dei sacchi e appendili ai ganci che troverai in soffitta,» le spiegò Cadiz. «Assicurati soltanto…» Il rintocco della campana che annunciava il pranzo sommerse le sue parole e Cadiz sparì.
«Cosa ha detto?» chiese Delanna a Jay mentre disponeva nella teglia un altro strato di cracker. Si girò per prendere un po’ di zucchero dal barattolo.
«Ha detto di lasciare perdere le pomarance e di tornare a Grassedge con me,» replicò Jay.
«Ma allora come farebbero Sonny e i ragazzi a superare l’inverno?» gli chiese Delanna in tono leggero. «Senza le pomarance, voglio dire.»
«Non penso che ti riferissi alle pomarance,» replicò Jay. «Pensavo che la vita rustica che si conduce qui ormai ti avesse ridotto alla disperazione e devo dirti che per me è una grossa delusione scoprire che non sia così. Pensavo che ti avrei trovata più che disposta a mollare tutto.»
«Be’, ma allora mi hai giudicato male, vero?» Delanna sollevò la crostata dal bancone.
«Non lo so,» replicò Jay, infilando un dito nella crostata e mettendoselo in bocca. «Sei qui da poco tempo. Potresti cambiare idea, quando arriveranno le piogge. O quando sarai rimasta per due settimane immersa fino ai gomiti nel succo delle pomarance.»
«Ne dubito,» ribatté Delanna, infilando la crostata nel forno. Andò alla credenza.
Lui le bloccò la strada. «Quello che so,» proseguì, «è che se cambi idea, tutto quello che devi fare è dire una sola parola e io verrò a prenderti. Da Last Chance, o da Grassedge, oppure da qualsiasi luogo in cui mi trovi. Puoi chiamarmi via radio, dirmi che vuoi che venga e io volerò attraverso le Pianure di sale.»
«Se non sei impegnato con Amanda Rhathborn.»
«Sono solo pettegolezzi da radio,» replicò Jay, protendendosi, come per caso, verso di lei. «Non ho guardato un’altra donna da quel giorno allo spazioporto. Non ho voluto. Da quando ti ho incontrato… Formeremmo una squadra magnifica. Utilizzando il tuo programma per interpretare i dati dei satelliti, potremmo condurre le carovane attraverso le Pianure di sale a tempo di record; potremmo perfino aprire nuove strade e non ci sarebbe alcun motivo per passare del tempo da un lato o dall’altro delle Pianure di sale. Non quando avrei continuamente con me ciò che voglio. Dico sul serio. Dì soltanto una parola e, ovunque io sia, sarò a Milleflores prima che tu possa preparare quel tuo baule.»
«E la faccenda diventerà un pettegolezzo da radio prima che tu possa mettere in moto il tuo solaris,» replicò Delanna, tentando di riportare la conversazione su un tono scherzoso. «Mah, chiamarti via radio! Sono sicura che a Sara Siddons piacerebbe un sacco ascoltare una conservazione del genere. Senza citare Amanda Rhathborn. E le gemelle Spellegny.»
Jay la stava costringendo ad arretrare verso la dispensa. Delanna rivolse un’occhiata alla porta, desiderando che Cadiz si sbrigasse a tornare.
«Potremmo usare una frase in codice,» propose Jay. «Potresti dire che hai finito di configurare il programma. Tutti quelli che ascoltano la radio sanno quanto tu sia brava a configurare il programma di lettura. Tu invia il messaggio, ‘Delanna ha bisogno di Madog per venire a prendere il programma,’ e io capirò cosa significa. Invialo a qualsiasi ora, in qualsiasi posto e io verrò tanto in fretta che…»
«Puoi riempire quei sacchi un po’ di più prima di appenderli,» commentò Cadiz, tornando in cucina con le braccia cariche di pomarance, che scaricò sul bancone.
Delanna si chinò sotto il braccio di Jay e iniziò a scegliere i frutti.
«L’idea è di preparare un dolce alle pomarance quando saranno diventate secche,» spiegò Cadiz, «da tagliare a fette quando ne hai bisogno.»
«Ma allora non devo lavarle?»
«Ma certo che devi lavarle!» esclamò Cadiz, poi, rivolgendo un’occhiata sdegnosa ai frutti che aveva scaricato sul bancone, li fece rotolare fino al lavandino e iniziò a pompare acqua su di essi. «Ma fa’ un favore a tutti: usa acqua fresca, non salata.»
«Ho già messo il sale,» intervenne Sonny, che era entrato dalla porta.
Delanna diede un’occhiata alla pentola e vide le prime macchie arancioni. «Prendi lo scolapasta grande,» ordinò, afferrando le impugnature della pentola con degli stracci che usava per i piatti. Sonny frugò nella scansia fino a quando non trovò lo scolapasta, ma non riuscì a metterlo nel lavandino fino a quando Cadiz non ebbe finito di prendere tutte le pomarance.
Alcuni dei frutti-di-sole si erano aperti: la loro polpa, dal sapore forte, aveva assunto una sfumatura arancione cupa, ma era ancora solida; solo la pellicina spugnosa si era sciolta. Il profumo era celestiale.
Harry, Wilkes e B.T. entrarono e si misero in fila per lavarsi le mani. «Ne abbiamo visti due,» annunciò in tono eccitato Harry.
«Una coppia che ha nidificato?» chiese Cadiz.
«Forse,» rispose B.T. «Stavo pensando che dovremmo chiamare Doc Lyle.»
«Doc Lyle?» chiese Delanna in tono ansioso. «Il veterinario? Non dovreste prima assicurarvi che si tratti di una coppia che ha fatto il nido?»
«A lui basterà sapere che ne abbiamo visti due,» le spiegò B.T. «È probabile che venga qui per vederli di persona, tanto va pazzo per quelle stupide creature.» Si avvicinò alla radio.
«Non…» fece Delanna.
Sonny la interruppe. «È inutile tentare di chiamare Doc Lyle. Le macchie solari sono state attive tutto il giorno. E Doc è impegnato nel contenere un’epidemia di virus rosso scoppiata a sud. E poi, non vorrai mica che si ecciti per un coppia che ha nidificato, se prima non ne siamo assolutamente sicuri.»
«Hai ragione,» si arrese B.T. e tornò al lavandino. Delanna inviò a Sonny un’occhiata di silenzioso ringraziamento.
«Scommetto che hanno fatto il nido accanto alla fonte,» ipotizzò B.T. «Ho una mezza idea di rimanere e di andare a vedere di nuovo domani mattina.»
«Sarà meglio che vinca l’altra metà,» lo ammonì Cadiz. «Sai che devo tornare per aiutare mamma con le conserve. E papà conta su di te e su Wilkes per abbattere quel filare di alberi, in modo che i tronchi possano essere messi nell’essiccatoio prima delle piogge.»
«Potrei aiutare a trascinare i rami,» propose Harry mentre Wilkes pompava l’acqua sulle mani sporche del fratello. Le pomarance erano al sicuro in una ciotola insieme a un paio di coltelli da frutta e i frutti-di-sole erano sul tavolo. «Hanno poko da sella e altalene. Non vedo perché io non posso andare, se anche Wilkes va con loro.»
«Perché tu devi prenderti cura delle oche,» gli ricordò Sonny.
«Ed è già un problema che io porti con me Wilkes,» incalzò B.T.
«Non voglio che tu, o chiunque altro, carichi i tronchi da solo,» gli disse Sonny. «Avermi portato la scavatrice mi permetterà di scavare molti più canali di quanti avremmo potuto scavarne io e Wilkes a mano.»
«Hanno un poko da sella proprio della mia taglia,» affermò Harry in tono triste.
«Te l’ho detto: devi prenderti cura delle oche,» ripeté Sonny.
«Posso farlo io,» si offrì Delanna, chiedendosi perché non avevano pensato di chiederlo a lei quando avevano discusso i loro piani per la prima volta. Ovviamente per i ragazzi andare dai Flaherty era una vera festa.
«Be’, immagino che se ne ospito uno, posso ospitare anche l’altro,» affermò Cadiz.
«Sei sicura?» le chiese Delanna, pensando, troppo tardi, che l’ultima cosa di cui avesse bisogno Cadiz era di avere un’altra persona tra i piedi. Con i ragazzi nel ranch dei Flaherty, lei e B.T. non avrebbero mai avuto il tempo di discutere sulle trattative per il matrimonio.
«Non preoccuparti,» la rassicurò Cadiz.
Harry stava implorando Sonny di lasciarlo andare e Sonny rifletté a voce alta che pensava che si poteva fare, se a Delanna non dispiaceva occuparsi delle oche. Harry esplose in un urlo di gioia.
«Adesso mangiamo,» li invitò Delanna.
Harry divorò la sua porzione in un lampo, ma tutti gli altri gustarono i saporiti frutti-di-sole, tagliando a dadini le pomarance su ciascuna porzione e parlando di raccolti, poi Harry chiese il permesso di allontanarsi da tavola per andare a preparare i bagagli. B.T. stava dicendo che quell’anno i raccolti sarebbero stati scarsi dappertutto su quel versante delle Pianure di sale tranne quella zona, dove il valico tra i monti aveva lasciato passare venti caldi quando l’ultima gelata aveva distrutto tanti boccioli.
«Qui il tempo è stato buono tutto l’anno,» commentò. «Spero che regga fino al raccolto.»
«Raccontatemi qualcosa del raccolto,» intervenne Delanna. «Non ricordo molto, solo che c’era un mucchio di cibo.»
«Gelato di palle di cannone,» esclamò Harry, che era tornato con il suo zaino, «e torta di pomarance e corse e fuochi artificiali.»
«Tutto questo succede dopo il raccolto,» spiegò Sonny. «Tutti i lanzye qui intorno vengono a dare una mano e dopo si fa una grande festa.»
«E ciliegie d’autunno,» aggiunse Harry.
Tutti risero.
«Mi sembra di ricordare che qualcuno si sposò,» affermò Delanna. «Sotto un grande arco di fiori. O è il ricordo di qualcun altro?»
«Ma certo che durante la festa del raccolto vengono celebrati dei matrimoni,» commentò Jay, rivolgendo a Delanna un’occhiata eloquente.
«Oltre ai fidanzamenti e ai battesimi,» aggiunse Sonny. «Durante il periodo del raccolto, il giudice itinerante è costretto a spostarsi continuamente.»
«E ci sono i balli nel frutteto sotto le due lune,» intervenne Jay, fissando di nuovo Delanna.
«E la crostata ai semi porcini,» ricordò Harry.
«La crostata!» esclamò Delanna, poi si alzò per andare a controllare il forno: gli orli del dolce stavano diventando troppo scuri. «Avrà bisogno di raffreddarsi un minuto.»
«Bene, allora abbiamo il tempo di andare al mio solaris per prendere i tuoi vestiti dall’unità di lavaggio,» affermò Jay.
«Io verrò con voi e trasferirò le mie cose dallo scooter al solaris,» disse Cadiz, proprio mentre Sonny iniziava ad aggrottare la fronte. «B.T. potrà darmi una mano.»
B.T. sembrò sorpreso. «Ma c’è solo il cestino da picnic.»
«Devi cercare i miei occhiali da sole. Li ho fatti cadere in quel buco nero che tu chiami sacca. Io aiuterò Delanna a piegare i vestiti.»
«Immagino che potrei rimanere anche qui a osservare la crostata che si raffredda,» commentò Jay, tentando di celare la propria irritazione.
«Probabilmente è così,» approvò Cadiz in tono allegro.
«Solo che c’è la faccenda del mio rimborso,» affermò Delanna. «Dov’è?»
«Nel solaris,» rispose Jay, alzandosi dopo tutto. «Non riuscirete a trovarlo senza il mio aiuto.»
«Come mai, Jay?» gli chiese Cadiz. «Lo hai nascosto sotto il cuscino?»
«No, Cadiz. Hai una mente molto sospettosa, lo sai?» Jay e B.T. si avviarono verso la porta, mentre Cadiz li tallonava da vicino, chiedendosi a voce alta in quale altro posto potesse essere il rimborso.
«Io preparerò il cava,» affermò Sonny quando Delanna gli rivolse un’occhiata interrogativa. Sembrava tanto divertito quanto compiaciuto. «Tu va’ pure con loro.»
La tessera di credito con il rimborso era in una cassaforte a scomparsa, cosa che deluse Cadiz a tal punto che andò all’unità di lavaggio senza fare alcun commento e iniziò a piegare i vestiti.
E quando Delanna guardò la tessera, anche lei per un attimo rimase senza parole. «Non capisco,» affermò infine. «Questa non può essere la cifra esatta.»
«Le spese di trasporto di Jay possono essere una vera mazzata,» commentò Cadiz, «in molti sensi. Ehi, posso prendere in prestito questa?» Sollevò una gonna gialla ricamata a fiori rossi.
«Certo. Trova la camicetta dello stesso colore e prendi anche quella,» rispose Delanna, fissando ancora la tessera. «Ma, Jay, non capisco questa tessera.»
«Diciamo che penso che tutti debbano avere delle opzioni e che questa tessera te ne dà una che non avevi,» rispose lui, camminando sul folto tappeto mentre si dirigeva verso la porta. Si fermò sulla soglia per un istante, stringendo il corrimano luccicante. «Quando tornerò, in tempo per il raccolto, avrò un’altra opzione per te.»
La porta sbatté e Jay andò via, lasciando Delanna che fissava ancora la tessera di rimborso.
«Quanto ti ha fatto pagare?» le chiese Cadiz. Aveva già sistemato i vestiti in una pila ordinata, la cui metà superiore spinse tra le mani di Delanna. Sollevando l’altra metà, con un gesto invitò Delanna ad avviarsi verso la porta. «Vuoi dirmelo o no?»
«Nulla,» replicò Delanna, tenendo in precario equilibrio la pila di vestiti mentre faceva scivolare in tasca la tessera e poi apriva la porta. «La tessera contiene l’intera somma che ho pagato per comprare il biglietto, invece della porzione che non ho sfruttato. Non mi ha fatto pagare nulla.»
Maggie aveva detto che poteva accettare il rimborso. Era stata al corrente della sua entità? Delanna immaginava che, se Jay non voleva farle pagare la sua quota, non doveva sentirsi obbligata in alcun modo nei suoi confronti, ma come aveva fatto a ottenere dalla Scoville il rimborso dell’intera somma del biglietto, se Delanna ne aveva sfruttato una parte viaggiando da Rebe Primo a Keramos? Jay doveva essere ricorso ai propri fondi, e se l’aveva fatto, si era spinto ben oltre la sistemazione amichevole che Delanna si era aspettata.
«Sei incredibilmente silenziosa, anche per una come te,» commentò Cadiz mentre camminavano attraverso gli arbusti riarsi dal sole che si aprivano al loro passaggio. Il sole era una palla d’oro che splendeva sull’orizzonte e la polvere luccicava sul fogliame. «Non starai pensando di mollare tutto e di comprare un altro biglietto per Carthage o per qualche altro posto, vero? Voglio dire, con un rimborso totale potresti vivere per qualche tempo quasi dappertutto.»
«Oppure basterebbe per comprare un’altra scavatrice,» rifletté Delanna.
«Dici sul serio? Spenderesti quei soldi per una scavatrice? Ma sarebbe fantastico! Voglio dire, B.T. è così preoccupato di lasciare Sonny nei guai, visto che non ha nessuno che gli dia una mano, e poi ha tutte queste idee su lui e Sonny che mettono su una società, ma non riesce mai a parlarne con Sonny perché non sa cosa succederà a Milleflores se tu te ne vai, o la tua parte viene venduta, e non vuole che papà mi dia una dote superiore alla sua. Ma se Sonny avesse una scavatrice, potrebbero piantare il frutteto all’estremità settentrionale del lanzye e papà potrebbe darci il prato adiacente per costruirci una casa e potremmo finire le trattative prima del raccolto.»
Harry e Wilkes arrivarono di corsa da dietro la casa, Wilkes reggeva Cleo e Harry camminava con lo zaino pieno di vestiti sotto il braccio, con un calzino che penzolava dalla cinghia dove si era impigliato. In silenzio, Wilkes passò Cleo a Delanna.
«L’abbiamo scoperta mentre tentava di andare di nuovo nel bosco,» spiegò Harry. «Ho già messo le oche nel pollaio per la notte e Wilkes si è anche ricordato di dare loro da mangiare.»
«Il cava e la crostata sono sul tavolo,» annunciò B.T. dal portico di pietra. «Wilkes, hai controllato che Harry abbia preso tutte e due le scarpe?»
«Ci sono tutte e due!» gridò Harry. «Andiamo, Wilkes. Crostata!» Entrambi i ragazzi si precipitarono in casa.
«Wilkes è così silenzioso,» commentò Delanna, spostando Cleo in modo che potesse aggrapparsi al collo, permettendole di reggere la pila di indumenti con entrambe le mani. «Harry parla continuamente, risponde perfino al posto di Wilkes.»
«Sì, Harry sa come usare la bocca,» convenne Cadiz, «e Wilkes è come Sonny: è tanto tranquillo che non riesce neppure a dire una parola.»
«Però Sonny parla,» replicò Delanna. «Ma non penso di avere mai sentito Wilkes dire una sola parola. Sa parlare, vero?»
«Ma certo che sa parlare!» esclamò Cadiz. «È solo timido.» Aggrottò la fronte. «Ora che ci penso…» Salì di corsa i gradini e superò la porta che B.T. stava ancora tenendo aperta. «Sonny, Wilkes sa parlare, non è vero?»
Qualsiasi fosse la risposta di Sonny, Delanna non la udì perché la porta si chiuse con un colpo secco, e quando arrivò al tavolo, Jay e B.T. era impegnati in una discussione animata sui vantaggi di trapiantare gli alberelli di palle di cannone all’inizio dell’autunno oppure in un qualsiasi altro periodo.
La crostata era stata consumata e la cavettiera prosciugata, ma quando Jay sembrò essere l’unico che beveva i fondi, Cadiz sparecchiò la sua tazza insieme con i piatti sporchi di crostata, poi organizzò i ragazzi e li guidò verso la porta.
«Vieni, B.T.,» chiamò. «E vieni pure tu, Jay. Abbiamo molta strada da fare. Torneremo tra qualche giorno a prendere la scavatrice,» disse a Delanna. «Se mamma non ha bisogno di me, rimarrò ad aiutarti con le pomarance. Harry, hai preso la giacca?»
Harry corse fuori a prenderla e B.T. indossò la sua.
«Sei sicuro di potertela cavare senza di me per qualche altro giorno?» chiese a Sonny.
«Solo una persona per volta può usare la scavatrice,» gli ricordò Sonny.
«Dovremo montare e mettere in funzionare quel nuovo distillatore,» proseguì B.T., ancora preoccupato.
«Ecco cosa c’era in quella cassa di Sakawa,» commentò Cadiz rivolta a Delanna. «B.T. dice che l’ambrosia di Milleflores si potrà vendere anche fuori del pianeta, se riusciranno a montare il distillatore per trasformare in ambrosia una parte del raccolto.»
«Possiamo farlo dopo avere finito di scavare,» commentò Sonny, uscendo con loro. «Hai sentito Jay. Abbiamo molto tempo prima che arrivino le piogge.»
«Ma adesso non è rimasta molta luce,» commentò Cadiz. «Voi due, datevi una mossa.» Poi spari oltre la porta.
B.T. e Sonny uscirono insieme. Jay bevve un sorso di cava da quella che Delanna avrebbe giurato fosse una tazza vuota, poi si alzò.
«Se cambi idea…»
«Andiamo,» lo esortò Cadiz dalla soglia. «Dai, sbrigati.»
«Vengo,» rispose Jay, fissando Delanna. «Quando vuoi.»
«Grazie per avermi portato il baule,» rispose Delanna. «E grazie per il rimborso.»
«Andiamo!» ripeté Cadiz per la terza volta.
«Verrò subito qui,» replicò Jay, continuando a fissare Delanna. «Dico sul serio. Quando vuoi.»
CAPITOLO QUINDICESIMO
Sonny passò i due giorni seguenti a scavare i canali dei frutteti. Delanna lo vide a stento. Tornava tardi per la cena, mangiava in fretta e poi usciva di nuovo. «Devo sfruttare tutta la luce che ho a disposizione,» spiegò a Delanna.
«Non posso aiutarti?» gli chiese la prima sera, quando Sonny si trascinò in casa stanco morto.
«No, è tutto okay,» rispose lui. «Solo una persona per volta può fare funzionare una scavatrice.»
«Ma ci deve pur essere qualcosa che io possa fare,» insistette Delanna e quasi aggiunse, Io non sono mia madre, io voglio lavorare.
«Occupati solo delle oche,» rispose Sonny, «e annota i rapporti del tempo.»
Delanna gli obbedì, anche se farlo la teneva impegnata la maggior parte della giornata e, tra un rapporto e l’altro, era costretta a sorbirsi una quantità incredibile di pettegolezzi. Il bambino di Mary Rees aveva un’infiammazione alla pelle. Il figlio di Neder Gustafson si era rovesciato con il solaris, slogandosi un braccio, Jay Madog stava tentando di rubare Cadiz Flaherty a B.T. Tanner.
«Più ciliegie di terra di quante ne entrino nei sacchi che abbiamo…»
«…l’unico compratore di raccolti onesto sul pianeta, o almeno così credevo fino a quando non mi ha offerto dei prezzi che sarebbero un insulto per un albero di palle di cannone rachitico con le bolle sulla corteccia.»
«Mel Flaherty sta facendo provvista di legname con i ragazzi Tanner…»
«Il barometro è sceso leggermente qui a Blue Rug, ma non ci sono nuvole di cui valga la pena di parlare. E come mai stanno facendo legna se Sonny non ha ancora finito di scavare?»
«…non pensi che abbia a che fare con l’avere usato noccioli di ciliegie di terra tritati come pacciame l’autunno scorso, vero?»
Mrs. Siddons commentò che il figlio di Neder Gustafson stava andando troppo veloce e che B.T. non avrebbe dovuto portare dei bambini a tagliare alberi, suggerì a Mary Rees di applicare amido di grano sull’infiammazione e diede a sua figlia una nuova ricetta per la torta alle pomarance che sua figlia doveva assolutamente provare.
Era impossibile rimanere seduti lì ad ascoltare per ore quel profluvio di chiacchiere. Delanna si lavò, mise nei sacchi le pomarance che Cadiz aveva portato in casa, attese che Mrs. Siddons iniziasse a dettare un’altra ricetta e poi corse fuori per raccogliere un altro secchio di frutti.
Mrs. Siddons stava ancora elencando gli ingredienti quando Delanna tornò dentro, così uscì di nuovo fuori e diede da mangiare alle oche, che stavano starnazzando per la fame.
Fu facile condurle nel recinto, dove Cleo, che ormai sapeva in quale punto fosse meglio aspettare, tentò di introdursi di soppiatto insieme a loro. Delanna riuscì ad afferrarla appena in tempo, solo per vedersela portare via da un paio di scimmie incendiarie, ma almeno questo servì a distrarre Cleo dalle oche e permise a Delanna di occuparsi delle pomarance.
Raccolse un altro secchio mentre Mrs. Siddons spiegava a sua figlia come preparare i pintuck e lavò e mise nei sacchi le pomarance sentendo una discussione su quanto caldo facesse. «Non ho mai visto i vestiti appesi asciugarsi più in fretta. Ho tolto il primo asciugamano non appena finito di stendere l’ultimo.»
Delanna attese qualche minuto, sperando che Mrs. Siddons facesse un rapporto sul tempo meno vago, poi andò fuori a cogliere altri frutti.
Si abituò a raccogliere un secchio di pomarance tra un rapporto e l’altro, portandolo in casa e mettendo i frutti immediatamente nei sacchi, il che le permetteva di dare un po’ di riposo alla schiena.
I rapporti sul tempo giungevano a intervalli irregolari e Delanna li annotava, anche se avrebbe potuto impararli a memoria. Erano tutti dello stesso tenore: tempo secco e caldo, e neppure un alito d’aria che si muovesse da qualche parte.
A mezzogiorno le scimmie incendiarie tornarono a irritarla, spiandola tra le piante di pomarance e facendola sussultare quando le toccavano i capelli. Cleo non si vedeva da nessuna parte. Dopo aver lavato e messo nei sacchi il decimo secchio di frutta, tornò in giardino portandosi dietro di nuovo la scopa, ma le scimmie incendiarie erano così insistenti che finalmente tornò in casa per immaginare come salire in soffitta per appendere i sacchi che aveva già riempito.
Trovò una botola nel soffitto della cucina e, in soffitta, alcuni ganci a cui attaccò i colli dei sacchi. Faceva un caldo tremendo e Delanna stava gocciolando di sudore prima di rendersi conto che, a un’estremità della soffitta, c’erano un ventilatore e alcuni cavi che seguì fino a un collettore solare. Vi inserì i cavi e il ventilatore iniziò a ruotare, rinfrescando un’aria resa quasi disgustosamente dolciastra dal profumo delle pomarance.
A metà del pomeriggio iniziò a fare troppo caldo per lavorare. Delanna andò a sedersi sul portico, ma neppure lì c’era un filo d’aria e i suoi capelli erano tanto pieni di succo di pomarancia e di farina che le mosche iniziarono a ronzarle immediatamente intorno.
Quegli insetti l’avrebbero mangiata viva, se non si fosse lavata, ma Delanna non aveva neppure la forza di mettere a riscaldare l’acqua per farsi una doccia. Si tolse i vestiti appiccicosi, indossò il costume, prese un asciugamano e la saponetta di Jay, controllò dove si trovasse Cleo — era ancora impegnata a guatare le oche — poi si avviò verso la sorgente.
Nel bosco faceva leggermente più fresco, ma neppure troppo, e non c’era alcun segno di vita, neppure una scimmia incendiaria in agguato. Si chiese dove fossero finite. In qualche posto fresco e all’ombra, probabilmente, oppure a loro piaceva quella temperatura?
Quando arrivò alla fonte, scoprì dove fossero andate le scimmie: tre di esse erano sedute nell’acqua fino al collo, perfettamente immobili. Non stavano dormendo, ma non si mossero neppure quando Delanna entrò nella sorgente.
Si lavò in fretta i capelli con il sapone, tenendo d’occhio le scimmie tutto il tempo, ma loro continuarono a rimanere immobili. Quando si fu avvolta un asciugamano intorno ai capelli e iniziò a tornare, loro erano ancora lì, sedute nell’acqua, immobili come statue.
Non si era neppure preoccupata di asciugarsi, ma Mrs. Siddons non aveva esagerato: quando Delanna entrò di nuovo in casa, il costume era già asciutto. Ma l’evaporazione dell’acqua l’aveva rinfrescata, almeno momentaneamente, così sfruttò quella sensazione di frescura per pulire la cucina e per iniziare a preparare la cena. Poi si cambiò con un vestito pulito che aveva preso dal baule, si sedette sul portico con i diari della madre e li lesse provando una sorta di perverso fascino. Doveva sapere fino a che punto si fosse spinta la madre, voleva scoprire se quello che temeva era vero: la madre aveva spogliato Milleflores per mandare lei a scuola.
Era perfino peggio di quanto avesse temuto. La madre aveva impedito che Sonny frequentasse la scuola dei lanzye, convincendolo che la scuola via radio era tutto quello di cui aveva bisogno, visto che, dopo avere pagato le rette della scuola di Delanna, non erano rimasti soldi sufficienti. Ed era vero. I libri contabili dimostravano che ogni centesimo ricavato dalla vendita dei raccolti era stato inviato a Delanna; i Tanner non avevano ricevuto nulla. Era riportata una complicata operazione contabile per ottenere, mediante baratto, gli alberelli necessari per piantare il frutteto settentrionale e una nota particolarmente agghiacciante: «Ho venduto la scavatrice a Emil Vanderson, in modo che Delanna possa avere il sedicesimo compleanno che merita.»
Ricordava quel compleanno. Aveva dato una festa per tutte le ragazze nel suo dormitorio e poi le aveva portate a fare un giro in tutta Gay Paree in K-cottero. E mentre lei sperperava allegramente il denaro in feste, sciocchezze e in uscite notturne non autorizzate, Sonny aveva dovuto lottare per fare andare avanti il lanzye con pochissimi soldi.
Mise il diario nel baule, desiderando di poterlo buttare via, poi andò a controllare la cena. Sonny entrò mentre stava apparecchiando, sembrando meno preoccupato di prima. «Oggi ho fatto molto,» affermò. «La scavatrice mi è stata davvero utile.» Ma non appena ebbe finito di mangiare, si alzò per uscire di nuovo. «Ho ancora molto da fare. Devo scavare i canali nel frutteto occidentale e tagliare alberelli da trapiantare nel frutteto settentrionale prima che arrivino le piogge.» Si avviò verso la porta.
Cleo lo avrebbe seguito, un bagliore luminoso su zampe sottili come bastoncini, ma che muovendosi rapidamente le avrebbero permesso di arrivare alla porta prima che si chiudesse, se Sonny non l’avesse sollevata da terra con una mano. Lei cinguettò sonoramente mentre Sonny la stringeva al petto.
«Che ragazza cattiva. Ma cosa ti è preso, visto che non fai altro che uscire di nascosto e sparire?» la rimproverò Delanna, tentando di toglierla dalle mani di Sonny. Le punte delle zampe di Cleo erano piantate nel tessuto della camicia di Sonny con tanta forza che dovettero faticare in due per staccarle.
«I tuoi capelli hanno un bel profumo,» affermò Sonny quando Cleo finalmente fu libera.
«È un sapone che ho preso da… dal baule di mia madre,» rispose Delanna, coccolando Cleo. «L’ho usato nella sorgente calda, questo pomeriggio.»
«La sorgente termale,» ripeté Sonny, massaggiandosi la spalla come se gli dolesse. «Sembra un’idea allettante.»
«Allora cosa stiamo aspettando?» esclamò Delanna. «In effetti ho di nuovo un costume. Anzi, ne ho due!»
Sonny scosse la testa. «È tardi e io devo aiutarti a pulire questi piatti.»
«Posso lavarli domani.»
«Si sta facendo buio.»
«Non per almeno un’altra mezzora.»
«Devo…»
«Scavare i canali del frutteto settentrionale, montare il distillatore e aggiustare il tetto prima dell’arrivo delle piogge. Be’, potrai farlo domani.»
Sonny rivolse un’occhiata alla finestra, osservando il cielo, poi guardò di nuovo Delanna e lei pensò che stesse per rifiutare. Poi sogghignò. «Andrò a prendere i miei pantaloncini e ci incontreremo alla sorgente. Chi arriva per ultimo è una palla di cannone scema.»
Uscì di corsa dalla porta e la chiuse tanto in fretta che Delanna non poté neppure gridargli, «Non lasciare uscire Cleo!» Le ci vollero altri cinque secondi per comprendere l’improvvisa allegria di Sonny e rendersi conto che sarebbe stata lei la palla di cannone scema.
Delanna lanciò un grido e corse in camera da letto. Poggiò Cleo su un cuscino, frugò nella pila di vestiti puliti, prese il costume dal baule e si cambiò il più in fretta possibile. Era già fuori della porta — era stata attenta solo a non lasciare uscire Cleo — e correva a perdifiato attraverso il giardino verso la fonte, quando si ricordò di non avere preso l’asciugamano e il sapone. Fece per tornare indietro, ma poi scorse Sonny che, proveniente dalla baracca, scendeva lungo il fianco della collina a rotta di collo. Capì che era più veloce, ma che lei aveva un vantaggio che le avrebbe permesso, se ce la metteva tutta, di arrivare prima di lui al boschetto e che, se riusciva a farlo mantenendosi sul sentiero, Sonny avrebbe avuto molte difficoltà per superarla.
Una volta uscita dal giardino, il terreno accidentato la costrinse a fare maggiore attenzione a dove metteva i piedi nudi, ma era ancora in vantaggio quando arrivò al sentiero che conduceva al boschetto. Sonny la raggiunse in fretta, ma non poteva superarla senza deviare dal sentiero, rischiando di mettere i piedi su qualche pietra o di andare a sbattere contro un cespuglio o qualche albero. Per il minuto che impiegarono per raggiungere verso la sorgente, Delanna fu sicura di avere vinto e stava già per gettare un grido di trionfo, ma non aveva immaginato che Sonny l’avrebbe superata nelle tre falcate che gli ci vollero per attraversare la radura fino alla riva. Si tuffò a testa in avanti dalle stesse rocce da cui Wilkes aveva trascinato in acqua Harry qualche giorno prima. Con uno strillo, Delanna lo imitò e affondò nell’acqua dal calore celestiale, con la testa e tutto.
Solo per sentirsi sollevare da due braccia muscolose.
«Stai bene?» le chiese Sonny, con le mani che le stringevano ancora le spalle.
«Ma certo!» rispose Delanna, scostando i capelli dalla fronte.
«Però sei arrivata ultima,» commentò Sonny e la gettò al centro della pozza.
Delanna riemerse ridendo.
«Stai bene?» le chiese di nuovo Sonny; questa volta sembrava preoccupato.
«Non certo per merito tuo.»
«Mi dispiace,» si scusò Sonny in tono contrito, nuotando verso di lei. «Ma non sembri ancora abbastanza bagnata.» Improvvisamente si tuffò, la afferrò per le caviglie e la trascinò sotto.
Delanna tornò su ansimando e tossendo. «Pensavo che ti facessero male le spalle,» commentò negli intervalli tra un colpo di tosse e un altro, «e, no, non sto bene. Mi sono bevuta metà della sorgente.»
«Non preoccuparti,» la tranquillizzò Sonny con una risata.»È solo acqua fresca, non sale.»
«Ooh!» gridò Delanna e batté i palmi della mani sull’acqua, spruzzandolo. «Ho sentito tante di quelle battute sull’acqua salata che mi basteranno per tutta la vita,» commentò Delanna, spruzzandolo a ogni parola.
Sonny sollevò le braccia per difendersi.
«E non voglio più sentirne da te!»
Sonny tentò di afferrarla, ma Delanna si tuffò lontano da lui e nuotò verso la spiaggia.
Sentì che Sonny la seguiva a nuoto, così eseguì una piroetta sott’acqua, cogliendolo di sorpresa, quando non aveva appoggio, poi lo tenne giù per un paio di secondi più del necessario, avvolgendogli le gambe e le braccia intorno al corpo. Quando finalmente Sonny si alzò nell’acqua, Delanna era aggrappata alla sua schiena come Harry aveva fatto con quella di Wilkes.
«Niente più battute sull’acqua salata?» gli chiese Delanna, stringendolo più forte.
«Niente più battute,» si arrese Sonny.
«Tregua?» gli offrì Delanna.
«Tregua,» accettò Sonny e lei lo lasciò andare.
«Quando sarai l’ultimo a tornare, ti sentirai come un sacco di palle di cannone,» scherzò lei, allontanandosi a nuoto con cautela.
Sonny non tentò di seguirla. Stava osservando il cielo, che era rosa pallido, e in cui stavano spuntando le prime stelle, ma Sonny non stava ammirando quegli astri. Stava guardando verso nord-est, verso le montagne Greatwall.
Delanna nuotò verso una delle rocce e vi si arrampicò. Sonny stava ancora fissando le montagne, anche se in quella direzione non c’era nulla di interessante da vedere, tranne una sottile linea di nuvole dorate e rosa. Delanna agitò pigramente i piedi nell’acqua, osservando il riflesso del cielo nella sorgente.
Sonny raggiunse a nuoto le rocce.
«Cerchi le nuvole che annunciano l’arrivo della pioggia?» gli chiese Delanna.
Lui scosse la testa, accigliandosi leggermente. «Le piogge non dovrebbero arrivare per un altro paio di settimane. Oggi hai sentito la radio?»
Delanna annuì.
«Che tempo faceva a Blue Rug?»
Blue Rug si trovava a nord est di Milleflores. «Secco e torrido,» rispose Delanna e quella risposta sembrò soddisfarlo fino a quando lei non aggiunse, «E il barometro era sceso leggermente.» Salì sulla roccia e si sedette accanto a lei, agitando i piedi nell’acqua e osservando il cielo, che aveva assunto una sfumatura di rosa più carico.
Dopo un minuto, Sonny le chiese, «E North Cutting?»
Delanna non era sicura di dove si trovasse quel lanzye, ma non importava. «Secco e torrido. Ogni lanzye ha riferito la stessa cosa.»
«Tutti hanno fatto rapporto? Nonostante le macchie solari?»
«Tutti tranne Hatton Creek,» riferì Delanna.
Sonny scosse la testa. «Quello è molto a sud di qui,» ma stava ancora osservando il fronte nuvoloso, che si era scurito fino ad assumere una sfumatura rosa venata di grigio.
«Sei preoccupato che le piogge arrivino prima del previsto?» gli chiese Delanna.
Sonny scosse la testa. «Quelle non sono nuvole stratiformi.»
Non disse che tipo di nuvole fossero e Delanna non glielo chiese. Rimasero seduti lì, dondolando i piedi nell’acqua e osservando la prima luna che sorgeva. Qualsiasi cosa lo avesse preoccupato, adesso Sonny sembrava più tranquillo. Si sporse sulle mani e osservò il resto delle stelle spuntare una alla volta. Iniziò a soffiare una lieve brezza, che fece frusciare le foglie e asciugò i capelli di Delanna. L’aria profumava di boccioli di fior-di-rosa e di qualcosa di debole e pungente.
«Mi piace qui,» dichiarò Delanna.
Sonny annuì, guardandosi intorno. «Non venivo qui da quando eravamo bambini.»
«Davvero? Ero convinta che venissi sempre qui dopo avere lavorato tutto il giorno. È così rilassante.»
«Gli alberi fanno cadere un mucchio di foglie e di rami,» rispose Sonny.
«Non ho impiegato molto tempo per ripulire la sorgente,» gli fece notare Delanna.
«È più rapido fare la doccia,» ribatté Sonny.
Delanna annuì. Dopo avere lavorato nei campi tutto il giorno, pulire la sorgente, anche se erano necessari solo pochi minuti, sarebbe stato un impegno di troppo.
«Anche nel giardino della mia scuola su Rebe Primo avevamo una sorgente,» gli rivelò Delanna. «Ma non era naturale come questa, era artificiale. E non aveva un profumo così bello, però di notte andavamo sempre a nuotare. In effetti, era proibito. Chiudevano i cancelli alle nove perché avremmo dovuto rimanere a studiare nelle nostre stanze. Ma qualche volta…» Gli raccontò di come percorrevano lo scalone di marmo in punta di piedi con i costumi da bagno e gli asciugamani, di come imbrogliavano la serratura del giardino usando una parola d’ordine che lei aveva sentito usare per caso da uno dei monaci.
«In seguito, una delle ragazze capì che la parola d’ordine dei giardini funzionava anche con la porta laterale che dava sulla strada. L’unico problema era che la porta non aveva sensori acustici all’esterno, e così non potevamo usarla per tornare dentro e dovevamo rimanere fuori fino al mattino, quando i monaci non aprivano di nuovo il cancello principale.»
Continuò a chiacchierare, raccontandogli dove erano state e cosa avevano fatto, ripetendogli la storia che si era inventata a beneficio del monaco, che non ci aveva creduto neppure per un nanosecondo.
Mentre Delanna parlava, Sonny rimase seduto accanto a lei, in silenzio, senza fare alcun commento o domanda, non ridendo neppure quando gli raccontò quello che aveva detto il monaco sulla loro scappatella durata tutta la notte; finalmente Delanna tacque.
«Qual è il problema?» le chiese Sonny. «Perché hai smesso?»
«Temevo di iniziare ad annoiarti.»
Sonny scosse la testa. «Mi piace molto starti ad ascoltare.»
«Non dovrei essere solo io a parlare,» replicò Delanna. «Dimmi com’è stato crescere qui a Milleflores.»
Sonny sembrò a disagio. «Non c’è molto da dire,» affermò, poi tacque di nuovo.
«Cosa facevate tu e B.T. per divertirvi?»
«Molto poco.»
Quei tentativo di fare parlare Sonny era fallito in partenza. Senza dubbio era stato molto diverso essere lì quel pomeriggio in compagnia di Jay, che non doveva mai essere incoraggiato a parlare. Che non doveva essere mai incoraggiato, punto e basta.
Ma era proprio per questo che era bello: era totalmente diverso dallo stare lì con Jay. Non sarebbe mai potuta stare seduta accanto a Jay in quel modo, dondolando i piedi nell’acqua e godendosi la notte. Sarebbe stata troppo impegnata a respingere i suoi complimenti e le sue avance.
Con Sonny non aveva bisogno di fare nulla del genere. Si sentiva al sicuro accanto a lui nella penombra e quasi felice che fosse così silenzioso. La brezza mormorava fresca sulle sue spalle bagnate e le creature notturne iniziarono a intonare i loro versi, che scivolarono sommessamente come musica sull’acqua, quasi come una ninnananna. Adesso la prima luna era sorta e Sonny e Delanna osservarono il suo riflesso creare cerchi argentei intorno alle dita dei loro piedi.
«Dimmi di più sulla tua scuola,» disse Sonny dopo molto tempo. «Era grande, vero?»
In effetti era stata relativamente piccola: aveva avuto solo duemila studenti. Ma quella cifra era superiore all’intera popolazione dei lanzye, per non parlare degli iscritti alla loro scuola, che aveva un solo insegnante. «Sì, era molto grande,» rispose Delanna.
«Invece io ho sempre creduto che fosse piccola,» replicò Sonny, «come quella di Grassedge, fino a quando Ser… tua madre non mi disse la verità.»
Delanna poteva immaginarlo. Aveva letto di quell’episodio nel diario di sua madre. «Ho letto la lettera di Delanna ai ragazzi dei Tanner. Ma perché lo faccio? Sonny ha chiesto quale fosse il nome del suo insegnante. Come se l’Abbazia fosse una comune scuola dei lanzye. Sono troppo ignoranti perfino per immaginare una vera scuola!
C’era davvero da stupirsi che Sonny fosse tanto silenzioso, rifletté Delanna, quando, per anni e anni, sua madre aveva criticato qualsiasi cosa dicesse, ridicolizzandolo e facendolo sentire stupido e ignorante? Rabbrividì.
«Hai freddo?» le chiese Sonny.
«Un po’,» rispose Delanna, strofinandosi le braccia. Stava calando l’oscurità e la brezza sulle sue spalle ormai era fredda.
«Dovremmo tornare,» commentò Sonny.
«Lo so,» sospirò Delanna. «Devo lavare quei piatti.»
«E io devo andare al frutteto occidentale,» replicò Sonny.
Scivolò in acqua e tese le mani verso Delanna, che le strinse e lo seguì. L’acqua era meravigliosamente calda.
Sonny non le aveva lasciato andare le mani. Galleggiò verso la riva, con il volto verso di lei, anche se era troppo buio per vedere la sua espressione, mentre l’acqua li carezzava come se fosse fatta di soffici nuvole, sospendendoli nel tempo, nell’oscurità profumata.
«Ohhh,» sospirò Delanna. «Questa sorgente è assolutamente meravigliosa.»
«Sì, è meravigliosa,» ripeté Sonny, e Delanna desiderò vedere il suo volto.
I suoi piedi toccarono il fondo e si alzò, uscendo a metà dall’acqua e stringendo ancora le mani di Sonny. Anche lui si alzò. Erano proprio sotto la prima luna, il cui sentiero argenteo illuminava l’acqua e i loro corpi bagnati.
«Dovremmo avviarci,» ripeté Sonny, ma non si mosse.
«I piatti,» gli ricordò Delanna.
«La scavatrice,» affermò Sonny, senza muoversi. Rimasero immobili, avvolti dalla luce lunare.
A Delanna mancò il fiato, come se Sonny l’avesse di nuovo tirata sott’acqua. «Dovremmo…» balbettò.
Sonny stava fissando qualcosa oltre le spalle di Delanna. Aggrottò la fronte e la tirò per le mani, facendola mettere accanto a lui.
«Cosa…» esclamò Delanna.
«Shh,» sussurrò lui e annuì verso l’estremità opposta della sorgente. «Abbiamo compagnia.»
Delanna aguzzò gli occhi nell’oscurità, oltre la scia della luna. Accanto alla riva c’era la scimmia incendiaria che lei aveva soprannominato Ragazzone, immersa fino al collo nell’acqua. Vide le scaglie brillare nella luce della luna.
«È solo una scimmia,» commentò allora.
«Lo so,» replicò Sonny, ma l’espressione del suo volto rimase accigliata.
«Vengono a sedersi qui,» spiegò Delanna. «Oggi lo hanno già fatto.»
«Lo hanno fatto?» chiese lui. «Erano più di una?»
«Sì,» rispose Delanna, adesso accigliandosi anche lei e chiedendosi cosa stesse succedendo. «Questo pomeriggio ho visto tre scimmie immerse nella polla.»
«Come adesso? Fino al collo?»
«Sì. Perché? Hanno qualcosa che non va? Per caso sono malate?»
«No,» rispose Sonny. «Probabilmente a loro piace fare il bagno di sera nella sorgente quanto piace agli umani.» Salì sulla riva. «Dovremmo…»
«Tornare,» concluse per lui Delanna, avvicinandosi all’orlo della polla.
Sonny le rivolse un sorriso quando Delanna parlò e si chinò per prendere il suo asciugamano, ma era ancora accigliato e rimase in silenzio fino a quando non furono tornati alla casa.
Il che era un bene. Alla sorgente le cose tendevano a sfuggire di mano, specialmente in una sera che profumava di fior-di-rosa. E quello non era sicuramente il momento di complicare le cose più di quanto non lo fossero già, visto che la Corte Itinerante era in orbita intorno al pianeta e, la settimana seguente, avrebbe discusso il caso di Delanna. Maggie l’aveva avvertita di tenersi pronta, non di stringere mani nella luce della luna.
Si aspettò che Sonny la lasciasse sulla porta e si affrettasse a recarsi al frutteto, ma invece entrò in casa e studiò i rapporti ricevuti via radio. «West Wall,» mormorò, scorrendo la lista, «trentuno pollici. Far Reach, ventinove,» ma apparentemente trovò quello che voleva. Poggiò sul tavolo il blocco degli appunti e fece per uscire.
Sulla porta si girò, come se improvvisamente si fosse ricordato di Delanna, che rimase senza fiato come le era già capitato alla sorgente.
«Prima di oggi, hai mai visto le scimmie sedute nella sorgente?» le chiese.
Delanna scosse la testa. «Aspetta: una volta, quando pensavo che fossero impegnate a giocare con Cleo, ho visto una scimmia nell’acqua. Non so dove fosse andata Cleo… o dove pensi di andare adesso.» Cleo si stava dirigendo verso la porta, zampettando furtivamente lungo la parete; il suo stratagemma aveva quasi funzionato.
«No, non lo farai!» esclamò Delanna e balzò verso lo scarabeo. Cleo si afferrò prima all’asciugamano di Delanna e poi ai capelli in disordine, e quando la ragazza riuscì a liberarsi, Sonny si era già chiuso la porta alle spalle.
Delanna sollevò lo scarabeo di fronte a sé e gli diede una bella scrollata. «Stanotte non andrai da nessuna parte,» lo ammonì, poi lo strinse al petto. «E neppure io.»
CAPITOLO SEDICESIMO
Delanna si svegliò udendo i primi starnazzi delle oche per andare a preparare la colazione a Sonny, ma lui era già andato via quando arrivò alla baracca. Tornata a casa, vide che Ragazzone era davanti alla porta principale, insieme con altre scimmie, aspettando Cleo. Delanna entrò e la svegliò; lo scarabeo saltò letteralmente dal letto tra le sue braccia.
Delanna andò in cucina. Sonny aveva lasciato un biglietto: «Sarò tutto il giorno nel frutteto occidentale. Per favore, annota i rapporti sul tempo di Salazar’s Gap e Teapot Lanzye, specialmente le letture del barometro.»
Delanna prese nota coscienziosamente di quei rapporti, anche se non erano diversi dai rapporti di ogni altro lanzye: tempo caldo e secco. Clear Ridge annunciò, «Un paio di nuvole a sud. Ma penso che si tratti di un semplice acquazzone.» Annotando i dati, Delanna si chiese se si trattasse della linea di nuvole che Sonny aveva osservato alla sorgente la sera prima. Sorrise al ricordo del bagno nella sorgente, e di Sonny, poi iniziò a occuparsi delle pomarance, cantando mentre le lavava e le conservava nei sacchetti.
A metà della mattinata erano arrivati tutti i rapporti sul tempo, oltre alla dose giornaliera di pettegolezzi. Apparentemente Jay non aveva perso tempo dopo avere lasciato Milleflores. C’era una richiesta di localizzazione per lui e Evan Brigbotham si inserì per dire, «È diretto su a nord per consegnare un carico a Trickle.»
«E per vedere Lorita Rees.»
«Pensavo che stesse corteggiando Cadiz Flaherty.»
«Ma lei è fidanzata con B.T. Tanner.»
«E quando mai Jay ha dato importanza a una cosa del genere? Ricordi quella volta che la ragazza dei Collins si fidanzò con Miguel Sandros?» Raccontarono la storia con un mucchio di dettagli; Delanna, che stava portando i sacchetti di pomarance in soffitta, la ascoltò distrattamente.
C’era anche una buona notizia. L’epidemia di virus rosso si era estesa a due altri lanzye a sud e Doc Lyle era diretto laggiù per vaccinare le greggi. Delanna sapeva che non avrebbe dovuto essere felice per questo, ma lo era. Significava che Lyle non sarebbe comparso a Milleflores.
Nella tarda mattinata, smise di conservare le pomarance, preparò un cestino da picnic che includeva una crostata appena sfornata e poi fu tanto sporca di succo di pomarancia e di farina che fu costretta a farsi una doccia. Indossò dei vestiti puliti: un completo formato da pantaloncini verdi, una camicetta di pizzo e stivaletti dello stesso colore che arrivavano alla caviglia. Le scimmie incendiarie avevano portato Cleo da qualche parte per giocarci a palla, così Delanna riuscì ad asciugarsi i capelli al sole in santa pace mentre si dirigeva verso il frutteto.
Era più lontano di quando avesse pensato e quando udì il rumore della scavatrice il sole era già alto sulla sua testa. Non appena arrivò alla sommità della collina, il rumore cessò e si rese conto che Sonny doveva averla vista. Le andò incontro a metà strada, coperto di terra e di sudore, ma felice di vederla.
«Ho visto delle persone vestite così solo negli olosceneggiati,» commentò, poi, quasi come se fosse imbarazzato, le tolse il cestino di mano e distolse lo sguardo. «Laggiù c’è una specie di radura,» annunciò, facendole strada lungo il fianco della collina.
File e file di alberi di palle di cannone giravano intorno alla collina formando cerchi quasi concentrici; adesso almeno un quarto degli alberi erano fiancheggiati da canali profondi un metro, che servivano a raccogliere l’acqua piovana per innaffiare le radici, incoraggiandole a crescere in profondità invece che di lato e vicine alla superficie, dove non sempre c’era umidità sufficiente per alimentarle.
Si sedettero all’ombra di un albero dotato di una folta chioma e carico di frutti. Gli alberi erano stati troppo giovani per dare frutti quando Delanna era andata via da Keramos, e così lasciò che Sonny stendesse la tovaglia, in modo da potere dare un’occhiata più da vicino ai frutti screziati. Erano più grandi del pugno di un uomo e crescevano direttamente dal tronco su piccioli duri e spessi. Sulla testa di Delanna, i rami formavano una spirale quasi perfetta fino alla cima; ciascun ramo era carico di frutti per il primo paio di metri, poi iniziavano i rami secondari e le foglie.
«Le palle di cannone sembrano quasi mature,» commentò.
«Lo sono,» convenne Sonny, aggrottando la fronte mentre si univa a lei. «Vorrei che fossero un po’ in ritardo. Mancano ancora due settimane fino all’arrivo dei raccoglitori.»
«Non puoi chiamarli via radio e farli venire prima?»
Sonny scosse la testa. «Esiste un turno per il raccolto dei lanzye. Cambia a rotazione ogni anno.»
«Ma non può essere modificato?»
«No, a meno che le piogge arrivino in anticipo e facciano cadere le palle di cannone. Altrimenti, il turno viene fissato per legge, in modo che nessun lanzye possa avvantaggiarsi sugli altri.»
Anche se un raccolto matura prima di un altro, pensò Delanna. «Ma a voi proprietari di lanzye non viene mai in mente di ribellarvi contro tutte queste leggi?» commentò, poi comprese che Sonny avrebbe pensato che volesse riferirsi alle leggi matrimoniali. «Non ricordavo che gli alberi di palle di cannone crescessero così vicini,» si affrettò ad aggiungere.
«Questo è il primo anno che i rami producono frutti,» spiegò Sonny.
«Li hai potati in modo che anche i rami dessero frutti,» commentò Delanna.
Sonny annuì. «In quella scuola esclusiva, oltre a programmare un computer, insegnano anche come coltivare gli alberi di palle di cannone?» Aveva scartocciato un panino e adesso ne staccò un morso.
«Le lettere di mamma. Ha detto che ha discusso per due anni prima che tu ci provassi.» Quell’imbecille del ragazzo dei Tanner non saprebbe riconoscere un esperimento la cui riuscita è assicurata neppure se gli desse un morso sul naso.
Sonny deglutì sonoramente e annuì. «Tua madre non sempre aveva ragione, ma ammetto che aveva ragione sul potare i rami più piccoli e incoraggiare la crescita di quelli più spessi. E ammetto che all’inizio lo feci solo per… be’, per accontentarla. Adesso produciamo il cinquanta per cento in più rispetto agli altri coltivatori.»
«Su cos’altro tu e mia madre non andavate d’accordo?» chiese Delanna.
Sonny staccò un altro morso dal panino, borbottò qualcosa e si avvicinò alla coperta da picnic per trovare qualcosa da bere. Versò un po’ di succo di scimmia per entrambi e le passò l’altra metà del panino.
«Non vuoi dirmelo?»
«Dirti cosa?» chiese Sonny.
«Su cos’altro tu e mia madre non andavate d’accordo.»
Sonny scosse la testa.
«Perché no?»
«Mangia piuttosto.» Morse il panino. «Raccontami qualcos’altro sulla tua scuola. Cosa facevate quando le feste finivano e i preti non avevano ancora aperto i cancelli?»
«Tante cose,» rispose Delanna. «Se qualcuna di noi aveva dei gettoni, andavamo a uno dei chioschi, aperti tutta la notte, che vendevano dolci, oppure passeggiavamo per le strade.» Mentre Sonny mangiava, Delanna gli raccontò delle strade di Gay Paree, vivacemente illuminate, e del suo cielo affollato di velivoli.
Sonny finì di mangiare la crostata e si appoggiò al tronco dell’albero. «E camminavate tutta la notte?»
«Qualche volta. Se era estate, ci sedevamo sotto gli alberi nel parco e parlavamo fino a quando non ci addormentavamo.»
«Non avevate paura di dormire troppo?»
«Ci svegliava immancabilmente il rumore del traffico del mattino, proprio come tu, qui, puoi contare sugli uccelli. I canti degli uccelli sono più melodiosi del ronzio delle turbine e i K-cotteri erano assolutamente assordanti. La scuola non distava più di mezzo miglio dal punto in cui uscivano dal tunnel.»
Delanna lo guardò. Aveva chiuso gli occhi e pensò che forse lo aveva fatto addormentare, ma non appena smise di parlare, Sonny la esortò, «Raccontami dei K-cotteri.»
Delanna gli spiegò come quei veicoli viaggiassero, silenziosamente e velocemente, in tunnel a bassa pressione che traforavano il suolo di Gay Paree e come dagli ingressi di quei tunnel provenissero sempre rombi sonori e profondi. Gli raccontò dove andassero i K-cotteri e come era possibile salire a bordo di uno di essi anche se si era sprovvisti di gettone; mentre parlava, lo osservò, quasi sperando che si fosse addormentato. Sembrava esausto, e perché non avrebbe dovuto esserlo? Lavorava giorno e notte. Se continuava a parlare, forse avrebbe potuto riposare pochi minuti.
Ma Sonny si mise a sedere di colpo e disse, «Scusami, ma fa così caldo! Hai avuto i rapporti sul tempo da Salazar’s Gap e da Teapot?»
Delanna prese dal cestino gli appunti e glieli mostrò. «Tempo secco e caldo in tutti i lanzye,» affermò.
Sonny annuì con aria distratta mentre li studiava. Si alzò, scrutò con attenzione il cielo azzurro. Non c’era nulla da vedere, se non un uccello solitario che volava a bassa quota. Le restituì i rapporti. «Grazie per avermi portato il pranzo,» affermò. «Non preoccuparti di preparare la cena. Tornerò molto tardi,» poi si avviò verso la scavatrice.
«Potrei portarti qui la cena,» gli propose Delanna, ma Sonny era già andato via. Prima che avesse finito di rimettere tutto a posto nel cestino, sentì la scavatrice tornare in vita con un ruggito e Sonny si rimise al lavoro.
«Ora torniamo alle pomarance,» mormorò Delanna e iniziò la camminata di ritorno verso casa, ma quando arrivò era troppo accaldata per mettersi subito a lavorare.
Invece si sedette a leggere i diari della madre. Una volta tanto, sua madre non si lamentava di Sonny, ma del tempo. «Ieri sono arrivate le piogge, con due settimane di anticipo e senza alcun preavviso. Che clima assurdo! Un giorno ci sono cinquanta gradi e non si muove neppure una foglia, quello successivo inizia a soffiare un vento fortissimo e cadono chicchi di grandine grandi come uova d’oca! Abbiamo perso metà del raccolto delle pomarance. Avevo detto al ragazzo dei Tanner che avrebbe dovuto portarle dentro la scorsa settimana. La grandine ha rotto la maggior parte delle piastrelle sulla facciata della casa. E non so dove troveremo il denaro per sostituirle, visto che bisogna pagare la retta di Delanna e che ha bisogno di vestiti nuovi per partecipare al ballo di autunno.»
Delanna chiuse di scatto il diario e lo poggiò sul baule in cui erano conservati quei vestiti nuovi. Si tolse i pantaloncini, indossò i pantaloni da fatica e andò in cucina. Il minimo che potesse fare era assicurarsi che il raccolto delle pomarance fosse al sicuro in casa prima dell’arrivo delle piogge, specialmente se era probabile che giungessero senza alcun preavviso, come aveva scritto la madre.
Lavò e affettò pomarance per tutto il resto del pomeriggio, fece una doccia quando iniziò a infilarle nei sacchetti, preparò la cena, nonostante quello che le aveva detto Sonny, poi si dedicò di nuovo alle pomarance. Lavorò fino a sera, si fece di nuovo una doccia e andò a sedersi sotto il portico, aspettando Sonny e chiedendosi quando l’aria si sarebbe decisa a rinfrescarsi.
Non lo fece, neppure quando Delanna si arrese e andò a letto e, il mattino seguente, faceva ancora più caldo. Sonny aveva lasciato un altro biglietto. «Mi sono portato dietro il pranzo.» Non diceva in quale frutteto era andato a lavorare o quando sarebbe tornato. O quando era entrato. Delanna pensava che fosse entrato in casa all’alba, avesse scritto il biglietto e fosse uscito subito dopo.
Faceva un caldo torrido, anche se il cielo era lievemente velato. Troppo caldo per le scimmie incendiane, che erano sparite tutte. Quando Delanna uscì a raccogliere altre pomarance, Cleo vagava nel cortile, cercandole.
«Hai perso le tue compagne di giochi?» le chiese Delanna. «Penso che faccia troppo caldo per giocare.»
Faceva troppo caldo perfino per mettersi a spettegolare via radio. Mrs. Siddons si inserì, riferì il rapporto sul tempo e interruppe la comunicazione senza fare neppure un commento su Jay. O sul bagno che Delanna aveva fatto nel sale. «Qui ci sono trentasei gradi e non si muove un filo d’aria,» riferì. «Chiudo.» Delanna annotò la notizia, insieme con gli altri rapporti, con dita rese appiccicose dal sudore. Ventinove pollici e cielo velato a Ultima Thule. Trentatré gradi e cielo terso al lanzye Silvan Springs di Yamomoto. Trentadue gradi e cielo velato a Deepcut. Delanna lavò e mise nei sacchi il resto delle pomarance e andò ad appenderle in soffitta, in cui si soffocava nonostante il ventilatore. «Sessanta gradi a Milleflores,» borbottò e andò fuori per sedersi sotto il portico.
Il velo di nuvole era scomparso, non c’era un filo d’aria. Anche Cleo era sparita: probabilmente aveva cercato rifugio sotto uno dei cespugli o era andata alla sorgente. Delanna pensò di fare un bagno, ma solo la prospettiva dell’acqua tiepida bastava a farle sentire caldo. Invece fece una doccia, lasciando i capelli bagnati e uscì di nuovo sul portico.
Cleo era ancora via. Delanna andò a controllare il recinto delle oche. Lo scarabeo non era lì, ma le oche sembravano affrante e troppo accaldate perfino per starnazzare. Le lasciò uscire in cortile e riempì d’acqua il truogolo, cosa che di solito faceva accorrere immediatamente Cleo; quando non si fece vedere, Delanna decise che avrebbe fatto meglio ad andarla a cercare.
Si avviò verso la sorgente, aspettandosi che facesse ancora più caldo sul sentiero tra i cespugli, ma si era alzata una brezza che soffiava da sud-est e quando uscì dal boschetto, vide sopra le montagne un fronte nuvoloso come quello per cui Sonny aveva mostrato tanto interesse quella sera alla sorgente, solo che era più vicino. E più scuro.
Cleo non si vedeva da nessuna parte, come del resto le scimmie incendiarie. La superficie della sorgente sembrava immobile e calda. Delanna camminò sulle rocce fino al bordo della polla per vedere meglio le nuvole e quasi vi cadde dentro.
Dopo tutto, le scimmie incendiarie c’erano davvero: si trovavano sulla riva opposta della polla, lo stesso posto in cui lei e Sonny avevano visto Ragazzone la sera precedente. Adesso erano tutte lì, l’intera banda, immerse nell’acqua fino al collo.
Delanna le guardò, volse di nuovo lo sguardo verso il fronte nuvoloso, poi tornò direttamente alla casa e alla radio. «Valley View Lanzye,» stava dicendo qualcuno. «Trentasette gradi.»
Delanna sfogliò gli appunti che aveva preso, cercando Valley View. «Cinquantuno gradi e tempo asciutto,» avevano riferito quella mattina. Un calo di quasi quindici gradi nel giro di un paio d’ore! Cambiò frequenza. «Quarantasei gradi,» annunciò Mrs. Siddons, «e vento forte. Nuvole a sud-est,» aggiunse, poi interruppe la comunicazione.
Delanna fissò la radio, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare. Sarebbe andata a chiamare Sonny, se avesse saputo dove stava lavorando, ma lui non lo aveva scritto e suonare il clacson del solaris non sarebbe servito a nulla. Probabilmente non era tanto vicino da poterlo sentire.
Tornò sul portico. Da lì non riusciva a vedere la linea di nuvole, ma di sicuro a Milleflores la temperatura non era scesa: sembrava la stessa della mattina precedente. E di quella ancora prima. E forse le scimmie si comportavano sempre in quel modo, quando non giocavano con Cleo.
Però Delanna tornò in casa, prese un cesto e iniziò a raccogliere il resto delle pomarance e a metterle nel lavandino, senza preoccuparsi di perdere tempo a lavarle. Vuotò il cesto e andò nell’orto della cucina per portare dentro le verdure e gli ortaggi, raccogliendo tutto quello che fosse minimamente maturo, e alcuni mimkin e pomodori che non lo erano.
Quando ebbe finito, vide che le nuvole ormai sfioravano le cime degli alberi dei frutteti; si era alzato il vento, che arruffava le foglie e increspava l’acqua nel truogolo delle oche. Non c’era ancora alcun segno di Sonny. O di Cleo. Se il tempo peggiora, pensò Delanna, l’ultima cosa di cui ho bisogno è di andare in cerca di uno scarabeo fuggiasco. Mise l’ultimo dei piselli giganti, quasi maturo, sul bancone e si diresse di nuovo verso la sorgente.
La brezza era diventava vero e proprio vento, le nuvole coprivano metà del cielo; erano scure e avevano un’aria minacciosa. «Cleo!» gridò. «Vieni, Cleo! Ti lascerò aiutare a dare da mangiare alle oche!»
A metà strada dalla sorgente, intravide lo scarabeo alla base di un albero, mentre cinguettava rivolta a qualcosa nel cespuglio. Non appena vide Delanna, zampettò velocemente in un cespuglio redssie, ma Delanna si tuffò verso di lei e la afferrò per un angolo del carapace. «Cosa ci fai qui fuori, Cleo?» le chiese. «Stai infastidendo qualche povero uccello?»
Cleo lottò selvaggiamente, ma Delanna riuscì a non perdere la presa e a riportarla in casa. «Questo non è il momento di fare la cattiva,» la rimproverò, portandola in camera da letto. «Sta arrivando un temporale.» Scaricò Cleo sul letto e accese la radio, controllando tutte le frequenze.
«…Hashknife. Nuvole di polvere così alte che sembrano montagne in movimento…»
«…le piogge sono arrivate. Non le ho mai viste venire così in fretta.»
«Dotted Line. Trentasétte gradi e pioggia…»
«…portatele dentro prima che…»
«…non è un acquazzone. Ci siamo.»
«Rimani qui,» ordinò Delanna a Cleo, chiudendo la porta della camera da letto, poi corse di nuovo fuori. Cos’altro avrebbe dovuto fare? Ah, sì, doveva fare provvista di legna. Riempì la cassetta con dei ciocchi che prese dalla pila sul retro della casa. Il distillatore era ancora lì, non era stato ancora scaricato dal rimorchio. Delanna lo spinse, rimorchio e tutto, nel capanno, sbarrò la porta e andò a ritirare i vestiti che sbattevano selvaggiamente sulla corda.
Un’oca starnazzò verso di lei quando iniziò a tornare in casa, le braccia cariche di vestiti. Delanna li scaricò sul letto accanto a Cleo e corse fuori per radunare le oche. Iniziò a farle allontanare dal truogolo e a farle entrare nel recinto, pensando che almeno questo fosse più facile di bloccare Cleo, quando giunse una folata di vento; ululò attraverso il boschetto, disperse le oche e, subito dopo, cessò. Ovviamente le oche non erano ancora entrate nel recinto; adesso erano tutte all’esterno.
«Fantastico,» borbottò Delanna, iniziando a radunarle di nuovo e a contare le teste ogni volta che ne arrivava un’altra. Il maschio mancava e le altre oche si rifiutavano assolutamente di collaborare. Avrebbe dovuto prendere un po’ di grano per attirarle nel recinto, ma sarebbe andato bene anche un po’ di tutto quel pane in cucina, e la casa era più vicina. Corse dentro, afferrò il pane e andò a sbattere contro Sonny.
«Le piogge stanno arrivando!» le gridò al di sopra del vento che adesso stava ululando forsennatamente.
«Lo so!» gli gridò di rimando Delanna e lo superò. «Le oche! Bisogna radunarle e portarle nel recinto.»
Sonny le tolse il pane di mano e Delanna lo seguì di corsa. Stava iniziando a piovere: grosse gocce che non facevano che aumentare il terrore delle oche, che starnazzavano e correvano in circolo, senza neppure accorgersi del pane che Sonny tendeva loro. In preda alla disperazione, Delanna abbrancò l’oca più vicina e iniziò a correre verso il pollaio.
«Dobbiamo portarle dentro una alla volta!» gridò a Sonny, ma lui non era abbastanza agile per rincorrerle. Delanna spinse l’oca starnazzante nel pollaio e corse a prenderne un’altra. Sonny ne aveva bloccate due contro il recinto e Delanna riuscì a mettersene una sotto il braccio. Fu l’ultima volta che due oche furono vicine. Delanna fu costretta a correre avanti e indietro, portando un’oca per volta, mentre Sonny cercava di evitare che il resto dei pennuti non si disperdessero fino al ritorno di Delanna. La ragazza afferrò un’oca, ma Sonny gliela tolse di mano, esortandola a prenderne un’altra, cosa che Delanna fece; allora Sonny prese anche quella.
Adesso era iniziato a piovere sul serio e il vento spinse le gocce diagonalmente nelle nuvole di polvere, fino a quando piovve praticamente fango. Delanna si tuffò verso l’ultima oca e si rialzò stringendo un mucchio di piume caudali sporche di fango.
«Andiamo!» gridò Sonny.
Delanna sentì sulla mano la puntura di qualcosa di diverso dalle gocce di pioggia, così come l’oca, che iniziò a correre in preda al panico, le ali spalancate — l’unica cosa che non avrebbe dovuto fare, perché il vento la sollevò e Delanna riuscì ad afferrarla per le zampe quando l’oca era già a mezz’aria. Si girò e vide il sogghigno sporco di fango di Sonny, poi, lottando contro il vento, si diressero verso il pollaio. La temperatura aveva subito un calo drastico. Delanna stava congelando.
Una volta entrati nel pollaio, contarono in fretta le oche. «Ci sono tutte,» annunciò Sonny. «Porterò loro del cibo,» gridò. «Tu va’ in casa. In quelle nuvole c’è un mucchio di grandine.»
«Danneggerà le palle di cannone?»
«No, ma di sicuro può danneggiare noi. Va’!»
Delanna corse verso la casa sotto la pioggia, che adesso stava cadendo in grosse gocce gelide. La porta della cucina era aperta e stava sbattendo. Delanna la chiuse e iniziò a chiudere anche i battenti.
La porta della camera da letto era aperta. Per un secondo, non riuscì a ricordare se l’avesse lasciata aperta quando aveva portato dentro i panni e poi, con un tuffo al cuore, seppe di averlo fatto. «Cleo!» gridò, ma lo scarabeo non era né sul letto, né sotto di esso.
Delanna uscì di corsa sul portico, andando di nuovo quasi a sbattere contro Sonny. «Cleo è fuori!» annunciò con il fiato mozzo.
«Non l’avevi portata in casa?» le chiese Sonny con un’espressione stupita.
«Certo che l’ho portata in casa. Ma è scappata!» Delanna aprì di scatto la porta e il vento gliela strappò dalla mano. Non sarebbe mai riuscita a chiuderla da sola, ma Sonny era proprio dietro di lei. Insieme, riuscirono a chiudere la porta.
«Penso di sapere dove sia andata,» affermò Delanna e si avviò lungo il sentiero che conduceva alla sorgente.
La pioggia si era trasformata in palline di ghiaccio che si stavano accumulando in rivoletti mentre Delanna proseguiva lungo il sentiero, rischiando continuamente di scivolare. Cercò freneticamente nei cespugli su entrambi i lati, poi, davanti a sé, intravide un mucchietto di fango in movimento che poteva essere solo Cleo; lo scarabeo stava avanzando a fatica tra le pozze d’acqua. «Cleo!» gridò Delanna.
Lo scarabeo non si girò neppure, ma si allontanò nella direzione opposta alla massima velocità, dirigendosi verso l’albero sotto il quale Delanna l’aveva trovato in precedenza. Delanna corse verso di lei, scivolò nel fango e quasi cadde. Recuperò l’equilibrio, maledisse la propria stupidità, sollevò lo sguardo e vide Sonny, che, con aria trionfante, teneva sollevata Cleo per una zampa anteriore.
«L’ho presa!» esclamò in tono allegro, poi i cieli si aprirono.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
«Corri!» esclamò Sonny, poi avvolse Cleo nella giacca e lui e Delanna iniziarono a correre lungo il sentiero, piegati su se stessi come se fossero sotto il fuoco del nemico.
E lo erano davvero. I chicchi di grandine erano duri come pallottole e altrettanto grandi. Anzi, erano ancora più grandi. Delanna sentì un colpo alla spalla, come se qualcuno le avesse tirato una pietra, poi abbassò lo sguardo verso il terreno e vide chicchi di grandine grandi quanto i noccioli delle ciliegie di terra. Allora si piegò ancora di più e portò le mani sopra la testa.
Sonny non poteva godere neppure di quella ben misera protezione: le sue mani erano impegnate a bloccare Cleo, che, sorprendentemente, stava ancora lottando. Delanna vide un chicco di grandine grande come un ciottolo colpire la fronte di Sonny. Allungò una mano verso Cleo, ma Sonny scosse la testa. «Va’ ad aprire la porta!» gridò.
Delanna corse avanti, salì sul portico, scivolò sullo strato di grandine che lo copriva e allora usò entrambi i piedi per dare un violento calcio alla porta, spalancandola. Sonny la superò ed entrò in casa. Delanna lo seguì a razzo e la porta sbatté con violenza alle sue spalle, quasi colpendola. Delanna rimase senza fiato, gocciolando sul pavimento.
Sonny lasciò andare Cleo, che si lanciò verso la porta e iniziò a graffiarla con le unghie. Sonny cominciò a chiudere i battenti. Aveva la camicia macchiata da grosse chiazze di umidità e il sangue gli scorreva da un taglio sulla fronte.
«Ma tu stai sanguinando!» esclamò Delanna.
Sonny si toccò la ferita con la mano. «È solo un taglietto. Prendi Cleo,» replicò, prendendo di nuovo lo scarabeo e dandolo a Delanna, poi fece per aprire la porta.
«Ma cosa stai facendo?» gli chiese Delanna, lasciando quasi cadere Cleo per la sorpresa. «Lì fuori sta grandmando.»
«Devo portare dentro le pomarance.»
«Tutte quelle mature sono già dentro,» lo informò Delanna.
Sonny aprì lo stesso la porta. «Allora sarà meglio che vada a vedere se riesco a salvare qualcuna delle verdure.»
«Anche quelle sono già dentro. E il distillatore è nel capanno.»
Sonny lasciò andare la porta e la guardò. «Sei meravigliosa,» commentò.
«E tu sei bagnato fradicio. E sanguini.» Delanna poggiò Cleo sul pavimento e andò a prendere il medikit.
«Starò bene non appena avrò acceso il fuoco. Quanta legna c’è nella cassetta?»
«L’ho riempita questo pomeriggio. E nella dispensa ci sono altri due carichi. Ho chiesto a Wilkes di portarli dentro prima che andasse via.»
«Tu sei davvero meravigliosa,» ripeté Sonny. «Hai pensato a tutto.»
«Sta’ fermo,» gli ordinò Delanna. Gli pulì il taglio con il disinfettante, poi vi applicò un cerotto a pressione. «Ti sei fatto male da qualche altra parte?»
«Non penso,» rispose Sonny, iniziando a battere i denti. «Quel chicco di grandine, o meglio quella pietra, mi ha fatto venire un bel bozzo.»
Si inginocchiò accanto al camino e iniziò ad accumulare rametti uno sull’altro, fino a formare una piramide. Delanna gli passò il fiammifero. Sonny lo accese e lo avvicinò ai trucioli di legno; il fuoco prese subito e avvampò, emanando un confortante calore.
Sonny mise un ciocco nel camino e tese la manica per osservarla. «Vedi,» gridò al di sopra del frastuono della pioggia. «Si è già asciugata.»
Delanna fu costretta a leggergli le labbra per capire quello che le stava dicendo: improvvisamente il tamburellare della grandine si era trasformato in un vero e proprio bombardamento. «Sta peggiorando!» gridò Delanna in un attimo di silenzio improvviso che la colse di sorpresa, facendola scoppiare a ridere.
«Non hai mica bisogno di gridare,» replicò Sonny al di sopra dello scrosciare della pioggia, poi le sorrise.
«La grandinata è finita?» chiese Deanna, scostando leggermente uno dei battenti per guardare fuori dalla finestra. La pioggia cadeva in fitte cortine insieme a qualche chicco di ghiaccio, spostando continuamente lo strato bianco di grandine che ormai ricopriva il cortile.
«Va e viene,» spiegò Sonny. «La grandine potrà ricominciare a cadere in qualsiasi momento. E senza preavviso. Ecco perché è una fortuna che non siamo costretti a uscire in questo inferno.»
Vi fu uno scoppio di tuono e poi un forte rumore metallico.
«Come adesso?» chiese Delanna, sollevando lo sguardo verso il soffitto. Sembrava peggio che mai: un’ininterrotta cacofonia punteggiata da tremendi stridii.
Sonny aveva aggrottato la fronte. «Questa non è grandine,» commentò, poi si alzò. «Sembrano le oche. Hai chiuso la porta del pollaio?»
«Sì,» rispose Delanna. Erano sicuramente le oche, ma sembravano completamente isteriche, come lo erano state quando Cleo aveva tentato di entrare nel loro recinto, solo che adesso i loro starnazzi sembravano ancora più disperati.
«Deve essere volato via il tetto del pollaio,» affermò Sonny. «Dovremo portarle in casa. Qui dentro abbiamo dei sacchi?»
Delanna capì di non avere pensato a tutto. «Ce n’è qualcuno fuori, accanto alle greppie,» rispose. Ma si trovavano in un capanno aperto. Ormai i sacchi dovevano essere completamente zuppi d’acqua, dunque come avrebbero fatto a infilare delle oche frenetiche in quei sacchi fradici?
Evidentemente Sonny si era posto la stessa domanda, perché si stava guardando intorno, in cerca di qualcosa in cui mettere le oche. Potevano usare delle corde per immobilizzarle? No, non sarebbero mai riusciti a legarle bene nel fango. Le pentole erano troppe piccole e sarebbe potuto ricominciare a grandmare da un momento all’altro.
«I sacchi dovranno andare bene,» affermò Sonny, esattamente quello che stava pensando Delanna. Sonny si avviò verso la porta.
Cleo zampettò freneticamente lungo il pavimento, raggiungendo la porta con un buon metro di vantaggio su Sonny.
«Oh, no, tu non uscirai di qui!» esclamò Delanna, chinandosi a prendere lo scarabeo. «Non andrai da nessuna parte.» Portò Cleo in camera da letto e prese la giacca impermeabile. «Vuoi anche tu una giacca, Sonny?» gli gridò, indossando la giacca e chiudendo bene la porta della cucina, in modo che Cleo non potesse uscire, ma Sonny era già andato via. Delanna si calò in testa il cappuccio e si tuffò nel temporale dietro di lui.
La pioggia era quasi peggio della grandine: scendeva in cortine gelide e assordanti che pungevano come aghi e rendeva il terreno coperto di chicchi di grandine tanto scivoloso che era quasi impossibile camminarci sopra. Era anche accecante; Delanna dovette cercare a tentoni la strada per girare oltre l’angolo della casa e arrivare alle greppie.
Sonny, con la camicia completamente zuppa e i capelli bagnati che gli cadevano sugli occhi, era già lì e stava tentando di trovare i sacchi. Delanna li tirò fuori da sotto una delle greppie, che, più o meno, li aveva protetti dalla pioggia: erano bagnati, ma non fradici. Li infilò sotto la giacca e si avviò verso il recinto delle oche insieme a Sonny.
Adesso pioveva davvero a dirotto e le gocce d’acqua battevano sui tetti coperti di tegole con un fragore tanto forte da coprire perfino gli starnazzi delle oche. Il cortile era diventato un lago pieno di chicchi di grandine bianchi e Sonny e Delanna furono costretti a camminare lungo i suoi bordi per arrivare al recinto delle oche.
Il tetto del pollaio era ancora al suo posto, ma il cancello di legno era aperto e sbatteva con violenza sotto l’impatto della pioggia. Oh, no, pensò Delanna, le oche sono uscite, poi si guardò freneticamente intorno, ma non vide alcuna traccia dei pennuti in questione.
Sonny la afferrò per un braccio. «Sono qui dentro!» le gridò all’orecchio per superare il frastuono della pioggia e la spinse davanti a lui nel capanno dal soffitto basso. «Vedi?» Indicò uno degli angoli posteriori.
Le oche erano strette una all’altra — no, ammassate — nell’angolo indicatole da Sonny, come se avessero pensato che il cancello che sbatteva fosse una creatura vivente, decisa a ghermirle. Starnazzavano terrorizzate ogni volta che il cancello si spalanca e si ritiravano sempre di più nell’angolo.
Sonny chiuse il cancello e lo tenne fermo in modo che non sbattesse, ma le oche non gli prestarono alcuna attenzione e non guardarono neppure Delanna, che si avvicinò a loro mormorando, «È tutto a posto, è tutto a posto.» Ma, in preda a panico folle, le oche continuarono a starnazzare e si strinsero istericamente alle pareti del pollaio.
«Devono essere state spaventate dal rumore delle grandine!» gridò Delanna.
«Ma come hanno fatto a sentirlo in mezzo a tutto questo baccano?» le gridò di rimando Sonny.
Delanna gli passò tutti i sacchi tranne uno, che tenne aperto, avanzando lentamente verso le oche, che starnazzarono e arretrarono ancora di più.
Sonny le afferrò di nuovo un braccio. «Penso di avere scoperto quale sia il problema!» gridò e indicò l’angolo opposto, dove stavano le pentole di cibo e l’unità di riscaldamento a energia solare.
Aggrappata disperatamente all’unità, e apparentemente terrorizzata quasi quanto le oche, c’era una scimmia incendiaria. Ma è Ragazzone! pensò Delanna, anche se la scimmia era tanto rannicchiata su se stessa che era difficile esserne sicuri. La pelle della creatura sembrava pallida e chiazzata.
«Pensavo che avessi detto che tutte le scimmie incendiarie erano nella sorgente termale!» gridò Delanna a Sonny.
«Ragazzone deve essere tornato indietro per qualche motivo.»
Cleo, pensò Delanna. La scimmia era tornata per prendere il suo giocattolo preferito ed era stata sorpresa dal temporale: un fenomeno atmosferico potenzialmente mortale per una creatura a sangue freddo come una scimmia incendiaria.
«Dobbiamo tentare di portarlo alla sorgente?» chiese Delanna in tono dubbioso.
Sonny scosse la testa. «È troppo lontana. Non ce la farebbe mai. Il colore biancastro della pelle significa che sta già congelando. Che ne dici del capanno?»
«Ma lì dentro non c’è nessuna unità di riscaldamento,» gli ricordò Delanna. E Ragazzone non poteva neppure rimanere nel pollaio: le oche sarebbero morte di paura. «Allora sarà meglio portarlo in casa,» propose Delanna e provò molta sorpresa, e uno strano senso di calore, quando Sonny le rivolse un’occhiata di profondo apprezzamento.
Ma anche quel calore non sarebbe riuscito a riscaldarla a sufficienza da evitarle di congelare, se fossero rimasti fuori ancora un po’. «Andiamo, Ragazzone,» affermò Delanna, avvicinandosi alla scimmia. «Andiamo dove fa caldo.» Toccò la zampa della scimmia e poi ritrasse di scatto la mano, allarmata: la zampa era stata dura come pietra e fredda come ghiaccio. «Andiamo,» lo esortò, prendendogli il braccio. «Calore. Fuoco.» La scimmia si strinse ancora di più all’unità di riscaldamento, guardando Delanna con occhi sbarrati per il panico.
Sonny andò dall’altro lato della scimmia. «Andiamo, vecchio mio. Andiamo,» ripeté, poi sollevò di peso la creatura, mettendo un braccio sotto l’ascella della scimmia e l’altro intorno al petto e la portò oltre il cancello, in cortile, ma il Ragazzone si rifiutò di procedere oltre.
Delanna chiuse il cancello e andò dall’altro lato della scimmia per aiutare Sonny, ma Ragazzone agitò con violenza il braccio per tenerla lontana e roteò gli occhi per la paura.
«Non ci conosce!» gridò Sonny, lottando per evitare che fuggisse.
Delanna si tolse il cappuccio. «Guarda, Ragazzone, sono io,» disse, tendendo una ciocca di capelli rossi verso la scimmia. «Vedi. Fuoco. Calore.»
Ragazzone non tentò di afferrare i capelli, si limitò a fissarli con aria stolida, ma quando Delanna gli poggiò la mano sul gomito, non oppose più alcuna resistenza. Iniziarono ad attraversare il cortile.
Non era più una palude. Ormai era un lago, su cui galleggiavano piccole lastre di ghiaccio. Ma non c’era tempo per tentare di girargli intorno, come avevano fatto all’andata. Procedettero fino a quando l’acqua non arrivò al bordo superiore degli stivali di Sonny, e oltre. L’acqua era fredda come il ghiaccio e fece scorrere un brivido lungo la schiena di Delanna. Sonny iniziò a battere i denti.
Ragazzone non diede alcun segno di provare il morso del freddo, neppure quando, a metà strada, si udì un forte scoppio di tuono e la grandine iniziò a cadere nel lago, mischiata a gocce di pioggia pungenti come aghi. Ma la sua andatura rallentò e divenne più rigida; quando arrivarono alla casa, Sonny e Delanna stavano praticamente sorreggendolo.
Delanna lasciò Sonny a sostenere la scimmia e aprì la porta, urtando Cleo nel farlo. Lo scarabeo si precipitò fuori ed era quasi riuscito ad attraversare metà del portico quando Delanna riuscì a bloccarlo. «Oh, no, non andrai fuori!» esclamò, afferrando una delle zampe anteriori di Cleo e appoggiandosi alla porta aperta per fare passare Sonny e Ragazzone.
Sonny portò in casa la scimmia un po’ sorreggendola, un po’ trascinandola e la depose sul pavimento davanti al fuoco; Delanna spinse Cleo di nuovo in camera da letto. «Ma cosa credi di fare?» la rimproverò. «Vuoi farti uccidere? Lì fuori sta grandinando!»
Ed era davvero così, senza gocce di pioggia. Vi furono altri due tuoni e poi si udì il forte crepitio della grandine sul tetto. «Rimani qui dentro, oppure ti metto nel baule di mamma.»
Chiuse la porta e la bloccò mettendole davanti una cassa di ambrosia vuota, dicendo, senza girarsi, «Siamo tornati dentro appena in tempo. Come sta Ragazzone?»
Sonny era sparito. Delanna corse alla porta e la aprì, ma, oltre il portico, la visibilità era quasi nulla. Dall’alto piovevano chicchi di grandine grandi come ciottoli, che rimbalzavano sul terreno e sui cespugli e cadevano nelle pozze d’acqua sollevando alti spruzzi. «Sonny!» gridò. «Sonny!»
Cleo stava graffiando la porta della camera da letto e Ragazzone, accasciato davanti al fuoco, sembrava mezzo morto. Delanna esitò, mordendosi il labbro, poi abbassò il cappuccio sui capelli bagnati, uscì dalla porta…
E andò a urtare contro Sonny. Lui la spinse di nuovo dentro, chiuse la porta e la sbarrò alle loro spalle.
«Ma dove sei andato?» gli chiese Delanna con voce tremante per il sollievo.
«Fuori, a controllare le oche,» rispose Sonny, iniziando a battere i denti.
Era completamente zuppo, il cerotto sulla fronte era fradicio, la camicia e i pantaloni gli si erano incollati addosso, l’acqua gli colava dai capelli sul volto. E c’era anche del sangue che scorreva lungo la guancia e andava a macchiare il colletto bagnato della camicia.
«Sei ferito!» esclamò Delanna. «Fammi vedere!»
Sonny si toccò la testa con la mano e la ritrasse macchiata di rosa. «Sto bene.» Riuscì a stento a pronunciare quelle parole, tanto i suoi denti stavano battendo con violenza. «Quei chicchi di grandine sono davvero grossi come pietre.»
«Presto, vieni accanto al fuoco e togliti quei vestiti, oppure ti buscherai la polmonite. Su Keramos avete la polmonite?»
«S-s-s…» balbettò Sonny, battendo i denti, poi ci rinunciò e annuì.
«Togliti quella camicia,» gli ordinò Delanna. «Ti vado a prendere un asciugamano e una coperta da metterti addosso.»
Delanna allontanò la cassa di ambrosia dalla porta della camera da letto e la aprì. Cleo la superò di corsa, diretta verso la porta sul retro e iniziò a rigarla con le unghie. Non riuscì a uscire, visto che la porta era sbarrata, dunque Delanna la ignorò. Strappò la coperta dal letto, prese un asciugamano e un paio di pantaloni e tornò nella stanza principale.
Sonny era ancora dove l’aveva lasciato: stava tentando di sbottonarsi un polsino della camicia, ma le mani gli tremavano a tal punto che non riusciva a fare uscire il bottoncino dall’asola.
«Ci penso io,» si offrì Delanna. «Vieni accanto al fuoco.» Scavalcò Ragazzone, ancora sdraiato lì, e iniziò a sbottonare il polsino. «Non avresti dovuto uscire di nuovo,» lo accusò, liberando il bottone dal tessuto fradicio. Allungò una mano verso l’altra manica.
«Io v-volevo essere sicuro che R-ragazzone non avesse s-spento l’unità di r-riscaldamento o q-qualcosa del genere.»
Delanna gli sbottonò l’ultimo bottone della camicia e si girò per prendere uno degli asciugamani. «Avresti potuto rimanere ucciso,» lo rimproverò, girandosi di nuovo verso di lui. «Le oche sarebbero state…»
Sonny si stava togliendo la camicia, lottando per liberare le braccia dalle maniche bagnate.
«Cosa sarebbero state?» le chiese Sonny, poi venne scosso da un brivido.
«Cosa?» chiese Delanna in tono inespressivo. Il fuoco illuminava il petto nudo di Sonny, conferendogli la stessa sfumatura dorata delle fiamme. Riuscì a liberare il braccio dalla manica.
«Hai detto, ‘Le oche sarebbero state…’»
«Bene,» concluse Delanna e gli passò la coperta. «Le oche sarebbero state bene. Pensi che Ragazzone starà bene?» proseguì rapidamente. «Dovrei andare a prendere una coperta anche per lui?»
«Andrò a prendergliela io,» replicò Sonny.
«No. Tieni,» disse Delanna, passandogli i pantaloni. «Questi sono un paio di quelli che mi ha prestato B.T. Mettili e poi siediti accanto al fuoco. Non voglio ritrovarmi con due scimmie congelate.»
«S-solo con una,» replicò Sonny, obbedendole. Indicò le zampe della scimmia, che sembravano meno chiazzate di prima. «Si sta già scongelando.»
Delanna andò comunque a prendere una coperta — si trattava di una vecchia coperta di colore rosa — e la usò per coprire la scimmia. Ragazzone si agitò, come se volesse protestare, ma non tentò di togliersela di dosso. Cleo si avvicinò e lo osservò con curiosità.
«Vedi?» commentò Delanna. «Il tuo compagno di giochi è proprio qui. Non hai bisogno di uscire fuori per andare a cercarlo.»
Andò a prendere il medikit e alcune bende e si inginocchiò accanto a Sonny per curargli i tagli.
«Anche tu d-dovresti toglierti q-quella roba bagnata di dosso,» le ricordò Sonny.
«Lo farò tra un minuto,» replicò Delanna, scostandogli dal volto i capelli bagnati per trovare la ferita. «Hai un bozzo grosso come un uovo d’oca.»
Sonny le rivolse un sorriso. «Immagino che il paragone sia appropriato, visto che ero andato a controllare le oche.»
Delanna gli asciugò il taglio. «E probabilmente sarà l’unico uovo di oca che avremo per settimane, dopo la paura che ha fatto prendere loro Ragazzone.» Poggiò una benda quadrata sulla ferita e ordinò, «Tienila lì per un minuto,» poi si alzò.
Mise il bollitore sul fuoco, raccolse il mucchietto degli indumenti bagnati di Sonny e li gettò nel lavandino, poi andò in camera da letto e si tolse i vestiti. Non erano fradici come quelli di Sonny, tranne gli orli dei pantaloni e le calze. La giacca impermeabile l’aveva aiutata a non infradiciarsi.
Indossò un paio di calze asciutte, poi aprì il baule della madre e mise la stessa camicia da notte che aveva indossato per sbaglio la prima mattina che aveva trascorso a Milleflores. La coprì con la vestaglia che aveva usato nel dormitorio della scuola e tornò nell’altra stanza.
L’acqua stava bollendo. Delanna preparò una tazza di tè per Sonny, che la prese con mani ancora tremanti, aggiunse un altro ciocco al fuoco e tornò in camera da letto per prendere un’altra coperta dal baule della madre.
«G-grazie,» balbettò Sonny quando Delanna gliela poggiò sulle spalle. «Sei proprio sicura di non a-avere bisogno di una di queste coperte? Devi essere congelata.»
In effetti, andare avanti e indietro l’aveva riscaldata: era Sonny che sembrava intirizzito fino all’osso. Ma quando Delanna si sedette accanto a lui, si tolse una delle coperte dalle spalle e gliela offrì.
«Sto bene,» rispose Delanna, avvicinandosi al fuoco. «O starò bene non appena i miei capelli si saranno asciugati.» Vi passò attraverso le dita, guardando Ragazzone; la scimmia non aveva più la pelle chiazzata e stava stirando le braccia e le gambe davanti al fuoco, come un gatto. «Pensi che le altre scimmie incendiarie stiano bene?» chiese Delanna a Sonny, immaginando la grandine che si accumulava nella sorgente termale.
Sonny avrebbe potuto anche leggerle nella mente. «La sorgente è abbastanza calda per fondere qualsiasi tipo di ghiaccio. E se inizia a grandinare di nuovo, le scimmie andranno semplicemente sott’acqua. Sono in grado di rimanere senza respirare per molto tempo.»
«Quanto durerà il temporale?»
«Un giorno. Forse due,» rispose Sonny. «Il che potrebbe essere un bene.»
Delanna fissò il fuoco, pensando a loro due, chiusi in casa insieme per due giorni, al sicuro, al caldo, da soli.
«Un bene?» gli chiese.
«Per il raccolto,» rispose Sonny. «La grandine farà cadere le palle di cannone e questo servirà ad accelerare il turno di Milleflores per effettuare il raccolto. Dunque spero che grandini tutta la notte.»
Come in risposta al suo desiderio, una nuova scarica di grandine tamburellò sul tetto con un frastuono assordante. Sia Sonny che Delanna sollevarono lo sguardo verso il tetto.
«Il tuo desiderio è stato subito esaudito!» gridò Delanna e Sonny le urlò qualcosa che lei non riuscì a capire.
«Bevi il tuo tè!» gridò Delanna, indicando la tazza. Sonny obbedì, bevendolo a grandi sorsi, ma la bevanda calda non sembrò sortire alcun effetto. Sonny non smise di rabbrividire, anche se adesso il fuoco emanava molto calore, tanto che Ragazzone si era addormentato rannicchiandosi davanti al camino. Sonny si strinse al corpo entrambe le coperte, ma, a intervalli di pochi secondi, il suo corpo veniva scosso da un forte brivido. E se avesse preso un raffreddore, oppure si fosse ammalato?
«Vuoi un altro po’ di tè?» gli chiese Delanna, aggrottando la fronte.
«S-sembra che non riesca proprio a riscaldarmi,» si scusò Sonny.
Delanna pensò a cosa avrebbe potuto aiutarlo. «Non hai dell’alcol?»
«Ho un po’ di ambrosia,» rispose Sonny. «Andrò a prenderla.» Si tolse di dosso le coperte e si avviò verso la porta a piedi nudi.
«Non vorrai uscire di nuovo fuori?» gli chiese Delanna, terrorizzata da quell’eventualità. Iniziò ad alzarsi per andare a impedirglielo.
«No. Rimani lì,» replicò Sonny e poi si inginocchiò accanto al tappeto tessuto a mano appena dietro la porta. Lo sollevò, rivelando una botola, che aprì. Sotto di essa c’erano numerose file di bottiglie di ceramica verde. Sonny ne prese una, richiuse la botola, prese una tazza dalla credenza e tornò vicino al fuoco.
Si sedette accanto a Delanna, tolse il tappo della bottiglia e riempì la tazza di ambrosia, poi la tese verso Delanna.
«No, grazie,» rispose lei, pensando al sorso di ambrosia che aveva assaggiato nel saloon di Maggie. Poteva ancora sentirne il sapore. «È troppo amara per me.»
«Non la mia ambrosia,» replicò Sonny. Gliela offrì di nuovo, ma Delanna scosse la testa, e così la prese lui, bevendola a grandi sorsi, come aveva fatto con il tè. Delanna si chiese come facesse a sopportarne il gusto.
Sonny versò un altro po’ di liquido chiaro nella tazza. «L’ambrosia è servita,» commentò bevendo un altro sorso, ed era vero: la mano aveva smesso di tremare, i denti avevano smesso di battere. «Sei sicura di non volerne un po’? Questa è ambrosia di Milleflores.»
«Ne sono sicura,» rispose Delanna.
«Non è amara,» le assicurò Sonny. «È la mia ricetta speciale. Dolce come il miele.» Sollevò la tazza in un brindisi in onore di Ragazzone, che si era mosso di nuovo e adesso era sdraiato esattamente davanti al fuoco, con Cleo appollaiata al suo fianco. «Ecco perché ho un debole per le scimmie incendiarie: sono state loro a farmela scoprire.»
Bevve un altro sorso. «Il grande problema dell’ambrosia è sempre stato il suo sapore. Altrimenti sarebbe un prodotto perfetto per essere esportato su altri pianeti: occupa una massa e un volume molto minori delle palle di cannone e permette di ricavare un profitto maggiore. I lanzye potrebbero smettere di tirare avanti a stento, se fossero in grado di vendere un prodotto come l’ambrosia. Ma nessuno dei commercianti provenienti da altri pianeti è disposto a trattarla, per colpa del suo gusto amaro.»
Bevve un altro sorso di ambrosia. «E l’ambrosia è il liquore perfetto: non provoca nessuno dei danni al fegato causati dal whisky, non esistono i postumi della sbronza ed è impossibile ubriacarsi sul serio, qualsiasi quantità se ne beva. E poi viene metabolizzata molto rapidamente; due ore dopo averla bevuta, è possibile mettersi a lavorare con una scavatrice.» Bevve un altro sorso. «E non ha alcun effetto collaterale.»
Be’, forse uno ce l’ha, rifletté Delanna, osservandolo. L’ambrosia forse non era in grado di fare ubriacare una persona, ma di sicuro rendeva loquace Sonny. Aveva detto più parole negli ultimi cinque minuti di quante ne avesse pronunciate durante l’intero viaggio attraverso le Pianure di sale.
«Molti abitanti dei lanzye pensano che le scimmie incendiarie dovrebbero essere sterminate perché hanno l’abitudine di appiccare incendi. Be’, tre anni fa ne appiccarono uno nel mio fienile.» Scolò il fondo della tazza. «Tutti hanno una teoria su come eliminare il gusto amaro dell’ambrosia: bisognerebbe aggiungere miele, oppure erbe, distillarla, filtrarla, aggiungere la corteccia. Io pensavo che noi la pestassimo troppo presto dopo averla raccolta e così, tre anni fa, conservai alcune palle di cannone e le misi su una stuoia a maturare per un po’.»
«E le scimmie incendiarie diedero fuoco alla stuoia,» indovinò Delanna.
«Facendole bruciare completamente,» confermò Sonny. «Fino alla polpa. Io tentai di tagliare via le parti carbonizzate, ma anche l’interno era bruciato. Ricordo che ero così arrabbiato!»
«Non ne avevi altre da mettere a maturare?»
Sonny scosse la testa. «Avrei dovuto vendere l’intero raccolto ai commercianti solo per avere abbastanza denaro per…»
Si bloccò, ma Delanna sapeva cosa fosse stato sul punto dire, abbastanza denaro per pagare la retta della tua scuola.
«Be’, in ogni caso stavo per gettare via tutta quella roba,» proseguì Sonny, «ma poi immaginai che l’ambrosia che ne avrei ricavato sarebbe andata abbastanza bene per l’uso casalingo, se l’avessi distillata, invece di limitarmi a farla bollire, e così tagliai le parti bruciate e preparai un po’ di ambrosia. Era molto meno amara di quanto fosse di solito. Lo attribuii al fatto che le palle di cannone erano più mature, ma, il giorno seguente, quando vidi le scimmie incendiarie andarsene furtivamente…» Sorrise. «Ti confesso che provai la tentazione di mettermi a sbraitare contro di loro. Quando le vidi, mi chiesi se invece non fosse stato il calore a rendere meno amara l’ambrosia e così la preparai usando le parti che avevo buttato via ed ecco il risultato!» Sollevò la tazza di ceramica. «Dolce come miele. Mi bastò berne un solo sorso per convincermi a iniziare a risparmiare ogni centesimo per comprare un vero distillatore.»
E ti ci sono voluti tre anni per risparmiare i soldi per comprarlo, pensò Delanna, perché ogni centesimo veniva speso per le mie rette scolastiche, le mie feste e le mie scarpe con i tacchi alti. Si chiese se Sonny avesse rivelato a Serena la sua intenzione. Non era ancora arrivata a quel punto del diario della madre e non pensava che le avrebbe fatto piacere leggere le sue annotazioni. Poteva benissimo immaginare cosa aveva detto sua madre.
Sonny stava dicendo, «Ecco perché, quando quel giorno ti ho trovato nella macchia di arbusti reddsie, non ho voluto dare l’allarme e rischiare che una della scimmie venisse uccisa. Io devo loro molto.»
Rivolse un sorriso a Delanna. «Non dimenticherò mai lo spettacolo di te, circondata insieme a Cleo da quella banda di scimmie, che riuscivi a tenerle a distanza, anche se non sapevi che erano innocue. Volevano solo toccare i tuoi capelli. Erano così luminosi che sembravano essere fatti di fuoco. E io potevo capire come si sentivano.»
Tese la sua mano per sfiorarle i capelli, ma poi la lasciò cadere. «E così ho comprato il distillatore poco prima che tua madre morisse, ecco perché non avevo neppure un soldo quando sei venuta qui.»
«E perché ti trovavi a Grassedge,» commentò Delanna.
Sonny non rispose, Delanna si chiese se l’ambrosia avesse fatto effetto.
«Eri venuto a Grassedge per ritirare il distillatore, vero?» affermò.
Sonny abbassò lo sguardo verso la tazza. «Sì. In effetti, è stata una fortuna che tu sia arrivata con la navetta proprio quando Sakawa era pronto a consegnarmi il distillatore. Non avevo raccontato a nessuno dell’ambrosia bruciata o dell’ordinazione del distillatore, ma su Keramos mantenere un segreto è praticamente impossibile.»
«Lo so,» affermò Delanna: lo aveva imparato a proprie spese.
«Ma erano tutti così impegnati a spettegolare su di te che nessuno ha notato il distillatore.»
«Sono felice che il mio bagno nel sale sia servito a qualcosa,» commentò Delanna in tono secco. «E così distillerai l’ambrosia dal raccolto di quest’anno e la venderai ai commercianti provenienti da altri pianeti?»
«Il distillatore è troppo piccolo per distillare l’intero raccolto e la maggior parte di esso serve per fare andare avanti il lanzye e pagare i debiti contratti da tua…» Si interruppe. «Dopo che B.T. e io saremo riusciti a piantare il frutteto all’estremità settentrionale delle nostre terre, le cose diventeranno più facili e potrò prendere in considerazione l’idea di utilizzare una parte del raccolto per distillare l’ambrosia.»
«Se prima le scimmie incendiarie non danno fuoco alle palle di cannone di qualcun altro,» commentò Delanna.
«Non lo faranno. Abbiamo fatto un patto: le scimmie lavorano per me e io, in cambio, permetto loro di ammirare i tuoi capelli.»
Delanna sorrise. «E di giocare a palla con Cleo,» aggiunse, guardando lo scarabeo, che si era avvicinato alla finestra e stava tentando di aprire uno dei battenti.
«Forse ha fame,» ipotizzò Delanna. «E tu?»
«Ti aiuterò,» si offrì Sonny e fece per alzarsi.
«No, tu rimani qui al caldo,» gli consigliò Delanna. «Io preparerò qualcosa per cena.»
Riscaldò la zuppa e affettò il pane, pensando a quello che aveva detto Sonny. E a quello che non aveva detto. Dovevo pagare i debiti contratti da tua madre, aveva iniziato a dire, ma poi si era fermato in tempo: evidentemente l’ambrosia non gli aveva sciolto la lingua fino a quel punto. Come al solito, si rifiutava di pronunciare qualsiasi commento negativo sulla madre di Delanna.
E se Delanna avesse venduto la sua parte della tenuta e fosse andata via, lasciandolo di nuovo immerso nei debiti mentre si ammazzava di fatica per fare andare avanti il lanzye con poco o niente, anche allora Sonny non si sarebbe lasciato sfuggire nessun commento negativo su Serena Milleflores. Si chiese se sua madre avesse mai compreso di quale lealtà, di quale silenziosa fedeltà, potesse essere capace Sonny.
Diede da mangiare a Cleo, che inghiottì giusto tre bocconi e poi tornò accanto a uno dei battenti. La pioggia era diminuita leggermente di intensità, il frastuono si era ridotto a un basso rombo, ma mentre Delanna serviva la zuppa, iniziò di nuovo a piovere a dirotto. Cleo zampettò via dalla finestra e tornò da Ragazzone, che era ancora addormentato.
«Sei sicuro che non verremo spazzati via da qualche inondazione?» chiese Delanna a Sonny, passandogli la sua ciotola.
«No. Le oche potrebbero finire a nuotare nel recinto, ma a loro piacerebbe.»
Mentre mangiavano, Sonny parlò per tutto il tempo, raccontandole delle piogge a cui ricordava di avere assistito durante gli anni precedenti, di chicchi di grandine grossi come uova d’oca e di quella volta che i frutteti si erano allagati e lui e i suoi fratelli erano usciti di casa trovandosi di fronte alle palle di cannone che galleggiavano davanti alla porta d’ingresso. «Queste non sono particolarmente forti,» gridò al di sopra del frastuono. «Tutto quello di cui dobbiamo preoccuparci è di stare al riparo e al caldo. A proposito, sarà meglio che metta dell’altra legna in quel camino.»
Si scrollò di dosso le coperte e si alzò, ancora parlando. Ragazzone era davanti al fuoco e Sonny dovette spingere la scimmia di lato per arrivare alla pila di ciocchi. Ragazzone grugnì e si girò.
Sonny prese alcuni ciocchi e tornò accanto al fuoco, strofinandosi le mani per scaldarle. «Dovrebbero bastare per un po’,» commentò, sedendosi accanto a Delanna. «Qui dentro si gela.» Le offrì di nuovo una delle coperte. «E tu? Stai abbastanza calda?»
«Vado a prendere un’altra coperta,» replicò Delanna. Entrò in camera da letto. Lì dentro si gelava davvero. Prese un’altra coperta dal baule, tolse i cuscini dal letto e li portò davanti al fuoco. Sonny si era messo le coperte intorno alle spalle. «Penso che stanotte sarà meglio che dormiamo qui,» consigliò Delanna. «In camera da letto si gela letteralmente.»
Gli passò i cuscini e si sedette accanto a lui, avvolgendosi nella coperta.
«Raccontami qualcos’altro sulla tua scuola,» le propose Sonny. «Era un edificio molto grande?»
«C’erano molti edifici, tutti collegati da tunnel,» Delanna gliela descrisse, raccontandogli dei dormitori, dei laboratori e delle mense.
Ragazzone si girò di nuovo e poi ancora una volta, come un pezzo di carne allo spiedo, ma ogni volta che si muoveva si avvicinava sempre più al fuoco, fino a quando non ne bloccò completamente il calore. Delanna rabbrividì e si strinse la coperta contro il corpo.
«Ehi, stai rubando tutto il calore!» esclamò Sonny rivolto a Ragazzone. Si alzò e tentò di spostare la scimmia incendiaria, ma non ci riuscì.
«Non si muove,» commentò Sonny. «Però mi è venuta un’idea.» Prese la coperta dalla spalle di Delanna e si sedette accanto a lei, usandola per coprire entrambi, poi vi aggiunse sopra le sue coperte. «Come va?» le chiese. «Adesso va meglio?»
Delanna annuì, fin troppo consapevole della sua vicinanza, del suo petto nudo. «Sì, va meglio.»
Sonny la fissò per un lungo istante, poi si girò di nuovo verso il fuoco, che emise una fiammata, riempendo la stanza di calore e di una soffusa luce dorata.
«Non avrei mai immaginato che la tua scuola avesse molti edifici,» commentò Sonny. «Tua madre mi disse che era grande, ma io ho sempre immaginato che si trovasse in un vasto prato in cui cresceva ogni tipo di fiore e tu eri seduta al centro e studiavi con il vento che ti scompigliava i capelli. Ecco l’unica cosa che non ricordavo di te: quanto fossero luminosi i tuoi capelli. Ricordavo che erano rossi, perché ti chiamavo sempre Buccia di Pomarancia, ma…» Sollevò di nuovo la mano verso i suoi capelli, ma questa volta li toccò, sia pure con grande delicatezza, facendone scorrere un ricciolo tra le dita.
«Sono sorpresa che tu ricordi qualcosa di me,» commentò Delanna, arrossendo. «Quando andai via, avevo solo cinque anni.»
«Ma certo che ti ricordavo,» replicò Sonny. «Tua madre mi raccontava sempre di te e di quello che stavi facendo.»
Posso immaginario, pensò Delanna.
«Mi leggeva sempre le tue lettere. Sono cresciuto pensando a come sarebbe stato quando saresti tornata dalla scuola. Immaginavo che sarebbe stato così, che ci saremmo seduti insieme davanti al fuoco.»
Sul tetto ci fu un’improvvisa mitragliata di grandine e Cleo iniziò a graffiare di nuovo contro la porta. La scimmia incendiaria si stiracchiò ed emise un rutto lungo e rombante.
«Be’, forse non esattamente così,» si corresse Sonny e le rivolse un sorriso. Il cuore di Delanna fece una capriola. «Tua madre disse che non saresti mai tornata, che saresti rimasta su Rebe Primo e immagino di averle creduto. Quando Maggie mi ha avvertito che stavi tornando, mi sono agitato a tal punto che sono venuto a Grassedge senza dare a Wilkes neppure il tempo di aggiustare il sistema di trasmissione del solaris. È un vero miracolo che non sia ancora bloccato da qualche parte nelle Pianure di sale…» La sua voce si spense.
Ma allora non era venuto in città per il distillatore, pensò Delanna. O per le oche. Era venuto in città per incontrare lei.
Sonny fissò il fuoco. «Sapevo che era impossibile, ma non potevo arrendermi. Ecco perché non te l’ho detto mentre andavamo a piedi a Grassedge. Volevo fare finta che fosse vero, che tu fossi davvero mia moglie, anche solo fino a quando saremmo arrivati da Maggie.»
«Non capisco perché,» affermò Delanna, ricordando quella lunga e faticosa scarpinata fino a Grassedge con il rimorchio e le oche. «Mi sono comportata come una bambina viziata fino a quando non siamo arrivati in città.» E anche dopo. Si era fatta venire vere e proprie crisi isteriche, aveva civettato con Jay Madog…
Sonny le sorrise. «Non mi importava. Eri così bella…» Distolse lo sguardo da Delanna, dirigendolo di nuovo verso il fuoco. «Continuavo a pensare che se solo fossi riuscito a farti venire a Milleflores,» proseguì con voce divenuta più sommessa, più sognante, «e tu avessi avuto la possibilità di ricordare quanto era bello qui, avresti cambiato idea e saresti rimasta…» La sua voce si spense di nuovo.
Delanna si abbracciò le ginocchia. «Ha funzionato,» mormorò.
Sonny non disse nulla. Delanna pensò che forse non l’aveva sentita.
«Io voglio rimanere,» affermò allora, girando la testa per guardarlo.
Sonny si era addormentato. I suoi capelli neri gli cadevano sulla fronte e lo facevano sembrare il ragazzo che ricordava Delanna, il ragazzo che le aveva permesso di seguirlo dappertutto. Poggiò la mano sotto la guancia e rimase a guardarlo, pensando, abbastanza stranamente, alla scavatrice. Se ne prendessimo una usata, pensò, con il denaro risparmiato potremmo comprare altre oche e iniziare a vendere uova agli altri lanzye.
«Io voglio davvero rimanere,» mormorò, poi si addormentò anche lei.
Quando si svegliò, nella stanza era buio pesto e faceva freddo. Si chiese se fosse stato il freddo a svegliarla, poi si rese conto che era stato il silenzio: il frastuono della pioggia, della grandine e del vento era cessato; l’unico rumore era il fievole crepitio della radio.
Il fuoco era quasi spento: erano rimasti solo un po’ di tizzoni rossastri e Ragazzone ormai ci dormiva praticamente dentro, il braccio avvolto strettamente intorno a Cleo. Delanna scivolò da sotto le coperte con delicatezza, in modo da non svegliare Sonny, poi si alzò. Il fuoco non emetteva abbastanza luce per permetterle di vedere dove metteva i piedi e Delanna era sicura che sarebbe inciampata nella pila di ciocchi, nel piede di Sonny o in quello di Ragazzone, oppure in tutte e tre le cose, se non avesse fatto un po’ di luce. Si avvicinò silenziosamente alla finestra e aprì i battenti.
Era quasi mattina, il cielo era di un tenue grigio lavanda, con alcuni resti di nuvole. Nel cortile c’erano un paio di pozze d’acqua che riflettevano il cielo pallido e terso e un paio di stelle luccicanti. L’aria aveva un profumo celestiale: era la fragranza dei fiori degli arbusti balla e dei fior-di-rosa; se non fosse stato per lo strato di grandine bianca sul portico e un cespuglio reddsie appiattito, che si contorceva ancora, Delanna avrebbe potuto pensare di star osservando l’alba seguita a un acquazzone primaverile.
Milleflores era bellissimo, perfino dopo un terribile temporale. Non c’era da stupirsi che Sonny lo amasse profondamente.
Anch’io lo amo, pensò, poi disse ad alta voce, «Io voglio rimanere.»
L’aria che entrava dalla finestra era fredda e, dopo un minuto, Delanna chiuse con riluttanza i battenti, lasciandoli leggermente scostati in modo che potesse vedere dove metteva i piedi e andò a riattizzare il fuoco.
Ragazzone era ancora sdraiato di fronte al focolare, la schiena vicina ai tizzoni, le braccia che stringevano Cleo. Russava sommessamente. Delanna tentò di spostarlo di lato, ma era troppo pesante. Dovette scavalcarlo per arrivare alla legna e poi rimanere a piedi nudi nella cenere per riattizzare il fuoco.
Le fiamme iniziarono a crepitare allegramente e Delanna si alzò e rimase a osservarle per qualche istante, fino a quando le dita dei piedi non iniziarono a sentire troppo caldo. La radio crepitava: lievi scariche di statica che significavano che il temporale stava ancora infuriando da qualche parte. Scavalcò di nuovo Ragazzone, andò alla radio e la spense, poi tornò al suo giaciglio improvvisato.
Sonny si era girato su un fianco e, nel farlo, aveva calciato via le coperte. Dormiva scomposto come un bambino e la testa e il petto avevano assunto un colore soffuso nella luce rossastra del fuoco. Il piede di Delanna urtò la bottiglia di ceramica di ambrosia, che cadde con un tonfo, ma Sonny non si svegliò. Era come se lui, come se tutti loro — anche Ragazzone e Cleo — fossero sotto un incantesimo, un incantesimo di calore e di silenzio alla luce incerta dell’alba, e nulla potesse svegliarli.
Delanna ricoprì le spalle di Sonny con le coperte, strisciò accanto a lui e si addormentò immediatamente.
Quando si svegliò di nuovo, il sole filtrava attraverso lo spiraglio nei battenti e in lunghi raggi obliqui tra le assicelle. Si udì un terribile frastuono martellante e Delanna, ancora assonnata, pensò che fosse iniziato di nuovo a grandinare, ma poi si rese conto che neppure una grandinata di palle di cannone avrebbe potuto provocare un baccano del genere.
Ragazzone era impegnato alternativamente a tirare la porta e a battere i pugni su di essa, nel tentativo di aprirla. Cleo lo stava aiutando, tentando di togliere il chiavistello con le unghie. Nessuno dei due stava avendo il minimo successo.
Né era probabile che lo ottenessero, poiché la sbarra era ancora al suo posto e immaginare il modo di toglierla evidentemente non faceva parte dei talenti di una scimmia incendiaria.
Dovrei farli uscire, pensò pigramente Delanna. Prima che Ragazzone dia fuoco alla porta. Ma era troppo assonnata per muoversi, stava troppo comoda.
Era rannicchiata contro Sonny, il suo braccio era sul suo corpo. Sollevò leggermente la testa per guardarlo. Dormiva ancora, la bocca aperta e il respiro regolare. Non dormirà a lungo, pensò. Questo baccano sveglierebbe anche i morti.
Ma fino a quando Sonny non si sarebbe svegliato, lei voleva rimanere dov’era, rumore o non rumore. Poggiò indietro la testa e si sistemò nella curva formata dal braccio di Sonny. Chiuse gli occhi.
Vi fu un grugnito e il tonfo di qualcosa di pesante che colpiva il pavimento, il che significava che Ragazzone doveva avere capito come funzionava la porta. E questo significava probabilmente che, da ora in poi, nessun fienile o capanno o recinto di oche sarebbero più stati al sicuro dalle scimmie incendiarie. Delanna aprì gli occhi, improvvisamente preoccupata di avere provocato un’improvvisa rivoluzione tecnologica nella specie delle scimmie incendiarie.
Sonny la stava guardando. Era poggiato su un gomito e la coperta gli lasciava scoperto il petto. I suoi capelli neri erano in disordine, come quelli di un ragazzino, ma, con gli occhi aperti, non ne aveva assolutamente l’aria.
«Buon giorno,» la salutò. «I bambini sono usciti a giocare.»
«Anche Cleo?» chiese Delanna, facendo un gesto per alzarsi.
Il suo braccio si strinse intorno a lei. «Anche Cleo. Non preoccuparti. Il temporale è finito.» Inclinò la testa verso la porta. «E sembra che non si siano allontanati di molto.» Le rivolse un sorriso.
All’esterno, vi furono altri grugniti, un rumore di spruzzi e uno strillo deliziato di Cleo. Dalla porta aperta provenne anche il fruscio delle foglie e il canto di uno strillone dell’erba. Ma era come se non ci fosse alcun rumore, tranne il battito del cuore di Delanna.
«Ora, per quanto riguarda questa notte,» esordì Sonny, guardandola di nuovo.
Delanna attese che le dicesse che aveva bevuto troppo, che aveva parlato sotto l’effetto dell’ambrosia.
«Ogni parola che ho detto era vera,» affermò Sonny, poi si chinò a baciarla.
Delanna tolse le mani dalle coperte e le avvolse intorno al suo collo. «Anche le mie lo erano,» rispose.
«Bene,» commentò Cadiz dalla soglia, «sembra che siamo arrivati nel momento culminante.»
CAPITOLO DICIOTTESIMO
Sonny le rivolse il suo tipico sorriso. «È sempre un piacere vederti, Cadiz.»
«Ci scommetto,» replicò la ragazza, battendo il cappello sul montante della porta. «Ma vi rendete conto che, mentre voi eravate al riparo del temporale, le scimmie incendiane hanno saccheggiato questo posto? Se la sono filata con una coperta e adesso la stanno usando come trampolino.»
Delanna si mise a sedere e riuscì a vedere abbastanza dalla finestra per sapere che Cadiz si riferiva a Cleo che rimbalzava in aria mentre quattro scimmie incendiarie reggevano gli angoli della coperta rosa. «Quando ricaveranno un sacco dalla coperta e inizieranno a usarlo per raccogliere le pomarance, allora sapremo con certezza che ci troviamo di fronte a una vera e propria rivoluzione tecnologica.»
«Eh?» esclamò Cadiz.
«Va tutto bene, Cadiz,» la tranquillizzò Sonny. «Non sono venute a rubare. Quella più grande ha trascorso la notte qui con noi. Probabilmente è rimasta impigliata nella coperta quando è andata alla porta.»
«Non sono stata io ad aprire la porta,» commentò Delanna. «L’hai aperta tu?»
Sonny scosse la testa. «È un ragazzo intelligente. Ha preso da sua madre.»
Cadiz aggrottò la fronte. «Non penso che una scimmia incendiaria abbia le referenze necessarie per fungere da accompagnatrice.»
«Che ne dite di fare colazione?» suggerì Sonny, alzandosi. Si diresse verso il camino, dove, la notte precedente, Delanna aveva appeso i suoi panni bagnati.
«Colazione? Oh, no,» rispose Cadiz. «Dobbiamo sbrigarci. Stillwater Canyon ha inviato una richiesta d’aiuto generale: nella diga si è aperta una falla. Visto che non siamo riusciti a metterci in contatto con voi via radio, B.T. e io abbiamo deciso che avremmo fatto meglio a passare di qui. Quando l’acqua sciolta della grandine farà salire il livello dell’acqua, ci vorranno molte più persone della famiglia Mainwaring per tappare la falla. E se la diga cede, potremo dire addio ai lanzye di Stillwater e di Trickle.»
«Perché non ci avete svegliato con il segnale di chiamata acustico?» le chiese Sonny mentre staccava la camicia dal gancio.
«Ci abbiamo provato, ma…»
«Io ho spento la radio durante la notte,» la interruppe Delanna. «Trasmetteva solo scariche di statica.»
Sonny infilò in fretta le braccia nelle maniche della camicia. «Vengo subito,» affermò. «Delanna, dovresti andare a controllare come stanno le oche.» Si sedette sulle coperte accanto a Delanna per infilarsi le calze e gli stivali, poi balzò in piedi e tese una mano per aiutare Delanna. «La prossima volta lascia la radio accesa anche se trasmette solo statica, tesoro,» le consigliò e le sue dita esitarono sulla sua mano qualche istante in più del necessario. «Qualche volta un brutto temporale potrebbe decidere di tornare indietro.»
Aveva detto «un brutto temporale» come se fosse una sola parola e non aveva menzionato il fatto che, qualche volta, durante un brutto temporale, le persone dovevano inviare una chiamata, come in quel caso, e non potevano farlo se la radio era spenta. Delanna provò un leggero senso di colpa.
«Andrò subito ad accenderla,» stava dicendo quando sorprese Cadiz a fare una smorfia e a rivolgerle un silenzioso e ironico «Tesoro,» mentre Sonny le voltava le spalle. Quando Sonny si girò e uscì di corsa dalla porta, l’espressione di Cadiz era tornata normale.
«Tu vieni, Cadiz?» gridò da sopra la spalla.
«Forse la scimmia incendiaria era il tipo giusto di accompagnatrice,» commentò Cadiz. «Tesoro.»
«Non sa neppure di averlo detto,» protestò Delanna.
«Lo so. È proprio questo che lo rende così bello. Se le scimmie incendiarie hanno la facoltà di sciogliere la lingua dei Tanner, me ne procurerò anch’io qualcuna.»
«Non fanno altro che bloccare il calore proveniente dal camino,» spiegò Delanna. Prese una delle coperte dal pavimento e iniziò a piegarla.
«Non c’è niente di meglio di una bella dormita all’aria aperta per trasformare due persone che si stringono insieme in due persone che si abbracciano.»
«Cadiz?» Sonny ormai aveva praticamente raggiunto la strada e Cadiz iniziò a correre a perdifiato per raggiungerlo. Il solaris iniziò a muoversi non appena Cadiz fu salita a bordo.
Delanna rimase alla finestra con la coperta tra le mani, rimanendo a osservare il solaris fino a quando non sparì alla vista oltre una curva della strada. I raggi del sole si riflettevano su uno strato di brina che copriva quasi tutto e adesso si stava alzando anche il vapore, mentre l’aria del mattino si riscaldava. Cleo e le scimmie incendiarie si erano stancate del loro gioco ed erano dirette verso il boschetto di arbusti giocando a palla; Ragazzone procedeva in retroguardia, trascinandosi dietro la coperta, adesso completamente inzuppata d’acqua. Delanna avrebbe dovuto tentare di recuperarla.
Mise a posto la coperta che stringeva tra le mani e si vestì. Ricordandosi di accendere la radio, si inoltrò nel boschetto, cercando Cleo e le scimmie. Le foglie rimaste sugli alberi erano lacere e forate in molti punti. Ovunque la grandine arrivava alle caviglie, ma si stava sciogliendo in fretta mentre il sole si alzava nel cielo. Le impronte delle scimmie divennero un labirinto di rivoletti. Delanna si arrese, senza neppure sentirsi troppo dispiaciuta di non essere riuscita a trovare la coperta, poi andò a occuparsi delle oche.
Alcune delle tegole del tetto del pollaio si erano staccate, ma era un danno che Sonny avrebbe potuto riparare in pochi minuti. Lei gli avrebbe passato i chiodi e il martello e avrebbe tenuto lontane le oche. Fischiettò la canzone della guardiana delle oche mentre spargeva il grano per la loro colazione e le oche starnazzarono nei momenti appropriati; Delanna ebbe perfino l’impressione che qualcuna andasse a tempo.
Tornò in casa. La grandine aveva ridotto il giardino in una poltiglia verde, ma alcuni dei fiori, protetti dal tetto della casa, erano sopravvissuti e Delanna pensò che sarebbe riuscita a ottenere un’altra fioritura, se avesse potato i fiori distrutti. Iniziò a darsi da fare con le cesoie, potando e cantando, pensando a quanto sarebbe sembrata bella la casa quando sarebbero arrivati i partecipanti al raccolto e a quanto Sonny sarebbe stato fiero del suo lanzye. E anche lei ne sarebbe stata fiera.
Ecco. Aveva finito. I bambini d’autunno color zafferano e le facce di zucca dai colori vivaci avrebbero prodotto altri boccioli nel giro di pochi giorni. E sembrava che perfino le candele di scimmia potessero tornare a fiorire, anche se questa volta non sarebbero state così alte. Soddisfatta di se stessa, tornò in casa.
La sua giacca e i pantaloni di Sonny erano ancora accanto al camino ed erano cosparsi di piume d’oca, rimaste impigliate nel tessuto la sera precedente. Quando li portò sul portico per scuoterli, lasciarono una scia di piume in salotto. Quando poté portare di nuovo dentro i vestiti senza correre il rischio di spargere piume dappertutto, Delanna iniziò a spazzare il pavimento. Era bastata una lieve brezza per spargere le piume sotto le sedie e negli angoli più riposti della stanza. Delanna dovette pulire dappertutto; perfino il tavolo della cucina e il baule di sua madre nell’altra stanza nascondevano piume bianche. La temperatura stava salendo e l’aria, satura di umidità per la grandine che si stava sciogliendo, faceva aderire alle superfici le piume invece di farle volare via ogni volta che Delanna faceva un passo. Quando ebbe finito, stava sudando.
Si lasciò cadere su una sedia, desiderando di avere bevuto prima un bicchiere d’acqua, quando udì qualcuno camminare in cortile.
«Sonny!» esclamò, poi si precipitò verso la porta per salutarlo. «Siete riusciti a tappare la falla…»
Non si trattava di Sonny, ma di Doc Lyle. In una mano reggeva Cleo, mentre nell’altra stringeva due mandarini reali sporchi di fango e dall’aria decisamente defunta.
«Ho qui due mandarini reali morti e un esemplare di vita animale illegale,» annunciò il veterinario in tono rabbioso. «C’è un motivo per cui su Keramos abbiamo delle leggi che vietano l’introduzione di specie aliene.»
«Ma lei non può certo credere che Cleo abbia ucciso…»
«Non posso provare che lo abbia fatto…»
«Ma questo è ridicolo! Gli scarabei non sono animali predatori. Cleo non ucciderebbe alcunché,» protestò Delanna. Fece per allungare una mano verso lo scarabeo, che adesso si stava agitando nella stretta di Doc Lyle.
«Però tu non puoi neppure provare che non l’abbia fatto.»
«A me sembra che siano annegati,» affermò Delanna, ed era proprio così: le loro piume dai colori vivaci erano fradice e sporche di fango. «Il temporale…» esordì, nel tentativo di spiegare con quanta violenza fosse caduta la grandine, ma il veterinario la interruppe di nuovo.
«La legge è molto chiara su queste faccende: è vietato introdurre sul pianeta qualsiasi forma di vita che non sia stata sottoposta a studi di compatibilita in base alla Legge sugli animali domestici o selvatici. Questi due mandarini possono essere stati l’ultima coppia che aveva nidificato sul pianeta e il tuo scarabeo può averli uccisi. Avevo contrassegnato la femmina la primavera scorsa e sono tornato per controllare le sue condizioni, sperando che avesse trovato un compagno. E lo aveva fatto. Ma adesso è successo questo.»
«Cleo non farebbe del male a nessuno,» insistette Delanna. Adesso lo scarabeo stava emettendo versi cinguettanti e, ancora una volta, Delanna tentò di prenderlo, ma Doc Lyle lo allontanò. «Ha paura.»
«È un animale di contrabbando. Non sappiamo quali malattie possa avere.»
«Ha fatto tutte le iniezioni,» protestò Delanna. «E lei lo sa: ha visto il suo certificato di nascita.»
«Parassiti, infestazione ambientale, disastro ecologico. Su Keramos abbiamo delle leggi per impedire che avvengano simili calamità, ma tu le hai violate. Il tuo scarabeo dovrà essere eliminato.»
«Eliminato!» Delanna iniziò a piangere. «No. Sonny non permetterà mai che Cleo venga eliminata. Lui…»
«Lui perderà Milleflores. Condannerò questo lanzye e tutti i suoi abitanti, se Sonny Tanner interferirà di nuovo con la legge. E non provare a dirmi che l’ultima volta non c’entrava nulla. Quelle scaglie ingioiellate sparse intorno allo smaltitore di rifiuti puzzavano di astuzia dei Tanner lontano un miglio,» replicò Doc Lyle. «Adesso corri a prendere una gabbia isolante dal mio solaris.»
«No!» esclamò Delanna piangendo a calde lacrime. «Cleo è mia amica. Non lascerò che le faccia del male.»
«La eliminerò in maniera umana,» cercò di placarla il veterinario, come se questo avesse importanza. Ma quando Delanna iniziò a piangere ancora più forte, scosse la testa e iniziò a camminare verso la strada. La banda di scimmie incendiarie si disperse tra gli alberi in cui si erano nascoste in attesa di Cleo. Il veterinario non le degnò neppure di un’occhiata: continuava a guardare i mandarini reali e a scuotere la testa.
Delanna lo raggiunse di corsa, promettendogli che avrebbe tenuto Cleo chiusa in casa per sempre, se solo le avesse risparmiato la vita. Doc Lyle si limitò a serrare ancora di più le labbra e ad accelerare il passo. Delanna era senza fiato per le lacrime e per il panico, ma tentò di nuovo di impadronirsi di Cleo. Doc Lyle le scostò la mano con una gomitata.
Giunto al suo solaris, il veterinario gettò gli uccelli morti nella cabina e tirò fuori una gabbia isolante. Aprì la porticina.
«Per favore,» lo implorò Delanna. «Per favore, almeno mi faccia dirle addio.»
«Potrai dirle addio quando sarà al sicuro nella gabbia,» replicò Doc Lyle, deponendovi Cleo.
Ancora cinguettando, Cleo iniziò ad artigliare pietosamente i lati della gabbia. Doc Lyle si girò per togliere i mandarini dal sedile e cercare un sacco da qualche parte all’interno del solaris. Delanna rimase a osservarlo stolidamente mentre vi infilava gli uccelli morti. Si chiese se avesse potuto lanciarsi verso la gabbia isolante, impadronirsene e fuggire prima che Doc Lyle potesse fermarla. Ma sapeva che non sarebbe riuscita a resistere abbastanza a lungo. E poi, dove avrebbe potuto andare?
Le scimmie incendiarie stavano tornando indietro con molta cautela; Ragazzone si trascinava ancora dietro la coperta. Doc Lyle aprì di nuovo il sacco per controllare la fascetta su una piccola zampetta d’uccello pateticamente rigida, poi mise gli uccelli morti nel retro del solaris e iniziò a scrivere qualcosa sulla sua tavoletta vega. Sollevò lo sguardo verso le scimmie incendiarie e alcune di loro caddero a quattro zampe e andarono a nascondersi sotto i cespugli. Apparentemente imperturbato, il veterinario riprese a scrivere.
Delanna si asciugò le lacrime sulla manica, tentando di pensare. Doveva esserci qualcosa che lei poteva fare. Si chiese se avrebbe dovuto chiamare Maggie. Forse l’avvocato era riuscito a trovare qualche scappatoia legale.
Ma non appena le venne in mente quel pensiero, Delanna si rese conto che Maggie aveva smesso di cercare una scappatoia legale nell’istante in cui Cleo era stata teoricamente gettata nello smaltitore di rifiuti. Doc Lyle si girò per riporre la tavoletta vega nel solaris e chiuse il tettuccio.
«Prima di eliminarla, le darò un buon pasto con dentro un sedativo,» affermò Doc Lyle in tono non privo di gentilezza. Si girò per prendere la gabbia e trovò Ragazzone accanto a essa. «Sciò!» esclamò il veterinario battendo le mani.
Ragazzone arretrò di alcuni passi e la coperta si impigliò in un angolo della gabbia e la fece cadere con un tonfo, strappando a Cleo un cinguettio di indignazione. Quel rumore spinse Ragazzone a tentare di allontanarsi in tutta fretta, ma ormai la coperta era saldamente impigliata nella gabbia, che risuonò dietro di lui mentre saltava tra i cespugli in preda a un vero attacco di panico. La gabbia andò a urtare contro una roccia e rimbalzò; il rumore spaventò le altre scimmie, facendole uscire dai loro nascondigli. L’impatto con la roccia fece spalancare la porticina. Cleo emise un ruggito di sorpresa e rotolò fuori dalla gabbia, di nuovo libera. Una delle scimmie la raccolse e la gettò al primo fuggiasco. Ragazzone diede un ultimo strattone alla coperta, che si staccò dalla gabbia. Poi la scimmia seguì la banda delle sue compagne, trascinandosi ancora dietro la coperta, ormai a brandelli, ansiosa di unirsi al solito gioco.
Doc Lyle allungò la mano verso la pistola e Delanna trattenne il fiato, travolta dal panico. «Non lo faccia,» lo implorò.
«Non posso farlo,» ribatté Doc Lyle scuotendo rabbiosamente la testa. «La stagione di caccia non è ancora aperta e ho usato tutti i miei dardi anestetici su un poko ferito. Ma se non faccio qualcosa, quelle scimmie incendiarie potrebbero andarsene con lo scarabeo.»
«Vivono nei paraggi. Giocano a palla con Cleo tutto il tempo,» spiegò Delanna, aggiungendo in fretta, «per ore, perfino per giorni.»
«E così adesso devo anche preoccuparmi che tra le scimmie incendiarie di Keramos scoppi un’epidemia provocata da uno scarabeo,» borbottò il veterinario. «E adesso possono anche vivere nei paraggi, ma le scimmie incendiane migrano a sud subito dopo il primo forte temporale, ovvero proprio quello scoppiato la notte scorsa.» Si avvicinò alla gabbia ammaccata e la sollevò da terra. Alcune delle sbarre si erano piegate e un angolo era rientrato, ma la porticina funzionava ancora. Tornò da Delanna con la gabbia. «Ecco cosa faremo. Tu ti fai restituire quello scarafaggio dalle scimmie, prima che se ne vadano; di solito rimangono un po’ più a lungo, se hanno a disposizione una sorgente termale e so che qui ce n’è una nel boschetto. Così tu riprendi Cleo e la metti al sicuro in questa gabbia isolante; io tornerò a prenderla tra pochi giorni. Devo andare a controllare l’altro mandarino reale che ho contrassegnato lo scorso autunno.»
«Ma…»
«Niente ma. E dì a Sonny Tanner che se tenta un altro dei suoi trucchetti, tipo tentare di darmi a bere che le scimmie sono migrate portandosi dietro lo scarabeo, oppure mi dà qualsiasi altra cosa che non sia quello scarabeo al sicuro nella gabbia isolante, io confischerò Milleflores. Mi sono spiegato chiaramente? Non accetterò nulla che non sia quello scarabeo in questa gabbia.»
«Sì,» rispose Delanna in tono desolato.
Doc Lyle poggiò la gabbia ai piedi di Delanna, entrò nel solaris e andò via, lasciando Delanna a fissare stolidamente la strada.
Dopo un po’, tornò di nuovo in casa, portando con sé la gabbia ammaccata. Adesso il sentiero era molto fangoso: la grandine ormai si era sciolta, tranne nei punti all’ombra. In casa faceva un caldo soffocante. Delanna tentò di pensare a cosa fare. Era inutile tentare di portare via Cleo alle scimmie prima che avessero finito il loro gioco. Ma si sarebbero stancate abbastanza presto e, anche se Cleo si fosse allontanata come era stata solita fare durante le ultime settimane, sarebbe tornata a casa quando le sarebbe venuta fame.
La radio era in piena attività.
«…aveva una falla abbastanza grande da farci passare attraverso un solaris,» stava dicendo Nonno Maitz, «ma ci hanno fatto rotolare davanti uno di quei grandi massi e adesso stanno turando il resto a mano, usando pietre e fango.»
«Riusciranno a finire prima che il livello delle acque salga?» Delanna riconobbe la voce di Tom Toricelli, che chiamava da Valley View; adesso sapeva che quel lanzye era in molto in alto sulle pendici delle montagne. «Quassù a Valley View fa un caldo tremendo e l’acqua dello scioglimento della grandine farà ingrossare i ruscelli.»
«Sonny e B.T. Tanner sono arrivati qualche tempo fa con la ragazza dei Flaherty,» intervenne un’altra voce. «E alle prime luci dell’alba, Mel Flaherty ha portato tutta la sua squadra e un paio di verricelli. Penso che anche i Tanner più giovani fossero con lui. Emil, gli Hansen e Mort Sanderson sono partiti quando è stato lanciato il primo allarme e così probabilmente adesso saranno lì anche loro.»
«Maurey ed Edgar sono partiti non appena sono riusciti a tirare fuori il solaris di Edgar da una valanga di fango,» aggiunse Kaylee. «Edgar lo ha usato come barriera per evitare che una slavina di grandine sciolta e di fango inondasse il pianoterra della sua casa. Immagino che fosse ridotto davvero male, ma dopo una buona lavata con la pompa, si è accesso immediatamente.»
Andranno avanti per sempre, pensò Delanna, ma lei aveva bisogno di mettersi in contatto con Maggie. Forse lei avrebbe saputo cosa fare per salvare Cleo. Prese il microfono.
«Posso interrompere la vostra conversazione per chiamare Maggie Barlow?» chiese Delanna.
«Be’, ma certo che puoi,» rispose Kaylee in tono gentile, «ma la Corte Itinerante è arrivata e ieri tutti gli avvocati sono andati sulla Justice con la navetta. Adesso la Corte è in seduta, dunque non puoi neppure essere collegata con la nave. Però potresti lasciare una richiesta di parlare con lei.»
«Oh,» commentò Delanna in tono spento. Aveva dimenticato quanto fosse stata vicina la data del suo appello alla corte.
«Non c’era un messaggio di Maggie per i Tanner?» chiese Mrs. Siddons.
«Sì che c’era,» rispose Nonno Maitz. «Ma, con tutto questo traffico di emergenza causato dal temporale, me n’ero completamente dimenticato. Me lo sono scritto…» Dalla radio sembrò che stesse sfogliando i suoi appunti. «Eccolo. Dice solo, ‘Tutto bene. La vendita è possibile. Qualche piccola restrizione. Stai pronta’. Ti dice qualcosa?»
«Cosa vende Sonny?» chiese Mrs. Siddons.
«Sì, mi dice qualcosa,» rispose Delanna. Qualche settimana prima, la notizia che era possibile vendere la sua quota di Milleflores l’avrebbe resa felice. E se l’avesse appresa all’epoca del suo bagno nel sale, l’avrebbe addirittura mandata al settimo cielo. Ma adesso sapeva solo che amava Milleflores e che non avrebbe mai potuto venderlo. E tutte le questioni legali su Milleflores impallidivano di fronte alla consapevolezza che, tra pochi giorni, Doc Lyle sarebbe venuto a prendere Cleo.
«Cosa vende Sonny?» chiese di nuovo Mrs. Siddons.
Nulla di tutto questo ha più importanza, pensò Delanna, ma sapeva che Mrs. Siddons avrebbe continuato a rivolgerle quella domanda fino a quando non avrebbe avuto una risposta. «Solo un… vecchio orologio,» spiegò.
«Un orologio?» si stupì Mrs. Siddons. «Ma perché Sonny avrebbe bisogno di un avvocato per vendere un orologio?»
Quella di Delanna era stata una risposta stupida, che sarebbe servita soltanto a rendere ancora più curiosa Mrs. Siddons. «Non è nulla di importante,» spiegò Delanna, tentando di apparire disinvolta. E poi aggiunse, «Nonno Maitz, sa quando finiranno di riparare la diga?»
«Oh, di sicuro lavoreranno per tutta la notte. Perfino se tutto va bene, e io penso che sarà così, dovranno aspettare che il livello del bacino salga per la grandine sciolta prima di poter tornare a casa.»
Delanna annuì tra sé. Era un bene. I suoi occhi erano rossi per il pianto: Sonny avrebbe potuto accorgersi che c’era qualcosa che non andava e lei non voleva dirgli di cosa si trattasse. L’ultima volta che Sonny aveva salvato Cleo, Delanna non aveva saputo che così facendo avrebbe potuto mettere a repentaglio Milleflores. Lui non glielo aveva detto, anche se doveva averlo sicuramente saputo. E Delanna sapeva che lo avrebbe fatto di nuovo, visto che Sonny l’aveva fatto una volta. No, doveva risolvere quel problema da sola.
«Hai un messaggio per Sonny?» stava dicendo Nonno Maitz. «Tra poco porterò loro qualcosa da mangiare. Devo andare abbastanza presto, se voglio essere di ritorno prima del tramonto. La mia batteria non è più quella di una volta.»
«Forse dovresti comprare un orologio invece,» commentò Mrs. Siddons. «Uno così prezioso che c’è bisogno di un avvocato per venderlo probabilmente non si romperà. E forse Mrs. Tanner vuole lasciare un messaggio a Maggie proprio su quell’orologio.»
L’orologio è stato un grosso errore, pensò Delanna. Ma se ne sarebbe occupata più tardi. «Dica solo a Sonny che sto bene e che anche tutte le oche stanno bene.»
«Lo farò,» le promise Nonno Maitz. «Cosa vuoi che lasci detto a Maggie?»
Sì, pensò Delanna. Un’ingiunzione o qualcosa del genere. «Dica a Maggie che ho bisogno di…»
«Ho una chiamata di emergenza per Doc Lyle,» intervenne una voce maschile. Delanna l’aveva già sentita, ma non riuscì ad attribuirle immediatamente un nome.
«Qui è O’Hara, da Winterset Lanzye,» annunciò l’uomo. «Ho bisogno di Doc Lyle. Ho sentito che è da queste parti.»
«Qui Doc Lyle. Ti ascolto.»
«Ho delle pecore molto malate,» spiegò O’Hara.
«Non le hai portate a pascolare sui terreni di Milleflores, vero?»
«Ma certo che no,» replicò O’Hara con quello che sembrò un tono di voce leggermente indignato. «Perché me lo chiedi?»
Perché adesso sta cercando di fare passare Cleo per un’untrice, pensò tristemente Delanna.
«Non importa,» replicò Doc Lyle in tono brusco. «Verrò subito. Sarò lì prima del tramonto.»
Le onde radio rimasero silenziose per un istante, poi Mrs. Siddons intervenne di nuovo. «Tanner la salata, sei ancora lì? Vuoi finire il tuo messaggio per Maggie Barlow per quanto riguarda l’orologio?»
Delanna accese il microfono. «Dite solo a Maggie che non voglio più vendere l’orologio,» rispose, poi interruppe la comunicazione. Il messaggio avrebbe rischiato di confondere Maggie, ma avrebbe potuto impedirle di procedere in ulteriori trattative, se era questo che stava facendo. Non poteva chiederle l’ingiunzione di cui aveva bisogno, ammesso che fosse possibile averla, ma almeno l’irritante Mrs. Siddons aveva chiacchierato abbastanza a lungo in modo che O’Hara si inserisse con la sua chiamata di emergenza. Delanna aveva dimenticato che Doc Lyle si sarebbe comportato come chiunque fosse alla guida di un solaris: avrebbe ascoltato la radio. E se avesse saputo che Delanna stava tentando di ottenere un’ingiunzione per salvare Cleo, avrebbe potuto decidere di non aspettare di disintegrare Cleo in maniera indolore, quando sarebbe tornato a prenderla. Avrebbe potuto decidere di spararle a vista.
Delanna tentò di mangiare, ma il cibo le rimase in gola. Andò a cercare Cleo e non trovò nulla, se non le scimmie, compreso Ragazzone, che dormivano al sole. Tentò di fare rotolare Ragazzone via dalla coperta, ma lui si rifiutò di spostarsi. Cleo non si trovava da nessuna parte. Povera piccola. Probabilmente si era spaventata a morte quando la gabbia era caduta a terra.
Delanna spazzò il pollaio: un lavoro meccanico che le permetteva di pensare a cosa fare. Poteva chiamare Maggie. No, Doc Lyle avrebbe sentito e sarebbe tornato per sparare a Cleo. Oppure poteva prendere Cleo e fuggire. Ma certo: sarebbe stata già fortunata ad arrivare alle Pianure di sale da sola, e se avesse tentato di attraversarle a piedi, lei e Cleo sarebbero morte entrambe e, dopo poco tempo, non ci sarebbe stato null’altro che poche ossa, coperte da qualsiasi vestito avesse scelto di indossare, e accanto a lei quella che sarebbe sembrata una borsa incrostata di gioielli: il corpo essiccato di Cleo. Se solo fosse riuscita ad attraversare le Pianure di sale e poi a salire sulla navetta con Cleo. Aveva ancora il denaro del rimborso.
Fece rientrare le oche molto presto, ma loro sembrarono stranamente d’accordo. Poi andò in casa a fare una doccia, cosa di cui adesso aveva disperatamente bisogno. Cleo era seduta sul portico e sembrava estremamente irritata.
«Sapevo che saresti tornata quando ti sarebbe venuta fame,» commentò Delanna, prendendolo tra le braccia. Lo scarabeo scese sul pavimento non appena furono in casa, corse verso il tavolo, divorò il panino che Delanna non era riuscita a mangiare a pranzo, poi si avviò verso la porta prima che Delanna potesse chiuderla di nuovo. Delanna la prese di nuovo tra le braccia e tentò di coccolarla, ma Cleo iniziò ad agitarsi. Delanna sospirò. La puzza delle oche era tremenda, perfino per lei. Fece entrare lo scarabeo nella gabbia, panino e tutto. Cleo armeggiò con la porticina, poi tornò al panino e continuò a mangiarlo.
Delanna gettò i vestiti sporchi in una bacinella ed entrò nella doccia, mentre le magre opzioni a sua disposizione le rodevano il cervello. Forse avrebbe potuto inviare un messaggio segreto a Maggie, ma Delanna sapeva che era impossibile, visto che le onde radio erano strettamente sorvegliate da Mrs. Siddons e dagli altri ficcanaso come lei. Forse Sonny sarebbe riuscito a pensare a qualcosa. Ma certo che lo avrebbe fatto, però avrebbe perso anche Milleflores. O forse poteva dire a Wilkes e Harry di nascondere Cleo da qualche parte, il che era altrettanto rischioso di farsi aiutare da Sonny, poiché anche Wilkes e Harry erano dei Tanner. Delanna poteva tentare di prendere una navetta prima che Doc Lyle venisse a sapere che era partita con Cleo, e morire nelle Pianure di sale tentando di arrivarci. Però poteva prendere il solaris e attraversare le pianure prima che Doc Lyle e Sonny fossero venuti a sapere che era andata via? Probabilmente no. Non aveva una buona mappa, per non parlare dei dati sul sottosuolo, e le inondazioni provocate dallo scioglimento della grandine dovevano avere cancellato qualsiasi traccia lasciata dalle carovane precedenti. E il sistema di trasmissione del solaris di Sonny aveva ancora bisogno di essere riparato. Avrebbe anche potuto guastarsi a metà strada. Inoltre, Delanna non sapeva neppure come montare i collettori solari.
Quando si rese conto che era rimasta nella doccia tanto a lungo che l’acqua stava diventando fredda, Delanna iniziò a lavarsi i capelli. La saponetta di colore rosso rubino, quella portatale da Jay, si era praticamente sciolta nell’acqua corrente. Scosse la testa e iniziò a sciacquarsi i capelli. Jay avrebbe potuto attraversare le Pianure di sale per venirla a prendere, ma quello che si aspettava da una sua chiamata non aveva nulla a che vedere con il salvare lo scarabeo. L’acqua diventò molto fredda. Delanna uscì dalla doccia.
Mentre mangiava la cena e ascoltava la radio, fece uscire Cleo dalla gabbia. La diga era stata riparata e tutti erano stanchi morti e affamati, ma nessuno era rimasto ferito o si era fatto male in maniera grave. Adesso stavano solo aspettando che il bacino si riempisse, cosa che sarebbe accaduta entro poche ore. Cleo grattò contro la porta per tutto il tempo che Delanna impiegò per mangiare i suoi frutti-di-sole freddi. E dopo che Delanna fu andata a letto, senza riuscire a dormire mentre tentava ancora di pensare al da farsi, Cleo abbandonò il cuscino e andò alla porta per vedere se fosse aperta.
Il mattino seguente, Delanna capì che le scimmie erano andate via. Pensò che era strano che nessuna di loro avesse aspettato che Cleo finisse di fare colazione. Un po’ più tardi, sentì per radio che tutti avevano lasciato la diga di Stillwater e iniziò a osservare la lontana porzione di strada visibile tra il frutteto meridionale e una catena di basse colline che spuntava dalle montagne Greatwall come una costola di dimensioni enormi. Non vide il solaris di Sonny, ma pensò di vedere una banda di scimmie che procedevano faticosamente lungo la strada. Quando ne vide una che si trascinava dietro un puntino rosa, la coperta, che spiccava nettamente contro il paesaggio di un verde smeraldo, fu certa che le scimmie di Milleflores stessero migrando verso sud.
Quando andò a fare uscire le oche dal recinto, portò anche Cleo. E quando tentò di chiuderlo nel pollaio per un po’, lo scarabeo scomparve. Delanna tornò in casa per tentare di comporre un messaggio in codice per Maggie, un messaggio tanto astuto che avrebbe potuto trasmetterlo via radio in tutta sicurezza per comunicare a Maggie di compiere ogni sforzo per trovare un modo per tenere in vita Cleo. Aveva appena appallottolato il centesimo foglietto di carta, adesso era sicura che inviare un messaggio in codice a Maggie sarebbe stato inutile, quando udì il suo nome alla radio, in mezzo al traffico di messaggi provocato dal temporale.
«Mrs. Tanner, è ancora lì?» Delanna si avvicinò alla radio e prese il microfono. «Sono qui,» rispose in tono stanco.
«Sonny e i ragazzi sono già tornati?»
«N…»
Harry irruppe in casa. «Siamo tornati!» gridò mente la superava per andare in cucina. «Sonny e B.T. stanno andando al frutteto orientale, e Wilkes e io dobbiamo portare subito qualcosa da mangiare.»
«Sì, sono qui,» rispose Delanna. «Ma sono nei frutteti.»
«Avresti dovuto vedere quanto era grande quel masso, Delanna, ma noi lo abbiamo spostato solo con…»
Il resto di quello che Harry stava dicendo arrivò attutito perché si era infilato nella cantina in cui venivano conservati i tuberi.
«Be’, avverta Sonny che, a causa della grandine, il suo turno di raccolta è stato anticipato. Gli uomini finiranno i raccolti di Stillwater e Blue Rug e poi verranno direttamente a Milleflores, seguendo il cammino del temporale.»
«Glielo riferirò,» rispose Delanna. Wilkes era appena entrato e stava guardandosi intorno, cercando Harry, poi udì la sua voce provenire dalla cantina. Prese un sacco e seguì lentamente il fratello nella cantina. I due ragazzi non potevano nascondere Cleo per lei, non più di quanto Sonny potesse fare qualcosa per lo scarabeo. Delanna diede un’occhiata al pezzo di carta stropicciata. Un messaggio in codice a Maggie era inutile: non aveva la chiave per interpretare qualsiasi codice Delanna potesse escogitare. No, l’unica soluzione era attraversare le Pianure di sale con Cleo.
«Qualcuno sa dov’è Jay Madog?» chiese sommessamente al microfono.
«Potrebbe essere ovunque,» rispose Nonno Maitz. «Vuoi che gli riferisca qualcosa?»
«Sì, per favore,» rispose Delanna di nuovo in tono sommesso. «Gli riferisca solo che Delanna ha detto che il programma è pronto.»
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
Jay aveva detto che sarebbe arrivato lì prima ancora che Delanna fosse riuscita a preparare i bagagli. Non fu così. E cosa peggiore, Delanna non poteva neppure rischiare di chiedere se aveva ricevuto il messaggio. Specialmente se c’era la possibilità che Doc Lyle fosse in ascolto. Avrebbe capito immediatamente quello che intendeva fare e si sarebbe diretto direttamente a Milleflores. E così Delanna poteva solo aspettare, sperare e tentare di tenere d’occhio Cleo.
In un primo momento, l’aveva messa nella gabbia, ma lo scarabeo si era quasi ferito tentando di uscire e aveva fatto tanto baccano che Delanna aveva avuto paura che Sonny lo sentisse e le chiedesse perché l’avesse rinchiusa lì dentro. Allora la chiuse in camera da letto, ma Cleo si agitava e graffiava incessantemente, lasciando lunghi e disperati solchi sulla porta.
«I tuoi amici, le scimmie, non sono più qui,» spiegò Delanna. «Sono andate a sud, dove fa più caldo. E non puoi uscire. Devi essere qui quando verrà Jay,» e poi fece finta di non sentire l’implorante cinguettio di Cleo.
Lo scarabeo riuscì a uscire nonostante la porte sbarrate e le finestre chiuse. Quando scomparve per la seconda volta, Delanna lo cercò freneticamente per un giorno intero, durante il quale si convinse che lo scarabeo era andato a trovare le scimmie incendiarie e quasi desiderò che lo avesse fatto. Almeno con loro sarebbe stato al sicuro, ma Doc Lyle avrebbe dato la colpa a Sonny e Delanna non poteva permettere che questo succedesse. Quando finalmente trovò Cleo, era ai piedi dello stesso albero in cui l’aveva trovata il giorno del temporale; Cleo la seguì docilmente, mangiò e le permise di rimetterla nella camera da letto. Da cui fuggì immediatamente, uscendo dalla finestra.
Delanna la mise di nuovo nella gabbia, che portò nel pollaio, dove Sonny non poteva sentire i rumori prodotti da Cleo. Ma lui era di rado in casa, come del resto i ragazzi. Erano ancora più impegnati di prima del temporale: pulivano e portavano dentro le palle di cannone fatte cadere dalle grandine e tornavano ben oltre il tramonto; mangiavano e andavano direttamente a letto, senza dire molte parole. Cosa di cui Delanna era grata.
Era ancora più lieta che Cadiz non fosse lì. B.T. aveva dovuto accompagnarla a casa, in modo che aiutasse a mettere in ordine il lanzye dei Flaherty. Chiamava due volte al giorno via radio, e già sostenere quelle conversazioni senza che Cadiz scoprisse nulla era abbastanza difficile. Se fosse stata lì in carne e ossa, Delanna non sarebbe mai riuscita a nascondere il suo problema. E non ci sarebbe riuscita neppure così, se Cadiz non fosse stata preoccupata dalle sue trattative di fidanzamento e dal raccolto che si avvicinava.
Il temporale aveva causato ciò che sperava Sonny: aveva anticipato i momento del raccolto a Milleflores. Gli uomini sarebbero arrivati tra quattro giorni, un tempo appena sufficiente per prepararsi ad accoglierli. Le conversazioni di Cadiz e di Delanna alla radio sembravano quelle di Mrs. Siddons — erano quasi interamente costituite di ricette — e adesso Delanna capiva l’importanza del raccolto di pomarance: sarebbero servite a nutrire i braccianti. Crostata di pomarancia, pane di pomarancia, stufato di pomarancia, perfino arrosto di pomarancia. Cadiz le dava istruzioni su quanto preparare e su come servirlo e aveva promesso di venire non appena possibile. «Abbiamo sistemato tutto, tranne il testamento. Papà vuole che inseriamo una clausola che riguarda le promesse di matrimonio dei nostri figli, ma io e B.T. non vogliamo.»
Delanna era felice che ci fosse così tanto da fare: le impediva di pensare a Sonny, al dolore che gli avrebbe inflitto la sua fuga, e a Milleflores. E al dolore che le avrebbe inflitto. Adesso che stava per lasciare Milleflores, le sembrava incredibilmente bello. La grandine aveva distrutto la maggior parte dei fiori che non erano protetti dalla casa, ma ne erano spuntati altri, incoraggiati dall’aria umida e dalle temperature miti: campanule dorate e arcangeli e firriol viola. Fiorivano tra gli edifici esterni, agli angoli del portico, in un angolo riparato del recinto delle oche.
Tentò di ignorarli e si concentrò nel cuocere torte e pasticci di pomarancia, ascoltando ansiosamente la radio in cerca di notizie su Jay e Doc Lyle. Non udì nulla. Tutti, da Spencer’s Wagon a Ultima Thule, erano troppo impegnati a riferire i danni provocati dal temporale per mettersi a spettegolare. Le strade erano state spazzate e un ponte sulla strada settentrionale era fuori uso, il che era una buona notizia, se Doc Lyle era andato in quella direzione, oppure una cattiva, se era sulla strada dei Carmody, dove Jay era andato per consegnare il suo carico.
Il Teapot Lanzye aveva perso un edificio esterno e cinque galline. Sylvan View aveva perso una parte di un frutteto per i danni provocati dal vento. Il lanzye dei Carmody aveva subito un’inondazione.
Le piogge non avevano ancora colpito le Pianure di sale e molti si chiedevano quando lo avrebbero fatto. Delanna si rifiutò di pensare a cosa sarebbe accaduto se non fossero riusciti ad attraversarle. Invece si concentrò su cosa fare una volta che lei e Cleo fossero giunte a Grassedge. Aveva il rimborso del biglietto e poteva firmare un contratto di servitù per pagare il biglietto della navetta oppure prendere in prestito la differenza da Maggie. Non da Jay. Lui le aveva già recuperato il baule ed era riuscito a ottenere il rimborso, e Delanna gli doveva il suo passaggio a Grassedge. Non voleva essere ancora in debito con lui. La navetta sarebbe arrivata tra due settimane; per quella seguente, avrebbe dovuto attendere un mese. Se Jay fosse arrivato quel giorno, avrebbero potuto farcela facilmente. E se non fosse riuscita a prenderla, si sarebbe semplicemente trovata un lavoro in uno dei saloon fino all’arrivo della navetta seguente. O si sarebbe nascosta nelle miniere, se vi fosse stata costretta.
Le sue riflessioni terminavano a questo punto. Immaginava che poi sarebbe tornata su Rebe Primo, anche se non aveva alcuna idea su cosa avrebbe fatto lì. Ma questo non aveva molta importanza. Tutto quello che importava era che Jay arrivasse quel giorno.
Ma non arrivò quel giorno, e neppure quello successivo. Cadiz chiamò per avvertire che stavano partendo dal lanzye dei Flaherty e Sonny mandò Harry ad aiutare Delanna a preparare la casa per l’arrivo dei braccianti. «Alcuni di loro potrebbero essere qui perfino stasera, ma questo dipende dalle condizioni delle strade. Si accamperanno nel frutteto, ma sicuramente vorranno usare lo doccia.»
Non ci sarebbero state molte docce calde, anche se i lavoratori si fossero lavati in fretta, ma avrebbero avuto a disposizione un mucchio di asciugamani caldi. Harry ne portò un’altra bracciata dalla baracca dei Tanner e Delanna li mise nella scatola del bagno che conservava il calore solare anche di notte.
«Stanotte andrò a dormire con i lavoranti nel frutteto,» annunciò Harry. Stava lottando con il chiavistello della scatola, che non voleva chiudersi perché gli orli degli asciugamani si erano incastrati nella porta. «Sonny ha detto che potevo farlo.»
«Potevi fare cosa?» chiese Delanna mentre apriva la porta per liberare gli asciugamani. Erano in un mucchio disordinato e Delanna iniziò a metterli in ordine.
«Dormire nel frutteto,» le spiegò Harry in tono felice. «Qualche volta fanno un fuoco da campo e arrostiscono fettine di pomarancia su un bastoncino. E raccontano storie, perfino di quelle che fanno paura. Potresti venire anche tu, Delanna. Sai raccontare delle storie molto belle.»
Gli occhi di Harry erano tanto luminosi per l’anticipazione che, vedendoli, a Delanna si strinse il cuore. Che tipo di storie avrebbero raccontato i lavoranti attorno al fuoco l’anno seguente? Harry sarebbe stato così ansioso di sentire la storia di una sposa fuggiasca? Avrebbe capito che lei doveva salvare Cleo?
«Spero che i lavoranti arrivino molto presto,» affermò Harry.
E se Jay non viene prima che comincino ad arrivare? pensò disperatamente Delanna. Come farà a portare me e Cleo via di qui? Accese la radio, chiedendosi se dovesse inviare la richiesta di rintracciare Jay. Stava trasmettendo Iron Lick, riferendo dei danni provocati dal temporale. «Quattro alberi abbattuti e oggi ho trovato l’altro mandarino. Una femmina. Era morta. C’è un pulcino, ma da solo non può sopravvivere. Dite a Doc Lyle che l’ho messo comunque in un’incubatrice.»
Iron Lick era situato sul versante opposto delle montagne Greatwall. Per favore, per favore, pregò Delanna, fa’ che vada a prendere il pulcino.
I lavoranti iniziarono ad arrivare, portando enormi quantità di cibo, di ambrosia e di buona volontà. «E così questa è la moglie di Sonny,» dicevano tutti, passandole cesti coperti da un panno e colmi di bigné di pomarancia. «Sei perfino più bella di quello che dicevano. E non sembri tanto salace quanto mi aspettavo.»
Arrivarono persone dai lanzye vicini e Delanna fu indaffarata a servire il cibo sulle lunghe tavolate allestite nel frutteto. Corse a vedere chi fosse ogni volta che udiva un solaris avvicinarsi al viottolo, sperando che fosse Jay, ma lui non arrivò. Invece arrivarono Mort Sanderson, Bruno Stern, Sugarbabe Toricelli, tutte le persone che Delanna aveva ascoltato parlare via radio per settimane.
Nessuno di loro era come se l’era immaginato Delanna. «Bigbottom» Brigbotham era una ragazza incredibilmente attraente con un fisico perfetto. Tom Toricelli era alto e sottile e aveva la pelle nera come il carbone, Old Man Morelli non era più vecchio di Sonny. Solo Mrs. Siddons sembrava esattamente quello che aveva suggerito la sua voce: una signora di mezza età corpulenta e con un paio di occhietti furbi che sembravano osservare ogni minimo particolare. Arrivò indossando un vestito a nido d’ape che Delanna aveva sentito spiegare alla figlia, riguardo al modo in cui cucirlo, e portando un’enorme pentola del suo famigerato stufato verde.
«Nel solaris ci sono una sorpresa alla pomarancia e una torta di carote azzurre,» annunciò, squadrando Delanna. «Questo stufato è già cotto. Ha solo bisogno di essere riscaldato. Mi sembri un po’ palliduccia. Sonny non ti tratta bene?»
Delanna prese lo stufato e lo mise sul fuoco. «Sonny è meraviglioso,» replicò.
Mrs. Siddons sembrò delusa: ovviamente avrebbe preferito sapere qualcosa su cui spettegolare via radio. «Be’, devo ammettere che non mi sembri proprio una Straniera,» dichiarò infine.
Ma Delanna lo era stata e lo sarebbe diventata di nuovo. E tra qualche giorno, Mrs. Siddons avrebbe avuto un mucchio di pettegolezzi da fare: su come Delanna Tanner aveva lasciato il marito ed era fuggita con Jay Madog, su come non era riuscita a sopportare la vita dei lanzye e così se ne era andata a Carthage, su come avevano sempre pensato che fosse un errore per Sonny sposarsi con lei, una Straniera, con tutte le sue arie e i suoi vestiti eleganti. E su come fosse identica alla madre.
Non importa, si disse Delanna. Non sarò qui a sentire i pettegolezzi— Ma Sonny li avrebbe sentiti. Avrebbe dovuto sorbirsi tutto: le ipotesi, i consigli benintenzionati, i commenti comprensivi.
Arrivò Cadiz, portando altre sedie e notizie fresche sul suo fidanzamento. «Penso che riusciremo a negoziare tutto in tempo per annunciare il nostro fidanzamento al raccolto,» annunciò, contenendo a stento la propria eccitazione. «In ogni caso, mamma mi ha fatto portare un vestito. E allora, come vanno le cose tra te e Sonny?»
«Devo portare dentro dei mimkin secchi,» replicò Delanna e uscì fuori.
«lo finirò di portare dentro le mie cose dal solaris,» annunciò Cadiz. «E poi voglio sentire tutto.»
Delanna andò all’essiccatoio, felice di essere sfuggita a Cadiz, almeno per il momento. Ma come le avrebbe detto quando sarebbe tornata dentro? Cosa avrebbe fatto a lavorare con lei dentro la stessa cucina? Oh, ti prego, Jay, vieni subito!
Sollevò una mano per prendere un vassoio e un uomo le afferrò il braccio, la fece girare e la baciò.
«Jay!» esclamò Delanna quando la lasciò andare.
Lui portò un dito alle labbra. «Ho immaginato che sarebbe stato più facile se nessuno mi avesse visto e così sono arrivato dal retro. Il solaris è parcheggiato sulla strada, sul sentiero che conduce alla sorgente.» La fissò ansiosamente. «Sono venuto non appena ho ricevuto il tuo messaggio.»
Per Delanna fu difficile osservare l’eccitazione che lesse nei suoi occhi. Distolse lo sguardo. «Grazie.»
«Non riuscivo a credere che tu avessi davvero inviato il messaggio,» affermò Jay, accentuando la stretta sul braccio di Delanna. «Pensavo che non l’avresti mai mandato.» Iniziò ad attirarla a sé.
«Sarebbe meglio che ce ne andassimo via prima che qualcuno ci veda,» replicò Delanna, scostandosi immediatamente. «Devo solo andare a prendere la mia sacca e Cleo. Il mio bagaglio è in casa.»
Passò sotto il braccio di Jay e corse dentro, sperando che Cadiz fosse ancora fuori, accanto al solaris.
Lo era. Delanna corse in camera da letto, aprì il baule della madre e afferrò la sacca. Sotto di essa c’era il mazzo di fior-di-rosa secchi che le aveva dato Sonny. Non pensarci, si esortò. Non pensare a nulla. Prendi Cleo e vattene di qui. Scostò la porta di qualche centimetro per essere sicura che non ci fosse nessuno, poi corse di nuovo da Jay sul retro della casa.
«Di sicuro hai una fretta dannata di venire con me,» commentò Jay, allungando un braccio. «Devo ammettere di sentirmi lusingato.»
Delanna gli tese bruscamente la sacca. «Cleo è dentro con le oche,» annunciò, poi si avviò verso il recinto.
«Jay Madog!» chiamò Cadiz.
Delanna rimase immobile. Si girò e vide Cadiz accanto alla casa, le mani sui fianchi.
«Ma cosa diavolo ci fai qui?» chiese Cadiz in tono caloroso. «Pensavo che fossi su a nord. Le gemelle Spellegny erano troppo calde per te? O hai sentito dire che ero fidanzata e non sei riuscito a sopportarlo?»
Si avviò verso Jay con la sua andatura flessuosa, le mani ancora sui fianchi. «Per chi sei tornato?» chiese. «Per Mary Brigbotham oppure…» Tacque di colpo vedendo la sacca. Guardò Jay, il sorriso ormai svanito, poi fissò Delanna per un lungo istante.
Delanna distolse lo sguardo.
«Non importa,» disse Cadiz a Jay. «È ovvio per chi sei venuto. Ed è ovvio che lo hai avuto.» Si avviò verso la facciata anteriore della casa.
«Cadiz, tu non capisci…» fece Delanna.
Cadiz si girò. «Cos’è che non capisco?» replicò in tono furioso. «Quello che vedo non è ciò che sembra? Per caso la tua sacca è piena di mimkin secchi? Oppure cosa?»
Delanna sollevò la testa per guardarla. «Ti prego, non dirlo a Sonny. Almeno fino a quando non ce ne saremo andati. Ti prego.»
«Non dirlo a Sonny…? E perché non dovrei farlo? Non vuoi ferire i suoi sentimenti? Pensi che si accorgerà che non sei qui solo dopo la fine del raccolto?» replicò Cadiz in tono furente. «O forse pensi che sia troppo stupido per accorgersene?» Si fermò, respirando affannosamente. «Come hai potuto fargli questo? B.T. e io avremmo costruito la nostra casa sul prato settentrionale in modo che potessimo vivere vicino a voi.» La guardò come se stesse per scoppiare a piangere. «Come hai potuto?»
Non piangere, pensò Delanna. Non riuscirei a sopportarlo.
«Delanna non è mai stata la moglie di Sonny, tu questo lo sai,» intervenne Jay. «Era un matrimonio pro forma. Un accordo commerciale.»
«È vero, Delanna? Era solo un accordo commerciale? Nient’altro?»
«Tu non capisci,» ripeté Delanna.
«Bene,» ribatté Cadiz. «Allora spiegamelo tu.»
«Non ho tempo. Devo andare a prendere Cleo.» Superò Cadiz e corse verso il pollaio, ricacciando indietro le lacrime. Non hai tempo per piangere. Prendi Cleo e va’ via, pensò. E poi rimase lì, ammiccando e fissando la gabbia vuota: la porticina era stata forzata.
Era impossibile che Cleo potesse aprire la porticina della gabbia e il cancello del pollaio, eppure ci era riuscita. Sia la porticina che il cancello erano aperti, e nel pollaio non c’era nulla, tranne un’oca decisamente arrabbiata. Delanna prese la gabbia e la esaminò attentamente, incapace di accettare che Cleo fosse fuggita, poi si guardò intorno freneticamente. E se Doc Lyle fosse già tornato e avesse preso lo scarabeo senza dirglielo’?
«No,» disse ad alta voce, tentando di rimanere calma. «Avrebbe aperto la porta della gabbia, non l’avrebbe rotta.» Cleo era riuscita a uscire da sola. Ma cosa sarebbe successo se, una volta libera, fosse arrivata nel frutteto, nel bel mezzo del raccolto? Delanna lasciò cadere la gabbia e corse di nuovo da Jay e Cadiz.
«Cleo è sparita!» gridò. «Dobbiamo trovarla!»
«Forse è fuggita senza dirlo a nessuno. Come la sua padrona,» ironizzò Cadiz.
«Probabilmente è solo andata a farsi una passeggiata,» commentò Jay. «Non ronzava intorno alle scimmie incendiarie?»
«Sono migrate a sud,» lo informò Delanna. «Devi aiutarmi a trovarla!» Gli afferrò il braccio. «Jay, va’ a vedere se è negli edifici esterni. Cadiz, tu guarda in casa. Qualche volta striscia sotto il letto.» Poi si avviò di corsa lungo il sentiero che conduceva alla sorgente. Aveva sorpreso Cleo molte volte alla base dello stesso albero. Forse era andata di nuovo lì.
Ma Cleo non c’era: l’albero era stato abbattuto dal temporale e giaceva per metà nella sorgente; le radici avevano schiacciato il cespuglio reddsie in cui Cleo aveva tentato di fuggire quando Delanna l’aveva sorpresa la prima volta. «Cleo!» gridò, tentando freneticamente di pensare in quale altro posto potesse trovarsi. Si girò per ripercorrere il sentiero e incontrò Cadiz prima di avere fato cinque passi.
«Voglio sapere cosa sta succedendo,» esigette Cadiz. «E non dirmi che sei innamorata di Jay Madog. Ti ho visto con Sonny dopo il temporale. Qual è il vero motivo per cui stai andando via? Cos’è successo?»
Delanna tentò di superarla. «Devo trovare Cleo!»
Ma Cadiz le sbarrò la strada. «Perché? Cleo è già fuggita altre volte e non ti sei mai comportata così.»
Deanna si tuffò nei cespugli, aggirò Cadiz e raggiunse l’orlo della sorgente. Cleo non era neppure lì. La sorgente era piena di foglie e di rami caduti, come lo era stata la prima volta che l’aveva vista. Si sporse dalla roccia, cercando qualche scimmia incendiaria, ma erano andate a sud; non vide nulla se non rocce e fango.
«Non puoi imbrogliarmi, Delanna Tanner. È successo qualcosa. Ma cosa?»
Jay le raggiunse, portando ancora la sacca di Delanna. «Non era in nessuno degli edifici. L’hai trovata?»
«No,» rispose Delanna, guardandosi freneticamente intorno. In che altro posto sarebbe potuta andare, se non all’albero o dalle scimmie? Forse aveva trovato un uovo da covare. Forse una delle oche… «Dobbiamo tornare a casa,» disse a Jay. «Forse ha fatto un nido sotto la casa.»
«No,» affermò Cadiz, sbarrando di nuovo la strada a Delanna. «Non ti permetterò di farlo.»
«Tu non capisci,» ripeté per l’ennesima volta Delanna.
«Hai ragione. Non capisco. Spiegami con esattezza perché stai fuggendo con Jay Mad…» Cadiz si fermò notando l’espressione sul volto di Delanna.
Sonny si era avvicinato alle spalle di Cadiz. In mano aveva uno dei lunghi bastoni dotati di gancio che servivano per bacchiare le palle di cannone ed era arrivato appena in tempo per sentire quelle parole: «Spiegami con esattezza perché stai fuggendo con Jay.» Non che Sonny ne avesse bisogno per intuire come stessero le cose. Jay era lì e aveva in mano la sacca di Delanna. Ma Sonny non stava guardando Jay, stava fissando Delanna come un uomo che abbia ricevuto un pugno sulla mascella.
Delanna aveva pensato che non sarebbe riuscita a sopportare la visione di Cadiz, dura e mordace, prossima alle lacrime, ma questo fu anche peggio. Ho passato intere settimane a biasimare mia madre per quello che ha fatto a Sonny, pensò disperatamente Delanna, ma lei non gli mai fatto venire questa espressione sul volto.
Quell’istante sembrò durare per sempre: lui sembrava assolutamente stordito, aveva un’aria talmente sconfitta, Delanna non riusciva a parlare, neppure per dire, «Sonny…»
Jay si avvicinò. «Adesso, sta’ a sentire, Tanner. Delanna mi ha mandato a chiamare…»
Sonny lo ignorò. «Dov’è Cleo?» chiese; parlò in tono fermo, ma il suo volto conservò l’espressione abbattuta.
«Non lo so,» rispose Delanna. «È fuggita.»
«Dobbiamo trovarla e nasconderla,» spiegò Sonny. «Doc Lyle è qui.»
«Qui?» ripeté Delanna in tono inespressivo.
«Qui,» confermò Doc Lyle ed entrò nella radura. In una mano impugnava una pistola e con l’altra reggeva la gabbia danneggiata. «Dov’è l’esemplare?»
«Non lo so,» rispose Delanna, facendo un passo indietro, come in cerca di protezione.
«Consegnami subito lo scarabeo, in modo che possa venire distrutto, oppure sarò costretto ad arrestarti.»
«Adesso aspetta un minuto,» intervenne Jay. «Non puoi…»
«Ospitare una specie di contrabbando costituisce una violazione delle leggi di Keramos che potrebbe comportare conseguenze molto serie,» lo interruppe Doc Lyle. «Ho messo al corrente Mrs. Tanner di queste conseguenze quando sono stato qui l’ultima volta.»
Sonny girò di scatto la testa per guardare Delanna. «Doc Lyle è già stato qui?»
Lei annuì.
«Lo sapevo!» esclamò Cadiz. «Sapevo che doveva essere successo qualcosa che aveva costretto Delanna a fuggire con Jay.»
Sonny si girò verso il veterinario. «E tu hai detto a Delanna che avresti eliminato Cleo la prossima volta che saresti tornato.»
«Le ho detto che era colpevole di avere introdotto una specie di contrabbando su Keramos e che dunque aveva esposto le specie locali alla minaccia di qualche malattia. Le ho detto che l’esemplare doveva essere eliminato. Su questo la legge è molto chiara.»
«Deve esserci un modo ragionevole per sistemare questa faccenda,» affermò Sonny. «Cleo non è un pericolo per nessuno. Gli scarabei non sono portatori di malattie in grado di trasmettersi ad altre specie e Cleo ha fatto tutte le iniezioni prescritte. L’unica ragione per cui non l’hai autorizzata a entrare sul pianeta quando l’hai vista per la prima volta era che Delanna non aveva compilato l’apposito modulo prima di lasciare Rebe Primo. Ormai Cleo è rimasta su Keramos per due settimane oltre il periodo di quarantena, ma non ha infettato nessuno, che si trattasse di persone oppure di animali. È innocua.»
«Tu questo non puoi saperlo con certezza,» ribatté Doc Lyle. «E se l’esemplare distrugge l’habitat di un’altra specie? O mangia le loro uova? Su Keramos ormai è rimasto un solo pulcino di mandarino reale e non ha quasi nessuna possibilità di sopravvivenza. Vuoi vedere estinguersi altre specie?» Sollevò la pistola. «L’ultima volta sono state le scimmie incendiarie a impedirmi di eliminare l’esemplare,» proseguì, fissando con rabbia Delanna.
«E con questo, sono in debito con loro di due favori,» mormorò Sonny.
«Non intendo subire nessun altro impedimento. Consegnate immediatamente l’esemplare.»
«Non so dove sia,» affermò Delanna in tono stordito… e poi Cleo entrò nella radura.
Delanna si lanciò verso lo scarabeo, lo afferrò e arretrò. «No!» esclamò. «Non lascerò che la uccida.»
«Allora ti dichiaro in arresto,» affermò Doc Lyle. Allungò una mano verso Cleo.
«Vieni dietro di me, Delanna,» ordinò Sonny, brandendo il bastone contro Doc Lyle.
Delanna si mise dietro Sonny, stringendo Cleo al petto.
«Mettila tra i cespugli,» le ordinò Sonny.
«Confischerò il tuo lanzye per questo, Tanner,» lo minacciò Doc Lyle, arretrando.
Delanna esitò. «Non posso permetterti di farlo, Sonny,» affermò. «Non puoi perdere Milleflores, non quando hai lavorato così duramente per mandarlo avanti.»
Jay disse, «Sonny, non puoi rinunciare a un lanzye per uno…»
«Mettila tra i cespugli, Delanna,» ripeté Sonny, tenendo il bastone tra lei e Doc Lyle.
Delanna si chinò e poggiò Cleo sul terreno. «Vai,» le sussurrò, spingendo lo scarabeo nel cespuglio fino dove arrivava il braccio e desiderando che fosse davvero impenetrabile come sembrava. Cleo si allontanò prontamente, i rami spinosi si chiusero protettivamente dietro di lei. Delanna si alzò.
«D’ora in poi dichiaro voi due in arresto,» affermò Doc Lyle, continuando a tenere d’occhio il gancio. «Le leggi di Keramos…»
«Sono il motivo per cui Delanna non è potuta tornare indietro sulla navetta,» lo interruppe Sonny in tono rabbioso. «Se non fosse stato per le leggi di Keramos, Delanna non avrebbe mai dovuto portare Cleo su questo pianeta. Se non fosse stato per le leggi di Keramos, non avrebbe dovuto viaggiare per cinquemila miglia fino a un lanzye in fallimento e non avrebbe dovuto sopportare di essere sposata con uno zotico ignorante… Sono state proprio le leggi di Keramos a combinare questo terribile pasticcio!» Scagliò il bastone ai piedi di Doc Lyle. «Avanti, procedi pure, arrestami per avere violato le leggi di Keramos!»
«Sei in arresto,» affermò Doc Lyle, avanzando e allontanando con un calcio il bastone. «Le accuse sono: possesso di una specie illegale, resistenza all’arresto, minacce a…» Si fermò.
Cleo zampettò fuori dal cespuglio e arrivò fino ai piedi di Doc Lyle. Lui sollevò l’arma.
«Spara a Cleo,» lo minacciò Sonny, «e io avrò la tua pelle.»
«La prego…» disse Delanna nello stesso istante, ma il veterinario aveva già abbassato la pistola.
Alle spalle di Cleo, in una fila disordinata, avanzarono nove pulcini di mandarino reale. Uno di loro, correndo per non allontanarsi dagli altri, spiegò le sue minuscole ali, provocando un lampo azzurro, verde e porpora.
«Ma quelli sono mandarini reali!» esclamò Cadiz, anche se non era necessario. «Pensavo che il temporale li avesse uccisi tutti.»
«Cleo deve avere covato le loro uova,» spiegò Delanna. «Ecco perché tentava di uscire fuori durante il temporale.»
Doc Lyle sembrava sbalordito. Fissò i pulcini di mandarini reali come se non riuscisse a credere ai propri occhi.
«Era una coppia che aveva fatto il nido,» commentò Sonny. «E questo scarabeo di contrabbando ha posseduto illegalmente questi pulcini dalla fine del temporale. E così adesso hai un bel problema, vero, Doc Lyle? Cleo è una specie di contrabbando, e la legge è legge. Dunque devi spararle.»
«No!» gridò Delanna.
«Ma se lo fai, avrai una specie estinta. Questi pulcini non possono certo sopravvivere da soli, vero?»
«No,» ammise Lyle in tono cupo.
Cleo cinguettò e i pulcini corsero da lei, rifugiandosi sotto il suo carapace. Chiocciando sommessamente, lei li radunò dolcemente con le zampe anteriori.
«La legge è molto chiara,» proseguì Sonny. «Mi sembra che l’unica cosa da fare sia dichiarare Cleo un mandarino reale. In questo modo non sarà più un animale di contrabbando e tu avrai nove mandarini reali invece di nessuno.»
«Dieci,» mormorò Doc Lyle. «Nel mio solaris ho un pulcino.»
«Dieci,» ripeté Sonny. «E dieci pulcini significano almeno un paio di coppie che faranno il nido. Allora, che ne dici?»
«Cadiz!» chiamò B.T. ed entrò nella radura. «Eccoti qui! Cosa stavi facendo? Pensavo che avremmo dovuto fidanzarci.»
«Lo faremo, lo faremo,» rispose Cadiz, invitandolo a tacere con un gesto. «Voglio solo vedere come va a finire questa storia.»
Doc Lyle si inginocchiò accanto a Cleo e allungò una mano verso uno dei piccoli, che si affrettò a rifugiarsi sotto il carapace di Cleo. Lo scarabeo diede un secco buffetto alla mano del veterinario con la zampa anteriore. Allora Doc Lyle si alzò. «Andrò a prendere l’altro pulcino,» dichiarò.
«E non intenterai alcun accusa contro Sonny o Delanna?» chiese Jay.
«Non intenterò alcun accusa.»
«E non sparerai allo scarabeo,» chiese Sonny, «anche dopo che i pulcini saranno cresciuti?»
«Non è uno scarabeo,» replicò Doc Lyle, fissando con aria meditabonda i pulcini che si stringevano a Cleo. «Avevi ragione. È un mandarino reale. Sono una specie protetta. Nessuno può sparare contro di loro.» Si avviò verso il solaris.
«Vieni, Cadiz. Ti stanno aspettando tutti,» intervenne B.T. «E vieni anche tu, Jay. Voglio che tu veda questo spettacolo. E tu vieni, Delanna?»
«Tra un minuto,» rispose lei. B.T. trascinò Cadiz lungo il sentiero, seguito da Jay.
«Sonny…» disse Delanna, voltandosi per ringraziarlo, ma lui era già andato via. Rimase lì un istante, guardando il bastone assieme a Cleo e alla sua cinguettante covata; poi, travolta dalle troppe emozioni vissute, si afflosciò su una delle rocce al bordo della sorgente. Dopo un po’ iniziò a piangere.
Stava arrivando qualcuno. Sollevò lo sguardo, sperando che fosse Sonny, ma era solo Jay, che le diede la sacca. «Immaginavo che l’avresti voluta indietro.»
«Grazie,» replicò Delanna, asciugandosi le lacrime. «Jay…»
«Sì, lo so, lo so. Se non fosse stato per le leggi di Keramos, una certa moglie non mi avrebbe mai mandato a chiamare.»
«Mi dispiace di averti usato,» affermò Delanna. «Ero così spaventata per Cleo. Lei è inerme. Dipende da me…»
Jay la interruppe. «Va tutto bene. Come mi ha detto Mary Brigbotham l’altro giorno, è più che giusto che una volta tanto sia io a essere usato.»
Delanna sorrise lievemente a quella battuta.
Jay si voltò per andare via, poi si fermò. «La mia offerta è ancora valida, sai.»
«Jay…»
«Mi riferivo al trasporto. Posso portarti a Grassedge, alla navetta, ovunque tu voglia. Niente cartellini attaccati, nessun invito a venire nel mio solaris.»
«Grazie,» replicò Delanna in tono sincero.
Jay si avviò verso il limite della radura, sfiorando Sonny. Delanna si alzò. «Grazie per avere salvato la vita a Cleo,» gli disse.
«Prego,» replicò Sonny in tono rigido. «Ho parlato con Doc Lyle. Dice che ci vorranno sei settimane prima che i piccoli mandarini reali possano sopravvivere da soli. Per allora, la Corte Itinerante dovrebbe averti concesso il divorzio. Fino ad allora, puoi rimanere in casa, o, se vuoi, puoi tornare a Grassedge. Io ti porterò Cleo quando avrà finito di allevare i piccoli.»
Delanna annuì in modo inespressivo.
«Il padre di Cadiz è disposto a comprare il distillatore,» proseguì Sonny, distogliendo lo sguardo da Delanna. «Il denaro che riceverò dalla sua vendita e il rimborso che hai ricevuto saranno sufficienti per pagarti un passaggio per Carthage e ti permetteranno di vivere per un po’. Ti sta bene?»
«Mi sta bene,» riuscì a dire Delanna. «Sonny…»
«Devo andare a vedere Cadiz e mio fratello che si fidanzano,» annunciò lui, e si girò per lasciare il boschetto.
«Ma dove credi di andare?» esclamò Cadiz. Era al centro del sentiero e batteva il cappello contro il ginocchio; nonostante il vestito e i fiori sul cappello sembrava furiosa come quel giorno a Grassedge, in mezzo alla strada.
«Lasciami passare, Cadiz,» disse Sonny.
«Per nulla al mondo,» ribatté Cadiz. «Tu rimarrai qui.»
«Cosa ci fai qui?» chiese Delanna. «Pensavo che tu e B.T. avreste dovuto annunciare il vostro fidanzamento.»
«Lo stavamo facendo. Grazie a un po’ di astuzia e a qualche buon consiglio. Se non fosse stato per te, Delanna, B.T. e io non ci saremmo mai messi insieme. Eravamo entrambi troppo testardi. E troppo stupidi. Come un paio di altre persone che conosco.» Fece correre lo sguardo da Sonny a Delanna. «Lo avrei lasciato uscire dalla mia vita senza dirgli cosa provavo per lui.» Incrociò le braccia. «Sono qui per assicurami che una cosa del genere non succeda a voi.»
«Cadiz, questi non sono affari tuoi,» replicò Delanna.
«Ah, sì? Se non fosse stato per te, starei ancora correndo dietro a B.T., coprendolo di insulti ogni volta che lo vedevo. Cos’è che mi hai detto nel solaris: ‘Se lo ami, faresti meglio a dirglielo’. Be’, è stato un buon consiglio. Dunque, chi vuole iniziare?»
Delanna guardò Sonny, ricordando B.T. e Cadiz all’accampamento di Little Dip, entrambi tristi e litigiosi e chiaramente innamorati l’uno dell’altra, entrambi restii a dichiarare i loro veri sentimenti. Un ragazzo deve avere qualche indizio che la ragazza non gli riderà in faccia prima di dichiararle quello che prova, aveva detto Sonny, e questo valeva più per lui che per B.T. La madre di Delanna gli aveva riso in faccia per anni, poi era arrivata lei e lo aveva definito un Neanderthal, gli aveva detto che avrebbe preferito morire piuttosto che essere sposata con lui e aveva civettato con Jay Madog. E quando si era trovata nei guai, aveva chiamato quest’ultimo.
«Sonny…»
«Eccovi qui!» esclamò Mrs. Siddons, cogliendoli di sorpresa. «Tutti vi stanno cercando dappertutto. Cadiz, ormai pensavo che fossi fuggita con Jay Madog.» Si guardò intorno, come se sospettasse che Jay potesse essere nascosto tra i cespugli.
«Avevamo una faccenda da risolvere,» replicò Cadiz, fissando Delanna.
«Potrete risolverla dopo,» ribatté Mrs. Siddons. «Mettiti il cappello.»
Cadiz si calcò il cappello in testa.
«Oh, no, non puoi fidanzarti in questo stato,» si lamentò Mrs. Siddons. «Delanna, fa’ qualcosa per quel cappello. Sonny, devi venire per sistemare gli stivali di B.T. Sbrigati!»
Li spinse di forza tutti e tre lungo il sentiero, gridando, «Tutto a posto. Li ho trovati!» e, quando furono al centro del cortile, «Harry e Wilkes, voi venite qui.»
Harry e Wilkes arrivarono subito. «Ho sentito che il tuo scarafaggio…»
«Non è uno scarafaggio,» lo interruppe Delanna. «È un mandarino reale.» Qualcuno spinse Delanna accanto a Cadiz e a Mrs. Siddons, che stava armeggiando inutilmente con il cappello. Cadiz sembrava sul punto di prenderlo e gettarlo a terra.
«Ecco. Lascia fare a me,» si offrì Delanna, passando davanti a Mrs. Siddons. Spinse leggermente indietro il cappello e lisciò i capelli di Cadiz.
«Per citare una mia amica,» commentò Cadiz, «’Se ami qualcuno, faresti meglio a dirglielo’.» Delanna si sporse in avanti e baciò Cadiz su una guancia. «Oppure ti strozzerò.»
«E io farò lo stesso,» affermò Wilkes.
Si girarono tutti a guardarlo.
«Ma allora sai parlare,» si stupì Delanna.
«Te l’avevo detto,» commentò Cadiz.
«Molto bene. Ora, Cadiz e B.T., voi rimanete qui.» Mrs. Siddons spinse da parte Delanna, mettendo in posizione B.T. e Cadiz. «I fratelli di Cadiz devono stare qui e quello è il posto di Mr. e Mrs. Flaherty.» Li dispose tutti intorno alla coppia. «Tu stai qui, Delanna,» la istruì, spostandola verso l’estremità della fila. «E, Sonny, tu stai accanto a Delanna e i ragazzi accanto a te. Dov’è Jay Madog?» Era sul portico, flirtando con Mary Brigbotham. Mrs. Siddons lo trascinò per il braccio e lo fece mettere accanto a Mrs. Flaherty.
Qualcuno mise una tazza di ambrosia nella mano di Delanna. «Per il brindisi,» le spiegò.
«Dov’è Mr. Flaherty? Tu rimani qui,» ordinò Mrs. Siddons. «No, no, Cadiz… molto bene. Giudice, può iniziare quando vuole.»
«Grazie,» rispose il giudice in tono secco. «In accordo con le leggi di Keramos…» Iniziò a leggere in tono monotono le leggi matrimoniali del pianeta.
Delanna guardò la folla che ascoltava pazientemente il giudice, poi fissò la tazza di ambrosia per un lungo minuto prima di berne un sorso, con decisione. Aveva il gusto di un ottimo vino, dolce come miele, un sapore davvero celestiale. «Ha un sapore meraviglioso,» sussurrò a Sonny.
«Te l’avevo detto,» replicò lui. «La notte del temporale.»
L’ambrosia poteva anche avere sciolto la lingua di Sonny, ma non stava certo aiutando Delanna. Si sentiva la lingua legata e aveva l’impressione di essere diventata una Tanner. «Sonny,» esordì, poi fece un respiro profondo. «Cadiz aveva ragione,» proseguì. «L’unico motivo per cui ho chiamato Jay è che stavo tentando di salvare Cleo. Pensavo di riuscire a prendere la navetta prima che Doc Lyle ci raggiungesse.»
«Ma perché non mi hai detto che Doc Lyle era già venuto?»
«Perché ha detto che ti avrebbe tolto Milleflores e io non potevo permettere che accadesse, non dopo che avevi lavorato così duramente per ricavarne qualche soldo, non dopo quello che avevo fatto, mandandoti in bancarotta in modo che io potessi andare a scuola…»
«Cosa ti fa pensare che per me Milleflores significhi qualcosa senza di te?»
«…per essere consegnato all’atto del matrimonio di…» lesse il giudice.
«Non voglio andare via,» affermò Deanna.
«E io non voglio che tu lo faccia,» dichiarò Sonny e si chinò a baciarla. Vi fu un applauso e Cadiz lanciò il cappello in aria, spargendo una pioggia di fiori.
«Aspettate un minuto!» gridò Sonny sovrastando le acclamazioni. «State zitti un attimo: ho un annuncio da fare.» Strinse la mano di Delanna. «Cadiz e B.T. non sono gli unici che oggi annunciano il loro fidanzamento. Delanna Milleflores e io…» Si fermò e abbassò lo sguardo verso di lei. «Sei sicura di voler rimanere impantanata in un lanzye con un Neanderthal…?»
Delanna lo baciò… con estrema passione.
«Delanna Milleflores e io vogliamo sposarci. Dunque annunciamo il nostro fidanzamento in base alle…»
Vi fu uno scoppio di risate e Tom Toricelli gridò, «Ti sei scolato troppa ambrosia, Tanner! Non puoi fidanzarti con lei.»
Se questa è un’altra delle imbecilli leggi di Keramos, pensò Delanna, giuro che…
«Perché no?» chiese Sonny in tono bellicoso.
«Ma perché è già sposata con te, brutto idiota!» esclamò Mel Flaherty.
Sonny guardò Delanna.
«Ha ragione,» ammise lei con il fiato mozzo per l’emozione. «Io sono tua moglie.»