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Quando nel maggio 1978 la legge 180, nota come "legge Basaglia", sancì la chiusura degli ospedali psichiatrici, Mario Tobino era direttore del manicomio di Lucca e in questo romanzo trasfuse, in un linguaggio esemplare, terso ed elegante nella sua fluidità, le proprie sensazioni: l'amarezza nel vedere il proprio lavoro quarantennale messo da parte; l'amore per una splendida figura di donna, Giovanna, e l'affetto per i suoi malati; la sua missione di medico esercitata con umiltà e dedizione; l'ammirazione e la gratitudine per l'oscuro, fondamentale lavoro degli infermieri. E soprattutto lo sgomento di fronte al mistero della mente umana e della follia che le nuove schiere di psicologi devoti alla moda e al potere tentavano di curare semplicemente negandola. Il testo è presentato da una introduzione di Michele Zappella, nipote dello scrittore, neuropsichiatra infantile, ed è seguito dalle pagine inedite tratte dagli ultimi quaderni di quel diario - tenuto da Tobino dal 1945 al 1980 - depositario di fulminanti riflessioni sulla psichiatria e sulla letteratura, di prove di scrittura, di violente accuse professionali ma anche di intensi ritratti di malati e di visionarie utopie.<
Di che cosa abbiamo paura, quando parliamo di catastrofi? Quali sono le nostre paure ataviche rispetto alla Terra? E perché abbiamo paura quando non dovremmo e non ne abbiamo quando dovremmo? Questo libro va al fondo delle nostre paure collettive, dalle alluvioni agli asteroidi, dalle eruzioni vulcaniche alle epidemie, con speciale attenzione ai terremoti, drammaticamente attuali. Il problema è che le catastrofi naturali non esistono, esistono gli eventi naturali che trasformiamo in tragedia, spesso grazie al linguaggio iperbolico dei media. Inoltre siamo spesso ignoranti in campo scientifico e la scienza diffonde dubbi e non certezze: ricadiamo cosí nel fatalismo magico-religioso. Per salvarci dalle paure immotivate dobbiamo informarci meglio, prestando attenzione ai veri problemi di oggi: cambiamento climatico, fine delle risorse, consumo del suolo e cosí via. Scopriremo che le catastrofi non ci fanno solo paura, ma ci attraggono, perché l'umanità nasce dalle catastrofi e la sua storia ne è indelebilmente segnata.
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La lingua dei mezzi d’informazione e della politica è ancora in grado di far funzionare la democrazia? L’amministratore delegato del “New York Times”, ed ex direttore generale della Bbc, ha una risposta. Un libro necessario per capire come salvare la nostra società dal populismo e dall’antipolitica.<
Questo romanzo di Mark Twain è ambientato nei luoghi del Mississipi cari all'autore, già narrati in romanzi come "Le avventure di Tom Sawyer" e "Le avventure di Huckleberry Finn". Rispetto a questi due capolavori, "Wilson lo svitato" perde il confronto: qui l'umorismo della storia si fa meno salace, anche se permane una forte critica alla società, come dimostrano anche i motti e gli aforismi riportati in testa ad ogni capitolo.
La storia è interessante, ma molto prevedibile, e ha l'innegabile pregio di mostrarci le condizioni di vita degli schiavi di colore negli Stati Uniti dell'Ottocento. Il finale, troppo scontato, è imperniato su una grande innovazione, per i tempi, e cioè le impronte digitali; innovazione che però oggi non è più tale, anzi è entrata, grazie alla cinematografia, nell'uso comune, e questo vanifica per il lettore moderno lo sforzo che l'autore fa per proporre un certo sense of wonder.
La narrazione è molto scorrevole, anche se verso la fine si perde in qualche allocuzione nebulosa, e a tratti qualche termine troppo ricercato non si amalgama con il resto dell'espressività.
La storia di Wilson ha il merito di essere atipica, e non ritroviamo in lui il solito personaggio integerrimo risolutore di enigmi, ma una personalità decisamente più complessa e articolata, che ha difetti e pregi innegabili. Ed è soprattutto questo, che ci viene evidenziato dai pensieri riportati nel calendario di Wilson, a rendere pregevole e intrigante questo romanzo.
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