Fredric Brown

Il bicchiere della staffa

1

Era il primo caso di omicidio al quale mi capitava di dover lavorare, e probabilmente avrei perduto questa occasione se, quando arrivò la chiamata, avessimo saputo che si trattava di omicidio. È sempre il mio capo, Hetherton, a incaricarsi personalmente dei casi importanti, quei pochi casi importanti che si possono verificare in una cittadina. Io mi incaricavo del resto: riunioni parrocchiali e simili. Molto eccitante davvero.

Erano quasi le cinque quando il telefono squillò sulla scrivania di Hetherton; egli sollevò il ricevitore, disse: «Parla Hetherton,» poi rimase ad ascoltare. Hetherton — Sidney M. Hetherton — è il proprietario, direttore, redattore capo e amministratore del Weekly Sun di Mayville, Arizona. È anche uno scocciatore della più bell’acqua.

Non sentii le prime parole che disse nel ricevitore, ammesso che le abbia dette, perchè proprio in quel momento riuscii a dare forma alla frase seguente e ricominciai a battere sui tasti della vecchia Underwood sul tavolino accanto alla mia scrivania. E quando dico battere intendo la parola in tutto il suo significato; la Underwood è più anziana di me, e il rullo, che non era mai stato cambiato da chissà quanti anni, era diventato bianco di vecchiaia, e si era fatto duro come un sasso. Quando si usava quella macchina, non si riusciva a pensare, né tanto meno si sentiva un altro che parlava.

Ma terminai l’articolo al quale stavo lavorando e levai il foglio dal rullo in tempo per sentire Hetherton che diceva: «Va bene, signora Edwards, ci penso io.»

Avevo cominciato a rileggere quanto avevo appena finito di scrivere, in cerca di eventuali errori, quando Hetherton chiamò: «Spitzer», ed allora alzai la testa, lo guardai e dissi: «Sì, capo?»

Mi chiamava sempre Spitzer, e mai Bob e nemmeno Robert. E sempre riusciva a fare apparire quella parola come una bestemmia, cosa che non è certo, o come un nome ridicolo, e in questo caso non posso che dargli ragione. Il mio unico sistema per vendicarmi era di chiamarlo «capo», cosa che sapevo detestava, invece di «signor Hetherton». Mi aveva ammonito diverse volte di non farlo, ma io me ne dimenticavo regolarmente, ed ormai egli aveva deciso di non badarci. La sua sola alternativa era di licenziarmi; ed era una soluzione, questa, che appariva quanto mai desiderabile.

«Potete dedicarmi qualche minuto, Spitzer?» chiese.

Si trattava di una domanda retorica. Il mio tempo gli apparteneva. Specie quel giorno della settimana, il giovedì, cioè il giorno in cui il Sun andava in macchina; non potevo neppure pensare di andarmene alle cinque. Di norma erano come minimo le dieci quando Hetherton ed io chiudevamo, e i tipografi poi dovevano lavorare ancora diverse ore per stampare. Ma annuii, per far capire a Hetherton che potevo dedicargli qualche minuto.

Disse: «Era Birdie Edwards che chiamava. Sta cercando di mettersi in contatto telefonico con il capo McNulty, ma non riesce ad ottenere la comunicazione. La linea è occupata da più di mezz’ora. Mi ha chiesto se posso mandare qui di fronte qualcuno a trasmettergli un messaggio.»

«Certo,» feci. «E qual è questo messaggio?»

«Vuole che vada là subito. Non che le telefoni: che vada là.»

Una cosa abbastanza semplice. «Bene,» dissi, e mi diressi verso la porta. Poi mi voltai. «Se chiamava la polizia, forse si tratta di qualcosa che vale la pena di un articolo. Siamo vicini alla chiusura. Forse farò meglio ad accompagnare Mac, per misura di sicurezza. Se non è niente di importante, torno a piedi, a meno che lui non torni subito con la macchina, e in totale dieci minuti o un quarto d’ora mi saranno più che sufficienti.»

Corrugò la fronte ed esitò. «Va bene, ma tornate più presto che potete.»

La centrale di polizia, se tale si può chiamarla, è proprio dall’altra parte della strada, di fronte al Sun. È composta di due stanze non molto grandi. La stanza sulla fronte è l’ufficio. Una porta massiccia dà sulla seconda stanza, che è la prigione. O meglio, viene chiamata prigione, perchè in una città sul serio la chiamerebbero una topaia. I carcerati rimangono là dentro una notte come massimo; di solito si tratta di ubriachi messi sotto chiave fino a quando la sbornia non è passata. In caso di reati veri e propri, il carcerato viene trattenuto fino a quando non può essere trasferito alla prigione di contea, a venticinque chilometri di distanza, in attesa del processo e, se del caso, della condanna. Mayville non è attrezzata per i casi del genere. Ha, naturalmente, un giudice di pace che può sbrigarsela con le infrazioni al traffico, gli schiamazzi per ubriachezza e simili. Se appena è possibile, infligge multe piuttosto che condanne, sia pure brevi. Le multe giovano al bilancio cittadino, le condanne lo danneggiano.

Ricordo di aver chiesto una volta a McNulty, poco dopo il mio arrivo a Mayville, come se la sbrigavano, con quella prigione a stanza unica, quando veniva arrestata qualche donna. Mi aveva risposto che non arrestavano donne, se appena era possibile evitarlo. Se proprio non se ne poteva fare a meno, il capo o uno dei suoi due agenti doveva subito trasferirla alla sede di contea e lasciarla là: la moglie di McNulty l’accompagnava come rappresentante non ufficiale della polizia e come custode. Ma era una cosa che accadeva molto di rado.

Quando entrai, McNulty era ancora, o di nuovo, al telefono. Mi avvicinai alla porta a sbarre di ferro e diedi un’occhiata per vedere se c’era qualcuno al fresco: la prigione era vuota. Mi misi a sedere. Ascoltai la conversazione di McNulty quel tanto che mi bastava per capire che stava discutendo con la moglie e non certo trasmettendo un allarme generale per una rapina ad una banca; ed allora smisi di ascoltare ed aspettai.

McNulty è un bravo poliziotto, un buon capo della polizia quale può aspettarsi una cittadina come Mayville per lo stipendio che il suo bilancio le permette. È un uomo grande e grosso, con una discreta pancia; naviga verso la cinquantina ed occupa il posto da circa dieci anni. È nato a Mayville, e conosce benissimo tutti e tutto. A vent’anni era andato a Phoenix e si era arruolato come matricola nella polizia. Quindici anni più tardi era ancora poliziotto, anche se non più matricola, quando l’ex capo della polizia di Mayville si era ritirato per limiti di età. McNulty aveva ancora amici e conoscenti a Mayville, compreso un fratello che faceva parte del consiglio municipale; aveva avuto la possibilità di assicurarsi il posto e non se l’era lasciata sfuggire. Era stato un bel passo avanti per lui; a Phoenix non sarebbe nemmeno diventato sergente.

Non è brillante, ma onesto e coscienzioso, anche se qualche volta è piuttosto difficile andare d’accordo con lui. O meglio, a me riusciva qualche volta difficile di andare d’accordo con lui. Ma era sempre stato equo nel darmi quelle informazioni alle quali avevo legittimamente diritto per il giornale.

Già che ci sono, tanto vale che vi parli anche delle rimanenti forze di polizia di Mayville. McNulty veniva chiamato capo perchè aveva sotto di sé due poliziotti, o forse sarebbe più esatto chiamarli agenti, perchè né l’uno né l’altro portavano la divisa, come McNulty, del resto.

Uno era Charlie Sanger, un uomo alto e magro con capelli di un biondo scialbo e occhi di un azzurro scialbo, che vestiva quasi sempre come un cowboy e che, probabilmente, lo era stato una volta. Parlava molto lentamente, con tono strascicato, si muoveva molto lentamente, quando non c’era motivo di affrettarsi, e quasi sempre pensava lentamente. Restava in ufficio la sera, mentre McNulty ci restava di giorno.

L’altro era un messicano, un certo Refugio Herrara, meglio noto come Chico. Veniva raramente in ufficio se non c’era da accompagnare un prigioniero, ed una cosa del genere non era certo frequente. Badava a quella che Mayville chiamava Mextown, la parte occidentale della cittadina, la parte che sarebbe stata oltre i binari se ci fossero stati binari; Mayville non ha ferrovia. E comandava a bacchetta laggiù. Era il messicano più alto e massiccio che avessi mai visto, con una statura di quasi due metri e sui novantacinque chili di peso. Manteneva l’ordine a Mextown con metodi che forse qualche volta erano illegali, ma che funzionavano. C’erano pochissimi reati in quella zona, ed ancor meno erano quelli che arrivavano in giudizio, perchè Chico arrestava soltanto chi si era reso colpevole di qualche grave infrazione. Provvedeva personalmente alle mancanze di minore importanza, ammesso che non riuscisse a prevenirle. In questo modo faceva risparmiare un mucchio di soldi alla città.

McNulty riagganciò il ricevitore, e la sua sedia girevole scricchiolò quando si voltò per guardarmi. «E allora, Bob?»

Dissi: «Birdie Edwards vuole che andiate da lei, subito. Non è riuscita ad ottenere la comunicazione con voi e ha chiamato il giornale.»

«Che cosa vuole?»

«Ha parlato con Hetherton, non con me. Ma credo che non l’abbia detto… ha detto soltanto che voleva che andaste là, non che telefonaste.»

Corrugò la fronte. «Le telefonerò prima, in ogni modo.» Sollevò il ricevitore e compose il numero del La Fonda Motel. Birdie Edwards è la proprietaria del La Fonda Motel. Sì, so che la fonda significa «l’hotel» in spagnolo, il che rende il nome ridicolo, l’Hotel Motel, se tradotto. Ma non fatene colpa a me; non sono stato io a dare quel nome. Non credo nemmeno che sia stata Birdie Edwards; qualcuno mi ha detto che quel nome c’era già quando, pochi anni fa, lei si è trasferita a Mayville ed ha comperato l’esercizio.

Birdie Edwards è una donna grande e grossa, di tipo piuttosto volgare, che ricorda in tutto e per tutto la padrona di un bordello. E voci locali sostengono che questo precisamente era, in una località imprecisata dell’est, prima di venire a Mayville. Se le conosceva, queste voci, vere o false che fossero, dovevano averla divertita, perchè indirettamente le aveva incoraggiate dando, per ciò che la riguardava, una dozzina almeno di versioni contraddittorie, versioni che variavano circa il suo luogo d’origine, il numero dei mariti che aveva avuto e persino sul particolare se l’ultimo marito, presumibilmente il signor Edwards, era scomparso di circolazione in seguito a morte o a divorzio. Ma, ex madama o meno, molti l’avevano in simpatia, quelli che la conoscevano, bene inteso; ella veniva in città molto di rado. So che a me era simpatica, per quel poco che avevo avuto occasione di vederla. E, se anche era stata una madama, non me ne importava affatto; si trattava di una professione più vecchia della mia.

Sentii McNulty che diceva: «Birdie? Parla McNulty. Che cosa è successo? Mi sarebbe molto comodo se fosse qualcosa che può aspettare fino a domani…»

Probabilmente lo interruppe a questo punto, perchè tacque e rimase ad ascoltare per un poco. Poi disse: «Va bene, va bene, vengo. Mi metto in strada fra poco. Charlie Sanger sta per darmi il cambio, e pochi minuti non avranno importanza; non appena arriva, esco.»

Riagganciò il ricevitore e tornò a voltarsi per guardarmi. «Niente, probabilmente, ma potrebbe essere qualcosa. Conoscete Amy Waggoner?»

«Certo,» risposi. Chiunque frequentava i bar di Mayville conosceva Amy Waggoner, almeno di vista. Era in città solo da un mese, ma si era già fatta una fama nella… devo chiamarla café-society locale?… come la prima donna alcoolizzata che si fosse mai vista.

«Bene,» disse McNulty, «abita al motel di Birdie. La porta della sua stanza è chiusa a chiave dall’interno, e Birdie ha bussato senza ottenere risposta. Birdie ha paura che le sia successo qualcosa di brutto, ma non vuole assumersi la responsabilità di abbattere personalmente la porta, anche se il motel è suo. Dice che è una faccenda che mi riguarda.»

«Forse non è nella sua stanza,» suggerii. «Che la chiave sia nella serratura dall’interno non dimostra che ci sia. No certo, con le serrature che ci sono laggiù. Sono serrature a scatto che funzionano quando chiudete la porta, e se la chiave è nell’interno e girata in posizione adatta, potete anche restarvene chiuso fuori.»

McNulty brontolò: «Un bel tipo di serratura davvero per un motel! Viene da pensare che la gente rimanga costantemente chiusa fuori.»

«Non è facile come sembra,» replicai. «Potete chiudervi fuori, certo, ma per arrivare a questo dovete uscire in un certo determinato modo. Ecco come funziona più o meno la faccenda, Mac. Supponiamo che siate dentro con la porta chiusa a chiave. Per uscire, dovete girare la chiave. Ma, per chiudervi fuori, dovete tornare a girare indietro la chiave quando la porta è aperta, lasciare la chiave in quella posizione e poi chiudervi il battente alle spalle. E se lasciate la chiave nella toppa senza girarla quando la porta è aperta, non chiudete affatto.»

«Pure a qualcuno deve essere capitato.»

«Poche volte soltanto, mi ha detto Birdie. E quelle poche volte la finestra era o spalancata o non affrancata; bastava che qualcuno entrasse dalla finestra per aprire dall’interno. La finestra della Waggoner deve essere chiusa e affrancata perchè, in caso contrario, Birdie non avrebbe telefonato.»

Tornò a brontolare e fissò gli occhi sulla strada. «Bene, ecco che arriva Charlie. Avvertite Hetherton che gli telefonerò se c’è qualcosa di grosso. So che questa è per voi la serata di chiusura.»

«Hetherton mi ha chiesto di accompagnarvi, se non vi spiace.» Non era precisamente vero, perchè Hetherton si era limitato ad acconsentire con riluttanza a lasciarmi andare.

McNulty corrugò la fronte, e capii che la cosa lo seccava e che avrebbe fatto volentieri a meno di me. Ma disse: «Va bene, andiamo», come sapevo che avrebbe fatto quando avevo insinuato che l’idea era stata di Hetherton. Il rappresentante del potere esecutivo di una cittadina, anche se occupa il posto da molto tempo e se la sbriga benissimo, cerca di rimanere sempre in buoni rapporti con il direttore del giornale locale. In caso contrario gli articoli, senza incorrere nel reato di menzogna o di calunnia, possono essere girati in modo da farlo apparire ancora più asino di quello che realmente è.

Si fermò un momento a parlare con Charlie Sanger, poi salimmo sulla sua macchina ed attraversammo la città. La statale di Bisbee è l’arteria principale che attraversa Mayville; lungo di essa, il centro degli affari occupa tre isolati.

Appena oltre il centro degli affari, McNulty svoltò dalla strada nel parcheggio del Filone Buono, uno dei tre bar di periferia di Mayville, e il meno rispettabile dei tre, o almeno, la sera, il più chiassoso. Mayville ha cinque bar, ma due sono cantinas in Mextown.

«Volete un bicchierino?» mi chiese. «Io entro, in ogni modo, per vedere se non c’è Amy e per chiedere di lei.» Rovesciando il pollice, indicò una coupé Ford parcheggiata lì accanto.

«Certo,» dissi, scendendo da una parte mentre lui scendeva dall’altra. «Ma, Mac, se c’è la macchina di Amy, che cosa vi fa pensare che non ci sia lei? Deve esserci.»

Scosse la testa. «Potrebbe esserci e potrebbe non esserci. Vi dirò che cosa ne penso quando saremo dentro.»

Era già sulla porta, ed io lo seguii e mi guardai attorno. C’erano soltanto pochi clienti, e fra di essi non si vedeva Amy.

Andammo al banco, e Willie, il barista, ci si piantò davanti. «Salve, Mac. Salve, Bob.»

McNulty gli chiese: «È già stata qui Amy oggi?»

Willie si strinse nelle spalle esili. «Non lo so. Ho preso servizio adesso. Potete chiederlo a Perry: non se n’è ancora andato. È sul retro e si sta lavando. Qualcosa da bere?»

McNulty disse: «Whisky, con un bicchiere d’acqua a parte.» Si diresse verso la porta della toeletta.

Willie mi guardò con aria interrogativa, ed io gli dissi allora che avrei preso la stessa roba. Il whisky puro non è la mia passione, ma forse McNulty avrebbe avuto fretta di andarsene, e non mi va di buttare giù in fretta e furia un whisky e acqua.

McNulty tornò mentre Willie finiva di riempirci i bicchieri. Disse: «No, non è stata qui. Quando l’avete vista l’ultima volta, Willie?»

«Ieri sera, a mezzanotte, se non mi sbaglio. Perchè? C’è qualcosa che non va?»

«Non credo. Era ubriaca come al solito?»

«Più ubriaca che mai, ho paura. Di solito si ferma fino alla chiusura.»

«È uscita da sola?»

Willie rifletté un momento. «Credo, Mac, ma non ci giurerei; c’era gente, e avevo molto da fare. Ha detto arrivederci, o buonanotte, o simili quando si è allontanata dal banco, ma mi sembra di non averla vista uscire dalla porta.»

McNulty annuì. Prese il suo bicchiere e lo vuotò, ed io vuotai il mio. Disse: «Andiamo, Bob», e si voltò. Presi il portafogli e lo tolsi di tasca, ma Willie mi fece cenno di no, e McNulty non aveva nemmeno fatto il gesto di pagare. Evidentemente il capo della polizia e chi era con lui godevano della prerogativa di bere gratuitamente, almeno al Filone Buono.

Seguii McNulty in macchina. Mentre usciva dal parcheggio, disse: «A proposito della macchina di Amy. Mi sono fermato perchè l’ho vista, ma non ho pensato che per questo dovesse esserci anche lei. Una settimana fa le ho letto un paragrafo del codice: divieto di guidare quando si è bevuto troppo. Da allora la sua macchina è più spesso al Filone che non al motel. Termina sempre la sua sera qui. E, per arrivare a casa, ha quattro isolati soltanto. Non so se di norma va a piedi o si fa dare un passaggio. E non me ne importa che cosa faccia, purché non guidi.»

Smise di parlare, e, dato che io continuavo a tenere la bocca chiusa, mi domandò: «La conoscete bene?»

«Quel tanto che basta per rivolgerle la parola,» risposi. «E le ho offerto qualche bicchierino un paio di volte, quando non era ancora eccessivamente brilla.»

«È una donna piuttosto graziosa, alcoolizzata o meno. Vi siete preso qualche passaggio?»

Replicai, con tono deciso: «Non mi prendo passaggi, io.» Il che era vero, in un certo senso. Una volta era mancato poco che me lo prendessi, ma di questo tratteremo poi.

Eravamo intanto arrivati al La Fonda Motel, ed egli svoltò nel viale. Le braccia incrociate sul petto monumentale, Birdie Edwards era ferma davanti alla costruzione che le serviva da ufficio e da casa.

Il La Fonda è un motel di media grandezza. Non ha piscina o palme, ma nemmeno scarafaggi o cimici. Non è nuovo, ma Birdie tiene tutto in ordine, e non fa economia di vernice fresca quando ce n’è bisogno.

Ci sono undici costruzioni, il che significa che dieci sono da affittare. Due sono per famiglia, con due locali che possono ospitare dalle quattro alle cinque persone; le altre sono a stanza unica e possono essere affittate in doppio o in singolo. Durante la «stagione», quando i turisti accorrono a frotte nell’Arizona o attraversano l’Arizona alla volta della California, Birdie, di sera, espone quasi sempre il cartello «esaurito». E, dato che fa pagare sette o otto dollari per le costruzioni più piccole e dodici per quelle familiari, se la cava discretamente bene, un cento circa al giorno. Naturalmente, questo dura solo quattro mesi all’anno, più o meno da novembre a febbraio. In aprile la media si abbassa; Birdie fa pagare un cinque per le costruzioni da otto dollari, ed è raro vedere il cartello «esaurito», anche a notte tarda. E i mesi del caldo estivo sono i peggiori, naturalmente; chi abbia la testa sulle spalle si guarda bene dal passare per l’Arizona del Sud, a meno che non ci sia costretto. Ma per quasi tutti i motel i ricchi mesi invernali ripagano per i poveri mesi estivi.

Si era verso la metà di maggio. L’afflusso invernale era finito, ma ci sarebbe voluto ancora un mese circa prima che il caldo facesse passare la voglia di una gita in macchina. In quel momento c’erano tre auto nel parcheggio, il che significava che almeno quattro villette, compresa quella di Amy, erano affittate per la notte. E senza dubbio, prima di sera, ne avrebbe affittate altre.

McNulty fermò la macchina proprio davanti a Birdie.

«Non si può dire che non ve la siete presa comoda, Mac,» ella gli disse.

«Via, Birdie, ho dovuto aspettare che arrivasse Charlie Sanger, come vi avevo detto. E ci siamo fermati al Filone, per essere ben sicuri che lei non fosse là.»

«Avevo già telefonato io, prima di cercare di mettermi in contatto con voi. E avevo chiamato anche da Cass e da Ralph.»

Con un sospiro, McNulty mise piede a terra. «E va bene, Birdie. In ogni modo, non è successo niente, con ogni probabilità. Si è ubriacata in camera sua, ecco tutto. Ma, se lo volete, sono pronto ad abbattere la porta.»

«Non si è certo ubriacata là dentro. O, altrimenti, è la prima volta che le capita di farlo prima di sera.»

Ci stava già guidando attraverso lo spiazzo centrale, verso la terza costruzione. McNulty chiese: «Quando l’avete vista l’ultima volta?»

«Ieri, verso mezzogiorno. Quando di solito si alza.»

«Allora non l’avete sentita rientrare ieri sera? E sapete se era sola?»

Eravamo ormai davanti alla porta. Lì accanto c’era una finestra, ma le tendine erano abbassate e non si poteva vedere dentro.

Birdie disse: «No, non l’ho sentita rientrare ieri sera. E, naturalmente, non so se è tornata da sola o con un gregge di elefanti rosa. E adesso, Mac McNulty, smettetela di temporeggiare e sfondate quella porta. Se abbassate la maniglia e spingete forte con una spalla, riuscirete probabilmente a far saltare la serratura, che è piuttosto debole, senza rovinare il battente.»

«Va bene, Birdie, ma busserò prima, anche se voi avete già bussato. Forse si era addormentata allora, e può darsi che adesso sia sveglia.»

Bussò forte e chiamò: «Amy, ci siete?»

Aspettò un mezzo minuto, poi abbassò la maniglia, seguendo il suggerimento di Birdie, ed appoggiò una spalla al battente. La prima volta non ci riuscì, ma il secondo tentativo fu coronato da successo. La serratura cedette e la porta si spalancò; mancò poco che egli cadesse nella stanza.

Lo seguii, prima che potesse ordinarmi di girare alla larga. E Birdie mi stava alle calcagna.

Era una bella stanza, per quanto può essere bella la stanza di un motel, ma non ci badammo in quel momento.

Amy Waggoner c’era, certo. Era rovesciata di schiena sul letto matrimoniale, con un lenzuolo, la sola cosa che la coprisse, sollevato fino alle spalle nude.

Si sarebbe detto che dormiva se non ci fossero stati due particolari. Anche se il suo viso non appariva affatto alterato, non aveva l’aria di dormire: aveva l’aria di essere morta.

E sul lenzuolo c’era una macchia di pochi centimetri di diametro all’altezza del cuore, con il centro appena a destra della forma chiaramente delineata del seno sinistro. La macchia era di un rosso scuro, il colore del sangue essiccato.

2

McNulty bestemmiò. In pochi passi fu accanto al letto mentre Birdie ed io ci spostavamo ai piedi di esso. La mano di Birdie mi stringeva il braccio così forte da farmi male. Non era tutto grasso la mole massiccia di Birdie: c’erano anche muscoli.

McNulty si chinò e scostò indietro il lenzuolo, lo scostò molto più di quello che era necessario, fin quasi alle ginocchia di Amy. Il corpo era nudo, e recava solo quell’unica ferita sotto il centro della macchia di sangue, ed appariva quasi irreale la ferita a quel modo, perchè c’era pochissimo sangue sul corpo, molto meno di quanto ce ne fosse stato sul lenzuolo, che lo aveva assorbito quasi tutto. La ferita era un piccolo taglio orizzontale, più o meno delle dimensioni di quello che si può fare con una lama non più larga di un pollice e mezzo.

Il corpo di Amy era sorprendentemente bello. Prima di allora l’avevo vista soltanto completamente vestita. Ella non portava, o non l’avevo mai vista portare, calzoni corti o due pezzi, come la maggior parte delle touristas e alcune delle nostre concittadine. Non avevo mai badato particolarmente alla sua età; avevo pensato che doveva aver passato da poco la trentina. Ma ora ero incline a cambiare parere. I seni erano sodi e tondeggianti, come tutto il resto del corpo. Sarebbe potuto essere di una ragazza, quel corpo, di una bella ragazza sulla ventina.

Amy era apparsa più vecchia per i segni che recava in faccia. Ed ora, stranamente, nel rilassamento della morte, il suo viso appariva più giovane di quello che ricordavo. Non che fosse un brutto viso, ma c’era sempre in esso una traccia di tensione, la tensione che spinge un alcoolizzato o un bevitore abituale a cercare sollievo in fondo al bicchiere. Ora la tensione era scomparsa dal viso di Amy; non era riuscita a trovare pace in vita, e l’aveva trovata nella morte.

McNulty si schiarì la gola. «Un coltello a serramanico,» disse. «O un coltello di quella misura. Morte istantanea.» Pensai che lo dicesse basandosi sull’atteggiamento del cadavere, perfettamente rilassato, con le braccia lungo i fianchi. Ma continuò: «In caso contrario, ci sarebbe più sangue. A giudicare dalle apparenze, direi che è stata colpita mentre dormiva o che è morta senza rendersi conto di quello che le stava succedendo.»

Birdie allentò un poco la stretta sul mio braccio, ma io avevo la precisa impressione che la sua mano mi avesse lasciato dei grossi lividi. Ritrovò anche la voce, ed era una voce indignata. «Mac McNulty, ricoprite subito quella donna. Non è decente.»

«Via, Birdie, è morta. E io devo…»

Prese il polso di Amy e cercò di sollevarle il braccio. Tutto il corpo si mosse un poco, ma né il gomito né la spalla si piegarono di un solo centimetro. Disse: «Duro come un tronco. Rigidezza in stato avanzato, superiore alle dodici ore. È stata uccisa a un’ora imprecisata di questa notte, non oggi. Bene…»

Tornò a sollevare il lenzuolo, anche se appariva un poco riluttante. Si voltò verso di noi. «Fuori, tutti e due,» disse. «E fuori anch’io. Devo telefonare allo sceriffo e passare l’incarico a lui. Non dobbiamo toccare niente fino a quando non è arrivato.»

Ci spinse fuori e chiuse. Il legno del battente non si era spezzato e si adattava ancora abbastanza bene alla intelaiatura, e in questo modo la porta restò accostata. Disse: «Mi servirò del vostro telefono, Birdie. E non tornate ad aprire, né l’uno né l’altro.» Si diresse verso l’ufficio, e i suoi piedi prima fecero scricchiolare la ghiaia, poi passarono silenziosi sull’erba.

Birdie non accennò nemmeno a seguirlo, ed io giudicai opportuno imitarla. Sentirlo chiamare lo sceriffo a Douglas non mi sarebbe servito, mentre potevo cercare di sfruttare la possibilità di parlare un poco con Birdie.

«Birdie,» chiesi, «conoscevate bene Amy Waggoner?»

«I nostri rapporti erano abbastanza amichevoli, ma non certo intimi.»

«Non lavorava. O almeno, non ha lavorato nel mese che ha passato a Mayville. Sapete da dove ricavava il suo denaro?»

Birdie incrociò le braccia. «So quello che mi aveva detto: alimenti. Ma non posso dimostrarlo perchè non ho mai visto gli assegni. Mi pagava in contanti.»

«Avevate fissato con lei un forfait settimanale?»

«Sì. Me lo aveva chiesto quando era arrivata, e mi aveva detto che forse si sarebbe fermata per un poco. La stagione era già finita, e così ci siamo messe d’accordo su venticinque dollari. Verso la fine della prima settimana ha incominciato a dire che avrebbe potuto risparmiare prendendosi una stanza in città, ed io allora le ho risposto che, se restava, sarei scesa a venti la settimana. È poco, ma è meglio che avere la stanza vuota, ed era da marzo che non avevo più tutte le stanze occupate.»

«Se ha chiesto subito un forfait settimanale è segno che aveva già intenzione di trattenersi per un poco quando è arrivata. Vi ha mai detto perchè? Che cosa l’attraeva tanto a Mayville? Non che non sia una bella cittadina, ma… capite che cosa voglio dire.»

Birdie scosse la testa. «Anch’io ero curiosa, ma non ha mai aperto bocca su questo argomento. Non potevo certo chiederglielo, così.»

«Conosceva qualcuno qui, quando è arrivata?»

«Non che ne abbia parlato. Ma doveva conoscere piuttosto bene qualcuno, questo è certo.»

«Che cosa volete dire, Birdie?»

«Chi l’ha assassinata stanotte, voglio dire. Sia che sia rientrata con lui, sia che lo abbia lasciato entrare, tutto deve essere cominciato come una visita piuttosto amichevole… a giudicare dal modo in cui è vestita.»

Rimasi per un momento pensieroso. «A meno che non si sia dimenticata di chiudere a chiave la porta e qualcuno ne abbia approfittato per scivolare dentro e pugnalarla nel sonno. Sapete per caso se dormiva nuda? D’abitudine, voglio dire.»

«Qualche volta almeno lo faceva. Mi capitò di saperlo perchè una mattina, un paio di settimane fa… Conoscete Herbie Pembrook?»

Certo che conoscevo Herbie Pembrook. Non era precisamente lo stupido del villaggio, ma quanto di più simile Mayville poteva vantare in proposito. Aveva trenta o trentacinque anni, ma la sua età mentale non superava probabilmente gli undici o i dodici. Un deficiente, che però riusciva a mantenersi facendo i lavori più svariati, specie quelli di fatica. Lo conoscevo, certo, perchè non mi poteva sopportare, ed io non ero mai riuscito a capire per quale motivo: non gli avevo mai fatto niente, non gli avevo mai rivolto espressioni meno che gentili. Eppure più di una volta aveva cercato di attaccar lite con me, e certo dal punto di vista fisico non aveva d’odici o tredici anni. Era un poco più alto di me e io un poco più pesante di lui, ma, dato che si guadagnava da vivere con lavori manuali, la sua forza doveva superare di gran lunga la mia. E poi, non avevo nessuna voglia di litigare con lui, darle o prenderle, perchè non avevo niente nei suoi confronti, e non riuscivo a immaginare che cosa avesse lui nei miei. Un paio di volte avevo pensato di chiedere a McNulty di interrogarlo, ma poi ero giunto alla conclusione che un passo del genere avrebbe fatto più male che bene. Se McNulty avesse parlato con Herbie e lo avesse messo in guardia, Herbie avrebbe saputo che avevo parlato con McNulty, e questo non solo gli avrebbe dato una ragione fondata per odiarmi, ma lo avrebbe anche convinto che avevo paura di lui.

E inoltre avevo pensato che, se mi fossi rivolto per chiedere aiuto a McNulty solo per qualche occhiata di traverso, per qualche osservazione poco diplomatica e per qualche vaga minaccia, McNulty mi avrebbe giudicato un vigliacco e un piagnucolone, pronto a strillare prima che mi capitasse qualcosa. E avevo già l’impressione che, così come stavano le cose, McNulty non mi avesse in eccessiva simpatia. All’apparenza, era sempre disposto a darmi una mano e a trattarmi amichevolmente, ma lo faceva, mi sembrava, per il posto che occupava lui e per quello che occupavo io, non certo per amicizia.

Sì, conoscevo Herbie Pembrook.

«Sì,» dissi a Birdie, «conosco Herbie Pembrook.»

«Bene,» disse Birdie, «è stato qui un paio di settimane fa per falciarmi l’erba. È una cosa che di solito sbrigo personalmente, ma mi ero slogata una caviglia, ed allora ho pensato che avrei fatto meglio a stare a riposo per qualche giorno. Comunque, mi è capitato di guardare fuori dalla finestra… O meglio, non è stato un caso: l’ho fatto perchè non sentivo più la falciatrice da qualche minuto, e allora ho guardato fuori per vedere se Herbie se la stava prendendo comoda. Era fermo, infatti, e teneva gli occhi fissi sulla finestra di Amy Waggoner. Sono uscita e gli ho detto di rimettersi a lavorare, poi ho guardato anch’io quella finestra per vedere che cosa l’aveva affascinato tanto… e non posso negare che aveva ragione. Amy si era dimenticata di abbassare le tendine e se ne stava distesa sopra le coperte, nuda come un verme. Ho dovuto svegliarla ed avvertirla di abbassare le tendine. Bella reputazione si procurerebbe la mia azienda se permettessi ai miei clienti di esibirsi in numeri di spogliarello.»

McNulty stava tornando verso di noi. Disse: «Sono riuscito ad agganciare lo sceriffo; parte subito e sarà qui fra un’ora.»

Dissi: «Farò meglio a telefonare a Hetherton per avvertirlo di quanto sta succedendo. Andiamo in macchina questa sera e sono ormai quasi le sei.»

«Va bene, telefonategli. Ma restate qui, voi.»

Mi stavo già dirigendo verso l’ufficio del motel, quando il tono della voce di McNulty mi convìnse a voltarmi. «Certo, Mac. Voglio restare, io. Ma perchè me lo dite come se sì trattasse di un ordine?»

«Perchè non vi ho ancora interrogato, e voglio farlo dopo l’arrivo dello sceriffo. Fino a questo momento, voi e Birdie siete i due unici testimoni.»

Ero perplesso. «Non capisco, Mac. Siamo testimoni perchè siamo entrati con voi. Non abbiamo visto niente che voi non abbiate visto.»

«Non intendo testimoni per ciò che riguarda il ritrovamento del cadavere. Parlo dei vostri rapporti con lei, delle cose che può avervi detto e che la riguardavano, roba del genere, insomma.»

Replicai, paziente: «Non avevo rapporti con lei, salvo quelli di cui vi ho già parlato. E non mi ha detto niente che la riguardasse o riguardasse il suo passato… salvo che veniva da Kansas City. Molti a Mayville la conoscono meglio di quanto la conoscessi io.»

«E li interrogheremo tutti. Ma anche voi venite da Kansas City, vero? E avete un alibi per la notte scorsa?»

Sospirai. «Kansas City è più grande di Mayville. No. Non conoscevo Amy laggiù. E non ho alibi per la notte scorsa. Sono andato a letto piuttosto presto, fra le dieci e le undici.»

«Comunque, restate qui.»

Risposi che andava bene; dopo tutto era quello che desideravo, e allora perchè lui insisteva tanto? Se Mac mi giudicava sospetto, che la pensasse pure così. L’idea dei sospetti mi richiamò alla memoria quello che Birdie mi aveva appena detto a proposito di Herbie Pembrook: che cioè aveva visto Amy «nuda come un verme». Ed Herbie era un idiota, il che, se non bastava a farlo apparire un assassino, era pur sempre sufficiente a renderlo più sospetto di me.

Dissi: «Birdie, ripetete a Mac quello che mi avete raccontato a proposito dello spogliarello di Amy… e dello sbalordimento di Herbie.»

Birdie stava incominciando a raccontare la storia quando mi diressi verso l’ufficio.

Chiamai il Sun e mi rispose la voce aspra di Hetherton. Dissi: «Parla Spitzer dall’ufficio di Birdie. È una grossa faccenda, certo. Amy Waggoner è stata assassinata, stanotte o nelle prime ore di stamane. Volete prendere qualche appunto?»

«No, venite qui e buttate giù quello che sapete. Se si tratta di un assassinio, me ne interesso io. Rientrate subito.»

«Mac non vuole che mi allontani, dice che devo aspettare l’arrivo dello sceriffo, per l’interrogatorio. A quanto sembra, mi considera un elemento sospetto.»

Hetherton sbuffò, o fece quanto di più simile a un rumore sbuffante può permettersi un uomo del suo temperamento. «Dite a McNulty che vi ho ordinato di rientrare. Se non gli va l’idea, ditegli di telefonarmi. È un ordine, Spitzer.»

E un secco suono metallico mi echeggiò all’orecchio.

Tornai da Birdie e da McNulty e ripetei a McNulty quello che Hetherton mi aveva detto. Anche lui sbuffò, ma sbuffò davvero, non in maniera educata, come il mio padrone. Poi disse: «Va bene, potremo interrogarvi più tardi. Battetevela.» Ritrovò la sua calma, infilò le mani in tasca, pescò fuori le chiavi della macchina e me le tese. «Prendete la mia auto. Io tornerò con quella dello sceriffo.»

Lo ringraziai e mi misi al volante. Rientrai in fretta, parcheggiai la macchina ed entrai negli uffici del Sun.

Hetherton era alla sua scrivania, perfettamente vestito con camicia bianca dal collo inamidato e cravatta. Era il suo solito abbigliamento di tutto l’anno, in ufficio e fuori, anche quando, d’estate, c’erano quaranta gradi. Avevo cominciato anch’io ad imitarlo, fino a quando non avevo imparato che a Mayville tutti si vestivano il più comodamente possibile non solo con il caldo ma anche con una temperatura normale.

«Come è stata uccisa?» mi chiese.

Glielo dissi, assieme alle altre poche cose che sapevo.

Annuì. «Scrivete tutto. Ma lasciate fuori Herbie Pembrook. È un tipo innocuo, e non significa nulla che l’abbia guardata dalla finestra una volta. La colpa era della signora Waggoner, non sua.»

Non avevo voglia di discutere con lui, e così mi limitai a rispondere: «Va bene. E Bisbee? Devo telefonare a Tom Acres?»

«Sì, ma scrivete quella roba prima.»

Uscì, ed io andai a sedere alla scrivania e infilai un foglio nel rullo della macchina. Misi anche un foglio di carta carbone per poter portare l’originale in tipografia non appena avessi finito ed avere anche una copia da leggere quando avessi telefonato a Bisbee.

Il Sun aveva un accordo con il quotidiano di Bisbee, la Gazette, e con Tom Acres, il suo redattore capo. Il Sun non aveva telescrivente, e, dato che il novanta per cento dei suoi interessi sono locali, ne poteva fare a meno grazie a questo accordo. Quando a Mayville succede qualcosa di abbastanza importante da interessare il giornale di Bisbee, telefoniamo a Tom e gli trasmettiamo l’articolo. Egli se ne serve e, se è abbastanza importante da interessare anche altrove, lo passa alla telescrivente. E quando, in qualche altro posto, capita qualcosa che può interessarci, ci telefona lui, bene inteso se l’avvenimento capita di giovedì, il nostro giorno di chiusura; in caso contrario, lo preleviamo tale e quale dal suo giornale. Non so se questi scambi comportano un passaggio di denaro, ma ne dubito. Il nostro bilancio di dare e avere con Tom Acres è press’a poco pari.

Battei in fretta l’articolo, lo rilessi e mi parve buono. Portai l’originale a Waldo — uno dei due tipografi della linotype; l’altro si interessa più alla composizione a mano ed al lavoro di stampa vero e proprio -; tornai alla mia scrivania e sollevai il ricevitore.

Riconobbi la voce che disse: «Numero, prego?» ed allora feci: «Salve, cara.»

«Salve, Bob. Vuoi un numero, o…»

«Tom Acres, pagamento in arrivo. Ma un momento, Doris, prima di passarmi la comunicazione. Esci a mezzanotte stasera?»

«Sì, ma è piuttosto tardi, Bob, e sarò stanca, e…»

«Un momento, prima di rispondere di no. Sarai stanca come me: c’è stato un omicidio, dubito che si vada in macchina prima di mezzanotte, e così sarò sveglio in ogni caso. E farà bene a tutti e due una scarrozzata nel deserto prima di andarci a distendere nei nostri rispettivi letti, sciaguratamente ancora divisi. Sarà una cosa di mezz’ora al massimo, te lo prometto.»

«Un omicidio, Bob? Chi?»

«Amy Waggoner. La conoscevi?»

«No. Un momento, però, credo di aver sentito parlare di lei. Era quella che beveva molto?»

«Già, precisamente quella che beveva molto. Ma non allontaniamoci dall’argomento che ci interessa. Una passeggiatina a mezzanotte allora?»

«Va bene. Ma… chi l’ha assassinata? Dove e quando?»

«Passami Tom Acres, rimani in ascolto e saprai tutto… tutto quello che si sa finora, bene inteso… risparmiandomi la fatica di ripeterlo.»

«D’accordo. Ma può darsi che sia costretta a interrompermi se… Dimmi qualcosa.»

«Ti dirò qualcosa allora. Ti amo alla follia. E, se devi interrompere mentre telefono, ti racconterò il resto a mezzanotte. E adesso torna a fare la centralinista e passami la comunicazione.»

Mi accontentò, e due minuti dopo ero in linea con Tom. Gli lessi l’articolo lentamente, in modo che potesse prendere appunti. Forse troppo lentamente, perchè a un certo punto mi disse: «Avanti, continuate.» Naturalmente, il giornale di Bisbee non avrebbe dedicato all’avvenimento lo spazio che gli avremmo dedicato noi.

Quando ebbi terminato mi disse: «Benissimo, Bob. Siete stato voi a scriverlo?»

«Sì, ma adesso la faccenda non mi riguarda più. Se ne interessa il capo.»

«E come sta il capo?»

«Sempre bene, maledizione.»

«Però! Bene, sapete quando andiamo in macchina. Se il caso ha qualche sviluppo importante, richiamatemi. Intanto, lo trasmetterò alla telescrivente. È un articolo perfetto; come potete aspettarvi di essere licenziato, se scrivete così bene?»

«Già,» risposi, cupo. «Arrivederci, Tom.»

Riagganciai e tornai al lavoro. Avevo molto da fare. Raccolsi i miei appunti sulla riunione del consiglio scolastico della sera precedente e infilai un altro foglio nella macchina. (Non avevo partecipato a quella riunione, ma avevo visto la segretaria quella mattina ed avevo preso i miei appunti da quelli che lei aveva preso dalle minute.)

Battei l’articolo, mettendoci dentro tutti i nomi che potevo senza dare un elenco vero e proprio dei presenti. Era una cosa che Hetherton mi aveva insegnato fin dalla prima settimana che lavoravo per lui. «Nomi, Spitzer, nomi! Sul giornale la gente vuole vedere il proprio nome o quello della prima moglie. È questa la raison d’être del settimanale di una cittadina.»

E tutte le settimane, con un pretesto o con l’altro, noi davamo, come minimo, qualche centinaio di nomi.

Terminai l’articolo appena in tempo per correggere le bozze del caso Waggoner che Waldo mi aveva portato. Dopo aver apportato qualche variante di secondaria importanza, le misi sulla scrivania di Hetherton. Battei un altro paio di articoli, più corti, e li passai in tipografia.

Ora mi restava un poco di tempo libero, e la cosa non mi spiaceva affatto. Non perchè fossi stanco, ma perchè avevo voglia di riflettere. Dovevo prendere una decisione per me importantissima, e se avessi sbagliato mi sarei cacciato in un mare di guai. Dovevo o meno parlare a McNulty di una cosa accaduta poco meno di un mese prima? Una cosa che, anche se l’avesse creduta, mi avrebbe ricollegato ai suoi occhi ad Amy Waggoner. Se l’avesse creduta solo in parte, sarei automaticamente diventato ai suoi occhi un tipo sospetto. Ma, se non parlavo e lui la veniva a sapere, ammesso che non la sapesse già, mi sarei venuto a trovare in un brutto pasticcio.

Era accaduto una domenica, e doveva essere stata, quella, la prima domenica di Amy a Mayville. Di solito, la domenica, ho un appuntamento con Doris, ma quella settimana ella era stata assegnata al turno di giorno del centralino telefonico, e così il nostro appuntamento era stato spostato alla sera. Non sapendo che fare quel pomeriggio, ero andato al Filone per ingannare un poco il tempo. E avevo trovato Amy; fino a quel momento non sapevo nulla di lei; era in città solo da pochi giorni.

Non eravamo stati né io né lei ad attaccare: era stato semplicemente il barista a presentarci. Avevamo chiacchierato un poco davanti ai nostri bicchieri, poi me n’ero andato, e questo era stato tutto. Una cosa perfettamente innocente, ed ero pronto a discuterne con McNulty.

Ma se gli avessi detto che cosa era accaduto più tardi, quello stesso giorno?

Ero andato all’appuntamento con Doris quella sera, ma avevamo litigato. Era stato il nostro primo, vero litigio, e non ce n’erano stati altri da allora, ma le cose avevano preso una brutta piega. Era stato un litigio da innamorati; solo gli innamorati possono arrivare al punto di insofferenza reciproca che noi raggiungemmo quella sera. Era cominciato per una sciocchezza tale che non intendo certo riferirla per non fare la figura dello stupido. Ma, come può succedere, avevamo finito per perdere di vista il punto di partenza, e ci eravamo trovati di fronte non semplicemente estranei, ma addirittura nemici. Alle dieci la lite aveva raggiunto questo punto, e quando Doris mi aveva chiesto di accompagnarla a casa, l’avevo accontentata. E più che volentieri. E quando, scendendo dalla macchina, mi aveva detto che non voleva più rivedermi, non solo avevo creduto che parlasse sul serio, come certo parlava sul serio in quel momento, ma mi ero anche sentito sicuro che la nostra rottura era definitiva.

Così, che cosa altro mi restava da fare se non ubriacarmi? Non ubriaco fradicio, questo no, ma quel tanto che bastava per non soffrire più. E soffrivo molto in quel momento. Mi piace bere, ma, in circostanze normali, non esagero mai. Due o tre bicchieri, quattro al massimo, rappresentano la mia razione serale. E non ho neppure bisogno di contarli o di costringermi a smetterla; di norma mi bastano. Ma quella non era una delle solite sere.

Ero andato da Cass, il mio bar favorito, vicino al giornale. Avevo incominciato a bere whisky ed acqua. Non li buttavo giù, ma nemmeno li facevo durare troppo. In un’ora e mezzo ero giunto a quota sei o sette. Forse mi sentivo un poco meglio, ma non molto.

Poi mi era venuta l’idea che sarebbe stato più intelligente comperare una bottiglia, portarla in camera mia e scolarla là. Non bevo da solo, di solito, ma quella sera avevo tutte le intenzioni di farlo. Non avevo voglia di parlare, nemmeno con Cass, ed avevo evitato di attaccare discorso con gli altri. Così, stavo già bevendo da solo, e tanto valeva allora che mi trasferissi in camera mia. E poi pochi bicchieri ancora, specie se puri, mi avrebbero fatto certo piombare nel sonno, e non chiedevo di meglio. E, dopo una notte di sonno, avrei certo visto la situazione sotto una luce migliore. Anche se avessi avuto il mal di testa.

Avevo allora comperato una bottiglia da Cass ed ero uscito. L’avevo messa in macchina e mi ero diretto verso casa, ma poi avevo cambiato idea. Mi sarei prima fermato al Filone a bere qualcosa. Anche se non avevo voglia di chiacchierare, non ero ancora d’umore da restarmene completamente solo.

Avevo portato la macchina nel parcheggio del Filone, ma non ero entrato. Mentre stavo scendendo, avevo visto Amy Waggoner uscire da sola. L’avevo salutata con un cenno della mano ed ero passato oltre, chiedendomi se era il caso o meno che la invitassi a bere con me. Poi avevo avuto un’idea migliore, o meglio un’idea che, al momento, mi era sembrata migliore. Quel pomeriggio mi aveva detto dove abitava. Le avevo chiesto se potevo darle un passaggio fino a casa.

«D’accordo, se volete.» E mi aveva spiegato che la sua macchina era in riparazione in garage. Aveva aggiunto che non c’era molta strada da lì al motel, che le piaceva di camminare, ma che, se proprio lo volevo…

Le avevo detto che lo volevo; eravamo saliti in macchina e l’avevo accompagnata al motel. Doveva aver già bevuto, moltissimo. Camminava dritta, ma la sua voce era confusa, assolutaménte diversa da quella del pomeriggio. Quella sera aveva certo tracannato più che mai, ma non sapevo ancora che era una alcoolizzata e che, per ridursi in quello stato, doveva bere molto ma molto di più di una persona normale.

Quando eravamo arrivati al motel, avevo accennato alla bottiglia e le avevo detto che sarei stato lieto di bere con lei il bicchiere della staffa, se solo mi avesse invitato un momento. Senza esitare mi aveva risposto di sì.

Le mie intenzioni non erano certo oneste, e non posso neppure attribuirle al troppo alcool; nello stato d’animo in cui mi trovavo, mi sarei probabilmente comportato nello stesso modo se non avessi bevuto neppure una goccia. Volevo prendermi un passaggio con Amy e, se non trovavo resistenza, rimanere con lei la notte o almeno parte della notte.

Ma non avevo fretta di entrare in azione, perchè non è certo gentile, quando si è in casa di una donna che si è conosciuta proprio quel giorno, attaccare subito, non appena si chiude la porta. Un poco di tatto non guasta mai. Avevo aperto la bottiglia ed avevo riempito i due bicchieri che avevo trovato in bagno.

Intanto Amy non si era «messa a suo agio», come fanno le donne quando intendono incoraggiare le galanterie, ma aveva fatto qualcosa di molto simile. Si era accomodata sul letto, appoggiandosi ai cuscini rialzati. Ed io mi ero messo a sedere sul bordo del letto stesso, vicino a lei, molto vicino. Avevamo chiacchierato un poco, quel tanto che bastava a vuotare i bicchieri, ed io stavo pensando: ecco il momento, quando Amy aveva buttato all’aria i miei piani, chiedendomi un bis. Di malavoglia mi ero alzato per accontentarla, e quando ero tornato avevo trovato Amy crollata. Dormiva come un sasso; ero stato così poco cavaliere da scuoterla adagio per una spalla per vedere se non si era per caso semplicemente appisolata, ma non c’era stato nulla da fare.

Ecco, i miei rapporti intimi con Amy si erano limitati a quella mano sulla spalla nel tentativo di svegliarla, e in quell’unica occasione mi era capitato di toccarla.

E l’indomani ero stato contento che le cose fossero andate così, perchè Doris ed io avevamo fatto la pace ed avevamo ripreso ad andare d’amore e d’accordo. Ero stato io a telefonarle, ma lei aveva ammesso che stava proprio cercando di raccogliere tutte le sue forze per telefonare a me, e tutti e due avevamo ammesso di essere stati sciocchi, di essere più innamorati che mai, come capita spesso dopo le liti del genere.

Dopo di allora avevo incontrato qualche volta Amy, avevamo persino bevuto un paio di bicchierini assieme da Cass o al Filone, ma non avevamo mai parlato dell’episodio o accennato ad esso, sia pure alla lontana. Era possibile che Amy non lo ricordasse nemmeno.

Anch’io lo avevo quasi dimenticato. Ma ora, dopo quanto era successo ad Amy, dovevo decidere se era il caso o meno di parlarne con McNulty. McNulty avrebbe cercato certo qualcuno che aveva avuto od aveva rapporti con Amy. E, se avessi ammesso di essere stato in camera sua e se lui non avesse trovato altri, ecco che sarei venuto a trovarmi in una situazione difficile. Se avessi ammesso di esserci stato una volta, non gli sarebbe riuscito difficile pensare che ci ero stato anche altre volte. Compresa in particolar modo la sera precedente, dal momento che non avevo alibi.

Non che mi preoccupasse l’idea di venire accusato. Non avevo ucciso Amy, e McNulty non avrebbe mai trovato prove in contrario. Ma non sarebbe stato simpatico essere sospettato, anche se tutto si fosse limitato a questo. La storia sarebbe arrivata all’orecchio di Doris, che avrebbe creduto alla mia versione, ma non se ne sarebbe certo rallegrata.

D’altra parte, se mentivo con McNulty ed egli mi sorprendeva in flagrante menzogna, sarei venuto a trovarmi in un pasticcio ancora peggiore.

Ma come era possibile che venisse a sapere? Certo Amy, ammesso che ricordasse l’episodio, non ne aveva parlato con altri; non ne avrebbe avuto motivo. E sarei stato pronto a giurare che nessuno mi aveva visto farla salire in macchina nel parcheggio del Filone. Forse qualcuno aveva visto la mia auto ferma davanti alla stanza di Amy al motel. Ma era rimasta là meno di mezz’ora, e intorno alla mezzanotte. Le probabilità che qualcuno l’avesse notata erano trascurabili.

Giunsi allora a una conclusione. Avrei detto la verità a McNulty se questa fosse riuscita di qualche utilità alle indagini, ma, così come stavano le cose, non sarebbe stata di utilità alcuna, anzi avrebbe solo confuso ulteriormente la situazione.

Comparve Hetherton.

3

Si mise a sedere alla scrivania e lesse le bozze del mio articolo. Le siglò con una matita copiativa e me le diede. «Waldo,» disse.

Mentre le portavo in tipografia, diedi una occhiata alle correzioni. Poca roba. I due primi periodi dovevano essere composti di nuovo su due colonne, in corpo più grande, e poi c’erano alcune parole e alcune frasi cambiate qua e là. Roba di trascurabile importanza, ma egli aveva l’abitudine di cambiare sempre qualcosa per non lasciare che l’articolo passasse come lo avevo scritto io.

Quando tornai, stava battendo a macchina. Lessi solo in fondo ad una riga la parola «Waggoner», ma, per poterne sapere di più, avrei dovuto chinarmi sopra la sua spalla.

«Spitzer,» disse, «Mac e lo sceriffo sono ora qui di fronte, e Mac vuole sempre parlarvi. Tanto vale sbrigarsela. Ma non trattenetevi più a lungo del necessario. Ah… avete mangiato qualcosa?»

«Mio Dio, no!» esclamai. «Me ne sono proprio dimenticato.» Le sere di chiusura di solito faccio un salto fuori alle cinque e mezzo, ed Hetherton esce quando rientro; in questo modo il lavoro non ha interruzioni.

Disse: «Prendetevi un sandwich, mentre siete fuori.»

«Certo.» Mi voltai per uscire.

«Un momento, Spitzer. Lasciatevi interrogare da McNulty, ma cercate di far cantare anche lui; può darsi che sia saltato fuori qualcosa di nuovo.»

«Va bene, ma in questo caso sarà meglio che mi diciate che cosa state aggiungendo al mio articolo. Se ignoro quello che siete riuscito a raccogliere, non posso sapere che cosa è nuovo e che cosa no.»

Corrugò la fronte, ma capì che non poteva darmi torto. Disse: «Quando è arrivato, lo sceriffo si è messo subito a perquisire la stanza assieme a McNulty. Ma sembra che l’assassino abbia già fatto qualcosa del genere ieri sera. Il portafogli di Amy — Birdie sostiene che ne portava sempre uno — mancava dalla borsetta. Anche i cassetti e gli armadi erano stati rovistati. Essi cercavano soprattutto lettere o documenti che dessero l’indirizzo di Kansas City. Non c’era il più piccolo pezzo di carta là dentro… nemmeno carta straccia nel cestino.»

Dissi: «La sua macchina ha una targa del Missouri. Con quella dovrebbero essere in grado di rintracciare il suo indirizzo a Kansas City.»

«Naturalmente. McNulty ha preso nota del numero quando, nel ritorno, siamo passati davanti al Filone. Ma sarà una cosa che richiederà molto tempo; bisogna passare attraverso l’ufficio motorizzazione della capitale di Stato, e non sarà possibile avere una risposta per stasera. Se avesse trovato un indirizzo, probabilmente avrebbe chiamato subito la polizia di Kansas City. Così invece dovrà aspettare fino a domani mattina, e poi chiamerà per prima cosa il registro automobilistico.»

«Questo è tutto?»

«Un’altra cosa. C’era una bottiglia quasi vuota di Seagram’s per terra, vicino al letto, sul lato opposto alla porta, ed è per questo che voi non l’avete notata. Birdie giura che Amy non beveva mai da sola, che lei non ha mai trovato una bottiglia, vuota o piena, nella sua stanza.»

Pensai che, grazie a Dio, quella sera mi ero portato via la mia bottiglia quando me n’ero andato. Avevo pensato che, quando fossi arrivato a casa, avrei ancora avuto voglia di bere qualcosa, mentre Amy, evidentemente, aveva già bevuto fin troppo. In caso contrario, se era vero che Amy non beveva mai da sola, forse la mia bottiglia sarebbe stata ancora là, e con tanto di impronte digitali.

Dissi: «Così, a quanto sembra, il suo ospite ha portato una bottiglia e l’ha fatta bere fino a quando non è crollata. Poi l’ha uccisa e ha frugato dappertutto nella stanza. O viceversa, se era ben sicuro che dormisse. E i bicchieri?»

«Ne sono stati adoperati due. Ma erano tutti e due sul cassettone, e accuratamente ripuliti all’esterno, come la bottiglia, del resto. Evidentemente l’assassino se ne intendeva di impronte digitali.»

«Il che significa che non ne troveranno neppure da altre parti. E il cadavere? Lo sottoporranno ad autopsia?»

«Il cadavere è nella cella mortuaria di Murcheson. Ci sarà l’autopsia, probabilmente domani. Ma non hanno ancora deciso se è meglio far venire qui il coroner o trasportare il cadavere a Douglas. Questo è tutto. Andate, Spitzer. Voglio che siate di ritorno al più presto possibile.»

Fuori, indugiai qualche secondo per decidere se mangiare prima o dopo aver visto McNulty. Fu l’appetito ad avere la meglio. Quando mi accorsi che erano quasi le otto e che non avevo più mangiato da mezzogiorno, avvertii subito una fame tremenda. Raggiunsi a piedi il ristorante più vicino, due isolati più oltre, e ordinai panini e salsiccia.

E intanto ripensavo a quello che, secondo Hetherton, era stato ritrovato nella stanza, oltre ad Amy. E le mie conclusioni non erano certo rosee per me, perchè in questo modo veniva ad essere escluso il mio candidato numero uno per la camera a gas, l’unica persona, ad eccezione di Hetherton, senza la quale mi sarei sentito molto più a mio agio a Mayville, Herbie Pembrook. Forse Herbie era intelligente abbastanza da sapere qualcosa sulle impronte digitali, ma non mi riusciva assolutamente di vedere Amy che lo invitava e che beveva con lui. Herbie non era certo un tipo che potesse far colpo. I suoi abiti erano sempre sudici, e, anche se non mi ero mai avvicinato a lui quanto bastava per accertarmene, avevo il sospetto che fosse egualmente sudicio sotto gli abiti. Aveva denti gialli e irregolari che sporgevano lievemente in avanti. La sua barba sembrava sempre di tre giorni e i suoi capelli di tre mesi. Se Amy aveva avuto qualche relazione a Mayville, l’ultima persona su cui poteva essere caduta la sua scelta era certo Herbie. Sicuramente non erano state le occasioni a mancarle. Non mi riusciva semplicemente di vederla invitare Herbie nella sua stanza ed ubriacarsi con lui in costume adamitico.

Quando uscii dal ristorante, resistetti virilmente alla tentazione di spingermi qualche porta più avanti e di digerire la salsiccia con un bicchierino da Cass. Traversai invece la strada ed entrai nella stazione di polizia.

Seduto alla scrivania, McNulty stava parlando al telefono. «No, accidenti,» strillò, «non posso nemmeno immaginare quando sarò a casa.» Capii così che aveva in corso una discussione con la moglie.

Lo sceriffo della contea di Cochise sedeva accanto alla scrivania. Quando entrai, mi salutò agitando il sigaro e disse: «Salve, Bob», ed io risposi: «Salve, sceriffo.» Lo sceriffo della contea di Cochise, di stile moderno, non assomigliava affatto ai tipici sceriffi dei film western o della televisione, salvo che per un particolare: portava uno Stetson a tesa larghissima, di un bianco meraviglioso, che doveva essergli costato un bel mucchio di soldi. Lo aveva in testa in quel momento, spinto un poco indietro sulla nuca. Per il resto, vestiva come un uomo d’affari e non portava rivoltella.

Charlie Sanger era seduto in un angolo della stanza e, i piedi sul tavolo, era immerso nella lettura di un western.

McNulty riagganciò il ricevitore. «Maledette tutte le donne,» disse, senza rivolgersi a nessuno in particolare, poi a me: «Mettetevi a sedere. Sarà una faccenda abbastanza lunga.»

Non capivo perchè sarebbe dovuta essere una faccenda lunga, ma avvicinai la sedia. «Prima che attacchiate con il terzo grado, Mac, ho un suggerimento da farvi, ed è meglio che ve lo faccia prima che me ne dimentichi. State ancora cercando l’indirizzo di Amy a Kansas City?»

«Già. Strano che non ci fosse qualcosa nella sua stanza. A meno che quel tale non se lo sia portato via.»

«Si è preso anche le chiavi della macchina?»

«No. Quelle le ho qua io. Perchè?»

«Probabilmente c’è la ricevuta del bollo attaccata al volante. E poi, c’è qualcuno che lascia i documenti nello scomparto dei guanti. Avete perquisito la macchina?»

McNulty fece schioccare le dita. «Non ci avevo pensato. Ottima idea! Charlie!»

Charlie doveva aver ascoltato anche se leggeva, perchè già stava attraversando la stanza. «Volete che vada a dare una occhiata, Mac?»

«E subito.» McNulty infilò le mani in tasca, prese un piccolo portachiavi e lo buttò a Charlie. «Andate a piedi, così potrete tornare con la macchina e metterla nello spiazzo qui dietro, in modo che sia a portata di mano. Inutile lasciarla davanti al Filone.»

Poi McNulty si rivolse a me. «Statemi a sentire, comincerò con le stesse domande che vi ho già rivolto, perchè allora lo sceriffo non c’era. Bene. Siete venuto qui da Kansas City circa un anno fa?»

«Esatto. Fra una settimana sarà giusto un anno.»

«Quanto tempo siete vissuto laggiù?»

«Ci sono nato. Ci ho vissuto tutta la mia vita, salvo quattro anni, cinque se contiamo quello che ho passato qui. Ho passato due anni all’università di Stato dell’Ohio e altri due sotto le armi, quasi sempre nel Texas. Sono stato congedato quattro anni fa.»

«E siete tornato a Kansas City e ci siete rimasto fino a quando non vi siete trasferito qui?»

«Già.»

«Ma non conoscevate Amy Waggoner laggiù? Nemmeno superficialmente?»

«No. Non l’avevo mai vista prima che venisse a Mayville. Pochi giorni dopo il suo arrivo, per essere precisi. O almeno, lei mi ha detto che era arrivata da pochi giorni.»

«E dove l’avete conosciuta? L’avete abbordata in un bar?»

«L’ho conosciuta in un bar, non abbordata, perchè siamo stati presentati.»

«Da chi? Avanti, raccontatecelo.»

«Era una domenica pomeriggio… vediamo, lei era qui da un mese, e di conseguenza deve essere stato tre domeniche fa. Andavo a zonzo e sono capitato al Filone. Dietro il banco c’era Willie Perkovich, davanti Amy. C’erano anche altri clienti, ma non molti.

«Quando sono entrato, Willie ed Amy stavano chiacchierando. Mi ha fatto cenno di avvicinarmi e mi ha detto: “Ho il piacere di presentarvi una vostra concittadina, Bob. È…” Poi non riusciva a ricordare il nome, ammesso che lo sapesse, e lei lo ha detto, e io le ho detto il mio. Poi, quando ho ordinato da bere, ho offerto naturalmente un bicchiere anche a lei. Abbiamo parlato, se non mi sbaglio, per una mezz’ora, poi me ne sono andato.»

«Che cosa vi ha detto di se stessa?»

«Non molto. Che era di Kansas City ma che, con ogni probabilità, non ci sarebbe tornata. Che si sarebbe trasferita a ovest, forse in California, ma che Mayville le piaceva e si sarebbe fermata per un poco. Forse per sempre. Mi ha rivolto un mucchio di domande sulla città e io le ho risposto. Clima e roba del genere. Le ho fatto notare che d’estate faceva un caldo terribile, ma mi ha detto che il caldo non le dava fastidio. Non mi ha chiesto però se c’era la possibilità di trovare lavoro, ed ho pensato perciò che doveva vivere di rendita, una piccola rendita di un qualche genere, probabilmente alimenti.»

«Perchè una piccola rendita?»

«Perchè, se fosse stata ricca, non sarebbe venuta a vivere nel piccolo motel di una cittadina… e di una cittadina, per di più, dove non conosceva nessuno. Le ho chiesto se conosceva qualcuno, e mi ha risposto no, salvo i pochi che le erano stati presentati da quando era arrivata. E, secondo lei, tutti si erano dimostrati molto gentili.»

«Avete parlato di Kansas City?»

«Non molto, quella prima volta. Ma quando ci siamo trovati una seconda volta, senza contare i saluti che ci eravamo scambiati per strada, eravamo al bar di Cass, quasi una settimana più tardi. Una settimana esatta, ora che ci penso, perchè era domenica di pomeriggio. E quella volta abbiamo parlato quasi sempre di Kansas City.»

«Vi ha detto proprio che veniva di là? Insomma…»

«Capisco che cosa intendete. Sì, veniva proprio di là… o era vissuta là molto tempo, non ci era passata semplicemente. Per esempio, quando le ho detto che abitavo vicino ad Ashland Square, sapeva dov’era, e ha nominato diversi posti della zona. E, quando abbiamo parlato dei negozi e dei bar, ne ricordava alcuni che io avevo dimenticato. Sì, ha abitato a Kansas City, e di recente direi; i suoi ricordi erano più chiari dei miei, dopo un anno.»

«Non ha accennato a dove abitava?»

«No, ma ho avuto l’impressione che fosse in centro o vicino al centro.»

«Qualcosa che potesse farvi pensare se era sposata o sola quando abitava là?»

«Niente. Non le ho rivolto domande sulla sua vita personale e non so, di conseguenza, se, rivolgendogliele, le avrebbe eluse o avrebbe risposto.»

«Avete parlato con lei altre volte?»

«Ora che ci penso, credo di aver parlato tête-à-tête con lei unicamente in quelle due occasioni. E un paio di altre volte in circostanze simili, ma c’erano anche altri e la conversazione era generale.»

«Era ubriaca in quelle occasioni?»

«Quando le ho parlato da solo, no. Le altre due volte era già sera, e, se non era ancora ubriaca, era sulla strada buona per diventarlo. Mi consta che a tarda sera… Ma in questo caso si tratta soltanto di un sentito dire, e intendo attenermi a quanto so di scienza mia.»

McNulty sospirò. «Non importa, in ogni modo. Abbiamo già parlato con molte persone, e poi l’ho vista anch’io più di una volta. Conosciamo la sua… sì… tecnica del bere. Cominciava sempre di primo pomeriggio e a mezzanotte era regolarmente ubriaca. Ma mai al punto da non poter camminare: teneva piuttosto bene l’alcool, per essere una donna. E adesso parliamo un po’ di ieri sera. Che cosa avete fatto?»

«Mi sono comportato nella più saggia delle maniere. Appena finito di lavorare, ho mangiato e sono tornato a casa. Ho passato la sera in camera mia a leggere e sono andato a letto poco dopo le dieci. Cerco sempre di fare una bella dormita il mercoledì sera, perchè il giovedì, cioè oggi, è la nostra giornata più dura. Un momento, ho mentito. Ho bevuto un bicchierino da Cass dopo aver mangiato e prima di rientrare a casa. Deve essere stato fra le sei e mezzo e le sette.»

«C’era Amy?»

Scossi la testa. «Non ho visto Amy ieri. E credevo sapeste che Amy non era troppo ben vista da Cass la sera. Cass ne aveva fatto una regola come quella che avevate fatto voi di non permetterle di tornare a casa in macchina di notte. Non gli va che la gente si ubriachi nel suo locale.»

«Non credo siate in grado di dimostrare di aver passato la sera e la notte in camera vostra. Vediamo un po’, state in casa della signora Burdock, vero?»

«La risposta alla vostra seconda domanda è sì. Alla prima no… dopo le dieci. La signora Burdock sa che sono rientrato poco dopo le sette, perchè mi sono fermato a chiacchierare con lei. Verso le nove e mezzo ha bussato alla mia porta, mi ha detto di aver preparato del cacao e mi ha chiesto se ne volevo una tazza. Ho risposto di sì. Abbiamo bevuto il cacao e chiacchierato fino alle dieci circa, poi sono salito e sono andato a letto. Credo sia andata a letto anche lei, è la sua solita ora.

«Ma non è in grado di dirvi se io sono uscito ancora dopo quell’ora, perchè la sua stanza al piano terreno è sul retro della casa e lei ha il sonno molto duro. Così dovete convincervi che non ho alibi per l’ora della notte in cui Amy è stata uccisa.»

«Va bene. E adesso, come facevate a sapere che da Birdie è possibile rimanere chiusi fuori quando la chiave è all’interno? Io non lo sapevo, e dubito che altri a Mayville lo sappiano, dal momento che, come avete detto anche voi, è successo soltanto poche volte.»

Ecco allora che cosa mordeva McNulty, una sciocchezza del genere. Sorrisi. «Perchè sono uno dei pochi a cui è capitato. Quando sono arrivato qui, un anno fa, per prendere il posto al Sun, mi sono fermato da Birdie i primi tre giorni, mentre cercavo una stanza in città. Ma, nel mio caso, la faccenda è stata abbastanza semplice, perchè non avevo chiuso la finestra. Se dubitate, parlatene con Birdie; lo ricorderà certo.»

McNulty brontolò. «Non vi conoscevo allora, non sapevo che vi eravate fermato là. Così tutta questa storia non significava niente, ma… ma c’è un’altra cosa che volevo chiedervi da un pezzo. Forse potete illuminarmi in proposito. Primo: quanti anni avete?»

«Ventinove.»

«Più o meno come immaginavo. E quanto vi paga Hetherton?»

Capii a che cosa stava mirando e sospirai. «Trentacinque la settimana.»

«Più o meno come immaginavo anche qui. Più o meno quello che paga di solito. E, prima che arrivaste voi, non era mai riuscito ad accaparrarsi un buon giornalista. Non andate a ripeterglielo, ma, quando si tratta di stipendio, è il bastardo più avaro di tutto quanto lo Stato. Fino ad ora tutti i suoi dipendenti erano stati ragazzini appena usciti dalla scuola o vecchi giornalisti falliti, come sono vecchi falliti i suoi tipografi, del resto, e anche quelli non resistevano molto. Non ho mai conosciuto uno solo della vostra età che sia rimasto più di un paio di mesi: se non se ne andavano per lo stipendio da fame, se ne andavano per il modo in cui li trattava.

«Ma voi siete intelligente, educato, avete accennato a due anni di università, e avete ventinove anni. E vi tenete un posto come quello. È assurdo: potreste guadagnare il doppio in qualunque giornale della zona; accidenti, i commessi di drogheria se la passano meglio al giorno d’oggi. Se non vi nascondete qui, o se Hetherton non sa qualcosa di compromettente che vi riguarda… maledizione, non capisco proprio.»

Tornai a sospirare. Capivo adesso che cosa lo aveva tormentato nei miei riguardi da almeno sei mesi a quella parte: aveva continuato a chiedersi se tenevo questo posto per nascondere qualcosa d’altro o simili. E la verità era semplice: mi ero lasciato giocare come uno stupido. Fino a quel momento, escludendo Hetherton e me, due sole persone conoscevano la storia: Doris e Tom Acres. E Cass ne sapeva qualcosa, anche se ignorava fino a che punto mi ero lasciato giocare.

«Credo che dovrò raccontarvi tutto, Mac,» dissi. «Sì, Hetherton ha qualcosa che mi riguarda: una promessa che non avrei mai dovuto fargli.»

4

Così raccontai a McNulty, e anche allo sceriffo, dato che c’era, che cosa era successo. Non in maniera particolareggiata, ma quel tanto che bastava per far capire loro come ero legato a Hetherton e al Sun e come, salvo un miracolo, ci sarei rimasto legato ancora per un altro anno, a uno stipendio che era ridicolo anche per una cittadina come Mayville.

Mio padre era morto quando iniziavo il mio terzo anno all’università dell’Ohio. Avevo solo lui, perchè ero figlio unico e mia madre era morta cinque anni prima. Naturalmente, ero tornato in aereo a Kansas City, con la convinzione di rientrare all’università dopo i funerali e dopo un colloquio con l’esecutore testamentario, che era da molti anni il miglior amico di mio padre.

Mio padre era vicepresidente di una delle più importanti banche di Kansas City. Non eravamo ricchi, ma avevamo un buon reddito, e non avevo mai dovuto preoccuparmi per il denaro. Non mi aspettavo di ereditare una fortuna, sia pure piccola, ma avevo ogni motivo di pensare che la proprietà fosse più che sufficiente a permettermi di terminare gli studi prima che potessi pensare a guadagnarmi da vivere.

Ma mi sbagliavo. Mio padre aveva fatto alcuni investimenti sbagliati, come capita anche ai banchieri, ed aveva perduto molto. Inoltre aveva fatto un prestito ad un amico che si era dimostrato tutt’altro che amico ed era scomparso. Seppi che, una volta pagate le spese dei funerali, il capitale si sarebbe volatilizzato, con un notevole margine di passivo. Il legale mi spiegò che ero responsabile solo di alcuni dei debiti; gli altri sarebbero stati annullati per il semplice fatto della mancanza di fondi. Ma gli dissi che era mio desiderio che il nome di mio padre restasse senza macchie e che mi assumevo la responsabilità di tutto, se solo i creditori mi avessero accordato un certo qual respiro.

Così non tornai all’università, nemmeno per recuperare quello che avevo lasciato là; mi feci rimandare tutto quanto. Forse avrei potuto lasciare i debiti in sospeso fino al termine degli studi, e probabilmente, se fossi stato iscritto in una facoltà tecnica, avrei preso in considerazione una soluzione del genere che, a lungo andare, mi avrebbe permesso di guadagnare di più. Ma ero iscritto a un corso di carattere culturale, e, date le circostanze, non mi sembrava che una laurea del genere corrispondesse al valore venale di altri due anni.

La banca per la quale lavorava mio padre mi offrì un posto di impiegato avventizio, ed io accettai.

Ma il posto dietro gli sportelli non era di mio gradimento. Il lavoro di banca non mi piaceva, anche se riuscivo a sbrigarmela discretamente; continuavo a ricevere piccoli aumenti, e in capo a due anni fui trasferito in pianta stabile. Cosa ancora più importante, ero riuscito a pagare tutti i debiti. Dopo un altro anno avevo una macchina, in buone condizioni, anche se non nuova, ed un discreto conto corrente.

E in questo modo arrivavamo a tredici mesi addietro, quando nella mia vita c’è stata una brusca svolta.

Era mio amico un certo Rod Cameron, più o meno della mia età, che lavorava come cronista al Kansas City Times. Una sera, mentre bevevamo birra in camera sua, gli parlai per caso della noia inenarrabile della vita in banca.

Mi disse: «Se la banca non ti piace, perchè non ne esci mentre sei ancora in tempo? Non hai ancora trent’anni e sei libero e solo. Sei abbastanza intelligente. Che cosa ti piacerebbe fare?»

«Il cronista,» risposi. Non avevo esitazioni in proposito: lo avevo sempre invidiato per il suo lavoro, anche se tutti e due guadagnavamo più o meno lo stesso. «Ma è un sogno impossibile. I giornali non assumono come cronista chi non abbia già una pratica precedente. No, a meno che non si siano frequentati i corsi di giornalismo, cosa che non ho fatto. O a meno che tu non sia abbastanza giovane da cominciare come correttore di bozze o simili, e non assumerebbero mai come correttore di bozze un ventottenne, sia pure disposto a lavorare per lo stipendio che la qualifica comporta.»

Annuì. «Hai ragione, per ciò che riguarda i giornali di città. Ma i giornali di provincia non riescono qualche volta a trovare gente in gamba e non guardano troppo per il sottile. Naturalmente, dovresti cominciare con uno stipendio molto inferiore a quello che guadagni ora, Bob, ma se ci sai fare, non ti riuscirebbe poi molto difficile trovarti un posto decente.»

«Quanto tempo ci vorrebbe?» chiesi. Mi interessava più questo che non la diminuzione di stipendio alla quale avrei dovuto sottostare. Improvvisamente mi ero reso conto che si trattava di una cosa seria, non di un’idea campata in aria.

«Non saprei, dipende dalla tua capacità e dalla tua applicazione al lavoro. Io ho cominciato con i tuoi stessi titoli di studio: due anni di università, senza corsi di giornalismo. Mi ero iscritto ai corsi tecnici, ma mi ero accorto che non erano pane per i miei denti. E non avevo nemmeno una passione particolare per il giornalismo; ho incominciato a cercare un posto e mi è capitato di entrare in un giornale di provincia. Ma il lavoro mi piaceva e me la sono sbrigata bene; dopo meno di un anno ho trovato un posto in un quotidiano di Topeka. Due anni laggiù e sono diventato cronista, il che mi ha permesso di trasferirmi qui. La prossima tappa sarà magari New York. Ho già fatto domanda a due giornali. Naturalmente, ho cominciato prima di te, ma si tratta di cinque anni soltanto, e questi non fanno una grande differenza perchè tu, essendo più maturo, potresti far carriera molto più in fretta di me.»

«O magari potrei fare un buco nell’acqua.»

«O magari potresti fare un buco nell’acqua. Questo dipende da te. Stammi a sentire, però: parli sul serio?»

«Certo che parlo sul serio. Ma come devo fare? Procurarmi un elenco dei giornali di provincia e cominciare a scrivere centinaia di lettere?»

«Niente affatto. Pubblica un’inserzione sull’Editor and Publisher, il giornale di categoria per la stampa. Una inserzione lunga abbastanza per presentarti, senza nascondere la tua età e la tua mancanza di qualifiche. Non dimenticare però i tuoi due anni di università; i giornali di provincia non abbondano di uomini con un’educazione universitaria, sia pure ridotta a metà.»

«Andrebbe bene un testo che dicesse, più o meno: “Giovane ventottenne, due anni università, cerca modo di impratichirsi di giornalismo in piccolo quotidiano provincia”?»

«Qualcosa del genere. E aggiungi: “Disposto lavorare ragionevole periodo di tempo a stipendio minimo” o roba del genere, in modo che nessuno possa pensare che tu sia pronto a lavorare gratuitamente per imparare il mestiere.»

«Dove posso trovare una copia dell’E. and P. per l’indirizzo?»

«Ce n’è una su quel tavolo. Prendila pure, perchè a me non serve.»

La presi quando me ne andai, un’ora più tardi. Ma non mandai l’inserzione quella sera e nemmeno quella settimana; era un passo di una tale importanza, un gioco così grosso che preferii rifletterci sopra un poco. Naturalmente, la pubblicazione dell’inserzione non mi avrebbe impegnato, ma non volevo spedirla a meno che non fossi deciso a prendere in seria considerazione le proposte che mi sarebbero potute arrivare.

Il lunedì seguente Rod Cameron mi telefonò, ma non per chiedermi se avevo mandato l’inserzione. Era eccitatissimo: aveva ricevuto una offerta dal Philadelphia Bulletin - non era ancora New York, ma qualcosa di molto vicino, e si trattava di un giornale importante — con uno stipendio di trenta dollari superiore a quello che riceveva a Kansas City. Sarebbe partito alla fine della settimana.

Fu questo a decidermi. Mandai l’inserzione. E cominciai a seguire corsi serali di giornalismo, mentre aspettavo di vedere che cosa sarebbe saltato fuori. Se non avessi ricevuto risposta, avrei insistito. Di lì a poco mi spettava un periodo di ferie; ne avrei approfittato per fare un giro e per interrogare tutti i direttori di giornali delle cittadine che avrei attraversato. E intanto continuavo a studiare, per imparare i primi rudimenti del mestiere.

L’inserzione mi procurò due risposte.

Una era del direttore di un quotidiano di una cittadina del Tennessee, e le proposte non erano certo allettanti: niente stipendio e pensione gratuita a casa sua fino a quando non fosse stato in grado di rendersi conto di quanto effettivamente valevo.

L’altra appariva un poco più promettente. L’aveva scritta un certo Sidney M. Hetherton, proprietario e direttore di un settimanale di Mayville, Arizona. Mi offriva trentacinque dollari la settimana, purché mi impegnassi, come diceva l’inserzione, a lavorare a quello stipendio per un ragionevole periodo di tempo. Perchè, diceva francamente, gli sarei stato di scarso aiuto da principio. Aveva una tiratura limitata, affermava, e, dato che lui solo lavorava al giornale (il che avrebbe dovuto mettermi in sospetto) avrei avuto modo di imparare il mestiere meglio che non in una grande azienda.

Lo stipendio non era peggiore di quello che avevo immaginato per un principiante. Sapevo che con quella cifra sarei stato in grado di vivere, perchè ci avevo già vissuto mentre pagavo i debiti di mio padre. Era poco meno della metà di quello che guadagnavo come impiegato di banca, ma…

Cercai Mayville su un atlante. Popolazione, duemila e cinquecento: una cittadina un poco troppo piccola per i miei gusti. Ma non mi sarei fermato là a lungo. E quando guardai sulla cartina geografica vidi che Mayville era a un’ora di macchina da Bisbee e non molto distante da Douglas, due città abbastanza grandi dove sarei potuto andare a passare la sera se mi fossi annoiato troppo. E Tucson, una cittadina che mi piaceva molto e dove avevo passato una volta una settimana, era solo a tre ore di macchina, troppo distante per andarci per una sera ma non certo da trascurare per i miei giorni di libertà.

Mi ci volle un’ora per arrivare a una decisione, poi telegrafai a Sidney Hetherton per dirgli che accettavo la sua offerta e che mi sarei presentato di lì a dieci giorni, perchè dovevo calcolare una settimana di preavviso prima di licenziarmi dalla banca.

E dieci giorni più tardi, nelle prime ore del pomeriggio, entravo in Mayville. Prima di andare in centro mi fermai a un motel, il La Fonda Motel, per ripulirmi un poco e per cambiarmi. Poi puntai dritto sul Sun. L’ufficio, con la tipografia sul retro, era più o meno quello che avevo immaginato: né più sporco né più pulito della maggior parte degli uffici dei settimanali di provincia.

Ma Hetherton era più pulito e più ordinato della maggior parte dei direttori di giornali di provincia. Sulla cinquantina, piuttosto magro, era alto poco più di un metro e cinquanta e doveva pesare, al massimo, una cinquantina di chili. Aveva capelli brizzolati alle tempie e piuttosto radi sul cranio, ma pettinati alla perfezione. Portava occhiali bifocali cerchiati d’oro. A prima vista, non mi riuscì né simpatico né antipatico. Durante quel primo colloquio, si comportò in modo asciutto e distaccato, ma non ostile.

Mi fece fare il giro della sua azienda e mi mostrò quello che c’era da mostrarmi. Nella sala macchine mi presentò ai due tipografi. (Uno sarebbe stato più che sufficiente per il giornale, come appresi poi, ma si trattava dell’unica stamperia di Mayville, che lavorava anche per i bottegai locali.) I due tipografi erano piuttosto anziani, come erano anziane la linotype, la macchina piana e tutte le altre attrezzature.

Poi tornammo nell’ufficio, ed egli mi mostrò quella che sarebbe stata la mia scrivania e mi presentò l’unica altra impiegata, una certa signorina Howell, che sbrigava il lavoro d’ufficio, teneva la contabilità e si interessava alla pubblicità. Doveva avere più o meno la mia età, ma aveva la pelle butterata, i capelli dritti e un viso da cavallo. Con la signorina Howell — seppi più tardi che si chiamava Alicia, ma la nostra intimità non giunse mai al punto di permettermi di chiamarla per nome — come unica rappresentante del gentil sesso al Sun, potevo essere almeno sicuro di non avere distrazioni romantiche sul lavoro. E, facendo un passo avanti, ella mi riuscì sempre meno simpatica con il passare del tempo. Era bisbetica, permalosa, maligna, caratteristiche, queste, che se erano comprensibili nel suo caso, non valevano certo a renderla bene accetta.

Poi Hetherton si mise a sedere alla sua scrivania e mi indicò una poltrona. Disse: «Ecco l’azienda, signor Spitzer. Piccola, certo. Ma questo, nelle vostre circostanze, è un vantaggio. Imparerete più presto qui perchè il lavoro sarà più vario. Mi spiace di potervi offrire soltanto trentacinque dollari, ma, naturalmente, non penso nemmeno che vi fermerete per sempre a questo stipendio. Comunque, si tratta di uno stipendio equo per chi vuole imparare il mestiere, e il vostro annuncio diceva che sareste disposto a fermarvi con me per un periodo di tempo ragionevole. Che ve ne pare di due anni?»

«Due anni?» Temo che la mia voce non avesse un accento troppo convinto. Se mi avesse chiesto che cosa intendevo per un «ragionevole periodo di tempo», avrei risposto sei mesi. «Volete dire due anni senza un aumento?»

«Precisamente questo intendo dire.»

Mi alzai. «Signor Hetherton, non era a questo che pensavo quando ho compilato il testo della mia inserzione. A questo stipendio, posso impegnarmi a restare, come massimo, per un anno. Capisco ora che, invece di telegrafarvi, avrei dovuto telefonarvi e discutere con voi questo punto.»

«Forse avreste dovuto farlo,» convenne, conciliante. «A me due anni sembrano ragionevoli, date le circostanze. Non siete obbligato ad accettare, naturalmente, e a me in fondo la cosa non interessa più di tanto. C’è un ragazzo che si diplomerà fra poche settimane e che sarebbe ben contento di assicurarsi il posto a uno stipendio anche inferiore. Il posto è ancora vostro, se lo volete, ma prima dovete promettermi formalmente che vi fermerete per due anni. E dovete anche promettermi che farete del vostro meglio. La vostra promessa di rimanere qui non avrebbe significato se non mi promettete anche di non costringermi a licenziarvi per… come dire… ostruzionismo, incapacità deliberata sul lavoro.»

Mi aveva battuto sul tempo; stavo pensando che proprio quello avrei potuto fare se, di lì a sei mesi o a un anno, mi fossi sentito in grado di andarmene per accettare una offerta migliore e più remunerativa. Ma ormai anche questa via d’uscita mi veniva chiusa.

Abbassai le palpebre per riflettere un momento. Non era neppure il caso di pensare di tornare a Kansas City. Forse avrei potuto continuare, fino a esaurimento del mio capitale, interrogando i direttori di tutte le cittadine che attraversavo e sperando in un colpo di fortuna, ma ricordavo quante poche risposte aveva ricevuto la mia inserzione sull’E. and P.

Chiesi: «Quanto tempo ho per prendere una decisione? Devo rispondere subito sì o no?»

Prese dal taschino un orologio e lo guardò. «Gradirei sapere qualcosa per l’ora della chiusura, le cinque. Adesso sono le due e mezzo. Vi basta?»

«D’accordo. Per le cinque vi darò una risposta.»

Uscii in un tiepido sole pomeridiano. Mayville in maggio. È forse il mese più bello dell’anno nell’Arizona del Sud. La stagione turistica è già finita, è vero, ma in genere i turisti capitano qui per evitare il freddo e la neve nei loro Stati, e maggio è un mese bellissimo quasi dappertutto.

Mi tolsi la giacca e la buttai nella macchina, ma lasciai la macchina dov’era e mi misi a camminare. Feci il giro della città, che mi piacque malgrado il mio disappunto e la mia indecisione. Mi sembrava che Mayville fosse simpatica, onesta. Niente di pittoresco, salvo che nel quartiere di Mextown, e là il pittoresco non era voluto: i messicani costruivano a quel modo e vivevano a quel modo perchè così erano sempre stati abituati a fare. E poi, Mextown è fuori dalla statale; i turisti che fanno una breve tappa in genere non la notano nemmeno. Ma io ci capitai per caso, e mi piacque.

Mi fermai in una cantina e ordinai una tequila, poi, accorgendomi che c’erano solo altri due clienti nel locale, aggiunsi por la casa. Il che, secondo i miei vaghi ricordi scolastici di spagnolo, è la traduzione letterale di «per la casa». Probabilmente l’equivalente spagnolo è diverso, ma il barista afferrò l’idea. E mi diede il resto del dollaro che avevo lasciato cadere sul banco. Naturalmente, risultò che tanto i due clienti quanto il proprietario parlavano inglese, e non potei cavarmela fino a quando ognuno di loro non mi ebbe ricambiato la cortesia.

Quattro tequila mi avevano messo in uno stato d’animo propizio, e Mayville mi sembrava ora ancora più bella. Tornai indietro e mi ritrovai sul corso, a mezzo isolato dagli uffici del giornale. Erano le quattro e non avevo ancora preso decisione alcuna.

Mi trovavo di fronte a un bar che recava l’insegna: BAR SINISTRO. Non cercai neppure di resistere. Volevo conoscere chi aveva avuto il fegato di dare un nome del genere al proprio locale. Entrai.

Fu così che conobbi Cass Phillips. Per caso non c’erano altri clienti, e Cass ed io cominciammo a parlare; pochi minuti più tardi ci chiamavamo già per nome. A Cass piaceva parlare; chiacchierammo del più e del meno, ma non gli confidai il mio problema e non gli piansi sulla spalla, come sentivo la tentazione di fare.

Era grande e grosso, Cass. Un metro e novanta circa, due spalle gigantesche, un petto che sembrava un armadio. Fitti capelli grigi che forse erano incanutiti prematuramente, perchè per il resto non gli si davano certo più di quarant’anni. E, come venni a sapere poi, era sorprendentemente cosmopolita e intelligente per essere il proprietario di un bar — sia pure un bar sinistro - in una cittadina come Mayville. Aveva fatto il cameriere-cantante a Chicago, aveva fatto il croupier a Las Vegas, era stato… bene, non ricordo più tutte le sue svariate professioni.

Mentre chiacchieravamo — in quel momento ero io a parlare, ma non rammento che cosa stavo dicendo — ci capitò di guardare tutti e due contemporaneamente fuori dalla vetrina mentre passava una ragazza. Forse non era la più bella ragazza del mondo, ma certo non scherzava. Camminava con l’eleganza di una indossatrice, ma senza la prosopopea di una indossatrice. I capelli nerissimi, pettinati alla paggio, le ricadevano sulle spalle e ondeggiavano a ogni passo. Accidenti, non sono capace di descriverla, non sono mai stato capace di descrivere le donne, sia pure le più comuni.

Notando con la coda dell’occhio che anche Cass l’aveva vista, chiesi: «Chi è quella?»

«Doris Jones. Lavora al centralino telefonico.» Sorrise. «No, non è sposata. E nemmeno fidanzata, che io sappia.»

«Ci sono molti tipi del genere qui da voi?»

«Quante ne volete?» mi chiese.

Non risposi. Diedi invece un’occhiata all’orologio e vidi che erano le quattro e mezzo. Avevo fatto durare un bicchiere mezz’ora e mi restava il tempo per un secondo. Dissi: «Un bis, Cass. Un altro bicchiere, voglio dire, non…» e indicai con un cenno del capo la vetrina. E, dato che ormai eravamo diventati quasi amici, aggiunsi: «E uno anche per voi.»

«Grazie, adesso no,» replicò. Poi, per scusarsi: «Di norma bevo qualcosa quando è quasi l’ora di chiusura, ma mai così presto.» Prima che prendessi il bicchiere, pescò di tasca un nichelino e me lo fece scivolare attraverso il banco. «Mettetelo nel juke box. Numero dodici, magari, a meno che non ci sia qualcosa che preferite.»

Odio i juke box, ma non potevo mostrarmi scortese, dato soprattutto che il nichel era suo. Mi lasciai scivolare giù dallo sgabello e andai accanto al grammofono automatico. Il numero dodici era «Torna a Sorrento», il che era già qualcosa, perchè non si trattava almeno di un rock and roll o di una canzone della prateria. Infilai la moneta e premetti il pulsante. Mentre il meccanismo entrava in azione, guardai gli altri titoli. E rimasi sorpreso, quasi sbalordito. Era tutta roba buona, classici o semiclassici della musica leggera. Alcuni erano notissimi, come Night and Day e Stardust. In genere, erano per sola orchestra, come Torna a Sorrento.

E quando la musica attaccò ebbi una seconda sorpresa: niente di assordante, ma una musica in sordina che ricordava molto da vicino quella dell’alta fedeltà. E la terza sorpresa la ebbi quando, terminata l’introduzione, echeggiò una voce. Ma non veniva dal juke box: si levava dietro le mie spalle.

«Guarda il mare quanto è bello!
Spira tanto sentimento,
Come il tuo soave accento…»

E che voce! Un baritono poderoso, dolce e splendido come la melodia che stava cantando. Una voce naturale, come era stata quella di Caruso.

Non era, come capii più tardi, quella voce meravigliosa che mi era sembrata al primo momento; in una sala da concerto, quasi non si sarebbe sentita. Ma in un locale delle dimensioni del Bar Sinistro… mio Dio! Mi misi a sedere davanti al bicchiere che mi aspettava e ascoltai con reverenza. Non bevvi neppure un sorso fino a quando non ebbe terminato e il juke box si fermò con uno scatto.

«Bellissimo!» esclamai. «Lo fate spesso?»

«Ogni volta che qualcuno desidera sentirmi. Mi piace cantare.»

Spinsi una moneta verso di lui perchè me la cambiasse. «Datemi qualche nichel allora, accidenti.»

«Ah, Marì! Ah, Marì!
Quanto suonno aggio perso pe’ te…»

E poi:

«Ah! Ay! EL CHOCLO cumpliste, fiel, fielmente…»

«Mio Dio!» esclamai. «Ma quante lingue sapete, Cass?»

Rise. «Tre soltanto, italiano, francese e spagnolo, e non troppo bene. Quanto basta per sbrogliarmela e per cantare. Oh, e un poco di tedesco, per cantare lieder, ma sembra che la mia pronuncia sia spaventosa.»

Abbassai gli occhi sul bicchiere ed era vuoto. Ma era entrato un altro cliente e Cass si era spostato per servirlo. Guardai l’orologio e vidi che erano le cinque meno dieci. Avevo pochi minuti, pochi minuti soltanto per decidermi.

Volevo restare a Mayville. Non era soltanto l’effetto de! whisky dopo tre tequila. Non era soltanto la tiepida bellezza di un pomeriggio nell’Arizona. Non era soltanto la ragazza che era passata e che, a detta di Cass, si chiamava Doris Jones e non aveva legami affettivi o altro. Non erano soltanto il Bar Sinistro e Cass e la voce di Cass. Non era soltanto l’atmosfera dominante, il fatto che la cittadina (Hetherton escluso) mi era sembrata accogliente ed amichevole. Non era soltanto l’offerta di lavoro che avevo ricevuto, per poco allettante che potesse sembrare. Erano tutte queste cose assieme. Volevo rimanere lì, se appena mi fosse stato possibile.

E potevo rimanere, se solo lo volevo. Sarei riuscito a vivere con trentacinque dollari la settimana; avevo già in programma di mantenermi con quella cifra per sei mesi, più o meno. Avrei dovuto trovare una stanza non troppo cara, mangiare in locali economici. I vestiti non mi davano pensiero; avevo un guardaroba abbastanza ben fornito. La mia macchina era in buone condizioni e sarebbe durata per altri due anni con qualche piccola riparazione occasionale; le gomme erano quasi nuove. E avevo da parte circa un migliaio di dollari, ai quali avrei potuto attingere in caso di emergenza… o di appuntamenti con Doris Jones. Al termine di due anni sarei stato al verde, ma certo avrei acquistato una più che discreta esperienza, avrei trovato abbastanza facilmente un lavoro più redditizio in un giornale più importante, avrei cominciato la mia vera carriera.

Uscii dal bar di Cass e raggiunsi gli uffici del Sun. Andai a fermarmi davanti alla scrivania di Hetherton. Dissi: «Accetto il posto. E prometto di far del mio meglio per due anni.»

Annuì freddamente. «Presentatevi qui domani mattina alle otto, Spitzer.»

5

Devo ammettere che, per le prime settimane, risultò esatta la previsione di Hetherton, quando mi aveva detto che per un poco gli sarei stato di scarsissimo aiuto. Facevo del mio meglio, ma un conto è imparare una cosa leggendola su un libro, mentre metterla in pratica è una faccenda assolutamente diversa. Dovevo riscrivere quasi tutti gli articoli, e quando riuscivo a mettere assieme qualcosa di buono, o di quasi buono, impiegavo un tempo incredibilmente lungo. Naturalmente, non c’è fretta in un settimanale, se non si è al giorno di chiusura, ma c’è pur sempre una certa quantità di lavoro da smaltire, e non si può buttare via un’ora e mezzo per pochi centimetri di colonna su una riunione di boy-scout solo per essere sicuro di fare una cosa così perfetta che il direttore non si azzarderà a respingerla.

Ma dopo un mese ero entrato nel giro, e dopo tre mesi sapevo di sbrigarmela bene e di guadagnarmi il mio stipendio. Non che Hetherton me lo dicesse. Ma lavoravo in fretta e bene come lui, e le correzioni dei miei articoli riguardavano solo particolari di secondaria importanza.

Dopo sei mesi capii fino a qual punto mi ero lasciato giocare, perchè, con ogni probabilità, ero il miglior cronista che Hetherton avesse mai avuto. Ero in grado di fare tutto quello che faceva lui, e meglio, e più in fretta. Per ciò che riguardava la parte editoriale, bene inteso; ignoravo completamente la parte commerciale, che però non mi interessava. Ma il mio scopo era quello di diventare un cronista.

A peggiorare le cose in un senso e a migliorarle in un altro contribuì la conoscenza — che feci a quell’epoca — di Tom Acres, il direttore del quotidiano di Bisbee; e la nostra conoscenza non tardò a trasformarsi in qualcosa di simile all’amicizia. Si era fermato un giorno al Sun, senza un motivo particolare; passava da Mayville per raggiungere Tucson, e per caso Hetherton era fuori in cerca di pubblicità. Tom ed io avevamo parlato qualche volta per telefono, in occasione di scambi di articoli, ma quella volta ci conoscemmo personalmente e chiacchierammo a lungo.

Aveva qualche anno più di me, cioè era abbastanza giovane per essere già il direttore di un quotidiano, sia pure piccolo. Alto, magro e biondo, parlava con una punta di accento del Texas; seppi più tardi che era nato e cresciuto nel Texas, ma che lo aveva lasciato da quando aveva dieci anni.

Mi chiese se capitavo mai a Bisbee, ed io gli risposi di sì, ma che non avevo mai nemmeno pensato di venirlo a trovare. Mi disse allora di pensarci la prossima volta, e fu così che mi recai da lui, nella mia giornata di riposo, due settimane più tardi. Mi portò a casa sua, dopo avermi fatto visitare gli uffici del giornale, mi presentò sua moglie Marna e mi trattenne a cena.

Nei mesi seguenti andai tre volte a Bisbee, e le prime due volte Tom e Marna insistettero per avermi a casa, ma la terza volta fui io ad insistere perchè uscissero con me, giurando che, se non avessero accettato, non avrei mai più mangiato con loro. Finii per spuntarla.

E quella sera — avevo scontato solo dieci mesi della mia condanna con Hetherton e me ne mancavano altri quattordici — Tom avanzò una proposta. Durante gli aperitivi cominciò a chiedermi quanto guadagnavo a Mayville, se non avevo niente in contrario a dirglielo. Avevo molte cose, date le circostanze, ma glielo dissi lo stesso.

Scosse la testa. «Niente di molto spaventoso, per un giornale che vi lascia cominciare senza esperienza precedente.» (Di questo avevo già parlato con Tom.) «Ma, accidenti, Bob, in dieci mesi avete già imparato tutto quello che c’è da imparare da quel giornale, e secondo me è ora che vi trasferiate a un quotidiano. Forse preferireste addirittura fare un passo più lungo e cercare un posto a Tucson o a Phoenix, ma, se Bisbee vi interessa, posso farvi senz’altro un’offerta. Partirete da sessantacinque dollari. È più o meno lo stipendio che guadagnereste da qualsiasi altra parte cominciando a lavorare in un quotidiano con una esperienza che riguarda solo un settimanale. Naturalmente il nostro stipendio massimo — a meno che non mi trasferisca e voi occupiate il mio posto — non equivale a quello di un giornale più importante, ma, se resterete con noi un anno — e nel giro di un anno arrivereste a settantacinque dollari — sarete pronto a…»

«Basta!» lo interruppi. «Mi state spezzando il cuore. Accetterei di corsa la vostra offerta, se solo lo potessi. Non avete bisogno di insistere. Ma non posso, a meno che l’offerta non sia ancora valida di qui a quattordici mesi.» E, naturalmente, dovetti spiegargli l’accordo che avevo fatto con Hetherton.

Tom corrugò la fronte. «Un accordo del genere non è morale. Sapevo che Hetherton era un figlio di puttana, ma ignoravo che lo fosse fino a quel punto. Specie se si tiene presente che vi ha fatto lasciare il posto che occupavate prima di mettervi con le spalle al muro.»

«Sì, ma è stata colpa mia. Prima di buttarmi, avrei dovuto appurare che cosa intendeva per “un periodo di tempo ragionevole”. Maledizione, vorrei che fosse un contratto scritto; lo impugnerei e lascerei che mi muovesse o cercasse di muovermi causa, almeno in tribunale farebbe la figura dello stupido, come me, tale e quale. La mia onestà è semplicemente normale, Tom. Non ci penso due volte a contravvenire alle leggi, nel limite del ragionevole, o a impugnare un contratto scritto. Ma una promessa verbale… forse sono stato educato male, ma non mi va di venire meno a una promessa verbale. E adesso me ne devo andare. Posso solo sperare che la vostra offerta sia ancora valida fra quattordici mesi.»

«Non dovete preoccuparvi se sarà ancora valida o meno. Voglio dire, dipenderà dalle circostanze, qui a Bisbee, ma, con l’esperienza che vi siete fatto, sia pure con Hetherton, non vi riuscirà certo difficile trovare un posto.»

Marna Acres disse: «Vedo una scappatoia, Bob.» Tutti e due la guardammo, e lei continuò: «Non avete promesso di non fare, fuori dal lavoro, qualcosa che possa costringerlo a licenziarvi. Diventate l’amante di sua moglie, bruciategli la casa o simili…»

Risi. «Se aveste visto la moglie di Hetherton, capireste che al mondo c’è un destino peggiore di quello di lavorare per il Sun. E tutto quanto, prescindendo da quell’orribile suggerimento, potrebbe convincerlo a licenziarmi mi farebbe finire in prigione, e che vantaggio ne ricaverei allora?»

«Nessuno,» ammise Marna.

Nemmeno Tom ed io vedemmo a che cosa avrebbe potuto giovarmi di finire in prigione, e lasciammo le cose a questo punto.

Ed ora, a due mesi di distanza, stavo finendo di raccontare la mia storia a McNulty e allo sceriffo. Oh, non la conversazione che ho appena riferito, quella no; non accennai nemmeno al fatto di aver ricevuto un’altra offerta di lavoro. Parlai solo dei termini del contratto verbale che avevo stretto con Hetherton e delle circostanze che mi avevano spinto ad accettarlo. Dissi quel tanto che bastava per rispondere alla domanda di McNulty e per chiarire la situazione.

E parve che l’avessi chiarita davvero. La voce di McNulty era più amichevole di quanto non lo fosse stata da molto tempo. Da un pezzo ormai dovevo rappresentare per lui una specie di punto interrogativo. Ma si limitò a dire: «Credo che siamo a posto,» poi guardò lo sceriffo. «Non sembra anche a voi? O avete qualche altra domanda da rivolgere?»

Lo sceriffo scosse la testa, ma poi ci ripensò. «Una soltanto: continuate a riflettere su quelle chiacchierate che avete avuto con Amy. Forse ricorderete qualcosa che potrebbe fornirci un indizio. Qualche altra località dove ha abitato, oltre Kansas City, qualche bar che ha affermato di aver frequentato… roba del genere, insomma.»

«Certo,» risposi, «continuerò a riflettere. A proposito Mac, Hetherton mi ha detto di chiedervi se è saltato fuori qualcosa di nuovo, dopo che lui se n’è andato.»

«Niente. A che ora andate in macchina?»

«Di solito, verso le dieci, ma forse stasera tardiamo un po’.»

«Va bene. Ci fermeremo qui fino a chissà che ora. Se salta fuori qualcosa di importante, vi avvertirò.»

«D’accordo.» Mi diressi verso la porta, ma, prima che la raggiungessi, entrò Charlie Sanger, ed allora mi scostai e tornai indietro. Puntò dritto sulla scrivania di McNulty e gli consegnò qualcosa. Disse: «Abbiamo un indirizzo, Mac. La patente di guida. È proprio vero che qualcuno lascia i documenti nello scomparto dei guanti.»

Girai dietro la scrivania e guardai, al disopra della spalla di McNulty, la patente che egli stava osservando. Era una patente del Missouri, infilata in una custodia di cuoio e celluloide. Signora Amy Waggoner, 712 Olive Street, Kansas City, Mo. E la descrizione corrispondeva: un metro e sessantacinque, cinquantun chili, capelli biondi, occhi azzurri. L’età, trentacinque, mi sorprese un poco; era quella che avevo immaginato dal viso, ma il suo corpo aveva un aspetto molto più giovanile.

«Bene.» disse McNulty. «Adesso che abbiamo un indirizzo, telefonerò subito a Kansas City.» Allungò un braccio verso il ricevitore, ma lo ritirò subito e guardò Charlie Sanger. «Niente altro nella macchina?»

«Niente nel portabagagli. Qualche altra roba nello scomparto dei guanti, ma niente di importante. Un paio di cartine stradali, occhiali da sole, una scatola di Kleenex. Niente lettere.»

«Portate qui tutto, in ogni modo. Ci daremo un’occhiata.» Si voltò per rivolgermi la parola. «Questo indirizzo significa qualcosa per voi, Bob?»

«Niente di particolare. Deve essere vicino al centro, e credo che sia una zona di case d’affitto.»

Annuì e tornò ad allungare il braccio verso il telefono, ed io seguii fuori Charlie. Ammesso che McNulty riuscisse a sapere qualcosa da Kansas City, lo avrebbero richiamato più tardi, ed era perfettamente inutile che io restassi lì ad aspettare. Probabilmente Hetherton si stava già chiedendo come mai la mia assenza durava tanto.

Quando comparvi, mi fulminò con una occhiata. «Niente di nuovo?»

Cominciai a parlargli della patente, ma egli mi interruppe bruscamente. «Scrivete tutto.»

Scrissi il pezzo, glielo mostrai, gli lasciai correggere due parole e lo portai in tipografia. E, quando tornai, dissi: «Dobbiamo richiamare Bisbee per quei pezzi che avete scritto voi e per questo?»

«No. Non dedicherà all’avvenimento più di due righe, e ne ha più che a sufficienza.»

Ma, mentre mi sedevo al mio posto, cambiò idea. «Sì, chiamate Acres. Trasmettetegli quei pezzi.» Sollevai il ricevitore e riconobbi la voce di Doris, ma, con Hetherton lì presente, mi limitai a chiederle di passarmi Tom Acres. Hetherton mi gridò: «Già che gli parlate, chiedetegli se c’è qualcosa di nuovo per noi.»

Sentii la voglia di ridere, perchè era questa la vera ragione per cui mi aveva detto di chiamare. Cercava di risparmiare un dollaro. Le comunicazioni erano a pagamento in arrivo, e, se Tom ci avesse trasmesso qualcosa, l’interurbana sarebbe figurata sul suo conto, non sul nostro.

Ma Tom conosceva il trucco e sogghignò quando, dopo avergli dettato le altre notizie su Amy, gli chiesi se aveva qualcosa di nuovo per noi. Rispose che non aveva niente. Ma ci richiamò, pagamento in arrivo, dieci minuti più tardi, per trasmetterci una notizia che, diceva, aveva ricevuto in quel momento per telescrivente da Phoenix: niente di straordinario, ma un pezzo che avremmo pubblicato perchè si trattava di un intrigo politico che riguardava la contea di Cochise e, indirettamente, anche Mayville.

Battei il pezzo e lo passai a Hetherton, che aveva appena terminato di scriverne un altro. Disse: «Li porterò io in tipografia. E credo che sia tutto; abbiamo finito più presto di quanto immaginavo, a meno che non salti fuori qualcosa di nuovo sul delitto. Fate una corsa a vedere.»

Tornai nell’ufficio di polizia. Charlie Sanger non c’era, ma c’erano McNulty e lo sceriffo.

«Stiamo per andare in macchina,» dissi. «Qualcosa di nuovo su Amy?»

McNulty scosse la testa. «Kansas City non ha ancora richiamato. Ma dubito che richiamino stanotte, se hanno raccolto solo informazioni di carattere generale. A meno che non capitino su qualcosa di interessante che possa aver l’aria di èssere stato un movente del delitto…»

«E per ciò che riguarda il resto?»

«Poca roba. Ho parlato per telefono con l’impiegato postale. Amy riceveva la sua corrispondenza fermo posta, veniva a ritirarla un paio di volte la settimana e di solito c’erano una o due lettere per lei. Alcune venivano da Kansas City.»

«Non tutte?»

«No. Una volta la settimana arrivava per lei una busta gialla, raccomandata; Clem crede che il timbro fosse di Seattle, ma non ne è sicuro. Con ogni probabilità, era l’assegno per gli alimenti.»

«Avete cercato di sapere dove lo incassava?» «Certo, ma non lo presentava nei bar, e così deve essersi trattato di una banca. Ma il solo impiegato di banca che avrebbe potuto dirci qualcosa non è in città stanotte, è andato a Tucson per affari. Così, dovremo aspettare fino a domani. E questo è tutto.»

Hetherton scosse la testa quando gli parlai delle buste gialle che probabilmente contenevano l’assegno per gli alimenti e gli chiesi se dovevo aggiungere questo particolare. «Non ne vale la pena. Potete andare adesso, Spitzer.»

Andai diritto da Cass. Mi fermo sempre lì il giovedì sera, per il bicchierino della staffa. Mi sembra di essermelo guadagnato, dopo tutte quelle ore di lavoro intenso. E poi, magari, c’era una piccola chiacchierata e un poco di musica, se Cass era di buon umore e non aveva troppo da fare. Anche Hetherton capitava sempre lì per un bicchierino, mezz’ora o un’ora più tardi; qualche volta io c’ero ancora, qualche altra no.

Quella sera ci sarei stato, perchè dovevo far passare più di un’ora prima di passare a prendere Doris a mezzanotte.

C’era gente da Cass — due coppie in uno scomparto, un’altra in un altro — ma nessuno che conoscevo. Al banco, nessuno, e io mi misi a sedere là, come al solito. Cass, che era appena tornato da uno degli scomparti, mi disse: «Un minuto e sono da voi.» Fece squillare il campanello della cassa e andò a portare il resto.

Come fu di nuovo al suo posto, preparò un whisky e acqua e me lo fece scivolare davanti. «Qualcosa di nuovo su Amy Waggoner, Bob?» mi chiese.

«Niente di importante. Fino a che punto siete informato, voi?»

«Me ne hanno parlato alcuni clienti, poi è venuto qui Mac e mi ha chiesto che cosa sapevo di lei e io gli ho detto tutto quanto era a mia conoscenza, cioè ben poco. Credo che le mie ultime notizie risalgano a un paio d’ore fa.»

«Da allora non è successo quasi nulla, Cass. Hanno trovato la sua patente di guida, e Mac ha telefonato a Kansas City per vedere se riuscivano a raccogliere qualche notizia sul suo conto.»

«Pensano che sia stato qualcuno di qui ad ucciderla?»

Mi strinsi nelle spalle. «Non hanno ancora scavato abbastanza. Se scoprono per caso che qualcuno di qui era in rapporti intimi con lei, quel disgraziato ti diventa automaticamente l’indiziato numero uno.»

«Perchè lei ha bevuto con quel tale, volete dire? Mac me lo ha accennato.»

«Non solo perchè beveva con luì, ma anche perchè era in costume adamitico. Voi non conoscete nessuno con il quale Amy potrebbe aver fatto una cosa del genere, vero?»

Cass scosse la testa. «Per quello che ne so, Amy era in rapporti amichevoli con tutti, ma non amichevoli fino a quel punto. Secondo me, se la intendeva con gli uomini solo per bere e per chiacchierare. Mi sembrava una semplice alcoolizzata che viveva dei suoi alimenti… un caso molto triste, tutto considerato.»

«Siete sicuro che viveva degli alimenti? Ve lo ha detto lei?»

«Non me lo ha detto esattamente, ma li riceveva. La seconda volta che capitava qui mi ha chiesto se volevo cambiarle un assegno. Non era un assegno suo, ha precisato, ma l’assegno che un avvocato le passava per gli alimenti. Allora non la conoscevo ancora abbastanza per correre un rischio del genere, e poi erano soltanto le prime ore del pomeriggio e le banche erano aperte. Le ho risposto che il registratore di cassa era vuoto e le ho indicato dov’era la banca. Credo che lo abbia incassato là.»

«Non avete visto l’assegno?»

«No, e non le ho nemmeno chiesto di che importo era. Davvero non avevo soldi nel registratore di cassa, e, anche se si fosse trattato di un assegno piccolo, sarei rimasto quasi senza contanti.» Sospirò e diede un’occhiata al pendolo a muro. «Bene, credo che sia abbastanza tardi perchè possa permettermi il mio primo della giornata. E voi siete pronto per un altro?»

Guardai e vidi che avevo già vuotato due terzi del mio bicchiere. Ma dissi: «Meglio che faccia durare ancora un poco questo.»

Si versò un whisky. «Accidenti,» disse, «mi è spiaciuto quanto ho saputo di Amy. Mi vergogno adesso di essermi mostrato piuttosto duro con lei. Ma sapete anche voi come voglio che il mio locale sia tranquillo. A meno che non sia io a fare chiasso, e lo faccio soltanto quando penso che la gente lo voglia. E non posso sopportare gli ubriachi. Ho dovuto dire ad Amy che sarebbe stata la benvenuta qui a tutte le ore del giorno, ma non la sera.»

«Diventava fastidiosa quando era ubriaca?»

«Proprio fastidiosa, no. Ma… trasandata, ecco. Si vedeva che aveva bevuto troppo, se capite quello che voglio dire.»

«Certo, Cass. Non preoccupatevi. Devo mettere un nichel nel juke box?»

«Se volete un po’ di musica. Ma non me la sento di cantare. Sapete, ho l’impressione che avrei dovuto cercare di aiutare Amy in qualche modo… ma che sia dannato se so come. Ammesso che mi fossi rifiutato di servirla, anche quando non aveva ancora bevuto troppo, a che cosa sarebbe servito?»

«A niente.»

Nello specchio dietro il banco vidi che i quattro, le due coppie, stavano uscendo dallo scomparto e si dirigevano verso la porta. Cass augurò la buona notte, che venne contraccambiata. Quando furono usciti, andò a ritirare i bicchieri e li fece scivolare nell’acquaio del banco.

«Gente di qui?» chiesi. «Non conoscevo nessuno.»

«Si fermano qui solo per stanotte. Mi hanno chiesto l’indirizzo di un motel, e gliel’ho dato.» Sorrise. «Poi, per accontentarli, ho telefonato e ho fissato le stanze. Così hanno bevuto qualcosa che non avrebbero bevuto se fossero dovuti andare a prenotare personalmente.»

Pensai che ero pronto per il secondo bicchiere, e Cass me lo preparò. Mentre faceva scivolare i soldi nel registratore di cassa, entrò Hetherton.

6

Hetherton si mise a sedere su uno sgabello al banco. Non vicino al mio, ma mi salutò con un cenno del capo.

Con Cass invece parlò. Dopo tutto, Cass è un inserzionista, ed Hetherton è sempre cordiale con gli inserzionisti, nei limiti che il suo carattere gli permette. La pubblicità di Cass occupa solo due pollici di colonna, ma compare cinquantadue volte all’anno, e questo significa qualcosa. Non so a che cosa serva questa pubblicità; a Mayville tutti sanno dov’è il bar di Cass, e ci viene chi preferisce la tranquillità al rumore. E i turisti non leggono la pubblicità del settimanale locale prima di decidere dove devono andare a bere qualcosa. Ma quella inserzione rendeva Hetherton benevolo nei suoi confronti, e quando siete in commercio in una cittadina la benevolenza del redattore capo del giornale locale ha un certo valore.

Cass preparò per Hetherton un doppio liscio con ghiaccio. Era sempre così, e in questo modo Cass non aveva neppure bisogno di chiedere che cosa il suo stimato cliente desiderava. Hetherton non è un bevitore. Per quello che ne sapevo, beveva una sola volta per settimana: quel doppio con ghiaccio ogni giovedì, quando il giornale era andato in macchina. Ma per lui si trattava di qualcosa di simile a un rito, anche se non ci metteva mai più di dieci minuti ad esaurirlo.

Come era un rito la consegna del giornale. Ne aveva sempre tre copie ancora fresche di inchiostro, e ne dava una a Cass e una a me, se c’ero ancora quando arrivava; non so che cosa facesse poi della mia quando non mi trovava. Anche allora ce le consegnò, e tutti e due lo ringraziammo. Io misi la mia in tasca, Cass la sua dietro il banco.

Dieci minuti dopo Hetherton uscì. Non era mai stato un conversatore formidabile, ma quella sera si era superato: dopo aver salutato Cass non aveva più aperto bocca. Uscendo, augurò la buona notte, anche se se ne ricordò solo quando aveva ormai passato la soglia.

Poco dopo anche la coppia nell’altro scomparto se ne andò, ed io e Cass restammo soli. Indicai con un cenno del capo il giornale che egli aveva messo dietro al banco e dissi: «Siete curioso di leggere quel giornale, vero, Cass? Per quello che riguarda Amy, naturalmente. Fate pure se ne avete voglia; a me non importa.»

Rispose: «Posso aspettare. Che cosa interessano i particolari? Preferisco chiacchierare. Stavamo parlando della professione del barista. È una professione che dà da vivere, pure ha un grosso punto nero che è rappresentato dagli alcolizzati. La percentuale non è alta, ma… diavolo, non si possono mettere fuori legge i liquori solo perchè fanno male a qualcuno.»

«Hanno provato una volta a metterli fuori legge. Non ha funzionato.»

«E non funzionerà mai. Credo che ci siano traffici peggiori.»

«Lo spaccio degli stupefacenti, per esempio,» insinuai.

Avevo scherzato, ma egli mi prese sul serio. «Già, gli stupefacenti sono il diavolo. L’alcool fa male solo a qualcuno, ma gli stupefacenti…» Scosse la testa.

«A proposito di stupefacenti, Cass, non si sono mai verificati qui casi del genere, da quando sono arrivato. Avevo pensato che, con il confine così vicino, le cose andassero diversamente. O mi sbaglio?»

«Il contrabbando esiste, con ogni probabilità, e così può darsi che i carichi passino da qui diretti chissà dove. Ma, da quanto ho visto, qui non esistono né spaccio né consumatori. Un paio d’anni fa, prima che voi arrivaste, un tale di Mextown aveva deciso di spacciare eroina. Chico gli è piombato addosso, mani e piedi, e quel tale si è buscato una brutta condanna. No, credo che non ci sia traffico di stupefacenti qui.» Cass bevve un sorso dal suo bicchiere. «Dopo cinque anni a Las Vegas sono in grado di individuare un drogato a un miglio di distanza. E ne ho notato qualcuno nei miei cinque anni trascorsi qui, ma si trattava di turisti di passaggio, non di gente del posto.»

«Niente male.»

«Già. Ma aspettate un momento prima di mettervi in testa una idea sbagliata: io parlo di stupefacenti veri e propri: eroina, cocaina, morfina… la polverina bianca, insomma. Qui circola qualche sigaretta alla marijuana, specie a Mextown. Dal punto di vista tecnico, è uno stupefacente anche la marijuana, perchè è compresa nel Narcotic Act. Ma non si tratta di una droga che dà assuefazione, e, a meno che non si esageri…»

Non terminò la frase, perchè entrarono alcuni clienti ed egli dovette andare a servirli. Ma non me ne importava perchè, di lì a poco, sarei dovuto andarmene: era quasi mezzanotte.

Un minuto dopo comparve Charlie Sanger. «Salve, Bob, come va?» Si mise a sedere accanto a me ed appoggiò al banco un pacco con qualcosa dentro.

«Bene,» risposi. «Finito per stanotte, o è soltanto una pausa?»

«Né una cosa né l’altra. Mac mi ha mandato a prendere dei sandwich.» Indicò il pacco. «E un poco di birra in ghiaccio per mandarli giù. Credo che lui e lo sceriffo siano decisi a fermarsi ancora per un poco.»

«Qualcosa di nuovo?»

«Niente di importante. Mac è stato chiamato da Kansas City. L’indirizzo della patente era quello di una casa d’affitto, e Amy aveva abitato là per circa un anno, fino al mese scorso, cioè fino a quando è partita per venire qui.»

«Hanno parlato con la padrona di casa?»

«Sì, ma non ne hanno ricavato molto. C’è una cosa però: non è capitata a Mayville per caso e poi ha deciso di fermarsi. Partendo, ha lasciato come indirizzo per l’inoltro della sua corrispondenza: fermo posta, Mayville.»

«E questo significa anche che non cercava di scomparire clandestinamente da Kansas City.»

«Già. Vediamo un po’… c’è altro? Oh, sì, per quello che ne sapeva la padrona di casa, non aveva parenti. Salvo un ex marito, che, secondo la padrona di casa, doveva stare a Seattle, ammesso che si possa considerare parente un ex marito.»

«Amici?»

«Sono riusciti ad avere qualche nome e qualche indirizzo dei posti che frequentava. Controlleranno tutto domani. Ed hanno anche guardato se aveva precedenti penali, ma era stata soltanto arrestata due volte perchè sorpresa a guidare in stato di ubriachezza.»

Cass tornò dietro al banco, Charlie gli chiese tre bottiglie di birra in ghiaccio, ed io augurai la buona notte a tutti e due ed uscii.

Andai a ritirare la macchina nello spiazzo dietro l’ufficio del Sun, e a mezzanotte in punto mi fermavo davanti alla centrale telefonica. Ad aspettare la mia gioia, il mio amore, la mia fidanzata. Non la mia fidanzata ufficiale: era stata lei a sconsigliarmi di annunciare il nostro fidanzamento. E nemmeno mi aveva permesso di comperarle un anello; quando ne avevo parlato, ella, con molto buon senso, aveva scartata l’idea, perchè ormai sapeva già della mia situazione finanziaria e del mio stato di schiavitù, che allora doveva durare ancora un anno e mezzo, nei confronti di Hetherton.

Sì, se avete dimenticato il nome, Doris era la ragazza che era passata davanti alla vetrina di Cass il giorno del mio arrivo a Mayville, la ragazza il cui ricordo era stato uno degli elementi che mi avevano spinto ad accettare l’offerta di Hetherton. Ma non era stato un amore a prima vista, ammesso che una cosa del genere esista. Allora era stata soltanto una ragazza maledettamente graziosa che passava per caso per strada.

Per essere sincero, l’avevo praticamente dimenticata (ed avevo dimenticato il suo nome, che Cass mi aveva detto) durante il mio primo mese di soggiorno, un mese particolarmente duro perchè dovevo imparare un lavoro per me assolutamente nuovo; non avevo avuto né tempo né voglia di pensare ad appuntamenti. Le sere in cui non dovevo recarmi a qualche riunione — non avevo ancora imparato il trucco di ricavare l’articolo dagli appunti o dalle minute della segretaria — mi chiudevo di solito in camera mia o a studiare i miei libri di giornalismo o a leggere un romanzo per riposarmi e rilassarmi. La mia vita sociale consisteva in qualche visita da Cass o al Filone, dove mi trattenevo il tempo sufficiente a buttare giù un paio di bicchieri.

Poi avevo rivisto Doris. Era stato a una riunione del gruppo giovanile della Chiesa Presbiteriana. Di solito le riunioni del genere non ci interessano — c’è un limite anche agli interessi locali del Sun - ma quella volta un oratore dal nome abbastanza noto teneva una conferenza sui rapporti razziali, ed Hetherton, che sia benedetto una volta tanto, mi aveva ordinato di andarci.

Cominciavo ormai a conoscere diversa gente in città, compresi alcuni dei presenti, e, quando vidi Doris, manovrai in modo da farmi presentare al termine della conferenza. Ma si trattò solo di una presentazione, perchè ella era in compagnia di una donna più anziana che, come seppi più tardi, era la sua padrona di casa (anche Doris viveva in una stanza d’affitto, ma dalla parte opposta della città); la padrona di casa aveva una macchina, e così la mia offerta di riaccompagnarle a casa cadde nel vuoto.

Ma questa volta non mi dimenticai di lei. E nemmeno fui così sciocco da tentare di fissarle un appuntamento per telefono quando la nostra conoscenza non era, si può dire, ancora cominciata.

Misi invece a punto un piano machiavellico. Ricordai come Cass mi aveva detto che la ragazza lavorava ai telefoni, e convinsi Hetherton a farmi scrivere un pezzo sul funzionamento del centralino locale. La mia idea non lo entusiasmò fino a quando non gli dissi che stavo cercando di scrivere un racconto e che la mia visita sarebbe avvenuta di venerdì, il mio giorno di riposo, di modo che non avrebbe perduto nulla anche se avesse deciso di non pubblicare il mio articolo.

Andai al centralino il venerdì seguente per parlare con il direttore. Una delle prime domande che gli rivolsi fu quella che riguardava i turni delle ragazze. Tre turni, mi rispose: un turno di giorno dalle otto fino alle quattro, un turno intermedio fra le quattro e la mezzanotte e un turno notturno dalla mezzanotte alle otto. A nessuna delle ragazze piaceva il turno intermedio o quello notturno e così tali turni venivano coperti in rotazione.

Dissi: «Mi piacerebbe parlare con una delle vostre signorine per sentire la sua versione. Mi sembra di conoscerne già una: Doris Jones. In che turno lavora questa settimana?»

«È in servizio adesso e ci resterà fino alle quattro. Ma oggi abbiamo molto da fare. Se l’intervista richiede molto tempo…»

«Può darsi. Ma, se me la chiamate per un paio di minuti, ci metteremo magari d’accordo per un colloquio al termine delle ore di lavoro.»

Chiamò Doris. Ed ella si ricordava di me, grazie a Dio, e mi evitò in questo modo la prova imbarazzante di rammentarle davanti al direttore come ci eravamo già conosciuti. E quel brav’uomo spiegò a Doris che cosa volevo e praticamente mi fissò un appuntamento con lei. O almeno le chiese se era libera di parlare per un poco con me dopo le quattro, ed a me capitò soltanto di dare l’ultimo tocco, suggerendo che forse avrebbe preferito andare a casa prima e cenare con me più tardi: in tal modo avremmo potuto combinare affari e piacere, chiacchierando mentre mangiavamo. Ella esitò, o finse di esitare, per un momento, ed alla fine accettò.

La portai al Gabbiano. Non solo perchè è il miglior ristorante della città, ma anche perchè è il solo locale di Mayville che ha la licenza per generi alimentari e per liquori, e pensavo che tanto valeva sapere subito se avrebbe preso un cocktail con me prima di cena. Dopo tutto, di lei sapevo soltanto che era bella, che faceva la telefonista e che era presbiteriana. Era questa terza caratteristica a preoccuparmi. Molti presbiteriani sono astemi, e, se non ho pregiudizi contro gli astemi, non mi va certo l’idea di alimentare nei loro confronti emozioni sentimentali. Le emozioni sentimentali possono portare al matrimonio, e chi è convinto che un poco d’alcool rappresenta uno dei piaceri della vita non può certo essere felice con una crociata della temperanza.

Ma le mie preoccupazioni erano inutili. Doris accettò il primo martini senza discussioni e il secondo con un minimo di insistenza. E fumava. Mi sentivo molto più tranquillo, e cominciammo a chiacchierare. Provammo una simpatia reciproca fin da principio, e prima che il primo appuntamento terminasse avevo già fissato con lei il secondo.

Nel giro di pochi mesi arrivammo a conoscerci abbastanza bene, ed eravamo sul punto di innamorarci a vicenda. Le dissi quasi tutto di me; può darsi che trascurassi qualcosa, certo, ma dopo tutto avevo ventotto anni, e lei era certo abbastanza intelligente da capire come alcuni particolari che mi riguardavano dovevano essere lasciati da parte.

Può darsi che mi sbagli, ma credo che lei non mi abbia nascosto nulla di sé, sempre nel senso a cui alludevo prima, bene inteso. E quello che seppi di lei, non tutto in una volta, ma a poco a poco, mi diede la risposta alle due domande che mi avevano lasciato perplesso. Primo: che cosa faceva una così bella ragazza a Mayville quando altrove avrebbe sicuramente avuto migliori probabilità di fare carriera o di trovare un marito. Secondo: come mai, essendo la più bella ragazza della città, era ancora, a ventitré anni, non solo libera ma anche senza fidanzato.

Non era nata a Mayville, ma ci era venuta a sette anni, quando suo padre aveva accettato il posto di insegnante alla scuola superiore. Il padre, almeno secondo Doris, era stato non solo un uomo meraviglioso, ma anche un vero studioso ed un brillante maestro. Prima di venire a Mayville era stato professore in una università dell’Est. Due circostanze lo avevano giocato e lo avevano costretto ad accettare un posto al disotto delle sue capacità.

In gioventù, infatti, egli era stato un acceso liberale, un poco più a sinistra di Henry Wallace. Non era mai stato comunista, ma aveva scritto diversi articoli per periodici sinistroidi ed aveva dato il proprio nome a diverse organizzazioni che, innocentemente altruistiche nei loro scopi originari, erano in breve cadute sotto il dominio comunista, con la conseguenza di essere definite sovversive. Gli articoli, in particolar modo, avevano richiamato sul suo nome l’attenzione del comitato del Congresso, e questo gli era costato il posto.

Quasi contemporaneamente sua moglie, la madre di Doris, aveva incominciato a soffrire di spaventose emicranie da sinusite. Più di un medico aveva consigliato di portarla in un clima tiepido e asciutto, preferibilmente nella Arizona del Sud. Il padre di Doris si era affrettato ad accettare il miglior posto che gli era stato offerto nella zona, per quanto misero potesse essere lo stipendio. Non era mai riuscito a migliorare ed era morto quando Doris aveva diciassette anni e frequentava il terzo corso della scuola superiore.

Doris aveva dovuto troncare gli studi per provvedere alla madre e a se stessa. La madre era ormai quasi invalida, non per la sinusite, che era guarita da anni, ma per un raro tipo di anemia contro la quale la medicina non poteva nulla. Ma la madre era vissuta fino a un anno e mezzo prima, e quando era morta aveva lasciato in eredità a Doris solo un elenco interminabile di debiti. Non si trattava di una somma ingente come quella che avevo dovuto pagare io, ma era pur sempre qualcosa, e solo allora ella aveva tacitato tutti e cominciava a mettere da parte quel poco che era possibile mettere da parte a Mayville, in modo da potersene andare. O meglio, tale era stata la sua intenzione fino a quando non avevamo stabilito di sposarci. Ora era decisa a rimanere fino a quando il mio impegno non fosse esaurito; poi, quando avessi trovato un posto altrove, mi avrebbe seguito e ci saremmo sposati non appena fossi stato sicuro del mio nuovo lavoro ed avessi avuto la certezza di guadagnare abbastanza per mantenere tutti e due.

Seppi anche come mai, a ventitré anni, era ancora libera e senza fidanzato, o almeno lo era stata fino a quando non ero entrato in scena io. Non mi spiegò mai esplicitamente le due ragioni di ciò, ma non mi fu certo difficile intuirle.

In primo luogo, era una «buona» ragazza. Quelli che pensavano solo a divertirsi non sprecavano tempo e denaro con ragazze che non permettevano nemmeno una piccola carezza un poco audace.

La seconda ragione era più complessa, ma può essere riassunta in poche parole: presto o tardi, ella si era annoiata con i pochi uomini che aveva frequentato perchè si era accorta di non avere interessi in comune con loro. A lei piacevano i libri, la musica, la filosofia, la psicologia, la pittura, e doveva di conseguenza trovarsi a disagio in un ambiente che impazziva soltanto per il rugby, il calcio ed altri sport altrettanto rudi e violenti.

In questo modo tutti e due, fin dal primo incontro, fummo felici di aver trovato qualcuno che aveva i suoi stessi gusti e i suoi stessi interessi. Non ci fu un corteggiamento vero e proprio. Ci innamorammo a poco a poco, nel giro di alcuni mesi, con la stessa naturalezza con cui si respira. Avevo buon senso sufficiente per non prendermi passaggi con lei, o, in caso contrario, avrei rovinato tutto. Le augurai la buona notte con un bacio solo dopo il terzo appuntamento e si trattò di un bacio che più casto non sarebbe potuto essere.

Ma ora i nostri baci non erano più così casti. Tutti e due volevamo qualcosa di più. Non bisogna pensare che una ragazza, per il semplice fatto di essere intelligente, non possa essere anche appassionata. Doris lo era, e mi desiderava nella stessa misura in cui io desideravo lei, cioè moltissimo. Ma avevamo deciso di aspettare il matrimonio, e non ci sarebbe stato matrimonio fino a quando non avessi trovato un posto che mi permettesse di mantenere tutti e due.

E in quel momento la stavo aspettando, seduto nella mia macchina, davanti alla centrale telefonica.

7

Ella comparve pochi minuti dopo la mezzanotte.

«Non possiamo restare fuori molto, Bob. Non spingerti molto lontano.»

«Bene,» feci. Mi avviai. «Se sei stanca, che ne diresti di un bicchierino prima di uscire di città?»

«Credo… credo di non aver voglia di entrare in un bar, Bob.»

«Non c’è bisogno che tu entri. Mi procurerò una bottiglia e potremo berne un sorso quando ci fermeremo.»

Dato che eravamo vicino al Filone, svoltai nel parcheggio e mi fermai. «Torno subito,» le dissi, scendendo.

Il Filone era così silenzioso che mi ci vollero un paio di secondi per rendermi conto che il numero dei clienti era, più o meno, quello solito, dodici o quindici, per la mezzanotte di una giornata infrasettimanale. Il grammofono non suonava, e quando guardai per caso da quella parte notai che aveva anche le luci spente; la spina era stata tolta dalla presa di corrente e giaceva per terra, lì accanto. Le conversazioni si svolgevano in un tono appena sussurrato.

Improvvisamente capii. Anche se non se ne rendevano conto, si trattava di una veglia funebre per Amy Waggoner. Quasi tutti lì dentro la conoscevano meglio di me. A Mayville quel bar era stato la sua casa più ancora del motel dove dormiva. E lì, probabilmente, quella sera, il lutto per la scomparsa di Amy era più sentito che altrove.

I pochi che conoscevo mi salutarono con un cenno mentre andavo al banco dietro il quale troneggiava Willie Zenkovich. Non mi domandò che cosa volevo; mi chiese: «Qualcosa di nuovo su Amy?»

«Poca roba, Willie. Niente tracce, niente indizi.»

Ma egli continuava a guardarmi con aria interrogativa: voleva essere messo al corrente di ogni più piccolo particolare. Ma non potevo fare aspettare Doris, e improvvisamente ricordai la copia del Sun che avevo in tasca. La presi e la buttai sul banco. «Copia omaggio,» dissi. «Con il poco che sono riusciti a sapere qui.»

«Grazie, Bob.» Ma si dominò abbastanza per chiedermi che cosa volevo, prima di prendere il giornale. «Il solito whisky e acqua?»

Scossi la testa. «Una mezza bottiglia da portare via. Dovrebbe bastare a… No, fate una bottiglia.» Mi ero ricordato in quel momento che quella che avevo a casa era finita.

«Certo.» Willie incartò una bottiglia della mia solita marca, ed io pagai.

Come fui di nuovo in macchina, portai Doris fuori di città, oltre il motel di Birdie, Tutte le luci del motel erano spente, salvo un’insegna al neon che diceva: «Posto disponibile» e un’altra, più piccola, sopra la porta di Birdie, con la parola «Ufficio».

Fra il posto disponibile non andava considerata la stanza di Amy, naturalmente. Ella era all’obitorio, ormai, e non sarebbe più tornata, ma le sue cose erano ancora lì, in quella che era stata la scena del delitto.

Doris mormorò: «Posto disponibile», e seppi che anche lei pensava ad Amy, anche se l’aveva conosciuta solo di vista.

Guidavo adagio; non avevamo una meta precisa. «Doris, sei riuscita ad ascoltare tutt’e due le telefonate che ho fatto a Tom Acres?»

«La prima soltanto; la seconda no; c’era molto da fare in quel momento, e quando Tom ha risposto ho dovuto pensare ad altro.»

Meglio così: tutti i fatti più importanti erano stati trasmessi con la prima telefonata. Non mi ci volle molto per completarle il quadro.

«Povera donna!» esclamò. «Secondo te, è stata una rapina?»

«No. Cioè, non è stata una semplice rapina, anche se il denaro non era più nella borsetta. Ma può darsi che l’assassino mirasse a qualcosa d’altro, perchè ha perquisito abbastanza a fondo la stanza.»

«Ma se era addormentata o svenuta, che bisogno aveva di ucciderla? Avrebbe potuto…» Si interruppe, perchè le era apparsa evidente la risposta ad una domanda del genere. «Già,» continuò poi. «Lo conosceva, perchè, in caso contrario, non lo avrebbe lasciato entrare. E il mattino dopo, quando si fosse accorta che mancava qualcosa, avrebbe saputo chi era stato a portarlo via. E… secondo me questo significa che l’assassino l’ha trovato.»

«Perchè?»

«Se no, che bisogno avrebbe avuto di ucciderla? Dato che lei era svenuta, poteva frugare finché voleva senza ucciderla, non ti pare? Perchè correre il rischio di commettere un delitto se non aveva trovato quello che cercava?»

«Abbastanza convincente,» convenni. «Ma c’è un’altra possibilità, egualmente convincente. L’assassino non cercava niente. Aveva semplicemente un. motivo per desiderare la morte di Amy, e l’ha uccisa. Poi ha messo un po’ di disordine nei cassetti e nell’armadio ed ha preso il denaro che c’era nella borsetta per creare confusione, per fare pensare a una rapina.»

«Ma, Bob, avrebbe potuto creare una confusione molto maggiore. E in una maniera molto più semplice.»

«Il microfono è tuo. Avanti. In che modo?»

«Avrebbe potuto far sparire quell’avanzo di whisky e non limitarsi a ripulire i bicchieri dall’esterno, per cancellare le impronte digitali, avrebbe potuto anche asciugarli. E così avrebbe avuto due vantaggi. Primo, non avremmo saputo che Amy lo conosceva; l’assassino sarebbe potuto essere chiunque, un estraneo, con un movente ignoto. Secondo: tutto sarebbe venuto ad assomigliare molto di più ad una normale rapina. Specie se, uscendo, non si fosse chiuso la porta alle spalle.»

«Sei riuscita ad arrivare a qualcosa, ma non so di che si tratti. Sì, se non avesse chiuso a chiave la porta quando è uscito, si sarebbe pensato che l’aveva trovata così. Che Amy si era dimenticata di chiuderla. In questo caso, lui sarebbe entrato, l’avrebbe assassinata nel sonno… Accidenti, così veniamo a trovarci in un complicatissimo ingranaggio. Devo cercare di spiegarti qualche meccanismo?» Poi mi resi conto che ci eravamo già allontanati di diverse miglia dalla città e dissi: «Ma aspetta un momento.»

Ai lati della strada il terreno era piatto, sterminato. Sterzai, mi portai una dozzina di metri circa fuori dalla statale e spensi fari e motore.

Attirai a me Doris e la baciai. Un bacio lunghissimo. Ella alla fine si scostò. «I meccanismi,» mi ricordò.

Sospirai. «Va bene. Ma prima…» Sollevai il braccio che la cingeva alla vita ed aprii lo scomparto dei guanti. Presi la bottiglia, l’aprii e pescai fuori dallo stesso scomparto due bicchieri di carta cerata. Ne riempii uno e lo tesi a Doris. «Per quella stanchezza alla quale hai accennato prima,» dissi.

E un minuto più tardi attaccai: «E adesso parliamo un po’ di quei meccanismi. Hai ragione: sarebbe stato semplicissimo per l’assassino non lasciare indizi da cui si potesse dedurre che aveva bevuto con Amy, che ella lo conosceva e lo aveva fatto entrare. Come hai detto tu, gli sarebbe bastato far sparire la bottiglia, lavare e asciugare i bicchieri e lasciare la porta socchiusa. Tutto questo non gli avrebbe richiesto molto tempo, e a quanto pare aveva a sua disposizione tutto il tempo che voleva. Allora… perchè non ha fatto una cosa tanto semplice? Se lo avesse fatto, non saremmo giunti alla conclusione alla quale siamo giunti: che l’assassino conosceva Amy, e anche piuttosto intimamente, per di più. Forse era proprio questo che voleva farci credere? E se avesse portato con sé apposta la bottiglia, per lasciarla là, per fare apparire il delitto qualcosa che non era?»

«Capisco che cosa vuoi dire con la tua storia degli ingranaggi,» osservò Doris. «Avanti, continua.»

«Questo starebbe a indicare che l’assassino non conosceva affatto Amy, che le era completamente sconosciuto. Il che vorrebbe dire che era un criminale di professione, un sicario. E conosciamo una sola persona che potrebbe aver avuto tutti i motivi per ucciderla.»

«L’ex marito, per evitarsi di pagare gli alimenti? Non mi sembra un motivo molto convincente.»

«No? Riflettiamo un momento. A quanto pare, Amy viveva soltanto di quegli alimenti. Partiamo dal punto di vista che per vivere le servissero quattromila dollari all’anno, e potrebbe essere stata anche una cifra più alta. Solo per bere spendeva più di cinque dollari al giorno, il che fa, da solo, quasi duemila dollari all’anno. Quattromila dollari all’anno rappresentano una cifra niente affatto trascurabile che doveva pesare al marito, a meno che non faccia parte della categoria ad altissimo reddito, doveva essere una specie di palla di piombo al piede. Se guadagna, ammettiamo, meno di diecimila dollari all’anno, il salasso non era certo indifferente.»

«E si trattava di una condanna a vita, fino a quando o lui o Amy non fossero morti. Chi beve come beveva Amy non vive in genere fino a tarda età, ma ella, alcoolismo escluso, sembrava in ottime condizioni di salute e avrebbe potuto facilmente scampare per altri venti anni almeno. Anche se avesse dovuto pagare un sicario cinquemila dollari, egli sarebbe venuto a realizzare un ingente guadagno, si sarebbe tolto di dosso quel peso per tutto il resto della sua vita. Ma non credo che la tariffa sia così alta. Sei sempre d’accordo con me?»

«Sì, caro.» Mancò poco che quel «caro» mi distraesse, ma resistetti virilmente e continuai:

«Ha assoldato un sicario, un tipo in gamba che avrebbe sbrigato l’incarico e sarebbe stato in grado di farlo apparire qualcosa che non era. Non chiamiamolo assassino, e nemmeno X: sarebbe una cosa troppo comune.»

«Chiamiamolo Vasserot.»

«Va bene, ma chi è Vasserot? O chi era?»

«Non ne ho la minima idea. Ma Archibald MacLeish si serve di questo nome nel primo verso del suo sonetto La fine del mondo: “Inatteso come Vasserot…” Il nome non ha un suono piuttosto sinistro?»

«Certo. Waggoner rimane a Seattle… o dovunque sia… per avere un alibi e Vasserot viene qui. Conosce soltanto il nome della cittadina, perchè gli alimenti vengono spediti fermo posta, ma immagina che non gli sarà difficile rintracciarla in un centro così piccolo, e infatti la cosa non deve aver presentato per lui difficoltà alcuna. E, una volta che l’ha individuata, può esserle girato alla larga, senza rivolgere domande che la riguardassero, pur venendo a sapere dove abitava e a scoprire sulle abitudini di lei quel tanto che bastava ai suoi scopi.

«Mercoledì sera ha aspettato che tornasse a casa, probabilmente ha lasciato la macchina dall’altra parte della strada, fra gli alberi di fronte al motel, in un punto da dove poteva sorvegliare la porta della stanza di lei. L’ha vista entrare, sola, accendere la luce e, poco dopo, spegnerla. Ha aspettato più o meno un’ora per essere ben sicuro che fosse addormentata. Poi è entrato, e una serratura di quel tipo non doveva certo presentare difficoltà alcuna per un professionista come lui. Né doveva preoccuparsi di poterla svegliare, una persona anche lievemente ubriaca è come morta al mondo durante la prima ora di sonno. Amy dorme sulla schiena. Lui si serve di una torcia elettrica, ma concentra il fascio luminoso lontano dagli occhi mentre la uccide, un colpo rapido e preciso come quello di un chirurgo con il bisturi… Sai, Doris, basta questo a far pensare al lavoro di un professionista, non a quello di un dilettante. Non sembra anche a te?»

«Può darsi. Ma ciò non dimostra niente. Moltissimi che non sono né criminali né chirurghi sanno dov’è il cuore. Ma, Bob, la pugnalata non ha trapassato il lenzuolo, e di conseguenza o Amy giaceva scoperta, o l’assassino ha abbassato il lenzuolo. Perchè poi lo ha rialzato?»

Mi strinsi nelle spalle. «Non riesco a immaginarlo… a meno che non lo abbia fatto per non distrarsi a guardarla. Il corpo di Amy era di quelli che favoriscono le distrazioni. Specie il seno.»

«Ha distratto te? Non importa, non rispondere a questa domanda. Avanti. Torniamo a Vasserot.»

«Ha fatto tutto il resto per confondere la polizia e per farla procedere in tre direzioni sbagliate. Ha finto di perquisire la stanza per dare l’idea di sapere che lei doveva tenere nascosto qualcosa di grande valore. Ha portato con sé il whisky, ha sciacquato con quello i bicchieri e li ha lasciati in vista, assieme alla bottiglia per far pensare che ella aveva bevuto con il suo assassino e che, di conseguenza, doveva conoscerlo bene. E girare la chiave in modo che la porta si chiudesse alle sue spalle deve essere stato un altro particolare preordinato, perchè doveva intendersene di serrature, quell’uomo, se ha aperto con tanta facilità.»

«E poi, Bob, in questo modo aveva a sua disposizione maggior tempo per allontanarsi. Se la porta non fosse stata chiusa dall’interno, Birdie probabilmente sarebbe entrata prima.»

«Circa quattro ore prima. Di solito Birdie riordina le stanze dopo pranzo, e Amy usciva quasi sempre a quell’ora. Così come stavano le cose, Birdie ha pensato che Amy doveva essersi addormentata più tardi del solito, e non si è preoccupata fino a pomeriggio inoltrato. Naturalmente, Vasserot non poteva sapere quanto tempo avrebbe guadagnato lasciando chiusa la porta dall’interno, ma sapeva certo che non ne avrebbe perduto.»

«È una spiegazione piuttosto complicata, Bob, ma potrebbe essere valida. Intendi parlarne con McNulty?»

«Certo. Non che ci sia bisogno di suggerirgli di controllare gli sconosciuti che sono capitati qui. Specie quelli che sono arrivati poco prima dell’assassinio di Amy e che ci sono ancora o sono appena partiti.»

«Uh-uh. Ma Vasserot, se ha avuto l’intelligenza di predisporre tutto come hai detto tu, dovrebbe sapere anche questo, Bob. Non credo che avrebbe messo il suo nome, o magari un nome falso, sul registro di un albergo o di un motel. Sai che cosa avrei fatto io al suo posto?»

«Che cosa? Avresti dormito in macchina, in modo da non dover scendere da nessuna parte?»

«No, mi sarei fermata a Bisbee o a Douglas e sarei venuta qui ogni mattina per tornare ogni sera. In un caso e nell’altro, è poco più di un’ora di macchina.»

«Buona idea. Anche di questo parlerò a Mac. Non si tratta della sua giurisdizione, e così dovrà incaricarsene lo sceriffo.»

«Bob, spero che tu abbia ragione. Spero, cioè, che sia stato uno sconosciuto ad ucciderla e che quei bicchieri rappresentino un falso indizio. È troppo orribile pensare che ad ucciderla sia stato qualcuno che conosceva e che aveva in simpatia fino al punto da invitarlo ad entrare a bere. Magari dopo aver… Credi che dall’inchiesta risulterà se è andato a letto o meno con lei? Questo sarebbe davvero…» Fu scossa da un piccolo brivido.

«In questo modo verrebbe ad apparire più spregevole che mai, sì. E credo che, in un modo o nell’altro, siano in grado nel corso dell’inchiesta di appurare tale particolare. Incidentalmente, se hanno realmente avuto rapporti intimi, la mia idea di un assassino prezzolato viene a perdere qualsiasi valore.»

«Bob, smettiamola di parlare di Amy. È già tardi. Beviamo ancora qualcosa, e poi farai meglio a riaccompagnarmi a casa.»

Le stavo già versando, e mentre lei beveva buttai giù un sorso direttamente dalla bottiglia. Poi misi il turacciolo e allungai un braccio per appoggiare la bottiglia sul sedile posteriore.

E, mentre mi voltavo, vidi una luce che avanzava dalla strada, dalla parte della città. Una luce unica. Il mio primo pensiero fu di chiedermi se si trattava di una motocicletta o di una macchina con un faro guasto.

Poi mi resi conto che non si sentiva rombo di motore, e nel silenzio della notte del deserto, con il mio motore spento, avrei dovuto sentire a quella distanza, meno di cinquanta metri, anche la più silenziosa delle macchine, per non parlare di una motocicletta. E poi, la luce si stava avvicinando molto lentamente, appariva piuttosto debole…

Doris si voltò a vedere che cosa stavo guardando. «Deve essere una bicicletta,» disse.

Era una bicicletta, certo. La vedevo anch’io, ora che si era fatta più vicina. Quando arrivò alla nostra altezza svoltò. Verso di noi. Si fermò a cinque o sei metri di distanza. Non riuscivo a distinguere chi fosse in sella, perchè il raggio luminoso mi batteva diritto negli occhi. Ma sembrava che fosse un individuo grande e grosso. Un uomo in bicicletta, non un ragazzo.

Ricordai improvvisamente che Herbie Pembrook girava in bicicletta. Ed Herbie, per una ragione che ignoravo o non riuscivo ad immaginare, mi odiava, ed era più robusto di me. Sentii a un tratto il desiderio di un’arma, di qualcosa con cui difendermi… anzi, con cui difenderci, il che era ancora più importante. Herbie era un deficiente, e spesso i deficienti sono psicopatici sessuali.

Allungai un braccio verso lo scomparto dei guanti, rimpiangendo di non aver mai voluto tenere una rivoltella là dentro, come fanno moltissimi abitanti dell’Arizona; in Arizona la legge non vieta di tenere una rivoltella carica nello scomparto dei guanti della macchina. Ma c’era una torcia elettrica che, in caso di necessità, sarebbe riuscita utile come arma di difesa. La strinsi in pugno, aprii la portiera e mi diressi incontro alla luce che mi abbagliava. Perchè anche un fanale di bicicletta può abbagliare quando per miglia e miglia attorno ogni cosa è immersa nelle tenebre della notte.

Dissi: «Chi è?»

Doris mi gridò spaventata: «Bob, torna indietro. Non creare difficoltà. Sarà qualche ragazzino curioso…»

La bicicletta descrisse un semicerchio, tornò sulla strada, e chi stava in sella cominciò a pedalare, nella stessa direzione da dove era venuto, ma molto più velocemente.

Piuttosto nervoso, tornai in macchina. Forse tremavo un poco, non lo so. Dissi: «Credo che fosse Herbie Pembrook. Lo hai riconosciuto?»

«Herbie Pembrook?» Doris sembrava sorpresa. «Be’, gira in bicicletta quando si trasferisce da un posto all’altro per i suoi lavori di scarico. Ma che cosa vuoi che facesse qui, nel cuore della notte?»

«E che ci facciamo noi?» chiesi.

«Se pensavi che fosse lui, perchè non hai acceso la lampadina per vedere?»

«Mio Dio, non ci ho nemmeno pensato. L’avevo presa come arma di difesa, nel caso che… nel caso che ne avessi avuto bisogno. Avevo dimenticato che poteva servire a fare luce.»

Cercai di ridere, ma senza troppo successo. Non mi appariva certo buffo il fatto che, in una situazione di emergenza, il mio cervello non avesse funzionato a dovere. Mi ero spaventato al punto da dimenticare che un corpo contundente, se è una torcia elettrica, può servire anche ad altro.

Accesi i fari, girai la chiave dell’accensione e premetti il pedale della messa in moto. Non era troppo tardi per accertarmi, dopo tutto. Avrei potuto raggiungerlo prima che arrivasse in città. Anche una carriola come la mia macchina è in grado di correre molto più forte di una bicicletta.

«Bob! Non avrai l’idea di… di raggiungere quel tale!»

«Devo farlo, Doris. Devo sapere. Stanimi a sentire…»

Ma non mi ascoltò. Si piegò avanti e girò la chiave dell’accensione. «No, Bob. Non qui, nel cuore della notte, quando quel tale, chiunque sia, può essere armato mentre tu non lo sei. Forse ha creduto che tu avessi in mano una rivoltella, non una torcia elettrica. Come fai a sapere che cosa…»

Si interruppe, ma quello che aveva già detto era perfettamente sensato. Perfettamente sensato, se si teneva presente che lei era in macchina con me. Ora che avevo superato la paura, mi sentivo furibondo; se fossi stato solo, avrei inseguito quella bicicletta, l’avrei raggiunta, avrei saputo chi era quell’individuo. O meglio, avrei avuto una conferma, perchè credevo già di sapere chi era.

Ma, se avevo ragione, quell’uomo era più robusto di me, e, se fosse stato lui a stendermi con un pugno e non io a stendere lui, che cosa sarebbe successo poi a Doris? Non avevo il diritto di correre rischi con lei al mio fianco, anche se, solo, sarei potuto essere tanto sciocco da comportarmi altrimenti.

«E va bene,» dissi. «Non lo rincorrerò; hai vinto tu. Ma, in questo caso, intendo fare il contrario. Non voglio correre il rischio che cambi idea e torni qui a spiarci, senza il fanale acceso, questa volta.»

Tornai a girare la chiave dell’accensione e schiacciai la messa in moto.

«D… dove vuoi andare, Bob?»

«Fuori dal raggio d’azione di una bicicletta,» risposi. «In dieci minuti posso coprire il tragitto che una bicicletta copre in un’ora. Ed allora potremo parlare senza guardarci in giro o preoccuparci.»

«Va bene, ma di che cosa dobbiamo parlare?»

Eravamo di nuovo sulla strada. Diedi un’occhiata allo spioncino del contachilometri, in modo da sapere quando avessimo fatto un tragitto sufficiente per considerarci al sicuro. «Per prima cosa, dobbiamo denunciare questo incidente alla polizia, a McNulty. Quello che è successo, voglio dire. In questo caso, dovremo ammettere di esserci fermati laggiù. Ti spiacerebbe? Sai anche tu quali conclusioni, con ogni probabilità, ne deriverebbero.»

Doris esitò un momento. «Credo che faremo meglio a non denunciare nulla, Bob. Ma non per la ragione che hai detto tu. Dopo tutto, che cosa c’è da denunciare? In sostanza, non è successo niente. Un uomo o un ragazzo in bicicletta è uscito dalla strada per venirci accanto, ma si è allontanato quando ha visto chi eravamo. Forse credeva che fossimo qualcun altro.»

«E non potrebbe essere stato uno psicopatico sessuale che se l’è battuta quando si è accorto che eravamo vestiti? Se c’è un tipo del genere in città o nei dintorni, McNulty dovrebbe saperlo. Specie se questo tipo è, per di più, un deficiente.»

«Ma, Bob, si tratta solo di ipotesi. Non puoi sapere se aveva in mente qualcosa del genere. E… e tu sei convinto che fosse Herbie, vero?»

«Sì.»

«Ma non ne abbiamo la certezza. Ecco perchè, secondo me, non dovremmo parlarne. Ammetto che potrebbe essere stato Herbie, ma… ma in definitiva non ha fatto niente, non ti pare?»

«Supponiamo per un momento che sia stato Herbie. Quale innocente ragione poteva avere per trovarsi qui?»

«Semplice curiosità infantile. Non devi dimenticare che, dal punto di vista intellettuale, è ancora un bambino. E non dimenticare nemmeno che si è avvicinato alla macchina con il fanale acceso; non ha nemmeno cercato di nascondersi. Ma tu sei sceso stringendo in mano quella che può aver scambiato per un’arma, e probabilmente con una espressione combattiva, ed allora lui… è scappato. Non ti sembra una spiegazione plausibile?»

«Può darsi. Ma, ammesso che le cose siano andate così, mi pento adesso di averti dato ascolto e di non averlo inseguito. Almeno avremmo saputo con certezza che si trattava di Herbie. E, in questo caso, lo avrei denunciato.»

«Ma perchè? Se solo ammetti che poteva non avere intenzioni cattive…»

«Perchè quella di concentrare il fascio luminoso di un fanale su una macchina ferma, a notte tarda, è una cattiva abitudine, qualunque cosa si possa avere in mente di fare. Presto o tardi capiterà sulla macchina sbagliata al momento giusto, e… Bene, se è una abitudine per lui, finirà per trovarsi nei guai un giorno o l’altro. Ma lasciamo perdere, dal momento che non sappiamo se era Herbie e non abbiamo la più lontana idea di chi potesse essere se non era Herbie; non andrò a raccontare niente a McNulty.»

Diedi una occhiata al chilometraggio e giunsi alla conclusione che ci eravamo allontanati abbastanza. Ma, prima di uscire dalla strada e fermarmi, feci descrivere alla macchina un semicerchio, in modo da guardare verso la città e da essere in grado di vedere chi veniva da quella parte.

Cinsi con un braccio le spalle di Doris e me l’attirai vicino, anche se sapevo che avremmo combinato ben poco; la paura di prima, secondo me, era stata sufficiente a soffocare per quella sera i nostri umori romantici. Ma mi sbagliavo, mi sbagliavo di grosso. Doris, la mia bella Doris, mi si strinse contro, tutta tremante e bisbigliò: «Oh, Bob, ho avuto una paura terribile laggiù. Abbracciami forte, baciami.»

Nei quindici minuti che seguirono non combinammo il patatrac, ma ci andammo molto vicini, più vicini di quanto non ci fossimo mai andati. Poi Doris si scostò ed andò ad accoccolarsi in fondo al sedile. Respiravamo tutti e due affannosamente. Ma ella bisbigliò: «Caro, non possiamo… non dobbiamo. E poi, deve essere spaventosamente tardi. Farai meglio a riaccompagnarmi a casa. Ti prego.»

Sapevo che parlava sul serio, e non cercai nemmeno di riabbracciarla. Ma dissi: «D’accordo per questa sera, cara. Ma non posso aspettare per tutto un anno, un anno sottratto alla nostra vita. Non possiamo cambiare parere e sposarci subito, o al più presto? Né io né te vogliamo che tu continui a lavorare dopo il matrimonio, ma… si tratterebbe di un anno soltanto. Se al termine di un anno non riesco ad ottenere un posto più redditizio in un giornale, se l’offerta di Tom Acres non è più valida, bene posso sempre tornare a lavorare in banca, a Kansas City; ti piacerebbe vivere là, e che io guadagnassi a sufficienza per tutti e due?»

«Ma… è precisamente quello che non voglio che succeda. Voglio che tu diventi giornalista. E lo diventerai, se non facciamo sciocchezze.»

«Voglio diventare giornalista, ma voglio soprattutto te. E poi, tutto andrà per il meglio. Fra un anno, se non a Bisbee, potrò trovare un posto in un altro giornale che mi pagherà abbastanza perchè voglio essere in grado di mantenere me e te. Ma… devo averti, Doris. Rispondi di sì, ti prego.»

«Non costringermi a prendere una decisione stanotte, caro. Desidero rispondere di sì, ma… Ne parleremo un’altra volta, quando saremo più calmi.»

«D’accordo. E adesso sarà meglio che ti accompagni a casa. È molto tardi. Ma voglio un altro bacio prima… e ti prometto che terrò le mani a posto.»

Tornò a scivolarmi accanto.

Riaccesi di malavoglia il motore e rientrai sulla strada. Avevamo stabilito di non parlare più di noi per quella sera, e ricordai l’altra domanda alla quale mi sarebbe piaciuto di sentirla rispondere.

«Doris, abiti qui da molto tempo, come Herbie. Devi saperla lunga su di lui, sia pure per sentito dire. Quando lo hai conosciuto?»

«Credo di non averlo mai precisamente conosciuto, Bob. Sapevo chi era e sentivo parlare di lui. Ma non ci siamo mai rivolti la parola; non so neppure se sa chi sono o meno… anche se probabilmente lo sa, ora che ci penso.

«Vediamo un poco. Avevo sette anni quando sono arrivata qui con papà e ho cominciato a frequentare la seconda. Herbie frequentava ancora i corsi allora; doveva avere quattordici anni, il che significa che adesso ne ha trenta. Era in quarta, perchè aveva ripetuto due o tre volte i primi tre corsi. E credo fosse la seconda volta che faceva la quarta.

«Papà era alla scuola superiore e non ha mai avuto Herbie come allievo, ma una volta gli ha parlato e lo ha sottoposto a qualche prova. È giunto alla conclusione…»

«Un momento. Come è stato possibile ciò, se non frequentava la sua scuola?»

«Papà aveva scritto una volta un articolo sui ragazzi a sviluppo mentale ritardato. Il preside delle elementari lo ha saputo e ha pregato papà di sottoporre Herbie a qualche prova e di dirgli poi che cosa sarebbe stato possibile fare. A quanto pareva, nemmeno quell’anno sarebbe stato promosso dalla quarta, e forse non sarebbe stato promosso mai. E non è simpatico avere in classe un ragazzone di quattordici anni, grande e grosso, assieme a bambini normali di molti anni più giovani di lui.

«Papà lo ha sottoposto ad alcune prove e gli ha parlato. Poi ha riferito al preside delle elementari che Herbie aveva una età mentale di nove anni circa, cioè di cinque anni inferiore a quella della sua età reale. Secondo lui, l’intelligenza sarebbe migliorata di qualcosa negli anni a venire, ma non di molto. A maturità raggiunta, avrebbe avuto l’età mentale di un ragazzo di dieci anni, forse di undici anni. Un deficiente, insomma. Non un deficiente completo, però, per il quale l’età mentale corrisponde ai sette o otto anni.

«Ha raccomandato che Herbie venisse esentato dagli impegni scolastici, se fosse riuscito a trovare un lavoro o se si fosse trovato un lavoro adatto. La scuola sarebbe stata inutile per lui; gli aveva già insegnato a leggere ed a scrivere, ed aveva già fatto tutto quanto era possibile per aiutarlo. Ha detto che non era certo il caso di farlo ricoverare, perchè era perfettamente sano. E ha detto che la maggior parte di coloro che avevano l’età mentale di Herbie riuscivano a sistemarsi in maniera soddisfacente nella vita, si guadagnavano da mangiare con quei lavori semplici o puramente manuali che erano in grado di svolgere.»

«C’è qualcuno che si prende cura di lui?»

«A quell’epoca, sì, qualcuno c’era. Viveva ancora sua madre, ed aveva anche un fratello maggiore. Ora la madre è morta e il fratello si è trasferito altrove, ma Herbie riesce a sbrigarsela egualmente.»

«Si è mai trovato coinvolto in qualche guaio?»

«Niente di grave. Una volta, quando aveva vent’anni, c’era un tale che spiava le coppiette alla periferia della città, e non ci è voluto molto a scoprire che questo tale era Herbie. Ma sì trattava di una semplice e naturale curiosità sessuale, e, fino a quando non gliel’hanno detto, non sapeva neppure che non si doveva guardare dai finestrini delle macchine in sosta. Lo hanno ammonito, e da allora non è più ricaduto.»

«Fino a qualche settimana fa… la finestra di Amy.»

«Non si può chiamare spiare quello. Stava lavorando davanti alla finestra, e, date le circostanze, mi sembra che sia stato più che naturale per lui guardare. Che cosa avresti fatto tu?»

«Lasciamo perdere quello che avrei fatto io. Non sono un deficiente. Ma forse quello che ha visto guardando dalla finestra di Amy gli ha ridato il gusto di spiare. Pensa un momento a stasera. Forse ha creduto che c’era qualcosa da vedere in una macchina ferma.»

«Se era Herbie, Bob. Ma non ne sei sicuro. E, in ogni modo, non ha fatto niente. È scappato non appena sei sceso dalla macchina. È un individuo innocuo, di questo sono certa.»

Mi spiaceva di non avere anch’io la stessa certezza, dopo le minacce che mi aveva rivolto. Ma non volevo che Doris si spaventasse più di quanto si era già spaventata.

«Dove abita Herbie adesso?»

«A casa della signora Wayne… sai dov’è?»

«La vedova di Robert Wayne? No, il suo nome compare sul giornale ogni tanto, ma non so dove abiti.»

«Proprio su questa strada, in periferia; ci passeremo davanti fra poco. Vive sola. Nella casa, bene inteso; nel cortile c’è una baracca, ed ha permesso ad Herbie di sistemarsi là dentro. E lui, per pagarle l’affitto, le sbriga qualche lavoro. È una sistemazione vantaggiosa per tutti e due, perchè in casa c’è un telefono. Quando qualcuno ha bisogno di Herbie per qualcosa, telefona alla signora Wayne, la quale, a sua volta, avverte Herbie. Ecco, è quella la casa, anche se adesso è troppo buio per vederla.»

«Herbie è grande e grosso,» osservai. «Non fa scandalo una sistemazione del genere?»

«Nessuno scandalo. La signora Wayne ha più di sessant’anni. E sarebbe al disopra di ogni sospetto, anche se fosse più giovane. A proposito, è stato proprio suo marito a consultare quella volta mio padre a proposito di Herbie.»

Restammo in silenzio per un poco, poi Doris disse a un tratto: «Mio Dio, Bob, non starai per caso pensando che possa essere stato Herbie Pembrook ad uccidere Amy, vero?»

8

Dissi: «Vorrei poterlo fare. Credo che nessun indiziato mi riuscirebbe più gradito di Herbie. Ma non vedo Amy in relazione con lui; deve aver avuto una dozzina almeno di offerte migliori, o avrebbe potuto averle, se solo avesse voluto. E non riesco a vedere Herbie sotto l’aspetto del mio intelligentissimo “sconosciuto” che lascia indizi per far credere di essere stato amico di Amy quando non lo è stato affatto. No, Herbie non rientra nel quadro.» Ci stavamo fermando davanti alla casa dove abitava Doris. «Ma lasciamo perdere Herbie per stasera. Vuoi il bicchierino della staffa?»

«No, grazie, non ne ho bisogno. Ma sono pronta ad augurarti la buona notte con un bel bacio.»

Accettai senza discussioni, poi la seguii con gli occhi fino a quando non ebbe varcato la porta di casa.

Feci girare la macchina per attraversare la città, e intanto mi chiedevo se non valeva la pena che mi fermassi alla stazione di polizia — per curiosità pura e semplice, dal momento che il giornale era già stato stampato — per vedere se c’erano stati nuovi sviluppi sul caso di Amy Waggoner.

Passando, notai che le luci erano ancora accese, il che significava che si stava ancora lavorando. Di solito, Charlie Sanger chiude bottega all’una e mezzo, mezz’ora dopo la chiusura dei bar; dopo di che tutte le chiamate alla polizia vengono passate a McNulty e lo svegliano nel cuore della notte. (Ma non è una cosa che capiti molto spesso; di norma, alla una e mezzo, Mayville è morta al mondo.)

Stavo passando davanti all’ufficio, adagio, sempre chiedendomi se dovevo fermarmi o meno, quando qualcuno uscì e svoltò in direzione opposta alla mia, e subito lo riconobbi. Era Willie Zenkovich, il barista serale del Filone. Dovevano averlo convocato per un interrogatorio dopo la chiusura del bar. Bene, pensai, sarebbe stato in grado di dirmi se c’era qualcosa di nuovo, senza costringermi a disturbare McNulty.

Feci girare la macchina e andai a fermarmi accanto al marciapiede, alla sua altezza. «Salve, Willie,» dissi. «Posso darvi un passaggio?»

«Bob!» esclamò, avvicinandosi. Rise, con una risata acuta, priva di allegria. «Gesù, un essere umano, dopo i poliziotti. Dove siete stato a quest’ora?»

«Un poco in giro.» Il lampione gli illuminava il viso, e notai che aveva una espressione strana, insolita come era stata insolita la sua risata. Sembrava un uomo che fosse appena tornato dall’inferno. «Volete un passaggio?» ripetei. Abitava in un albergo, solo due isolati più oltre, ma ora ero ancora più curioso di prima di parlargli. Era successo qualcosa a lui se non nelle indagini per l’assassinio di Amy.

Sospirò, appoggiandosi con un gomito alla portiera. Vidi che le mani gli tremavano un poco. Disse: «Grazie, Bob, no. Forse ho bisogno, più che altro, di una boccata d’aria fresca… Un momento, più ancora dell’aria fresca ho bisogno di qualcosa da bere. Che fine ha fatto quella bottiglia che vi ho venduto un paio d’ore fa? È già stata scolata?»

«È ancora quasi piena. Salite e venite a bere un bicchierino in camera mia.» Per offrirgli da bere, mi sarebbe bastato allungare il braccio sul sedile posteriore. Ma volevo sapere che cosa stava succedendo.

«Grazie, non risponderò certo di no.» Salì, e ci avviammo.

Dissi: «Avete l’aria di… Non importa che aria avete. Che cosa è successo? Vi hanno sottoposto al terzo grado?»

«Non mi hanno picchiato, se è questo che volete dire. Ma sono stati momenti brutti. Che ora è?»

Diedi un’occhiata all’orologio. «Le due appena passate.»

«Per essere più precisi, è stata una brutta ora.» Sospirò. «Sanger è venuto a prelevarmi proprio mentre stavo chiudendo.» Infilò una sigaretta fra le labbra e l’accese. Gli ci vollero due fiammiferi, anche se non guidavo abbastanza in fretta perchè il vento potesse entrarci per qualcosa.

Mi fermai accanto al marciapiede davanti alla casa dove abitavo. Presi la bottiglia dal sedile posteriore — ora non si sarebbe più rifiutato di entrare con me — e dissi: «Facciamo adagio mentre saliamo.»

«Potremmo andare nella mia stanza all’albergo, Bob. Voglio dire, se dobbiamo fare adagio qui…»

«Solo per entrare, fino a quando abbiamo raggiunto la mia stanza. Avanti.»

Salimmo le scale in punta di piedi. Quando chiusi la porta, dissi: «Accomodatevi, Willie. Lo preferite puro o con un poco d’acqua?»

«Puro, purissimo.» Mentre cercavo i bicchieri, si mise a sedere sul letto.

Gli passai la sua razione, mi accomodai su una sedia, sollevai il mio bicchiere e dissi: «Al delitto», e bevvi un sorso, mentre lui tracannava abbondantemente. Poi sembrò un poco più calmo, ma non molto.

Di solito Willie non ha quell’aria. Se non è l’uomo più raffinato di questo mondo, è cortese, paziente, sorridente. Quella sera invece appariva in stato di shock, anche se era lievemente migliorato dal momento in cui lo avevo incontrato.

Non sapevo molto di Willie, ma qualcosa sì, oltre al fatto che mi era simpatico non più di tanto. Sapevo che era — per strano che potesse sembrare, con il nome di Willie Zenkovich — per tre quarti messicano. Per nascita, bene inteso, non per nazionalità. Era stato allevato a El Paso, e, se si esclude qualche viaggio oltre confine, non era più stato nel Messico dalla prima infanzia. Un nonno polacco a Mexico City aveva contribuito al suo nome di Zenkovich. Come fosse diventato barista e perchè fosse capitato a Mayville, lo ignoravo. Ma conosceva il suo mestiere; il Filone avrebbe perduto molti clienti se Willie se ne fosse andato.

Era piuttosto piccolo — non più di un metro e sessanta — ma aveva quella forza nervosa e quella fiducia in se stesso che sono utilissime in un bar, dove qualche volta possono sorgere situazioni difficili. Era in grado di azzuffarsi con individui che pesavano il doppio di lui e di avere la meglio. Non lo avevo mai visto aver paura di qualcuno o di qualcosa fino a quella sera.

Con un secondo sorso vuotò il suo whisky, ed io allora mi chinai a prendere la bottiglia da terra e gliela passai. Tornò a riempire il bicchiere e lo appoggiò accanto alla bottiglia. A quanto pareva, quel primo puro era stato sufficiente per il momento. Sospirò e disse: «Mio Dio, che ora è stata quella, con Mac e con lo sceriffo.»

«Me lo avete già detto,» osservai. «Che cosa vi hanno fatto, se non vi hanno picchiato?»

Mi guardò senza rispondere, poi fu lui a rivolgermi una domanda. «Che c’entrano gli stupefacenti con l’assassinio di Amy?»

«Gli stupefacenti?» La mia voce doveva riflettere la perplessità che provavo. «Non ne sapevo nulla. Amy non prendeva stupefacenti, vero?» Ricordavo che Cass mi aveva detto di essere in grado di individuare un intossicato a un miglio di distanza, e Cass aveva visto chissà quante volte Amy. Se avesse notato qualche segno di intossicazione, non ne avrebbe magari parlato mentre lei era viva. Ma il suo silenzio non avrebbe più avuto ragione d’essere quella sera, quando sapeva che era morta.

«No, accidenti!» esclamò Willie. «Amy non prendeva stupefacenti. Gli intossicati non bevono come beve Amy… come beveva, voglio dire. E so benissimo che non era una morfinomane; portava quasi sempre le maniche corte. Avrei notato i segni degli aghi della siringa.»

«E non è possibile che fiutasse? Ho sentito dire che qualche volta le donne fiutano, proprio per questa ragione.»

«Non sono un esperto. Non ho mai toccato quella roba e non la toccherò mai. Ma, da quello che so, nessuno adopera gli stupefacenti e ingurgita alcool, come faceva Amy. Qualche sigaretta alla marijuana, ammesso che si tratti di uno stupefacente, magari, una volta ogni tanto, per imbenzinarsi ancora di più, ma, per il resto, niente. Mac però non alludeva alla marijuana; lo ha detto. Parlava della polvere bianca, non delle sigarette. Dove ha pescato una voce del genere a proposito di Amy?»

«Non ne ho la minima idea. Nessuno aveva mai parlato di stupefacenti, quando sono stato là l’ultima volta.»

«E invece dovevano averne parlato, quando mi hanno interrogato poco fa. Volevano sapere se ero al corrente di un traffico di stupefacenti nella zona, se Amy li adoperava o li spacciava… Hanno trovato stupefacenti nella sua stanza, o che cosa?»

«No, che io sappia, Willie.»

Naturalmente, pensai, qualcuno poteva aver trovato qualcosa, e Mac e lo sceriffo non me ne avevano mai parlato per evitare che la notizia comparisse sui giornali, cosa che avrebbero certo fatto se erano convinti che il particolare poteva portare alla soluzione del delitto. Ma avevo la precisa impressione che Mac fosse stato sincero con me; Mac non è troppo abile come bugiardo, e di solito capisco quando vuota il sacco o quando mi nasconde qualcosa. E avrei giurato che quella sera era stato sincero con me.

«Ma perchè dovreste preoccuparvi?» chiesi. «A meno che non spacciate stupefacenti per conto vostro, bene inteso. Non vi sospetta di aver assassinato Amy, vero?»

«Di spaccio di stupefacenti, no. Ma, per quello che riguarda Amy. che sia dannato se lo so. Certo aveva tutta l’aria di sospettarmi. E il guaio è che non ho alibi.»

«Nemmeno io l’avevo. E chi ce l’ha? Mio Dio, Willie, non sappiamo nemmeno in che ora della notte è stata uccisa, e così chi può avere un alibi? Tutti erano a casa, a letto. O almeno, ci ero io.»

«È proprio questo il guaio, Bob. Io non c’ero. Ho chiuso alla una e sono arrivato alla mia stanza all’albergo solo dopo le tre. Due ore vuote, e non ho potuto nemmeno mentire con Mac e dirgli che sono rientrato subito. C’è l’impiegato del turno di notte: mi ha visto entrare, e prima di salire in camera mi sono fermato a chiacchierare un poco con lui.»

«Che cosa avete fatto in quelle due ore? Non eravate con qualcuno?»

«No, ho fatto un giro con la macchina, da solo. Sono andato e tornato, senza una meta precisa. Bell’alibi, vero? Avrei avuto il tempo di uccidere Amy e sei altre persone. Non posso fare una colpa a Mac se non ci crede. Voi ci credete, Bob?»

«Certo, Willie. Soprattutto perchè non riesco ad immaginarvi nell’atto di uccidere Amy. Fate spesso giri del genere, quando avete terminato di lavorare?»

«Spesso no, ma non è la prima volta. Nelle notti serene. Dopo aver passato tutta la sera a lavorare dietro al banco, ad ascoltare gli strilli del grammofono, a cercare di impedire liti, a tenere tutti a posto, felici e contenti, sentite poi qualche volta il desiderio di andarvene a fare un giro da solo.»

«Capisco.»

«E, in ogni modo, non vado quasi mai a dormire subito dopo aver smesso di lavorare. Qualche volta partecipo a un poker, se c’è una partita in corso. Qualche volta mi spingo oltre Bisbee fino a Naco, al di là del confine. Là non devono chiudere alla una, e c’è un locale che rimane aperto tutta notte. Non che ci sia molto da fare laggiù, ma almeno ho una meta. Peccato che non l’abbia fatto anche ieri notte, invece di girare a caso; avrei almeno un alibi abbastanza fondato.»

«Il vostro mi sembra più che fondato. Non capisco invece questa storia degli stupefacenti. Vedrò se mi riesce di sapere che cosa c’è in ballo, e vi terrò informato.»

«Molto gentile, Bob.» Prese il bicchiere, bevve un sorso e lo guardò. «Stupefacenti e Amy… idiozie! Questa roba era la sua debolezza.»

«E gli uomini?»

«Non credo. Non mi sono mai preso passaggi, anche se ci ho pensato. Ma, da quanto ho sentito dire, qualcuno dei ragazzi ci ha pensato, senza combinare niente. Mi risulta che si mostrava gentile, che non faceva l’offesa o simili. Si limitava semplicemente ad avvertirli che non c’era niente da fare.»

«Se qualcuno avesse combinato qualcosa, non andrebbe in giro a vantarsene adesso. Diventerebbe automaticamente l’indiziato numero uno.»

«Già, più ancora di me con il mio traballante alibi. Questa sera l’indiziato numero uno ero io.»

Bevve un altro sorso. Appariva ancora un po’ nervoso, ma sembrava che il peggio fosse superato.

Dissi: «Willie, non capisco ancora come mai vi siete lasciato sconvolgere fino a questo punto da Mac solo perchè non potevate dimostrare dove eravate stato per un paio d’ore. Non ha niente altro contro di voi, vero?»

Esitò. «Accidenti, Bob, vi dirò la verità, mi farà bene sfogarmi con qualcuno, se mi promettete di non aprir bocca con anima viva. D’accordo?»

«D’accordo. Se non si tratta di una faccenda che riguarda l’assassinio di Amy.»

«Non c’entra per niente. Non sono andato in giro senza meta stanotte. Sono andato e tornato da Bisbee, e mi sono incontrato con un amico mio. Ho comprato da lui qualche sigaretta alla marijuana. Certo, ne fumo qualche volta. Non spesso, solo quando ho i nervi troppo tesi dopo il lavoro al bar. Ma come potevo spiegarlo a Mac? Specie con lo sceriffo lì presente ad ascoltare. Diavolo, se anche uno di loro fosse stato disposto a chiudere un occhio, non si poteva sapere che cosa ne avrebbe pensato l’altro. Dovevano elevare imputazione nei miei confronti.

«E statemi bene a sentire adesso perchè viene il peggio. Avevo quelle sigarette in tasca, mentre ero nell’ufficio della polizia. E Mac ha incominciato a battere sugli stupefacenti. Non che la marijuana sia uno stupefacente, ma, in ogni modo, è vietata dalla legge. In che posizione sarei venuto a trovarmi se Mac o lo sceriffo mi avessero chiesto di vuotare le tasche?»

«Non c’è da meravigliarsi se vi sentivate nervoso. Ma non capisco come mai, vedendovi in quelle condizioni, non vi abbiano torchiato a fondo.»

Sorrise. «Ho resistito benissimo all’urto. Solo quando mi sono trovato fuori, al sicuro, sono crollato. Sono fatto cosi, io… è già successo in altri momenti difficili che ho dovuto affrontare. Prendo paura solo quando il peggio è passato.»

Annuii. «Willie, se avevate quelle sigarette in ufficio, dovete averle ancora, a meno che non le abbiate buttate via durante il tragitto in macchina. Al vostro posto, me ne libererei prima di rientrare all’albergo. Se Mac vi sospetta davvero, di qualsiasi cosa, può farsi rilasciare un mandato e perquisire la vostra stanza. E pure le tasche, se nella stanza ci siete anche voi.»

«Certo. Queste finiranno nella fogna prima che torni a casa. E ho anche deciso di smettere di fumarle. Non perchè ne fumi molte o perchè pensi che mi possano far male, ma solo questa sera ho capito che rischio rappresenti per me il semplice fatto di esserne in possesso. Accidenti, se anche non finissi in prigione la prima volta, perderei la licenza di barista e il posto.»

Prese dalla tasca della camicia un portasigarette di metallo e guardò. «Sono nove,» disse. «Ne ho comprate dieci e ne ho fumata una nella mia stanza, ieri notte. Nove dollari buttati via; le ho pagate un dollaro al pezzo.»

Dissi: «Perchè correre il rischio di uscire di qui con quelle sigarette? E se per caso Mac vi ferma mentre tornate a casa? Ammetto che è molto difficile, ma, se volete, posso buttarvele io nel gabinetto, qui e subito.»

«Bene, pensavo di buttarle via tutte meno una tornando a casa, e di fumare l’ultima quando fossi arrivato nella mia stanza. Ma credo che abbiate ragione: è possibile che Mac o Charlie mi aspettino davanti alla porta. Vi spiace se fumo qui la mia ultima?»

«Fate pure. Ma a una condizione. Dovete lasciare che butti via prima le altre e così non avrete la tentazione di fumarne una seconda e non cambierete opinione dopo essere uscito di qui con le altre.»

«Certo,» disse. «Ehi, Bob, ne avete mai fumate?»

Scossi la testa, e stavo per dire che non intendevo neppure provarle, poi esitai e mi chiesi: perchè no? Avevo sempre avuto l’intenzione di provare una sigaretta alla marijuana, per pura curiosità. Per indole, ero portato a provare tutto una volta almeno, se non si trattava di un delitto grave o di qualcosa di realmente pericoloso. E non poteva certo definirsi pericolosa una sigaretta alla marijuana. E, se proprio dovevo assaggiarne una, non era quello il momento ideale? Nella mia stanza, già stanco morto, e pronto a coricarmi non appena l’avessi finita?

Dissi: «Va bene, Willie. Ne proverò una. Ma, perchè non abbiamo, o io o voi, la tentazione di insistere, butteremo via prima tutte le altre, salvo due.»

Non fece discussioni. Mi tese il portasigarette. Lo aprii e feci scivolare fuori sette tubetti bianchi arrotolati a mano. Li portai in bagno, li appallottolai, li buttai nel gabinetto e feci scorrere l’acqua. Quando tornai, Willie disse: «Non subito, Bob. Non abbiamo ancora finito i nostri bicchieri. Vuotiamoli prima.»

«Certo.» Presi il mio. E in quel momento mi venne una idea. «Willie, Herbie Pembrook capita mai al Filone?»

«Che cosa? Oh, no! Herbie non beve mai. Ed è un bene: non credo che Mac permetterebbe di servirlo, se bevesse. E poi, lo conosco soltanto di vista.»

«Sapete qualcosa di lui?»

«Che è, più o meno, lo scemo del villaggio. Ma non è poi un tipo impossibile, tutto considerato. Sbriga i lavori più disparati, ma soprattutto quelli di carico e scarico. È innocuo. Perchè?»

«Oh, non c’è un motivo particolare,» risposi, e lasciai cadere l’argomento. Terminammo i nostri bicchieri e Willie mi diede una delle due sigarette. Le accendemmo. Avevo letto sulla marijuana quanto bastava per sapere come si fa a fumarla: non come una normale sigaretta, ma a boccate profonde, in modo da far scendere il fumo direttamente nei polmoni.

La sigaretta bruciava allegramente ed aveva un sapore di erba. Mi irritava un poco la gola, o così almeno sembrava. Ma poi nel petto si avvertiva qualcosa come di dolce, ed era una sensazione niente affatto spiacevole.

E, improvvisamente, mi parve di essere all’inizio della sera, non alle tre del mattino. Non ero più stanco. Mi sentivo pieno di energia, perfettamente sveglio, pronto e disposto ad andare dappertutto, a fare qualunque cosa per qualsiasi periodo di tempo.

Mi irritava l’idea — ma c’era qualcosa di simile a un divertimento cosmico dietro alla mia noia — che tutti i locali di Mayville fossero chiusi. Maledette le leggi della puritana Arizona che impongono di abbassare le saracinesche alla una, pensavo.

Ma Willie non aveva detto che appena oltre il confine, a Naco, c’era un bar aperto tutta notte? Certo. E se fossi andato a chiamare Doris e le avessi proposto di venire con me? E magari, se anche Willie avesse avuto voglia di accompagnarci…

Ma no, la marijuana non era poi tanto forte. Doris a quell’ora doveva ormai dormire profondamente. Sapevo che cosa avrebbe detto e pensato se avessi svegliato prima la sua padrona di casa e poi lei per proporle un secondo giro alle tre del mattino, dopo che il primo era durato da mezzanotte alle due. Forse non si sarebbe arrabbiata, ma certo avrebbe pensato che ero ubriaco o pazzo. In ogni modo, l’idea non le sarebbe certo apparsa meravigliosa come appariva meravigliosa a me.

«Vi piace amico?» chiese Willie. Vidi che aveva terminato la sua sigaretta e che aveva schiacciato il mozzicone minuscolo nel portacenere. Anche il mio mozzicone era cortissimo, ma pensavo di riuscire a tirare un’altra boccata senza bruciarmi le dita, e ci riuscii. Poi lo schiacciai anch’io nel portacenere, accanto al suo.

«Una cosa meravigliosa, mirabolante addirittura.» E mi chiesi se erano le sigarette a farmi parlare a quel modo per me insolito. O forse si trattava di suggestione, perchè nei libri chi fuma marijuana parla sempre così? In ogni modo, si trattava di un gergo che avevo usato solo all’università, ed anche allora solo raramente. Ma mi appariva divertente in quel momento, e così aggiunsi: «Mi piace da morire.»

Willie rise. E risi anch’io, non perchè sapessi di che cosa rideva, ma perchè tutto mi sembrava divertente.

Poi Willie si calmò e ritrovò quasi tutto il suo equilibrio. «Una scossa, ecco che cosa è, una scossa molto energica. Ma mantengo quello che ho detto: è stata la mia ultima sigaretta. Non vale la pena di correre rischi del genere. E devo ringraziare Dio di essere stato fortunato stasera.» Si alzò e si stiracchiò. «Una giornata piuttosto movimentata, la mia. Me ne torno a casa. Grazie di tutto, amico. Avevo bisogno di qualcuno con cui sfogarmi.»

«Statemi a sentire, Willie, può sembrare assurdo, ma non ho sonno. Ho voglia di andare in qualche posto, di fare qualcosa. Che ne direste di una corsa fino a Naco per un bicchierino?»

Rise. «Non è che sembri assurdo: è assurdo. È la marijuana a parlare, non voi. Ancora mezz’ora, e quando gli effetti della marijuana saranno scomparsi crollerete. E allora saremmo soltanto a mezza strada da Naco.»

Ma tornò a sedersi sul bordo del letto. «Ma quella di un ultimo bicchierino non mi sembra una cattiva idea, purché lo beviamo qui e non nel Messico.» Prese la bottiglia e versò per tutti e due. «E nemmeno mi accompagnerete in macchina all’albergo. Sono quattro isolati soltanto, e un poco di moto mi farà bene. Arrivederci allora.»

Lo accompagnai fino in fondo alle scale per aprirgli la porta, poi feci attenzione a girare di nuovo la chiave nella serratura. È questa, l’unica mania della signora Burdock. Una volta soltanto aveva strillato con me: quando una sera ero rientrato tardi e il mattino seguente ella si era accorta che mi ero dimenticato di chiudere a chiave.

Di ritorno nella mia stanza, mi spogliai e mi misi in pigiama. Non perchè avessi già sonno, ma perchè quel poco di buon senso che mi era rimasto mi avvertiva che Willie aveva ragione; sarebbe stata una pazzia per me uscire, e se fossi stato pronto per andare a letto e non completamente vestito, la tentazione sarebbe stata per me minore. O almeno avrei avuto il tempo di cambiare idea mentre mi rivestivo.

9

Mi restava soltanto di leggere fino a quando non avessi avuto sonno; ci sarebbe voluta una mezz’ora circa, se le previsioni di Willie si rivelavano esatte. Sollevai i cuscini ed accesi la lampadina sul comodino accanto al letto. Presi dal cassettone l’edizione economica di un romanzo che avevo comperato il giorno prima e che non avevo ancora cominciato, poi spensi la luce grande e mi infilai sotto le coperte. Era sempre così che leggevo nella mia stanza. Specie quando era già tardi: se mi ero già spogliato, potevo mettermi a dormire senza dovermi alzare di nuovo. Era facile buttare il libro e uno dei cuscini su una sedia, allungare il braccio e spegnere.

Cominciai a leggere, o meglio cercai di leggere. Qualche minuto dopo mi resi conto che i miei occhi correvano sulle righe, che anzi avevo già voltato una pagina, senza capire una sola parola di quanto avevo letto. Non che avessi la mente confusa; al contrario. Avevo il cervello limpidissimo, che funzionava a pieno regime; semplicemente, non riuscivo a concentrarmi su qualcosa di frivolo come un romanzo. Volevo pensare a qualcosa di grande, fare qualcosa di grande. Sapevo, certo, e lo riconoscevo persino, che questa improvvisa lucidità era un effetto, probabilmente illusorio, della marijuana. Ma, illusoria o no, perchè non avrei dovuto sfruttarla, goderne fino a quando durava, invece di cercare di costringermi a leggere quando la mia mente si rifiutava di farlo?

Perchè non cercare di risolvere l’enigma dell’assassinio di Amy con ragionamenti induttivi e deduttivi?

Misi da parte il libro, incrociai le mani dietro la testa e fissai gli occhi al soffitto.

Primo: che cosa poteva valere la teoria di cui avevo parlato a Doris in macchina, la teoria che l’ex marito — presumibilmente un certo signor Waggoner — aveva mandato a Mayville un sicario, uno sconosciuto, ad uccidere Amy? Ci credevo davvero?

Bene, era possibile. Valeva la pena di indagare, e McNulty avrebbe certo fatto qualcosa in tal senso, avrebbe come minimo incaricato la polizia di Seattle o di quell’altra città dove stava, di interrogare quell’individuo. Dopo tutto si trattava dell’unica persona che, per ciò che ne sapevamo in quel momento, avesse un movente preciso per desiderare la morte di Amy.

Ma, se l’assassino era sconosciuto ad Amy, il delitto era stato eseguito in una maniera che si scostava nettamente da quella tipica dei criminali professionisti. Poteva aver pensato di far sparire il denaro e di lasciare la stanza in disordine per dare l’idea di un furto, ma quella bottiglia di whisky lasciata apposta per far pensare che aveva bevuto con lei… bene, era una di quelle idee che ben difficilmente vengono a un sicario. Era possibile, ma poco probabile.

Ancora meno probabile, quasi impossibile, era l’idea che Waggoner fosse venuto di persona a Mayville e se la fosse sbrigata da solo. Certo, se era in buoni rapporti con lui, Amy lo avrebbe lasciato entrare nella sua stanza, avrebbe bevuto con lui se egli avesse portato una bottiglia, e se gli voleva ancora un poco di bene, magari se desiderava di fare la pace, veniva a trovare una spiegazione persino il costume adamitico. Forse aveva pensato che era venuto per una riconciliazione, e forse lui aveva suggerito che proprio questa era la ragione del suo viaggio, e l’aveva rafforzata in questa convinzione fino a quando non era crollata, e poi…

Ma no, non era possibile che avesse corso un rischio del genere. Assassinare di persona avrebbe voluto dire per lui entrare dritto nella camera a gas e chiudersi la porta alle spalle. Dove abitava, non poteva essersi creato un alibi per tutti i giorni che l’impresa avrebbe comportato per lui. Non era possibile che avesse viaggiato da Seattle all’Arizona del Sud e fosse tornato senza lasciare tracce che la polizia non avrebbe tardato a scoprire, se solo avesse cominciato ad indagare, come certo avrebbe fatto se fosse risultato che il giorno del delitto egli non era a Seattle. E, ammesso che avesse viaggiato in aereo, anche il giorno prima e il giorno dopo. In qualunque modo avesse viaggiato, le indagini non avrebbero tardato ad inchiodarlo alle sue responsabilità.

Così, era stato qualcuno del luogo, dopo tutto? Qualcuno con il quale Amy aveva una relazione?

Se accettavamo l’aspetto della stanza di Amy per quello che valeva, doveva essere stato più o meno così. Qualcuno con il quale ella aveva una relazione, ma che sapeva però che questa relazione era sconosciuta a tutti, perchè, in caso contrario, non avrebbe osato ucciderla per la stessa ragione per cui non poteva aver osato ucciderla Waggoner personalmente. Il suo movente? Amy forse lo aveva minacciato, lo aveva minacciato di denunciarlo e di fare uno scandalo. Forse voleva ricattarlo. O forse voleva che la sposasse o, peggio, che divorziasse dalla moglie e la sposasse.

Se la minaccia di uno scandalo era il suo movente, questo delimitava il campo delle ricerche: aveva qualcosa di importante da perdere in uno scandalo, qualcosa di abbastanza importante da spingerlo al delitto. Una posizione nella comunità che lo scandalo avrebbe rovesciato, una azienda che lo scandalo poteva mandare all’aria, una moglie di cui aveva paura o che non voleva perdere, malgrado la sua infatuazione per Amy. Un uomo solo con un lavoro qualsiasi e senza denaro avrebbe riso di fronte ad una minaccia del genere; il peggio che poteva capitargli in conseguenza dello scandalo era di ritenere opportuno trasferirsi e cercarsi un posto da qualche altra parte.

E c’era un’altra cosa molto probabile: che fosse un cliente regolare o almeno abbastanza assiduo del Filone. Amy passava là la maggior parte del suo tempo, ed aveva stretto là quasi tutte le sue amicizie.

Ma tutto questo non mi portava molto lontano. Molti signori in buone condizioni finanziarie — allevatori, commercianti, professionisti, uomini d’affari — passavano qualche sera al Filone. Sospirai all’idea che Hetherton non ci capitava mai. Mi sarebbe davvero piaciuto di poter sospettare Hetherton.

Mi sarebbe piaciuto ancor più che non poter sospettare Herbie Pembrook, la mia altra bête noire a Mayville. Herbie sarebbe stata l’ultima persona che Amy si sarebbe scelta fra i cacciatori di gonnelle di Mayville. Quell’uomo non…

Un momento!

L’idea mi colpì al punto che mi misi a sedere sul letto, feci scivolare fuori le gambe e cominciai a passeggiare avanti e indietro per la stanza, a piedi nudi, mentre ci pensavo.

Herbie sarebbe potuto essere l’assassino, e più ci pensavo, più mi sentivo sicuro che l’assassino era proprio lui. Forse in città tutti consideravano Herbie «innocuo» — era stata precisamente questa la parola che Doris e Willie avevano adoperato per definirlo — ma, qualunque fosse la ragione che lo aveva spinto a concentrare la sua attenzione su di me, io non mi lasciavo ingannare. Sulla bicicletta, quella notte, doveva esserci stato Herbie. Chi, se non un deficiente — e con tendenze psicopatiche, per di più — avrebbe girato nel deserto verso la una del mattino e sarebbe uscito di strada per puntare il fanale della sua bicicletta su una macchina ferma?

Forse, prescindendo dal ritardato sviluppo mentale, Herbie poteva essere stato normale quando il padre di Doris lo aveva sottoposto ad una prova, all’età di quattordici anni. Ma questo significava per caso che egli era ancora normale? Quasi tutti coloro che diventano psicopatici, dal punto di vista sessuale o altro, sono normali all’inizio dell’adolescenza; le loro aberrazioni insorgono più tardi. Herbie aveva mostrato i primi sintomi quando, a vent’anni, aveva detto Doris, si era dedicato per un certo periodo a spiare le coppiette. Spaventato, l’aveva smessa, per un poco. Ma chi sapeva quali mutamenti erano successi in lui da allora?

E chi sapeva che cosa era avvenuto nel suo cervello un paio di settimane prima, quando, per caso, aveva guardato in una finestra giusta al momento giusto (o in una finestra sbagliata al momento sbagliato) ed aveva visto una bellissima donna nuda distesa sul letto, a pochi metri soltanto dal punto dove si trovava? Probabilmente, se nel periodo in cui spiava le coppiette non aveva avuto una fortuna superiore alla media, non aveva mai visto prima di allora una donna nuda. Quali conseguenze poteva avere avuto questo spettacolo su un cervello di undici anni nel corpo di un uomo di trenta?

Ci avevo già pensato, certo, quando Birdie mi aveva detto di aver sorpreso Herbie a guardare nella finestra di Amy, ma avevo scartato l’idea quando avevo saputo che con ogni probabilità Amy aveva bevuto con colui che l’aveva uccisa e che, quasi certamente, era stata lei a farlo entrare nella stanza. In un quadro del genere Herbie non trovava posto.

L’idea che mi era balenata in quel momento e che mi aveva spinto ad alzarmi dal letto era: Herbie non beveva, e così, se la bottiglia di whisky e i due bicchieri erano stati lasciati a bella posta, chi più di Herbie Pembrook veniva ad essere eliminato come probabile indiziato?

E i deficienti possono essere furbi, furbi abbastanza da pensare a qualcosa del genere.

«Herbie non beve,» aveva detto Willie. E per questo, non per altro, non aveva mai pensato a Herbie come a un probabile assassino. E anche McNulty certo sapeva che Herbie non beveva, e per la stessa ragione lo aveva scartato, anche se Birdie gli aveva parlato dell’episodio della finestra.

Ma se si pensava, come avevo pensato io riferendomi al sicario, che il whisky era stato lasciato come un falso indizio, se si ammetteva che anche un deficiente può essere furbo, allora Herbie…

Un momento, procediamo con ordine, mi ammonii. Movente, mezzo, occasione.

Movente. Uno psicopatico non ha bisogno di un movente, sono più che sufficienti i pensieri che può avergli messo in testa la vista di una donna nuda. Chi poteva immaginare che cosa aveva voluto Herbie, dopo averla vista come l’aveva vista? Forse, per qualche contorta ragione, aveva desiderato semplicemente di ucciderla. Più probabile però che avesse desiderato di rivederla in quello stato, di poterla guardare a suo agio, anche se per arrivare a questo aveva dovuto ucciderla. Forse aveva anche desiderato di toccarla, ma di violentarla… bene, pensavo proprio di no. Chi spia le coppiette di solito non è un satiro; è un onanista, un anormale sessuale al quale basta la vista di una donna nuda per arrivare all’orgasmo vero e proprio. O la vista di una coppia intenta all’atto amoroso. (Era per questo che Herbie girava di notte in bicicletta, per guardare nelle macchine ferme? Ed era per questo che si era allontanato in fretta quando avevo messo piede a terra, completamente vestito?)

Mezzo. Di che cosa aveva bisogno se non di un coltello e di una bottiglia di whisky mezzo vuota da lasciare nella stanza come prova irrefutabile che lui, Herbie, assolutamente astemio, non poteva avere nulla a che fare con il delitto?

Aveva dovuto entrare, certo, ma la risposta a questo particolare era anche la risposta a un’altra domanda: perchè aveva aspettato due settimane. Probabilmente, nascosto fra gli alberi sull’altro lato della strada, aveva aspettato ogni sera che Amy rientrasse, le aveva dato il tempo di addormentarsi e poi aveva provato la porta. Ella tornava a casa sempre più o meno ubriaca, e presto o tardi doveva pur dimenticarsi di girare la chiave. E appunto la notte del mercoledì aveva dimenticato di girarla.

La porta chiusa dall’interno? Probabilmente conosceva il trucco di quelle serrature. Perchè no? Lavorava per Birdie qualche volta. Forse c’era stato quando uno dei clienti si era chiuso fuori, e forse Birdie aveva fatto entrare proprio lui dalla finestra perchè aprisse la porta dall’interno.

Per un momento mi chiesi se era possibile che sapesse sulle impronte digitali quel tanto che bastava per ripulire la bottiglia e i bicchieri, ma quasi subito giunsi ad una conclusione positiva. Oggi anche i ragazzini di sette anni conoscono le impronte digitali. Ed Herbie non era un analfabeta: aveva passato gli esami di terza. Probabilmente leggeva i polizieschi a fumetti, Dick Tracy, eccetera, ed era da lì che doveva aver ricavato l’idea di lasciare un falso indìzio sulla scena del delitto.

Il furto? Bene, anche questo poteva essere stato un falso indizio, appreso alla stessa scuola, ma, se Herbie era l’assassino, ero più incline a pensare che fosse genuino. Pochi dollari volevano dire molto per Herbie.

Occasione. La casa della signora Wayne, che Doris mi aveva indicato, distava solo qualche centinaio di metri, sulla stessa strada, dal motel di Birdie, che sorgeva alla estrema periferia della città. Per un tragitto così breve Herbie non avrebbe avuto bisogno di bicicletta. Pochi minuti a piedi sarebbero stati più che sufficienti. E, dato che abitava non nella casa ma in una baracca, nel cortile, nessuno avrebbe più controllato i suoi spostamenti una volta che la signora Wayne si fosse coricata, cosa che doveva fare abbastanza presto.

Movente, mezzo, occasione. Per Herbie esistevano tutti e tre. Avevo risolto il caso, e che cosa stavo aspettando? Tanto valeva che telefonassi subito a McNulty e gli spiegassi tutto. Forse, se stava ancora lavorando, avrebbe arrestato Herbie quella notte stessa, e tutto sarebbe in questo modo finito. E, naturalmente, se mi avesse detto che entrava subito in azione, gli avrei chiesto di darmi il tempo di raggiungerlo per poter essere presente anch’io alla scena finale. E, se Herbie avesse confessato o se avessimo trovato nella baracca prove evidenti della sua colpevolezza, per esempio, qualcosa che era stato evidentemente prelevato dalla stanza di Amy, allora sì che avrei fatto un bel colpo anch’io, che avrei avuto un articolo per il quale valeva la pena di svegliare Tom Acres. Ed egli avrebbe potuto ritrasmettere il servizio in tempo almeno per le ultime edizioni del mattino.

Uscii dalla mia stanza e scesi le scale in punta di piedi per andare al telefono. Sollevai il ricevitore e poi esitai. Dopo tutto, non avevo in mano prove, e McNulty, se dormiva già, non sarebbe certo stato troppo soddisfatto di sentirsi svegliare per ascoltare una catena di ragionamenti. Ma, se invece era ancora alzato…

Giunsi a un compromesso. Chiamai il centralino e riconobbi subito la voce della ragazza che mi chiese il numero. Oramai, attraverso Doris, conoscevo quasi tutte le altre ragazze che lavoravano per i telefoni. Dissi: «Carmelita, parla Bob Spitzer. Sapete se McNulty è ancora nell’ufficio di polizia o è già andato a casa?»

«Non lo so, Bob. Sono quasi due ore che non ci sono più chiamate per quei numeri. Due ore fa McNulty ha telefonato a casa sua… ma non ho ascoltato, e non so se avvertiva la moglie che rientrava o che stava tutta notte alzato a lavorare.»

«Va bene, grazie. Chiamatemi l’ufficio, ma, se non risponde, non passate la comunicazione a casa sua, come al solito. Capito?»

«Certo.»

Lasciai squillare sei o sette volte la suoneria dell’ufficio, poi rinunciai e riagganciai. Herbie Pembrook avrebbe dovuto aspettare fino all’indomani per venire interrogato o arrestato.

Risalii nella mia stanza, e improvvisamente mi resi conto di essere stanco morto e di dormire, più o meno, in piedi. Mi infilai nel letto, spensi la luce e un minuto dopo dormivo davvero.

Mi svegliò la luce che entrava dalle finestre e una serie di colpi insistenti bussati alla porta. La voce della signora Burdock mi gridò: «Bob, siete sveglio? Una intercomunale per voi.»

«Vengo subito,» risposi. Ancora un poco stordito, cercai la vestaglia e le pantofole. Chi diavolo poteva essere che mi chiamava con una intercomunale nel mio giorno di riposo? Scesi le scale, mi misi a sedere accanto al telefono e sollevai il ricevitore. «Parla Bob Spitzer.»

«Proprio non mi sembrate voi.» Era la voce di Tom Acres. «Vi ho svegliato?»

«No. Mi ha svegliato la mia padrona di casa che bussava alla porta. Che ore sono?»

«Le dieci. Dovete aver fatto le ore piccole stanotte. Avete qualche progetto per oggi?»

«Non so. Ho qualche progetto per oggi? Non abbiate paura: fra un minuto sarò sveglio.»

«Ho un incarico da affidarvi, se siete pronto ad accettarlo. Statemi a sentire, Bob: tutti i giornali dello Stato hanno pubblicato quanto ho trasmesso per tele sul caso Waggoner. Ed anche qualche giornale di altri Stati. Gli omicidi sono ormai cosa corrente, ma un delitto misterioso fa sempre tiratura.

«E tutti vogliono ulteriori particolari. E io devo pur pubblicare qualcosa sul mio giornale stasera, venga o meno risolto il caso. Non ho nessuno da mandare lì oggi, e so che Hetherton non farà nulla fino a quando non sarà arrivata l’ora di mandare in macchina il suo numero settimanale. Così, ho pensato a voi. Volete essere la mia regina di un giorno e scrivermi un pezzo?»

«Certo.»

«Benissimo. Datevi da fare e trasmettetemi il maggior numero possibile di notizie questa sera, prima dell’ora della chiusura. Ci metteremo d’accordo sul compenso quando vedrò che cosa siete riuscito a fare. Ma c’è un minimo assicurato di dieci dollari, anche se ci trasmetterete roba che non vale la pena di stampare.»

«D’accordo. E se risolvo il mistero e scopro l’assassino?»

«In questo caso, ci metteremo d’accordo poi. Statemi a sentire, posso aggiornarvi con una notizia che abbiamo ricevuto da Douglas stamattina. Lo sceriffo è tornato dopo la mezzanotte, portandosi appresso il cadavere. Stamattina avrà luogo l’autopsia, e può darsi ci stiano già lavorando in questo momento. Se telefonate a lui o al coroner nelle prime ore del pomeriggio, verrete a conoscere i risultati. Potrei farlo io da qui, ma tanto vale che chiamiate voi, in modo da mettere poi tutto quanto nell’articolo.»

«Va bene. C’è altro?»

«No. Ma svegliatevi e datevi da fare. Arrivederci.»

«Grazie, Tom,» dissi, e interruppi la comunicazione. La signora Burdock guardò fuori dalla porta della cucina, in fondo al corridoio.

«Una tazza di caffè, Bob? Ne ho un poco già pronto.»

«Ottima idea. Ma potete aspettare fino a quando mi sono vestito?»

«Naturalmente.»

Tornai in camera mia. E, entrando, annusai l’aria. Mi ero dimenticato di aprire le finestre, e si avvertiva un leggero odore che doveva essere quello dei residui di fumo della marijuana. Mi affrettai a spalancare. E, quando andai in bagno per radermi, presi dal portacenere i due mozziconi e feci far loro la stessa fine che avevano fatto le sette sigarette residue di Willie. E ringraziai Dio per averle buttate via, quelle sette sigarette; se non le avessi fatte sparire prima di fumare la mia quota stabilita di una, forse avrei ceduto alla tentazione di fumarne una seconda, e se una era bastata a darmi la strampalata idea di andare nel Messico alle tre del mattino, quali pazzi pensieri avrei avuto dopo una seconda o una terza?

Non che mi pentissi di averne provata una, avevo fatto una esperienza, ed ora sapevo quale scossa mi dava la marijuana e sapevo che non avrei mai più dovuto correre un rischio del genere. La marijuana, a quanto pareva, faceva più effetto su di me che non su Willie; lui aveva avuto almeno il buon senso di dissuadermi dall’andare nel Messico per bere un bicchierino.

Ma, e l’altra idea… la mia teoria che era stato Herbie Pembrook ad uccidere Amy? Era stata anche quella effetto del fumo di marijuana? Ci pensai un poco mentre mi vestivo, senza arrivare a conclusione alcuna. Decisi allora di rifletterci di nuovo quando fossi stato un poco più sveglio, quando avessi avuto il cervello più sgombro.

Misi il mio abito migliore, quello che di solito usavo per la domenica e per gli appuntamenti. Perchè no? Era un giorno fortunato, quello, per me. Era il mio primo, anche se per ora unico, giorno di cronista per un quotidiano, per un vero giornale. Ero già inviato speciale, insomma.

Probabilmente la signora Burdock mi aveva sentito scendere le scale, perchè aveva già versato il caffè quando entrai in cucina. Ne aveva versato una tazzina anche per sé, e si mise a sedere al tavolo, di fronte a me.

Disse: «Quella povera signora Waggoner. Ho appena finito di leggere il giornale. Terribile! Avete scritto voi l’articolo, Bob?»

«Per la maggior parte.»

«Spero che trovino l’assassino. Una donna sola non può sentirsi sicura di questi tempi. Ecco perchè mi va di avere sempre almeno un pigionante: purché ci sia un uomo in casa. Conoscevate questa signora Waggoner? Personalmente, voglio dire.»

«Un poco. Le avevo parlato qualche volta.»

«Non sarebbe mai dovuta andare a stabilirsi da Birdie Edwards.»

Sorrisi. «Credete a quello che si dice di Birdie, signora Burdock? A quello che si dice sia stata, bene inteso?»

«Non conosco il suo passato e non mi interessa di conoscerlo. Ma so che cosa è ora. Volgare. Ed una ficcanaso, anche. Fruga nei bagagli di quelli che si fermano da lei… che si fermano abbastanza a lungo, certo. Naturalmente non può farlo se si fermano una notte soltanto e ripartono il mattino seguente. Ha frugato nella vostra roba quando voi stavate là?»

«No, che io sappia. Ma probabilmente non me ne sarei accorto. Non avevo niente da nascondere.»

«Bene, scommetto che lo ha fatto. C’è chi se n’è accorto e se n’è lamentato. È una ficcanaso, e vuole sapere tutto il possibile su chi si ferma da lei. E non venite a raccontarmi che non ha frugato nella roba della signora Waggoner, che è rimasta con lei un intero mese. Sono convinta che sulla signora Waggoner la sa molto più lunga di quanto non voglia dire.»

«Può darsi. Ma, se Amy non aveva carte nella sua stanza, che cosa può aver saputo? Di quello che può interessare all’inchiesta, voglio dire. Non sarebbe della minima utilità per McNulty di sapere quante volte alla settimana Amy si cambiava di biancheria o quanto le è durato l’ultimo tubetto di dentifricio.»

«Tutti hanno qualche documento, Bob. Se riceveva gli alimenti, doveva certo essere in possesso di una copia della sentenza di divorzio. E sicuramente doveva avere la fattura della macchina, senza la quale non avrebbe potuto ottenere il bollo di circolazione, non avrebbe potuto venderla o cambiarla. Un’altra tazza di caffè, Bob?»

Stavo per rispondere che no, che avrei fatto meglio a mettermi al lavoro, ma poi cambiai idea. Stavo già lavorando, perchè, in un certo senso, avevo saputo qualcosa su Birdie, qualcosa che prima ignoravo. E forse sarei riuscito a sapere di più. Se Birdie aveva davvero frugato fra le cose di Amy…

Dissi: «Sì, ne prenderò un’altra tazza, se anche voi mi terrete compagnia. A proposito della storia di Birdie che guarda fra le robe dei suoi clienti, siete sicura che non si tratta di un pettegolezzo?»

«No, una volta c’è stata perfino la prova. È una faccenda che risale a un anno fa… no, un poco di più, perchè voi non eravate ancora arrivato. Un tale si è fermato da Birdie per qualche notte, poi Birdie gli ha detto che non poteva più dargli la stanza, che doveva andarsene. Lui le ha chiesto spiegazioni, e lei gli ha risposto che non lo voleva più perchè aveva due rivoltelle e le rivoltelle nella sua azienda non le andavano. Probabilmente ha pensato che fosse un criminale.

«L’uomo allora si è trasferito all’albergo, poi è andato da McNulty e ha presentato denuncia contro Birdie. Le rivoltelle erano in una valigia, non chiusa a chiave, ma lui non l’aveva mai aperta, e Birdie di conseguenza non poteva conoscerne l’esistenza se non aveva frugato nel bagaglio.

«E non si trattava di un rapinatore, ma di un rispettabilissimo turista. Era appassionato di tiro a segno, e si era portato appresso le rivoltelle, nel caso si fermasse dove c’era un poligono e avesse modo di esercitarsi un poco.»

«E ha fatto qualcosa McNulty?»

«Che cosa poteva fare? L’uomo ha ammesso che nulla mancava. Oh, ha strapazzato un poco Birdie, certo, ma questo è servito soltanto a renderla un poco più cauta.»

«Uhm,» feci. «Così, se Birdie ha davvero visto i documenti di Amy che poi sono spanti, farebbe molto bene ad ammetterlo e a descriverli.»

«Non venite a raccontarmi adesso che non ha frugato fra le cose della signora Waggoner. La signora Waggoner era una donna misteriosa; tutti si chiedevano come mai era capitata qui e come mai si era fermata. E doveva aver suscitato la curiosità di Birdie più di tutti gli altri clienti che di solito scendono da lei.»

Abbastanza logico, pensai. Chissà se Birdie si sarebbe confidata con me, se le avessi parlato da solo a sola. Probabilmente no, perchè sapeva che, se mi avesse detto qualcosa di importante, io lo avrei riferito a McNulty e lui avrebbe capito da dove veniva l’informazione.

Terminai la seconda tazza di caffè, ringraziai la signora Burdock e uscii.

10

Nell’ufficio di polizia trovai McNulty, solo, che se ne stava seduto dietro la scrivania senza far niente, a meno che non riflettesse.

Dissi: «Salve, Mac. Qualcosa di nuovo su Amy?»

«Niente di importante. In questo momento sto aspettando due interurbane, e allora, forse, saprò qualcosa.»

«Una è da Kansas City?»

«No, è già arrivata quella. Ora sappiamo qualcosa di più di lei, ma niente che appaia pertinente od utile. Una delle chiamate che aspetto deve venire da Douglas e riguarda l’autopsia. L’altra è da Seattle. Abbiamo trovato nome e indirizzo dell’ex marito. Ho telefonato alla polizia di là; lo interrogheranno e mi richiameranno.»

«Nome e indirizzo vi sono stati trasmessi da Kansas City?»

«No, li ho trovati qui, prima ancora che Kansas City chiamasse. Il cassiere capo della banca ricorda perfettamente Amy. Non aveva aperto conti correnti, Amy, ma una volta alla settimana incassava un assegno di cinquanta dollari. Ha incassato l’ultimo due giorni fa, il pomeriggio del giorno in cui è stata uccisa; l’assegno non era ancora stato spedito alla banca d’origine, e allora ho copiato i dati. Era firmato… Un momento.» Sfogliò alcune carte e trovò un appunto. «Firmato da Gerald H. Piggott, avvocato, uno — quattordici Reese Building, Seattle. E recava l’annotazione: “Alimenti per conto di J. S. Waggoner”. I ragazzi di Seattle sono al lavoro. Se J. S. Waggoner non figura nell’elenco telefonico, lo troveranno attraverso l’avvocato.»

«Lo sospettate, per caso?»

McNulty si strinse nelle spalle. «Se dovessi pagare a una donna un cinquanta per tutta la vita, sarei tentato anch’io di fare qualcosa. Ma forse è un ricco bastardo che non bada neppure a una cifra del genere.» Si infilò una sigaretta in bocca e l’accese.

«Avete detto di aver ricevuto una telefonata da Kansas City. Novità?»

«Le stesse di ieri sera, con l’aggiunta di qualche particolare di scarsa utilità. Ha abitato due anni all’indirizzo della patente di guida. Hanno trovato altri due posti dove aveva abitato prima, per un anno circa: un albergo e un’altra casa d’affitto. A quanto pare, il suo divorzio era precedente. Non hanno trovato nessuno che conoscesse il marito.»

«Ha lasciato conti in sospeso quando è partita?»

«No, che si sappia. E inoltre aveva lasciato il suo nuovo indirizzo per l’inoltro della corrispondenza — Fermo Posta, Mayville — non solo alla sua padrona di casa, ma anche alla posta stessa.»

«Può darsi che questa sia la chiave dell’enigma, Mac. Se riusciamo a sapere perchè è venuta qui, perchè ha scelto questa destinazione prima di partire, allora…»

Il telefono squillò e mi interruppi. In ogni modo, era evidente quello che stavo per dire.

McNulty sollevò il ricevitore e parlò, poi appoggiò una mano sul microfono e disse: «È Seattle. Se volete ascoltare a una derivazione, mi risparmierete il fastidio di ripetervi tutto poi.»

Andai alla seconda scrivania nell’angolo e sollevai il ricevitore della derivazione. Lo appoggiai all’orecchio in tempo per sentire: «Ecco la comunicazione, signor McNulty,» poi una voce forte e rimbombante: «Signor McNulty? Parla John S. Waggoner. Un tenente della polizia di Seattle che se n’è appena andato mi ha comunicato la notizia che la mia ex moglie è stata assassinata nella vostra città. Ho risposto come meglio potevo a tutte le domande che mi ha rivolto, ed ora senza dubbio egli si metterà in contatto con voi. Ma ho deciso intanto di chiamarvi direttamente. Desidero aiutarvi, nei limiti delle mie forze.»

«Bene,» disse McNulty. «Uh… signor Waggoner, quando avete visto l’ultima volta Amy?»

«Poco più di quattro anni fa, quando è partita di qui alla volta di Reno per ottenere il divorzio.»

«E quando avete avuto per l’ultima volta sue notizie?»

«Non ho saputo più niente di lei dopo il divorzio. La nostra rottura era completa, non ci scrivevamo nemmeno. Il mio avvocato si interessa… si interessava al pagamento degli alimenti. Tramite suo, sapevo che abitava a Kansas City, ma questo è tutto. Non so che cosa facesse là, non so che cosa abbia fatto in questi ultimi quattro anni.»

«Sapevate che un mese fa era venuta a Mayville?»

«No. Se gli è stato notificato il cambio d’indirizzo, il mio avvocato non me ne ha parlato. Anzi, spero di non offendere il vostro orgoglio civico se vi dico di non aver mai sentito nominare Mayville fino a stamattina. E adesso so soltanto che si trova nell’Arizona.»

McNulty disse: «È soltanto una cittadina. Bene, se non potete riferirci niente di recente a proposito di Amy, potete informarci di qualcosa sul suo passato? Ci sono congiunti con i quali potremmo metterci in contatto?»

«Non c’erano congiunti, che lei sapesse. Amy era stata allevata in un orfanotrofio; ignorava persino chi fossero i suoi genitori. Che io sappia, stava a Chicago. Mi ha detto di essere rimasta là… a Chicago, voglio dire, non nell’orfanotrofio… fino a… non ricordo esattamente l’età, ma se non mi sbaglio deve essere stato fino ai vent’anni appena passati.»

«Dove l’avete conosciuta?»

«Qui, a Seattle. Ho sempre abitato a Seattle, io. L’ho conosciuta… vediamo un po’… poco più di sette anni fa; siamo stati sposati meno di tre anni prima del divorzio. Non mi ha mai parlato molto della sua vita dal giorno in cui è uscita dall’orfanotrofio a quello in cui l’ho conosciuta. Non è scesa in particolari, ecco. Ha fatto l’entraîneuse in un locale notturno… la cantante e la ballerina. Poi aveva fatto la ballerina di fila in una rivista. Aveva viaggiato molto. Ma, quando l’ho conosciuta, faceva la guardarobiera in un locale notturno di Seattle.»

«Era già stata sposata precedentemente?»

«No, o almeno mi ha detto di no. E aveva ventotto o ventinove anni. Io ho cinque anni di più.»

«E qual era il suo nome da ragazza, signor Waggoner?»

«Evans. Amy Evans.»

«Uh-uh. E adesso una domanda personale, signor Waggoner, ma in un caso di assassinio bisogna pur rivolgere domande personali. Perchè avete divorziato?»

«Bene, la colpa è stata soprattutto dell’abitudine che Amy aveva di bere troppo. E poi il nostro matrimonio era stato un errore; ce ne siamo accorti prima che fosse passato un anno. Lei beveva sempre di più, al punto di ubriacarsi quasi tutte le sere. E nemmeno a casa, il che sarebbe già stato abbastanza brutto, ma nei bar, dove andava prima che rientrassi dal lavoro per rincasare poi a mezzanotte o magari anche più tardi. La situazione era diventata semplicemente insostenibile. Ma Amy si rifiutava di cercare di smetterla o di limitarsi. Sarei stato pronto a mandarla in una casa di cura, solo che non ne voleva nemmeno sentir parlare.»

«Ma il divorzio deve essere stato pronunciato a suo favore, se siete stato condannato a pagarle gli alimenti. Perchè non siete stato voi a chiedere il divorzio?»

«Forse avrei potuto farlo, ma non me la sentivo di affrontare lo scandalo di un divorzio contestato qui a Seattle. Avrebbe danneggiato il mio lavoro, ed era una cosa che, personalmente, non mi andava di fare. E poi… volevo ancora abbastanza bene ad Amy per non desiderare che cadesse troppo in basso, come sarebbe potuto succederle se non avesse avuto un reddito, sia pure minimo. Ci siamo divisi di comune accordo, ho accettato di passarle un cinquanta la settimana, cifra che posso permettermi, e di pagarle le spese di soggiorno a Reno per il divorzio. Ho messo una condizione, verbale, ma ella l’ha osservata, volevo che non tornasse più a Seattle. Ho pensato che sarebbe stato meglio per tutti e due un taglio netto: non volevo più incontrarla, e non volevo che la incontrassero i miei amici.»

«Uh-uh,» fece McNulty. «È rimasta a Kansas City per quattro anni, il che significa che deve essersi trasferita là direttamente da Reno. Sapete per caso perchè ha scelto proprio Kansas City?»

«No, non ne ho la più pallida idea. Ecco tutto quanto posso dirvi di Amy, e temo non vi sia del minimo aiuto. Ma, già che ci siamo, c’è un’altra cosa. Il tenente con il quale ho parlato mi ha detto che l’assassinio si ricollega a un furto. Amy ha lasciato qualcosa? Denaro in banca o simili?»

«Niente conto in banca qui, signor Waggoner. E nemmeno la polizia di Kansas City, per ciò che la riguarda, ne ha scoperti. E, se nella sua stanza c’erano oggetti di valore, gioielli o altro, sono scomparsi anche quelli. Rimangono soltanto gli abiti e la macchina. Ma la macchina è vecchia, e può valere, come massimo, un paio di centinaia di dollari.»

«Capisco. È precisamente come immaginavo, Amy non era tipo da fare economie, non ha mai pensato al domani. Ma statemi a sentire, signor McNulty: voglio che funerali e sepoltura avvengano in maniera dignitosa, che tutto non si limiti a un semplice trasporto dall’obitorio al campo dei poveri. Voglio che sia sepolta in un normale cimitero e che la sua tomba sia contrassegnata da una piccola lapide. E, naturalmente, sarò io a pagare tutto. Nei limiti del ragionevole… non sono ricco, e di conseguenza non dovete esagerare. Potete prendere accordi con l’impresa di pompe funebri locale, con l’intesa che il conto venga poi spedito a me?»

«Volentieri,» rispose McNulty. «Vorreste fissare una cifra massima, in modo che non si corra il rischio di esagerare? L’impresa sarà certo lieta di sapere quanto siete disposto a spendere.»

«Bene, avvertitela di cercare di restare intorno ai mille dollari. Non è un limite categorico, ma avevo pensato, più o meno, a questa cifra.»

«Benissimo, signor Waggoner. L’impresa vi farà un bel lavoro senza arrivare a tanto. Non costano molto cari i funerali da queste parti. E… avete qualche preferenza a proposito del servizio religioso?»

«Temo che Amy non fosse religosa. Comunque penso che un pastore presbiteriano non guasterebbe. L’orfanotrofio dove è stata allevata era presbiteriano. Ma forse potrebbe andar bene un qualsiasi pastore protestante. E, se la vostra impresa ha una cappella, penso che ella la preferirebbe a un servizio in chiesa. Non vorrei sembrare irriguardoso, ma credo che Amy si sentirebbe piuttosto a disagio in chiesa.»

«Va bene,» disse McNulty. «L’impresa ha appunto una cappella; ci penso io. Volete essere avvertito dell’ora e del giorno dei funerali?»

Ci fu un attimo di esitazione all’altro capo della linea. Poi Waggoner disse: «Non potrei venire lì, e così sarebbe inutile. Mi piacerebbe che ci fosse qualche fiore mio, ma non è il caso di mandarli da qui; provveda anche a questi l’impresa e me li aggiunga al conto.»

«Certo. L’impresa provvederà a tutto. Uh… un’altra domanda soltanto, signor Waggoner. Quando la conoscevate, Amy ha mai fatto ricorso a stupefacenti?»

«Stupefacenti?» La voce si fece più acuta ed assunse un tono sinceramente addolorato. «Mio Dio, no! Non ditemi che Amy si era data agli stupefacenti! Era già un guaio abbastanza grosso l’alcool, nelle quantità in cui lo consumava.»

«No, no,» si affrettò a rassicurarlo McNulty. «Nulla sta a dimostrare che si fosse data agli stupefacenti, signor Waggoner. Si tratta di una domanda puramente formale. Bene, grazie mille per la vostra telefonata.».

Riagganciammo tutti e due, ed io andai a piantarmi di nuovo davanti alla scrivania di McNulty e lo guardai. Dissi: «Domanda puramente formale un accidente! Che cos’è questa storia degli stupefacenti?»

Mi fissò con aria offesa. «Era una domanda formale. Non abbiamo prove che Amy consumasse stupefacenti.»

«Sciocchezze,» replicai. «Prove no, ma forse qualche indicazione. Ho incontrato Willie Zenkovich ieri sera, dopo che voi lo avevate passato al setaccio. A prescindere dal fatto che non ha un alibi dimostrabile, lo avete stuzzicato più che altro su questa storia degli stupefacenti. Pensavo che esagerasse o che avesse frainteso. Ora, dopo quella domanda di “normale amministrazione” che avete rivolto a Waggoner, so invece che aveva perfettamente ragione. Voi mi nascondete qualcosa, Mac.»

«Andate all’inferno!» brontolò. Non sembrava irritato.

Continuai: «Con me potete parlare in confidenza, e nessuno ne saprà nulla. Non sarebbe la prima volta che mi date notizie riservate, e mai nulla è trapelato sul giornale, vero? Ma statemi a sentire, Mac: se non mi dite niente, sono libero di riferire o discutere tutto quello che vedo e deduco. Il che, in questo caso, significa che, quando telefonerò un articolo a Bisbee, racconterò che la polizia sospetta un legame fra l’assassinio di Amy e il traffico degli stupefacenti.»

Sospirò. «E va bene. Non scrivetene niente, e io vi spiegherò come stanno le cose. Ricordate che, prima che usciste per l’ultima volta di qui, ieri sera, Charlie ha portato la patente che aveva trovato nello scomparto dei guanti? E che io l’ho mandato a prendere anche l’altra roba?»

«Sì.»

«Bene, in mezzo all’altra roba c’era qualcosa che non aveva notato la prima volta. Sotto la scatola dei Kleenex ha trovato una bustina con cinque capsule. Capsule semplicissime, non di quelle con una fascia colorata che serve a contrassegnare i medicinali. E in queste capsule c’era una polvere bianca.»

«Eroina?»

«Né io né lo sceriffo eravamo in grado di dirlo. Lui allora le ha portate via per farle analizzare. Mi comunicherà il rapporto assieme al referto dell’autopsia.»

«Ammesso che Amy usasse stupefacenti, doveva annusarli. Niente siringa. Portava quasi sempre abiti con le maniche corte, e i segni degli aghi si sarebbero notati.» Rimasi un momento pensieroso. «Ma, se si tratta di una sostanza stupefacente, e per l’ora della mia telefonata a Bisbee lo sapremo, perchè tenere segreta la notizia?»

«Perchè, sia che là usasse o sia che la spacciasse, la cosa potrebbe ricollegarsi alla sua morte, e in questo caso che bisogno c’è di avvertire l’assassino che noi ne siamo al corrente? Ha frugato dappertutto nella sua stanza, ed era probabilmente questa che stava cercando. E forse ha trovato il nascondiglio; non possiamo saperlo. Ma evidentemente ignorava che queste cinque capsule erano nella macchina, e allora perchè avvertirlo?»

Annuii. «Sono d’accordo con voi, Mac. Nessun accenno a quelle capsule. Ammesso che risultino eroina e non qualcosa per il mal di testa. Che impressione vi ha fatto Waggoner?»

«Mi è sembrato sincero, un tipo a posto. Può darsi che ci abbia dato una versione unilaterale di quanto è successo fra di loro; forse Amy avrebbe raccontato tutto in maniera diversa. Ma si tratta soltanto di una impressione, intendiamoci bene. Sarà meglio, comunque, aspettare le notizie che ci trasmetteranno su di lui gli agenti di Seattle. Voglio sapere se è rispettabile e finanziariamente solido come ha fatto capire di essere. Se le cose stanno realmente così, allora, e solo allora, lo cancellerò dall’elenco.»

Diede un’occhiata all’orologio e brontolò: «Le undici. Avete qualche progetto per la prossima mezz’ora?»

Scossi la testa.

«Ho fame. Sono riuscito a dormire qualche ora, ma ho dovuto saltare la prima colazione e mi sorride l’idea di un pranzo anticipato. Ma, con queste interurbane in arrivo, non mi va di allontanarmi dal telefono. Accettereste di restare qui in ufficio il tempo sufficiente per permettermi di buttare giù una salsiccia?»

«Certo, Mac, con piacere. E, se arriva una di quelle due telefonate, devo prendere appunti in modo da riferirvi tutto poi? O volete che li preghi di richiamare fra una mezz’ora?»

«Credo che possiate riceverle voi, quelle telefonate. Badate soltanto a trascrivere tutto, senza trascurare una sola parola. Se non mi sbaglio, ora che vi ho parlato di quelle capsule, siete al corrente del caso come me, tale e quale.»

Si alzò e si stiracchiò.

«Un momento, Mac,» dissi. «Sono al corrente di tutto? Avete parlato con molte persone ieri sera, dopo che me ne sono andato. So che cosa avete ricavato da Willie, ma… e gli altri? Qualcuno vi ha riferito qualcosa di interessante?»

«Non un gran che. Ma c’è una cosa: adesso sappiamo con sicurezza che Amy è uscita dal Filone intorno alla mezzanotte e che si è diretta a casa da sola, a piedi. Cal Jenkins e sua moglie… Conoscete Cal?»

Annuii. Cal è l’amministratore volante locale, tiene la contabilità per una dozzina di negozi e di aziende troppo piccoli per pagarsi un dipendente proprio. Fra i suoi clienti figurava il Filone, ed era là che egli andava immancabilmente a bere.

Mac disse: «Cal e sua moglie erano al Filone mercoledì sera, e se ne sono andati quasi contemporaneamente ad Amy, sono usciti subito dopo di lei. Lei si è allontanata a piedi invece di dirigersi verso la sua macchina, e Cal le ha chiesto se voleva un passaggio fino al motel. Si è voltata e lo ha ringraziato, ma ha rifiutato ed ha tirato diritto. Cal dice che aveva la voce un poco incerta, ma che camminava sènza barcollare minimamente.

«Poi Cal non è riuscito a far partire la macchina, perchè la messa in moto funzionava come se le batterie fossero scariche. Ma i fari funzionavano. Allora ha cominciato a lavorare intorno al motore con una torcia elettrica. Alla fine ha trovato un filo che si era staccato, lo ha rimesso a posto e tutto allora è andato bene. Ma dice che la riparazione ha richiesto dai quindici ai venti minuti e che in quel lasso di tempo nessun altro è uscito dal Filone, e tanto lui quanto la moglie sono sicuri che nessuna macchina è passata sulla strada, né verso la città né verso la periferia.»

«Amy poteva coprire quel tragitto in dieci minuti,» dissi. «In questo modo è certo, o quasi certo, che è arrivata a casa sola, a piedi.»

«Già, e che Cal e sua moglie sono stati gli ultimi a vederla viva. Assassino escluso, naturalmente.»

Si diresse verso la porta, ma, prima di raggiungerla, fece schioccare le dita e si voltò. «Oh, un’altra cosa più importante che dovete sapere, se chiama il coroner e gli parlate. Le noccioline. Ci sono moltissimi testimoni su questo particolare. Poco prima di uscire, mentre beveva l’ultimo bicchiere, Amy ha preso al banco un sacchetto di noccioline e le ha mangiate. Buona parte almeno, perchè ha diviso il sacchetto con la moglie di Cal.»

Rimasi perplesso. «Si tratta di un particolare importante?»

«Il coroner avrà così un punto abbastanza sicuro per stabilire l’ora della morte. Sappiamo a che ora le ha mangiate, e lui può dedurre quanto tempo era trascorso da allora quando è morta. Lo può capire studiando fino a che punto erano state digerite.»

«Sa di dover osservare questo particolare?»

«Certo. Lo abbiamo saputo quando lo sceriffo era ancora qui, e lo sceriffo ha detto che doveva assolutamente ricordarsi di avvertire il perito settore.»

Raggiunse la porta, e l’aveva aperta a metà quando tornò a voltarsi. «Oh, un’altra cosa ancora, nel caso che riceviate la telefonata da Douglas. I funerali avranno luogo qui.»

«Devo chiedere di rimandare il cadavere?»

«No, dite semplicemente di tenerlo in consegna.» Sogghignò. «Quando si è pubblici ufficiali, figliolo, si impara a non far pagare ai contribuenti ciò che può essere sistemato altrimenti. Manderemo Murcheson con il suo autocarro a Douglas a ritirare il cadavere, e anche questo viaggio figurerà sul conto. Arrivederci.»

Questa volta uscì davvero. La porta si chiuse alle sue spalle.

Se n’era andato da pochi secondi soltanto quando squillò il telefono. Avrei potuto richiamarlo, ma mi divertiva l’idea di sbrigare le funzioni di capo della polizia e preferii non farne nulla. Girai attorno alla scrivania, mi misi a sedere sulla poltrona girevole e sollevai il ricevitore. Dissi: «Ufficio di polizia di Mayville.»

«Una chiamata da Seattle, pagamento in arrivo. C’è il capo McNulty?»

«Non c’è,» risposi. «Ma mi ha autorizzato a ricevere la telefonata per suo conto. Passatemi Seattle, prego.»

11

Pochi secondi dopo una voce maschile disse: «Parla il tenente Graves della polizia di Seattle. In base a quanto ci avete richiesto, abbiamo condotto una piccola indagine su John Waggoner ed abbiamo parlato con lui. Siete pronto?»

«Prontissimo.» Poi ricordai che era una telefonata con pagamento in arrivo e pensai che sarebbe stato opportuno seguire l’esempio di McNulty e risparmiare il denaro dei contribuenti. Dissi: «Ma, dopo aver parlato con voi, Waggoner ci ha telefonato e ci ha ripetuto tutte le informazioni che probabilmente ha dato a voi a proposito della sua ex moglie e dei loro rispettivi rapporti. Forse ci ha detto qualcosa di più, perchè ci ha intrattenuto piuttosto a lungo. In ogni modo, riferiteci quello che avete saputo sul suo conto.»

«Bene.» Parlava con voce decisa; forse si era reso conto anche lui che si trattava di una intercomunale. Affrontò l’argomento senza tanti preamboli: «Primo: il suo alibi per mercoledì è inattaccabile; non è possibile che si trovasse nell’Arizona. Era a Portland, per un congresso, ed ha tenuto una prolusione, come era stabilito dal programma.»

«Già,» feci. «Continuate.»

«Si interessa di proprietà immobiliari, ha un ufficio in centro e stipendia una dozzina circa di persone, per la maggior parte piazzisti. È solido dal punto di vista finanziario, gode di un eccellente credito ed ha fama di grande correttezza. Denuncia un reddito di venticinquemila all’anno, ma è molto probabile che si avvicini ai cinquanta. Questo in base alla denuncia fiscale, bene inteso. È membro ed ex presidente dell’Old Seattle Club, membro della Camera di Commercio di Seattle, membro del consiglio di amministrazione di…»

«Basta,» lo interruppi. «Mi state spezzando il cuore.» Mi sentivo abbattuto; metaforicamente, avevo buttato dalla finestra dell’ufficio di polizia la mia prima ipotesi: nessuno sarebbe stato così pazzo da ingaggiare un sicario per risparmiare una percentuale così piccola del proprio reddito come quella che Waggoner pagava ad Amy per gli alimenti, anche se si voleva ammettere che non fosse onesto e rispettabile. «Non ci occorrono ulteriori informazioni su Waggoner. McNulty vi ha per caso chiesto di controllare qualcosa d’altro?»

«Ci aveva chiesto di raccogliere ogni informazione possibile a proposito di Amy Waggoner. I risultati non sono molto brillanti. Niente precedenti penali salvo due fermi per ubriachezza, ed uno perchè sorpresa a guidare in stato di ubriachezza. E la versione che Waggoner ha dato del loro incontro corrisponde: abbiamo telefonato al locale notturno dove ci aveva detto che lavorava come guardarobiera, e il proprietario la ricorda. Ci ha riferito che la ragazza ha lavorato da lui per qualche mese e poi si è licenziata perchè si sposava. Se gli aveva detto la verità, era quello il suo primo posto a Seattle. Era appena arrivata lì. Se gli ha detto da dove veniva, non lo ricorda. Questo è tutto. A meno che non ci sia qualche altro aspetto della situazione che desiderate controllare.»

«Non credo. Mi sembra che sia più che sufficiente, e grazie mille. Se affiorerà qualcosa d’altro che riguarda Seattle, il capo McNulty vi richiamerà.»

Strappai un foglio dal blocco sulla scrivania di McNulty e, mentre avevo ancora tutto ben chiaro in mente, scrissi quanto mi era stato riferito.

Avevo appena finito e stavo rileggendo per essere ben sicuro di non aver dimenticato niente quando la porta si aprì e comparve Willie Zenkovich.

Parve sorpreso di vedermi al posto di McNulty, ed io gli sorrisi. Dissi: «Salve, Willie. Per il momento, sono io il capo della polizia di Mayville. Che cosa posso fare per voi?»

«Dov’è Mac?»

«È andato a buttare giù un boccone. Sarà di ritorno fra una ventina di minuti.»

«Oh! Intendete costituirvi per aver contravvenuto alla legge ieri sera?»

«No, ma non mi ci riproverò, certo. Davvero, Willie, è stata una scossa straordinaria, e non rimpiango certo di averla provata, ma non voglio più nemmeno sentirne parlare.»

«Anch’io. Ero sincero quando ho detto che sarebbe stala la mia ultima.»

«E grazie per aver smontato quella mia pazza idea di andare a Naco.»

«De nada amigo. Statemi a sentire, non posso aspettare Mac per venti minuti. Ma ho un’idea, e ne parlerò con voi e poi voi gliela riferirete. D’accordo?»

«Certo. Qualcosa che riguarda la morte di Amy?»

«Non la morte, ma Amy sì. Per quello che ne sappiamo, è morta senza un soldo, ma penso che dovrebbe avere funerale e il resto, che non si può permettere venga trasportata in qualche modo in un campo comune. Avevo pensato di indire una sottoscrizione, e, se Mac vuole che me ne interessi io, sono pronto ad accettare, e aprirò l’elenco con un venti. Posso abbordare tutti quelli che la conoscevano al Filone, e…»

«Niente da fare, Willie,» lo interruppi. «L’idea è molto gentile, e anch’io avrei partecipato, ma ormai è inutile.» E gli dissi dell’offerta di Waggoner di pagare i funerali.

«Benissimo. Mi sembra un tipo a posto. Sapete dove e quando saranno?»

«Dove, sì: la cappella di Murcheson. Il quando non è ancora stato stabilito: dipende dalla contea, che deve ancora restituire il cadavere; è possibile che, per una ragione qualsiasi, vogliano averlo a loro disposizione, fino al termine dell’inchiesta. Ma, se vi interessa di essere presente, sarete avvertito in tempo.»

«Certo che sarò presente. E durante la cerimonia, i miei clienti dovranno andare a bere da qualche altra parte. Bene, avvertite comunque Mac della mia visita.»

Era appena uscito quando il telefono tornò a squillare. Speravo che fosse Douglas, ma rimasi deluso.

Dissi: «Ufficio di polizia di Mayville,» e nel «Chi parla?» che ebbi in risposta riconobbi la voce di Hetherton.

«Spitzer,» feci.

«Che cosa diavolo state facendo lì? Voglio parlare con McNulty.»

Gli risposi che McNulty non c’era e gli spiegai che cosa facevo, mettendo bene in chiaro che sbrigavo le mansioni di inviato speciale per conto di Tom Acres. Sapevo che la notizia non gli sarebbe piaciuta troppo, ma non poteva certo protestare per ciò che facevo nel mio giorno di libertà; al massimo, avrebbe potuto licenziarmi, e non avrei certo desiderato di meglio.

«Bene, Spitzer, immagino che abbiate parlato con McNulty. C’è qualcosa di nuovo sul caso Waggoner?»

«Niente di importante. Per ora sta ancora aspettando il referto dell’autopsia.»

«Capisco. Avevo pensato di telefonare ad Acres, nel caso ci fosse qualcosa di interessante, ma, dal momento che state lavorando per lui…» Esitò; non poteva darmi ordini nel mio giorno di libertà, e non gli sorrideva certo l’idea di chiedermi un favore. Ma finì per cedere. «Spitzer, già che vi interessate a questa storia, vi spiacerebbe di tenere informato non solo Tom Acres ma anche me?»

«D’accordo. Dovrò telefonare a Tom per riferirgli tutto quanto sono riuscito a sapere fino a una determinata ora del pomeriggio. Lo chiamerò dagli uffici del Sun. Voi potrete ascoltare, e in questo modo non avrò bisogno di ripetere tutto due volte.»

«Benissimo, Spitzer. Facciamo così allora, se non vi spiace.»

Era la prima volta che lo sentivo dire «se non vi spiace» senza che la sua voce assumesse un tono sarcastico. Il caso di Amy Waggoner lo incuriosiva realmente. Ma perchè no? Tutti erano incuriositi a Mayville. A Mayville si verificava in media un omicidio all’anno, ma si trattava sempre di un duello a pugnalate o di una rapina o di qualche altra situazione scontata; la morte di Amy, a memoria dei più vecchi, era il primo delitto misterioso a ventiquattro carati.

Avevo appena terminato quella telefonata quando ne arrivò un’altra; e quando la centralinista disse che era Douglas, mi resi conto di essere davvero fortunato. Dal mio punto di vista, Mac non avrebbe potuto scegliere un momento più opportuno per aver fame.

Non era il coroner, era lo sceriffo, il quale però aveva davanti a sé il rapporto del coroner. Quando gli spiegai perchè rispondevo io e non McNulty, parve sulle prime riluttante a parlare, e disse che avrebbe richiamato più tardi in modo da riferire tutto personalmente a Mac.

Mi parve di indovinare la ragione di ciò. Dissi: «Sentite, sceriffo, Mac mi ha pregato di ricevere io la telefonata. E, se vi preoccupa l’idea di parlare con me degli stupefacenti, tranquillizzatevi. Il capo mi ha messo al corrente di quelle cinque capsule. Ho promesso di tenere segreta la notizia.»

«Va bene, Bob. Allora tanto vale che parli con voi. Cominciamo con quelle capsule. Sono scacciapensieri.»

«La parola mi sembra familiare, ma non riesco a ricordarne il significato. Che cosa è uno scacciapensieri?»

«Stupefacenti, ma mescolati. In questo caso, un terzo, rispettivamente, di eroina, morfina e cocaina, cioè quel tipo di scacciapensieri che viene definito in gergo EMC. Non è una cosa molto comune, anzi, una miscela a tre è piuttosto rara; anche le miscele a due sono poco frequenti rispetto alle capsule di eroina o di morfina allo stato puro.»

«Potrebbe essere una traccia utile per risalire all’origine.»

«Già, potrebbe esserlo. Sono pochi gli spacciatori che le hanno viste, e solo gli intossicati più arrabbiati le usano. E deve essere per di più di gente molto abbiente, perchè queste capsule costano molto di più di quelle normali.»

«Capisco,» dissi. «E, per ciò che riguarda Amy?»

«La causa della morte è quella che si immaginava: una coltellata dritta al cuore… ventricolo sinistro, se vi interessa. A una profondità di cinque pollici, esattamente, e si tratta di una lama stretta, affilata soltanto da una parte. Se non era un coltello a serramanico, era un coltello con una lama più o meno dello stesso tipo.

«La morte è stata istantanea. Secondo il medico, doveva essere incosciente, in coma, dice lui, in quel momento. Percentuale di alcool nel sangue: quattro e nove. Sufficiente a stendere chi non era un bevitore incallito come Amy. Ed ella aveva bevuto fino al momento in cui era crollata.»

Dissi: «Qualche segno di…» Ma poi controllai mentalmente quanto lo sceriffo mi aveva riferito. Se Amy aveva bevuto fino al momento in cui era crollata, la bottiglia non era un falso indizio, e di conseguenza ella doveva aver bevuto con il suo assassino, o almeno in sua presenza, fino a quando si era abbandonata sul letto per venir pugnalata subito dopo.

Veniva in questo modo a cadere la mia teoria dell’assassino sconosciuto che aveva lasciato la bottiglia per dirottare le indagini, già avevo rinunciato all’idea dell’assassino assoldato dall’ex marito, come pure quella, dettata dalla marijuana, di Herbie Pembrook. che uccìdeva e poi aveva la furberia di lasciare la bottiglia per dimostrare che non poteva essere stato lui.

«Un momento, sceriffo,» dissi. «È proprio sicuro di questo il dottore? Che cioè ella abbia bevuto fino a qualche istante prima della sua morte?»

«Fin quasi all’ultimo momento. Secondo lui, l’ultimo bicchiere è stato bevuto dieci, al massimo quindici minuti prima del decesso. E… Mac vi ha accennato alle noccioline?»

«Sì.»

«Bene, in base a questo indizio, la morte non può essere avvenuta oltre un’ora e mezzo dopo la sua partenza dai Filone. Il medico afferma che ha finito di mangiarle più o meno due ore prima. Così arriviamo alle due circa… in ogni modo dopo l’una e mezzo e prima delle due e mezzo, se ha terminato di mangiarle verso mezzanotte.

«Oh, e nessun segno di assuefazione agli stupefacenti. Impossibile accertare, naturalmente, se si limitava ogni tanto a fumare, o magari a fiutare. Ma non aveva fiutato la notte della sua morte, perchè certo la cosa sarebbe risultata all’autopsia. E poi, secondo il medico, gli intossicati, o anche i consumatori occasionali, non fiutano mai lo scacciapensieri. È roba da iniezioni, quella, e Amy non aveva segni d’ago.

«E neppure sembra che abbia avuto rapporti sessuali con il suo assassino, contro la sua volontà, o svenuta o altrimenti. Il dottore ha prelevato campioni e ha detto che non c’era traccia di… come si chiama?… già, sperma. Viene a cadere in questo modo l’ipotesi di un delitto sessuale.»

«A meno che l’assassino non si sia spaventato.»

«Se era spaventato, come mai è rimasto il tempo sufficiente a frugare la stanza e a spazzarla? Non dite sciocchezze. Bene, questo è tutto, Bob. Avvertite Mac che, se vuole discutere di qualcosa con me o con il medico, noi resteremo qui per quasi tutto il giorno.»

«Bene, sceriffo. Ma, prima che interrompiate, c’era un’altra cosa che Mac mi aveva chiesto di riferirvi.» E gli parlai dell’offerta di John Waggoner di pagare le spese dei funerali.

«Bel gesto,» rispose. «E il vostro Murcheson può mandare quando vuole a ritirare il cadavere. A partire da dopodomani, però. Ci sono ancora un paio di cose da fare.»

«E cioè?»

«Vogliamo rilevare delle buone impronte digitali. Se le mandiamo a Washington può darsi che risulti che ella aveva precedenti, sotto un altro nome. E inoltre vogliamo fare scattare fotografie, per l’identificazione. Insomma, noi partiamo dal punto di vista che si tratti della Amy Waggoner che ha sposato John Waggoner e che poi è venuta a vivere a Kansas City. Probabilmente è così, ma vogliamo essere assolutamente certi che si tratti proprio di lei. E poi, il F.B.I. vuole impronte e fotografie. Incidentalmente, dite a Mac che devo telefonare al F.B.I. Lo farò non appena avrò interrotto questa comunicazione.»

«E che c’entra il F.B.I., sceriffo?»

«Gli stupefacenti. Su richiesta, si interessano a tutti quei casi che riguardano gli stupefacenti. È un campo che conoscono molto meglio di noi. Il fatto che quelle capsule fossero EMC può indicare da dove vengono. Oh, ma non accennate al F.B.I. né nei vostri discorsi né nei vostri articoli. Se lo pubblicate, l’assassino verrà a sapere con certezza che noi abbiamo trovato degli stupefacenti.»

«D’accordo. Dov’è l’ufficio più vicino del F.B.I.?»

«A Tucson. Credo che manderanno qualcuno entro domani, ma può anche darsi che questo qualcuno arrivi a Mayville nel tardo pomeriggio di oggi.»

Vidi la porta che si apriva e dissi: «Ecco che arriva Mac, sceriffo. Volete che ve lo passi?»

«Mio Dio, no. Non ho nessuna voglia di ripetere tutto quanto. Riferiteglielo voi. Arrivederci.»

Mi alzai e lasciai che Mac riprendesse il suo posto dietro la scrivania.

«Era Douglas,» gli spiegai. «E prima ha chiamato la polizia di Seattle. Ma è meglio che vi parli innanzitutto di Douglas. Ho preso appunti sulle notizie trasmesse da Seattle.»

«Vuotate il sacco.»

Avvicinai una poltrona e mi ci sistemai sopra comodamente. La conversazione con lo sceriffo era stata piuttosto lunga, ma la ripetei dal principio alla fine, e credo di non aver dimenticato nemmeno un particolare. Ogni tanto egli annuiva o brontolava, e una volta ruttò, ma fu tutto.

«Va bene,» disse, quando ebbi terminato. «E Seattle?»

«Ecco qui.» Spinsi verso di lui, sulla scrivania, il foglio degli appunti. «Leggetelo e, se avete qualche domanda da rivolgermi…»

Lesse ed annuì. «A quanto pare, dobbiamo smetterla di sospettare Waggoner. Qualcosa d’altro?»

«Una visita.» Gli raccontai della comparsa di Willie e della sua offerta di una colletta per i funerali.

«Maledizione!» disse, quando ebbi finito. «Avrei preferito che non fosse venuto qua con una proposta del genere. Potrebbe essere rimorso di coscienza. No, non credo sia stato Willie a uccidere Amy, alibi traballante o meno, e soprattutto non mi va di pensarlo. Ma…»

«A me non sembra tanto rimorso di coscienza quanto un pensiero gentile, Mac. E poi, alibi traballante o meno, non mi riesce certo di vedere Willie nelle vesti dell’assassino.»

McNulty sospirò. «Nemmeno io, in verità. Sono pochi i clienti del Filone che abbiano un alibi solido, dimostrabile. Alle due erano quasi tutti a letto a dormire, come voi, del resto. Ma questo almeno è una cosa sensata, mentre non è sensato girare in macchina da solo per due ore, senza una meta precisa. Ehi, il venerdì non è il vostro giorno di riposo? Hetherton vi fa lavorare fuori orario o siete capitato qui per conto vostro?»

«Né una cosa né l’altra. Tom Acres mi ha chiesto di seguire il caso per il suo giornale e di trasmettergli un servizio.»

«Oh! E che cosa farete adesso?»

«Andrò a mangiare, credo. Come prima colazione, mi sono limitato a bere un caffè.»

«E poi?»

Mi strinsi nelle spalle. «Girerò un poco, immagino. Cercherò di parlare con qualcuno, di raccogliere informazioni. E di tanto in tanto mi metterò in contatto con voi.»

«Fra una visita e l’altra ai bar?»

«Più o meno. Ma anche ai ristoranti. Non viveva soltanto di alcool, Amy. E… bene, credo che abbiate già raccolto tutte le informazioni che c’erano da raccogliere. Forse l’Ufficio postale… Li avete interrogati per ciò che riguardava la corrispondenza in arrivo, Mac, ma avete chiesto qualcosa anche di quella in partenza? Non è probabile che abbiano notato lettere normali, credo, ma, se ha spedito raccomandate o pacchi per aereo…»

«Niente di niente. Ho controllato anche questo. Ma statemi a sentire: già che siete in giro, c’è una cosa che potreste controllare per me. Basta che rivolgiate un’unica domanda extra in ogni posto dove andate.»

«Certo. E la domanda sarebbe?»

«Quanto spendeva là dentro. Sappiamo che il suo assegno settimanale era di cinquanta dollari. Voglio sapere se quello le bastava o se spendeva di più. Se spendeva di più, il denaro doveva venirle da qualche altra parte, capite?»

«Buona idea, Mac. Ora che ci penso, sarei pronto a scommettere che spendeva di più. Vediamo: pagava venti dollari la settimana a Birdie, e in questo modo, per mangiare e per bere, gliene restavano soltanto trenta… e credo che con una sete come quella di Amy una cifra del genere doveva essere appena sufficiente per gli alcoolici. Ci sono poi le spese accessorie, come la benzina e la lavanderia…»

«Già, ma non credo che spendesse molto per queste due ultime voci. Potrebbe però aver speso per un’altra cosa: gli abiti. Ammesso che ne abbia comperati di nuovi da quando è venuta qui. Avete in programma di vedere Birdie?»

«Non ci avevo pensato. Ma potrei andarci.»

«Birdie dovrebbe essere in grado di dirvi qualcosa sui vestiti. Non c’è bisogno che giriate i negozi di abbigliamento. Birdie è una ficcanaso. O almeno, è certo stata abbastanza curiosa da guardare i vestiti appesi nell’armadio di Amy il giorno dell’arrivo e da controllarli ogni tanto. Sicuramente saprà quale è nuovo e quale no. Una volta sono stato costretto a strapazzarla per colpa di quella sua maledetta curiosità, e così, a proposito degli abiti di Amy, è più facile che parli con voi che non con me.»

«Potrò entrare nella camera di Amy?»

«Certo, Birdie ha la chiave. Ma perchè?»

«Pensavo che, se Birdie oppone resistenza e non vuole ammettere di sapere qualcosa degli abiti di Amy, potrei controllare le marche prima di girare i negozi di abbigliamento di qui. Anche se non ricordano le vendite, potranno dire se trattano o meno quel determinato tipo di vestito… e quanto costa.»

«Intelligente. Ho bisogno di aiuto, e poi voi prendete due piccioni con una sola fava, perchè il caso vi interessa comunque dal punto di vista professionale. Io controllerò chi è sceso all’albergo e al motel in questa ultima settimana. Oggi, un momento o l’altro, capiterò anche da Birdie. Ma, come ho già detto, è più facile che parli con voi che con me degli abiti di Amy.»

«E allora chiuderete l’ufficio per un poco?»

Scosse la testa. «Telefonerò a Charlie e gli dirò di venire più presto; non me ne andrò fino a quando non è arrivato. E credo che chiamerò anche Chico.»

«Chico? E che c’entra Chico? A quanto sembra, questa storia non ha rapporto alcuno con Mextown. Non credo che Amy ci sia mai andata.»

«Già. Ma voglio mandare Chico al confine a conferire con i poliziotti messicani. Chico li conosce. Se sanno qualcosa degli scacciapensieri, ne sarà informato meglio del F.B.I. E più in fretta.»

«Mi sembra una buona idea. Bene, me ne vado, Mac. Arrivederci.»

12

Decisi che un aperitivo prima di pranzo non mi avrebbe fatto male, e poi, in ogni modo, dovevo parlare con Cass. Attraversai diagonalmente la strada verso il suo locale, ma subito ricordai che era troppo presto. Cass non ha baristi, e di conseguenza non apre mai prima della una. D’altra parte, non sono molti a Mayville quelli che bevono la mattina. Senza baristi, gli tocca lavorare dodici ore al giorno, ma lui dice che non gliene importa; si sente perfettamente al suo posto dietro al banco, dice. E, specialmente fuori stagione, non sempre apre in orario o tiene aperto il locale fino alla una del mattino. Se c’è poco da fare, o se gli capita di averne voglia, abbassa le saracinesche, espone il cartello di «Chiuso» e se ne va.

Cass è tanto indipendente quanto cordiale. Lo avevo imparato una sera, quando ero a Mayville da una settimana o poco più. Si era dato il caso che alle sette fossi il solo cliente del bar. Egli stava cantando, ma improvvisamente aveva detto: «Oh, al diavolo! Che ne direste di una corsa in macchina con me fino a oltre il confine, Bob? Preferisco pagarvi da bere piuttosto che versarvelo.»

«Parlate sul serio?» avevo chiesto. «Più tardi arriveranno altri clienti.»

«Certo che parlo sul serio. I clienti se ne possono andare da qualche altra parte.»

Non mi ero lasciato scappare l’occasione, perchè mi piaceva la sua compagnia e perchè non ero mai stato oltre il confine e desideravo di andarci.

Cass era in vena di parlare quella sera. Dopo un poco avevo incominciato a sospettare che mi avesse portato fuori dal suo bar per potersi sfogare con me senza correre il rischio di essere interrotto dall’ingresso di qualche altro cliente. Ma non me ne importava: quello che aveva da raccontarmi di sé era così interessante che mi andava l’idea di lasciarlo sfogare.

Aveva imparato a cantare, immaginate un po’, in una fattoria della Florida. A venticinque anni, aveva accettato il posto con l’intenzione di fermarsi solo pochi mesi, ma il lavoro e la compagnia gli erano piaciuti tanto che era rimasto per sette anni.

La fattoria era di proprietà di un certo Luigi Vitelli, un ex cantante d’opera che qualche anno prima l’aveva comperata per ritirarcisi a vivere. Aveva cantato per nove anni al Metropolitan, sempre in ruoli secondari, mai come protagonista, perchè la sua voce non glielo avrebbe permesso. Ma conosceva ogni nota di quasi tutte le opere e aveva un numero incalcolabile di spartiti. La moglie di Vitelli, Elsa, una tedesca, non aveva mai cantato sul palcoscenico, ma aveva una discreta voce da contralto ed era in grado di suonare il piano leggendo a prima vista.

«Soltanto noi tre abitavamo là, e tutte le sere c’era riunione musicale. Fin dalla prima sera Vitelli si accorse che avevo una bella voce naturale e un buon orecchio, la prima è inutile senza il secondo, e viceversa, e cominciò a darmi lezioni. Era una cosa che mi piaceva. E anche i Vitelli mi erano simpatici; dopo meno di un anno, ero diventato per loro qualcosa di simile a un figlio. E assieme alla musica mi insegnavano le lingue, quelle in cui vengono cantate quasi tutte le opere. Ci accorgemmo che per queste avevo una certa qual attitudine naturale.

«E durante questi sette anni Vitelli migliorò persino il mio inglese. Non che fosse malvagio; avevo frequentato la scuola media superiore. Ma il suo inglese era perfetto, ed egli correggeva con lo stesso entusiasmo ogni mio errore di pronuncia e ogni mia nota sbagliata.

«Credo che quei sette anni siano stati i migliori della mia vita. Ma nulla dura in eterno. Vitelli morì. Elsa vendette la fattoria, ed io rimasi con lei fino all’ultimo giorno. Quando tornò a New York, voleva che la accompagnassi. Ma io avevo sempre desiderato di andare nell’Ovest, e mi parve che fosse il momento più indicato per farlo.

«Avevo da parte qualcosa. Non guadagnavo molto alla fattoria, ma nemmeno spendevo molto, e così ero riuscito ad accantonare più di un migliaio di dollari. Dovevo decidermi. Mi sarebbe piaciuto cantare. Non nell’opera. Malgrado le lezioni di Vitelli, sapevo che non sarei mai riuscito a tanto, e poi avevo trentadue anni, ed è troppo tardi per tentare una carriera drammatica se non si è già avuto modo precedentemente di esibirsi in pubblico.

«Pensai che forse sarei riuscito a cavarmela in un locale notturno o in una piccola orchestra. Non che il jazz, la musica popolare o le ballate mi interessassero particolarmente, ma sapevo di essere in grado di sbrigarmela. Se si canta musica operistica si può cantare qualsiasi cosa. Così presi un treno e partii per San Francisco.

«Il mio primo posto fu di cameriere-cantante in un locale che cercava di imitare il Bowery in tutto fuorché nei prezzi. Erano di prammatica le vecchie canzoni. E ottenni un grande successo. In confronto agli altri miei colleghi, sembravo Caruso che cantasse con ragazzi alle prime armi. Avevo una voce migliore allora, più piena. Cominciai a ricevere offerte e ad accettarle. In genere si trattava di posti in locali notturni. A costo di rimetterci, sceglievo sempre quelle sale dove l’orchestra non era troppo rumorosa o jazzistica. Il mio cavallo di battaglia erano i pezzi già vecchi, come Night and Day per esempio. Potevo riempire una sala con una canzone del genere, e i clienti smettevano di chiacchierare e ascoltavano.

«Lavorai a San Francisco per cinque anni. Poi, per un poco, a Las Vegas. Poi fu la volta di Los Angeles. Me la cavavo bene. Non sfondavo nel vero senso della parola, non guadagnavo cifre favolose, ma era raro che dovessi aspettare molto fra una scrittura e l’altra.»

Ma poi, improvvisamente, era successo qualcosa. Lo aveva colpito una malattia alla gola. Da principio avevano pensato a un cancro alla laringe, e in questo caso sarebbe stato spacciato. Era risultato invece che si trattava di una escrescenza benigna, ma avevano dovuto operarlo per asportarla. E questo significava che non doveva più cantare per un poco. Forse per sempre. E l’operazione, più il periodo di inattività precedente e seguente, avevano intaccato in maniera preoccupante i suoi risparmi.

Appena aveva avuto di nuovo voce sufficiente per parlare, era andato a Las Vegas a cercare lavoro. Aveva trovato un posto di croupier in una sala da gioco e lo aveva tenuto per cinque anni. Intanto la voce gli era tornata, ma non era più quella di prima, ed egli aveva deciso di considerare chiusa la sua carriera di cantante professionista. Aveva ormai quarantacinque anni, e stava diventando un po’ troppo vecchio per esibirsi nei locali notturni.

«Ero a questo punto, quattro anni fa, quando ho conosciuto a Las Vegas un tale di Mayville che era venuto là in vacanza e che mi ha detto di essere disposto a vendere il bar di cui era proprietario. Avevo il denaro appena sufficiente per assicurarmelo, sto ancora finendo di pagare la licenza. Sapete quanto costa una licenza in questo Stato? Una vera licenza per bar, non quella per vino e birra soltanto?»

Avevo risposto: «Se non mi sbaglio costa piuttosto cara, fino a trentamila dollari e più nelle grandi città.»

«Precisamente. E non molto di meno in quelle piccole. Bisogna lavorare quasi cinque anni senza utili solo per pagare quella dannata licenza. Comincio solo ora a essere in attivo. E lavoro duro, salvo una volta ogni tanto, come stasera.»

Avevo chiesto: «Non renderebbe avere un barista e aprire più presto? Voi, potreste venire solo alle cinque o alle sei.»

«Ho provato quando ho aperto. Avevo un barista che veniva alle nove e si fermava fino alle cinque. Ma mi sono accorto che arrivavo anch’io quasi sempre nelle primissime ore del pomeriggio, e, a conti fatti, il lavoro della mattina e del mezzogiorno non bastava neppure a coprire il suo stipendio. E così da allora me la sono sbrigata da solo.»

«Ma non perdete clienti… clienti locali, bene inteso… se non si può mai essere sicuri che sarete aperto a una data ora?»

«Sono aperto nove volte su dieci, e la media mi sembra più che sufficiente. Se sono affezionati al mio locale, ci torneranno anche se trovano chiuso una volta ogni tanto. In caso contrario, che vadano all’inferno. Guadagno abbastanza da vivere anche così. E poi, quando il mio locale è aperto, ci devo essere io dietro al banco, non qualcun altro.»

Avevo capito il suo punto di vista ed avevo rinunciato a discutere.

Così, non potevo essere sicuro che il bar di Cass fosse aperto alla una, ma potevo essere sicuro che non sarebbe stato aperto prima. Non si faceva mai vedere prima della una.

Mi diressi allora nella direzione opposta, al Gabbiano, il locale dove avevo avuto il mio primo appuntamento con Doris, l’unico posto dove fosse possibile mangiare e bere sotto lo stesso tetto. Era anche il miglior ristorante della città, e per questo, con il mio stipendio, non andavo quasi mai a mangiare là da solo, nemmeno per pranzo.

Ma quel giorno feci una eccezione, perchè sapevo che Amy aveva mangiato là, almeno occasionalmente.

Passai dal bar alla sala da pranzo. Avevo sempre voglia di un aperitivo, ma al Gabbiano il barista cominciava a lavorare solo a pomeriggio inoltrato. Così, se avete voglia di bere qualcosa prima delle cinque, è George Mitkos, il proprietario, che va dietro al banco a servirvi. Quando la cameriera mi presentò la lista, la pregai di chiedere a Mitkos di prepararmi un whisky e acqua. Mi avrebbe servito personalmente al tavolo, e in questo modo io avrei avuto la possibilità di parlargli.

Conoscevo poco Mitkos, e non sapevo gran che di lui. Greco di origine, era un americano di seconda generazione. Fra i quaranta e i cinquanta, piccolo, massiccio, sempre sorridente, era quasi fin troppo gentile, almeno per l’Arizona. Aveva aperto il Gabbiano sei o sette anni prima, con il denaro risparmiato lavorando come chef a Los Angeles.

Venne accanto al mio tavolo e mi fece scivolare il bicchiere davanti. «Signor Snitkin! E come sta la vostra bella e giovane signorina?»

«È più bella che mai,» risposi. «Sentite, George, volete chiamarmi Bob invece che Snitkin, tanto più che mi chiamo Spitzer, e sedervi un momento? Vorrei rivolgervi qualche domanda, se non vi spiace. Versate un bicchiere anche a voi e tenetemi compagnia.»

Si mise a sedere di fronte a me. «Certo, Bob. Scusatemi se ho sbagliato il vostro nome. Quanto al bicchiere, no, grazie, è troppo presto. Che cosa volete sapere?»

«Conoscevate Amy Waggoner, vero? So che mangiava qui abbastanza spesso.»

«La conoscevo, certo, ma solo come cliente. Mangiava qui, non regolarmente, no, ma abbastanza di frequente. Ogni tanto saltava un giorno. Ma mangiava una volta sola, la sera. Non è mai venuta né per la prima colazione né per il pranzo.»

«Vi ha mai detto qualcosa che la riguardava personalmente?»

«No. I nostri rapporti erano abbastanza amichevoli, ma non abbiamo mai chiacchierato veramente. Ho saputo dove abitava e che veniva da Kansas City solo stamattina, quando ho letto il vostro articolo nel giornale.»

«Capisco, George. Ma potete ugualmente rendervi utile. Sto dando una mano a McNulty, almeno in questo momento, e mi ha chiesto di parlare con chi ha avuto a che fare con lei. Stiamo adesso cercando di stabilire quali erano le sue abitudini e quanto spendeva nei vari locali. Sappiamo qual era il suo reddito, ma, a quanto sembra, spendeva molto di più; comunque, vogliamo esserne sicuri ed accertare questa cifra extra. Qui, secondo voi, quanto spendeva in media per settimana?»

Rimase un momento pensieroso. «Ordinava sempre una cena normale. Conoscete il nostro menu serale, Bob. Una cena non costa mai meno di due dollari; ma se si ordina aragosta, quando c’è, o una bistecca speciale, si superano i tre. Non notavo sempre che cosa ordinava, ma non ha mai ordinato né aragosta né bistecca speciale. Così, i suoi pasti dovevano venirle a costare fra i due e i tre dollari.»

«E quanto al bere? Prendeva prima uno o più cocktail?»

«Di solito due. Qualche volta, dietro le mie insistenze, niente. Quando arrivava qui, in genere verso le sei, si vedeva che aveva bevuto, ma quasi sempre sapeva controllarsi. Quando si capiva che aveva bevuto più del solito, la convincevo a saltare i cocktail. La prendeva con filosofia, non protestava mai.»

«Per concludere, e tenendo conto delle mance, quanto spendeva qui, secondo voi, per settimana?»

«Mance comprese, che, sia detto per inciso, erano sempre di cinquanta cents, spendeva più o meno quattro dollari ogni volta che veniva. E veniva in media cinque sere la settimana. Venti dollari la settimana mi sembrano una valutazione abbastanza equa.»

«Grazie. Sedeva sempre a una determinata tavola, era in rapporti amichevoli con una determinata cameriera?»

«No, sedeva dove le capitava. Ed era abbastanza gentile con chi la serviva, ma né parlava né ha fatto amicizia con il personale. Anche con me parlava ben poco, quanto a questo.»

Lo ringraziai e gli dissi che precisamente questo desideravo sapere. Si allontanò, ed io, dopo aver dato una occhiata alla lista, ordinai il mio pranzo.

L’ipotesi di McNulty aveva tutta l’aria di essere esatta. Amy doveva spendere certo più di cinquanta alla settimana, venti da Birdie, venti lì per la cena, e gliene restavano soltanto dieci per tutto il resto messo assieme.

Terminai di mangiare e tornai in centro. Cass aveva aperto, ma non entrai. Volevo prima indagare all’altro ristorante e stabilire una volta per sempre le abitudini alimentari di Amy. C’erano solo tre ristoranti in città, oltre al Gabbiano, e si trovavano tutti nel giro di due isolati.

Nel primo feci un buco nell’acqua: non conoscevano Amy, né per nome né per la descrizione che ne feci. Sapevano chi era, naturalmente, ma ormai tutti a Mayville erano al corrente del delitto, o per aver letto il giornale o per aver parlato con qualcuno che lo aveva letto. Comunque, per ciò che ne sapevano, ella non era mai stata nel loro ristorante.

Nel secondo le cose andarono un po’ meglio. La conoscevano lì, sia pure superficialmente. Capitava un paio di volte la settimana per la cena. Venivano così spiegate le sue assenze settimanali al Gabbiano. I prezzi erano relativamente bassi, un pasto costava da un dollaro a un dollaro e un quarto, ma la cucina era buona. Probabilmente Amy mangiava lì ogni tanto per variare, non per fare economia.

Cominciavo a pensare che forse Amy mangiava una volta sola al giorno, ma al terzo ristorante risultò altrimenti. Amy faceva lì la prima colazione, tutti i giorni o quasi tutti i giorni, all’ora in cui in genere gli altri pranzavano. Non compariva mai prima di mezzogiorno, e qualche volta quando entrava erano già passate le due. Il suo primo pasto era piuttosto leggero: in genere pasticcini e caffè. Se i pasticcini erano finiti, si accontentava di tosti al burro. La prima combinazione veniva a costare quarantacinque cents, la seconda trentacinque. Lasciava sempre una mancia di dieci cents. Così, la prima colazione doveva venirle a costare, in media, dai tre ai tre dollari e mezzo la settimana. Al secondo ristorante mi avevano detto che, quando mangiava lì qualche volta, spendeva in media un dollaro e mezzo: in questo modo Amy, per il solo vitto, spendeva venticinque dollari come minimo per settimana, il che le lasciava soltanto altri cinque dollari per tutto il resto.

E quegli altri cinque dollari li incassava Cass. Secondo lui, era questa, più o meno, la cifra settimanale che Amy lasciava nel suo locale. Lo frequentava in media due pomeriggi la settimana, si fermava dalle due alle tre ore e beveva dai quattro ai cinque whisky ed acqua a cinquanta cents l’uno. Qualche volta qualcuno le offriva un bicchiere, ma sempre ella insisteva per offrirne uno a sua volta, e in questo modo i conti restavano pari.

Disse: «Non era che Amy tracannasse. Non è mai capitato che ordinasse un puro e lo buttasse giù. Una volta che cominciava a bere, nelle prime ore del pomeriggio o al massimo verso le quattro, continuava, ma a un ritmo piuttosto lento, in modo da far durare a lungo ogni bicchiere.»

Annuii.

Cass continuò: «Sentite, mi è venuta in mente una cosa. Amy dovrebbe avere un funerale, sia pure modesto. Forse potremmo…»

Lo interruppi per spiegargli che non doveva preoccuparsi per questo.

Uscito da Cass, mi diressi subito verso il Filone, pur sapendo che si trattava solo di una delle due visite che avrei dovuto fare a quel locale: una per parlare con Dick Johnson, il barista di giorno, e un’altra dopo le cinque, per trovare Willie.

Ma fui fortunato, perchè li trovai tutti e due. Willie era sulla parte destra del banco — sulla parte sbagliata, tanto per intenderci — e stava bevendo una birra.

Mi feci comunicare da ognuno di loro le cifre approssimative e le sommai. Amy spendeva al Filone un minimo di venti dollari la settimana, a meno che non fossero venticinque, ed era anzi abbastanza probabile che si arrivasse ai trenta. Veniva quasi tutti i pomeriggi, qualche volta sul tardi, e ciò doveva avvenire quando passava prima da Cass. E quasi tutte le sere rimaneva lì, dalle sette o dalle otto in avanti. In genere si tratteneva fino all’ora di chiusura, cioè fino alla una, anche se qualche volta si sentiva stanca o aveva sonno, o magari decideva di averne abbastanza, e tornava a casa un poco più presto.

Un tipico esempio di vita oziosa e inutile. Un quadro patetico di una donna che cercava di evadere dalla realtà, o da se stessa. Ma non si trattava forse della stessa cosa?

Dissi: «Willie, secondo voi capitava qui quasi tutte le sere. Sapete dove andava le altre sere, per quanto poche potessero essere? La sera non si fermava mai da Cass, e non si tratteneva mai fino a tardi al Gabbiano.»

Si strinse nelle spalle. «Forse si fermava a casa, una volta tanto, beveva nella sua stanza, ammesso che bevesse.»

Scossi la testa. «Birdie dice che usciva tutte le sere e che di solito rientrava quando lei si era già addormentata. Se Amy si fosse fermata nella sua stanza, avrebbe visto le luci accese. E poi non beveva a casa, non beveva mai da sola, se non contiamo i cocktail prima di cena, e anche allora aveva gente attorno. Ma Birdie non ha mai trovato bottiglie nella stanza di Amy… fino a mercoledì scorso.»

Willie tornò a stringersi nelle spalle. «Non vedo come Birdie possa esserne tanto sicura. Ma ammetto che non ha mai comperato bottiglie da portare poi a casa. E c’è un’altra possibilità: forse, qualche volta, tanto per cambiare, andava a passare la sera a Bisbee o oltre il confine.»

«Che voi sappiate, ha mai varcato il confine?»

«Deve averlo fatto almeno una volta. Un paio di settimane fa è capitata qui con un caratteristico abito messicano, e quando l’ho complimentata mi ha detto di averlo comperato ad Agua Prieta.» Mi guardò fissamente. «Perchè? Voglio dire, perchè vi preoccupate tanto di quello che Amy spendeva?»

«Sappiamo a quanto ammontavano gli alimenti che riceveva… e adesso sappiamo anche che spendeva molto di più. Stiamo cercando di appurare a quanto ammontava questo extra, e da che parte le veniva. Non vi ha mai detto di avere qualche altra fonte di introiti, vero?»

Scosse la testa, adagio. Poi insinuò: «Non è possibile che si fosse sposata due volte? Che ricevesse gli alimenti da due persone, ognuna delle quali ignorava l’esistenza dell’altra?»

«Non è probabile. Specie perchè avrebbe dovuto ricevere quegli altri alimenti in contanti. Alla banca incassava soltanto quell’assegno settimanale di cinquanta dollari. Bene, grazie, Willie. Sarà meglio che me la batta.»

Uscii. Avevo pensato di andare da Birdie, ma ero venuto a piedi fino al Filone, e decisi che mi sarei spinto fino al motel dopo essere passato in centro a ritirare la macchina.

Passando davanti alla stazione di polizia, entrai per vedere se c’era qualcosa di nuovo. McNulty era tornato, e capii che aveva condotto a termine i giri stabiliti perchè aveva dinanzi a sé le schede di registrazione del motel e dell’albergo. Quando mi vide, le spinse da parte e mi indicò la poltrona.

«Che cosa siete riuscito a sapere, Bob?»

Prese nota delle cifre mentre parlavo, e quando ebbe terminato tirò le somme. Disse: «Fa settanta la settimana, anche calcolando la cifra più bassa per il Filone, e sono pronto a scommettere che là spendeva più di venti per settimana. Così, per ciò che ne sappiamo, le occorrevano, come minimo, settanta dollari ogni sette giorni.»

«Sarà bene aggiungerne altri cinque per le spese occasionali: lavanderia, benzina, pasta dentifrìcia e simili.»

«Giusto. Si arriva così a settantacinque. E, a quanto pare, si è comperata anche qualche vestito.» Una pausa. «Mentre ritiravo le schede da Birdie, l’ho tastata a proposito dei vestiti, e lei ha vuotato il sacco. Non ammetterebbe mai di aver ficcato il naso nelle valìgie o nell’armadio di Amy, e così per gli acquisti di minor conto giura di non saperne nulla. Ma ha ammesso che, ripulendo l’armadio, non poteva fare a meno di vedere che cosa c’era attaccato dentro. E giura che i calzoni, la camicia e gli stivali da cowboy e l’abito messicano non c’erano mai stati durante la prima settimana di soggiorno di Amy.»

«Amy ha detto a Willie di aver comperato l’abito messicano ad Agua Prieta.»

«Già, ha l’etichetta “Hecho in Mexico”, e secondo Birdie di là del confine non deve costare più di venti dollari. L’altra roba nuova era americana, e, sempre secondo Birdie, non può essere costata meno di trenta dollari, tutta assieme. Dovrei fare un breve controllo nei negozi per accertarmene, ma credo che la cifra di Birdie sia abbastanza esatta. Anche se non ha comperato altra roba di minore importanza come biancheria o calze, abbiamo abiti per il valore di una cinquantina di dollari in quattro settimane. Una media di dodici dollari e cinquanta per settimana. Vediamo a quanto arriviamo in questo modo.»

«A ottantasette dollari e cinquanta, tenendo valida la cifra minima del Filone. E sono d’accordo con voi nel giudicare la cifra troppo bassa, doveva spendere almeno novanta la settimana, ma cento rappresentano per me l’ipotesi più probabile. Il doppio degli alimenti che riceveva. Qui è successo qualcosa d’altro?»

«Ho mandato Chico in Messico. E, dopo che lo sceriffo lo aveva avvertito, l’uomo del F.B.I. ha telefonato da Tucson. Non può venire oggi, ma sarà qui domattina. Credo che ci daranno una mano. Quegli scacciapensieri li interessano moltissimo. Ha detto che, a quanto si sapeva, né risultavano presenti nell’Arizona né la traversavano. Il che rappresenta un vantaggio per la nostra inchiesta. Se si riesce a ritrovare l’origine di questi scacciapensieri, o da parte nostra o da quella del F.B.I., ecco che si ha certo una traccia che può portarci all’assassino di Amy.»

«Giusto. Ma non mi riesce ancora di vedere Amy nel giro dei narcotici, sia pure come consumatrice occasionale, e tanto meno come spacciatrice o intermediaria. Forse qualcuno… l’assassino… ha voluto lasciare apposta quella traccia.»

McNulty si strinse nelle spalle. «Può darsi. Ma è pur sempre una traccia. Lui deve pur essersele procurate da qualche parte, e non si possono comperare quegli scacciapensieri come se si trattasse di pasticche per la tosse. E poi, Amy doveva ben ricavare da qualche parte quei cinquanta dollari extra settimanali. Perchè non dagli stupefacenti?»

«Non si ricava molto dal traffico degli stupefacenti. Specie se si lavora come intermediari, e non mi riesce assolutamente di vederla in un altro ruolo. Sono pronto a scommettere cento contro uno che non era l’incaricata dello spaccio in questa zona.»

McNulty annuì. «Già, cinquanta dollari sarebbero una quisquilia se era molta la roba che le passava per le mani, ma come facciamo a sapere se era questo tutto ciò che guadagnava? Forse il suo reddito era di qualche cento la settimana. Forse aveva stabilito di spendere un massimo di cento e di mettere da parte il resto. Non voleva tradirsi depositandolo in banca, e così lo teneva nascosto nella sua stanza. L’assassino lo sapeva, e proprio per questo l’ha uccisa. Secondo la nostra ipotesi, si sarebbe impossessato solo degli spiccioli che le restavano ancora dell’ultimo assegno. E forse invece il bottino è stato un rotolo di banconote di una grossezza tale da soffocare un cavallo.»

«Può darsi che abbiate ragione, Mac. In questo modo il movente del furto appare fondato.»

«Già. E significherebbe che l’assassino era al corrente del traffico e, con ogni probabilità, lavorava con lei. Non dimenticate di non accennare nemmeno agli stupefacenti quando telefonate a Bisbee.»

«No, certo. Ho promesso. Dov’è Charlie Sanger? Credevo che lo aveste chiamato qui.»

«L’ho chiamato infatti, ma solo perchè mi sostituisse mentre andavo a ritirare queste schede. Tornerà alle cinque.»

«Avete per caso trovato qualcosa di interessante in quelle schede?»

McNulty sospirò. «Mi sembrate peggio del presentatore di un quiz televisivo, voi. E va bene, vi spiegherò tutto, ma poi levatevi dai piedi. Le schede sono circa una trentina, senza tener conto di Willie e di quei pochi altri che vivono all’albergo o al motel. Dieci le ho subito scartate: viaggiatori che capitano qui regolarmente e scendono sempre allo stesso posto, un paio di vecchie maestre di scuola e altri tipi del genere. Rimangono venti schede, ma si tratta per la maggior parte di coppie, e di conseguenza non mi interessano. Voglio dire, chi viene da lontano per uccidere può anche portarsi appresso una donna, tanto per confondere le idee, ma la cosa non è molto probabile. In ogni modo, se lo sceriffo o il F.B.I. vogliono controllare le schede, facciano pure. Io non ho tempo, e mi sono fermato su queste due.»

Mi tese due cartoncini che aveva preso in cima al mucchio. «Tutti e due uomini soli. Tutti e due sono scesi all’albergo, non da Birdie. Tutti e due sono arrivati mercoledì e partiti giovedì. Tutti e due sconosciuti.»

Osservai le schede, prima una e poi l’altra. Continuò: «Uno di costoro viene da Kansas City. Niente altro contro di lui, ma quanto basta per farmi desiderare un piccolo controllo.»

Dissi: «Se qualcuno ha seguito qui Amy da Kansas City, perchè non ha fatto figurare di venire da qualche altra parte?»

«Impossibile, se era al volante della sua macchina con una targa regolare. Bisogna trascrivere il numero di targa sulle schede, e qualche volta i proprietari danno un’occhiata di controllo. È sempre meno sospetto dare un numero esatto che non quello sbagliato.»

«E quest’altro veniva da Nogales? Perchè vi ha insospettito?»

«Nogales, Sonora, oltre il confine, di fronte a Nogales, Arizona, ecco tutto. Targa messicana. Nogales è più distante da qui di Naco o di Agua Prieta, ma non tanto da escludere che gli stupefacenti venissero da lì e passassero per Mayville. Si qualifica esercente, come avrete notato, e dà come indirizzo il corso di Obregon. Ma non dice di che genere di negozio si tratta. Voglio sapere se è davvero proprietario di un negozio, se è un tipo rispettabile, che non può neppure lontanamente essere sospettato di avere una mano nel traffico degli stupefacenti.»

«Intendete telefonare a Nogales?»

«No, ho chiamato il capo di Naco e l’ho pregato di farmi telefonare da Chico non appena arriva. Preferisco che Chico vada a Nogales dopo aver controllato Naco e Agua Prieta. Può saperne di più di quanto non possa sapere io con una interurbana. E, già che è là, rivolgerà anche le stesse domande a proposito degli scacciapensieri.»

«Avete già telefonato a Kansas City per quell’altro?»

«No, non ancora. Stavo per farlo quando siete entrato.»

«E allora, se posso darvi un suggerimento, c’è qualcosa d’altro che dovreste chiedere ai poliziotti di laggiù, già che telefonate. Due domande per il prezzo di una sola.»

«E la seconda sarebbe?»

«Abbiamo appurato che Amy spendeva qui circa cento dollari la settimana. Non sarebbe interessante sapere se viveva allo stesso modo a Kansas City o se il denaro extra ha incominciato a pioverle in tasca dopo che era arrivata a Mayville? Perchè questo deve essere accaduto, se laggiù viveva con cinquanta dollari la settimana.»

«I controlli saranno un poco più difficili, certo, perchè i bar sono moltissimi a Kansas City e non pochi come qui. Ma la sua padrona di casa dovrebbe essere in grado di avanzare qualche ipotesi, o almeno dovrebbe sapere quanto Amy pagava di affitto e quanto poteva spendere, approssimativamente, per i vestiti. E Amy era un tipo abitudinario; secondo me, doveva mangiare quasi sempre in un locale e bere soprattutto in un altro. Se riescono a individuare questi due posti, dovrebbero riuscire a farsi una idea almeno approssimativa. E, per quanto approssimativa, ci permetterebbe di stabilire se viveva con cinquanta piuttosto che con cento dollari la settimana. C’è molta differenza fra queste due cifre.»

McNulty picchiò un pugno sul tavolo. «Sì, accidenti. Dovrei averci pensato io. Se viveva con cinquanta dollari a Kansas City…»

Il telefono squillò ed egli sollevò il ricevitore. Ascoltò per qualche istante, poi disse: «Sì, accetto il pagamento in arrivo. Passatemi la comunicazione.»

Rimasi, nel caso si trattasse di qualcosa di importante. Ma quando egli disse: «Salve, Chico. Quando avete finito a Naco e ad Agua Prieta, voglio che…» me ne andai, perchè sapevo già quali istruzioni sarebbero state impartite a Chico.

Erano le tre, e decisi di chiamare Tom per riferirgli quanto ero riuscito a sapere fino a quel momento. Niente di molto importante, ma c’erano particolari sufficienti per un articolo che egli avrebbe poi a sua volta trasmesso. E, se fosse saltato fuori qualcosa di grosso, avrei sempre potuto richiamarlo prima dell’ora della chiusura.

Puntai sull’ufficio del Sun ed entrai. Hetherton era solo alla sua scrivania. Mi guardai attorno, per cercare la nostra impiegata e contabile dalla faccia equina, Alicia Howell, ma non la vidi. O doveva essere uscita per una commissione o non era venuta quel giorno. Nemmeno i tipografi c’erano, lo sapevo: dopo aver lavorato quasi tutta la notte del giovedì per stampare il giornale, riposavano il venerdì, come me.

Quando entrai, Hetherton alzò la testa. «E allora, Spitzer?»

«Non c’è male, grazie. Credo di essere pronto a telefonare a Bisbee.»

«Quale novità?»

«Niente di importante. Solo particolari secondari sufficienti per un articolo. Il rapporto dell’inchiesta e qualche notizia sul passato di Amy, riferita dall’ex marito, particolari che, a quanto pare, hanno ben poco a che fare con il delitto. Mentre telefono a Tom potrete ascoltare.»

Mi misi a sedere alla mia scrivania e presi il telefono, ma poi cambiai idea. «Credo che farò meglio a battere prima il pezzo e a leggerlo poi a Tom.»

Infilai un foglio nella mia vecchia Underwood.

Hetherton disse: «Quanto tempo credete che vi ci voglia, Spitzer? A scrivere e a telefonare.»

«Non più di mezz’ora, se la comunicazione mi viene passata subito. Perchè?»

«Ho un paio di commissioni da fare. In mezz’ora dovrei sbrigarmela, ma come massimo ci impiegherò un’ora. Vi spiacerebbe di fermarvi fino a quando torno, anche se finite prima?»

«Certo,» risposi, ma intanto mi domandavo come mai me lo avesse chiesto. Hetherton non si preoccupava di tenere aperto l’ufficio tutto il giorno di venerdì. Spesso, se voleva cercare pubblicità o aveva qualcosa d’altro da fare, lo chiudeva per un poco.

Hetherton disse: «Ah, ecco perchè. Mia moglie mi ha telefonato poco fa. Viene in centro per fare acquisti e ha bisogno di un poco di denaro. Avrei voluto rimanere qui ad aspettarla, ma sono già in ritardo per un appuntamento. Ma, se vi fermate voi…»

«Certo,» ripetei. «Se siete sicuro di non impiegarci più di un’ora. Ho altro da fare.» Non sapevo che cosa, ma non intendevo rimanere occupato troppo a lungo.

«D’accordo.» Si alzò e fece il giro della scrivania per prendere il panama dall’attaccapanni. «Ah, la cassaforte non è chiusa. Datele quello che vuole, prelevandolo dalla piccola cassa. Ci sono soltanto cinquanta dollari, ma mi ha detto che si tratta di acquisti di poco conto, e credo sia più di quanto ha bisogno. Mettete un biglietto con la cifra che le avete dato, in modo che la piccola cassa quadri.»

«Benissimo. Una cosa soltanto. Se ho fatto la mia telefonata e lei è già venuta qui prima del vostro ritorno, posso chiudere la porta e andarmene?»

«Certo. Ma chiudete anche la cassaforte. Ah… e potete anche lasciare il vostro pezzo sulla mia scrivania, in modo che sia in grado di aggiornarmi su questi particolari.»

Uscì, ed io tornai a voltarmi verso la macchina, concentrandomi su quello che stavo per scrivere. O che avrei cercato di scrivere.

Ma invece pensai a Doris. Avevo l’abitudine di telefonarle sempre nel mio giorno di libertà, e invece quel giorno non l’avevo chiamata.

Venne all’apparecchio prima la padrona di casa e poi Doris. «Ciao, Bob. Pensavo che non mi avresti chiamata. Ho un minuto soltanto, devo fare qualcosa prima di cominciare a lavorare, e sto per uscire.»

«Non ti farò perdere tempo. Volevo soltanto dirti una cosa.»

«Che cosa?»

«Ti amo. Sono pazzo di te, cara.»

Rise. «Se questa è una novità, sono contenta che tu mi abbia chiamato. Anch’io ti amo. E adesso devo scappare. Arrivederci.»

Riattaccai il ricevitore, e un rumore che sembrava il grugnito di un bufalo mi fece alzare la testa.

Ferma davanti alla mia scrivania, la signora Hetherton mi stava guardando con espressione indignata. La porta dell’ufficio del Sun non fa il minimo rumore, e non l’avevo sentita entrare.

13

Mi affrettai ad alzarmi.

Vi ho già descritto la signora Hetherton? Credo di non averlo ancora fatto. Ma non ci avete perduto niente. È piccola, e perdonatemi il luogo comune se dico che è secca come un chiodo ed ha la faccia di chi ha bevuto aceto. E una voce che ricorda il rumore di un cardine arrugginito. Contrariamente a Hetherton, veste malissimo. Può darsi che sia più vecchia del marito e può darsi che no, ma certo ha l’aria di avere almeno cinque anni più di lui. E andare d’accordo con lei è ancora più difficile che non andare d’accordo con lui, il che vuol dire molto. Fortunatamente, capita in ufficio non più di una volta al mese, e si ferma al massimo qualche minuto. Ma anche così è già troppo.

«Giovanotto,» mi domandò, «stavate per caso facendo una telefonata personale nel tempo che dovreste dedicare a mio marito?»

Risposi, conciliante: «Era una chiamata personale, signora Hetherton, ma oggi non devo dedicare tempo a vostro marito. È la mia giornata di libertà. Mi ha pregato di fermarmi per un poco, per fargli un piacere. Stavo aspettando voi.»

«State aspettando me? E dov’è il signor Hetherton?»

«Ha dovuto uscire per affari. Ha detto che dovevate venire qui a ritirare un poco di denaro, e mi ha chiesto di darvi quello della piccola cassa. Di quanto avete bisogno?»

«Avrebbe anche potuto aspettarmi. Humpf! Va bene, comunque: venti dollari mi saranno sufficienti.»

Presi la scatola della piccola cassa dalla cassaforte e le diedi venti dollari. Né mi ringraziò né mi salutò. Uscì senza una parola, mentre rimettevo a posto la scatola.

Stavo per girare la manopola della combinazione quando ricordai di aver dimenticato il biglietto. Tornai alla scrivania, scrissi su un foglio: «Dati alla signora Hetherton venti dollari. R. S.», poi misi il foglio nella scatola. E allora, con l’anta della cassaforte aperta e con la certezza che Hetherton, uscito da dieci minuti soltanto, non sarebbe rientrato prima di altri cinque almeno, provai improvvisamente la tentazione di curiosare dentro. Se era una cosa che faceva Birdie, perchè non avrei dovuto farla io? E la mia curiosità era più giustificata della sua.

Volevo sapere quanto guadagnava Hetherton; era una cosa che continuavo a chiedermi da più di un anno.

Non c’era gran che là dentro, oltre la scatola della piccola cassa ed i mastri, nonché i due libri della prima nota, uno per il giornale e l’altro per la tipografia, che Alicia Howell teneva aggiornati. Era tutta roba che non mi interessava. Ma su uno scaffale separato c’era un libro più piccolo; sapevo di che cosa si trattava, ma non ero mai riuscito a sfogliarlo. Hetherton lasciava che la signorina Howell sbrigasse il normale lavoro di contabilità, ma badava personalmente al bilancio mensile che trascriveva su quel libro. Non mi sarebbe servito a niente di sfogliarlo e di vedere quanto guadagnava Hetherton, ma ero curioso, e, quando avessi saputo, avrei saputo anche se odiarlo più o meno per il. miserabile stipendio che mi pagava.

Non avrei rischiato nulla a dare un’occhiata. L’anta della cassaforte era fra me e l’ingresso, e, se avessi letto a quel riparo, senza perdere d’occhio la porta, avrei potuto rimettere tutto a posto in fretta, ed egli avrebbe immaginato che stavo chiudendo via la scatola della piccola cassa.

Presi il libro e l’aprii. Il mese precedente, aprile, dava un utile superiore ai mille e trecento dollari. Lordo o netto? Diedi una scorsa alle varie voci e vidi che comprendevano tutto, persino la svalutazione dell’edificio; i mille e trecento dollari rappresentavano così un utile netto.

Dopo una rapida occhiata alla porta, sfogliai in fretta le pagine che riguardavano l’anno precedente. Le cifre variavano, naturalmente. Dicembre era il mese più ricco, con un utile di più di duemila e cinquecento dollari, perchè c’erano le pubblicità natalizie e la stagione turistica era in pieno svolgimento. Ma, anche per i mesi peggiori, le cifre erano sempre di quattro numeri. A un calcolo approssimativo, Hetherton doveva guadagnare, netti, circa ventimila dollari l’anno.

Più o meno il doppio di quello che avevo immaginato. Conoscevo la sua casa, dall’esterno, e la sua macchina; certo non avrei mai supposto, dal suo tenore di vita, che superasse i diecimila dollari all’anno, anzi sarei stato pronto a giurare che il suo reddito era inferiore. A meno che non avesse qualche vizio segreto molto costoso, o che non sovvenzionasse molto generosamente in segreto istituzioni di carità — ma non riuscivo a vedere Hetherton né sotto un aspetto né sotto l’altro — viveva con meno della metà di quello che guadagnava e metteva da parte, come minimo, diecimila dollari all’anno. E, sotto questo punto di vista, lo stipendio da fame che pagava a me e agli altri appariva meno che mai giustificato.

Mi bastava guardare il bilancio dell’ultimo anno, cioè da quando lavoravo per lui; chiusi il libro e lo rimisi sul ripiano della cassaforte. E, mentre facevo così, vidi che sul ripiano c’era una semplice busta bianca, che prima il libro mi aveva nascosto.

Non so che cosa mi fece pensare che in quella busta potesse esserci qualcosa di interessante, ma fu tale la sensazione che provai. Doveva essere importante, se Hetherton la teneva in cassaforte, e sotto il libro dei profitti e perdite che lui solo poteva maneggiare.

Diedi un’altra occhiata alla porta e decisi di correre il rischio. La busta era rovesciata, e così avevo notato che non era chiusa. La presi e l’aprii. Dentro, c’era un foglio ripiegato tre volte. Lo presi, e sbarrai gli occhi, sbalordito, perchè quello che vedevo non aveva per me significato alcuno.

Era un avviso della polizia che una volta doveva essere stato esposto in un ufficio postale o simili, perchè ai quattro angoli c’erano i fori delle puntine da disegno.

Recava la fotografia di un giovane che mi riusciva assolutamente sconosciuto. O meglio, le foto erano due: una di faccia e una di profilo. Dovevano essere state scattate in prigione perchè, in quella di faccia, lo sconosciuto portava attaccato al collo un numero. Era un bel giovane, malgrado l’espressione chiusa del viso, ma credo che chiunque si trovi chiuso in prigione abbia una espressione piuttosto chiusa.

Sotto, c’erano la serie delle impronte digitali e la didascalia: «Ricercato per rapina a mano armata».

Fra le fotografie e le impronte c’erano nome e descrizione: James Norcutt, un metro e ottantasette, settantotto chili, capelli neri, occhi azzurri… Non ricordo il resto della descrizione, perchè non cercai nemmeno di fissarmela nella memoria.

Sotto la descrizione, si invitava chiunque fosse in grado di dare informazioni su James Norcutt a rivolgersi al capo della polizia di Hoboken, New Jersey. E c’era una data, che risaliva a quasi venticinque anni prima. E la carta, come avevo già notato, cominciava a ingiallire, segno evidente di una certa quale anzianità.

Rimisi il foglio nella busta, la busta al suo posto e vi appoggiai sopra il libro dei profitti e perdite. Chiusi la cassaforte e girai la manopola.

Ma rimasi ancora in piedi per un buon minuto, meditabondo. Non riuscivo assolutamente a capire che cosa facesse nella cassaforte di Hetherton quel vecchio avviso della polizia.

E mi chiedevo, soprattutto, se esso poteva avere qualche legame con Amy Waggoner e con l’assassinio di Amy Waggoner. Così come stavano le cose, non riuscivo a vedere legame alcuno, si trattava per me di due misteri, l’uno e l’altro incomprensibili.

E poi mi chiesi… se non c’era per caso qualche legame fra Amy Waggoner e Sidney M. Hetherton.

Era possibile, sia pure molto lontanamente, che Amy Waggoner fosse stata l’amante di Hetherton, e che fosse stato lui ad arrotondare i cinquanta dollari settimanali degli alimenti con una cifra eguale, purché ella venisse a stabilirsi lì? Era logico che, in questo caso, si fossero comportati come si erano comportati, avessero finto cioè, in pubblico, di non conoscersi nemmeno. Ed Hetherton si allontanava dalla città, una volta ogni tanto, in genere per pochi giorni ma in qualche occasione anche per una settimana. La meta di qualcuno di questi viaggi poteva benissimo essere stata Kansas City; poteva aver benissimo conosciuto Amy. E forse l’aveva convinta a trasferirsi lì, dove sarebbe stata più vicina, dove avrebbero avuto occasione di vedersi più spesso… A giudicare da quello che avevo visto nel libro dei conti nella cassaforte, e non sapevo se aveva altri redditi oltre il giornale e la stamperia, egli poteva certo permettersi di spendere cinquanta dollari la settimana e anche di più…

Stavo tornando alla mia scrivania quando la porta si aprì ed entrò qualcuno. Ma non era Hetherton che tornava più presto del previsto; era la mia collega d’ufficio, Alicia Howell. O meglio, la signorina Howell, perchè i nostri rapporti non erano tali da autorizzarci a chiamarci per nome. Non che fosse realmente ostile, con me o con qualsiasi altro, ma non era il tipo di donna che si possa chiamare per nome, ecco. Per un poco mi aveva incuriosito, ma poi avevo smesso di interessarmi a lei, per pura e semplice mancanza di alimento per le riflessioni. Non parlava mai di sé, e di lei non sapevo niente di più di quanto avevo saputo il giorno della mia assunzione, quando Hetherton ci aveva presentato.

Disse: «Buon giorno, signor Spitzer», e andò alla sua scrivania. Non mi chiese che cosa facevo in ufficio nel mio giorno di riposo e sapevo che non me lo avrebbe chiesto; non chiedeva mai niente, a meno che non avesse avuto bisogno di sapere qualcosa per motivi di lavoro. Di me e dei miei precedenti conosceva, più o meno, quello che io conoscevo di lei e dei suoi.

Dissi: «Salve. Siete stata fuori per una commissione?» Io sono molto meno inibito per ciò che riguarda le domande.

«Avevo mal di testa, signor Spitzer. Ho dovuto uscire poco prima di mezzogiorno.»

La guardai mentre infilavo il foglio nella macchina. «Avreste potuto riposare per tutto il resto della giornata; sono quasi le quattro ormai.» Aveva davvero l’aria di non stare troppo bene: il suo viso equino sembrava più affilato del solito, più pallido. E aveva gli occhi cerchiati di rosso.

«Non sarebbe stato onesto, signor Spitzer. Avevo promesso al signor Hetherton di tornare se il mal di testa mi fosse passato, e mi è passato.»

Era affar suo, non mio, e credetti opportuno lasciar perdere; mi girai verso la macchina da scrivere e mi concentrai sull’articolo.

Peccato che non potessi sfruttare quella che forse era la vera traccia: gli stupefacenti rinvenuti nella macchina di Amy. Cominciai invece con i risultati dell’autopsia, che, in ordine di importanza, venivano subito dopo. E lisciai McNulty dicendo come aveva scoperto — il merito era suo, anche se ero stato io a far lavorare le gambe — che Amy, almeno da quando era venuta a Mayville, spendeva apparentemente circa il doppio del suo reddito noto.

Riferii poi quello che avevamo saputo da Waggoner sul passato di Amy, aggiungendo il particolare che sarebbe stato lui a pagare i funerali. Poi, ripensandoci, cancellai questa frase; il fatto che ci fossero i funerali aveva un interesse puramente locale, e io stavo scrivendo per Bisbee e per la trasmissione in telescrivente.

Poi, per un ultimo controllo prima di telefonare a Tom, chiamai McNulty per accertarmi che non fossero emersi fatti nuovi da quando ci eravamo visti l’ultima volta.

Non c’era niente; aveva chiamato Kansas City, ed ora i poliziotti si stavano dando da fare per sapere quanto spendeva alla settimana Amy quando viveva là. «Oh, e possiamo cancellare dall’elenco degli indiziati quel tale che veniva proprio da Kansas City; è un tipo a posto. Il capo della polizia lo conosce personalmente, e così non ha avuto nemmeno bisogno di interrogarlo per richiamarmi poi. Lo conosce abbastanza per sapere che cosa faceva da queste parti: era in viaggio alla volta della California per una partita di pesca. È il legale di una grossa azienda di quella città. Ehi, Bob, siete sempre del parere di fare un salto da Birdie dopo aver trasmesso il vostro pezzo?»

«Non ho ancora fatto progetti, Mac. Ma potrei anche andarci. Perchè?»

«Potreste fare qualcosa per me. Un po’ troppo complicato da spiegarsi per telefono. Attraversate la strada prima di allontanarvi, e vi dirò tutto.»

«D’accordo. Arrivederci allora.»

Interruppi la comunicazione, ma tornai subito a sollevare il ricevitore. Non c’era niente da aggiungere in quello che McNulty mi aveva raccontato; tanto valeva che telefonassi e la facessi finita. Non fu la voce di Doris a rispondermi, naturalmente; non aveva ancora preso servizio. Chiesi di Tom Acres, e meno di un minuto dopo parlavo con lui. Gli lessi quello che avevo appena terminato di scrivere.

Disse: «Bene, Bob. Non si può ottenere vino da una botte vuota, e per l’articolo dovrò accontentarmi di questo. Ma tenete gli occhi aperti, e se prima delle dieci salta fuori qualcosa che vale la pena di stampare, telefonatemi.»

«D’accordo, Tom.»

«Arrivederci, amico. E buona fortuna.»

Interrotta la comunicazione, andai a mettere il dattiloscritto sulla scrivania di Hetherton. Poi uscii e traversai la strada.

McNulty mi salutò con un cenno quando mi vide. «State per andare da Birdie?»

«Si.»

«Potete fare due cose. Prima, cercare una cannula. Sapete che cosa è una cannula, vero?»

«Mac, anche se non sono sposato, non sono più un ragazzino. L’aggeggio che avete nominato ha due versioni: una con un bollitore d’acqua calda appeso al muro e fornito di un tubo di gomma, l’altra…»

«Va bene, va bene. Guardate se Amy aveva uno di questi aggeggi, di qualsiasi tipo.»

«D’accordo, ma perchè?»

«Il coroner ha avuto un’idea e mi ha telefonato. Mi ha detto che Amy non aveva avuto… sì… rapporti sessuali nelle due ore che hanno preceduto la sua morte. Ma poi ha pensato che se li aveva avuti ed aveva poi fatto un lavaggio accurato non sarebbe rimasta traccia alcuna. Ho guardato là dentro, ma non ricordo di aver visto se c’era o meno una cannula.

«Questo ci servirà a completare il quadro, ci aiuterà a capire se una cosa del genere può o meno essere successa, Bob. Voglio dire, potrebbe essere successa subito dopo che quel tale è entrato, e poi potrebbero aver cominciato a bere fino a quando lei è crollata.»

«Va bene,» dissi. «Controllerò. Ma c’era qualcosa d’altro, vero?»

«Sì. Ho parlato con Murcheson e gli ho trasmesso l’ordine per il funerale. E lui mi ha ricordato una cosa quando mi ha chiesto con che cosa volevamo che fosse seppellita, e così qualcuno dovrebbe ritirare un vestito. Già che andate da Birdie, questo qualcuno potreste essere voi. Era nuda come un verme, avvolta in un lenzuolo quando l’hanno portata a Douglas, e credo che non si seppellisca la gente in quello stato, sia pure in una cassa chiusa.»

«Sarà una cassa chiusa, Mac?»

«No, a meno che l’autopsia non abbia praticato tagli sopra il collo, cosa che considero improbabile. In ogni modo, prendete un abito in ordine e tutto il resto che può essere necessario. Fatevi aiutare da Birdie. Mettete tutto in valigia; ce n’è una proprio della misura adatta per un completo.»

«D’accordo. E la valigia va portata a voi o a Murcheson?»

«Non importa. A me, credo; Murcheson vi porterebbe un poco fuori strada, e comunque devo vederlo domani per gli ultimi accordi. Statemi bene a sentire, intendo restare qui fino alle sei, a meno che non succeda qualcosa. Ma prima di andare a casa mi fermerò a bere qualcosa da Cass. Se vi fate vedere là, vi pagherò un bicchiere e voi potrete darmi la valigia.»

«Benissimo. Arrivederci là allora… a meno che non vi veda qui prima.»

Sul marciapiede, mi guardai attorno e mi irrigidii. Herbie Pembrook era fermo davanti agli uffici del Sun e stava guardando dentro dalla finestra. Cercava me, senza dubbio, per fulminarmi di occhiate attraverso i vetri, come gli era già capitato di fare. Ma non c’ero; senza accorgersi della mia presenza, risalì in bicicletta e si allontanò, pedalando, in direzione nord.

Che cosa diavolo poteva avere contro di me Herbie Pembrook? tornai a domandarmi.

Improvvisamente, mi venne un’idea, e sentii il bisogno di rifletterci sopra; prima di andare da Birdie, perchè non c’era fretta che mi spingessi fin là.

Invece di andare a prelevare la macchina, traversai la strada e puntai sul locale di Cass. Il Bar Sinistro. Cass mi accolse cordialmente e mi riempì il mio solito bicchiere di whisky e acqua, poi si allontanò. Riusciva sempre a capire, chissà come, quando qualcuno aveva voglia non di chiacchierare ma di starsene in pace, e in questi casi vi lasciava tranquillo.

Ed io volevo riflettere su due cose. Primo, anche se non riuscivo assolutamente a vedere come potesse ricollegarsi all’assassinio di Amy, il mistero di quell’avviso della polizia chiuso in una busta nella cassaforte di Hetherton. Un vecchio, vecchissimo avviso in una busta nuovissima.

Chi diavolo era il James Norcutt che veniva in esso descritto, e quale possibile rapporto poteva esistere fra quest’uomo e l’ultrarispettabile signor Hetherton?

Rievocai la foto di James Norcutt e cercai di aggiungergli venticinque anni per immaginare quale aspetto poteva avere ora, per vedere se si trattava magari di qualcuno che avevo conosciuto a Mayville. Ma quel viso era stato quello di un giovane, quasi di un ragazzo, e venticinque anni possono comportare una differenza enorme, specie fra, diciamo, i venti e i quarantacinque. Cercai mentalmente di sottrarre venticinque anni alle facce delle persone che conoscevo a Mayville per immaginare quale aspetto avevano avuto da giovani, ma anche in questo modo non arrivai a risultato alcuno. Mi sforzai persino di immaginare Hetherton giovane, e mi accorsi di non riuscire a vederlo più giovane di quello che era, sia pure di pochi anni. Ma questo non importava perchè, in ogni caso, non sarebbe potuto essere Norcutt; l’altezza di Norcutt era stata rilevata in un metro e ottantasette. E un uomo non può diventare più piccolo di quasi trenta centimetri.

Rinunciai.

E affrontai il secondo problema, l’idea che mi era balenata pochi minuti prima, quando avevo visto Herbie Pembrook che guardava dentro dalle finestre del Sun.

Si trattava di questo: avevo cancellato Herbie dal mio elenco degli indiziati quando avevo saputo che, in base al rapporto del coroner, Amy aveva bevuto il suo ultimo bicchiere pochi minuti soltanto prima di crollare.

Ma era proprio sicuro che colui con il quale aveva bevuto fosse la persona che poi l’aveva uccisa?

Nient’affatto. Supponiamo che lo spasimante, l’uomo con il quale Amy aveva un appuntamento, avesse portato la bottiglia ed avesse bevuto con lei, ma se ne fosse andato quando ella sì era addormentata.

Ed Herbie li spiava. Appena l’uomo era scomparso, aveva provato la maniglia e si era accorto che la porta era aperta. E la cosa sarebbe stata possibilissima se colui che se n’era andato non conosceva il funzionamento di quella particolare serratura. Ed Herbie poteva benissimo averla uccisa, prima o dopo averla guardata a lungo, soddisfacendo il suo vizio segreto, per poi frugare dappertutto, rubare e andarsene. Tutto il resto che avevo immaginato a proposito di Herbie si adattava. Alla perfezione.

Ma, per accusare Herbie, avevo solo e unicamente una teoria. Avrei potuto trovare qualcosa nella sua baracca?

Ed Herbie, solo pochi minuti prima, si era diretto in bicicletta verso la parte opposta della città. Avevo il coraggio di correre il rischio che se ne restasse assente il tempo sufficiente a lasciarmi parlare con la donna con cui viveva… come si chiamava?… ah, già, la signora Wayne… e, se ottenevo l’autorizzazione, a dare un’occhiata alla baracca di Herbie, ammesso che non fosse chiusa? E se avessi finito per trovare un coltello con una lama da cinque pollici? O documenti o qualcosa che, anche a un esame superficiale, apparissero provenienti dalla stanza di Amy? O…

Conclusi che quel coraggio l’avevo. Vuotai il bicchiere d’un fiato, salutai con un cenno Cass e mi diressi in fretta verso la mia macchina.

Mentre mi avvicinavo al motel, vidi Birdie che stava curando il prato maneggiando la falciatrice meccanica con la massima disinvoltura, come se fosse stata uno stecco, e questo mi diede un’altra idea. Frenai bruscamente e svoltai nello spiazzo di fronte all’ufficio. Mentre mi avvicinavo, Birdie smise di lavorare e alzò la testa.

«Birdie,» dissi, «vi spiegherò tutto più tardi, ma vorrei che mi faceste un piacere. Restate qui fuori, ma smettetela di far funzionare quella falciatrice, e, se passa Herbie Pembrook in bicicletta, fermatelo e parlategli in modo da trattenerlo il più a lungo possibile. Ditegli che siete stanca e che vorreste far terminare a lui il lavoro… qualsiasi cosa. Vi rimborserò più tardi quello che gli pagherete, e così il peggio che vi può capitare è di trovarvi il prato sistemato gratuitamente. Siamo d’accordo?»

«Certo, Bob. Ma perchè, diavolo…»

«Devo parlare con la signora Wayne, e non voglio che Herbie ci sia. Adesso è in città, e probabilmente non tornerà subito, ma…»

«La signora Wayne non c’è. È andata a far visita alla sorella a Phoenix.»

«Tanto meglio. Allora potrò dare un’occhiata alla baracca di Herbie, se non è chiusa o simili. Va bene?»

«S-sì, va bene.»

«Vi spiegherò tutto più tardi.»

Quando Doris, la sera precedente, mi aveva indicato la casa della signora Wayne, faceva scuro; non avevo potuto vedere la costruzione, e tanto meno la baracca. Ed ora mi accorsi che la baracca non era dietro la casa ma di fianco ad essa, perfettamente visibile dalla strada. E, mentre varcavo il cancello e mi dirigevo verso di essa, notai anche che non dovevo preoccuparmi di una eventuale serratura. La porta era socchiusa.

Entrai in fretta e mi chiusi il battente alle spalle, in modo che non fosse possibile vedermi dalla strada. C’era una finestra su una parete, e in questo modo la luce era più che sufficiente con la porta chiusa.

Il locale, di due metri per due e mezzo circa, aveva un pavimento di legno, senza tappeti. Non poteva contenere — e non conteneva infatti — molti mobili. C’era una branda militare con un vecchio materasso. Una sedia a schienale dritto. Un vecchio cassettone e un vecchio tavolo da cucina coperto di roba. Niente elettricità perchè sul tavolo, fra l’altro, c’erano due lanterne a petrolio e una stufetta pure a petrolio. Piatti e fondine scompagnati e sbrecciati, chicchere e utensili da cucina. Herbie si preparava da solo i pasti, o almeno era attrezzato per farlo.

Niente acqua corrente, ma un mastello vicino al cassettone, e, sul cassettone, una brocca e un catino: evidentemente Herbie, per bere, mangiare e cucinare, andava ad attingere acqua al rubinetto esterno della casa della signora Wayne.

Alle pareti, un vecchio specchio, ma niente quadri. Mi ero aspettato qualche pin-up? Forse, ma capii che non poteva tenerle se solo la signora Wayne capitava là dentro qualche volta.

Sul cassettone, insieme a spazzola, pettine e un rasoio di sicurezza, c’era un mucchio di giornali a fumetti (sapeva leggere, era evidente), ed io sfogliai i primi. Volevo vedere di che tipo erano e speravo di poter trovare fra di essi qualcosa che confermasse i miei sospetti. Artists and Models o roba del genere, con fotografie di nudi. Ma, per quanto cercassi accuratamente, pur senza metterli in disordine, erano tutti fumetti, per una buona metà western, per il resto polizieschi. Sì, c’erano diversi Dick Tracy, se questo poteva significare qualcosa. Ma erano tutti fumetti innocui, che non avevano nulla a che vedere con il sesso, il sadismo ed altri argomenti dello stesso tipo.

Senza toccare nulla, diedi una rapida occhiata al contenuto dei tre cassetti. Nel primo cassetto, biancheria pulita ma non stirata, biancheria sporca nel cassetto centrale. Nell’ultimo, niente. Non erano foderati, e non ebbi di conseguenza bisogno di guardare sotto la carta per vedere se c’era nascosto qualcosa.

Mi chiesi se aveva una giacca e mi guardai attorno. Sì, ad alcuni chiodi fissati alla parte interna della porta c’erano appesi degli indumenti. Un impermeabile, una giacca pesante, un paio di calzoni.

Aprii il cassetto del tavolo di cucina. Conteneva quello che c’è di solito nei cassetti dei tavoli da cucina: coltelli, forchette, cucchiai, un apriscatole. Cercai un coltello che avrebbe potuto produrre la ferita riscontrata su Amy, ma non lo trovai: tutto si limitava a un coltello da macellaio, troppo grande, a un coltello per patate, troppo corto, e a due coltelli normali spuntati.

Mi guardai attorno per vedere se c’era qualcosa d’altro da ispezionare, ma non c’era niente. Salvo le tasche degli indumenti appesi dietro la porta. Erano vuote.

Se Herbie aveva nascosto qualcosa lì dentro, l’aveva nascosta molto bene, sotto un asse del pavimento o in un posto che non sarei mai riuscito a trovare nel poco tempo che potevo osare di rischiare.

Uscii, badando a lasciare la porta socchiusa, come l’avevo trovata. E, in fretta, mi incamminai verso la strada e il motel.

Per prima cosa, vidi la bicicletta di Herbie appoggiata al suo treppiede sul bordo della strada, e ringraziai il cielo di aver pensato di chiedere a Birdie di intrattenerlo, perchè, in caso contrario, mi avrebbe sorpreso nella sua stanza o mentre uscivo.

Quando fui più vicino, lo scorsi intento a parlare con Birdie davanti alla porta dell’ufficio. Tutti e due alzarono la testa e mi guardarono mentre mi avvicinavo.

Herbie mi fulminò con una occhiata minacciosa. Forse immaginava da dove venivo. Da dove altro sarei potuto venire, a piedi e da quella direzione, con la mia macchina abbandonata nello spiazzo del motel? La prima casa dopo quella della signora Wayne era un buon paio di chilometri più oltre, e certo se fossi dovuto andare là, mi sarei servito della macchina.

E Birdie, maledetta, si voltò ed entrò nell’ufficio, lasciandomi solo ad affrontare la tempesta. Probabilmente immaginava che ci fossero guai in vista, e voleva girarne alla larga.

Ma non avevo scelta: non potevo girarmi e scappare, mi sarei tradito in questo modo, e poi lui, con ogni probabilità, mi avrebbe battuto, se non in velocità, in resistenza. Così tirai dritto. Dissi: «Salve, Herbie», con un tono che mi sforzai di far apparire disinvolto e allegro.

14

Herbie si piantò davanti a me, ed io mi fermai. «Siete andato a frugare a casa mia,» disse.

«Vi sbagliate, Herbie,» replicai. «Cercavo la signora Wayne. Ma nessuno è venuto ad aprirmi la porta. È per caso partita?»

«Sì,» ammise, con un brontolio. Poi continuò: «Statemi a sentire. Voi dovete andarvene, lasciare la città. Capito?»

«Ho capito, Herbie, ma non dovreste dire cose del genere. Non volete che vada a riferirle al capo McNulty, vero? O che gli racconti che girate di notte in bicicletta per spiare nelle macchine ferme. Vi metterebbe sotto chiave per questo.»

La sua espressione si fece ancor più minacciosa e brontolò, ma senza rispondere chiaramente, ed io ne approfittai per girargli intorno e bussare alla porta dell’ufficio di Birdie.

Disse: «Se mi accorgo che siete stato a casa mia, vi…» Poi, forse perchè Birdie stava aprendo, si interruppe e si diresse verso il punto dove Birdie aveva lasciato la falciatrice automatica.

«Avanti, Bob,» mi invitò Birdie. E, quando fummo nell’ufficio, con la porta chiusa e con la falciatrice che cominciava a ronzare nel prato: «Avete…»

«Ho cercato, sì, ma non ho trovato niente. Accidenti, Birdie, forse mi sbaglio, ma non riesco ancora a vedere in Herbie quell’essere innocuo che tutti compatiscono. Non si comporta certo in maniera innocua nei miei confronti; ce l’ha a morte con me, e non riesco a immaginare perchè. Non gli ho mai schiacciato i piedi. In ogni modo, grazie per avermelo trattenuto. A proposito, quanto vi devo?»

«Un dollaro sarà più che sufficiente. Se la sbrigherà in meno di un’ora, ma non gli do mai meno della tariffa minima, anche se ha lavorato mezz’ora soltanto.»

Presi dal portafogli una banconota da uno e gliela diedi.

«E grazie, Birdie. Statemi a sentire, Voglio che mi aiutiate a scegliere l’abito con il quale Amy deve essere seppellita. Mac mi ha pregato di portargli un completo.»

«Non… non potrei entrare là dentro, Bob. Mac mi ha fatto giurare di non metter piede nella stanza di Amy fino a quando l’inchiesta non sarà finita.»

«Oh, non dovete preoccuparvi per questo. Mac mi ha detto di chiedervi di aiutarmi a scegliere la roba.»

«E va bene, allora. Sbrighiamoci.»

Quando gli passammo accanto, Herbie non alzò gli occhi dalla falciatrice che stava manovrando. Birdie aprì la porta e lasciò la chiave all’esterno. Andammo all’armadio, ed io presi per prima cosa la valigetta alla quale McNulty aveva accennato. La misi sul letto e l’aprii: era vuota. Chiesi a Birdie di guardare nel cassettone e di prendere la biancheria e un paio di calze, ed intanto passai in rassegna le scarpe nell’armadio a muro e scelsi il paio che mi sembrava più adatto, un paio di scarpe nere di modello semplicissimo.

Poi Birdie ed io ci consultammo a proposito del vestito. L’abito messicano era il più nuovo ed anche il più elegante, ed io ero piuttosto incline a prendere quello. Ma Birdie lo considerava poco indicato alla circostanza, e mi lasciai dissuadere, anche se sono ancora convinto che Amy avrebbe scelto proprio quello. Birdie si soffermò su un vestito di organza bianco che era probabilmente il più semplice di tutti, ma rammentai un particolare che lo escludeva, come avrebbe escluso del resto quello messicano: erano tutti e due molto scollati. Spiegai a Birdie che non sapevamo come era stata condotta l’autopsia e che di conseguenza la scollatura meno generosa sarebbe stata la più indicata: da questo particolare poteva dipendere se al funerale la cassa sarebbe stata aperta o meno. Ella capì subito come stavano le cose, e finimmo per fermarci su un abito blu molto accollato ed in più che discrete condizioni. Birdie lo ripiegò nella valigia, e la nostra missione ebbe termine; Amy era ormai pronta per il suo ultimo viaggio.

«A proposito degli altri vestiti, Birdie,» dissi. «Quelli che aveva quando è arrivata qui. Erano eleganti? Con che tipo di guardaroba è venuta?»

«No, quello che portava non aveva l’aria né particolarmente nuova né particolarmente elegante. Roba da dieci o quindici dollari. Perchè?»

Non c’era ragione per cui dovessi tacere. La storia che Amy, a Mayville, incassava cinquanta e spendeva più di cento per settimana sarebbe comparsa in ogni modo l’indomani sul giornale di Bisbee. Le spiegai che stavamo cercando di sapere quanto poteva spendere approssimativamente prima di venire lì.

Birdie disse: «Bene, non saprei quanto poteva spendere a Kansas City, ma in ogni modo i suoi soldi non andavano certo in abiti. Un guardaroba come quello non doveva essere costato più di un cento all’anno, cioè un paio di dollari la settimana, come massimo. Ricordo che, quando ho visto che cosa appendeva nell’armadio, quando ho notato quelle valigie da quattro soldi, mi sono chiesta come mai, se era tanto povera, non si prendeva una camera in città per risparmiare.»

«E perchè, secondo voi, non lo ha fatto?»

«Non fate lo sciocco, Bob Spitzer. Sapete benissimo che in nessuna stanza d’affitto, sia pure a Mayville, si accetta o si tiene chi beve come beveva lei e chi segue i suoi orari. In un motel, non importa invece, purché non diate fastidio agli altri, e Amy non dava fastidio a nessuno. Non la vedevo quasi mai, salvo quando usciva, verso mezzogiorno. E non sono puritana, io: la morale degli altri non mi interessa, purché non secchi me o i clienti.»

«Intendete la morale, Birdie, o semplicemente gli eccessi alcoolici?»

«Soltanto gli eccessi alcoolici, credo. Per ciò che ne so, non ha mai ricevuto uomini in camera sua, e in caso contrario me ne sarei accorta, potete esserne certo. Salvo la notte scorsa, naturalmente.»

«E ha mai ricevuto donne in camera sua?»

Birdie scosse energicamente la testa. «No, non era di quella categoria, Amy, ve lo posso assicurare. E non è stata una donna a bere con lei e a ucciderla, l’altra notte.»

«E come potete esserne così sicura?»

«Per il modo in cui era vestita… o svestita. Si sarebbe messa almeno una vestaglia se era una donna quella che veniva a trovarla. Le donne sono più riservate con le altre donne, sia pure loro amiche, che con gli uomini.»

Sorrisi. «Ci credo sulla vostra autorità.»

«Avete bisogno di qualcosa d’altro? Ho da lavorare, io.»

«Devo darmi un’occhiata in giro; Mac mi ha chiesto di controllare un paio di cose, già che ero qua. Ma voi andate pure; quando avrò finito, chiuderò e vi porterò la chiave.»

Quando fu uscita, mi chiesi da che parte avrei dovuto cominciare. Avevo già deciso che, dal momento che dovevo cercare la cannula, avrei ispezionato accuratamente tutto il locale, nella speranza di trovare magari qualcosa che McNulty e lo sceriffo avevano trascurato.

Molti attaccano con il nastro adesivo o con le puntine qualcosa, specie documenti, dietro o sotto i cassetti, e così per prima cosa controllai con la massima attenzione i cassetti. Guardai anche dietro lo specchio sul cassettone e dietro i due quadri appesi alle pareti. Guardai… ma credo sia inutile elencare tutti i posti dove guardai, perchè non trovai nulla.

Salvo che nel bagno, dove trovai qualcosa che, se non mi fu d’aiuto, mi lasciò perplesso. Avevo letto da qualche parte che c’è chi adotta come nascondiglio il serbatoio dell’acqua per il gabinetto, e sollevai il coperchio per dare dentro un’occhiata. La palla di rame era del tipo a due emisferi, e mi costò una certa fatica separarli per un controllo. E dentro trovai qualcosa: uno scarafaggio morto. Avrei dato (e darei ancora) non so che cosa per sapere come lo scarafaggio era finito là dentro, ma non mi riusciva di vedere che cosa poteva avere a che fare con la morte di Amy.

Non trovai la cannula. Se l’assassino non se l’era portata via — il che appariva, a dir poco, improbabile — sembrava sicuro che Amy non aveva avuto rapporti sessuali con il suo carnefice.

Le mie ricerche richiesero un certo tempo, e avevo sentito per l’ultima volta il ronzio della falciatrice automatica da circa cinque minuti quando finii. Avevo indugiato di proposito? Non lo so. In ogni modo, Herbie e la sua bicicletta non c’erano più quando uscii, chiusi a chiave la porta e andai a restituire la chiave a Birdie.

Misi in macchina la valigia con gli abiti di Amy e tornai in città. Erano le sei precise quando arrivai, in perfetto orario per trovare McNulty da Cass e farmi offrire da lui il bicchiere che mi aveva promesso.

Quando entrai, era seduto in fondo al banco e stava chiacchierando con Cass. Si voltò, e, approfittando del fatto che mi guardava, io appoggiai la valigia accanto alla porta e gliela indicai con un cenno perchè capisse di che cosa si trattava. Poi mi unii a loro.

«Il solito, Bob?» mi chiese Cass, e alla mia risposta affermativa cominciò a prepararmi un whisky ed acqua.

«Qualcosa?» domandò McNulty.

«Niente.» Non lo avrebbe interessato certo il mistero dello scarafaggio morto nel galleggiante del serbatoio. «Nessuna traccia di cannula. E voi avete qualche novità da raccontarmi?»

Cass stava tornando con il mio bicchiere; me lo appoggiò davanti e fece squillare il registratore di cassa per dare il resto a McNulty. Qualcuno all’altra estremità del banco ordinò un bis, ed egli, invece di unirsi a noi, andò da quella parte. McNulty disse: «Solo una telefonata di Chico, da Nogales. Stava per tornare, ma ha chiamato prima. Negativo.»

«L’esercente o gli stupefacenti?»

«L’uno e l’altro. Anche ad Agua Prieta e a Naco non sanno niente di stupefacenti in transito. A Nogales risulta che c’è un poco di contrabbando di eroina e, in misura minore, di morfina — qualche volta riescono a pescare un contrabbandiere, o dietro informazione o su controllo — ma di scacciapensieri non hanno mai sentito parlare. E quell’esercente di Nogales è il proprietario di un rispettabilissimo negozio di abbigliamento maschile che si trova in viaggio di piacere. Nessun legame con il contrabbando.»

«Niente da Kansas City?»

«Niente. Ci metteranno un bel po’ di tempo a scoprire, sia pure approssimativamente, quanto spendeva Amy.» Vuotò il bicchiere. «Bene, adesso me ne vado.»

Cercai di convincerlo ad accettare il bis da me, ma non ne volle sapere. Uscendo, prese la valigia con gli abiti di Amy.

Uno dei due uomini in fondo al banco — lo conoscevo di vista come il cassiere capo della banca, ma non sapevo come si chiamasse — andò accanto al juke box, infilò una moneta nella fessura e premette il pulsante. Pochi istanti dopo attaccò la musica: una versione strumentale di None but the Lonely Heart. E, dopo le note dell’introduzione, Cass cominciò a cantare. A mezza voce, ma con quel tanto che bastava per dominare la musica. Era una canzone bella e triste.

Ma non ero in uno stato d’animo adatto per apprezzare la bellezza o la tristezza. Mi sentivo irritato con me stesso perchè, a quanto pareva, non sarei riuscito a trovare altro che valesse la pena di telefonare a Tom Acres, anche se mancavano ancora quasi quattro ore alla chiusura del giornale.

Accidenti, pensai, non può succedere niente in queste quattro ore? Charlie Sanger avrebbe tenuto aperto l’ufficio, ma certo non si sarebbe interessato al caso. E non sapevo che cosa avrei potuto fare io, quale maledetta domanda avrei potuto rivolgere che non fosse già stata rivolta o da me o da McNulty.

Niente. Era, quella, la prima occasione che mi capitava di fare l’inviato speciale, sia pure per un giorno, ed avevo sperato di riuscire a combinare qualcosa. Non di dar fuoco al mondo o di risolvere il caso da solo — anche se, credo, avevo sperato di trovare un coltello insanguinato a casa di Herbie — ma di scovare qualche particolare per un articolo più sostanzioso di quello, insignificante, che avevo già telefonato a Tom.

Bene, dovevo pur mangiare in qualche momento, prima della chiusura del giornale, e tanto valeva che me la sbrigassi subito. Aspettai che Cass avesse finito di cantare — non pensavo nemmeno di andarmene mentre si esibiva — poi salutai ed uscii.

Mangiai senza il minimo appetito a uno dei ristoranti più economici e me la presi calma. Quando uscii, erano le sette e cominciavano a calare le tenebre. Tre ore da far passare, ma io volevo pensare a qualcosa di costruttivo da fare, non intendevo lasciar passare quel tempo così, semplicemente.

Ma la sola idea che mi venne fu quella di passar di nuovo all’ufficio di polizia per un ulteriore controllo.

C’era Charlie Sanger, che era immerso nella lettura di un western.

«È successo qualcosa, Charlie?» gli chiesi.

«No. E credo che non succederà niente.»

Sospirai; era precisamente quello che mi aspettavo. «Va bene, Charlie,» dissi. «In ogni modo, mi fermerò un poco da Cass. Tanto vale ammazzare il tempo là. E, se mi promettete di avvertirmi se succede qualcosa, non avrò più bisogno di venire a disturbarvi.»

«Certo, Bob. Ma non trattenete il fiato fino a quando non mi metto in comunicazione con voi. Non succederà niente stanotte. La città è più morta che mai.»

«Grazie, Charlie.»

Attraversai la strada ed entrai da Cass. Non mi sentivo certo soddisfatto di me. Forse, dopo tutto, la professione del cronista non era bella come avevo immaginato.

Cass era solo. «Lieto di vedervi, Bob,» disse, e sembrava sincero. «Statemi a sentire, prima di prepararvi il solito voglio farvi una proposta.»

«Purché non sia una proposta sconcia.»

Rise. «La sera mi ha l’aria di essere morta, e stavo pensando di chiudere e di andare a Bisbee e a Naco, se trovavo qualcuno che veniva con me. Sono ormai sei mesi che non usciamo più assieme. Che ve ne sembra?»

«Una proposta simpatica, ma sono più o meno di servizio fino alle dieci. Non che mi ammazzi di lavoro, ma devo tenere i contatti con la polizia fino all’ora in cui Tom Acres chiude, nel caso che succeda qualcosa.»

«Bene, non è troppo tardi per partire. E se tenessi aperto fino alle dieci e poi ce la battessimo?»

Mi sentivo tentato, ma ricordai quanto poco avevo dormito la notte precedente. Se fossimo andati al Messico, non mi sarei certo coricato più presto quella sera… e l’indomani era per me una normale giornata di lavoro.

«Temo proprio di non poter venire stasera, Cass. Ma, se volete andare da solo, o se trovate qualcun altro che vi accompagna, me la batto non appena decidete di partire. Posso ammazzare il tempo al Filone.»

Cass scosse la testa. «Lasciamo perdere. Era semplicemente un’idea che mi era balenata, così. Whisky e acqua?»

Annuii. «Ma lo farò durare per un pezzo. Non voglio bere in fretta ed essere cotto per le dieci. Però non ci guadagnerete certo molto se tenete aperto solo per me.»

Sorrìse. «E nemmeno ci guadagnerei molto se vi portassi al Messico. Non preoccupatevi; verranno altri clienti più tardi. Non sono ancora le sette e mezzo.»

Mi riempì il bicchiere e continuò: «Ora che ci penso, lo scaffale qui ha bisogno di rifornimenti. Scusatemi, ma devo andare a prelevare dal ripostiglio qualche bottiglia.»

Mi misi a sedere davanti al bicchiere e mi guardai nello specchio dietro al banco. Cercando di pensare a qualcosa su cui riflettere.

Bene, c’era quel misterioso avviso della polizia per… come si chiamava?… James Norcutt… che avevo trovato nella cassaforte di Hetherton. Impossibile che avesse qualcosa a che vedere con l’assassinio di Amy Waggoner. Pure, non ci sarebbe stato niente da perdere a chiedere a McNulty se aveva mai sentito parlare di un certo Norcutt. Non quella sera, naturalmente, anche se ero alla disperata ricerca di qualcosa d’altro da trasmettere a Tom. Ma non potevo certo disturbarlo a casa per rivolgergli una domanda che, uno contro un milione, avrebbe ottenuto una risposta negativa.

Cass ricomparve, carico di bottiglie, e cominciò a disporle in ordine sugli scaffali del banco.

«Cass,» dissi, «avete mai sentito nominare un certo James Norcutt?»

Si voltò quando cominciai a parlare, e quando pronunciai il nome mi stava guardando dritto in faccia. Notai sul suo viso un’espressione prima sbalordita e poi rigida, e in quella frazione di secondo seppi chi era James Norcutt, ricercato per rapina a mano armata a Hoboken. Era cambiato molto in quegli anni, ma restava pur sempre qualche somiglianza. Il suo viso era più pieno, ed egli doveva essersi appesantilo; i dati segnaletici davano per James Norcutt soltanto settantotto chili, mentre Cass doveva superare gli ottantacinque. E i suoi capelli erano dritti, tagliati cortissimi, di un grigio ferro; quelli di Norcutt erano stati lunghi e neri, pettinati accuratamente all’indietro. Ma il colore dei suoi occhi non era cambiato, e la sua altezza, uno e ottantasette, era sempre la stessa. E certo anche le impronte digitali avrebbero corrisposto.

Pure era cambiato moltissimo, e forse non avrei mai immaginato la verità se non si fosse voltato verso di me e se non avessi notato quell’improvviso mutamento della sua espressione quando avevo pronunciato il nome. Se avesse ritrovato la sua aria normale prima di voltarsi e avesse detto: «No, chi è?» con ogni probabilità non lo avrei ricollegato a quella fotografia.

Ma le cose erano andate come erano andate, io sapevo… e lui sapeva che io sapevo.

Con un sospiro aprì il cassetto del banco e sollevò la destra che impugnava una rivoltella. Disse, con voce calma: «Mi spiace, Bob. Non muovetevi da quello sgabello.»

Conoscevo quella rivoltella, perchè una volta avevamo parlato di armi ed egli me l’aveva mostrata. Una piccola e tozza Colt-Cobra dalla canna corta, calibro 9. E sapevo che la teneva sempre carica.

Fece il giro del banco e abbassò la saracinesca che recava all’esterno la scritta «Chiuso», tenendo la rivoltella nascosta sotto il grembiale, in modo che chi guardasse dentro per caso non potesse vederla. Diede un giro di chiave ed abbassò anche le saracinesche delle vetrine. Poi tornò dietro al banco e fece scattare alcuni interruttori; le luci si spensero, salvo quella che teneva sempre accesa come lampada per la notte.

Poi venne a mettersi accanto a me. Non avevo ancora detto niente, non ero riuscito a trovare una sola parola da dire.

Disse: «Dobbiamo chiacchierare un poco, noi due. Andiamo in uno scomparto. Prendete pure il bicchiere, se volete.»

Mi alzai, ma lasciai il bicchiere dov’era. Non avevo nessuna voglia di bere, fosse pure per l’ultima volta in vita mia. Dissi: «Cass, non vi gioverà certo di uccidermi.»

«È precisamente di questo che dobbiamo discutere. Mettetevi a sedere.»

Scivolai in uno scomparto, e Cass prese posto davanti a me. Teneva in grembo la rivoltella stretta in pugno, forse perchè aveva paura che cercassi di strappargliela, mentre un’idea del genere non mi passava neppure per la testa. Sapevo che, in un corpo a corpo con Cass, non sarei mai riuscito ad avere la meglio, anche se fosse stato disarmato.

Mi chiese: «C’è qualcun altro che sa?»

«Sì. Una persona almeno, e probabilmente due. Così, vedete anche voi che non vi servirebbe a niente di…»

«Chi?»

Scossi la testa decisamente. «Cass, non ho nessuna intenzione di dirvelo. Se ve lo dicessi, potreste uccidere me ed avere la possibilità, sia pure remota, di cavarvela. Almeno sapreste chi altro dovreste uccidere oltre a me.»

Brontolò e mi fissò per qualche istante, riflettendo. Disse: «Eravate nella stanza di Amy questo pomeriggio, ho sentito che ne parlavate con Mac. Potreste aver trovato là l’avviso della polizia, anche se io non sono riuscito a trovarlo, ed è mancato poco che, per cercarlo, sfasciassi tutto. E in questo caso… Ehi, in piedi!»

Un poco perplesso, mi alzai. Continuò: «Vuotate tutte le tasche sulla tavola e poi rovesciatele. Se lo avete trovato là e lo avete ancora addosso, è probabile che mentiate quando dite che altri sono al corrente.»

«Va bene,» dissi, mentre cominciavo a fare quanto mi era stato ordinato. «Ma non l’ho trovato, e nemmeno visto, al motel.» Terminai di vuotare le tasche. «Ecco, questo è tutto.»

Non volle correre rischi. Appoggiò la rivoltella dove lui avrebbe potuto raggiungerla ed io no, e fece un rapido controllo. Frugò persino nel mio portafogli, per accertarsi che non avessi infilato là dentro l’avviso ripiegato.

Sospirò. «E va bene. Rimettete tutto in tasca e sedete.»

Mentre tornavo a riprendere la mia roba, dissi: «Sentite, Cass, so che eravate una volta James Norcutt; so che avete ucciso Amy, con ogni probabilità perchè vi ricattava. Ma perchè non mi raccontate il resto, tutto quanto dal principio alla fine?»

«Non mi va di parlare. Devo riflettere. Tenete chiuso il becco.»

«Cass, parlare vi aiuterà a riflettere. Levatevi questo peso dallo stomaco. Che cosa avete da perdere? Abbiamo tutta la notte a nostra disposizione.»

Questa frase mi spaventò quando la pronunciai, perchè era vero. Avevamo realmente tutta la notta a nostra disposizione, perchè nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa prima del mattino seguente. Tom Acres non si sarebbe preoccupato, se non lo avessi richiamato. Forse Charlie Sanger avrebbe tentato di mettersi in contatto con me, ma, trovando chiuso il bar di Cass, avrebbe lasciato perdere. E la mia padrona di casa non si sarebbe certo messa in pensiero se non fossi ancora rientrato quando andava a letto; era una cosa che capitava molto spesso.

Cass tornò a sospirare. «Va bene. Credo che non importi più ormai, e tanto vale che vi racconti tutto. Vediamo un po’ da dove devo cominciare. Sono cresciuto a Detroit in brutta compagnia. Avevo appena terminato le medie superiori quando sono stato arrestato assieme ad altri per furto. Avevo diciannove anni. Mi sono buscato una condanna a due anni e ho fatto diciotto mesi. È stato allora che mi hanno fotografato e rilevato le impronte, e così la mia fotografia su quell’avviso è vecchia di quasi trent’anni.

«Quando sono uscito di prigione, ho lasciato Detroit e mi sono trasferito a New York. Mi sono guadagnato onestamente da vivere per quattro anni, e poi sono rimasto disoccupato per un certo periodo di tempo, perchè si era nel momento della grande crisi. Di nuovo mi sono messo con un paio di poco di buono, e non ho saputo rispondere di no quando mi hanno chiesto di aiutarli in quello che chiamavano un semplice furto con scasso. A Hoboken. Volevano soltanto che facessi da palo e guidassi la macchina; non sarei dovuto nemmeno entrare con loro.»

Dissi: «Dovevate avere circa venticinque anni allora, cioè venticinque anni fa.»

«Già, e credevo si trattasse di un furto puro e semplice, perchè, in caso contrario, non li avrei accompagnati. Non ero armato, e mi avevano detto che non lo erano nemmeno loro. Non ho mai potuto dimostrarlo. Li stavo aspettando in strada, in macchina, con il motore acceso, quando dentro è cominciata la sparatoria. Avevo una paura terrìbile, ma non intendevo piantarli in asso, qualunque cosa stesse succedendo. Sono fuggito solo quando ho sentito una sirena che si stava avvicinando.

«Ho saputo più tardi dai giornali che cosa era successo. I miei compagni o avevano lavorato male o avevano calcolato male il tempo e si erano trovati a faccia a faccia con un custode, e subito aveva avuto inizio la sparatoria. Uno di loro era rimasto ucciso. L’altro e il custode erano tutti e due feriti, e il custode è morto quattro mesi dopo. Quello che hanno catturato vivo ha cantato, e in questo modo io venivo a trovarmi nei guai fino al collo. Dovevo battermela. La polizia conosceva i miei precedenti ed era in possesso delle mie impronte digitali e delle mie fotografie, che allora erano vecchie soltanto di qualche anno.»

Chiesi: «Ma a che punto entra in scena Amy, Cass? Come aveva fatto a sapere?»

15

«Amy non entra in scena per tredici anni,» disse Cass. «Ma vi ho già raccontato una volta che cosa ho fatto durante questo periodo. Ricordate?»

«Siete stato per sette anni in una fattoria in Florida, e adesso capisco perchè, poi vi siete trasferito a San Francisco, dove avete iniziato la carriera di cantante professionista. Capisco perchè avete puntato a Occidente invece di tornare a New York. Ma, anche così, non correvate un grosso rischio a scegliere un mestiere che vi avrebbe costretto ad apparire in pubblico?»

«Ho pensato che il rischio non era poi grande. Ero cambiato molto in quei sette anni. Mi ero fatto più maturo, più robusto, più massiccio. Portavo i capelli tagliati cortissimi, come adesso. E per diversi anni ho coltivato i baffi. Solo chi aveva conosciuto molto bene James Norcutt lo avrebbe riconosciuto in Cass Phillips. E quelli che mi avevano conosciuto bene a Detroit e a New York non erano tipi da viaggiare molto o da frequentare i locali notturni. Ero un povero ragazzo, cercate di ricordarlo. Era un rischio calcolato, e l’ho corso, e me la sono cavata. Non ho mai incontrato nessuno che avevo conosciuto nell’Est. Solo Amy… Ma, prima di attaccare con Amy, voglio bere qualcosa. Voi siete sempre del parere che il vostro bicchiere non vi interessa?»

«Tanto vale che beva anch’io, credo. Io…»

Feci il gesto di alzarmi, ma egli mi disse: «No, restate dove siete. Non vorrei che vi venisse la pazza idea di precipitarvi alla porta.»

Tornai a mettermi a sedere. Fece scivolare la rivoltella in tasca, per avere entrambe le mani libere, tornò al banco t si versò da bere, senza togliermi gli occhi da dosso per più di un secondo di seguito. Tornò con il suo bicchiere e il mio.

Disse: «Dopo cinque anni a San Francisco, ho accettato l’offerta che mi veniva da un’altra città. Il proprietario di un club di Las Vegas mi ha visto una sera, mi ha proposto un contratto di tre mesi ed io ho accettato. Ed è stato a Las Vegas che ho conosciuto Amy.

«Anche lei cantava là. A Las Vegas, voglio dire, non nello stesso locale. Non aveva una gran voce, ma era maledettamente graziosa allora, e sapeva come comportarsi davanti al pubblico. Doveva avere poco più di vent’anni, e io ne avevo… vediamo… trentasette, ma sembrava che la differenza di età non contasse molto. Abbiamo provato una profonda simpatia reciproca, abbiamo cominciato a frequentarci, poi è stata qualcosa di più di una simpatia e ci siamo messi assieme.»

«Cantavate assieme?»

«No, i nostri stili erano troppo diversi; non saremmo assolutamente riusciti a far numero. Voglio dire che vivevamo assieme. Io ero innamoratissimo da principio e volevo sposarla, ma Amy si rifiutava di “legarsi”. Credo che si sopravalutasse e si considerasse destinata a una grande carriera a Broadway o nel cinema. Forse, considerando la nostra differenza d’età, era convinta che io sarei stato un sorpassato il giorno in cui ella fosse arrivata al culmine del successo.»

Si strinse nelle spalle. «E forse aveva ragione per ciò che mi riguardava. Io non miravo ad ottenere un successo favoloso, e non vi sarà difficile capire perchè. E lei, forse, avrebbe sfondato, o quasi, se non avesse bevuto. Beveva troppo anche allora, e peggiorava sempre.»

«Per quanto tempo siete vissuti assieme?»

«Per quasi tre anni. Ma procediamo con ordine, perchè è successo qualcosa molto prima. Esauriti i nostri contratti a Las Vegas, Amy intendeva trasferirsi a Los Angeles, perchè pensava che là sarebbe riuscita a cavarsela. E io ho acconsentito, ma ho suggerito che prima ci prendessimo un poco di vacanza, che andassimo a fare un giro a Yosemite e in qualche altro posto. Avevamo lavorato duro tutti e due e non eravamo certo a corto di denaro; potevamo permetterci un poco di vacanza, e ce la siamo presa.

«Verso la metà della settimana, nel tardo pomeriggio, ci siamo fermati alla periferia di una cittadina della California di cui non ricordo neppure il nome e siamo scesi a un motel. Mentre facevo il bagno, Amy mi ha detto che andava a fare un giro in centro; doveva impostare una lettera e fare qualche acquisto all’emporio. Quando è tornata, si comportava in maniera strana, appariva preoccupata, ed io sono riuscito alla fine a farla parlare. Era entrata nell’ufficio postale e le era capitato di guardare gli avvisi esposti nella bacheca. Aveva visto il mio… che allora mi assomigliava un po’ più di adesso.

«La somiglianza era stata comunque sufficiente a preoccuparla. Dopo essersi assicurata che nessuno la guardasse, aveva staccato quell’avviso. Me lo ha mostrato. Se fossi stato furbo, avrei riso e avrei detto che si trattava semplicemente di una somiglianza vaga e accidentale, ma forse ero troppo sbalordito per recitare bene e cavarmela in quel modo. Proprio come quando voi mi avete rivolto quella vostra domanda. Credo che, quando qualcosa mi colpisce all’improvviso, non sono più assolutamente capace di interpretare la scena.

«Mi restava solo da confessarle ogni cosa, e l’ho fatto. L’amavo ancora e mi fidavo di lei, e non pensavo nemmeno che mi avrebbe tradito… o ricattato, con questo.»

«Ha conservato l’avviso per tutti questi anni?»

«No, lo abbiamo bruciato. Poi mi ha giurato che non avrebbe mai rivelato la cosa ad anima viva, ed io ci ho creduto. Poco meno di tre anni dopo, ci siamo divisi. O meglio, è stata Amy ad andarsene. Oh, nessuno di noi due era più innamorato allora. Lei voleva tentare la fortuna a New York, perchè sapeva che era l’unico posto dove io non potevo andare. E così ci siamo lasciati, senza rancori.

«Credo che nemmeno a me la cosa sia spiaciuta eccessivamente. Beveva troppo ormai, e, in ogni modo, non saremmo potuti restare assieme in eterno. Abbiamo deciso di romperla definitivamente e di non scriverci nemmeno. Non l’ho più vista e non ho più saputo niente di lei… fino a un mese fa.»

«E poi Amy è entrata in scena. Come faceva a sapere che eravate qui?»

«Non mi sono preso la briga di chiederglielo, ma non mi è difficile immaginarlo. Un paio di mesi fa è capitato qui un tale che aveva conosciuto Amy e me, mentre eravamo a Los Angeles. Mi ha chiesto di lei, ed io gli ho risposto, in tutta sincerità, che non avevo la minima idea di dove fosse o di che còsa facesse. Ma questo tale era diretto a Est, in macchina, e per ragioni sue deve essersi fermato per un poco a Kansas City. Probabilmente ha incontrato per caso Amy e le ha detto di avermi visto. Non riesco ad immaginare altrimenti come avrebbe potuto scovarmi.»

«E Amy vi ha tassato per cinquanta la settimana?»

«Precisamente. Con aria amichevole, ma non un soldo di meno e niente discussioni soprattutto. Cinquanta la settimana o mi avrebbe denunciato. Aveva un’altra copia di quell’avviso, e me l’ha mostrata. Certo aveva tenuto d’occhio gli uffici postali e doveva averla trovata poco dopo la prima — mio Dio, erano già vecchi allora, e non è possibile che siano esposti ancora adesso — per conservarla come un asso nella manica, per essere in possesso di qualcosa che, un giorno o l’altro, poteva anche riuscirle utile.

«Non che avesse bisogno di un avviso per ricattarmi, perchè avrei sempre potuto strapparglielo di mano quando me lo ha mostrato, o entrare clandestinamente nella sua stanza per recuperarlo. Le sarebbe bastato di chiamare un poliziotto, e per me era finita. Le mie impronte digitali non sono cambiate ed esistono ancora negli archivi.»

«Ma, Cass, è una storia che risale a venticinque anni fa. Non c’è prescrizione per le rapine a mano armata?»

«Credo di sì, in alcuni Stati. Ma dimenticate una cosa: il guardiano che uno dei ragazzi ha colpito è morto quattro mesi dopo, e il reato è venuto di conseguenza a trasformarsi in omicidio. Anche se ero fuori ad aspettare con la macchina, l’imputazione sarebbe pur sempre stata di omicidio. E per l’omicidio non c’è prescrizione.

«E anche se, dopo molti anni, il New Jersey, in un impeto di generosità decidesse di non chiedere la mia estradizione — ma non posso contare su una eventualità del genere, non vi pare? — l’imputazione mi verrebbe a costare tutto quello che ho. Per ottenere la licenza del bar ho dovuto giurare di non avere precedenti penali, e, se risultasse che invece ne ho, non solo perderei la licenza ma sarei anche processato, qui in Arizona, per spergiuro.»

Scosse la testa, adagio. «E poi mi sono reso conto che, con quei cinquanta dollari la settimana, Amy mi avrebbe comunque ridotto al lastrico. Sapete quanto guadagno con questo locale, al netto di tasse e spese? Una cifra discreta, un centinaio di dollari, durante la stagione. E nell’estate, che è ormai prossima, ci sono settimane che non arrivo nemmeno ai cinquanta. Con che cosa avrei mangiato?

«Bob, non volevo uccidere Amy. Ma non avrebbe ascoltato ragioni e non riuscivo a vedere altra via d’uscita. Avrei potuto magari andarmene di qui, con tutto quello che ho, e cercarmi un posto di lavapiatti o di barista. Ma anche così avrebbero finito per scatenarsi alle mie calcagna. Amy era vendicativa quando si arrabbiava, e la mia fuga l’avrebbe certo fatta impazzire di furore. Per rendermi la pariglia mi avrebbe denunciato, e questa volta avrebbero avuto fotografie e descrizione aggiornate, perchè era capitato più di una volta che qualcuno scattasse istantanee qua dentro, ed io non potevo sottrarmi all’obiettivo senza suscitare sospetti. Dovevo per caso seppellirmi di nuovo in una fattoria per altri sette anni ed uscirne quando ne avevo cinquantasette?

«Bene, si trattava di Amy o di me, e ho deciso che doveva essere Amy. Il ricattatore non merita altro che una morte violenta. E a convincermi è stato il fatto che, dopo tutto, Amy non aveva bisogno dei miei soldi; il suo assegno era più che sufficiente, ed aveva vissuto con quello per anni senza lavorare. Io avevo lavorato per quello che avevo, mi guadagnavo ogni dollaro che incassavo. Accidenti, Bob, non potevo continuare a pagare ad Amy cinquanta dollari la settimana; sarei fallito prima di autunno. Se solo si fosse mostrata ragionevole…»

Si sentiva giustificato di aver ucciso Amy. Ma come si sarebbe giustificato se avesse deciso di uccidere anche me? Probabilmente con la legittima difesa: la sua vita o la mia. In qualunque maniera potesse finire quella vecchia imputazione elevata nei suoi confronti nel New Jersey, l’assassinio premeditato di Amy non gli sarebbe certo costato meno della camera a gas.

Ma non volevo che i suoi pensieri prendessero questa direzione. Volevo che continuasse a parlare.

«Che cosa è successo precisamente mercoledì notte?» gli chiesi.

«Credo di potervi raccontare anche questo ormai. Ma ho bisogno di un altro bicchiere. E voi?»

Guardai il mio ed ebbi la sorpresa di vederlo vuoto. Non ricordavo di aver bevuto un solo sorso. Annuii.

Cass si alzò con la rivoltella nella destra e prese i bicchieri con la sinistra. «Non cercate di fare scherzi,» disse. «Se tentate di raggiungere la porta, posso abbattervi prima che abbiate fatto tre passi, e la detonazione, ammesso che qualcuno la senta, verrà scambiata per il rumore dello scappamento di una macchina.»

Appoggiò la rivoltella al banco per avere le mani libere, ma mi tolse gli occhi di dosso solo per i pochi secondi che gli furono necessari per voltarsi e prendere le bottiglie. «Quasi vorrei che tentaste,» continuò ed ora il suo tono era quasi lamentoso. «In questo modo dovrei pur decidermi. Non mi va di uccidere a sangue freddo.»

Dissi: «Avete ucciso Amy a sangue freddo.»

«Credo di sì. Ma senza farla soffrire, questo dovete concedermelo. Dormiva, non ha sentito il coltello, non ha sofferto affatto, non si è neppure accorta di morire. Quanti sono quelli che hanno una morte così facile?»

Tornò a sedersi di fronte a me.

Dissi: «Come mai vi ha lasciato entrare in camera sua, Cass? Non aveva paura di voi? O ci eravate già stato prima?»

«No, non c’ero mai stato. Non avevo mai messo piede nel motel di Birdie. Ma conoscevo il numero della stanza di Amy. Me lo aveva detto lei, e mi aveva detto anche di andarla a trovare qualche sera, dopo che avevo chiuso qui.» Sogghignò, cupo. «Dubito che le sue intenzioni fossero onorevoli. Doveva avere ancora un debole per me, anche se questo non le impediva di ricattarmi. Non le sarebbe spiaciuto di ricominciare dal punto in cui ci eravamo lasciati dieci anni fa. Così, ero sicuro che mi avrebbe lasciato entrare.»

«E siete…?»

«Volete sapere se sono andato a letto con lei e poi l’ho uccisa? No, Bob, non sono poi mascalzone fino a questo punto. Ma doveva aspettarmi, lei, o in caso contrario, non mi avrebbe lasciato entrare senza buttarsi qualcosa addosso. E, accidenti, sono un uomo, io, e Amy aveva uno splendido corpo e, se fossi andato per qualsiasi altra ragione…»

«Avevate un appuntamento? Sapeva che sareste andato da lei?»

Scosse la testa. «No, ma sapevo che mi avrebbe lasciato entrare. Ho tenuto aperto fino alla una mercoledì, perchè non volevo chiudere in anticipo per essere poi magari costretto a dare spiegazioni. Sono andato con la macchina al motel e sapevo che, se Amy non c’era, sarebbe arrivata di lì a qualche minuto, dopo la chiusura del Filone. Dall’altra parte della strada, davanti al motel, c’è una catasta di legna, ricordate? Sono andato a fermarmi là dietro, in modo che la macchina rimanesse nascosta.

«Ma c’era già un’altra macchina là, e l’ho riconosciuta quando i miei fari l’hanno inquadrata. Non pensavo che il suo proprietario potesse essere con Amy, ma, per non correre rischi, mi sono allontanato, e stavo già pensando di rimandare tutto alla sera dopo quando…»

«Di chi era quella macchina?»

«E che importa? Quello è uscito solo dieci minuti dopo, e non dalla costruzione di Amy, ma da quella di Birdie.»

«Di Birdie? Volete dire che Birdie…?»

«E perchè no? Birdie ha poco più di quaranta anni, ed è ancora in discrete condizioni. E le donne grandi e grosse come Birdie piacciono agli uomini magri. Perchè Birdie non dovrebbe avere una relazione, se così le piace, e che diritto avete voi di sorprendervi per questo?

«In ogni modo, quel tale se n’è andato, ed io ho raggiunto subito la porta di Amy ed ho bussato. Doveva essere ancora sveglia, perchè dopo un istante ho sentito la sua voce che chiedeva: “Cass?” E questo, se non altro, dimostra che non riceveva altre visite. Quando ho risposto di sì, ha aperto, mi ha lasciato entrare e poi si è affrettata a chiudere, prima di accendere la luce. Poi è tornata di corsa sul letto e si è avvolta in una coperta. Ma ho avuto il tempo di vedere che era nuda e ho capito che credeva di sapere la ragione per cui ero venuto.

«Non me lo ha detto, naturalmente. Ma io ho aperto la bottiglia di whisky che avevo portato ed ho riempito i bicchieri. Mi sono messo a sedere sul bordo del letto e abbiamo brindato ai vecchi tempi ed alla nostra vecchia amicizia. Mio Dio, come sapeva bere, quella donna! Dopo un poco, ero già quasi ubriaco, e non avevo certo tracannato tutto il giorno. Ma lei era fradicia, non riusciva più a parlare in maniera coerente, ed aveva tanto sonno che doveva ormai aver rinunciato all’idea che andassi a letto con lei. Perchè mi ha detto che avrei fatto meglio a battermela ed a lasciarla dormire.

«E allora ho detto: “Va bene, Amy, ma beviamo il bicchiere della staffa.” Ho riempito ben bene i due bicchieri e le ho dato il suo, ed è stato proprio questo a metterla a terra: il bicchiere della staffa. È crollata e si è addormentata come un sasso.

«E poi… bene, ho fatto quello che ho fatto. E lei non se n’è nemmeno accorta. Ho frugato dappertutto nella stanza. L’avviso non c’era, maledizione, sono rimasto quasi due ore, a cercare in ogni posto possibile. Assieme ai documenti, niente di importante, ho preso il poco denaro che ho trovato, solo per dare l’idea che il movente poteva essere stato il furto. Poi sono uscito, e…»

«Un momento,» lo interruppi. «Non eravate mai stato al motel prima di allora. Come facevate a sapere il trucco di chiudere la porta a chiave dall’interno, e perchè… Un momento, al perchè posso rispondere io. Più tardi la trovavano e più irriconoscibile sarebbe stata la pista. Ma come facevate a sapere il trucco della chiave?»

Mi guardò fissamente. «Me ne ha parlato un cliente, un anno fa. Un certo Bob Spitzer. Ricordate la prima… no, la seconda volta che siete venuto da me quando stavate ancora da Pirdie, e mi avete raccontato che eravate rimasto chiuso fuori? Mi avete spiegato come erano andate le cose, allora. Bene, non sapevo se Birdie aveva fatto poi cambiare la serratura, ma non ci avrei perso nulla a tentare. Non ricordate di avermi raccontato questo episodio?»

«Scusatemi se vi ho interrotto. Continuate, Cass.»

«Una volta fuori, ho ricordato la sua macchina. E sapevo dove con ogni probabilità era. Non avevo prelevato le sue chiavi, ed era troppo tardi ormai per tornare a prenderle, ma ho pensato che certo chiudeva soltanto l’accensione e che in ogni modo non mi sarebbe stato difficile forzare le portiere. Erano aperte ma l’avviso non era nemmeno in macchina. Questo è tutto. Sono tornato a casa. E…»

«Siete stato voi a mettere gli scacciapensieri nello scomparto dei guanti?»

«Mio Dio, erano scacciapensieri? Sì, sono stato io a metterli, ma credevo che fossero capsule di eroina o di morfina. E l’ho fatto, ancora una volta, perchè le indagini prendessero una direzione sbagliata. Volevo lasciarle nella sua stanza, ma me ne sono ricordato solo quando ero già uscito.»

Dissi: «Siete riuscito a far prendere alle indagini una direzione sbagliata. Oggi Mac ha mandato Chico nel Messico e domani arriva il F.B.I. Ma, se non sapevate che cosa erano, come mai si trovavano in vostro possesso?»

«Per un caso puro e semplice. Un poco prima di Natale, cinque mesi fa, è capitata da me una coppia di turisti, tipo Hollywood. Hanno bevuto un bicchiere soltanto, ma la donna ha dimenticato la borsetta sul tavolo, dove io l’ho trovata un’ora più tardi. L’ho messa in un cassetto, sicuro che se ne sarebbero accorti e sarebbero tornati a riprenderla. Invece non si sono più fatti vedere. Quella sera, quando ho chiuso, ho guardato nella borsetta per cercare se c’erano nome e indirizzo, perchè, se li avessi trovati, avrei fatto recapitare la borsetta per posta. Niente documenti invece, ma cinque buone ragioni che dovevano averli consigliati a non correre il rischio di tornare: quelle cinque capsule di stupefacenti. Forse avevano paura che avessi aperto subito la borsetta e avessi chiamato la polizia.

«Forse avrei dovuto consegnare a Mac capsule e tutto, ma ho pensato che sarebbero stati guai; mi avrebbero rivolto un mucchio di domande, forse avrebbero avvertito perfino il F.B.I. Non volevo richiamare l’attenzione su di me, e così ho messo la borsetta in un cassetto che non adoperavo mai, pensando di liberarmene quando avessi attraversato in macchina il deserto… ma poi me ne sono dimenticato completamente.

«Fino a quando non ho deciso di uccidere Amy. E allora ho pensato che, dal momento che sarebbe stato impossibile attribuire a me quelle capsule, sarebbe stato logico nasconderle nella sua stanza, per confondere le idee.»

Si interruppe improvvisamente e mi guardò. «Bene, questo è tutto. E adesso tacete. Basta con le domande. Devo riflettere.»

«Basta con le domande, Cass. Ma voglio dirvi una cosa ancora. È inutile che cerchi di convincervi che possa o voglia mantenere il segreto, sapete benissimo che mentirei. Ma posso convincervi che non ce la farete a cavarvela con…»

«Chiudete il becco!» mi interruppe. E parlava sul serio, maledettamente sul serio. La bocca della rivoltella era appoggiata al bordo della tavola. «Se dite una sola altra parola, sparo, e così una parte del problema sarà risolto e potrò concentrarmi sul resto. Una parola soltanto, e sarete voi a decidere per me. Capito? Rispondete di sì con un cenno del capo, se avete capito.»

Annuii.

Ero fradicio di sudore.

16

Anche Cass sudava. Nella luce incerta, vedevo la sua fronte brillare, lucida di minuscole bollicine.

E mi sembrava di sentire il rumore degli ingranaggi che gli giravano nella testa. Avrebbe potuto benissimo uccidermi e, con ogni probabilità, cavarsela. Bastava che trascinasse il mio cadavere fino alla macchina, che teneva sempre accanto alla porta di servizio, e lo trasportasse nel deserto. Poi mi avrebbe seppellito in un buco nella sabbia, ai piedi di una duna, a poche centinaia di metri dalla strada, e ben difficilmente allora mi avrebbero ritrovato.

La sua versione sarebbe stata semplicissima ed impossibile da controbattere. Avrebbe ammesso che ero venuto; qualcuno poteva avermi visto, o io potevo aver detto a qualcuno dove ero diretto, come lo avevo infatti detto a Charlie Sanger. Ma Cass avrebbe detto che mi aveva offerto un passaggio a Naco, vero anche questo, e che, dopo il mio rifiuto, egli aveva deciso di partire solo. Che io avevo bevuto e poi me n’ero andato, non sapeva dove. E, dopo essersi sbarazzato di me nel deserto, egli avrebbe continuato fino a Naco per crearsi un alibi, avrebbe bevuto qualche bicchiere e sarebbe tornato per mezzanotte circa, in tempo per…

In tempo per fare che cosa? Era questo il punto. Non aveva nulla da perdere a uccidermi, non potevano chiuderlo due volte nella camera a gas, ma non avrebbe avuto nemmeno nulla da guadagnare se, dopo avermi ucciso, non recuperava quell’avviso. E non si sbarazzava anche, oltre che di me, di chi ne conosceva l’esistenza, lo aveva visto o ne era in possesso. Se qualcun altro lo aveva visto. E di questo non poteva essere sicuro; secondo lui, avevo mentito per cercar di salvare la pelle. Probabilmente aveva la convinzione, ma non la certezza, che avevo trovato l’avviso, quel pomeriggio, nella stanza di Amy. E, sempre secondo lui, era possibile che non l’avessi mostrato ad altri; perchè infatti avrei dovuto farlo se solo quella sera ero giunto ad effettuare il riconoscimento? Se me lo avesse trovato addosso, in una delle tasche, non sarei certo rimasto vivo fino a quel momento.

«Un altro bicchiere?» La sua domanda era così imprevista da farmi sobbalzare.

Avrei dovuto rispondere diplomaticamente di sì o di no. Non avevo certo nessuna intenzione di farlo irritare. Ma fu più forte di me, non riuscii a trattenermi. «Il bicchiere della staffa?» domandai a mia volta. «Il bicchiere della staffa, come quello che avete dato ad Amy prima di ucciderla?»

E seppi che, se mai fossi uscito vivo di lì, non avrei più usato quel detto corrente nel suo significato originale. Sarei stato scosso da un brivido ogni volta che lo avessi sentito.

Ma egli si stava alzando. Sembrava che non mi avesse sentito o che non avesse capito quello che avevo detto. In ogni modo, si alzò, tornò dietro al banco e cominciò a riempire due bicchieri abbondanti, terribilmente abbondanti. Aggiunse il ghiaccio.

Aveva sempre la rivoltella a portata di mano, sul banco, ma ora era più trascurato, e mi voltava la schiena più a lungo che non le volte precedenti. Forse sperava davvero che tentassi di fuggire, per aver modo di cogliermi al volo, da sportivo in un certo senso.

Dovevo tentare? Non sapevo se fosse un abile tiratore o meno. Forse sarei riuscito a raggiungere la porta e ad aprirla prima che un proiettile mi colpisse… o mi colpisse in un punto vulnerabile. Forse avrei potuto…

E allora, prima che avessi il tempo di decidermi, ecco che accadde. Ci fu un rumore cigolante, come se qualcuno avesse cercato di abbassare la maniglia della porta d’ingresso, poi un colpo, secco e deciso, venne bussato sul cristallo.

Mi alzai e mi diressi verso la porta mentre la mano di Cass si stringeva intorno al calcio della rivoltella. Dissi (e credo che la mia voce fosse calma): «È Charlie Sanger. Sparate pure adesso, se avete intenzione di farlo, ma con Charlie là fuori nessuno scambierà certo la detonazione per il rumore di uno scappamento.»

E continuai dritto, mentre i brividi mi correvano giù per la schiena, in attesa che il proiettile mi colpisse da un momento all’altro.

Stavo spingendo indietro il catenaccio per lasciare entrare Charlie Sanger quando la rivoltella fece sentire la sua voce. E il proiettile fece centro, ma non su di me. In una frazione di secondo, dopo quel colpo bussato alla porta, avevo fulmineamente capito che non avevo niente da perdere, in ogni modo, che Cass non mi avrebbe certo sparato se la mia morte non gli avesse dato almeno la possibilità di fuggire.

E la mia intuizione risultò esatta. Nei pochi secondi che mi furono necessari per raggiungere la porta Cass era giunto alla conclusione che un proiettile nella testa avrebbe rappresentato una morte più rapida e più facile che non la camera a gas.

«Che cosa diavolo sta succedendo?» chiese Charlie Sanger.

Il Bar Sinistro, l’insegna al neon di Cass, mi aveva salvato. Quando aveva chiuso, si era dimenticato di spegnere quella. Senza di che, Charlie si sarebbe limitato ad abbassare la maniglia, per essere ben sicuro che Cass aveva dato di chiave, ma non si sarebbe certo fermato, non avrebbe insistito, non avrebbe bussato. Ma aveva visto l’insegna al neon accesa ed aveva invece bussato, perchè aveva pensato che forse Cass era ancora là dentro a riordinare, e in questo caso lo avrebbe avvertito che si era dimenticato di girare l’interruttore collegato all’esterno.

Quasi un’ora dopo, e non erano ancora le nove, ero nell’ufficio di polizia, a battere una deposizione che era quasi finita. McNulty, che era arrivato solo pochi minuti dopo di me, stava leggendo al disopra della mia spalla mentre lavoravo a macchina. Da principio aveva cercato di interrogarmi, ma era bastato che cominciassi a scrivere perchè si convincesse che avrei fatto più in fretta a quel modo, ed io non vedevo l’ora di sbrigarmela perchè di lì a poco Tom Acres avrebbe chiuso il suo numero. A meno che non volesse che chiamassi prima Tom e gli trasmettessi l’articolo e poi… McNulty si era rassegnato a lasciarmi fare a modo mio.

Poi ecco comparire Hetherton — non sono mai riuscito a sapere chi gli avesse telefonato per avvertirlo che il caso era risolto — che prima dava una rapida occhiata ai fogli che avevo già scritto e poi continuava a leggere sopra una mia spalla mentre McNulty leggeva sull’altra.

Quando finii, tutti e due mi erano, più o meno, addosso. Tolsi l’ultimo foglio dal rullo e lo firmai. Chiesi a McNulty: «Volete che sigli anche tutte le pagine precedenti?»

Mi rispose che l’idea gli sembrava buona, e lo accontentai. Poi mi alzai e mi diressi verso la porta. McNulty aveva già sollevato il ricevitore e stava chiedendo una comunicazione con lo sceriffo a Douglas. Hetherton era intento a leggere una seconda volta, e con maggiore attenzione, il mio pezzo. Nessuno mi badava, ed io me la battei in fretta.

Entrai nell’ufficio del giornale, accesi la luce, mi sistemai comodamente sulla poltrona e presi il telefono. Ebbi fortuna, perchè fu la voce di Doris a rispondermi.

«Cara,» dissi, «dammi Tom Acres. E, se appena puoi, ascolta anche tu. Il caso di Amy Waggoner è stato risolto.»

«Bob! Chi l’ha uccisa? E chi è stato a scoprirlo?»

«L’ha uccisa Cass Phillips. Ed a scoprirlo sono stato io. E adesso taci, cara, e passami Tom; siamo quasi all’ora della chiusura, ed ho un mucchio di roba da trasmettergli.»

Meno di un minuto dopo stavo parlando con Tom.

Ero arrivato circa alla metà del pezzo quando entrò Hetherton. Mi passò davanti e si mise a sedere alla sua scrivania, guardandomi in silenzio ed ascoltando quello che stavo dicendo nel microfono.

Quando dissi: «Questo è tutto, Tom», Tom rispose: «Bel colpo! Vi farò pagare un extra per questo, non so ancora di quanto perchè devo parlare prima con il proprietario, ma vi assicuro che cercherò di ottenere il massimo. E, se avete avuto l’intelligenza di fare quello che avete fatto, come mai non riuscite a escogitare il sistema per costringere quel bastardo di Hetherton a licenziarvi?»

Guardai Hetherton, nella speranza che avesse sollevato il ricevitore e fosse in ascolto della nostra conversazione. Ma rimasi deluso.

Dissi: «Ma si tratta di una cosa che potrei fare, ecco.»

«Parlate sul serio?» Il tono di Tom era in parte giubilante ed in parte incredulo.

«Forse sì. Vi richiamerò, in ogni modo. Arrivederci.» E interruppi la comunicazione.

Guardai il mio padrone e dissi: «Hetherton, ho un problema da risolvere.» Era la prima volta che, parlando con lui, lo chiamavo Hetherton e non signor Hetherton.

Ammesso che se ne fosse accorto, non fece commenti. «Sì?»

«Ho taciuto qualcosa nella dichiarazione che ho reso a Mac. E in quello che ho raccontato a Tom. Non che fosse una menzogna: non era tutta la verità, semplicemente. Ho detto che, mentre parlavo con Cass, prima che il putiferio avesse inizio, ho ricordato di aver visto, chissà quando e chissà dove, un avviso della polizia con il ritratto di James Norcutt. Non ho specificato dove, e voi invece lo sapete benissimo.» Con un cenno della testa indicai la cassaforte. «Circa il quando, sapete ormai che è stato oggi nel pomeriggio; ricordate perfettamente di avermi lasciato qui da solo, con la cassaforte aperta, perchè dessi un poco di denaro a vostra moglie.»

«Assurdo,» replicò freddamente. «Non esistono avvisi della polizia nella cassaforte.»

Annuii. «Non ne dubito. Quando, stasera, avete saputo che il caso era stato risolto e che Cass si era suicidato, avete pensato, per prima cosa, di venire qui e di distruggere quel pezzo di carta, per passare più tardi nell’ufficio della polizia. A quest’ora l’avviso deve essere ridotto in cenere, e cenere ben ben polverizzata, quanto a questo.»

«Assurdo,» ripeté. E aggiunse: «Non potete dimostrarlo.»

«Non posso,» ammisi. «Così, se ne parlassi, sarebbe la mia parola contro la vostra. Ma c’è un’altra cosa che ho taciuto nella mia deposizione, una cosa che Cass mi ha detto. Direttamente, non ha niente a che vedere con il delitto, e di conseguenza ero nel pieno diritto di tacerla.

«Cass mi ha detto che, quando è arrivato al motel mercoledì sera, un uomo era in visita da Birdie, e che egli ha aspettato che quest’uomo uscisse prima di bussare alla porta di Amy. Ha riconosciuto quell’individuo, ma non mi ha detto chi era.»

Guardai Hetherton, chiedendomi per un istante se per caso la mia ipotesi non era sbagliata, ma giunsi alla conclusione che non era possibile. A prima vista, sembrava pazzesco che, fra tutti, proprio Hetherton avesse una relazione con Birdie. Ma gli opposti possono provare una attrazione reciproca; un ometto magro e smilzo aveva maggiori possibilità degli altri di sentirsi attirato da un donnone rozzo e vitale come Birdie Edwards. E poteva anche essere vero il contrario, a meno che Birdie non ricavasse qualche vantaggio concreto da un simile stato di cose.

E poi, Birdie rappresentava quanto di più opposto si potesse immaginare alla moglie di Hetherton. Con gli occhi della mente rividi la signora Hetherton: piccola, magra, scostante e sostenuta.

Dissi: «Hetherton, quell’uomo eravate voi.»

Hetherton stava calando le arie. Ripeté: «Assurdo!» Ma questa volta aggiunse: «È soltanto una vostra supposizione. Questa volta non si tratterebbe nemmeno della vostra parola contro la mia.»

«Vero,» ammisi. «Ma anche una supposizione può diventare importante se la si ricollega al fatto che voi eravate in possesso di quell’avviso. E, secondo me, potete esserne entrato in possesso in un modo soltanto. Birdie ficca il naso dappertutto, e Amy deve averla incuriosita più di tutti gli altri suoi clienti. Certo ha frugato nella stanza di Amy, ed ha trovato quell’avviso.

«E la cosa deve averla lasciata perplessa. Non credo che abbia ravvisato nella fotografia Cass; non lo conosceva molto bene. Ma forse quel viso le è riuscito vagamente familiare, ed allora ha prelevato il foglio dal nascondiglio dove Amy lo teneva e ve lo ha mostrato durante il vostro appuntamento seguente. E voi lo avete riconosciuto, perchè, in caso contrario, non vi sareste fatto dare l’avviso. Secondo me, non avete detto a Birdie chi era, ma, con qualche pretesto, l’avete convinta a lasciarvelo portare via.

«Non so perchè. Guadagnate molto e molto di più di quello che guadagnava Cass e non è possibile che aveste in animo di ricattarlo. Ma forse vi piaceva l’idea di esserne in possesso, lo consideravate qualcosa di simile a un asso nella manica. Qualcosa che avreste sempre potuto adoperare, quando se ne fosse presentata l’occasione. Credo che vi piaccia di avere il potere sugli altri, come il potere di farmi lavorare per voi per un altro anno quando sarei in grado di guadagnare di più, e di imparare di più sul lavoro giornalistico, da qualche altra parte.»

«È tutto un lavoro di immaginazione il vostro, Spitzer. Lo ammettete anche voi. E non avete la minima prova. Se osate rendere di pubblica ragione una storia del genere…»

«Non ci penso nemmeno. Non mi sono mai piaciuti né i pettegolezzi né i lavori di fantasia. Ma sto pensando se non è il caso che dica a McNulty, e che lo ripeta sotto giuramento all’inchiesta, le due cose che conosco di scienza mia, i due fatti sui quali si fondano le mie ipotesi. Primo: dove e quando ho visto quell’avviso della polizia. Secondo: che Cass mi ha detto di aver visto, alla una di notte di mercoledì, uscire dalla stanza di Birdie un uomo che conosceva, ma di cui non mi ha fatto il nome.

«E credo che molte persone, a cominciare da McNulty, il quale è molto più furbo di quello che immaginavo, accetterebbero per vere le mie affermazioni e giungerebbero alle stesse conclusioni alle quali sono giunto io. Non avrei bisogno, immagino, di esporre ad alta voce le mie deduzioni.»

Lo avevo fatto sudare, e sapevo che la mia ipotesi corrispondeva alla realtà, dal principio alla fine. Il suo viso non era minimamente mutato, ma aveva la fronte lucida di goccioline umide. Chiese: «Si tratta di un ricatto, Spitzer?»

«No. La mia coscienza lotta semplicemente per decidere, se devo riferire questi due fatti che non sono lavoro dell’immaginazione, se è o meno mio dovere di denunciarli. Qualunque cifra intendiate offrirmi, e spero che non siate così sciocco da offrirmi del denaro, e qualunque cosa intendiate fare, licenziamento compreso, non faccio promesse. Ma devo ammettere che, se non fossi più in questo giornale, in questa città, se non lavorassi più per voi e non dovessi più vedervi tutti i giorni, ci penserei meno. Avrei altre cose di cui preoccuparmi, sulle quali riflettere. Ma, qui o altrove, non faccio promesse. Il minimo che meritate è di tremare un poco… di chiedervi continuamente che cosa ricorderò all’inchiesta.»

Mi fissò a lungo, ed io sostenni il suo sguardo, impassibile. Alla fine disse: «Siete licenziato.»

Tutto era stato semplicissimo. Ricatto? No, in fondo; Hetherton non aveva modo di sapere e non intendeva correre rischi, ma io non avevo la minima intenzione di rivelare i fatti, né all’inchiesta né altrove. Cass era morto e il caso era chiuso. Solo il desiderio di vendetta avrebbe potuto spingermi a suscitare uno scandalo che avrebbe travolto non solo Hetherton ma anche Birdie. E, anche se avessi potuto danneggiare Hetherton senza fare del male a Birdie, avrei taciuto. Lo avevo già deciso, e stavo semplicemente bluffando.

Presi il telefono, e fu la voce di Doris a rispondermi. «Doris,» dissi, «hai ascoltato tutto quello che ho trasmesso a Bisbee?»

«Sì, caro. E che cosa era, alla fine della conversazione, quella storia di una certa qual possibilità di venire licenziato?»

«Passami ancora Tom Acres e lo saprai. E questa volta ascolta bene, anche se le spie del centralino continuano ad accendersi e spegnersi.»

Quaranta secondi dopo dicevo a Tom: «Sono stato licenziato.»

«Meraviglioso! E siete stato anche assunto. Quando volete cominciare? Lunedì? O volete prendervi una settimana di riposo e cominciare l’altro lunedì?»

«Ve lo farò sapere dopo aver parlato con Doris, Tom.»

«Benissimo, cominciate quando volete. E non pensate più a quell’extra per l’articolo di stasera. Ho dovuto lottare con il proprietario per farvene assegnare uno decente. Ma adesso, invece, comincerete a settantacinque la settimana e non più a sessantacinque. Sono io a stabilire gli stipendi, e non ho quindi bisogno di chiedere autorizzazioni per questo.»

«Fatto. E adesso lasciate libera la linea. Doris sta ascoltando e devo parlarle.»

Ed ecco la voce di Doris a interromperci. «Salve, Tom. E arrivederci.» Tom rise, e ci fu uno scatto mentre la comunicazione veniva interrotta.

Dissi: «Doris, ora che ci ripenso, ti chiamerò più tardi dal telefono pubblico dell’emporio. C’è qui qualcuno, e ciò che devo dirti è… bene, personale. Non allontanarti.»

Riagganciai e mi alzai. Sulla soglia, mi voltai e dissi: «Arrivederci, signor Hetherton.» Ma non rispose, e ne fui contento. Aveva un’aria vecchia ed abbattuta, e mi sentivo spiacente per lui. Se si fosse mostrato gentile al momento del congedo, mi sarei sentito ancora più spiacente, ed era una cosa, questa, che non volevo.

Sull’altro marciapiede, davanti all’ufficio di polizia, vidi Charlie Sanger; aveva l’abitudine di uscire spesso per respirare una boccata d’aria e per guardarsi attorno. Lo salutai con un cenno, ed egli mi rispose.

Puntai in direzione dell’emporio.

E mancò poco che andassi ad urtare contro Herbie Pembrook, che mi guardava con aria minacciosa, come sempre. Avevo completamente dimenticato i miei sospetti nei confronti di Herbie. Era per caso diretto al giornale per saldare i conti con me? Era così, a quanto pareva. Mi bloccò e mi puntò un dito sul petto. «Voi,» disse, «siete stato nella mia stanza, questo pomeriggio. E io non…»

Non lo lasciai finire. Mi sentivo in quel momento pieno di coraggio e di decisione: non intendevo lasciare Mayville senza aver sistemato le cose con Herbie. Anche a pugni, se era così che la voleva. Il tempo e il luogo erano quanto di più indicato si potesse immaginare per una rissa, perchè Charlie era lì, a pochi passi, e non ci perdeva d’occhio. Se Herbie avesse fatto ricorso a mezzi sleali, avesse impugnato il coltello, Charlie sarebbe arrivato in tempo a bloccarlo.

«Sì,» lo interruppi. «Sono stato nella vostra stanza, perchè pensavo che forse eravate stato voi ad uccidere Amy. Adesso so che non siete stato voi. Me ne vado di qui, forse domani, ma non voglio che pensiate che me la batto perchè me lo avete detto voi. E, prima che me ne vada, se andate in cerca di rogne…»

Ma non terminai la frase, sbalordito. Ero sbalordito perchè il cipiglio minaccioso si era improvvisamente trasformato in un ampio sorriso. «Non vado in cerca di rogne, se ve ne andate. Non ho niente contro di voi. Buona fortuna.»

Si voltò e si avviò nella direzione dalla quale era venuto, mentre io continuavo a fissare la sua schiena, più sbalordito che mai. Poi mi rivolsi a Charlie e vidi che stava attraversando la strada verso di me. Forse la vista di Charlie aveva persuaso Herbie a battersela, ma… quel sorriso era stato sincero, sincero come il suo cipiglio di pochi secondi prima; Herbie non era certo un attore. Ed era stato sincero anche quando mi aveva augurato buona fortuna.

«Che diavolo succede?» chiesi a Charlie.

«Siete in urto con Herbie, per caso?» Mi parve di notare nei suoi occhi una espressione divertita.

«Lo ero. Ma…» E gli raccontai tutto. Prima che finissi, egli scoppiò a ridere.

«Avrei dovuto parlarvi di lui già da molto tempo. Me ne sono dimenticato. Herbie è innocuo… ma se la prende sempre con i giovani cronisti del Sun. E non è che sia pericoloso per loro, cerca soltanto di spaventarli e di costringerli ad andarsene. Non ha nulla contro di loro personalmente.»

«Ma perchè? Che cosa ha contro i cronisti del Sun

«Solo contro quelli giovani e di bell’aspetto. In genere, con lo stipendio che paga, Hetherton riesce a trovare unicamente ragazzini appena usciti dalla scuola o vecchi giornalisti qualificati che non riuscirebbero a sistemarsi altrove. Ma ogni tanto, per un breve periodo di tempo, si assicura qualcuno come voi… ed è allora che Herbie si preoccupa. I ragazzi e i vecchi non gli fanno né caldo né freddo.»

«Ma perchè

Charlie tornò a ridere. «Herbie è innamorato. Innamorato come un collegiale. È innamorato di Alicia Howell da quando avevano tutti e due dieci anni. Alicia è al Sun, ed Herbie si si preoccupa e diventa geloso quando a lavorare con lei c’è qualcuno più o meno della sua stessa età. Ha paura allora che Alicia si innamori.»

«Mio Dio!» esclamai. «Alicia Howell…»

«Già. Come vi ha già detto Herbie, buona fortuna.» E si diresse con passo strascicato verso la porta dell’ufficio di polizia, lasciandomi più sbalordito che mai; se i fatti erano stati tali da rendermi perplesso, la spiegazione era addirittura incredibile. Povero Herbie Pembrook, innamorato senza speranza per tutti quegli anni… E povera Alicia Howell, che certo non aveva mai incoraggiato Herbie, ma che probabilmente non era riuscita mai e non sarebbe riuscita mai a trovarsi un altro spasimante…

Dovetti scuotere la testa per schiarire le idee prima di entrare nella cabina del telefono e di chiudermi la porta alle spalle. Infilai la moneta nella scanalatura e subito fui in linea con Doris.

«Cara,» dissi, «saresti disposta a sposarmi subito?»

«Certo, Bob. Vediamo un poco… non ho bisogno di dare preavviso qui perchè ci sono già due ragazze in attesa di assumere il posto di centraliniste… ma comunque saranno necessarie almeno quarantotto ore. La prova del sangue e tutte quelle altre formalità. Com’è il tuo sangue?»

«Bollente. Ma ho un’idea migliore. Potremmo sposarci al Messico stasera. Strada facendo, preleviamo Tom e sua moglie come testimoni, e… Bene, se ti passassi a prendere a mezzanotte, al termine del tuo turno, saremmo là per la una.»

«Bob, mezzanotte è troppo tardi per partire per il Messico.»

«E va bene.» Ero deluso, ma in fondo non avevo mai creduto che acconsentisse ad una cerimonia così precipitosa. «Domani allora?»

«Non intendevo questo. Volevo dire che, dal momento che mi dimetto e dal momento che non c’è molto lavoro stasera… Carmelita sarà in grado di cavarsela con un solo centralino, e che differenza fa se lavoro altre due ore o me ne vado subito? Mi vuoi aspettare qui fuori dopo avermi dato il tempo necessario per lavarmi la faccia e per rivestirmi?»

«Vengo subito.»

E, per fare più in fretta, corsi verso il punto dove avevo lasciato la macchina.

FINE