Anche pubblicato come “L’infiltrazione”.

Poul Anderson

Nessuna tregua con i re

Antiche e intoccabili stanno… stanno
le Trombe!
Ancora le Trombe, perché il tremore
abbrividente della terra
rumoreggia sull’oceano delle aspre,
implacabili Trombe…
Le Trombe dell’Avanguardia che hanno
giurato: nessuna tregua con i re!

RUDYARD KIPLING

— Una canzone, Charlie! Cantaci qualcosa!

— Dai, Charlie!

Dentro la mensa erano tutti ubriachi e gli ufficiali di grado più basso, in fondo al tavolo, facevano addirittura più chiasso dei loro superiori che circondavano il colonnello. Neppure i tappeti e i drappeggi riuscivano ad attenuare il frastuono che riecheggiava tra le pareti di pietra, provocato dalle grida, dagli stivali, dai pugni pestati sulla quercia, dal tintinnare delle tazze innalzate nei brindisi. Le bandiere del reggimento, appese in alto alle travi nascoste nell’ombra, si muovevano nella corrente come per prendere parte a quel caos, mentre le lanterne sui loro ganci e le fiamme nel camino illuminavano ammiccanti le armi e i trofei.

A Echo Summit l’autunno è precoce e fuori dall’edificio imperversava la tempesta. Il sibilo del vento tra le torri di guardia e gli scrosci di pioggia nei cortili creavano un sottofondo invadente. In quella notte del diciannove settembre, sembrava veramente che i morti usciti dal cimitero stessero cercando la strada per arrivare alla festa, come voleva la leggenda. Ma nessuno ci pensava nella mensa, e neppure nelle camerate, fatta eccezione per il maggiore. La Terza Divisione, detta dei Catamounts o dei Leopardi, era nota come la più scalmanata dell’intero esercito degli Stati Americani del Pacifico. Il reggimento dei Rolling Stones, poi, era il più scatenato di tutti.

— Forza ragazzo, inizia! Sei l’unico che canta decentemente nell’arco di tutta questa maledetta Sierra — urlò il colonnello Mackenzie. Sbottonandosi il colletto della giubba nera si rilassò sulla sedia a gambe larghe, con la pipa in una mano e un whisky nell’altra. Era tozzo e con due occhi azzurri attorniati da una rete di rughe. Sul volto segnato spiccavano dei baffi rossi e aggressivi che contrastavano con i cortissimi capelli grigi.

— Charlie è quello che preferisco, quello che preferisco, quello che preferisco — cantilenò il capitano Hulse. Il chiasso si attenuò un poco e il giovane tenente Amedeo si alzò in piedi sogghignando e intonando una canzone ben nota a tutti.

«Sono un leopardo e son guardiano di frontiera,
e appena esco, il freddo mi ghiaccia la…»

— Scusi, signor colonnello.

Mackenzie si volse a guardare il sergente Irwin e la sua espressione lo sconvolse.

— Sì?

«Sono un eroe, decorato sul campo,
ornato anche della Lancia Purpurea!»

— È arrivato un messaggio, signore. Il maggiore Speyer desidera parlare subito con lei.

Detestando l’idea di ubriacarsi, il maggiore Speyer si era offerto per il turno di notte, al contrario degli altri che avevano tirato a sorte. Mackenzie riandò con la mente alle ultime novità da San Francisco e gli vennero i brividi.

Intenti a sbraitare il ritornello, gli ufficiali presenti nella mensa non si accorsero neppure che il colonnello aveva vuotato la pipa e si era alzato in piedi.

«Bum-bum-bum fanno i cannoni,
sibilano i razzi, fischiano le frecce,
non c’è posto fra i morti… Oh, cielo!
Voglio tornare dalla mia mamma!
(Hey, doodle dee day!)»

Tutti i Leopardi con la testa a posto sostenevano di ottenere migliori risultati loro quando erano ubriachi fradici che le altre divisioni da sobrie. E infatti il colonnello ignorò l’alcool che gli scorreva nelle vene e si diresse deciso verso la porta, prendendo con un gesto automatico la pistola. Le note della canzone lo accompagnarono lungo il corridoio.

«Nel rancio i vermi sono a decine.
Mordi un po’ un panino, e quello morde te!
Il caffè è purissima melma di Sacramento,
il sugo pare sangue sparso in battaglia.
(Coo-oro!)
Bum fa il tamburo! Oh-oh, come rimbomba!
E la tromba sembra quella degli angeli… »

In corridoio le luci erano molto distanziate tra di loro. I quadri dei precedenti comandanti fissavano i due uomini con occhi nascosti nelle tenebre. I passi riecheggiavano fastidiosamente.

«Ho una freccia proprio nel sedere,
su, dietro front, compagni, facciamogliela pagare!
(Hey, doodle dee day!)»

Il colonnello oltrepassò i due pezzi del bottino di Rock Springs, guerra del Wyoming nella generazione precedente, che fiancheggiavano la scala e salì. In quel forte le distanze andavano sempre al di là delle sue possibilità fisiche. Del resto si trattava di una vecchia fortezza situata in un punto chiave dei confini della nazione e si era ingrandita con il passare dei secoli. Era massiccia e impastata con il granito della Sierra. Contro le sue mura si erano scontrati numerosi eserciti prima che sulle paludi del Nevada scendesse la pace e ancora di più erano stati quelli che ne erano partiti per andare incontro alla morte in mezzo a popoli sconosciuti e crudeli… troppi da ricordare.

Ma ancora nessuno l’ha assalita da Ovest. Questo glielo puoi risparmiare, Dio, chiunque tu sia!

L’ufficio del comando era deserto, quello del sergente Irwin immerso nel silenzio: nessun rumore di penne, nessun portaordini che andava avanti e indietro, nessuna donna che attendeva di essere ricevuta dal colonnello per qualche problema del Villaggio e colorava l’ambiente con i suoi vestiti. Quando aprì la porta del suo ufficio Mackenzie sentì il vento ululare. La pioggia scrosciava sui vetri scuri creando dei veri e propri torrenti che alla luce delle lanterne parevano di metallo fuso.

— È arrivato il colonnello, signore — disse Irwin con voce incerta. Deglutì e richiuse la porta.

Speyer aspettava in piedi, vicino alla scrivania. Il mobile era vecchio e in cattivo stato; vi erano appoggiati sopra solo pochi oggetti: un calamaio, un cestino per la posta, un citofono e una fotografia di Nora ormai sbiadita dal tempo (erano passati ben dodici anni dalla sua morte). Mackenzie osservò il maggiore. Aveva una figura allampanata, con il naso aquilino e un’incipiente calvizie e la sua uniforme era sempre sgualcita… ma possedeva la mente più acuta di tutti i Leopardi. Nessun altro poteva aver letto quanto lui! Più che il suo aiutante, Phil era il suo più importante consigliere.

— Allora? — chiese. L’alcool non lo disturbava, anzi lo rendeva più lucido. Avvertiva l’odore caldo delle lanterne — chissà quando avrebbero avuto delle lampade elettriche! — e la durezza del pavimento. Sentì il freddo che la stufa non riusciva a scacciare e notò persino una crepa nella parete a Nord. Per apparire spavaldo infilò i pollici nella cintura e iniziò a dondolarsi. — C’è un altro guaio, Phil?

— È arrivato un telegramma da Frisco — rispose Speyer porgendogli un foglio di carta con il quale aveva giocherellato fino a quel momento.

— Perché non hanno usato la radio?

— Per non essere intercettati. Questo telegramma è addirittura in codice. Lo ha decifrato Irwin.

— Ma cosa significa tutto ciò?

— Guardalo un momento, Jimbo, e lo capirai. È indirizzato proprio a te. Viene dal Quartier Generale.

Mackenzie cercò di concentrarsi sugli scarabocchi di Irwin. Lesse le formalità di rito e poi…

«Con la presente la informiamo che il Senato degli Stati del Pacifico ha approvato con la prescritta maggioranza la messa in stato di accusa di Owen Brodsky, Giudice degli Stati Americani del Pacifico, e lo ha privato della sua carica. In base alla Legge di Successione, dalle ore venti di oggi viene riconosciuto Giudice degli SAP il vice Humphrey Fallon. A causa della presenza di pericolosi dissidenti il Giudice Fallon si è visto costretto a proclamare la legge marziale su tutta la nazione, che entrerà in vigore a partire dalle ore ventuno di oggi. Pertanto le vengono notificate le seguenti normative:

«1. Le precedenti notizie devono essere ritenute strettamente confidenziali fino al momento della proclamazione ufficiale, quindi nessuno che ne sia a conoscenza dovrà riferirle a chicchessia. I trasgressori saranno immediatamente rinchiusi in cella d’isolamento nell’attesa di essere giudicati dalla corte marziale.

«2. Provvederà a requisire tutte le armi e le munizioni tranne il dieci per cento delle scorte e a farle custodire in maniera adeguata.

«3. Terrà i suoi uomini a Fort Nakamura fino a quando arriverà il suo sostituto, il colonnello Simon Hollis. Il colonnello lascerà San Francisco domattina con un pallone e si calcola che giungerà al forte in cinque giorni. Al suo arrivo gli passerà le consegne. Alcuni ufficiali e militari verranno sostituiti da membri del suo battaglione che sarà successivamente integrato nel reggimento. Lei e gli uomini rimpiazzati andrete a San Francisco e vi recherete a rapporto dal generale di brigata Mendoza a New Fort Baker. Per prevenire problemi di qualsiasi tipo solo gli ufficiali potranno tenere le pistole, gli altri dovranno essere disarmati.

«4. A titolo personale la informiamo che il capitano Thomas Danielis è stato nominato aiutante in prima del colonnello Hollis.

«5. Torniamo a ripetere che negli Stati Americani del Pacifico vige la legge marziale a seguito della situazione di emergenza nazionale. Si esige la più totale dedizione al governo legale. Ogni insubordinazione, anche solo verbale, sarà punita duramente. Verrà ritenuto colpevole di tradimento e trattato di conseguenza chiunque presti aiuto ai seguaci di Brodsky.»

GERALD O’DONNELL, generale dell’Esercito degli Stati Americani del Pacifico, Comandante in capo

I tuoni riecheggiavano tra le montagne come delle scariche di artiglieria. Mackenzie rimase immobile a lungo, muovendosi alla fine solo per appoggiare il telegramma sulla scrivania. A poco a poco riuscì a riordinare le idee.

— Hanno avuto il coraggio di farlo davvero — commentò Speyer impassibile. — Davvero.

— Cosa? — Il colonnello si voltò verso il suo aiutante che non riuscì a sostenerne lo sguardo. Stava arrotolando una sigaretta e cercò di concentrarsi su quel gesto, ma le parole gli sgorgarono spontanee, veloci e secche.

— Non faccio nessuna fatica a immaginare quello che è accaduto. I falchi hanno iniziato a premere per mettere sotto stato d’accusa Brodsky quando questi ha risolto con un compromesso la storia dei confini con il Canada Occidentale. Fallon è ambizioso ma senza togliere di mezzo Brodsky non sarebbe mai riuscito ad avere la carica in maniera regolare. I suoi sostenitori sono troppo pochi e il Giudice non è poi tanto più vecchio di lui da lasciargli il posto. Inoltre la maggior parte dei senatori è soddisfatta così e non è certo disposta a riconoscere agli Stati del Pacifico il mandato divino di unificare il continente. Non mi sembra possibile che il Senato abbia approvato un simile provvedimento. Fallon si sarebbe trovato in minoranza.

— Eppure il Senato è stato convocato, l’ha detto anche la radio — disse Mackenzie come se a parlare fosse un altro.

— Senza dubbio. Doveva discutere la ratifica del trattato con il Canada Occidentale. Ma i senatori vivono sparsi per il paese, ognuno nella sua nazione e per votare dovevano spostarsi. Una serie di ritardi… se avessero fatto saltare uno dei ponti della ferrovia di Boise almeno una dozzina dei sostenitori di Brodsky non avrebbe fatto in tempo ad arrivare… in tal caso in Senato sarebbero diventati più numerosi i falchi di Fallon e si sarebbe raggiunto il quorum. In più la riunione è stata indetta in un giorno festivo e nessuno ci ha fatto caso. Così, in tempo record, ecco la messa in stato di accusa e il nuovo giudice! — Speyer riuscì ad arrotolare la sigaretta e se la mise tra le labbra mentre andava in cerca di un fiammifero.

— Ne sei certo? — mormorò Mackenzie. Gli tornò in mente quella volta, l’unica, che era stato a Puget City. Era stato invitato sullo yacht del Guardiano e si erano trovati immersi nella nebbia. Adesso come allora era tutto freddo, impenetrabile e senza appigli.

— Non al cento per cento, naturale! — ringhiò Speyer. — Non potremo esserne sicuri se non quando sarà troppo tardi. — La scatoletta dei fiammiferi gli tremò tra le dita.

— E… hanno già un nuovo comandante in capo allora.

— Sicuro! Devono eliminare le persone di cui non si fidano e devono farlo in fretta. De Barros era stato nominato da Brodsky. — Il fiammifero prese fuoco con un terribile scricchiolio. Speyer aspirò fino a incavare le guance. — E anche noi. Le armi a disposizione vengono limitate il più possibile per evitare ribellioni quando arriverà il nuovo colonnello. Sta venendo qui con un battaglione per essere più sicuro. Perché non prendere un aereo?

— O magari un treno? — Mackenzie sentendo l’odore del fumo cercò la sua pipa nella tasca della giubba. Era ancora calda.

— Credo che tutto il materiale trasportabile sia stato trasferito nel Nord per difendere i padroni di quelle terre da una ribellione. Le valli invece sono relativamente sicure, abitate come sono da allevatori pacifici e da colonie di Espisti. Nessuno di questi farà degli attentati alle truppe di Fallon che vanno a presidiare gli avamposti di Echo e di Donner — disse Speyer sprezzante.

— Cosa dobbiamo fare secondo te?

— Suppongo che Fallon abbia ottenuto la carica legalmente… intendo dire con il voto della maggioranza… Non sapremo mai se la Costituzione è stata rispettata. Ho letto e riletto quella dannata comunicazione dopo averla fatta decifrare da Irwin. È piena di sottintesi. Ne ho dedotto, per esempio, che Brodsky è ancora libero. Se l’avessero preso, lo avrebbero detto e non si preoccuperebbero tanto delle rivolte. Magari le sue truppe hanno avuto il tempo di portarlo via. Certamente lo stanno cercando come se fosse una preda.

Mackenzie tirò fuori la pipa dalla tasca ma se ne dimenticò subito.

— Con i nostri sostituti arriverà anche Tom — disse a bassa voce.

— Già, tuo genero. Che idea brillante. Serve a tenerti buono e nello stesso tempo a garantirti che non ti succederà niente se eseguirai gli ordini. Tom è un bravo ragazzo e non tradirebbe mai i suoi.

— Questo reggimento è anche il suo — disse Mackenzie. — Desiderava combattere contro il Canada Occidentale. È giovane… tantissimi cittadini del Pacifico hanno perso la vita durante le scaramucce nell’Idaho, anche donne e bambini.

— Be’ — commentò Speyer. — Comunque sei tu il colonnello. Cosa dobbiamo fare?

— Non lo so. Sono solo un soldato. — Spezzò tra le dita la cannuccia della pipa. — Ma un reggimento non appartiene a un individuo, deve difendere la Costituzione.

— Io non riesco proprio a capire come la rinuncia a parte delle rivendicazioni sull’Idaho possa essere un motivo sufficiente per mettere in stato d’accusa Brodsky. Per me aveva agito bene.

— Ma…

— Qualsiasi altro pretesto non avrebbe giustificato il colpo di stato. Forse non hai ben chiari i fatti, Jimbo, ma sai bene quanto me cosa vuol dire la carica di Giudice in mano a Fallon. La guerra con il Canada Occidentale sarà il minimo! Fallon vuole un governo centrale con pieni poteri e troverà senz’altro il modo di ottenerlo schiacciando le vecchie famiglie dei padroni: alcuni li manderà al fronte a morire. È un trucco che risale a Davide e a Uriah. Altri li accuserà di collusione con i sostenitori di Brodsky, e in parte è vero, e li ridurrà in miseria a furia di multe. Gli Espisti avranno vaste concessioni fondiarie e con la loro concorrenza le altre proprietà agricole andranno in fallimento. Infine con le guerre terrà lontani i padroni così a lungo che i loro affari andranno a rotoli. Ecco come avanzeremo verso la gloriosa Riunificazione.

— Cosa potremo fare se gli Espisti sono dalla sua parte? So già abbastanza sulle esplosioni psi, non ho il coraggio di farle affrontare ai miei uomini.

— Se tu gli chiedessi di affrontare la Bomba Infernale lo farebbero. Da più di cinquant’anni è Mackenzie il comandante dei Sassi Rotolanti.

— È vero, ma credevo che un giorno Tom…

— Ce lo aspettavamo da tempo, ormai. Ne abbiamo parlato giusto la settimana scorsa, ricordi?

— Sì.

— E potrei anche rammentarti che la Costituzione è stata fatta proprio con lo scopo di salvaguardare le libertà delle diverse regioni.

— Smettila! — gridò Mackenzie. — Non riesco più a capire cosa sia giusto e cosa non lo sia. Lasciami stare!

Speyer tacque e lo osservò attraverso una cortina di fumo maleodorante. Mackenzie camminò per l’ufficio avanti e indietro, facendo risuonare gli stivali come tamburi, poi scagliò la pipa che si frantumò in mille pezzi.

— Eva bene. — Si sforzò di parlare nonostante il groppo che gli serrava la gola. — Irwin è una persona affidabile. Fagli tagliare la linea del telegrafo un po’ più a valle, come se fosse stata la tempesta. Del resto i fili si rompono anche troppo di frequente. Diremo di non aver mai ricevuto il telegramma del Quartier Generale. In tal modo avremo qualche giorno di tempo per metterci in contatto con il Comando della Sierra. Non voglio mettermi contro il generale Cruikshank… ma so perfettamente come si comporterà scorgendo un’opportunità favorevole. Domani prepareremo un piano. Respingere il battaglione di Hollis non sarà una grande impresa ma gli comporterà la perdita di qualche tempo per trovare forze sufficienti a sconfiggerci. Nel frattempo arriverà la neve e rimarremo isolati, anche se noi disponiamo di sci e racchette per mantenere i contatti con le altre unità. In primavera… vedremo.

— Ti ringrazio, Jimbo. — Le parole di Speyer furono sovrastate dal vento.

— Bisogna… che lo dica a Laura.

— Sì. — Speyer strinse una spalla di Mackenzie con gli occhi colmi di lacrime.

Il colonnello se ne andò a passo militaresco, ignorando Irwin. Proseguì per il corridoio, fece le scale, oltrepassò le sentinelle senza neanche accorgersene e finalmente arrivò nel suo alloggio, nella parte meridionale del forte. Sua figlia dormiva. Mackenzie prese una lanterna dal modesto salottino ed entrò nella camera della giovane. Era tornata a vivere con lui mentre suo marito si trovava a San Francisco.

In quel momento, Mackenzie faticava a ricordare il motivo per cui ce lo aveva mandato. Si passò una mano tra i capelli ispidi, come per aiutare la memoria… Ah, ecco! Per ordinare le nuove uniformi. In realtà per metterlo al sicuro fino a quando avessero superato quella crisi politica. Tom era troppo onesto per non soccombere, inoltre ammirava Fallon e gli Espisti. Aveva già avuto degli scontri con gli altri ufficiali a causa della sua sincerità, e quegli ufficiali erano quasi tutti di famiglie ricche o padronali. A loro le cose andavano bene così, ma per Tom Danielis era diverso. Aveva iniziato la sua carriera facendo il pescatore in un villaggio poverissimo della costa di Mendocino e frequentando gli Espisti nel tempo libero. Dopo aver imparato quello che gli serviva si era arruolato arrivando ai gradi di ufficiale solo per merito della sua intelligenza e del suo coraggio. Però non aveva mai scordato che gli Espisti aiutavano i poveri, e Fallon era dalla loro parte… e prometteva battaglie, gloria, la Riunificazione, la Democrazia Federale… e tutti i sogni accattivanti dei giovani.

La camera di Laura era rimasta quasi uguale all’anno prima, quando si era sposata. Allora aveva solo diciassette anni e la sua camera era ancora quella di una bambina con le trecce e i grembiuli inamidati. C’era l’amato orsacchiotto, logorato dal continuo giocare, c’era la casa per le bambole che le aveva fatto lui e c’era il ritratto della mamma, fatto da un caporale che era stato poi ucciso sul Lago Salato. Santo Dio, come assomigliava alla madre adesso!

I capelli scuri erano sparsi sul cuscino inondato di luce. Mackenzie la toccò il più delicatamente possibile e lei si svegliò subito, con gli occhi colmi di terrore.

— Papà! Hai notizie di Tom?

— Sta benone. — Il colonnello appoggiò a terra la lanterna e si sedette sul bordo del letto. Strinse la mano della figlia e si accorse che aveva le dita gelate.

— Non dirmi bugie. Ti conosco troppo bene.

— Non è successo proprio niente, per ora. E spero che vada avanti così.

Mackenzie si fece coraggio. Laura era figlia di un soldato, perciò le disse tutto senza giri di parole, senza riuscire però a guardarla negli occhi. Dopo aver parlato rimase seduto immobile ad ascoltare la pioggia.

— Intendi opporti — sussurrò Laura.

— Voglio parlare con il Comando della Sierra ed eseguirò solo gli ordini del mio diretto superiore.

— Tanto sai già quali saranno… appena gli avrai detto che sei dalla sua parte.

Mackenzie alzò le spalle. Sentiva la testa pesante: i postumi della sbornia? Eppure per addormentarsi avrebbe avuto bisogno di bere ancora molto. No, gliene sarebbe mancato il tempo… anzi, sì. L’indomani avrebbe radunato i suoi uomini in cortile e gli avrebbe parlato dalla culatta della Black Hepzibah, come i Mackenzie avevano fatto da sempre e… si ritrovò a pensare a un giorno ormai lontano, in cui era andato con Nora e Laura sul Lago Tahoe.

L’acqua era verde-azzurra, come gli occhi di Nora, dorata dal sole ma trasparente al punto che si distinguevano i sassi del fondo. Erano in barca e Laura, a poppa, immergeva le mani.

Dopo aver riflettuto per un momento la ragazza si rivolse al padre: — Immagino che sia inutile cercare di farti cambiare idea. — Mackenzie scosse la testa. — Allora mi lasci partire domani mattina presto?

— Sì, ti farò avere una carrozza.

— Lascia perdere la carrozza! Cavalco meglio di te!

— E va bene. Ma ti darò un paio di uomini di scorta. — Mackenzie fece un lungo respiro. — Forse tu ce la farai a convincere Tom…

— Ti prego, non chiedermelo, papà. Mackenzie le fece l’ultimo regalo che poteva farle.

— Non ti avrei mai obbligato a rimanere. Devi raggiungerlo. Ma digli che dubito ancora che sia degno di te. Buonanotte, passerotto. — Avrebbe potuto fermarsi ancora, ma non ne aveva il coraggio. Quando Laura iniziò a piangere, dovette staccarsela dal collo a forza, poi se ne andò.

— Non credevo che ci sarebbero stati tanti morti!

— Neanch’io… in questa fase. E ce ne saranno altri, purtroppo, prima di aver raggiunto il nostro scopo.

— Però mi avevi detto…

— Ti avevo parlato delle nostre speranze, Mwyr, ma sai perfettamente anche tu che la Grande Scienza agisce a un livello più alto di quello della storia e che i fatti individuali sono soggetti alle fluttuazioni statistiche.

— Certo che è comodo parlare in questi termini di persone che muoiono nel fango!

— Sei appena arrivato e devi ancora capire che la teoria e la pratica sono due cose ben distinte. Credi che non mi dispiaccia vedersi realizzare quello che ho pianificato?

— Lo so, ma questo non mi rende più facile sopportare il senso di colpa.

— Intendi dire assumerti le tue responsabilità?

— Questa frase è tua.

— Guarda che non è un gioco di parole. È una autentica disposizione. Tu hai studiato i rapporti e hai visto i filmati, ma io ero presente quando è stata fatta la prima spedizione. Sono più di due secoli che sono qui. L’ho vissuta direttamente la loro sofferenza!

— Ma all’inizio era diverso. Le conseguenze delle guerre nucleari non erano ancora un ricordo. Avevano davvero bisogno di noi, poveri anarchici affamati… e noi non abbiamo fatto altro che guardare.

— Stai diventando paranoico. Come potevamo intervenire senza conoscerli per niente? Non saremmo stati altro che l’ennesimo elemento disgregatore, elemento del quale non avremmo potuto prevedere gli effetti neanche noi. Avremmo compiuto un vero crimine, come un dottore che operasse un paziente senza sapere di cosa è ammalato. Dovevamo analizzarli mentre andavano avanti per la loro strada. Tu non puoi neanche immaginare quale sforzo ci sia costato riuscire a capirli, e non abbiamo ancora finito. Solo settant’anni fa ci siamo sentiti sicuri a sufficienza da immettere in questa società prescelta un nuovo elemento e a mano a mano che procediamo nella loro conoscenza il piano originario viene modificato. Può anche essere che ci voglia ancora un migliaio di anni per terminare la nostra missione.

— Ma in tutto questo tempo loro si tireranno fuori da questo sfacelo da soli. Hanno già iniziato a risolvere i loro problemi. Non abbiamo nessun diritto di…

— E tu che diritto hai di pretendere il posto di apprendista psicodinamico, Mwyr? Sto iniziando a domandarmelo. Cerca di riflettere: quali sono state le loro soluzioni? La maggior parte di loro versa ancora in condizioni barbariche. Solo in questo continente la ripresa è stata veloce, perché prima della distruzione era il più avanzato scientificamente e tecnologicamente. Ma come si è evoluto? Ha saputo creare solo un caos di Stati in lotta tra loro e un feudalesimo arcaico in cui sia il potere militare che quello economico e politico sono nelle mani dell’aristocrazia terriera. Si sono sviluppate una dozzina di lingue e culture diverse e incompatibili le une con le altre e inoltre il fanatismo per la tecnologia, ereditato dalla precedente società, li riporterà esattamente al punto in cui erano prima dell’autodistruzione, se non sapranno controllarsi. E ti sconvolgi per qualche centinaio di uomini morti perché la rivoluzione che avevamo progettato non ha avuto il successo previsto? La stessa Grande Scienza ha affermato che senza di noi questa razza nei prossimi cinquemila anni avrebbe sofferto molto di più.

— Hai ragione, scusa. Mi sono lasciato trasportare dal sentimento, ma credo che sia molto difficile non farlo, all’inizio.

— Rallegrati che il tuo primo impatto con i risvolti negativi del piano sia stato tanto blando. Il peggio deve ancora venire.

— Così mi hanno detto.

— Teoricamente. Ma guardiamo un po’ la realtà dei fatti. Un governo desideroso di restaurare il vecchio status quo agirà aggressivamente e si getterà alla cieca in lunghe guerre contro nemici molto più forti di lui. Fattori economici incontrollabili perché troppo primitivi faranno sì che in tali guerre la classe degli aristocratici terrieri vada in rovina. Essi verranno rimpiazzati da una democrazia fasulla, che deterrà il potere con la corruzione e con la forza. In questo nuovo capitalismo non vi sarà spazio per l’immenso proletariato né per i proprietari terrieri né per gli stranieri vinti in guerra, e in tal modo tutti costoro verranno a formare un fertile terreno per i demagoghi di qualunque tipo. L’impero vedrà rivolte continue, guerre civili, dispotismo, decadenza, invasioni… Dovremo rispondere di tante cose prima di aver finito!

— Credi che alla fine… il risultato ci purificherà da tutto questo sangue?

— No. Saremo proprio noi a pagare di più.

Nell’Alta Sierra la primavera è fredda e umida. Il manto nevoso si scioglie tra le foreste e i massi giganteschi, i fiumi sono in piena e fanno riecheggiare i canyon, l’aria increspa le pozzanghere. Il primo tenero verde dei pioppi risalta sullo sfondo dei pini e degli abeti, che si stagliano scuri contro il cielo splendente. Un corvo vola basso… attenzione al falco! Ma una volta superate le foreste tutto diventa di un’immensità grigioazzurra, con l’ultima neve infiammata dal sole e il vento che sibila nelle orecchie.

Thomas Danielis, capitano dell’Artiglieria da Campo dell’esercito Lealista degli Stati del Pacifico, voltò il cavallo. Era un giovane bruno e atletico, con il naso schiacciato. Alle sue spalle gli uomini slittavano e bestemmiavano mentre si sforzavano di disincagliare un affusto di cannone. Il motorino ad alcool non aveva abbastanza forza, riusciva solamente a far girare le ruote. I fanti li oltrepassavano curvi, distrutti dall’altitudine e dalla sosta passata nell’umidità della notte, oltre che dal fango che appesantiva gli stivali. Formavano una fila serpeggiante che sbucava da dietro una roccia sporgente e proseguiva oltre il dosso con un percorso tortuoso. Una ventata portò a Danielis il loro puzzo di sudore.

In fondo erano dei bravi ragazzi, pensò. Sporchi e testardi, stavano dando l’anima. Gli avrebbe fatto avere un pasto caldo quella sera, a costo di mettere sul fuoco il sergente stesso.

Un pezzo di cemento rimasto dal passato in mezzo al fango fece risuonare gli zoccoli del cavallo. Fosse quell’epoca… Ma la realtà era diversa. Oltre quelle montagne si aprivano delle terre quasi completamente disabitate, territorio dei Santi, i quali non erano più pericolosi, ma non avevano pressoché rapporti con loro. Era pertanto inutile pavimentare quella strada e la ferrovia terminava a Hangtown. Al corpo di spedizione, se voleva arrivare al Lago Tahoe, non rimaneva altro da fare che attraversare foreste spopolate e altipiani ghiacciati fidando solo nell’aiuto di Dio.

E Dio aiuti anche quelli di Fort Nakamura, si augurò Danielis. A labbra strette picchiò le mani e spronò inutilmente il cavallo. Facendo scintille l’animale abbandonò la strada per portarsi sul punto più alto del dosso. La sciabola si agitava contro il fianco dell’uomo.

Raccolte le redini afferrò il binocolo. Gli si offriva alla vista un tortuoso paesaggio montano, sul quale veleggiavano le ombre delle nuvole: passavano su precipizi e massi, si abbassavano negli oscuri meandri di un canyon e ne risalivano dalla parte opposta. Scarsi ciuffi d’erba, di un color cuoio, spuntavano sotto di lui, mentre da qualche parte di quel caos di pietre fischiava una marmotta, svegliatasi in anticipo dal letargo. La fortezza non era ancora in vista, ma lo aveva immaginato. Conosceva quel posto alla perfezione… eccome!

Poteva esserci qualche imboscata. Gli pareva strano non aver ancora trovato tracce del nemico. Aveva mandato in giro delle pattuglie di perlustrazione, aveva cavalcato con i muscoli in tensione, come per difendersi da frecce immaginarie, che non volevano arrivare. Eppure il vecchio Jimbo Mackenzie non era uno che se ne stava senza far niente barricato nella fortezza, e i Sassi Rotolanti non avevano avuto quel nomignolo a caso…

Come faccio a sapere se Jimbo è ancora vivo? Anche quell’avvoltoio laggiù potrebbe avergli cavato gli occhi.

Si morse le labbra e si costrinse a guardare con decisione nel binocolo. Non doveva pensare a Mackenzie. Jimbo rideva, si ubriacava e rideva più di lui, ma a lui non importava. Aggrottava la fronte sulla scacchiera, perdente dieci volte su dieci, ma non gli importava. E come era felice e orgoglioso al matrimonio… E non doveva pensare neanche a Laura, che cercava di non farsi vedere da lui quando piangeva di notte, che doveva affrontare da sola e con un figlio sotto il cuore gli incubi della gravidanza. Tutti i suoi uomini, che procedevano come panzer verso la fortezza con delle facce da mastini, tutti avevano lasciato a casa qualcuno, e chissà quanti avevano dei famigliari dalla parte dei ribelli. Era meglio lasciar stare questi pensieri e concentrarsi sul presente.

Un momento! Si irrigidì. Un uomo a cavallo… Guardò meglio con il binocolo. Uno dei nostri. Gli uomini di Fallon avevano una striscia azzurra sull’uniforme. Un esploratore che ritorna. Un brivido gli percorse la schiena. Decise che avrebbe ascoltato di persona il suo rapporto. Ma era ancora lontano più di un chilometro e il terreno infido lo costringeva ad avanzare adagio. Non c’era motivo di corrergli incontro. Danielis si rimise a scrutare i dintorni.

Apparve un aereo da ricognizione. Sembrava una libellula sgraziata che luccicava nel sole. Il suo rombo continuo rimbalzava tra le pareti rocciose. Doveva trattarsi di un apparecchio degli esploratori munito di ricetrasmittente, destinato a svolgere compiti di avvistamento per l’artiglieria.

Non era possibile sfruttarlo come bombardiere, Fort Nakamura era superiore a qualsiasi ordigno di quei ridicoli apparecchi moderni, anzi, lo avrebbe abbattuto senza alcuna difficoltà.

Un rumore di passi alle sue spalle fece voltare Danielis insieme al cavallo. Afferrò immediatamente la pistola, e altrettanto rapidamente la ripose.

— Mi scusi, Filosofo.

L’uomo vestito di azzurro fece un cenno del capo, mentre il volto duro si raddolciva in un sorriso. Doveva avere circa sessant’anni, a giudicare dai capelli bianchi e dalla faccia rugosa, ma aveva ancora l’agilità di una capra selvatica. Il simbolo Yang-Yin spiccava sul suo petto.

— Lei si agita troppo, figliolo — disse con una sfumatura d’accento texano. Gli Espisti rispettavano le leggi del luogo in cui vivevano, ma non riconoscevano altra patria che l’intero universo spazio-temporale. Nonostante tutto gli Stati del Pacifico avevano acquisito una notevole importanza da quando, durante l’impegnativa ricostruzione, a San Francisco era stata fondata la Centrale dell’Ordine.

Nessuno aveva obiettato quando il Grande Ricercatore aveva stabilito che il Filosofo Woodworth seguisse la spedizione come osservatore. Non si erano opposti neanche i cappellani, perché le chiese avevano ormai capito che gli Espisti si muovevano in un campo neutro.

Danielis sorrise forzatamente.

— Me ne rimprovera?

— No, ma vorrei darle un consiglio. È inutile che si comporti così, si logora e basta. Lei sta già combattendo una battaglia che avverrà solo tra parecchie settimane.

A Danielis tornò in mente l’Apostolo che era andato a casa sua a San Francisco. Lo aveva invitato lui nella speranza che riuscisse a rasserenare Laura. Gli aveva fatto un paragone ancora più quotidiano: — I piatti vanno lavati uno alla volta. — Sentendosi le lacrime agli occhi a quel ricordo il capitano rispose bruscamente: — Mi calmerei se lei usasse i suoi poteri per prevedere quello che ci attende.

— Non sono un adepto, figliolo. Sono troppo invischiato nella vita materiale, purtroppo. Ma qualcuno che svolga le attività pratiche dell’Ordine ci vuole. Spero solo che un domani potrò ritirarmi per analizzare le frontiere che si trovano dentro di me, anche se ci vuole una vita intera per sviluppare appieno tutte le facoltà. — Woodworth si voltò a guardare le cime delle montagne e parve immergersi nella loro solitudine.

Danielis non aveva il coraggio di richiamarlo alla realtà. Si domandò quale fosse il vero scopo del Filosofo in quella spedizione. Doveva fare un rapporto più preciso di quelli che avrebbero potuto fare degli uomini non addestrati e incapaci di controllare le proprie emozioni? Forse. Gli Espisti avrebbero potuto decidere di intervenire. Era già capitato che la Centrale, con esitazione, avesse dato il permesso di usare i temibili poteri psi. Era successo quando l’Ordine era stato minacciato direttamente; e Fallon era un amico più fidato di Brodsky o del vecchio Senato dei Padroni o dei Deputati della Camera del Popolo.

Il cavallo si mise a scalpitare e a sbuffare. Woodworth guardò il cavaliere.

— Non credo che avrete molto da fare da queste parti — disse. — Sono stato anch’io nei Rangers prima di trovare la mia Via e so che queste terre sono deserte.

— Averne la certezza — sbottò Danielis. — Ma durante l’inverno hanno avuto tutto il tempo che volevano, mentre noi eravamo bloccati dalla neve. Gli esploratori hanno parlato di un’attività addirittura frenetica… solo due settimane fa. Cosa hanno preparato?

Il Filosofo non rispose.

Danielis andò avanti a parlare senza fermarsi. Doveva riuscire ad allontanare l’immagine di Laura che lo salutava mentre partiva con la seconda spedizione contro suo padre, appena sei mesi dopo il ritorno della prima fatta a pezzi.

— Se avessimo dei mezzi di trasporto decenti invece che poche ferrovie malridotte, qualche veicolo a motore e un pugno di aerei! E i bagagli che vengono trasportati per lo più su muli… Che agilità di movimento ci dà tutto questo? E quello che mi fa impazzire è il fatto che abbiamo tutti i libri e le informazioni degli antichi per ricostruire quello che ci serve. Io stesso ho visto a Fort Nakamura una macchina che generava unità a transistor con un’ampiezza d’onda sufficiente per delle trasmissioni televisive… e non erano più grandi di un pugno! Ho visto le riviste scientifiche, i laboratori di ricerca… biologia, chimica, matematica… tutto perfettamente inutile, tutto!

— Non completamente — rispose Woodworth tranquillamente. — Parimenti al mio Ordine, anche la comunità degli studiosi si sta allargando a più nazioni. Le macchine per la stampa, i telefoni, le telescriventi…

— È tutto inutile ho detto. Non serve per impedire che gli uomini si ammazzino a vicenda. Manca l’autorità in grado di costringerli a fare diversamente. Non serve per spostare le mani di un contadino da un aratro trainato dal cavallo al volante di un trattore. È vero che abbiamo le basi teoriche, ma non possiamo metterle in pratica.

— Lo fate, figliolo, quando non ci vogliono degli impianti industriali troppo vasti e troppa energia. Rammenti che la terra oggi dispone di risorse naturali molto più limitate di quelle che possedeva prima delle Bombe Infernali. Ho visto di persona le Terre Nere del Texas, dove l’uragano di fuoco ha incendiato i pozzi petroliferi. — La calma del Filosofo venne meno per un istante e i suoi occhi si rivolsero di nuovo verso le cime.

— Ma c’è ancora del petrolio — si intestardì Danielis. — E c’è ancora del carbone, del ferro, dell’uranio… c’è tutto il necessario, però non c’è al mondo un’organizzazione in grado di impadronirsene in grande quantità. Ecco perché Central Valley è piena di coltivazioni che forniranno l’alcool necessario a qualche motore e perché dosi insignificanti di altre materie prime vengono importate tramite una sequela incredibilmente inefficiente di mediatori. Tutto va all’esercito. — Si voltò repentinamente nella direzione dell’aereo fatto manualmente. — Anche per questo motivo ci vuole la riunificazione, per poter ricostruire.

— Anche per questo? E per che altro? — domandò sottovoce il Filosofo.

— Per la democrazia… per il suffragio universale… perché padri e figli non debbano più combattersi. — Danielis deglutì.

— Questi motivi sono senz’altro più interessanti e degni del nostro appoggio — disse l’Espista. — Ma per quanto riguarda le macchine, lei sta fantasticando… — Scosse la testa. — Per quello si sta sbagliando, non è così che devono vivere gli uomini.

— Forse. Anche se mio padre con qualche macchina ad aiutarlo non sarebbe diventato invalido… ma si deve dare la precedenza alle cose più importanti. Prima bisogna mettere fine a questa guerra, poi se ne potrà parlare. — Gli sovvenne dell’esploratore, che adesso non riusciva più a vedere. — Mi scusi, Filosofo, ma ho da fare.

L’Espista fece un cenno di pace con la mano. Danielis se ne andò.

Strada facendo vide tra gli schizzi dell’acqua fangosa l’uomo che cercava, fermo vicino al maggiore Jacobsen. Era stato sicuramente quest’ultimo a mandarlo in avanscoperta e ora se ne stava a cavallo accanto ai fanti. L’esploratore era un massiccio indiano Klamath, vestito di pelli e con l’arco sulle spalle. Come molti uomini del distretto settentrionale preferiva le frecce alle pistole: meno costose e più silenziose, anche se colpivano meno lontano non avevano nulla da invidiare ai fucili quanto a rapidità di tiro. Erano stati proprio gli arcieri a salvare molte città dalle invasioni prima che gli Stati del Pacifico si unificassero, e continuavano ancora a proteggerle.

— Capitano Danielis — lo chiamò Jacobsen. — Arriva giusto in tempo. Il tenente Smith stava per dirmi cosa ha scoperto con il suo distaccamento.

— E l’aereo — aggiunse Smith imperturbabile. — Sono state le parole del pilota a darci il coraggio di andare laggiù a vedere.

— E allora?

— Non c’è proprio nessuno.

— Come?

— Il Forte è vuoto, e anche il villaggio. Non c’è anima viva.

— Ma… ma… — Jacobsen si trattenne. — Vada avanti.

— Abbiamo analizzato a fondo tutti i segni rimasti e ne abbiamo dedotto che i non combattenti fossero partiti già da tempo, con le slitte e gli sci, verso qualche caposaldo del Nord. Contemporaneamente, gli uomini hanno trasferito il materiale, fatta eccezione per quello che si sono portati via in ultimo. Il reggimento, con le unità d’appoggio e l’artiglieria, è partito da tre o quattro giorni, diretto verso valle, a Ovest-Nordovest, almeno così ci è parso.

Jacobsen emise un suono strozzato.

— Dove sono andati?

Una folata di vento colpì in volto Danielis e arruffò le criniere dei cavalli. Dietro di loro si udivano gli stivali sguazzare nel fango, le ruote stridere, i motori borbottare, e i conduttori dei muli urlavano e facevano schioccare le fruste. Ma a Danielis pareva tutto tanto distante. I suoi occhi erano concentrati su una carta geografica che cancellava tutto il resto del mondo.

L’esercito dei lealisti si era battuto con rabbia durante tutto l’inverno, dalle Trinity Alps a Puget Sound. Brodsky era arrivato fino a Monte Rainer, troppo fortificato per essere espugnato in fretta, dove gli era stata messa a disposizione la stazione radio. I padroni e le tribù indipendenti si erano armati per difendere i loro privilegi locali e avevano dalla loro parte anche i loro protetti, dato che nelle campagne era molto forte il senso della fedeltà. Persino il Canada Occidentale li appoggiava con aiuti non del tutto clandestini, temendo ciò che Fallon avrebbe fatto non appena avutane l’occasione.

L’esercito nazionale però era più forte e più organizzato, inoltre lottava per un ideale ben preciso. O’Donnel, comandante in capo, aveva ideato una sua strategia: concentrare i lealisti in pochi punti, superare ogni resistenza, ripristinare l’ordine e formare delle basi nella regione, quindi passare altrove. E ce l’aveva fatta. Ora il governo aveva il controllo di tutta la costa e la marina vigilava sui canadesi a Vancouver e sulle rotte commerciali delle Hawai, sulla parte nord del vecchio stato di Washington e sulla valle di Columbia.

I ribelli rimasti non avevano più contatti tra di loro, sparsi com’erano tra le montagne, le foreste e i deserti. L’esercito dei lealisti sconfiggeva il nemico tagliandogli i rifornimenti e facendo cadere le proprietà terriere una dopo l’altra. Solo il Comando della Sierra di Cruikshank dava motivi di preoccupazione. Era un vero e proprio esercito, guidato da uomini esperti e la spedizione contro Fort Nakamura si era presentata particolarmente difficile.

Eppure adesso i Sassi Rotolanti erano partiti senza combattere e ciò voleva dire che se ne erano andati anche i Leopardi. Non si può tenere in tensione un cavo senza l’àncora…

— Giù nelle valli — disse Danielis mentre nelle orecchie gli riecheggiava assurdamente la voce di Laura: Giù nella valle, nella valle fonda.

— Per Giuda! — esclamò il maggiore — non è possibile, ne saremmo stati informati. — Anche l’indiano grugnì, come se fosse stato colpito al ventre.

Per sentire il vento, china il tuo capo biondo. Il vento sibilava tra le rocce gelide.

— Le piste delle foreste sono innumerevoli — spiegò Danielis. — La fanteria e la cavalleria, conoscendo bene le zone, se ne sarebbero potute servire. I Leopardi, poi, le conoscono a menadito. I mezzi pesanti sono difficili da trasportare, ci vuole tempo, ma potrebbero facilmente aggirarci e tornare a Forty e Fifty e avere la meglio su di noi se facciamo tanto da inseguirli. Temo proprio che siamo in trappola.

— Il versante orientale… — suggerì Jacobsen stordito.

— Per quale motivo? Per occupare una parte di brughiera che non serve a nessuno? No. Siamo bloccati qui finché loro non avranno terminato di spiegarsi sull’altipiano. — Danielis strinse il corno della sella fino a sbiancare le nocche delle mani. — Potrei sbagliare, ma qua c’è lo zampino di Mackenzie. È il suo stile, senza dubbio.

— Ma allora sono tra noi e Frisco, a breve distanza dal grosso dei nostri a Nord…

Tra me e Laura, pensò Danielis. Poi disse a voce alta: — Maggiore, propongo di impadronirci del comando e di servirsi della radio. — Trovò dentro di sé la forza di alzare la testa. Il vento lo colpì agli occhi. — Per noi non sarà necessariamente la fine, anzi, sarà meglio batterli all’aperto, una volta preso il contatto con loro.

Le rose amano il sole, la rugiada le viole
e gli angeli lo sanno che t’amo più del Sole.

Le piogge che dominavano l’inverno dei bassopiani californiani erano al termine. Mackenzie procedeva nella lussureggiante vegetazione di un’autostrada del Nord il cui piano asfaltato riecheggiava sotto gli zoccoli dei cavalli. Ai bordi della strada gli eucalipti e le querce esplodevano di nuove foglie. Dietro di essi si allargava a vista d’occhio una scacchiera di campi coltivati e di vigne che andavano sfumando verso le colline più o meno alte e distanti. Non si vedevano più le case dei proprietari terrieri che, fino a pochi chilometri prima, avevano dominato il paesaggio sparse qua e là. Adesso si trovavano nelle terre degli Espisti di St. Helena. A destra, dietro le montagne, le nuvole si ammucchiavano candide. L’aria profumava di verde e delle zolle rivoltate da poco.

Alle spalle di Mackenzie, i Sassi Rotolanti facevano tremare e riecheggiare la terra dell’autostrada. Tremila stivali battevano all’unisono con un fragore infernale portandosi dietro i cannoni e i carri. Pur non temendo attacchi improvvisi i cavalleggeri avanzavano sparsi qua e là. Il sole faceva luccicare gli elmi e le lance.

Mackenzie guardava fisso in avanti. In mezzo agli alberi sottili come piume, in un mare di fiori bianchi e rosati si distinguevano dei muri color ambra e dei tetti rossi. Era una comunità di parecchie migliaia di persone. Sentì tendersi i muscoli dell’addome.

— Secondo te ci possiamo fidare? — chiese per l’ennesima volta. — Abbiamo solo avuto dei contatti via radio.

Speyer, al suo fianco, annuì.

— Credo che siano sinceri e che si comporteranno bene con i nostri ragazzi. Del resto gli Espisti sono contrari alla violenza.

— È vero, ma in caso di un combattimento… Per ora i seguaci non sono molti, perché l’Ordine è stato fondato da poco, ma in un raduno di massa ci sarà sicuramente qualcuno esperto della loro maledetta Psionica. Non vorrei proprio veder esplodere i miei uomini in aria o qualche altro orrore simile.

Speyer lo guardò di traverso.

— Hai paura di loro, Jimbo?

— Ma niente affatto! — esclamò Mackenzie domandandosi dentro di sé se avesse detto la verità. — Non mi sono neppure simpatici, però.

— Fanno del bene, soprattutto ai poveri.

— Non discuto. Ma ogni capo rispettabile deve provvedere da solo a queste cose e anche noi abbiamo chiese e ospedali. Però non mi sembra giusto che solo per il fatto di essere caritatevoli, e non fanno fatica con tutto quello che guadagnano, sia loro permesso di crescere gli orfani e i ragazzi poveri in modo tale da renderli incapaci di vivere altrove.

— Sai perfettamente che lo fanno per indirizzarli verso la cosiddetta frontiera interiore… che è del tutto estranea alla civiltà americana. A dire il vero li invidio, a parte certi poteri straordinari.

— Tu li invidi? — Mackenzie fissò l’amico stupefatto.

Le rughe sul viso di Speyer si accentuarono.

— Quest’inverno ho ammazzato molti miei connazionali — spiegò il maggiore a bassa voce. — I miei cari sono sfollati nel villaggio del forte di Monte Lassen e ci siamo salutati con la consapevolezza che forse non ci saremmo più rivisti. Avevo già ucciso molti uomini che non mi avevano fatto niente. — Sospirò. — Ecco perché mi domando spesso cosa voglia dire conoscere la pace dentro e intorno a me.

Mackenzie cercò di allontanare il pensiero di Laura e di Tom.

— Comunque — continuò Speyer — noi diffidiamo degli Espisti perché ci sono estranei e potrebbero far sparire la concezione di vita nella quale siamo cresciuti. Sai, a Sacramento sono andato al laboratorio di ricerca dell’Università a curiosare. Cose da non credere! Si poteva essere certi di avere a che fare con la stregoneria. Succedevano delle cose molto più strane che la lettura del pensiero o gli spostamenti degli oggetti con la mente. In realtà sono solo delle nuove meraviglie e noi due ci sguazzeremo dentro.

“È un laboratorio scientifico, dove si lavora con la chimica, l’elettronica, le particelle subvirali… tutte cose che un americano colto vede bene nel suo mondo. Ma l’unità mistica della creazione… non fa per noi. Potremmo accettarla solo rinunciando a tutto quello in cui abbiamo sempre creduto e alla nostra età, Jimbo, è troppo difficile accettare di distruggere le proprie convinzioni per riniziare da capo.”

— Può essere. — Mackenzie si era distratto. Ormai erano quasi arrivati.

Si voltò verso il capitano Hulse, alle sue spalle.

— Noi andiamo — disse. — Saluti da parte mia il colonnello Yamaguchi e lo incarichi di assumere il comando fino al nostro ritorno. In casi sospetti faccia pure come gli parrà opportuno.

— Signorsì. — Hulse fece il saluto e si voltò. Non era necessario che Mackenzie ripetesse gli ordini già stabiliti, ma il rituale aveva enorme importanza e lui lo sapeva. Al trotto sul cavallo sauro sentì alle sue spalle i sergenti che gridavano le disposizioni ai vari plotoni e le trombe che risuonavano gli ordini.

Speyer gli tenne dietro alla stessa andatura. Era stato Mackenzie a insistere per averlo con lui all’incontro. Sapeva di non avere la presenza di spirito di un Espista d’alto livello, e sperava in Phil.

Anche se non è una questione di diplomazia, almeno lo spero. Cercò di concentrarsi sul presente: ascoltò il ritmo degli zoccoli e gli scricchiolii della cintura che teneva ferma la sciabola, seguì l’alterno movimento della sella sotto di lui e l’ondulazione dei muscoli del cavallo, sentì l’odore pulito dell’animale… finché si rese conto che era proprio quello che consigliavano gli Espisti.

Le comunità non avevano mai delle mura di cinta intorno, come avveniva invece nella maggior parte delle città e delle stazioni dei padroni. Lasciata l’autostrada, i due ufficiali si inoltrarono in una via fiancheggiata da colonnati, fra i quali si aprivano delle stradine laterali. Non era un insediamento molto esteso. Secondo la consuetudine dell’Ordine, che aveva generato diffidenze e barzellette sconce, era composto da diversi gruppi detti sodalizi o superfamiglie che vivevano insieme. Per Speyer, comunque, tali gruppi non erano più immorali del resto degli uomini. Il loro scopo era quello di prendere le distanze dalla possessività e dall’egoismo per crescere i figli in un cerchio più vasto che il singolo nucleo famigliare.

Centinaia di bambini, usciti sotto i portici, guardavano stupefatti. Parevano sani e, fatta eccezione per la paura dei nuovi arrivati, felici. Ma erano tanto solenni, pensò Mackenzie, vestiti tutti con identiche vesti azzurre. Gli adulti in mezzo a loro erano impassibili. Tutti erano tornati dai campi una volta visto il reggimento che si avvicinava e stavano in un silenzio impenetrabile. Mackenzie sentì il sudore scorrergli lungo le costole e, arrivato nella piazza centrale, faticò a respirare.

Nel mezzo gorgogliava una fontana simile a un fiore di loto circondata da alberi frondosi. Tre lati della piazza erano chiusi da edifici imponenti, certo dei magazzini, mentre sul quarto si ergeva una specie di tempio sovrastato da una cupola decorativa. Doveva trattarsi del Quartier Generale, sede delle riunioni. Sei uomini vestiti d’azzurro stavano seduti sui gradini antistanti: cinque erano robusti ragazzi, l’altro era una persona di mezz’età con il simbolo Yang-Yin al petto. Sembrava dominato da una calma imperturbabile.

Mackenzie e Speyer tirarono le redini, quindi il colonnello fece un fiacco saluto militare.

— Il Filosofo Gaines? Io sono Mackenzie e questi è il maggiore Speyer. — Si maledì per la propria goffaggine e si chiese dove avrebbe dovuto appoggiare le mani. Riusciva abbastanza a sostenere lo sguardo evidentemente ostile dei giovani, ma non sopportava gli occhi di Gaines puntati su di lui.

Il capo della colonia abbassò la testa.

— Siate i benvenuti, vogliamo entrare?

Mackenzie scese da cavallo, lo legò a un palo e si tolse l’elmetto. In mezzo a quella gente la sua vecchia uniforme marrone-rossastra sembrava ancora più squallida.

— Grazie. Uhm… sono di fretta.

— Sicuro. Mi seguano, prego.

Furono accompagnati fino nell’atrio e in un corto corridoio dai giovani impettiti. Speyer si guardava intorno, osservando i mosaici.

— È bellissimo — mormorava.

— Grazie — disse Gaines. — Eccoci arrivati al mio ufficio. — Aprì una superba porta di quercia e fece cenno agli ospiti di entrare, quindi se la richiuse alle spalle, lasciando fuori gli accoliti.

La stanza era austera, con le pareti bianche, una scrivania, uno scaffale pieno di libri e alcuni sgabelli. Una finestra guardava sul giardino. Gaines si mise a sedere e gli altri due fecero altrettanto.

— Sarà meglio arrivare subito al dunque — sbottò Mackenzie. Quindi, di fronte al prolungato silenzio di Gaines si sentì obbligato ad andare avanti.

— Le cose stanno così. Dobbiamo occupare Calistoga creando dei distaccamenti sui versanti delle colline, per poter controllare sia la Valle di Napa che la Valle della Luna… per lo meno all’estremità settentrionale. E il posto più adatto per il distaccamento orientale è questo. È nostra intenzione installare un campo fortificato su quel prato laggiù. Sono spiacente per i danni che causeremo alle vostre coltivazioni, ma vi ripagheremo non appena tornerà al potere il governo legittimo. E lei capisce anche che dovremo requisire medicinali e viveri per le truppe, anche se non vi lasceremo senza il necessario e vi daremo delle ricevute regolari. Per finire dovremo stabilire un certo numero di uomini nella comunità, a scopo cautelativo, per controllare la situazione… ma cercheremo di non recare nessun disturbo. D’accordo?

— Il nostro ordinamento ci garantisce da ogni interferenza militare — lo informò tranquillamente Gaines. — Per essere più precisi nessun uomo armato può passare sulle terre di una comunità espista. Lei capisce che non posso rendermi complice di una violazione delle norme, colonnello.

— Visto che si attacca ai cavilli legali, Filosofo — intervenne Speyer — le ricordo che sia Fallon che Brodsky hanno proclamato la legge marziale, per cui le ordinarie normative sono sospese.

Gaines sorrise.

— Dal momento che non può esistere più di un governo legittimo — disse — le decisioni prese da ogni altro non hanno valore e sembra che il Giudice Fallon abbia le carte in regola, avendo il controllo di una parte molto vasta del territorio.

— Adesso le cose sono cambiate — scattò Mackenzie.

Speyer cercò di calmarlo con un cenno.

— Credo che lei non sia informato sugli sviluppi delle ultime settimane, Filosofo — disse. — Mi permetta di aggiornarla. Il Comando della Sierra è sceso dalle montagne avanzando contro Fallon. Ci siamo impossessati in fretta della parte centrale della California poiché non era rimasto nessuno in grado di opporsi a noi. Con il controllo di Sacramento il traffico fluviale e ferroviario è nelle nostre mani. Siamo arrivati, a Sud, fino a Bakersfield, e l’occupazione dello Yosemite e del King’s Canyon ci ha ulteriormente rafforzato. Una volta consolidata la nostra posizione qui a Nord, Fallon sarà circondato. Le sue forze a Redding si troveranno intrappolate tra noi e i padroni delle regioni del Trinity, dello Shasta e del Lassen. La nostra stessa venuta in questa zona l’ha costretto a lasciare la Valle di Columbia per difendere San Francisco. Come vede non è più così scontato chi controlli la maggior parte del territorio.

— E che ne è stato dell’esercito inviato contro di voi nella Sierra? — domandò Gaines. — L’avete fermato?

Mackenzie fece una smorfia.

— No, e lo sanno tutti. Ci ha aggirato passando attraverso il Mother Lode. Adesso sarà a Los Angeles o a San Francisco.

— Un esercito incredibile. Pensate di riuscire a tenergli testa per sempre?

— Faremo del nostro meglio — rispose Mackenzie. — Siamo avvantaggiati grazie alle comunicazioni interne e all’aiuto dei proprietari, che sono ben felici di farci sapere tutto quello che riescono a vedere. Abbiamo sotto controllo qualsiasi punto il nemico decida di attaccare.

— È un peccato che queste terre tanto ricche siano distrutte dalla guerra.

— È vero.

— Il nostro scopo è abbastanza comprensibile — disse Speyer. — Siamo riusciti a interrompere tutte le vie di comunicazione del nemico tranne quelle marittime, che non hanno grande importanza quando si opera nell’entroterra. Gli abbiamo precluso la maggior parte delle scorte di rifornimenti, soprattutto quelle dell’alcool combustibile. La nostra spina dorsale sono le proprietà terriere, praticamente autosufficienti. Tra non molto saranno più forti dell’esercito che le combatte. Credo che il Giudice Brodsky riuscirà a tornare a San Francisco entro l’autunno.

— Se riuscirete a concretizzare i vostri progetti — aggiunse Gaines.

— Sarà nostro dovere farlo. — Mackenzie si sporse in avanti con un pugno su un ginocchio. — E non ci saranno problemi, Filosofo. Mi rendo perfettamente conto che parteggia per Fallon, ma la reputo tanto intelligente da non abbracciare una causa persa. Se la sente di collaborare con noi?

— L’Ordine non bada alle questioni politiche a meno che non ne sia minacciato direttamente.

— Suvvia, volevo semplicemente chiederle di non ostacolarci.

— Sarebbe anche questo un collaborare. Non è possibile permettere che dei militari si stabiliscano nei nostri territori.

Mackenzie fissò il volto impenetrabile di Gaines, chiedendosi se aveva sentito bene.

— Ci sta dicendo che dobbiamo andare via? — Era come se fosse un altro a parlare con la sua voce.

— Sì.

— Pur sapendo che avete la nostra artiglieria puntata contro con l’alzo a zero?

— Avrebbe veramente il coraggio di far sparare i cannoni contro le donne e i bambini, colonnello?

O Nora…

— Non sarà necessario, i miei uomini si impadroniranno dell’abitato.

— Nonostante le esplosioni psi? La prego, non mandi i suoi ragazzi contro una morte sicura. — Tacque per un istante. — Le faccio notare che mettendo in pericolo il suo reggimento, mette in pericolo la vostra stessa causa. Comunque lei è libero di aggirare le nostre terre e di avanzare verso Calistoga.

Lasciandomi dietro un covo di fedeli di Fallon in grado di tagliarmi i contatti con il Sud. Mackenzie digrignò i denti.

Gaines si alzò in piedi.

— Il nostro colloquio è terminato, signori. Avete un’ora per andarvene dal nostro territorio.

Anche Mackenzie e Speyer si alzarono.

— Non finisce qui — disse il maggiore. Aveva la fronte e il naso bagnati di sudore. — Vorrei spiegarmi meglio.

Gaines andò ad aprire la porta.

— Accompagnate i signori — disse ai ragazzi.

— Niente affatto — urlò Mackenzie avvicinando una mano all’arma che teneva al fianco.

— Avvisate gli adepti — disse Gaines.

Uno dei giovani se ne andò e Mackenzie sentì il rumore dei suoi sandali che si affrettavano nel corridoio.

Gaines fece un cenno di assenso.

— Sarebbe stato meglio se lor signori se ne fossero andati — disse.

Speyer si irrigidì. Sbatté le palpebre, poi mormorò: — Avvisare gli adepti?

Mackenzie vide i lineamenti di Gaines perdere l’imperturbabilità. Per un brevissimo istante rimase senza parole, quindi si mosse d’istinto ed estrasse la pistola contemporaneamente a Speyer.

— Insegui quel messaggero — sibilò. — Io terrò d’occhio costoro.

Si domandò se quell’impresa non avrebbe compromesso l’onore del reggimento. Era permesso attaccare quando si era venuti per dialogare? Ma la colpa era di Gaines che aveva interrotto…

— Fermatelo! — urlò Gaines.

I quattro giovani rimasti entrarono in azione. Due di essi ostruirono il passaggio, gli altri avanzarono ai lati.

— State fermi o sparo! — gridò Speyer, ma nessuno gli fece caso.

A Mackenzie mancò il coraggio di fare fuoco contro uomini disarmati. Colpì ai denti il giovane che aveva davanti con il calcio della pistola e questi, insanguinato, arretrò incespicando. Quindi si volse contro l’Espista che gli si stava avvicinando a sinistra e lo percosse con le braccia rigide, infine fece cadere il ragazzo che cercava di chiudere la porta, gli sferrò un calcio alla tempia tanto forte da intontirlo e lo scavalcò con un balzo.

L’ultimo degli accoliti era dietro di lui. Si girò di colpo per fronteggiarlo, ma venne fermato da due braccia forti come le zampe di un orso. Allora fece forza con la sinistra, ancora libera, sotto il naso del giovane. Il ragazzo dovette mollare la presa e Mackenzie ne approfittò per correre via, dopo averlo colpito allo stomaco con una ginocchiata.

Alle sue spalle non accadde più nulla: probabilmente Phil aveva in pugno la situazione. Attraversato di corsa il corridoio giunse nell’atrio. Dove diavolo si era cacciato quel messaggero? Guardò sulla piazza, oltre il portone d’ingresso. Il sole gli ferì gli occhi. Faceva fatica a respirare e sentiva una forte fitta al fianco: stava proprio invecchiando.

Da una stradina laterale apparvero delle vesti azzurre svolazzanti e fra di esse Mackenzie vide il messaggero che stava indicando nella sua direzione. Era in compagnia di sette od otto persone… erano tutte più vecchie di lui e non avevano nessun segno particolare sull’abito, ma Mackenzie distinse un alto ufficiale. L’accolito fu congedato, quindi gli ultimi arrivati attraversarono la piazza velocemente.

Il colonnello si sentì invadere dalla paura. Cercò di dominarla: un Leopardo non fuggiva neanche di fronte a qualcuno capace di farlo a pezzi con una sola occhiata. Ma non avrebbe potuto in nessun modo far cambiare le cose. Se mi ammazzano, tanto meglio. Non dovrò più passare delle notti insonni a domandarmi cosa sente Laura.

Gli uomini erano quasi arrivati alla scalinata. Mackenzie si fece avanti puntando la pistola.

— Fermi! — disse con una voce che parve esile nel silenzio imperante.

Quelli si fermarono, compatti. Si stavano imponendo una calma assoluta e i loro visi divennero impenetrabili. Tutti tacevano. Alla fine Mackenzie non riuscì più a sopportarlo.

— Questo posto è requisito secondo le leggi di guerra — disse. — Rientrate nei vostri alloggi.

— Cosa è successo al nostro capo? — domandò uno di loro, alto e con una voce tranquilla ma forte.

— Mi legga nel pensiero e lo saprà — ironizzò Mackenzie. Ti stai comportando come un bambino. — Non gli è successo niente finora e non gli capiterà niente se non si intrometterà in affari che non lo riguardano. E questo serve anche per voi. Toglietevi di mezzo.

— Non vorremmo dover utilizzare la psionica per scopi violenti — disse l’uomo alto. — La prego, non ci obblighi a farlo.

— Il vostro capo vi ha fatti venire prima ancora che noi entrassimo in azione — ribatté Mackenzie. — Sembrerebbe sua intenzione usare la violenza. Andate via.

Gli Espisti si guardarono l’un l’altro. Quello alto fece un cenno d’assenso e gli altri si allontanarono lentamente.

— Voglio vedere Gaines — disse.

— Abbia un po’ di pazienza e lo vedrà.

— Ne devo dedurre che è stato fatto prigioniero?

— Ne deduca ciò che vuole. — Gli Espisti stavano per svoltare l’angolo dell’edificio. — Non vorrei essere costretto a sparare, perciò la prego, torni indietro.

— Siamo a un punto fermo — disse l’uomo alto. — Nessuno di noi vuole infierire contro gli indifesi. Lasci che la porti fuori di qui.

Mackenzie si inumidì le labbra, inaridite dal vento e dal freddo.

— Se vuole lanciare un incantesimo su di me non faccia complimenti — lo sfidò — se no, sparisca.

— Non le proibirò di raggiungere i suoi uomini perché sembra la soluzione più semplice per convincerla ad andare via, ma le anticipo che qualsiasi gruppo armato che si proverà a entrare nelle nostre terre sarà annientato.

Mi conviene andare a recuperare i miei ragazzi. Phil non può tenere a freno quei tipi per sempre!

L’uomo alto si accostò al palo al quale erano stati legati i cavalli.

— Qual è il suo? — chiese con calma.

Non vede l’ora di liberarsi di me… Accidenti! Deve pur esserci una porta si servizio!

Mackenzie fece un fulmineo dietrofront, precipitandosi nell’atrio mentre l’Espista gridava. I suoi passi rimbombavano. No, non a sinistra. Di là c’era solo l’ufficio. A destra, dietro quell’angolo…

Si trovò di fronte a un lungo corridoio con in mezzo una scala curva. Su di essa c’erano già gli Espisti.

— Fermi! — urlò Mackenzie. — Fermi o sparo!

I due uomini che stavano più in alto aumentarono il passo, gli altri si girarono e iniziarono a scendere verso di lui.

Sparò badando bene di non ucciderli: voleva solo fermarli. I colpi rimbombarono nel corridoio. Gli Espisti caddero a terra uno dopo l’altro, feriti chi alla gamba, chi a un braccio chi a una spalla. Ma Mackenzie aveva fallito alcuni tiri, così, quando l’ultimo nemico rimasto, l’uomo alto, si avvicinò, il percussore batté a vuoto.

Il colonnello sguainò la sciabola e colpì l’avversario alla testa. L’uomo inciampò e Mackenzie ne approfittò per oltrepassarlo e gettarsi su per la scala, tortuosa come un incubo. Gli sembrava che il cuore si stesse spaccando.

Arrivato finalmente su un pianerottolo vide una porta di ferro, di fronte alla quale un uomo vestito d’azzurro stava trafficando con la serratura. Appena lo vide, l’Espista lo attaccò.

Mackenzie gli infilò la sciabola tra le gambe, facendolo incespicare, quindi gli sferrò un colpo alla mascella. L’uomo perse l’equilibrio e andò a sbattere contro il muro. Il colonnello lo tirò per la veste e lo gettò a terra.

— Fuori! — tuonò.

Gli Espisti si rialzarono guardandolo minacciosi. Mackenzie agitò la sciabola nell’aria.

— Da ora in avanti colpirò per uccidere.

— Corri a cercare aiuto, Dave — disse l’uomo che stava armeggiando davanti alla porta. — Lo terrò a bada io. — Si tenne fuori dalla portata della sciabola, mentre l’altro scendeva le scale con passo incerto.

— Vuole essere annientato? — chiese. Mackenzie provò ad aprire la porta, ma era ancora chiusa a chiave.

— Non penso che ne siate in grado senza quello che è nascosto qua dentro.

L’Espista si sforzò visibilmente di controllarsi. Passarono degli interminabili minuti, quindi dal basso si udì un rumore che si avvicinava. L’uomo tese una mano.

— Non possediamo che attrezzi agricoli — disse — ma lei ha solo quella lama. Si arrende?

Mackenzie sputò a terra. L’Espista continuò ad avanzare.

Presto arrivarono i rinforzi. A giudicare dal rumore dovevano essere un centinaio, ma la curvatura della scala permetteva a Mackenzie di vederne solo una decina. Si trattava di massicci contadini che agitavano nell’aria i ben affilati attrezzi agricoli. Dal momento che il corridoio era troppo largo per potersi difendere, il colonnello avanzò verso la scala, dove gli assalitori avrebbero potuto passare solo due alla volta.

Delle falci da fieno guidarono l’attacco. Mackenzie parò un colpo, tirò un fendente. La lama penetrò nella carne fino a colpire l’osso e il sangue zampillò, rosso nonostante la poca luce. L’uomo cadde a terra con un urlo. Quindi il colonnello schivò un affondo facendo cozzare le lame fino a bloccarle. Mentre scrutava la faccia dell’avversario, larga e scurita dal sole, venne spinto indietro. Con il taglio della mano riuscì a colpire la laringe del giovane che cadde a terra portandosi dietro l’uomo che aveva alle spalle. Impiegarono diverso tempo a districarsi e rialzarsi.

Un forcone arrivò diretto al ventre di Mackenzie. Questi lo afferrò con la sinistra facendolo deviare e sferrando un colpo contro la mano che lo impugnava. Venne colpito al fianco destro da una falce. Vide il sangue sgorgare, ma non avvertì alcun dolore, segno che gli organi vitali erano illesi. Si diede a vibrare sciabolate a destra e a manca e di fronte a quella minaccia sibilante gli avversari della prima linea arretrarono. Dio mio! Mi sembra di avere le ginocchia di gomma! Non ce la faccio a resistere neppure cinque minuti!

Si udì il suono di una tromba e riecheggiarono delle scariche di fucile. Sulla scala gli uomini si irrigidirono, qualcuno gridò.

Dal piano terra arrivò un rumore di zoccoli e una voce ringhiò: — Fermi tutti! Gettate le armi a terra e scendete. Il primo che si oppone è finito.

Mackenzie si appoggiò alla sciabola cercando di riprendere fiato. Quasi non si accorse neanche che gli Espisti se ne stavano andando.

Quando si fu un po’ ripreso, si avvicinò a una finestra e guardò fuori. La piazza era occupata dai cavalleggeri e la fanteria era in arrivo.

Fu raggiunto da Speyer, accompagnato da un sergente del genio e da diversi soldati. Il maggiore gli corse accanto.

— Tutto bene, Jimbo? Ma sei ferito!

— Oh, è solo un graffio! — disse Mackenzie che stava tornando in forze. Non era eccitato per la vittoria, provava solo un gran senso di solitudine. La ferita iniziava a farsi sentire. — Non è niente di grave, guarda.

— È vero, credo che te la caverai. Bene. Aprite quella porta.

I genieri, presi i loro attrezzi, si diedero da fare intorno alla serratura, con una grinta che almeno per metà derivava dalla paura.

— Come avete fatto ad arrivare così in fretta? — domandò Mackenzie.

— L’avevo immaginato che ci sarebbero stati dei problemi — rispose Speyer. — Appena ho udito gli spari sono saltato fuori dalla finestra e sono riuscito a raggiungere il cavallo prima che quei contadini ti aggredissero. Li ho visti mentre si riunivano. La cavalleria è arrivata quasi subito e i fanti erano poco più indietro.

— Avete trovato resistenza?

— Non dopo aver sparato qualche raffica a vuoto. — Speyer si guardò intorno. — Adesso abbiamo in pugno la situazione.

Mackenzie fissò la porta.

— Bene — disse. — Non sono più così dispiaciuto di avergli puntato contro la pistola in ufficio. Pare che i seguaci si servano tranquillamente delle vecchie armi, mentre gli Espisti non dovrebbero neppure possederle. Almeno, così dicono le loro leggi… Hai proprio avuto un’idea geniale, Phil. Come ti è venuta?

— Mi sono domandato il motivo per cui il capo aveva mandato un messaggero a cercare aiuto. Non dovrebbero essere dei telepati? Oh, ecco!

La serratura si ruppe con un tintinnio. Il sergente aprì la porta e Mackenzie e Speyer entrarono in una sala enorme e sovrastata dalla cupola.

Curiosarono per la stanza a lungo, senza parlare, osservando oggetti di metallo e di altre sostanze meno note. Non c’era niente di familiare. Il colonnello si fermò davanti a un cubo trasparente, dal quale fuoriusciva un’elica. Al suo interno si agitavano delle oscure masse informi, luccicanti di piccole stelle.

— Credevo che gli Espisti si fossero impossessati di cose risalenti all’epoca precedente le Bombe Infernali — disse a bassa voce — che avessero delle bombe segretissime mai usate, ma sembra che non sia così, vero?

— Vero — confermò Speyer. — Non credo che queste armi siano state fatte dagli uomini.

Ti rendi conto? Hanno occupato una comunità! Così facendo faranno vedere a tutto il mondo che gli Espisti non sono invulnerabili. E a peggiorare la situazione si sono impossessati del loro arsenale!

— Non preoccuparti, nessuno può mettere in funzione quegli strumenti senza essere adeguatamente istruito in materia. In mancanza di determinati ritmi encefalici legati al condizionamento i circuiti rimangono bloccati, e il condizionamento stesso impedisce agli adepti di parlarne a chiunque, nonostante qualsiasi pressione.

— È vero, ma non mi riferivo a questo. A preoccuparmi è l’idea che tutti verranno a sapere che gli Espisti non studiano affatto le profondità della psiche umana, ma hanno più semplicemente adito a una scienza fisica molto progredita. Questo non solo risolleverà il morale dei ribelli, ma porterà anche molti fedeli, forse la maggior parte, ad andarsene per la delusione.

— Non immediatamente. Allo stato attuale delle cose, le notizie circolano molto lentamente. Inoltre, Mwyr, non tieni conto della capacità della mente umana di non considerare quello che contrasta con la fede.

— Ma…

— Ammettiamo che avvenga il peggio e che la fede venga meno disgregando l’Ordine. Sarebbe un punto a nostro svantaggio ma non sarebbe la fine. La psionica era solo un’esca per diffondere un nuovo modo di concepire la vita. Ma ne possiamo trovare altri, per esempio la magia, che ha molto seguito tra le classi più ignoranti. Se necessario, ricominceremo tutto da capo con nuove basi. Le modalità d’azione non sono rilevanti, sono solo l’impalcatura per creare una comunità antimaterialistica, alla quale aderiranno un numero sempre maggiore di persone, non trovando alternative migliori di fronte alla progressiva caduta dell’Impero. E con il passare del tempo la nuova struttura potrà anche lasciar perdere le superstizioni che le hanno permesso di diffondersi.

— Ma in tal modo si torna indietro minimo di cento anni.

— È vero. È molto più difficile inserire un elemento radicalmente estraneo adesso che la società ha creato delle forti istituzioni, molto più difficile che in passato. Comunque stai tranquillo, non è impossibile. Non intendo lasciar andare avanti le cose fino a quel punto, gli Espisti si possono ancora salvare.

— In che modo?

— Intervenendo direttamente.

— È inevitabile?

— Sì, la matrice è stata esplicita. Non che la cosa mi entusiasmi, ma l’intromissione diretta è molto più comune di quanto si dica nelle scuole. La soluzione migliore, logicamente, sarebbe di fissare delle condizioni iniziali tali che la società evolvendosi vi si indirizzi spontaneamente. Questo ci permetterebbe di evitare la dolorosa realtà delle colpe. Ma purtroppo la Grande Scienza non bada a questi dettagli della quotidianità.

“In questo caso specifico dovremo intervenire sopraffacendo i reazionari. Così il governo sarà tanto duro verso gli avversari battuti che la maggior parte di quelli che crederanno alla scoperta di St. Helena non vivranno abbastanza da poterlo dire in giro. Gli altri… sarà la loro stessa sconfitta a farli perdere di credibilità. Certo, la vicenda sopravviverà a lungo, sarà continuamente bisbigliata. Ma che importa? I credenti accresceranno la loro fede proprio nella lotta contro tali dicerie. Parallelamente all’aumentare degli adepti si ingrandirà anche la leggenda e alla fine sembrerà una favola inventata dagli antichi per spiegare cose che, data la loro ignoranza, non avevano capito.”

— Comprendo…

— Non ti piace stare qui, vero Mwyr?

— Non lo so neanch’io. È tutto così diverso.

— Dovresti essere contento di non essere capitato in un pianeta davvero alieno.

— Forse invece sarebbe stato meglio. Ci sarebbe stato un ambiente ostile di cui preoccuparsi e non avrei pensato a quanto sono lontano da casa.

— Tre anni.

— Lo dici come se fosse una cosa da nulla… come se tre anni su una nave non corrispondessero a cinquanta anni cosmici, come se arrivasse una nave da un giorno all’altro invece che una al secolo, come se le nostre esplorazioni non si limitassero a una infinitesima parte della galassia!

— Ma un giorno la includerà tutta!

— Sì, sì, sì, lo so. Altrimenti perché avrei deciso di diventare psicodinamista, perché cercherei di imparare a cambiare le sorti di un mondo che non è il mio se non per contribuire a “creare l’unione di tutti gli esseri senzienti, nella quale ogni specie costituisce un gradino verso il controllo dell’universo”? È un programma coraggioso, anche se credo che in realtà solo poche razze scelte potranno godere liberamente di quell’universo.

— Non è vero, Mwyr. Pensa un po’ a costoro che stiamo cercando, come tu dici, di cambiare secondo i nostri progetti. Pensa a come usarono l’energia solare. Con il ritmo che hanno adesso ci arriveranno tra un secolo o due e non molto tempo dopo inizieranno a costruire astronavi. Pur sapendo che la differenza temporale riduce l’effetto dei contatti interstellari, siamo comunque di fronte a effetti cumulativi. Ti piacerebbe che questa banda di carnivori dilagasse nella galassia?

“È meglio che prima si civilizzino un po’, poi vedremo se sono affidabili. In caso contrario, riusciranno comunque a vivere felicemente sul loro pianeta con il sistema progettato per loro dalla Grande Scienza. Tieni a mente che sulla Terra desiderano la pace da sempre, ma non riescono a conseguirla, da soli. Non dico di essere particolarmente buono, Mwyr, ma questo lavoro mi aiuta a non sentirmi del tutto inutile nel cosmo.”

Quell’anno le promozioni erano numerose a causa dell’alto numero delle perdite. Il capitano Thomas Danielis divenne maggiore grazie al ruolo avuto nella repressione delle rivolte civili a Los Angeles. In seguito avvenne la battaglia della Maricopa, nella quale non ci fu verso di liberarsi dai ribelli della Sierra e Danielis venne promosso a tenente colonnello. All’esercito fu ordinato di portarsi a Nord. La marcia procedeva lentamente a ridosso delle catene montuose della costa per il timore di un attacco da Est. Però i fedeli di Brodsky erano troppo impegnati a rafforzare le loro recenti conquiste per creare preoccupazioni. A dare problemi erano invece le Stazioni dei padroni con la loro guerriglia e continua resistenza. Dopo uno scontro particolarmente pesante l’esercito si fermò a Pinnacles per riprendere fiato.

Danielis gironzolava per il campo. Le tende erano state messe in file compatte tra i cannoni e gli uomini se ne stavano in ozio sonnecchiando, chiacchierando, giocando d’azzardo e fissando il cielo azzurro. L’aria era calda e impregnata dall’odore acuto dei fuochi, dei cavalli, del letame, del sudore e del grasso per gli stivali. Le colline che circondavano l’accampamento stavano passando dal verde brillante della primavera alle sfumature marroni proprie dell’estate. Danielis non aveva impegni fino a quando sarebbe iniziata la riunione decisa dal generale, ma si sentiva irrequieto. Ormai sono padre, pensava, e non ho mai visto mio figlio.

Mi devo comunque ritenere fortunato, rammentò a se stesso, perché sono ancora vivo e vegeto. Gli venne in mente Jacobsen che era morto tra le sue braccia a Maricopa. Era incredibile quanto sangue contenesse il corpo umano. Ma forse si perdeva anche l’umanità quando il dolore era tanto atroce che non rimaneva altro che urlare fino alla morte.

E io che credevo la guerra affascinante. Fame, sete, paura, mutilazioni, morte… e poi ancora le stesse cose fino a che la nausea ti trasforma in una bestia… non ne posso più. Quando sarà tutto finito mi darò agli affari. Una volta che il sistema dei padroni sarà stato distrutto avverrà l’integrazione economica e ci sarà la possibilità di farsi strada onestamente e senza le armi in pugno…

Danielis si rese conto di essersi immerso in pensieri vecchi di mesi: ma cos’altro poteva fare?

La tenda nella quale venivano interrogati i prigionieri era davanti a lui. Due soldati vi stavano portando un uomo biondo e robusto. Era un sergente, ma aveva le mostrine del Guardiano Echevarry, che spadroneggiava le montagne lungo la costa. Di professione doveva essere stato un “gorilla”: lo diceva il suo aspetto. Era un soldato privato che difendeva gli interessi di Echevarry e doveva essere stato fatto prigioniero il giorno prima.

Danielis ebbe l’istinto di seguirlo. Quando entrò nella tenda, il capitano Lambert stava finendo i preliminari seduto a una scrivania portatile.

— Oh — fece per alzarsi l’ufficiale del servizio informazioni. — Signore?

— Stia comodo — lo rassicurò Danielis. — Vorrei solo ascoltare.

— Come vuole. Cercheremo di fare bella figura. — Lambert tornò alla scrivania e fissò il prigioniero che stava in piedi con le spalle curve e le gambe divaricate tra i due custodi. — Allora, sergente, vorremmo delle informazioni.

— Non sono tenuto a dirvi nulla all’infuori del nome, grado e luogo d’origine — grugnì quello — e mi pare di averlo già fatto.

— Uhm… questo è tutto da vedere. Lei non è uno straniero, è un oppositore del governo legittimo del suo Paese.

— Niente affatto! Io sono un uomo di Echevarry.

— E con questo?

— E con questo voglio dire che io riconosco solo il giudice scelto dal mio padrone e per lui va bene Brodsky. Il ribelle è lei.

— La legge è cambiata.

— Quel vostro maledetto Fallon non ha nessun potere per cambiare la legge, tantomeno la Costituzione. Non sono un ignorante, capitano, ho studiato anch’io e ogni anno il nostro Guardiano illustra la Costituzione alla sua gente.

— Ma le cose sono cambiate da quando è stata redatta — replicò Lambert duramente. — Comunque non ho la minima intenzione di mettermi a discutere con lei. Di quanti fucilieri e arcieri è composta la sua compagnia?

Silenzio.

— Possiamo facilitarle il compito — disse Lambert. — Non le domando di tradire i suoi, ma di confermare certe notizie di cui già disponiamo.

Il prigioniero scosse la testa indignato.

A un cenno di Lambert, uno dei soldati si mise dietro il sergente e gli afferrò un braccio torcendoglielo lievemente.

— Echevarry non ricorrerebbe mai a un simile metodo — disse il prigioniero con le labbra bianche.

— Certamente — ammise Lambert. — Lei fa parte della sua squadra.

— Pensa che intenda diventare un numero qualsiasi di un elenco di Frisco? Accidenti, io sono l’uomo di fiducia del mio capo!

Lambert fece un secondo cenno e il soldato aumentò la pressione sul braccio.

— Fermatevi! — urlò Danielis. — Basta!

Il soldato mollò la stretta stupefatto. Il prigioniero fece un respiro che parve un singhiozzo.

— Mi stupisco di lei, capitano Lambert — disse Danielis sentendosi avvampare in volto. — Simili usanze sono da corte marziale!

— Si sbaglia, signore — si giustificò Lambert con un filo di voce — davvero! Il fatto è che non vogliono mai collaborare… cosa devo fare?

— Si attenga alle leggi di guerra.

— Anche con i ribelli?

— Portate via il prigioniero — ordinò Danielis ai soldati che si affrettarono a ubbidire.

— Mi perdoni, signore — mormorò Lambert. — Credo… credo di aver perso troppi amici… e non voglio assolutamente perderne altri solo perché non siamo abbastanza informati.

— Sono anch’io nella sua situazione — lo compatì Danielis. Si sedette su un lato della scrivania e iniziò ad arrotolare una sigaretta. — Ma deve considerare che questa non è una guerra qualsiasi, quindi, paradossalmente, dobbiamo rimanere legati alle convenzioni più di prima.

— Non la seguo, signore.

Danielis terminò di confezionare la sigaretta e l’offrì a Lambert: era ritorta come un ramo d’ulivo. Poi iniziò a farne un’altra per sé.

— I ribelli non si ritengono tali — spiegò. — Si dicono fedeli a una tradizione che noi vorremmo distruggere. Siamo sinceri: i padroni sono piuttosto bravi come capi. Magari discendono da qualche mascalzone che è arrivato al potere con la forza nel periodo di maggior confusione, ma a questo punto le loro famiglie si sono ben inserite nelle consuetudini delle regioni, che conoscono a menadito, e della gente che vi abita. Essi sono diventati un vero e proprio simbolo della comunità, delle sue vittorie, dei suoi usi e della sua libertà. In caso di problemi, non è necessario rivolgersi a una burocrazia impersonale: ci si rivolge al proprio padrone, i cui doveri sono chiari quanto quelli di chiunque altro e sono anzi molto più rigorosi per compensare i privilegi. È il padrone che presenzia alle battaglie e alle cerimonie principali della vita, e suo padre ha lavorato e giocato con i padri dei suoi uomini per due o trecento anni. La terra è testimone di questo e loro le appartengono.

“E va bene, ma dobbiamo far finire tutto questo se vogliamo migliorarci, e non ce la faremo certamente alienandoci tutti. Non siamo dei conquistatori, siamo piuttosto una Guardia Nazionale addetta a reprimere le rivolte nelle città. L’opposizione è parte della nostra società.”

Lambert accese un fiammifero e lo porse a Danielis. Questi aspirò e concluse: — Le ricordo anche, capitano, che i federali non sono molti né dalla parte di Fallon né da quella di Brodsky. Siamo solo una massa di cadetti, di campagnoli falliti, di poveri cittadini, di avventurieri: siamo alla ricerca di quell’identità che non siamo riusciti a trovare nella vita di tutti i giorni.

— Sono parole troppo profonde per me, signore. Ho paura di non riuscire a comprenderle.

— Non ha importanza — sospirò Danielis. — Si ricordi di questo: sono molto più numerosi gli uomini che combattono al di fuori dell’esercito regolare che quelli che vi militano dentro. Se solo i padroni riuscissero a unificare le loro forze, Fallon sarebbe finito. Fortunatamente sono troppo orgogliosi e distanti gli uni dagli altri. Ma se li esasperiamo troppo… Noi vorremmo che il piccolo e il medio proprietario pensassero che i fedeli di Fallon non sono poi tanto male e che avrebbero dei vantaggi mettendosi dalla nostra parte a scapito di quelli che ci avverseranno fino all’ultimo. Mi segue?

— Credo di sì, signore.

— Lei non è uno stupido, Lambert. Non usi la violenza per estorcere notizie ai prigionieri, si serva dell’astuzia.

— Tenterò, signore.

— Bene. — Danielis guardò l’orologio che gli avevano regalato insieme alla pistola quando era stato promosso ufficiale. Un uomo qualsiasi non se li poteva permettere. Prima era diverso, e forse un domani… — Devo andarmene. Arrivederci.

Quando uscì dalla tenda si sentì meglio. Ho la stoffa del predicatore, pensò, e non sono mai riuscito a unirmi agli scherzi degli altri né a capire le loro spiritosaggini. Se però riesco a far circolare qualche nuova idea dove è necessario mi posso ritenere soddisfatto. Arrivò fino a lui un motivetto musicale che un gruppo di uomini stavano suonando con il banjo sotto una pianta. Si rese conto che lo stava fischiettando. Era un bene che gli uomini fossero così su di morale dopo Maricopa e dopo quell’estenuante marcia verso Nord il cui scopo non era stato spiegato a nessuno.

La tenda in cui si sarebbe tenuta la riunione era grandissima, pareva quasi un padiglione. Davanti erano ferme due sentinelle. Danielis fu uno degli ultimi a entrare, così si dovette sedere all’estremità del tavolo dinanzi al generale di brigata Perez. L’aria era appestata dal fumo e tutti stavano chiacchierando. Ma i loro visi erano tesi.

Quando apparve la figura vestita d’azzurro con il segno Yang-Yin sul petto di colpo calò il silenzio. Danielis si stupì nel riconoscere il Filosofo Woodworth. Lo aveva visto l’ultima volta che era stato a Los Angeles ed era sicuro che sarebbe rimasto al centro espista della città. Doveva trattarsi di qualcosa di speciale e doveva essere arrivato in modo speciale…

Perez lo presentò. Tutti e due restarono in piedi sotto lo sguardo degli ufficiali.

— Vi porto notizie importanti, signori — annunciò Perez tranquillamente. — Dovete sentirvi onorati di essere qui. Sono sicuro che manterrete il più assoluto riserbo su ciò che vi verrà riferito e che porterete a termine questa decisiva e difficile operazione. — Danielis si meravigliò di non vedere tra i presenti alcuni alti ufficiali.

— Torno a ripetere — continuò Perez — che se non verrà mantenuto il segreto tutto andrà in fumo e la guerra potrebbe andare avanti ancora per mesi o per anni. Sapete bene quanto sia delicata la nostra posizione e sapete anche che peggiorerà ancora a mano a mano che si esauriranno le scorte che il nemico ci nega. Potremmo perdere la guerra, e non lo dico per disfattismo.

“Del resto, se riusciremo a far funzionare questo nuovo piano, potremo avere la meglio nel giro di un mese.”

Tacque per un istante, aspettando le previste reazioni, poi riprese.

— Questo progetto è stato realizzato al Quartier Generale con la collaborazione degli Espisti di San Francisco alcune settimane fa. Ecco perché siamo diretti a Nord… — Aspettò che si placasse il brusio provocato da quelle parole. — È vero che l’Ordine Espista si mantiene sempre su una posizione di neutralità nelle questioni politiche, ma è anche vero che si deve difendere quando viene attaccato. E certamente sarete informati dell’azione compiuta dai ribelli. Hanno occupato la Comunità della Valle di Napa e hanno iniziato a spargere voci tendenziose sull’Ordine. Vorrebbe andare avanti lei, Filosofo Woodworth?

L’uomo con l’abito azzurro fece un cenno d’assenso con il capo e iniziò a spiegare impassibile.

— Siamo ben attrezzati per scoprire questo genere di cose… abbiamo una specie di spionaggio nostro. Grazie a esso posso darvi informazioni precise sull’accaduto. St. Helena è stata assalita mentre la maggior parte dei fedeli era andata ad aiutare la comunità che sta nascendo nel Montana. — Come hanno fatto a spostarsi tanto in fretta?, si domandò Danielis. Hanno un sistema di teletrasporto o cos’altro? — Non so dirvi se i nemici ne fossero al corrente o se è stato solo un caso fortuito. Comunque, quando i pochi fedeli rimasti hanno cercato di farli andare via hanno iniziato a combattere e gli adepti sono stati uccisi prima ancora di poter reagire. — Sorrise. — Non siamo immortali, se non come lo è qualsiasi cosa vivente, e non siamo neanche infallibili, perciò adesso St. Helena è occupata. Non abbiamo intenzione di agire subito, perché ci andrebbero di mezzo troppi membri della comunità.

“In quanto alle dicerie che il nemico si affanna a spargere, be’, credo che se mi capitasse un’occasione del genere farei esattamente lo stesso. Lo sanno tutti che un adepto riesce a fare delle cose che non sono permesse a nessun altro, e le truppe che sanno di avere agito male temono la nostra vendetta sovrannaturale. Voi non siete degli stupidi, perciò sapete bene che non facciamo niente di soprannaturale: sappiamo solo usare i poteri che sono nascosti nella maggior parte di noi. Vi è anche noto che l’Ordine non crede nella necessità della vendetta, ma i soldati non la pensano così e sono gli ufficiali che devono rassicurarli in qualunque modo. A tale scopo creano un falso strumento e sostengono che gli adepti se ne servono… Tecnologia avanzata, certo, ma sempre macchinari che si possono mettere fuori uso, avendone il coraggio. Ed è esattamente quello che è successo.

“Nonostante tutto siamo di fronte a una minaccia per l’Ordine, e non possiamo neanche lasciare impunita un’aggressione contro i nostri fedeli. Ecco il motivo per cui gli Espisti hanno deciso di schierarsi dalla vostra parte. Questa guerra deve finire in fretta.”

Tutti tirarono un sospiro e qualcuno imprecò per l’entusiasmo. Danielis sentì i capelli drizzarglisi in testa, Perez chiese la parola.

— Calmatevi, per favore — disse. — Gli adepti non sono intenzionati a far saltare per aria i vostri avversari. La loro è stata una decisione molto sofferta. So che… uhm… che lo sviluppo individuale degli Espisti subirà un regresso di diversi anni a causa di questo. È un sacrificio immenso quello che fanno.

“Il loro Statuto prevede che possano usufruire della psionica per proteggere una comunità aggredita. Un attacco contro San Francisco sarà ritenuto un atto contro la Centrale, il loro Quartier Generale mondiale.”

Quando finalmente capì cosa stava per succedere, Danielis si sentì come accecare. Faticò addirittura a sentire Perez che continuava a parlare, freddo e attento ai dettagli.

— Guardiamo la situazione strategica. Il nemico ha occupato più di metà della California, l’Oregon, l’Idaho e gran parte dello stato di Washington. Noi possiamo usufruire solo di un accesso a San Francisco. Non ce lo hanno ancora bloccato perché le truppe che abbiamo spostato dal Nord sono molto forti e difendono bene la città. Per ora i nostri avversari stanno ottenendo una vittoria dietro l’altra e non se la sentono di correre un simile rischio.

“Non hanno neppure la minima speranza di successo. Pudget Sound e i porti meridionali della California sono ancora nelle nostre mani e grazie alle navi disponiamo di abbondanti viveri e munizioni. La loro potenza navale è molto limitata e si basa soprattutto sulle golette dei padroni della costa che agiscono al largo di Portland. Potrebbero avere la meglio su qualche nostro convoglio, ma non gli conviene attaccarci perché sanno che ne arriverebbero presto degli altri meglio scortati. Non possono neanche entrare nella baia, perché su entrambi i lati del Golden Gate sono installati missili e artiglierie. L’unica cosa che possono fare è mantenere i contatti via mare con le Hawai e l’Alaska.

“Il loro obiettivo finale è naturalmente San Francisco, sede del governo e dell’industria, il cuore della nazione.

“Ecco allora il nostro piano. Dovremo tenere occupato il Comando della Sierra e i suoi ausiliari e lo faremo attaccando San José. È logico: se ci riuscissimo, le forze nemiche in California verrebbero tagliate in due. Anzi, un attacco da parte nostra è nelle loro previsioni e hanno già iniziato a radunare gli uomini.

“Non vinceremo. Li terremo impegnati e verremo respinti. Sarà questa la parte più difficile: fare finta di avere subito una sconfitta irreparabile e riuscire a convincerne i nostri soldati pur mantenendo l’ordine. Tutti i dettagli dovranno essere previsti.

“Arretreremo verso la penisola a Nord, verso Frisco e verremo inseguiti. Penseranno che sia giunta la grande occasione di distruggerci e di prendere la città.

“Una volta che si saranno inoltrati nella penisola, con l’Oceano sulla sinistra e la Baia sulla destra, li attaccheremo alle spalle e gli Espisti ci aiuteranno. I nostri avversari rimarranno bloccati tra noi e i difensori della capitale.

“Finiremo il lavoro iniziato dagli adepti e del Comando della Sierra non rimarranno che poche guarnigioni. A quel punto la guerra diventerà una semplice operazione di rastrellamento.

“È una strategia geniale, e proprio per questo difficile da portare a termine. Siete pronti?”

Danielis non riuscì a gridare insieme agli altri. Pensava intensamente a Laura.

A Nord e sulla destra si udiva di tanto in tanto il cannone o il tambureggiare dei fucili. Un sottile strato di fumo copriva l’erba e le querce mosse dal vento che crescevano sulle colline. In basso, vicino al mare, si avvertivano solo la risacca e la brezza che faceva sibilare la sabbia delle dune.

Mackenzie procedeva a cavallo lungo la spiaggia, dove si poteva avere un’ampia visuale. La maggior parte delle sue truppe avanzava nel desolato entroterra, dove il terreno era accidentato e i boschi e i ruderi di antiche case allungavano e complicavano il tragitto. C’era stato un tempo, prima della Bomba Infernale, in cui quelle zone erano molto popolate. Adesso, i pochi rimasti non riuscivano neanche a sfamarsi tanto il terreno si era impoverito. Pareva che non ci fossero neppure i nemici.

I Sassi Rotolanti non avevano certo avuto quell’incarico per questo. Non avrebbero avuto alcuna difficoltà ad attaccare il nemico al centro, come le unità che vi erano stanziate e respingevano gli avversari verso San Francisco. Già diverse volte erano stati decimati quando, vicino a Calistoga, avevano cercato di mandare via dalla California settentrionale i seguaci di Fallon. Avevano agito tanto bene che ora per mantenere lo status quo bastava un minimo contingente. Il Comando della Sierra quasi al completo si era riunito a Modesto, dove si era scontrato con le forze nemiche dirette a Nord obbligandole a retrocedere verso San José. Ancora uno o due giorni di cammino e sarebbero arrivati in vista della città bianca.

Certamente troveremo una forte resistenza, pensò Mackenzie, a causa della guarnigione di rinforzo. La dovremo bombardare e forse dovremo conquistarci la città una strada dopo l’altra. Laura, bambina mia, sarai ancora viva alla fine di tutto questo?

Può anche andare diversamente. Magari il mio piano funzionerà e la vittoria sarà facile… che brutta parola “forse”!

Mackenzie batté le mani. Pareva un colpo di pistola.

Speyer lo guardò. La sua famiglia era al sicuro, era persino andato a trovarla sul Monte Lassen dopo la campagna nel Nord.

— È difficile — disse.

— È difficile per tutti — rispose Mackenzie pieno di collera. — È una sporca guerra.

Speyer alzò le spalle.

— Non è poi così diversa dalle altre, a parte il fatto che combattiamo contro nostri connazionali.

— Sai perfettamente che a me non è mai piaciuta nessuna guerra, qualunque fosse il luogo di combattimento.

— E a quale persona sana di mente potrebbe piacere?

— Ti avviserò, quando mi verrà voglia di ascoltare una predica.

— Scusa — disse Speyer.

— Scusami anche tu — disse a sua volta Mackenzie subito pentito. — Ho i nervi a fior di pelle. Accidenti! Forse starei meglio se dovessimo entrare in azione.

— Non ci sarebbe da stupirsi se accadesse davvero. Questa faccenda non mi quadra per niente.

Mackenzie si voltò a guardare. L’orizzonte destro era chiuso dalle colline dietro le quali si innalzava la bassa e massiccia catena di San Bruno. Distingueva, sparse qua e là, le sue squadre a piedi e a cavallo. In alto volava un aereo. Ma i nascondigli erano innumerevoli e da un momento all’altro poteva succedere di tutto… anche se sarebbe stata comunque una cosa limitata e con poche perdite. Però ognuna di quelle “poche perdite” era un uomo che se ne andava, lasciando donne e bambini nella disperazione, oppure era un uomo con un moncherino al posto del braccio, o con il viso deformato da una scarica… non era degno di un soldato fare certe riflessioni.

Per distrarsi, Mackenzie guardò verso sinistra. L’oceano rotolava in luccicanti ondate grigioverdi che si gonfiavano e si infrangevano ruggendo contro le rocce bianche vicine alla riva. Si avvertiva nell’aria l’odore del sale e delle alghe. Qualche gabbiano lanciava i suoi acuti gridi sopra la sabbia abbagliante. Non c’era una vela né un filo di fumo… solo il vuoto. Le navi che partivano da Puget Sound per San Francisco e quelle agili e rapide dei padroni della costa erano molto al di là dell’orizzonte.

Doveva essere così. Forse le cose stavano prendendo la giusta piega. L’unica cosa che si poteva fare era sperare… e tentare. Era stata un’idea sua… James Mackenzie l’aveva esposta alla conferenza indetta dal generale Cruikshank nell’intervallo tra la battaglia di Mariposa e quella di San José. Era lo stesso James Mackenzie che aveva proposto che il Comando della Sierra scendesse dalle montagne e rivelasse a tutti l’inganno degli Espisti… era anche lo stesso James Mackenzie che era riuscito a nascondere ai suoi uomini il mistero celato dietro a quell’inganno. Sarebbe passato alla storia quel colonnello e per almeno mezzo millennio avrebbero cantato di lui.

Ma lui non la vedeva così. Non si reputava più intelligente degli altri e adesso per di più era prostrato dalla fatica e preoccupato per la sorte della figlia. Anche la paura di rimanere ferito lo perseguitava e spesso non riusciva a prendere sonno senza aver bevuto molto. Era perfettamente rasato, da buon ufficiale, ma era consapevole che senza il suo attendente che lo teneva in ordine sarebbe andato in giro irsuto come un qualsiasi soldato. Sotto l’uniforme ormai consunta il suo corpo puzzava e prudeva. Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un po’ di tabacco, ma c’erano stati dei problemi con il servizio di approvvigionamento e dovevano ritenersi già contenti di avere qualcosa da mettere sotto i denti. Le sue vittorie erano state ottenute nella confusione più totale… di solito avanzava così, stancamente e con l’unico desiderio che finisse tutto al più presto. Prima o poi il suo corpo avrebbe ceduto. Si sentiva già andare a pezzi: aveva l’artrite, il respiro affannoso ed era soggetto a improvvisi colpi di sonno. Sarebbe morto come un qualsiasi straccio d’uomo. Un eroe lui! Che pagliacciata!

A fatica si concentrò sul presente. Alle sue spalle il grosso del reggimento seguiva l’artiglieria lungo la spiaggia: un migliaio di uomini con cannoni motorizzati, carri tirati da muli, qualche camion e una preziosa auto blindata. Formavano una massa scura, sovrastata dagli elmetti, sparpagliata qua e là e armata. I loro passi erano resi silenziósi dalla sabbia. Gli unici rumori erano quelli della risacca e del vento. Quando questo cessava per un momento Mackenzie sentiva la canzone contro il malocchio che una dozzina di uomini anziani e induriti, quasi tutti indiani, fischiavano in coro: il Canto contro le Stregonerie. Il colonnello non credeva alla magia, ma nonostante tutto quelle note gli facevano correre i brividi lungo la schiena.

Va tutto secondo i piani, si disse. Stiamo andando benissimo.

Ma Phil ha ragione. È strano: i nostri avversari avrebbero dovuto combattere e non lasciarsi mettere in trappola in questo modo.

Gli piombò accanto il capitano Hulse con una brusca frenata che fece schizzare la sabbia tutto attorno.

— A rapporto, signore.

— Allora? — Mackenzie si accorse di avere usato un tono sbagliato. — Su, parli.

— Abbiamo notato una intensa attività a circa otto chilometri da qui a Nord-Est. Sembra che un forte contingente stia avanzando verso di noi.

Mackenzie si irrigidì.

— Non sa dirmi altro?

— Per ora no. Il terreno è troppo accidentato.

— Faccia fare al più presto una ricognizione aerea, per l’amor di Dio!

— Sì, signore. Manderò anche degli esploratori.

— Assumi tu il comando, Phil. — Mackenzie andò verso il furgone che conteneva la radio. Teneva sempre un minicom nella sacca della sella, ma San Francisco disturbava tutte le frequenze e ci sarebbe voluto un apparecchio molto potente anche per trasmettere un segnale a brevissima distanza. L’unico modo per comunicare da una pattuglia all’altra erano i messaggeri.

Il colonnello osservò che la sparatoria era diminuita. All’interno della penisola, a Nord, le strade erano ancora decenti e il nemico se ne serviva senz’altro per effettuare dei rapidi spostamenti.

Se ci colpissero ai fianchi, che sono il nostro punto debole…

Attraverso le scariche e i ronzii udì la voce del Quartier Generale che aveva ricevuto il suo rapporto e stava informandolo sulle ultime novità. Erano stati osservati dei massicci spostamenti a destra e a sinistra. Pareva proprio che i seguaci di Fallon intendessero distruggerli. Ma poteva anche essere tutta una finta, perciò le forze del Comando della Sierra dovevano restare al loro posto finché la situazione non fosse stata più chiara. I Sassi Rotolanti dovevano essere pronti a resistere da soli, in casi estremi.

— Va bene. — Mackenzie tornò dalle sue truppe. Speyer fece un cupo cenno di assenso.

— Conviene tenerci pronti, vero?

— Uh-uh. — Il colonnello si mise a impartire ordini a tutti gli ufficiali che gli si avvicinavano. I reparti più avanzati dovevano retrocedere. Bisognava difendere la spiaggia e le prime alture.

I soldati si muovevano veloci, i cavalli nitrivano, i cannoni rotolavano pesantemente. L’aereo da ricognizione fece ritorno, abbassandosi quel tanto necessario per stabilire un contatto. Non c’era alcun dubbio: il nemico stava per attaccare. Era difficile quantificarne le forze, perché i suoi movimenti erano protetti dagli alberi e dai fiumi in secca, ma poteva esserci anche un’intera brigata.

Mackenzie si collocò su un’altura insieme allo Stato Maggiore e ai messaggeri. Ai suoi piedi si spiegò parte dell’artiglieria e dietro di essa aspettavano i cavalleggeri con le lance scintillanti, affiancati da un gruppo di fanti. Gli altri erano scomparsi. Dal mare giungevano le prime cannonate e i gabbiani iniziarono a radunarsi, come prevedendo che ci sarebbe stata molta carne di lì a poco.

— Pensi che potremmo fermarli? — domandò Speyer.

— Certamente! — rispose Mackenzie. — Se arrivano lungo la spiaggia liquideremo in breve la loro prima linea. Se invece vengono dall’interno… questo posto è adatto a una difesa da manuale. Logicamente se altre unità riuscissero a sconfiggere le truppe dell’entroterra rimarremmo isolati. Ma non è il caso di preoccuparsi, per ora.

— Forse credono di poterci aggirare e attaccare da dietro.

— Sono d’accordo con te. Ma non credo che sia un’idea brillante. Possiamo raggiungere Frisco sia avanzando che retrocedendo.

— A meno che la guarnigione che la difende rischi una sortita.

— Sarebbe la stessa cosa. Numericamente le forze sono pari, ma noi abbiamo più munizioni e più alcool. E possiamo contare sulle milizie dei padroni, avvezze alla guerriglia sui terreni collinosi.

— Se riuscissimo a spazzarli via…

— Vai avanti — lo incitò Mackenzie.

— Niente.

— Accidenti! Stavi per dire quello che succederà dopo. Come faremo a conquistare la città senza che ci siano troppi morti da entrambe le parti? Bene. Abbiamo un asso nella manica che potrebbe fare al caso nostro.

Speyer guardò altrove, impietosito. Sull’altura calò il silenzio.

Dovette passare un tempo interminabile prima che il nemico apparisse. Le prime a comparire furono le avanguardie a cavallo tra le dune, poi il grosso delle truppe si riversò giù dalle colline, fuoriuscì dai canali e dai boschi. Intorno a Mackenzie era un incrociarsi di rapporti. Si trattava di un contingente numeroso ma con poca artiglieria e a corto di carburante. Per spostarsi dovevano dipendere quasi esclusivamente dagli animali. La loro intenzione di attaccare era evidente: avrebbero accettato anche delle pesanti perdite pur di falciare con le sciabole e le baionette i Sassi Rotolanti. Mackenzie impartì nuovi ordini.

I nemici si schierarono a poco più di un chilometro di distanza. Guardando con il binocolo il colonnello riconobbe le fusciacche rosse del Madera Cavalleria e l’insegna verde e oro dei Dagos che si agitava nel vento salmastro. Un tempo erano stati suoi compagni. Gli pareva quasi un tradimento adesso sfruttare la conoscenza delle tattiche preferite da Ives contro lui stesso… Un’auto blindata e qualche pezzo leggero, da campagna, tirato da cavalli scintillavano sinistramente nel sole.

Le trombe squillarono. I cavalleggeri di Fallon misero le lance in resta e partirono al trotto. Avanzando acquistarono velocità, finché il terreno tremò sotto il loro galoppo. A quel punto partì la fanteria, fiancheggiata dai cannoni, mentre l’auto blindata avanzava ondeggiante tra la prima e la seconda linea dei fanti. Era strano: non c’era un lanciarazzi sopra la macchina, e dalle feritoie non sporgevano le mitragliatrici. Erano dei bravi soldati, pensò Mackenzie, e procedevano in ordine serrato come si addiceva a dei veterani. Non riusciva a pensare a quello che sarebbe accaduto a momenti.

I suoi uomini attendevano, fermi sulla sabbia. Dalle colline, dove si erano appostati i fucilieri e i mortai, giunsero i primi colpi. Un cavalleggero cadde a terra, un fante si premette il ventre con le mani e si lasciò andare in ginocchio. I loro compagni tapparono i vuoti. Mackenzie fissò i suoi obici. Gli uomini aspettavano, tesi. Lasciamoli venire a tiro… Adesso! Yamaguchi, fermo a cavallo dietro gli artiglieri, sguainò la sciabola abbassandone la lama. Il cannone tuonò schizzando fumo e fuoco. La sabbia si sollevò e i proiettili piovvero sugli avversari protesi all’attacco. Gli artiglieri ricaricarono immediatamente, puntarono, spararono: tre colpi al minuto. I nemici cadevano e i cavalli nitrivano aggrovigliati nelle loro stesse budella. Ma non erano molti i morti. I cavalleggeri del Medea continuavano ad avanzare al galoppo. Erano ormai tanto vicini che Mackenzie con il binocolo inquadrò un volto nelle prime file, rosso e ricoperto di lentiggini, un giovane mandriano con il volto distorto dal dolore.

Entrarono in azione gli arcieri, schierati dietro i cannoni. Le frecce sibilarono nel cielo più veloci dei gabbiani e descrivendo una parabola precipitarono verso terra. L’erba della collina e i boschetti di querce erano assaliti dal fumo. Sulla sabbia erano caduti degli uomini ancora in vita che si dimenavano orribilmente, simili a insetti calpestati. L’artiglieria di sinistra del nemico si fermò, si girò, rispose al fuoco… era inutile… che coraggio quell’ufficiale! Mackenzie notò che le prime linee ondeggiavano. I suoi cavalleggeri e i suoi fanti li avrebbero distrutti con un solo attacco.

— Prepararsi all’assalto — disse nel minicom. Subito tutti furono pronti.

L’auto blindata del nemico rallentò e si fermò. Al suo interno si udì un tintinnio tanto intenso che si poteva sentire nonostante le esplosioni.

La collina più vicina si ricoprì di una cortina biancoazzurra che costrinse Mackenzie a chiudere gli occhi abbagliato. Quando li riaprì distinse a fatica un fuoco d’erba. Un soldato si gettò fuori dal riparo urlando, ricoperto dalle fiamme. Cadde a terra e si rotolò nella sabbia. Contemporaneamente un’ondata terrificante si mangiò la spiaggia e si schiantò contro la collina con la sua cresta alta sei metri. Il soldato in fiamme e i suoi compagni scomparvero.

— Un’esplosione psi! — gridò qualcuno orribilmente tra la confusione e le vibrazioni della terra. — Gli Espisti…

Incredibilmente, si udì una tromba e la cavalleria della Sierra avanzò. Oltrepassò la linea dei propri cannoni e piombò sugli avversari che si sparpagliarono… cavalli e cavalieri vennero sollevati da terra e furono attratti in un vortice invisibile ed enorme. Quindi precipitarono al suolo con un terribile schianto. I cavalieri arretrarono, si voltarono su se stessi e scapparono dovunque gli capitasse.

L’aria si colmò di un ronzio pauroso. Mackenzie si sentiva avvolto da una foschia strana. Gli pareva che il suo cervello fosse scosso dentro la scatola cranica. Un secondo bagliore accecante arrivò dalle colline, ancora più alto, e arse vivi i soldati.

— Ci spazzeranno via — urlò Speyer. La sua voce giungeva a scatti. — Approfitteranno del fatto che siamo tutti sparpagliati per riordinare le file…

— No! — gridò Mackenzie. — Gli Espisti devono trovarsi sull’auto blindata. Vieni!

La maggior parte dei cavalleggeri si era ripiegata su se stessa in mezzo a una tremenda confusione. La fanteria stava immobile, ma pronta a darsi alla fuga. Un’occhiata a destra permise a Mackenzie di notare che il caos regnava anche tra i nemici: era stata una terribile sorpresa anche per loro. Ma non appena compresa la situazione avrebbero attaccato di nuovo e non ci sarebbe stato più modo di fermarli… Spronò il cavallo senza neppure rendersene conto. L’animale fece resistenza. Era tutto ricoperto di schiuma e in preda al panico. Mackenzie lo obbligò a voltarsi con la forza, affondando gli speroni. Scesero a precipizio la collina diretti ai cannoni.

Far fermare il cavallo davanti alle bocche non fu un’impresa da poco. Un uomo era steso a terra morto, vicino al suo cannone. Non si vedeva la minima ferita. Il colonnello smontò e l’animale fuggì via.

Non ebbe neanche il tempo di pensarci. Dove erano finiti tutti? — Venite qui! — ma il suo grido svanì nel frastuono. All’improvviso gli si fece accanto Speyer. Prese un proiettile e lo mise nel cannone. Mackenzie strizzò gli occhi per guardare nel binocolo e valutare le distanze. Distingueva l’auto degli Espisti tra i morti e i feriti. Non sembrava possibile, a quella distanza, che una macchina tanto piccola e tozza avesse potuto carbonizzare una distesa di terra così grande.

Con l’aiuto di Speyer puntò il cannone, quindi tirò la funicella. Il cannone ruggì e si scosse. Il proiettile esplose poco lontano dal bersaglio, facendolo sussultare e ondeggiare. Lo spostamento d’aria poteva aver provocato delle ferite agli Espisti chiusi dentro e per lo meno erano terminate le esplosioni psi. Era però necessario colpirli di nuovo prima che potessero riorganizzarsi.

Mackenzie si diresse di corsa verso la sua auto blindata. Era vuota, tutti si erano dati alla fuga. Si gettò al volante. Speyer chiuse violentemente lo sportello e si infilò nell’incavo del periscopio lanciarazzi. Mackenzie mise in moto e partì. La bandiera sul pennone sbatteva nel vento.

Speyer prese la mira e premette il pulsante. Il missile sfrecciò infuocato per metri e metri, infine esplose. L’auto ebbe un sobbalzo e un fianco venne squarciato.

Sperando che i ragazzi si riuniscano e avanzino… se no… sono finito. Mackenzie fermò la macchina facendo stridere i freni, spalancò lo sportello e saltò fuori. Intorno allo squarcio il metallo annerito e accartocciato fungeva da cornice. Vi penetrò a stento, immergendosi nel buio e nel fetore.

Trovò due Espisti: il guidatore era morto e mostrava una scheggia d’acciaio nel petto; l’altro si lamentava in mezzo a strumenti inumani. Il suo viso era una maschera di sangue. Mackenzie si affiancò al cadavere e gli strappò i vestiti. Si impossessò di un tubo di metallo ricurvo e uscì.

Speyer era rimasto a bordo e indirizzava raffiche contro chiunque cercasse di avvicinarsi. Mackenzie si inerpicò lungo la scaletta dell’auto nemica e raggiunto il tetto si mise a sventolare la veste azzurra e quella strana arma.

— Venite, figlioli! — urlò con una voce che si udiva appena nel vento proveniente dal mare. — Li abbiamo messi a tacere. Volete anche che vi serviamo la colazione a letto?

Vicino al suo orecchio sfrecciò sibilando un proiettile. Nient’altro. I nemici, a piedi e a cavallo, parevano impietriti. Nell’immenso silenzio che seguì non avrebbe saputo dire se quello che si sentiva era la risacca o il pulsare del suo stesso sangue.

Squillò una tromba. Il Corpo Antimalocchio lanciò un fischio di esultanza e fece rullare i tamburi. Un gruppo disordinato dei suoi fanti iniziò ad avvicinarsi, seguito dagli altri. Dopo di loro si mosse la cavalleria, un’unità dopo l’altra, e molti soldati scesero dalle colline fumanti di corsa.

Mackenzie scese sulla sabbia e tornò a bordo della sua auto blindata.

— Torniamo indietro — disse a Speyer. — Dobbiamo finire una battaglia.

— Stia zitto! — ordinò Tom Danielis.

Il Filosofo Woodworth lo guardò. La nebbia si insinuava nella foresta con i suoi tentacoli gocciolanti, celando la terra e la brigata in un nulla grigio che attutiva il rumore degli uomini e dei cavalli. Una tristezza infinita. Faceva freddo e i vestiti si appiccicavano alla pelle appesantiti.

— Signore! — si lamentò il maggiore Lescarbault con gli occhi spalancati per lo stupore.

— Ti meravigli perché ho osato mettere a tacere un Espista a proposito di un argomento del quale non sa assolutamente niente? Era ora che qualcuno lo facesse!

Woodworth si ricompose.

— Ho semplicemente proposto di rafforzare gli adepti e colpire il cuore dei seguaci di Brodsky. Cosa ho fatto di male? — domandò con un tono di rimprovero.

Danielis strinse i pugni.

— Niente — rispose. — È solo che vorrebbe dire andare incontro a un disastro ancora maggiore di quelli già collezionati per merito vostro.

— Solo momentanei insuccessi — lo contraddisse Lescarbault. — Siamo stati messi in rotta a Ovest, ma nella Baia siamo riusciti ad aggirarli.

— È vero, e il risultato è stato che si sono girati anche loro e ci hanno spaccati in due — scattò Danielis. — Gli Espisti non ci sono serviti a niente… E adesso i nostri nemici sanno che hanno bisogno di mezzi per trasportare le loro armi e che si possono uccidere. L’artiglieria gli spara addosso, bande irregolari li assalgono e spariscono nel nulla dopo averli ammazzati… oppure le loro postazioni vengono semplicemente aggirate. Non abbiamo un numero sufficiente di adepti!

— Ecco perché ho suggerito di formare un gruppo solo. Sarebbe troppo numeroso per il nemico.

— E anche troppo ingombrante per essere utile — replicò Danielis. Adesso che sapeva come era stato ingannato tutta la vita dall’Ordine si sentiva nauseato. Era quello il motivo della sua amarezza, non il fatto che non ce l’avevano fatta a sconfiggere i ribelli neanche moralmente. Aveva capito che gli adepti erano solo dei burattini, delle pedine mosse da altri.

Non vedeva l’ora di ritornare da Laura… non l’aveva ancora rivista… da Laura e dal bambino: l’unica cosa onesta che gli fosse rimasta in quel mondo invaso dalla nebbia. Cercò di controllarsi e andò avanti a parlare con un tono più tranquillo.

— I pochi adepti rimasti ci aiuteranno, naturalmente, a difendere San Francisco. Un esercito normale può farli fuori sul campo in un modo o nell’altro, ma con le vostre… con le vostre armi potremo respingerli stando sulle mura della città. È là che dobbiamo farli andare.

Era la cosa migliore che potesse fare. Non si sapeva più nulla della parte settentrionale dell’esercito lealista. Certamente era in ritirata verso la città e stava subendo pesanti perdite. Le interferenze rendevano difficoltose le comunicazioni via radio per entrambe le parti. Bisognava fare qualcosa: tornare verso Sud o aprirsi un varco lottando fino alla capitale. Quest’ultima gli sembrava la soluzione migliore ed era convinto di esserci arrivato senza essere influenzato dal pensiero di Laura.

— Io non sono un adepto — disse il Filosofo — quindi non sono in grado di parlargli nella mente.

— Intende dire che non è in grado di usare la loro radio personale — ribatté brutalmente Danielis. — Ma ha con sé un adepto. Gli dica di passare parola.

Woodworth fremette.

— Mi auguro… — disse — mi auguro che capisca che è stata una sorpresa anche per me.

— Ma certo, Filosofo — si intromise Lescarbault senza essere interpellato.

Woodworth inghiottì la saliva.

— Io resto fedele alla Via e all’Ordine — disse con asprezza. — È l’unica cosa che mi rimane da fare. Giusto? Il Grande Ricercatore ci ha garantito una spiegazione esauriente alla fine. — Scosse il capo. — E va bene, figliolo, farò quello che posso.

Quando vide la tunica azzurra sparire nella nebbia, Danielis si sentì sfiorare dalla pietà. Si mise a dare ordini in tono ancora più severo.

Adagio, le truppe ripresero il cammino. A parte la Seconda Brigata, che era con lui, le altre erano sparse in tutta la penisola, ridotte a brandelli. Si augurava che gli adepti, altrettanto sparpagliati, riuscissero a raggiungerlo durante la traversata della catena di San Bruno e avessero con sé alcune unità dell’esercito. Ma era logico aspettarsi che molte, demoralizzate e sperdute, si sarebbero arrese ai nemici incontrati per caso.

Procedette a cavallo verso il fronte, percorrendo una strada fangosa che si insinuava tra gli altipiani. Il cavallo avanzava a stento, sfiancato da giorni — quanti? — di marcia, battaglie, scaramucce, poco cibo, caldo, freddo, paura… Appena arrivati in città avrebbe ordinato di fargli un buon trattamento… insieme a tutte quelle povere bestie che lo seguivano con gli occhi velati dalla stanchezza.

Potremo riposare a San Francisco. La città sarà sicura, con le mura intorno, i cannoni e le macchine degli Espisti a difenderci da un lato e il mare dall’altro. Possiamo rimetterci in forze, riunire gli uomini, far arrivare truppe fresche dallo Stato di Washington e dal Sud via mare. Non è ancora detta l’ultima parola… che Dio ci aiuti.

Chissà se tutto questo avrà una fine.

E poi Jimbo Mackenzie ci verrà a trovare e seduti vicino al camino ci racconteremo quello che abbiamo fatto? O parleremo d’altro… qualsiasi altra cosa? Diversamente sarebbe un prezzo troppo alto da pagare per avere vinto.

Anche se forse non sarebbe un prezzo troppo alto per quello che abbiamo imparato. Degli stranieri sul nostro pianeta… chi altri sarebbe stato in grado di costruire simili armi? Gli adepti dovranno dirci la verità, a costo di farli torturare.

Rammentava le storie che narravano i pescatori nelle baracche quando era un bambino e con il buio arrivavano gli spettri. Prima della catastrofe c’erano innumerevoli leggende sulle stelle, e non erano scomparse. Egli stesso si domandava se sarebbe mai riuscito a guardare il cielo di notte senza avvertire un brivido.

Quella maledetta nebbia…

Un rumore di zoccoli. Danielis afferrò la pistola. Si trattava di uno dei suoi esploratori, che alzò una manica inzuppata d’acqua per salutarlo.

— Colonnello, c’è un contingente nemico molto grosso sulla strada, a circa quindici chilometri da qui.

È arrivato il momento di combattere.

— Ci hanno visto?

— No, signore. Sono diretti a Est, lungo la catena.

— È probabile che intendano occupare le rovine di Candlestick Park — mormorò Danielis. Si sentiva troppo sfinito per provare la benché minima emozione. — Una buona postazione, quella. Bene, caporale. — Si voltò a Lescarbault e impartì degli ordini.

La compagnia si predispose per il combattimento e le pattuglie si avviarono. Quando giunsero le prime informazioni Danielis abbozzò un piano che avrebbe potuto andare bene. Non voleva uno scontro diretto, intendeva solo obbligare gli avversari a farsi da parte e dissuaderli dall’inseguirli. Doveva risparmiare i suoi uomini il più possibile, riservarli per la difesa della città e la controffensiva finale.

Lescarbault tornò indietro.

— Signore! Le interferenze della radio sono finite!

— Cosa? — Danielis si riscosse.

— Sì, signore. Stavo usando un minicom… — Lescarbault sollevò il polso al quale era legata una piccola ricetrasmittente. — Questo minicom per riferire i suoi ordini ai comandanti dei vari battaglioni. Le interferenze sono terminate qualche minuto fa e adesso si sente bene.

Danielis si avvicinò il polso di Lescarbauit alle labbra.

— Pronto, pronto. Carro radio, parla il comandante. Mi sentite?

— Sì, signore — rispose una voce.

— Sono finite le interferenze dalla capitale. Datemi la banda aperta dell’esercito.

— Sì, signore. — Ci fu una pausa. Gli uomini bisbigliavano tra di loro e l’acqua scorreva invisibile nei ruscelli. Un lembo di nebbia passò davanti a Danielis come fumo. L’elmetto gli sgocciolava sul collo e la criniera del cavallo pendeva inzuppata.

Come lo stridere di un insetto.

— …immediatamente qua! Tutte le unità in campo si dirigano subito a San Francisco! Siamo stati attaccati dal mare!

Danielis lasciò andare il polso di Lescarbauit e si mise a fissare il vuoto mentre la voce continuava a gridare senza finire mai.

— …stanno bombardando Potrero Point. Ci sono navi cariche di truppe, forse intendono sbarcare…

La mente di Danielis vagò precedendo le parole. Era come se l’ESP non fosse stato un inganno, come se stesse vedendo di persona quella città tanto amata e sentisse le ferite sulla propria pelle. Non doveva esserci la nebbia sul Golden Gate, altrimenti non sarebbe stato possibile dare una descrizione tanto ricca di particolari. Magari alcuni tentacoli di nebbia giungevano sotto i resti arrugginiti del ponte, candidi come neve contro l’acqua verdeazzurra e il cielo splendente. La maggior parte della Baia doveva essere illuminata dal sole. Sul lato opposto sorgevano le colline dell’Eastbay, verdeggianti di giardini e costellate di ville. Oltre lo stretto, Marin si ergeva contro il cielo guardando i tetti e i muri che formavano San Francisco. Il convoglio era riuscito a passare attraverso quelle difese costiere che in condizioni normali l’avrebbero annientato. E per giunta era un convoglio molto ingombrante e fuori orario: ma era simile alle chiglie panciute con le vele bianche e i fumaioli che da tanto tempo portavano i rifornimenti alla città. Si era parlato di un piccolo scontro con i vascelli dei nemici, poi alla flotta era stato concesso di entrare nella baia, dove San Francisco non aveva mura di protezione. Solo allora i cannoni erano stati scoperti e dalle stive erano usciti uomini armati.

È vero, le golette pirata si sono impossessate di un convoglio. Hanno sfruttato le interferenze radio per soffocare ogni avvertimento. Hanno buttato a mare i nostri rifornimenti e hanno portato a bordo i soldati dei padroni. Qualche traditore gli ha rivelato i segnali di riconoscimento e le porte della città gli si sono spalancate davanti. Con pochissimi uomini in difesa e con la Centrale Espista quasi priva di adepti… e mentre le truppe del Comando della Sierra premono da Nord… Laura è senza di me.

— Stiamo arrivando! — urlò Danielis. I suoi uomini si misero in marcia dietro di lui. Con una feroce disperazione penetrarono tra le file nemiche e si dispersero in piccoli gruppi. Nella nebbia si combatteva con le sciabole e i coltelli, ma Danielis era già stato colpito al petto da una granata.

Nella zona portuale e tra i ruderi del muro della penisola permaneva qualche combattimento sporadico. Dirigendosi a cavallo verso un punto più elevato Mackenzie osservò che quelle zone erano rese quasi invisibili dal fumo: solo il vento permetteva di intravvedere le macerie che un tempo erano state case. Gli arrivava ancora il crepitare degli spari. Per il resto la città era intatta, con i suoi tetti e i suoi muri bianchi incastrati in una ragnatela di strade, con i campanili che si stagliavano nel cielo come alberi di una nave, con il Palazzo Federale e la Torre di Guardia. Tutto era come nei suoi ricordi da bambino. La bellezza della baia era addirittura insolente.

Ma lui non aveva tempo per ammirarla, né tantomeno per pensare a Laura. L’attacco ai Twin Peaks si doveva svolgere in fretta, perché certamente la Centrale degli Espisti si sarebbe difesa.

Sul versante opposto alle due grosse gobbe, Speyer avanzava alla testa di metà dei Sassi Rotolanti. Yamaguchi giaceva sulla spiaggia trivellata dalle esplosioni e Mackenzie guidava di persona la rimanente metà. Attraversarono Portola, che presentava alla loro vista tutte le ville e le finestre sbarrate. I cavalli scalpitavano, i cannoni rombavano e cigolavano e si poteva sentire il battito degli stivali sull’asfalto e il tintinnio delle armi, nonché il respiro pesante dei soldati. I Corpi Antimalocchio fischiettavano contro i demoni. Ma su tutto quel frastuono imperava il silenzio. A Mackenzie venne da pensare a quella volta in cui si era trovato in un corridoio senza uscita. Anche se non si difenderanno, dobbiamo fare in fretta a prendere la Centrale, per evitare che i nostri nervi crollino, pensò stordito.

La strada prese a salire tortuosamente sulla destra e le case terminarono. Le colline erano coperte solo dall’erba incolta fino alla cima sulla quale sorgevano le costruzioni vietate ai non iniziati. Erano due grattacieli altissimi e iridescenti, simili a zampilli di fontane. Erano stati costruiti di notte, nel giro di poche settimane. Mackenzie sentì un suono simile a un gemito alle sue spalle.

— Trombettiere, suona la carica, immediatamente.

Come lo sberleffo di un bimbo, le note si persero subito nell’aria. Gli occhi di Mackenzie bruciavano per il sudore. Se avesse fallito… se fosse stato ucciso, non gli sarebbe importato… dopo tutto quello che era successo… ma i suoi uomini, i suoi uomini…

La strada venne inghiottita da una fiamma infernale. Un sibilo e un ruggito squassarono l’aria e l’asfalto comparve fuso e fumante. Mackenzie dovette forzare per far fermare il cavallo. È solo un modo per avvisarci. Ma se fossero in numero sufficiente si limiterebbero a questo?

— Artiglieria, sparate!

Gli obici e i ’75 motorizzati recuperati ad Alemany Gate risuonarono all’unisono e i proiettili, sibilando nell’aria come locomotive, andarono a colpire le mura. Il boato tornò indietro tuonando nel vento.

Mackenzie era in attesa dell’esplosione psi, ma non successe nulla. Possibile che avevano liquidato in così poco tempo l’ultimo baluardo di difesa? Quando il fumo si diradò, il colonnello poté vedere che i colori del grattacielo erano scomparsi e dagli squarci apertisi apparve un’intelaiatura incredibilmente debole.

Occorreva muoversi in fretta. Diede una serie di ordini e portò in avanti i fanti e i cavalleggeri. La batteria restò dove si trovava e continuò a sparare con una furia cieca. Quando le schegge in fiamme si propagarono all’intorno, l’erba inaridita prese fuoco. Mackenzie vide l’edificio disintegrarsi tra gli scoppi. Strisce intere della facciata rovesciarono a terra. La trama dell’edificio vibrò e, dopo l’ennesimo colpo, emise un suono metallico nell’agonia.

Ma cosa c’era all’interno?

Non c’erano locali separati, né piani. Solo macchine incomprensibili e qua e là una palla ardente come un piccolo sole. Una colonna lucente e pinnata, alta quasi come il palazzo, si ergeva assurdamente enorme e assurdamente bella.

È la loro astronave, pensò Mackenzie in quel fragore assordante. Certo, gli antichi avevano iniziato a costruire delle astronavi e siamo sempre stati convinti che un domani anche noi ci riusciremo. Ma questa…

Gli arcieri innalzarono un grido tribale che i fucilieri e i cavalleggeri riecheggiarono ebbri di gioia: era l’ululato di una belva inferocita. Per Satana, abbiamo vinto le stelle! Quando comparvero sulla cima della collina, gli artiglieri cessarono il fuoco e si misero anch’essi a gridare nel vento. Il fumo, pungente, aveva l’odore del sangue.

In mezzo alle macerie apparvero dei cadaveri vestiti d’azzurro, mentre una mezza dozzina di sopravvissuti si slanciò verso l’astronave. Una freccia li costrinse a fermarsi e diversi soldati si fecero avanti per farli prigionieri.

Mackenzie tirò le redini. Vicino a una macchina c’era qualcosa che non era un uomo. Aveva il sangue viola scuro. Quando lo vedranno gli altri per l’Ordine sarà la fine. Non riusciva a esultare. A St. Helena aveva capito che gli Espisti erano fondamentalmente buoni.

Ma non c’era tempo per i rimpianti, né per interrogarsi sulle difficoltà del futuro: gli uomini oramai si erano scatenati completamente. L’altro grattacielo era ancora illeso. Doveva rafforzare la sua posizione e in caso di necessità correre in aiuto di Phil.

Ma il minicom lo chiamò: — Raggiungimi, Jimbo. È finita. — Mackenzie non portò a termine il suo compito. Mentre cavalcava alla volta di Speyer una bandiera degli Stati del Pacifico venne issata sul pennone in cima al grattacielo.

All’entrata, le sentinelle erano agitate e impaurite. Mackenzie scese dal cavallo ed entrò. L’ingresso era una fantasmagoria di colori e di arcate, fra le quali gli uomini parevano goffi. Venne condotto da un caporale lungo un corridoio. Probabilmente quel palazzo era stato costruito per accogliere gli alloggi, gli uffici, i magazzini e altre cose meno comprensibili… Entrarono in un locale la cui porta era stata fatta saltare con la dinamite. Gli affreschi alle pareti erano ricoperti di fuliggine. Quattro soldati laceri tenevano sotto tiro i due esseri che Speyer cercava di interrogare.

Uno di essi era appoggiato a una specie di scrivania. Il volto da uccello era nascosto dalle mani a sette dita e le sue ali rudimentali erano squassate dai singhiozzi. Piangono anche loro?, si stupì Mackenzie. Improvvisamente ebbe l’impulso di stringere quell’essere tra le braccia e consolarlo.

Il suo compagno se ne stava in piedi in un abito di metallo filato e tessuto. Fissava Speyer con due enormi occhi di topazio da oltre due metri di altezza e parlava un inglese estremamente musicale.

— …una stella del gruppo G. È a circa cinquanta anni luce dalla Terra e da questo emisfero non è possibile vederla.

Il volto scarno e non rasato del maggiore si tese in avanti.

— Aspettate dei rinforzi?

— Non arriveranno navi per quasi un secolo, e comunque avranno a bordo solo personale. Siamo isolati da tutto e solo in pochi possono venire qui a lavorare, per creare un collegamento delle menti nell’universo…

— Già — accondiscese Speyer prosaicamente. — La velocità della luce. L’avevo immaginato… sempre che tu stia dicendo la verità.

L’essere rabbrividì.

— Cos’altro possiamo fare se non dire la verità e sperare nella vostra comprensione e nel vostro aiuto? Non sono neppure concepibili la vendetta e la violenza a distanze tanto immense. Noi operiamo sulla mente e sul cuore e siamo ancora in tempo. Gli elementi più importanti si possono ancora nascondere… oh, ascoltate, per amore delle generazioni future!

Speyer si voltò verso Mackenzie.

— Tutto bene? — domandò. — Qui ce ne sono molti, una ventina circa, e sono vivi. Questo è il loro capo. A quanto sembra sono gli unici su tutta la Terra.

— Era facile capire che non erano in tanti — rispose il colonnello, cinereo. — Quando tu e io ne abbiamo parlato e cercavamo di interpretare gli indizi a nostra disposizione. Se non fossero stati in pochi, sarebbero venuti allo scoperto.

— Ascoltatemi, vi prego — supplicò l’essere. — Siamo venuti guidati dall’amore. Volevamo solo orientarvi verso la pace e la piena realizzazione… È vero, ce ne saremmo avvantaggiati: avremmo acquisito un’altra razza con cui comunicare fraternamente. Ma non siete gli unici dell’universo, perciò lo facevamo soprattutto per voi, per alleggerirvi le sofferenze future.

— L’idea di programmare la storia non è vostra. L’abbiamo creata noi qui sulla Terra — grugnì Speyer. — L’ultima volta che abbiamo cercato di metterla in pratica siamo arrivati alle Bombe Infernali. Grazie, ma non ci interessa!

— Ma la Grande Scienza programma le cose con una certezza assoluta…

— Aveva previsto anche questo? — chiese Speyer mostrando con la mano la stanza annerita dal fumo.

— Vi possono essere delle fluttuazioni. Siamo troppo pochi per tenere d’occhio tanti selvaggi in ogni minimo particolare. Ma non è la vostra massima aspirazione quella di far finire per sempre la guerra? Ecco cosa vi offriamo in cambio del vostro aiuto.

— Eppure voi stessi avete scatenato una guerra terribile — commentò Speyer.

L’essere intrecciò le dita.

— È stato uno sbaglio, ma il piano non cambia, perché è l’unico modo per portarvi verso la pace. Io che ho girato vari soli mi prostrerò ai vostri piedi e vi scongiurerò…

— Fermo! — scattò Speyer. — Se vi foste presentati onestamente avremmo anche potuto darvi ascolto. Molti di noi lo avrebbero fatto. Ma avete cercato di fare il bene agendo con l’astuzia. Voi avevate deciso per il nostro meglio senza neppure interpellarci. Non ho mai visto una maggiore prepotenza!

L’essere sollevò il capo.

— Dite sempre tutta la verità ai vostri figli?

— Tutta quella che possono comprendere.

— La vostra cultura è tanto infantile, ancora, che non è in grado di ascoltare questa verità.

— Ma che diritto avete di giudicarci infantili?

— E tu come fai a sapere di essere cresciuto?

— Cercando di svolgere compiti da grandi e scoprendo che ne sono in grado. Certo, commettiamo degli sbagli incredibili. Ma sbagliando impariamo. Voi invece non ammettete l’idea di aver ancora qualcosa da imparare, voi e la vostra maledetta scienza psicologica di cui andate tanto fieri, che vuole inquadrare ogni mente a suo modo.

“Volevate creare una Stato centralizzato, vero? Non vi siete chiesti se non fosse meglio il feudalesimo per noi? Un posto completamente nostro del quale far parte, una comunità ricca di tradizioni e di onori, con la possibilità per ciascuno di prendere le decisioni più importanti, un baluardo della libertà contro il sempre più forte potere centralizzato… mille diversi modi di vita. Noi uomini abbiamo sempre creato delle super-nazioni, ma le abbiamo sempre eliminate. Forse è l’idea a essere sbagliata, e magari adesso riusciremo a fare qualcosa di meglio… un mondo di piccoli Stati, troppo piccoli per creare grossi problemi ma abbastanza forti da mantenere una propria identità e non badare alle gelosie e alle ripicche, in grado di risolvere a loro modo i propri guai.”

— Non ce la farete mai — replicò l’essere. — Sarete sempre in lotta gli uni con gli altri.

— Questo lo dite voi, non io. Ma a prescindere da chi abbia ragione e chi no, l’universo è troppo esteso per delle previsioni e sulla Terra sceglieremo liberamente il nostro futuro. Piuttosto morto che addomesticato!

“Non appena il giudice Brodsky avrà ripreso il suo posto la gente saprà la verità su di voi. Oggi toccherà al reggimento, domani alla città e faremo in modo che non sia possibile nasconderla una seconda volta. Quando giungerà la vostra astronave, la accoglieremo a modo nostro.”

L’essere si coprì il volto con la veste. Speyer si voltò verso Mackenzie con il viso bagnato di sudore.

— Vuoi aggiungere qualcosa, Jimbo?

— No — mormorò Mackenzie. — Non mi viene in mente niente. Stabiliremo qui il nostro comando, anche se non credo che combatteremo ancora. Pare che laggiù sia tutto finito.

— Certo — sospirò Speyer. — I nostri avversari si arrenderanno subito: non hanno più motivo per andare avanti.

C’era una casa con il patio completamente ricoperto di rose. Fuori, sulla strada, la vita non era ripresa e tutto era silenzio nel tramonto ambrato. Una cameriera fece entrare Mackenzie dalla porta sul retro e si allontanò. Il colonnello si diresse verso Laura che se ne stava seduta su una panchina sotto un salice. Lo vide avvicinarsi ma non si alzò. Aveva una mano appoggiata su una culla.

Mackenzie si fermò, non sapeva cosa dire. Come si era fatta magra!

Con voce appena percettibile Laura disse: — Tom è morto.

— Oh, no. — Davanti ai suoi occhi si creò il buio. Poi, subito, si dissolse.

— Me l’hanno detto l’altro ieri alcuni dei suoi soldati che sono tornati. È stato ucciso al San Bruno.

Mackenzie non osava avvicinarsi alla figlia, ma le gambe non lo sostenevano. Si lasciò andare sul pavimento di pietra e notò alcuni disegni disposti stranamente. Non c’era altro da vedere.

La voce di Laura si librò sopra di lui, incolore.

— Era necessario? Non solo per Tom, ma per tutti quelli che sono morti… per una controversia politica!

— Era molto di più che una controversia politica, in realtà.

— Sì, l’hanno detto alla radio, ma non mi sembra che ne valesse lo stesso la pena. Mi sono sforzata di capire ma non ce l’ho fatta.

Mackenzie non era più in grado di difendersi.

— Forse hai ragione tu, passerotto, non lo so.

— Non è per me che sono triste — spiegò. — Io ho Jimmy. È Tom che è stato privato di troppe cose.

Improvvisamente Mackenzie si rese conto di suo nipote. Avrebbe dovuto prenderlo in braccio e pensare al futuro, ma si sentiva vuoto…

— Tom voleva dargli il tuo nome.

Anche tu lo volevi, Laura?, si domandò Mackenzie. Chiese: — E adesso, che cosa farai?

— Qualcosa troverò.

Si sforzò di guardarla. La luce rossa del tramonto illuminava le foglie del salice e il suo viso, rivolto verso il bambino che Mackenzie non riusciva a vedere.

— Vieni con me a Nakamura — le disse.

— No. Qualsiasi altro luogo andrà bene.

— Ma ti sono sempre piaciute le montagne — insisté. — Noi…

— No. — Laura lo guardò dritto negli occhi. — Non è per te, papà. Non voglio che Jimmy diventi un soldato. Certamente gli Espisti esisteranno ancora, rinnovati ma con gli stessi scopi. E mio figlio dovrà credere in qualcosa di differente da quello che gli ha ucciso il padre e dovrà darsi da fare per concretizzarlo. Non la pensi così anche tu?

Mackenzie si rimise in piedi a fatica.

— Non lo so, non sono mai stato un gran pensatore… Lo posso vedere?

— Oh, papà…

Il colonnello si avvicinò e abbassò gli occhi sulla piccola creatura immersa nel sonno.

— Se un giorno ti risposerai e avrai una figlia, la chiamerai col tuo nome? — Vedendo Laura abbassare la testa tra le mani si affrettò ad aggiungere: — Devo andare, ma mi piacerebbe venire ancora a trovarti, se sei d’accordo.

Laura gli si gettò tra le braccia e pianse. Mackenzie le accarezzò i capelli, come quando era bambina.

— Torna tra le montagne, vuoi? Sono il tuo paese e c’è la tua gente. È quello il tuo posto.

— Non puoi immaginare quanto lo desideri.

— E allora, perché? — urlò Mackenzie.

Sua figlia si ricompose.

— Non è possibile per me. La tua guerra è finita, la mia ha appena avuto inizio.

Riuscì solamente ad augurarle: — Spero che la vincerai.

— Forse tra mille anni… — ma non riuscì a continuare.

Quando se ne andò era notte. In città mancava ancora la corrente e i lampioni erano spenti. Le stelle scintillavano sui tetti. Alla sola luce delle lanterne gli uomini che attendevano il colonnello per riaccompagnarlo in caserma sembravano lupi. Lo salutarono e cavalcarono alle sue spalle, con i fucili pronti per una eventuale difesa: ma l’unico rumore era quello metallico dei ferri dei cavalli.