Sono gli Hakh’hli. Sono alieni. Si nutrono di carne umana. Il lungo viaggio nello spazio era alla fine. Sandy, l’umano cresciuto su un’astronave degli extraterrestri Hakh’hli, era pronto al ritorno sulla Terra. Gli alieni erano animati dalle migliori intenzioni.. Solo la scienza Hakh’hli poteva risolvere il problema di trasformare i pianeti. I terrestri avevano bisogno di quel contatto. Ma c’era da fidarsi?

Frederik Pohl

Il lungo ritorno

1

John William Washington, chiamato “Sandy” dalla sua vecchia tutrice e dai suoi sei amici, ha un’età biologica di 22 anni 11 mesi. Egli stesso sì considera più o meno un 22enne, anche se nell’astronave hakh’hli il tempo non viene misurato secondo i parametri terrestri. In ogni caso, la sua età non riflette il tempo effettivamente trascorso dal giorno della sua nascita. La grande nave interstellare infatti ha percorso buona parte della sua strada a velocità relativistiche, e la conseguente dilatazione temporale ha mandato a farsi friggere tutti gli orologi. Sandy è un ottimo esemplare dal punto di vista fisico, a parte un piccolo difetto di udito (al quale i suoi compagni di viaggio hanno posto facilmente rimedio costruendogli un apparecchio acustico) e il fisico un po’ tarchiato. È alto appena 1 metro e 65 centimetri, ma pesa 90 chili. Questo almeno sarebbe stato il suo peso sulla Terra; di fatto, nella gravità artificiale dell’astronave hakh’hli, pesa esattamente il 30 per cento in più. Sandy è comunque abbastanza forte da sostenere tutto il suo peso con una mano sola, con il braccio allungato. Albert Einstein però, come in molti altri casi, aveva perfettamente ragione quando sosteneva che tutto è relativo. Infatti, fra gli hakh’hli che vivono in quell’enorme nave interstellare, Sandy è considerato fragile come un cucciolo. Tanto che il suo secondo soprannome, quello che i suoi compagni usano quando sono arrabbiati con lui, è “Mingherlino”.

— Staccati, Sandy-Mingherlino, staccati! — disse una voce nei sogni di Sandy. Solo che non era un sogno. Era la voce affettuosa e insieme irritata alla sua compagna di coorte Polly. Risultava molto debole per Sandy solo perché il suo apparecchio acustico si era nuovamente staccato durante la notte. — Abbiamo un sacco di lavoro da fare stamattina! — insistette Polly respirandogli fra i capelli con il suo fiato un po’ acido ma gradevole. Sandy cercò di allontanarsi dalla fonte di disturbo. Polly non era certo la più grande fra i sei hakh’hli della coorte di Sandy Washington, ma in certi casi risultava senz’altro la più tirannica.

A quel punto Sandy mollò la sua presa su Elena da un lato e su Demmy dall’altro, si alzò a sedere, si stiracchiò e sbadigliò. Rimise a posto il suo apparecchio acustico e si guardò attorno. L’intera coorte dormiva ammucchiata su un tappetino in un angolo della sala per gli esercizi, e non era affatto inconsueto per Sandy svegliarsi con l’immensa gamba destra di Chiappa premuta sulla schiena o magari con l’artiglio doppio di Titania infilato in bocca. Questa volta però si trovava in cima al mucchio, quindi ne approfittò per balzare immediatamente giù prima che iniziasse l’inevitabile parapiglia mattutino.

Si lavarono e si strofinarono tutti assieme mentre uno di loro andava a prendere il carrello della colazione. Questa non aveva nulla a che vedere con gli enormi bocconi di radici e carne che avrebbero divorato durante il pasto di mezzogiorno; consisteva invece nel brodo con i wafer che usavano chiamare “latte con biscotti”. Dato che erano tutti ancora piuttosto addormentati, non si dissero quasi nulla. Gli hakh’hli però odiavano il silenzio almeno quanto un qualunque direttore di aeroporto terrestre, e infatti la musica mattutina era già stata accesa. Il programma speciale per la sezione della nave riservata alla coorte stava trasmettendo melodie terrestri. Sandy canticchiò il motivo Yesterday dei Beatles mentre tirava fuori i suoi abiti dall’armadietto e si protendeva in avanti per baciare la fotografia di sua madre appesa all’interno della porta dell’armadietto. Poi, dato che era un giorno lavorativo, si affrettò verso il carrello della colazione, dove gli altri stavano già consumando velocemente il brodo fumante e i croccanti wafer. Il pasto non venne accompagnato da alcuna cerimonia particolare (nelle giornate lavorative non perdevano mai tempo per il Gioco della Cucina o per il Gioco del Ristorante) e non appena ebbero finito si affrettarono subito tutti quanti verso lo sportello stagno della loro sezione. Si udì un secco schiocco, un sibilo acuto e un tonfo forte e profondo, dopodiché lo sportello pressurizzato si aprì davanti a loro. Sandy deglutì mentre attraversavano la camera di decompressione. Il cambio di pressione fra la loro sezione, che veniva mantenuta sullo standard terrestre di 1.000 millibar, e quella degli hakh’hli, che era di 1.200 millibar, non avrebbe dovuto ormai causargli alcun dolore alle orecchie, ma invece gliene procurava regolarmente. Naturalmente, i suoi compagni hakh’hli non si accorgevano nemmeno della differenza.

Obie si protese temerariamente in avanti per rivolgere una rapida occhiata in entrambe le direzioni del corridoio. — ChinTekki-tho non c’è! — esclamò. — È in ritardo! Magari ci daranno la giornata libera!

— Sì, e magari la tua cacca prenderà il volo! Rientra immediatamente! — ordinò Polly afferrando la tozza coda del suo compagno.

— Ma fa caldo — ribatté con voce lamentosa Obie mentre si rialzava sulle zampe molleggiate e offriva la coda a Sandy affinché lo confortasse. La coda era lì da leccare, e Sandy la leccò. Del resto, tutti i componenti della coorte sapevano bene che aveva ragione Polly; Obie non avrebbe dovuto uscire dalla loro sezione senza permesso, poiché adesso era vietato per tutti loro. Tuttavia, l’intera coorte risentiva della tirannia di Polly, e inoltre Obie era il migliore amico di Sandy.

Polly si assunse la responsabilità di fornire le spiegazioni del caso. — La nave è calda — disse in tono severo — semplicemente perché i navigatori hanno dovuto portarci in prossimità di questa stella per compiere la manovra di cambiamento di rotta. Non potevano farne a meno, e comunque adesso l’ambiente si sta gradualmente raffreddando.

— Siano benedetti i navigatori — ribatté istintivamente Obie.

— Che siano benedetti! — gli fece eco Elena. Naturalmente, lo disse solo per ingraziarsi Obie. Elena stava infatti preparandosi anticipatamente per il momento, non molto lontano, in cui Obie sarebbe entrato nel suo periodo di fertilità. Quando sarebbe giunto quel momento, un semplice capriccio di Obie avrebbe potuto rappresentare per lei la differenza fra un secco rifiuto e un riuscito accoppiamento in anfilassi.

Ma Obie non la stava nemmeno ascoltando. Si era già ripreso e stava scrutando temerariamente il corridoio. — Arriva MyThara! — gridò un attimo dopo.

Si fecero tutti avanti per venirle incontro. Sandy in particolare, sorridendo per l’inaspettato piacere di vederla apparire al posto del Tutore Primario, le balzò sulla schiena non appena entrò dallo sportello. MyThara però se lo scrollò immediatamente di dosso, zoppicando sotto il suo peso, e assunse un atteggiamento irato. — Staccati immediatamente! — sbottò. — Che cofa ti prende, Lifandro? — Sandy trasalì; il fatto che si fosse rivolta a lui usando il suo nome completo significava che doveva essere realmente arrabbiata. — Un fimile gefto da parte di un cheth in procinto di portare a termine un compito importante può effere confiderato come un efempio di condotta impropria! ChinTekki-tho non ha potuto venire oggi, quindi farò io a condurvi al voftro lavoro odierno. Feguitemi, tutti quanti!

Versando lacrime di divertimento, il gruppetto seguì la tutrice attraverso la nave. Tutti i componenti della Coorte Missione Terra amavano la vecchia MyThara, anche se soltanto Sandy la considerava come la cosa più vicina a una vera madre che avesse mai avuto. Il suo nome completo era Hoh’My’ik per Thara-tok 3151. L’“Hoh” e l’”ik” avevano a che fare con la sua discendenza familiare, mentre “My” si riferiva al suo stato sociale (era un’adulta matura, ma non un’Anziana). Thara-tok era il suo nome personale, e il “per” si riferiva invece alla sua età; la vecchia tutrice era ormai prossima alla fine della sua vita, come Sandy ben sapeva ma cercava di non ricordare troppo spesso. In quanto al numero, questo serviva per distinguerla da altri elementi della sua stessa stirpe e generazione, ed era lo stesso numero di serie delle sue uova fertilizzate e congelate. In alcune occasioni Sandy arrivava fino al punto di chiamarla Thara-tok, ma la forma che di regola andava usata nei suoi confronti da giovani adulti come quelli della coorte era “MyThara”.

Ormai mancava veramente poco all’arrivo sul pianeta Terra, e di conseguenza anche Sandy e i suoi compagni di coorte dovevano fare i loro turni di lavoro. Alle volte il lavoro consisteva nella raccolta delle piante commestibili, che implicava anche la pulizia dei tuberi dal terriccio accumulato e la separazione dei fusti dalle foglie. Altre volte si trattava invece di staccare i boccioli dalle stesse piante quando erano in fase di fioritura, o di raccogliere le sfere biancastre che erano i loro frutti. Tirare fuori i tuberi dalla terra era un lavoro sporco, ma non era nemmeno paragonabile a ciò che andava fatto a fine raccolto. A quel punto infatti la terra doveva essere preparata per la semina successiva, e il compito della coorte consisteva nel prendere secchi di detriti liquidi dalle stazioni di riciclaggio per mischiarli al terreno. Le piante commestibili hakh’hli erano una vera e propria meraviglia, nel senso che ogni singola loro parte era commestibile, altamente nutritiva, e poteva essere preparata e mangiata in centinaia di modi diversi. Tuttavia, le piante prosciugavano letteralmente il terreno in cui crescevano, e di conseguenza a ogni nuova semina andavano restituite alla terra le sue sostanze nutritive. Queste ultime venivano fornite dalle stazioni di riciclaggio, che trasformavano in una melma scura qualsiasi tipo di detrito alimentare che passasse attraverso gli scarichi dei rifiuti organici e attraverso i sistemi digestivi dei membri dell’equipaggio.

Ma anche quel lavoro non era poi tanto male se paragonato alla pulizia delle stalle degli hoo’hik, gli animali da macello a quattro zampe pallidi, docili e pelosi. Gli hoo’hik erano grandi come lo stesso Lisandro e avevano un carattere generalmente docile e affettuoso. A dir la verità puzzavano parecchio, e le loro feci erano ancora peggio, ma erano decisamente molto affettuosi, tanto che capitava spesso che qualcuno di loro premesse dolcemente il muso contro il corpo di Lisandro, anche mentre li portava al macello; in alcune occasioni, li aveva addirittura visti sollevare le loro zampe pelose per accarezzare dolcemente il macellaio stesso, mentre attendevano con espressioni inebetite il colpo che li avrebbe uccisi. Gli hoo’hik non avevano praticamente nulla a che vedere con i cani e i gatti che Sandy aveva visto alla TV terrestre, ma allo stesso tempo erano la cosa più simile a un cane o a un gatto che ci fosse da quelle parti. A volte Lisandro si ritrovava a desiderare di avere un cucciolo di hoo’hik come animale domestico. Ma naturalmente una cosa del genere era del tutto impossibile. Nessun tipo di animale domestico poteva essere ammesso sulla grande nave hakh’hli.

A meno che non si consideri come tale lo stesso Lisandro Washington.

— Su, sbrigatevi, sbrigatevi — ripeteva in continuazione MyThara mentre la coorte si soffermava a guardare con aria malinconica ogni corridoio e compartimento davanti al quale si trovasse a passare, zone che erano sempre state a loro disposizione e alle quali ora era stato negato l’accesso. Gli hakh’hli che incontravano si fermavano tutti per osservarli, poiché la Coorte Missione Terra era ormai diventata la più famosa di tutta la nave. In condizioni normali, i componenti della coorte non avrebbero mai potuto ottenere una simile attenzione, per nessun motivo. Per gli standard sociali hakh’hli infatti loro non erano altro che dei “cheth”, il che significava che erano adulti, ma ancora non del tutto. In condizioni normali, nessuno dei membri della coorte sarebbe stato considerato degno di assumersi qualsiasi tipo di seria responsabilità per almeno altri sei anni. Tuttavia, in questo caso le condizioni non erano affatto normali. I componenti della Coorte Missione Terra non avevano il tempo per diventare più vecchi e più saggi, poiché il momento in cui sarebbero entrati in azione era ormai prossimo. Di conseguenza, gli altri hakh’hli li vedevano un po’ allo stesso modo in cui un giapponese particolarmente cinico avrebbe potuto vedere un giovane volontario kamikaze nel corso della Seconda guerra mondiale. L’importanza e la serietà del lavoro che avrebbero intrapreso faceva sì che meritassero un certo rispetto, ma allo stesso tempo rimanevano pur sempre dei ragazzini, e per di più con la testa ancora piena di piume.

Il loro compito di quel giorno consisteva nel fissare le reti nell’asilo. Quando la nave sarebbe entrata nell’orbita del pianeta Terra, i suoi motori sarebbero stati spenti, e a quel punto tutto ciò che si trovava al suo interno avrebbe perso immediatamente peso. Quello era il momento in cui sarebbero risultate necessarie le reti, affinché i piccoli hakh’hli appena nati, che saltellavano felicemente in giro per l’asilo, non si rompessero le loro piccole teste sulle pareti.

— Sandy, tu vai in cima — ordinò Demetrio dopo aver controllato la situazione. — Il più leggero sei tu.

— Ma è il lavoro più faticoso di tutti — si lamentò Sandy. Chi si trovava in cima alle pareti infatti avrebbe dovuto ancorarsi con uno o più arti e cercare di prendere al volo con gli arti rimasti liberi le pesanti sfere di fibra elastica che gli venivano lanciate.

— Ti sta bene-gracchiò con tono maligno Elena. — Era ora che tu cominciassi a fare qualche lavoro un po’ serio. — Dato che era la seconda più piccola dopo Sandy, anche se la differenza di massa fra i due era notevole, Elena venne subito mandata in cima alla parete opposta per raccogliere i lanci di rimando.

Per non sprecare quel tempo, la coorte organizzò immediatamente uno dei suoi tipici giochi informali. Il gioco si chiamava semplicemente “Domande” e, dato che era stata Elena a proporlo, toccò a lei scegliere la categoria delle domande.

— Secondi nomi — decretò.

— Di presidenti degli Stati Uniti? — aggiunse timidamente Chiappa. Chiappa era sempre il più diffidente fra loro. Ed era anche il più grasso e il più basso della coorte. Veniva sempre preso in giro da tutti per il modo goffo in cui si muoveva, ma quando faceva una proposta, sempre ammesso che venisse ascoltata, tutti trovavano quasi sempre che si trattasse di una buona idea.

— Va bene — disse Sandy con tono carico di aspettativa mentre sistemava il suo apparecchio acustico per essere sicuro di non perdere nulla. — Inizio io allora. Che ne dite di Herbert Hoover?

— Clark — ribatté immediatamente Demmy. — Il suo secondo nome era Clark. Herbert Clark Hoover, 1929-1933. Era presidente durante il grande crollo della Borsa del 1929, quello che portò alla Grande Depressione, ai venditori di mele, alle file per il pane, alla disoccupazione, al minigolf…

Polly gli scagliò addosso una palla di corda. — Limitati a dire il nome — ordinò con tono scocciato. — Continua, tocca a te.

Demmy emise una risatina mentre afferrava il rotolo, con gli occhi umidi di vanità. Lanciò la palla a Sandy, che rimase in ascolto mentre fissava l’anello della rete a uno dei pioli infissi nella parete. — Va bene — disse Demmy. — Che ne dite di Richard Nixon?

— Milhous! — esclamò immediatamente Polly, che era già pronta con la sua prossima domanda. — Calvin Coolidge — disse orgogliosa leccandosi le labbra con fare soddisfatto. Era certa di averli fregati, ma Chiappa non si lasciò ingannare tanto facilmente.

— Era Calvin! — sbottò in tono trionfante. — Il suo secondo nome era proprio Calvin! Il primo era… era…

— Era cosa? — domandò Polly. — Non hai risposto alla domanda.

— Invece sì! — gridò Chiappa.

— Invece no!

— Stupida spilungona succhiasangue — sibilò Chiappa, tentando di mettere a frutto il suo gergo terrestre nonostante l’evidente difficoltà nel pronunciare le “esse”. — Ho risposto correttamente!

— E invece no. Calvin è il nome che ho detto io. Tu devi dire l’altro nome, altrimenti hai perso e tocca di nuovo a me e… oof! — Polly annaspò mentre Chiappa le balzava addosso sbattendo la massiccia testa triangolare direttamente nella sua pancia.

La rissa che si sviluppò pose temporaneamente fine al lavoro che stavano svolgendo. Elena balzò immediatamente giù dal suo trespolo per unirsi alla lotta, mentre Sandy invece rimase appollaiato dov’era. Queste risse non rappresentavano nulla di particolarmente pericoloso per i suoi compagni di coorte, che pesavano tutti almeno il doppio di lui e in linea di massima si equivalevano come forza fisica. Per Sandy invece la questione era ben diversa. Egli non possedeva né la massa sufficiente né la pelle dura degli hakh’hli, e di conseguenza partecipare a una rissa del genere sarebbe stato a dir poco deleterio per lui. Tanto più che non aveva nemmeno la forza muscolare necessaria per parteciparvi, dato che qualunque giovane hakh’hli avrebbe potuto tranquillamente staccargli gli arti uno per uno come se staccasse i petali da una margherita. In passato, quando erano tutti molto più giovani, vi erano state occasioni in cui si era quasi giunti fino a quel punto.

In verità, Lisandro Washington non era affatto un mingherlino. Sulla Terra non sarebbe mai stato considerato tale, solo che gli hakh’hli erano tutt’altra cosa rispetto agli esseri umani. Fortunatamente, ne erano perfettamente consapevoli. Quando qualche suo compagno di coorte si arrabbiava con Sandy, non arrivava mai fino al punto di esercitare violenza fisica su di lui. I componenti della coorte sapevano benissimo che cosa sarebbe loro accaduto se avessero danneggiato in qualsiasi modo l’unico membro di razza umana del gruppo, ma questo non era l’unico motivo per il quale lo rispettavano. Gli altri membri della coorte di Sandy infatti erano piuttosto felici di averlo con loro. Anzi, gli erano addirittura grati, poiché in realtà gli dovevano molto. Tutti infatti sapevano benissimo che se non fosse stato per il fatto che quella creatura terrestre, Lisandro Washington, aveva avuto bisogno di compagni per crescere (non compagni umani, naturalmente, poiché sulla grande nave non ve ne erano proprio, ma piuttosto gli esseri più simili agli umani che gli hakh’hli erano riusciti a trovare), con ogni probabilità tutti loro sarebbero stati ancora sotto forma di uova, congelate nella grande incubatrice criogenica della nave.

Così, mentre gli altri si picchiavano, Sandy scivolò giù dalla sua parete e si infilò in un angolo seminascosto protetto da una fila di nidi vuoti. Gli infanti hakh’hli che avrebbero dovuto occupare quei nidi non erano ancora usciti dall’incubatrice. Dopo essersi messo comodo, felice di avere avuto la possibilità di scendere dal suo trespolo sulla parete, Sandy tirò fuori da una tasca un piccolo bloc-notes e una penna. Abbassò la testa per proteggersi da eventuali oggetti lanciati dai suoi compagni e iniziò a scrivere una poesia.

Scrivere poesie era un’attività piuttosto comune fra gli hakh’hli… anche se alcuni elementi, in particolare i grezzi hakh’hli-operai che erano stati generati per occuparsi dei lavori pesanti e pericolosi all’esterno della nave o attorno ai suoi motori radioattivi, non sapevano nemmeno di che cosa si trattasse. Ma gli altri sei membri della coorte di Sandy si dedicavano spesso a questa particolare pratica intellettuale. Per loro non era altro che un modo per mettersi in mostra. Sandy aveva già scritto un certo numero di poesie, ma come tutte quelle prodotte nella sua coorte, anche queste erano state scritte in lingua hakh’hli, e quindi usando ideogrammi piuttosto che lettere. Per gli hakh’hli, l’aspetto artistico visivo della poesia sulla carta era importante almeno quanto il contenuto delle parole. Sandy però ora voleva fare qualcosa che nessuno dei suoi compagni aveva mai fatto in precedenza, ovvero scrivere una poesia in stile hakh’hli, ma in lingua inglese.

Aveva già trovato le parole adatte e stava iniziando a darsi da fare per comporle in uno schema artistico quando venne interrotto da una squillante voce hakh’hli proveniente dalla porta d’ingresso dell’asilo. — O, persone cattive! Persone-che-non-contribuiscono-facendo-il-loro-dovere! State giocando, trascurando il vostro lavoro! Desistete immediatamente! Tornate a lavorare! Questo è un ordine!

Sandy riconobbe immediatamente la voce. MyThara era tornata ed era davvero arrabbiata sollevata completamente sulle zampe posteriori per torreggiare sulla coorte. Passò all’inglese per continuare la sua predica, balbettando e sbagliando persino la grammatica per la rabbia. — Che diavolo avete? Perché vi comportate come hoo’hik? Gli infanti nafcituri devono avere luogo ficuro per creffere!

Emettendo sbuffi imbarazzati, i membri della coorte si fermarono dove erano. In effetti, avevano combinato un bel disastro. Metà delle reti già fissate erano state letteralmente strappate via, e ora penzolavano flaccide e inutili dai loro pioli sulle pareti. — Mi dispiace, MyThara — disse Demmy meschinamente. — Ma è stato Chiappa a iniziare. È saltato addosso a…

— Non intereffa Chiappa! Intereffa che mie perfone fi fono comportate male e non bene! Ora ripulite fubito quefto cafino e rimettervi al lavoro, alla fvelta!

Una volta finito il turno lavorativo di tre dodicesimi di giorno e tornati nella sezione riservata alla loro coorte, MyThara chiamò Sandy per una prova di abbigliamento. Sandy a quel punto aveva una fame notevole, come del resto tutti loro, ma non poteva dire di no a MyThara. Per gran parte della sua vita, Sandy era stato convinto che MyThara fosse la persona più saggia del suo piccolo mondo, oltre che la migliore in assoluto. Ne era tuttora convinto, e così, seguendo un impulso, decise di porle una domanda che lo aveva tormentato per diverso tempo. — MyThara-tok? — domandò. — Tu diventerai mai un’Anziana?

MyThara assunse un’espressione sbalordita. — Lifandro! — esclamò. — Che idea! Io non fono nata per effere un’Anziana, non credi?

— No? — domandò Lisandro.

— No, non lo fono. Devi fapere che prima che le uova fi fchiudano, gli fienfciati le manipolano a modo loro. È per quefto che tutti i componenti della tua coorte fono in grado di pronunciare quelle terribili effe e tutto il retto…

— Lo so — la interruppe Sandy. — Questo lo sanno tutti.

— Infomma — continuò MyThara — a me non hanno mai fornito i tratti genetici neceffari per diventare un’Anziana. Non mi hanno dato la faggezza e l’intelligenza…

— Ma tu sei molto saggia e intelligente! — la interruppe Sandy con tono sincero.

— Per me, fì — rispose MyThara leggermente imbarazzata. — Tu fei proprio un bravo ragazzo. Folo che io non poffeggo le caratteriftiche genetiche neceffarie per effere un’Anziana, non trovi? Ma del refto è giufto che fia cofì. Io fono felice. Fto facendo un lavoro utile. È proprio in quefto che confitte la felicità, Fandy. Nel fare il lavoro che ci viene affegnato e nel farlo nella migliore maniera poffibile.

— Che tipo di lavoro utile stai facendo?

— Cofa intendi dire, Lifandro?

— Hai appena detto che stai facendo un lavoro utile. Io credevo che tu ti limitassi a occuparti di me.

— E allora? Non è forfe quefto un lavoro utile? Tu fei una perfona utile, Fandy. Fei l’unico effere umano in tutta la nave, e quefto ti rende molto fpeciale. Ma ora procediamo con la tua prova di abbigliamento, va bene? — Si protese in avanti per appoggiare tutti e quattro i pollici sui comandi del monitor. Sullo schermo apparvero immediatamente una serie di immagini di terrestri di sesso maschile con indosso diversi abiti.

Prendere una decisione su che cosa dovesse indossare Lisandro per la sua missione sulla Terra non era affatto facile, poiché a quanto pareva gli esseri umani cambiavano spesso tipo di abbigliamento a seconda degli anni e delle epoche. Ma la cosa peggiore era che le reti televisive terrestri avevano la disorientante abitudine di trasmettere film storici, alcuni dei quali erano tanto antichi da non fornire alcun tipo di indizio sulla data della loro produzione. Le toghe, di questo gli hakh’hli erano sicuri, erano fuori moda. E anche i cappelli piumati e le spade lo erano. Un completo formale da lavoro sembrava essere la cosa più sicura, ma… insomma, di che genere doveva essere? Doppiopetto o normale? Con i risvolti larghi o stretti? Con la cravatta o senza? Con il colletto rigido? Con il risvolto ai pantaloni? Con un gilet? E in quel caso, il gilet doveva essere di un colore neutro che andasse d’accordo con la giacca o doveva stagliarsi con colori vivaci come il rosso o il giallo?

Oltre a tutto ciò, vi era il terribile problema del materiale da usare per confezionare gli abiti. Le migliori immagini televisive terrestri a disposizione degli hakh’hli mostravano chiaramente i colori e in alcuni casi anche il tipo di tessuto di alcuni abiti tipici, ma vi erano sempre dei dettagli che nessuno sull’astronave era in grado di comprendere. Gli studiosi più abili, consultando oltre un secolo di trasmissioni televisive terrestri, erano riusciti a imparare molte cose e a dedurne altrettante attraverso confronti e paragoni di vario genere, ma non erano comunque stati in grado di stabilire se un particolare capo di abbigliamento dovesse essere composto da tessuto sottile o spesso, se dovesse essere foderato o meno, o anche come andasse effettivamente messo assieme. Naturalmente, questi particolari erano più importanti per Sandy che per qualsiasi altro membro della sua coorte, poiché questi ultimi indossavano già da tempo abiti terrestri, o almeno qualcosa di simile. I sei giovani hakh’hli che accompagnavano Sandy in ogni fase della sua vita indossavano infatti pantaloncini corti, modificati per poter ospitare le loro possenti zampe posteriori, giacchette a maniche corte, e ogni tanto addirittura dei cappellini. Le scarpe erano qualcosa di pressoché impossibile da indossare per un hakh’hli, date le dimensioni dei suoi piedi, ma alle volte alcuni accettavano di infilarsi qualcosa di simile a sandali. Lisandro invece si vestiva sempre come un terrestre in tutto e per tutto. Gli era stato persino richiesto di allenarsi a “fare il nodo della cravatta” davanti a uno specchio, come apparentemente facevano quasi tutti i terrestri di sesso maschile. Tuttavia, nulla di ciò che Sandy aveva dovuto imparare fino ad allora era servito a prepararlo per il gravoso compito della selezione che si apprestava ad affrontare in quel momento. — Non posso indossare abiti del genere! — esclamò. — Come faccio a defecare?

— Gli ftudiofi dicono che la migliore cofa da fare è togliere il pantalone — lo rassicurò MyThara. — Vedrai che non avrai alcun problema, Lifandro.

— Ma avrò l’aspetto di un imbecille!

— Farai molto elegante, invece — promise MyThara mentre inseriva nell’apparecchio le scelte finali. — Le femmine della Terra ti leccheranno la lingua, ne fono ficura. — Sandy riuscì a mantenere un’espressione scocciata, ma internamente il suo cuore ebbe un vero e proprio sobbalzo a quel solo pensiero. — E ora preparati per il pasto di mezzogiorno — concluse MyThara.

Dato che il carrello con il pranzo di mezzogiorno non era ancora arrivato, i componenti della coorte avevano deciso di dedicarsi a una partita di pallacanestro, sia per mantenersi occupati che per scaricare parte della tensione nervosa accumulata dalle loro giovani e pulsanti ghiandole.

La loro idea della pallacanestro non era del tutto regolamentare. Giocavano in tre per squadra, con uno come arbitro; naturalmente, dato che Sandy era rimasto con MyThara a scegliere i vestiti, in quell’occasione avevano iniziato senza arbitro. La palla non rimbalzava esattamente allo stesso modo in cui l’avevano vista rimbalzare nelle immagini televisive delle partite fra i Knicks e i Lakers, e la loro stanza non aveva nulla a che vedere con un campo regolamentare. Ciò nonostante, facevano del loro meglio. Sandy Washington cercava sempre di convincere gli altri a giocare a quel gioco, poiché era forse l’unico in cui, certe volte, era in grado di batterli. Loro erano decisamente più forti, ma lui era più veloce.

Così, Sandy convinse Obie a uscire dalla partita per fare l’arbitro (cosa piuttosto facile, dato che a Obie non piaceva particolarmente quel gioco) e si buttò nella mischia. Non era certo una grande partita come quelle che usavano fare tempo addietro, 12 contro 12, prima che la loro coorte venisse isolata dalle dozzine di altre con le quali erano cresciuti, ma era ugualmente una buona partita. La nave ora si era raffreddata, dato che si stava finalmente allontanando dal sole del sistema della Terra che era stato sfruttato per rallentare la propria corsa. Per Sandy Washington, quest’ultimo fattore aveva aspetti sia positivi sia negativi. Era un bene perché gli altri componenti della coorte non sudavano così tanto, ma nel contempo era anche un male, perché si stancavano meno rapidamente.

Lui però si stancò abbastanza presto, e abbandonò la partita molto prima che arrivasse il carrello del pranzo. Obie riprese il suo posto in squadra, e mentre gli altri giocatori si smarcavano, Polly uscì dal campo zoppicando e si avvicinò a Sandy, massaggiandosi la coscia nel punto in cui l’aveva colpita Obie rientrando in campo.

— Mi ha fatto male — si lamentò.

— Tu sei più grande di lui — osservò Sandy. — Buttalo fuori.

— Oh, no! — Polly assunse un’espressione scandalizzata. Non spiegò i suoi motivi, ma del resto non ve n’era bisogno. Ormai tutti quanti si erano resi conto che Obie stava per entrare nel suo periodo di fertilità, e di conseguenza era logico che Polly non facesse nulla che potesse renderglielo nemico. — Perché non vai a prendere il carrello del pranzo, dato che non stai giocando? — domandò.

— Sono andato ieri — ribatté Sandy. — Oggi tocca a Elena.

— Ma così si interromperà la partita — insistette Polly con tono irritato.

— Non me ne importa niente — ribatté Sandy.

Si alzò in piedi e si allontanò, fermandosi in un angolo a guardare la Tv sul suo monitor personale. Di regola, durante le ore dei pasti i componenti della coorte potevano guardare qualsiasi programma desiderassero alla TV, a patto che fosse in lingua inglese, così almeno imparavano. Sandy scelse un vecchio film intitolato La primula rossa. Non era certo il suo film preferito, e non poteva nemmeno far finta che una simile visione potesse contribuire alla sua educazione sugli usi e i costumi terrestri. Tanto per iniziare i vestiti erano tutti sbagliati, e in più nessuno, nemmeno gli studiosi hakh’hli, era mai riuscito a stabilire chi stesse dalla parte del torto e chi dalla parte della ragione in quel complicato dramma storico sulla Rivoluzione francese. Sandy però guardava quel film in continuazione, letteralmente affascinato a ogni visione, soprattutto perché il protagonista era una spia. E in fondo era proprio quello il ruolo che gli hakh’hli gli avevano assegnato.

2

A bordo dell’enorme astronave vi sono almeno 22.000 hakh’hli viventi, ma vi è un solo Sandy Washington. Così accade che alle volte Sandy si senta un po’ in soggezione. Infatti, oltre a essere il solo del suo genere, è anche di gran lunga l’essere vivente adulto di dimensioni più ridotte di tutta la nave, escludendo naturalmente gli animali da macello. Un hakh’hli adulto pesa mediamente dai 150 ai 400 chili, a seconda dell’età e dello scopo per il quale è stato generato. Gli addetti alle sale motori e gli operai per le riparazioni esterne, per esempio, possono essere grandi quasi quanto i più vecchi Grandi Anziani, anche se per motivi occupazionali non arrivano quasi mai a vivere altrettanto a lungo. Per quanto tutti gli hakh’hli condividano fondamentalmente le stesse caratteristiche fisiche (arti anteriori corti e pieghevoli, muso lungo e appuntito simile a quello di un collie e forti zampe posteriori possenti come quelle di un canguro) alcuni elementi specializzati posseggono zampe più forti, o code più corte, e alcuni non posseggono nemmeno la coda. Le “mani” degli hakh’hli sono dotate di tre dita “normali”, di due pollici e di una sesta protuberanza corta dotata di artiglio chiamata “tutore”. Nel complesso sono piuttosto simili alle mani umane, solo che il dito tutore spunta fuori da quello che in una mano umana non è altro che la base del palmo. E se gli hakh’hli della nave sono diversi fra loro, gli innumerevoli hakh’hli che vivono sui loro mondi natali lo sono ancor di più; in parte perché hanno più funzioni da soddisfare, e in parte semplicemente perché sono in numero decisamente superiore rispetto a quelli sulla nave. In totale, sui pianeti del loro sole nativo e sui due sistemi solari più prossimi che hanno colonizzato, vivono oltre mille miliardi di hakh’hli. Nessuno degli hakh’hli presenti sulla nave però ha mai visto nessuno di questi altri mille miliardi di hakh’hli esistenti. Allo stesso modo, nessuno degli altri mille miliardi di hakh’hli esistenti ha mai visto quella nave, fin dal giorno in cui è partita per il suo lungo viaggio, 3.000 anni terrestri prima.

Molto prima che La primula rossa giungesse al suo commovente finale (i rifugiati in salvo, Leslie Howard trionfante con La Ragazza che si scioglie fra le sue braccia) arrivò il carrello del pranzo con il grande pasto di mezzogiorno.

Sandy si mantenne a una certa distanza dalla calca che si formò. Non aveva mai imparato a mangiare “correttamente”, e tutti i suoi amici della Coorte Missione Terra avevano concluso a malincuore che non sarebbe mai stato in grado di farlo. L’atteggiamento diffidente che assumeva regolarmente durante la corsa al carrello del pranzo ne era la prova, poiché un hakh’hli che si comportava in maniera corretta non mangiava. Trangugiava.

La coorte di Sandy si tuffò nel pasto di mezzogiorno con vera e propria dedizione. Facendolo, crearono come sempre un certo rumoroso trambusto. Mentre Sandy rosicchiava delicatamente il suo pezzo di carne, i suoi compagni affondavano possenti morsi nella carcassa dell’animale e si aiutavano a mandare giù la carne buttandoci dietro enormi bocconi di tuberi e manciate di wafer salati. Le loro lunghe e possenti mascelle masticavano rumorosamente, mentre i muscoli delle loro gole si contraevano in continuazione nello sforzo di mandare giù quanta più roba possibile. Sandy riusciva addirittura a vedere i blocchi di cibo appena masticato che si rincorrevano lungo le ugole dei suoi compagni. Nessuno degli hakh’hli arrivava fino al punto di strappargli dalle mani i suoi pezzi di cibo, ma del resto Sandy cercava di non mostrarli troppo apertamente. Mentre masticavano, gli hakh’hli mandavano giù anche grandi quantità del brodo del giorno, una specie di zuppa dal sapore di pesce con pezzi di wafer che vi galleggiavano dentro. Era come se fossero state accese contemporaneamente una mezza dozzina di pompe idrauliche.

Fra gli hakh’hli non esisteva nulla di simile alla conversazione a tavola, e le uniche frasi che venivano pronunciate nel corso dei loro pasti erano del tipo “Passa la zuppiera, sbrigati!” oppure “Ehi, quel boccone era mio!”. Sandy non tentava nemmeno di parlare con i suoi compagni durante il pranzo. Si limitava a sedere con fare paziente, rosicchiando lentamente il suo pasto e attendendo che la frenesia dell’abbuffamento collettivo scemasse. Dopo qualche minuto infatti, come sempre accadeva, la frenesia alimentare degli hakh’hli si placò. I grandi bocconi di cibo avevano finalmente raggiunto i loro stomaci, e il sistema circolatorio hakh’hli stava provvedendo a incanalare quanto più sangue possibile verso gli organi digestivi, dove più serviva. Il rumore delle mascelle in azione diminuì lentamente fino ad arrestarsi del tutto, gli occhi degli hakh’hli si chiusero uno per uno, e i loro possenti arti si rilassarono. Nel giro di cinque minuti, tutti gli hakh’hli della coorte di Sandy erano riversi a terra in quello stato di incoscienza che veniva chiamato “periodo d’intontimento”.

Sandy emise un sospiro, si alzò e si avvicinò lentamente al carrello del cibo. Fra le rovine del pranzo vi era ancora un pezzo abbastanza grande di carne di hoo’hik, leggermente masticata ma non del tutto divorata, e diverse manciate di wafer salati.

Sandy prese quanto poteva e trasportò il tutto fino al suo angolino di studio privato, dove poteva finire il suo pasto in santa pace. Non avendo altro da fare mentre i suoi compagni di coorte digerivano dormendo il loro pasto, si dedicò all’attività che era comunque la sua preferita. Guardò un film.

La parte preferita della vita di Lisandro Washington era anche la più importante, poiché consisteva nel guardare registrazioni di vecchi programmi televisivi terrestri. Era un compito obbligatorio per lui, come lo era del resto per tutti gli altri componenti della sua coorte, perché era proprio quello il modo in cui dovevano imparare la lingua, gli usi e i costumi dei terrestri. Ma Sandy amava particolarmente quel compito. Il suo modo preferito per guardare un film era accovacciandosi accanto a Tania o a Elena, o persino a Polly se era di buon umore, godendo dell’odore delle loro squame e del calore dei loro corpi, che erano di almeno dieci gradi più caldi del suo. Di solito guardavano notiziari o documentari, poiché questi erano i programmi che venivano loro assegnati, ma quando veniva concessa loro libertà di scelta si dedicavano sempre alla visione di programmi di intrattenimento come I Love Lucy, Friends of Mr. Peepers o Beaver il Castoro. Non si trattava comunque di buone registrazioni. Infatti, erano state registrate originalmente ad anni luce di distanza dalla Terra. Ed erano stati proprio quei primi segnali raccolti dai sensori della nave a far capire agli hakh’hli che su qualche pianeta di quella piccola stella G-2 individuata dai loro telescopi vi era vita intelligente e tecnologicamente avanzata.

I vecchi telefilm per famiglie erano sempre piuttosto divertenti per Sandy, ma allo stesso tempo lo rendevano un po’ pensieroso. A volte infatti si domandava come sarebbe stata la sua vita se fosse cresciuto sulla Terra, in mezzo a ragazzi umani come lui invece che in mezzo agli hakh’hli. Avrebbe forse giocato a “baseball”? (Di giocare sulla nave non se ne parlava nemmeno. Non avevano lo spazio necessario, mancavano i giocatori e non vi era nemmeno una gravità sufficientemente debole da permettere di lanciare la palla alla stessa distanza alla quale la mandavano Duke Snyder o Joe Di Maggio). Avrebbe forse “bighellonato” con gli “amici” alla “frullateria”? (Non aveva assolutamente idea di che cosa potesse essere un “frullato”. Nessun programma televisivo di cucina terrestre spiegava esattamente in che cosa consistesse, e gli stessi esperti hakh’hli non erano riusciti a stabilire se si trattasse di una bevanda dolce o aspra.) Magari avrebbe anche avuto una ragazza?

Quella era la domanda che più spesso ricorreva nella mente di Lisandro. Avere una ragazza! Toccare una ragazza… (Il solo tocco, così dicevano, era “come il fuoco”, “come una scarica elettrica”, e Lisandro si domandava sinceramente come una cosa del genere potesse risultare gradevole. Tuttavia, dicevano che fosse molto piacevole). O baciare una ragazza… (I baci, dicevano, erano più dolci del vino, anche se Lisandro non aveva idea di che cosa potesse essere il vino). O addirittura…

Insomma, fare qualunque cosa facessero gli esseri umani quando entravano nel loro periodo di fertilità. Lisandro non era ben sicuro di che cosa si trattasse esattamente, anche se sapeva benissimo che cosa facevano gli hakh’hli quando entravano in quella fase poiché aveva avuto modo di assistere al processo in ripetute occasioni. Che gli esseri umani si comportassero allo stesso modo? Sfortunatamente, non aveva alcun modo per saperlo. Se esistevano canali televisivi pornografici sulla Terra, le antenne della nave non li avevano mai captati. Per il resto, era più che evidente che gli esseri umani di sesso maschile e femminile si baciavano. Lo facevano sempre. A volte, si toglievano i vestiti a vicenda e andavano a letto assieme. A volte andavano sotto le lenzuola e le lenzuola si muovevano in maniera convulsa… Ma non gli era mai capitato nemmeno una volta di vedere sollevare quelle lenzuola per capire che cosa stesse effettivamente accadendo sotto.

Lisandro sognava ogni notte, e quasi tutti i suoi sogni erano uguali. Erano sempre popolati di esseri umani di sesso femminile che sapevano esattamente cosa fare… e che lo facevano. Anche se, quando si svegliava, Lisandro non riusciva mai a ricordare esattamente che cosa avessero fatto.

Prima o poi, gli avevano promesso gli Anziani, Lisandro si sarebbe trovato sulla Terra, con tutte quelle femmine umane nubili. Lisandro non vedeva l’ora.

Sandy spense il film che aveva scelto. Si intitolava Jesus Christ Superstar, ed era decisamente troppo complicato per guardarlo da solo. Aprì il suo armadietto privato, ne tirò fuori la fotografia di sua madre e la osservò a lungo. Era così bella! Snella, candida, con gli occhi azzurri, così splendida…

C’era una sola cosa di quella fotografia che preoccupava un poco Sandy; grazie ai molti film terrestri a cui aveva assistito, sapeva che gli uomini della Terra usavano portarsi dietro la fotografia della loro madre per mostrarla in momenti di particolare intensità emotiva. Tuttavia, non gli era mai capitato di vedere uno di quegli uomini terrestri che mostrasse una foto di sua madre completamente nuda. Si trattava di un vero e proprio mistero, e nessuno dei suoi compagni di coorte, e tantomeno gli studiosi hakh’hli che avevano trascorso le loro vite a studiare la cultura dei terrestri come lui, era riuscito a fornirgli una spiegazione in proposito. Per quanto riguardava Sandy, gli sembrava una cosa un po’ sconveniente. Anzi, era più che sconveniente, era addirittura imbarazzante. Infatti, quando guardava quella fotografia di sua madre, così bella, così nuda, così invitante, gli venivano alla mente pensieri eccitanti e non voluti che, ne era quasi del tutto certo, non erano del tutto adatti a una simile circostanza.

E non riusciva bene a capire perché provasse questa sensazione.

Decise che comunque non lo avrebbe certo capito quel giorno. Una volta terminato il pasto, riportò i suoi avanzi al carretto, quindi tornò nel suo angolo a lavorare sulla poesia.

Sandy si addormentò senza accorgersene, e se ne rese conto solo quando si risvegliò con Obie che torreggiava su di lui. — Stai diventando un vero hakh’hli — disse Obie, evidentemente approvando il suo sonnellino digestivo. — Che cos’hai lì?

— È solo una poesia che ho scritto — disse Sandy coprendo il bloc-notes con la mano.

— E allora perché non me la fai vedere? Noi ti mostriamo sempre le nostre poesie.

— Non è ancora finita — protestò Sandy, alzandosi in piedi giusto in tempo per vedere Polly che si avvicinava con espressione irritata.

— Lisandro — lo accusò subito Polly — non hai ripulito dopo il pranzo. Ci manca solo che arrivino gli insetti, così saremo costretti a ricorrere alle api-falco.

Sandy rimase colpito da quella critica ingiusta. — Perché dai la colpa a me? Perché devo essere sempre io quello che pulisce per tutti?

— Perché tu sei l’unico che non dorme. Lo sai benissimo.

— Be’, oggi invece ho dormito anch’io, e quindi non ho avuto il tempo per ripulire.

— Però hai avuto tutto il tempo per scrivere una poesia — intervenne maliziosamente Obie. Si rivolse a Polly. — E non vuole nemmeno farmela vedere. Dice che non l’ha ancora finita, ma a me sembra più che finita.

— Vediamo questa poesia — ordinò Polly stringendo i pollici in maniera molto significativa. A malincuore, Sandy le passò la poesia. Nel frattempo, il resto della coorte si stava lentamente avvicinando, fra sbadigli e stiracchiamenti vari.

— È un tentativo di scrivere una poesia di tipo hakh’hli in lingua inglese — spiegò con fare nervoso il poeta.

— Hum — commentò Polly senza sbilanciarsi.

— Penso che sia una cosa abbastanza difficile — aggiunse Chiappa.

— Forse non vale nemmeno la pena di provarci — intervenne Elena. — Non ha niente a che vedere con una vera poesia. Per me, quei caratterini striminziti sono veramente orribili.

— Fra l’altro — aggiunse Obie l’astronomo premendo un pollice sul bloc-notes che aveva in mano — hai sbagliato tutto. Le proporzioni non sono esatte. La Luna dovrebbe essere molto più piccola di così rispetto alla Terra.

— Se mi fossi attenuto alle vere proporzioni — si difese Sandy — non sarei riuscito a infilarci dentro le parole.

— Naturalmente, avresti dovuto fare la Terra molto più grande. Poi sono tutt’e due piuttosto appiattite rispetto alla loro vera forma. Assomigliano più a quel pianeta che chiamano “Giove”.

— È solo una poesia — ribatté Sandy con un moto di stizza. — Non è mica una lezione di astronomia.

— Sì — assentì Polly in tono severo — ma questo non significa che tu debba sbagliare tutto per forza. Fra l’altro, come può essere “dimenticata” la Terra per te? Tu non puoi averla dimenticata, perché non ci sei mai stato, giusto? I tuoi genitori sono stati trovati nello spazio.

— Si tratta di una licenza poetica — ribatté Sandy con testardaggine.

Polly fece schioccare la lingua in un suono di rimprovero. — I poeti non hanno la licenza di alterare i fatti — lo informò. — I poeti hakh’hli almeno non lo fanno, e il fatto che i poeti terrestri lo facciano non cambia proprio nulla. Ma adesso basta. Io propongo di guardare dei film mentre aspettiamo che torni MyThara.

Ma il film che la coorte scelse di vedere non era del genere gradito da Sandy. Si trattava infatti di un film di guerra e di terrorismo, che riportava solo le cose malvagie che gli esseri umani si erano fatti a vicenda nel corso del ventesimo secolo. Quando MyThara fece ritorno, la coorte stava discutendo sull’argomento. La vecchia tutrice si fermò sulla porta con una smorfia mentre Chiappa si rivolgeva a Sandy in tono serio: — Io penso che i governi della Terra siano molto stupidi.

— Il fatto è che tu non puoi capire — ribatté Sandy solennemente. — Probabilmente, avevano i loro buoni motivi per fare ciò che hanno fatto.

— Di quali motivi vai parlando, Sandy? Buoni motivi per uccidersi a vicenda? Per distruggere le fattorie quando nessuna delle due parti in guerra ha abbastanza cibo per sopravvivere? Per spargere veleni in giro? Non è certo questo il modo in cui si comporta un governo responsabile composto da persone sagge che sono state generate e addestrate al preciso scopo di governare, come lo sono i nostri Grandi Anziani. Ti è mai capitato per caso di vedere cose così orribili sulla nostra nave? Di vedere per esempio i guardiani degli hoo’hik che attaccano gli addetti alle riparazioni esterne?

— I guardiani degli hoo’hik verrebbero massacrati se ci provassero — intervenne Obie. — Quelli delle riparazioni esterne sono tipi tosti!

— Ma non è questo il punto! — ribatté Chiappa. — Il punto è che una cosa del genere non potrebbe mai accadere sulla nostra nave! Gli hakh’hli non si comportano in maniera così incivile!

Sandy insistette con la sua difesa. — C’è una bella differenza fra governare qualche migliaio di elementi e governarne qualche miliardo.

— Ah, sì? Davvero? — ribatté Chiappa sarcastico facendo schioccare la lingua. — Hai mai sentito parlare di simili atti di violenza sui nostri mondi hakh’hli, dove vivono migliaia di miliardi di noi?

— Non so proprio nulla di ciò che avviene sui pianeti originari degli hakh’hli — rispose Sandy in tono aggressivo — e se è per questo non ne sai niente nemmeno tu. Quando è stata l’ultima volta che la nave ha comunicato con loro?

Ma forse questa volta Sandy aveva realmente esagerato. Persino il suo amico Obie trasalì con fare sdegnato, e a quel punto intervenne anche MyThara. — Fandy! — ansimò. — Come puoi parlare in quefto modo?

— Ma è vero… — iniziò Sandy, poi si tappò la bocca. Offendere i suoi compagni di coorte non gli dava particolarmente fastidio, ma voleva troppo bene a MyThara per ferirla.

— Caro Lyfandro — disse seria la tutrice — non devi mai permetterti di parlare con tanta leggerezza della più grave tragedia della noftra ftoria. Ti fei forfe dimenticato quanto ti è ftato infegnato?

Le rivolse uno sguardo pentito. — Mi dispiace, MyThara — disse. Sapeva benissimo che tutti coloro che si trovavano sulla nave provavano una profonda tristezza quando pensavano a quel giorno ormai lontanissimo in cui i Grandi Anziani di allora, dopo una profonda e amara riflessione, avevano deciso di far proseguire la nave nella sua missione nonostante avessero perso il contatto con i loro mondi natali.

— È solo nervoso perché sa che fra poco avrà la possibilità di vedere la Terra — lo scusò con grande lealtà Obie. — Ci ha persino scritto sopra una poesia.

— Oh? — disse MyThara. — Moftrami la poesia. — Quando ebbe finito di leggerla, abbracciò Sandy con i suoi tozzi arti anteriori e gli diede un’affettuosa leccata sul viso. — Che poefia magnifica, Lifandro. Poffo averne una copia? Oh, grazie! La terrò con me nel mio nido fino alla fine dei miei giorni. Ma adeffo, fe non vi difpiace, è ora di metterti al lavoro. Inizieremo con il fiftema delle coppie, come al folito. Lifandro, tu vai per primo con Polly, con la quale parlerai del trampolino orbitale.

I sette membri della coorte di Sandy avevano un intero pianeta da imparare; lingue terrestri, usi e costumi terrestri, ecologia terrestre… Inoltre, dovevano anche imparare tutto ciò che un giovane hakh’hli deve imparare nel corso della sua normale educazione. E come se non bastasse, ognuno di loro doveva anche studiare in maniera ancora più approfondita la materia della propria specializzazione individuale. La specializzazione di Demmy era l’agronomia. Quella di Chiappa erano la chimica alimentare e gli aerosol. Quella di Polly erano pilotaggio e ingegneria magnetica. Quella di Tania era la manipolazione genetica. Quella di Obie, astronomia e astronavigazione. Quella di Helen erano vetrificazione e giunzione di cristalli, ossia il processo implicato nel contenimento di materiali tossici o radioattivi. Sandy invece non aveva alcuna specializzazione particolare; i suoi studi forse erano meno difficili e approfonditi rispetto a quelli degli altri, ma erano senz’altro più estesi. Come tutti, Sandy doveva imparare un poco delle specializzazioni degli altri, per essere preparato nel caso che durante la Missione Terra qualcuno di loro non ce la facesse. Solo che Sandy doveva imparare un po’ più di tutti gli altri; il compito del primo contatto con la gente della Terra era solo suo e di nessun altro, e di conseguenza doveva sapere esattamente che cosa dire. Sandy però non amava molto imparare da Polly; infatti, quando faticava a capire qualche concetto, questa diventava subito manesca. Non appena furono soli nell’angolo di studio privato dì Polly, la sua compagna lo aggredì immediatamente con una domanda, lacrimando di aspettativa al pensiero di un suo eventuale errore. — Spiegami lo scopo del trampolino orbitale.

— Va bene — disse Sandy rassegnato. — Ma niente pizzicotti, va bene?

— Può darsi. Avanti, rispondi!

Sandy si accovacciò a gambe incrociate accanto a Polly, non troppo vicino però, e iniziò. — In cambio di tutte le cose meravigliose che faranno per gli esseri umani del pianeta Terra, gli hakh’hli chiedono solo alcuni piccoli favori. Uno di questi consiste nel fornirli di alcune materie prime che per i terrestri non hanno praticamente alcun valore. In particolare, gli hakh’hli chiedono ossigeno, carbonio e soprattutto idrogeno. E affinché i terrestri possano fornire agli hakh’hli queste materie prime, tu mostrerai loro come costruire un sistema di rotaie magnetiche inclinate in grado di trasportare i recipienti di acqua e di carbonio solido, ciò che loro chiamano “carbone”, fino all’orbita della nostra astronave.

— E perché noi hakh’hli abbiamo bisogno di queste sostanze?

— Perché ci servono come carburante — rispose prontamente Sandy. — Sono elementi che servono per alimentare i motori del modulo di atterraggio, che funzionano a perossido di idrogeno e a carburante liquido alcolico. L’idrogeno invece ci serve per la massa reattiva dei propulsori principali della grande nave. Vuoi che ti dica come funziona il trampolino orbitale?

— Esattamente, Mingherlino. Cerca di essere preciso, e sta’ attento a non fare errori.

Sandy si allontanò ancora un poco dalla sua compagna, ascoltando con un orecchio la musica di sottofondo. Si trattava di uno dei suoi motivi preferiti, una canzone terrestre intitolata L’uomo che amo. Non riusciva a fare a meno di immaginarsi una femmina di razza umana che cantava quelle parole per lui, ma non disse nulla perché sapeva che Polly avrebbe fatto immediatamente spegnere la musica se avesse capito che era distratto. — Il trampolino orbitale dovrà essere costruito da qualche parte in prossimità dell’equatore della Terra, affinché possa venire sfruttata la rotazione stessa del pianeta…

— Che è decisamente lenta — intervenne Polly in tono sdegnato. La giornata hakh’hli durava poco più di 17 ore terrestri.

— Sì, ma la forza di gravità sulla Terra è inferiore di cinque dodicesimi rispetto a quella normale — continuò Sandy — il che rende il compito decisamente più facile. Il trampolino orbitale sarà lungo dieci unità di misura terrestri chiamate chilometri, e una volta costruito la sua parte terminale si troverà a poco più di tre chilometri di altezza dalla superficie del pianeta. La riuscita sarà ottimale se la sua base verrà costruita sul pendio “occidentale” di una montagna. Lungo il binario, a ogni dodicesimo di dodicesimo di chilometro della sua lunghezza, verranno installati degli anelli magnetici, ognuno dei quali verrà caricato in successione. I magneti saranno di tipo superconducente, e la loro alimentazione implicherà con ogni probabilità la costruzione di una centrale elettrica apposita…

— Non nucleare però. Non vogliamo incoraggiarli a usare il nucleare.

— Polly — disse Sandy cautamente — stiamo parlando della mia gente, non di un branco di hoo’hik. Faranno esattamente ciò che andrà loro di fare. — I pollici di Polly si avvicinarono minacciosamente, e Sandy li schivò per un pelo. Venne salvato dal successivo attacco grazie alla voce di MyThara.

— Fine del periodo di ftudio. Ora potete cambiare compagni — ordinò la tutrice. — Lifandro, tu andrai con Oberon per la lezione di aftronomia.

Quando giunsero all’ottavo dodicesimo di giorno, erano tutti completamente esausti e ormai pronti al “latte e biscotti” della sera.

Tuttavia, non era ancora giunto per loro il momento di rilassarsi. MyThara infatti ordinò che la coorte facesse pratica di “fast food”. Demmy e Tania si alternarono dietro la cassa, mentre gli altri raccolsero i loro “soldi” e si misero in fila con le loro ordinazioni. — Cheeseburger, patatine piccole e un milkshake di vaniglia — ordinò Sandy. Calcolò il costo dell’ordinazione, quindi tirò fuori due banconote da un dollaro e cinque monete da un quarto.

Demmy lo fissò con rabbia. — Devi darmi tre banconote da un dollaro e una moneta da un quarto — si lamentò.

Sandy però insistette. — Voglio liberarmi degli spiccioli — spiegò. Lo aveva visto fare in uno dei tanti telefilm a cui aveva assistito. Demetrio usò i pollici per grattarsi la pancia con fare irritato, ma alla fine accettò il denaro, lo contò e fornì a Sandy 22 monete da un centesimo di resto.

— Anch’io voglio liberarmi degli spiccioli — disse, piangendo lacrime di trionfo.

Non era giusto, pensò Sandy. Era quasi sicuro che i commessi di ristoranti fast food non potessero liberarsi degli spiccioli a quel modo. Comunque fosse, non aveva alcuna intenzione di litigare con Demmy, quindi prese il suo vassoio e si accomodò a un tavolo, dove rimase seduto per un po’ a esaminare il cibo. L”‘hamburger” non era male; si trattava semplicemente di carne di hoo’hik tritata. Il “formaggio” però era tutt’altra faccenda. Basandosi sui programmi di cucina delle televisioni terrestri, gli studiosi hakh’hli erano riusciti a determinare che il “formaggio” era un alimento che si otteneva lasciando acidificare il latte e facendogli poi una serie di cose. Tuttavia, nessuno era mai riuscito a determinare quali fossero i microorganismi che causavano l’acidificazione, e di conseguenza, come sempre, Sandy tolse con estrema cautela la fetta di “formaggio” dalla sua carne e la depositò su un bordo del vassoio. In quanto al “panino”, non si trattava affatto di un vero panino. Tutti gli esperimenti fatti sulla nave per produrre qualcosa di commestibile da carboidrati macinati erano risultati infruttuosi. Alla fine i tecnici hakh’hli avevano optato per una semplice fetta di tubero, tagliata a forma di grossa pastiglia arrotondata e riscaldata. Il risultato non era del tutto sgradevole. Le “patatine fritte” non erano altro che lo stesso tubero, tagliato a fettine lunghe e sottili e cucinato nel grasso bollente, ma per Sandy erano sicuramente la parte migliore del pasto. Il “ketchup” e la “senape” non li metteva mai, perché a prescindere da come potessero essere gli originali terrestri, le loro imitazioni hakh’hli erano veramente disgustose.

Il “milkshake” invece era proprio scoraggiante. L’unica cosa certa era che fosse a base di latte di hoo’hik. Per il resto, era del tutto incomprensibile. Sfortunatamente, questa volta aveva più o meno lo stesso sapore del “formaggio”.

Sandy mandò giù il tutto a fatica, sperando di non sentirsi male in seguito. Non era previsto alcun periodo di intontimento dopo un pasto così leggero, e questo era un bene. Non appena ebbero finito, entrò Chin-Tekki-tho, il loro Tutore Primario. Dimostrando una certa audacia, Polly lo fermò prima che potesse rivolgersi alla coorte per fargli vedere la poesia di Sandy. Il tutore però non la rimproverò. Sembrava essere di ottimo umore, e infatti dopo aver letto la poesia fece i suoi complimenti a Sandy. — È un’ottima poesia, Lisandro. Soprattutto viste le difficoltà: è molto difficile scrivere una bella poesia in una brutta lingua. In ogni caso — aggiunse — non è questo il motivo per cui sono venuto a disturbare il vostro pasto serale. Non ho potuto essere con voi stamattina poiché sono molto occupato con la stesura dei piani finali. Entro breve dovrete apparire di fronte ai Grandi Anziani! — L’intera coorte venne percorsa da un brivido di eccitazione; non era certo da tutti avere la possibilità di vedere i Grandi Anziani! — Nel frattempo — continuò il tutore — vi ho portato degli “orologi”.

— Orologi? — ripeté Polly dubbiosa, ma intanto questi venivano già distribuiti. I membri della coorte esaminarono con curiosità gli strani oggetti metallici dotati di cinturini.

— Li dovete fissare sulle vostre braccia per misurare il tempo — spiegò il Tutore Primario. — A partire da questo momento, inizierete a misurare il tempo secondo i canoni dell’ora terrestre. La sezione ricerche mi ha appena informato del fatto che, secondo questi canoni, nel punto in cui atterrerete sono attualmente le quattro e ventitré “minuti” del giorno chiamato “mercoledì 12 luglio”. I vostri orologi sono stati regolati di conseguenza. — Si concesse una breve pausa mentre i componenti della coorte esaminavano i quadranti, quindi aggiunse con tono pacato: — Atterrerete sul pianeta Terra il giorno lunedì 24 luglio.

3

L’astronave hakh’hli è molto più grande di qualsiasi nave spaziale che i terrestri abbiano mai sognato di costruire; le sue dimensioni infatti sono di poco inferiori a quelle delle superpetroliere che solcavano i mari della Terra nel ventesimo secolo. La sua forma è quella di un tozzo cilindro, lungo 330 metri e largo 150, e il suo volume complessivo corrisponde a circa 50 milioni di metri cubi, due terzi dei quali sono occupati dai serbatoi di carburante e dai propulsori che la spingono attraverso lo spazio interstellare. La densità media della nave è di poco inferiore a quella dell’acqua, soprattutto perché la maggior parte del carburante in essa contenuta non è altro che idrogeno; se la nave venisse in qualche modo appoggiata delicatamente su un oceano terrestre, con ogni probabilità galleggerebbe. Gli abitanti della nave, 22.000 hakh’hli più Sandy Washington, hanno a disposizione poco più di 200 metri cubi di spazio a testa, contando non solo lo spazio riservato agli alloggi personali (che comunque sono quasi tutti dormitori comuni) ma anche quello riservato alla ricreazione e al lavoro. Duecento metri cubi a testa non sono molti. Fino a pochi dodigiorni prima, quando la nave si era avvicinata al Sole per cambiare la sua orbita, la situazione era anche peggiore. In quei giorni infatti gran parte dello spazio “inutilizzato” era stato lasciato surriscaldare, affinché il grande impianto di raffreddamento potesse mantenere il resto della nave a una temperatura accettabile. Ora gli hakh’hli sono molto felici di poter finalmente riutilizzare i settori della nave che erano stati chiusi in quell’occasione. In ogni caso, sulla grande astronave vi è comunque un certo affollamento, almeno rispetto agli standard terrestri. La cosa, però, non infastidisce in maniera particolare gli abitanti della nave, poiché nessuno di loro ha mai avuto modo di provare di persona quali possano essere gli standard di densità di popolazione terrestri.

Il giorno seguente, i componenti della Coorte Missione Terra vennero esentati dal loro turno di lavoro quotidiano; naturalmente, l’udienza con i Grandi Anziani aveva la priorità assoluta su qualsiasi altro compito. Ciò nonostante, ChinTekki-tho li sottopose tutti e sette a un lungo dodicesimo di giorno di interrogazioni e prove; era infatti impensabile che anche solo uno di loro dicesse o facesse qualcosa di sbagliato davanti ai Grandi Anziani.

Faceva ancora abbastanza caldo nella sala comune, ed erano tutti piuttosto irritabili per via del fatto che stavano cercando di adattarsi agli strani orari terrestri sui quali ChinTekki-tho aveva tanto insistito. Inoltre, la presenza di Obie li distraeva un po’ tutti quanti. Persino Lisandro riusciva a sentire l’odore nell’aria, segno che Obie stava ormai entrando nel suo periodo di fertilità; in più occasioni ChinTekki-tho fu costretto a richiamare le femmine del gruppo, che sembravano essere decisamente più interessate a Obie stesso che alle sue parole. — Dovete ascoltarmi con grande attenzione! — intimò loro il tutore. — Soprattutto tu, Lisandro!

Le “s” di ChinTekki-tho erano secche e precise come quelle di tutti i membri della coorte. Il loro Tutore Primario infatti era il più grande esperto di linguaggio e costumi terrestri presente sulla nave, ed era proprio questo il motivo per cui gli era stato affidato quel compito. Ciò nonostante, ChinTekki-tho non era sempre del tutto giusto e obiettivo.

— Ma io sto ascoltando — protestò Lisandro in tono risentito. — Non sono mica io quello che vuole fare sesso con Obie.

— Lo spero bene — ribatté seccamente ChinTekki. — Ma ora osservate attentamente! — Indicò una sezione di superficie terrestre sullo schermo. — Questo è il punto in cui atterrerete. È nella parte settentrionale del continente americano ed è facile da raggiungere dato che entrerete nell’atmosfera terrestre passando sopra il Polo nord.

— Si chiama Alaska — intervenne Tania, giusto per mettersi in mostra.

— Sappiamo tutti che si chiama Alaska — ribatté il tutore irritato. — Data la sua ubicazione, si tratta di una zona particolarmente fredda del pianeta. Con ogni probabilità, la zona sarà ricoperta di acqua allo stato solido, quella che i terrestri chiamano “neve”. Di conseguenza, avrete bisogno di abiti particolarmente pesanti. Una volta atterrati, Lisandro dovrà avvicinare i nativi da solo, portando con sé una radio. Lisandro, la tua missione consiste fondamentalmente nello scoprire qual è la situazione attuale sul pianeta Terra, dato che non riceviamo più lo stesso numero di trasmissioni che ricevevamo prima. Riferirai tutto ciò che avrai modo di scoprire agli altri componenti della tua coorte, che rimarranno sulla navetta. Saranno loro a dirti che cosa devi fare. Quando comunicherai con loro via radio, dovrai usare esclusivamente il linguaggio hakh’hli; non dovrai mai parlare in inglese. Capisci il motivo per cui tutto ciò è necessario, Lisandro?

— Sì, naturalmente — rispose Lisandro. — A quanto pare dovremmo essere molto cauti nel trattare con gli esseri umani, poiché… — Ebbe un attimo di esitazione, poi concluse con tono imbronciato: — Poiché alcuni di loro si comportano in maniera irresponsabile.

— Non solo alcuni, Lisandro. Molti. Sono certo che vi sono delle ottime persone fra i terrestri, ma la gran parte di loro sono senz’altro da considerare alla stregua di veri e propri barbari. Sai benissimo ciò che hanno fatto al loro pianeta… al tuo pianeta natale, Lisandro! In che condizioni credi che sarebbe la nostra nave se permettessimo l’emissione continua di pericolose sostanze inquinanti?

— Sarebbe orribile — intervenne Polly in tono scioccamente vanitoso.

— È esatto, Ippolita — disse ChinTekki-tho — ma al momento mi sto rivolgendo a Lisandro. Conosci il motivo per il quale gli abitanti umani della Terra hanno bisogno del nostro aiuto, Lisandro?

— È stato verificato con grande accuratezza e al di là di ogni dubbio — iniziò Sandy usando una locuzione hakh’hli con parole inglesi per dimostrare la sua indipendenza (mostrare indipendenza di fronte a un Anziano però non era una buona politica, quindi continuò recitando a memoria le parole che gli erano state insegnate). — La razza umana è riuscita nel corso degli anni a innalzare la temperatura dell’atmosfera terrestre, a diffondere composti acidi nell’aria, a saturare lo spazio orbitale del pianeta di relitti di vario genere, a inquinare le acque di superficie con materiali organici e di sintesi, a disperdere nell’ambiente sostanze radioattive di lunga durata e infine a permettere la deforestazione e l’erosione del suolo terrestre.

— Hai dimenticato — intervenne con tono sollecito Demmy — l’eutrofizzazione dei laghi.

— Non l’ho dimenticata — ribatté Sandy. — Fa parte dell’inquinamento delle acque con materiali organici e di sintesi, vero ChinTekki-tho?

— Esatto — confermò il tutore. — Ma hai tralasciato la cosa peggiore in assoluto. Oltre a tutto ciò, i tuoi esseri umani sono anche aggressivi e violenti. Posseggono armi di vario tipo, e combattono spesso guerre fra di loro, arrivando fino al punto di uccidersi in massa a vicenda.

— Ho avuto modo di assistere alle trasmissioni — si limitò a rispondere Sandy.

— Lo so. Quindi sei perfettamente consapevole del fatto che dobbiamo essere molto cauti nell’avvicinarci a loro. Se riterremo possibile un incontro pacifico fra gli esseri umani e gli hakh’hli, riveleremo la nostra presenza agli abitanti del pianeta Terra. Ma prima di fare una cosa del genere dobbiamo avere la certezza assoluta che l’incontro si svolga in maniera pacifica, ed è proprio in questo che consiste il tuo compito, Lisandro. Non possiamo assolutamente mettere a rischio l’integrità della nostra nave.

— Lode alla nave! — gridò Obie, prontamente imitato in coro dalle femmine del gruppo.

— Sì, lode alla nostra nave — ribadì ChinTekki-tho. — Allora, Lisandro, vorresti esporre la tua storia?

— Tanto per iniziare — disse Lisandro con tono scocciato — il mio nome non è Lisandro. Non quando mi troverò sulla Terra, almeno.

— Un’ottima precisazione — commentò il tutore. — Continua.

— Mi chiamo John William Washington. Ho 23 anni. La mia casa si trova a Miami Beach, in Florida, ma i miei genitori, che si chiamavano Peter e Alice, sono morti in un incidente stradale. Sono uno studente universitario, ma la morte dei miei genitori mi ha intristito molto, e quindi ho deciso di prendermi un periodo di vacanza. Sto visitando l’Alaska perché è un luogo che ho sempre desiderato vedere. Sono stato in giro da solo, cercando oro nei ruscelli, e adesso mi sto preparando per tornare a Miami Beach, ma mi sono perso.

— Esatto — disse ChinTekki-tho con tono soddisfatto. Si concesse una pausa, nel corso della quale li osservò tutti quanti con aria pensierosa. — Avete qualche domanda? — domandò infine.

Tania alzò una mano, in stile terrestre. — Per quale motivo non riceviamo più trasmissioni dalla Terra, ChinTekki-tho? Non ne possiamo più di vedere sempre gli stessi vecchi film.

— Non ne abbiamo assolutamente idea, Titania. Continuiamo a ricevere segnali elettromagnetici, quindi non abbiamo dubbi riguardo al fatto che i terrestri siano riusciti a sopravvivere alle loro difficoltà, almeno entro certi limiti. Tuttavia, i segnali che riceviamo non sembrano contenere alcun tipo di dati. Non abbiamo idea di che cosa siano esattamente. Altre domande?

— Perché non possiamo più vedere gli amici con i quali ci siamo addestrati in passato? — domandò Obie. Stava riferendosi agli oltre 30 giovani hakh’hli che erano cresciuti con loro e che erano stati trasferiti in un altro settore della nave pochi dodigiorni prima.

— Perché i Grandi Anziani hanno deciso di segregarvi — spiegò ChinTekki-tho. In realtà quella spiegazione era più che sufficiente per qualunque hakh’hli, ma il tutore volle essere generoso e aggiunse un supplemento di spiegazione per la coorte. — In fondo — disse — voi sei, volevo dire voi sette, scusami Lisandro, siete molto speciali. Sarete voi i primi ad atterrare sul pianeta Terra.

— Ma nel resto del gruppo vi erano molte femmine attraenti, mentre ora abbiamo solo queste tre — si lamentò Obie, alimentando sibili di rabbia da parte delle femmine della coorte.

Il Tutore Primario però stroncò qualsiasi tipo di protesta sul nascere. — Basta così, Oberon! Ora dobbiamo recarci nella Camera dei Grandi Anziani per la vostra udienza. Ma prima di andare, volevo farvi un’ultima raccomandazione. Affinché la vostra preparazione per la missione venga portata a termine in maniera soddisfacente, d’ora in poi dovrete parlare sempre ed esclusivamente in inglese, anche fra di voi. Naturalmente, nel corso dell’udienza con i Grandi Anziani userete l’hakh’hli.

Dato che i Grandi Anziani non erano ancora pronti a riceverli, Sandy e il resto della coorte dovettero attendere nella sala di decompressione per un’ora e 52 minuti, secondo i loro nuovi orologi. Dapprincipio assunsero tutti un atteggiamento sottomesso, l’atteggiamento adatto a un’occasione solenne di quel genere. Lisandro si massaggiò le orecchie doloranti; lo sbalzo di pressione gli faceva ancora male, nonostante ciò che era già stato fatto alle sue orecchie per alleviare un po’ il dolore.

L’atteggiamento sottomesso della coorte però non durò molto a lungo; in fondo, un’occasione del genere era decisamente qualcosa di molto eccitante per loro. Obie ed Elena iniziarono a litigare come al solito, e Polly fu costretta a sedersi su entrambi per cercare di calmarli. Ma questo era un avvenimento piuttosto normale. Il solo fatto di poter accedere alle zone normalmente vietate della nave rappresentava qualcosa di speciale per loro, come una specie di avventura. A dir la verità era un’avventura solo quando non era una scocciatura, e cioè quando dovevano attraversare la nave per svolgere i loro turni di lavoro. Comunque fosse, nella sala di decompressione non vi era proprio nulla di emozionante. Non era altro che una stanza con alcune panche basse per accovacciarsi e alcuni schermi per l’intrattenimento che trasmettevano il programma della nave, che non mostrava quasi mai nulla di realmente interessante. Anche se, ogni dodigiorno, trasmetteva su tutti gli schermi un film terrestre selezionato fra le migliaia di registrazioni disponibili. Si trattava di un’occasione particolarmente interessante anche per la Coorte Missione Terra, soprattutto perché i dialoghi di questi film venivano doppiati in lingua hakh’hli da alcuni degli studiosi della nave esperti in lingue terrestri. Era sempre molto divertente sentire la voce di una femmina cheth che doppiava personaggi come un rude sergente di fanteria della Seconda guerra mondiale. Per il resto, però, gli schermi della nave mostravano quasi sempre immagini dei circuiti standard, e anche cambiando in continuazione canale non si riuscivano a ottenere altro che riprese fisse dei motori, delle sale coltura, dell’abitacolo di pilotaggio e delle funzioni di manutenzione automatiche. Ogni tanto, gli schermi mostravano anche qualche ripresa esterna infinitamente noiosa di un sole che la nave aveva appena oltrepassato o magari del pianeta che era la loro destinazione. Tutto ciò avrebbe anche potuto risultare abbastanza interessante, solo che per Sandy e la sua coorte non lo era affatto, dato che gli schermi della loro sezione mostravano cose decisamente più interessanti. Erano stati forniti loro documentari, resoconti storici e programmi di ogni tipo che rappresentavano il succo di mezzo secolo di trasmissioni televisive e radiofoniche terrestri captate dai sistemi di ricezione della nave. E nonostante i componenti della coorte avessero guardato quei programmi per tre dodicesimi di ogni singola giornata della loro vita, li trovavano ancora emozionanti, se non altro per il solo fatto che provenivano dalla Terra.

Nella sala di attesa però non veniva proiettato nulla di simile. Tanto più che la stanza non era affatto grande, e i sottili odori emessi da Obie stavano monopolizzando sempre di più l’attenzione delle femmine del gruppo. Fortunatamente, a un certo punto Tania riuscì a trovare un canale che trasmetteva un evento sportivo: i campionati di lotta libera della nave erano attualmente in corso, e in qualche settore della zona ricreativa due enormi hakh’hli si stavano affrontando nei quarti di finale. La coorte si radunò immediatamente davanti allo schermo, dividendosi in due tifoserie. Persino un terrestre sarebbe stato in grado di seguire l’azione, se vi fosse stato qualche terrestre oltre a Sandy Washington ad assistere al combattimento, dato che in effetti quello sport rappresentava un’innovazione di origine terrestre per gli hakh’hli. Era stato copiato da alcune trasmissioni terrestri sui campionati di sumo giapponese, e in sostanza consisteva in un combattimento fra due giganti che si piombavano addosso a vicenda con tutto il loro peso.

Indubbiamente, si trattava di uno sport emozionante e spettacolare. Obie si rivolse a Sandy con tono entusiasta. — Se anche i tuoi terrestri non ci dessero nient’altro, per me questo è già più che sufficiente — disse.

Polly però non era d’accordo, e Tania non era d’accordo con Polly. Così, mentre il combattimento sullo schermo continuava, un nuovo combattimento ebbe inizio all’interno della sala di decompressione.

Quando i Grandi Anziani giunsero finalmente a decidere che fosse il caso di concedere udienza alla coorte di Sandy, il combattimento era già finito da tempo. Obie perdeva ancora un po’ di sangue da una ferita sotto l’occhio, ma Demmy aveva strappato una striscia di tessuto dai suoi pantaloncini per bendarlo (indossare abiti umani in fondo poteva anche risultare utile in alcune occasioni). Così, quando si sistemarono tutti e sette in fila davanti ai sei enormi Grandi Anziani, i componenti della coorte apparivano abbastanza presentabili. In ogni caso, i Grandi Anziani avevano deciso di comportarsi in maniera molto cordiale con loro, e di conseguenza era probabile che non avrebbero detto nulla anche se avessero notato qualche cosa di insolito. — Allora, come fanno oggi i nostri terrestri? — domandò la Quarta Grande Anziana (in hakh’hli, naturalmente). Sandy notò che era riuscita a versare una benevola lacrima di benvenuto.

La Grande Anziana si era rivolta al gruppo nel suo complesso, anche se tutti sapevano che la domanda era stata posta soprattutto a Sandy. — Mangiamo e defechiamo molto bene, antica femmina — disse quindi in tono rispettoso nella stessa lingua. Per continuare però dovette ricorrere ad alcuni termini inglesi, poiché non esisteva nessun equivalente hakh’hli per certe parole. — Stiamo studiando la guida delle automobili, l’uso delle carte di credito, la musica popolare terrestre della fine del ventesimo secolo, e ieri abbiamo giocato per ben due volte a pallacanestro. — Sandy era felice di poter parlare in hakh’hli, dato che era stato appena proibito loro di farlo. Tuttavia, il fatto che i suoi compagni di coorte parlassero l’inglese meglio di quanto lui non parlasse l’hakh’hli lo infastidiva un poco. Loro però erano stati avvantaggiati dalla manipolazione delle corde vocali voluta dagli esperti hakh’hli, che in alcuni era avvenuta chirurgicamente, mentre in altri era avvenuta addirittura geneticamente, prima ancora della loro nascita. Il risultato era che loro erano in grado di produrre tutti i suoni della lingua inglese senza alcuna difficoltà, mentre Sandy poteva parlare l’hakh’hli solo per un breve periodo, poiché dopo un po’ i continui schiocchi e i molti suoni gutturali gli causavano un certo dolore alla gola.

— Soddisfacente, soddisfacente — mormorò con tono affabile la Grande Anziana. — Il Primo Grande Anziano ti informerà ora e non in seguito.

Tutti sapevano che il Primo Grande Anziano lo faceva sempre, ma nonostante ciò si udì un leggero sbuffo di rassegnazione proveniente dalle narici dei componenti della coorte. Infatti, quando il Primo Grande Anziano “informava” qualcuno, iniziava sempre dal principio e non tralasciava mai nulla. Rivolgendosi direttamente a Sandy, diede conferma di questa regola.

— Uomo terrestre Lifandro Washington — esordì, rivolgendo lo sguardo vacuo verso il grigio del soffitto della sala delle udienze — il tuo genitore di sesso femminile e il tuo genitore di sesso maschile sono stati abbandonati su un veicolo spaziale nel corso di una guerra fra terrestri. Nel corso di questa guerra, sono stati prodotti diversi danni con l’uso di raggi fotonici, nonché attraverso l’impatto cinetico di oggetti solidi o di esplosioni di origine chimica o atomica. I tuoi genitori non potevano ritornare a casa. Li abbiamo accolti sulla nave, ma si trovavano in cattivo stato, non erano in buona salute. Non siamo stati in grado di salvarli, ma tu eri già un uovo quasi maturo, pronto alla nascita, e siamo riusciti a mantenerti in vita. Ti abbiamo fornito quanto necessario per la tua sopravvivenza, oltre che la compagnia di altri elementi della tua età, e nel frattempo ci siamo dedicati all’investigazione…

— Antico maschio — intervenne Sandy con poca convinzione — queste informazioni mi sono già state fornite… — Non pensava che le sue parole sarebbero riuscite a interrompere il Primo Grande Anziano, o anche solo a fargli sbattere le palpebre, e infatti non accadde nulla di tutto ciò. L’unica cosa che accadde fu che Polly si staccò dalla sua posizione al lato di Obie giusto quanto bastava per rifilare a Sandy un forte pizzicotto sul sedere. Contemporaneamente, la Quarta Grande Anziana alzò lo sguardo con interesse verso il quasi tumescente Obie.

— …di varie stelle fra le più prossime, inclusa Alfa Centauri — continuò la profonda voce del Primo Grande Anziano — la quale non è risultata di alcuna utilità o interesse. Ora siamo tornati al sistema nel quale si trova il tuo pianeta natale, e tu sei ormai un elemento adulto a cui è stata fornita un’educazione. Ti prego di confermarmi che queste informazioni corrispondano alla realtà e non siano errate.

— Corrispondono alla realtà, antico maschio — disse Sandy massaggiandosi il sedere. I possenti pollici di Polly erano in grado di rifilare pizzicotti molto dolorosi. Nel frattempo, Sandy notò con la coda dell’occhio che tutte le femmine del gruppo si stavano lentamente avvicinando a Obie.

— Abbiamo osservato il tuo pianeta fin dal momento in cui siamo entrati nel suo sistema solare, e abbiamo registrato una serie di fatti degni di interesse. Innanzitutto, i segnali elettromagnetici che sono stati il motivo del nostro iniziale interessamento per questo particolare sistema solare, segnali che nel corso del nostro primo approccio hanno fatto registrare un aumento esponenziale dal punto di vista sia del numero sia della forza di emissione, sono attualmente quasi inesistenti. Non riusciamo più a ottenere alcun tipo di informazione sulle lunghezze d’onda precedentemente usate dai terrestri per la trasmissione di ciò che chiamano radio e televisione. Questo fatto potrebbe essere dovuto a una netta diminuzione del numero dei terrestri esistenti sul pianeta, oppure a un improvviso decadimento della loro tecnologia. In entrambi i casi, supponiamo che ciò dipenda dal risultato di questa guerra. Tuttavia, potrebbe dipendere anche da altri fattori a noi sconosciuti.

Il Primo Grande Anziano si concesse una pausa, intrecciando le dodici dita davanti allo stomaco con espressione meditativa. Nessuno disse nulla. La Quarta Grande Anziana, con fare assente, si alzò dal suo scranno sopraelevato e si avvicinò alla coorte, mantenendo lo sguardo fisso su Obie.

— Un altro nuovo fatto senz’altro degno di interesse — continuò il Primo Grande Anziano — è che non abbiamo ricevuto alcuna indicazione sulla presenza di veicoli spaziali all’interno del sistema solare in questione. Questo ci porta a concludere inevitabilmente che i terrestri non sono ancora riusciti a risolvere i problemi connessi all’accesso allo spazio circostante il loro pianeta.

Questa affermazione venne seguita da un altro sospiro generale da parte di tutti i componenti della coorte.

— Oh, che noia! — sussurrò Demmy, che venne immediatamente colpito da un calcio proveniente da Chiappa. Nessuno dei Grandi Anziani diede segno di aver sentito. A parte il Primo, tutti gli altri stavano osservando con interesse la Quarta, che stava annusando la schiena di Obie. Le sue sacche labiali si erano visibilmente gonfiate.

— Ciò nonostante — continuò il Primo Grande Anziano — saremo comunque in grado di compiere un atterraggio sulla superficie del pianeta con una delle nostre navette esplorative passando attraverso una finestra d’entrata polare. La gran parte dei relitti spaziali terrestri infatti orbitano sul piano equatoriale del pianeta, e per quanto ve ne siano significative quantità anche su altre orbite, i nostri esperti hanno individuato una serie di intervalli temporali nel corso dei quali sarà possibile effettuare un approccio sicuro. I costi dell’operazione dal punto di vista del consumo di carburante saranno molto elevati, dato che non avremo modo di sfruttare la velocità di rotazione del pianeta e che saremo costretti a impiegare i propulsori sia per la discesa sul pianeta sia per il viaggio di ritorno. In ogni caso, riteniamo che l’atterraggio sul pianeta Terra sia un’operazione fattibile.

Dando prova di coraggio, Polly si mise in mezzo fra Obie e la Quarta Grande Anziana. L’Anziana però si sollevò minacciosamente sulle zampe posteriori e la fissò, facendola indietreggiare impaurita.

A quel punto la Quarta Grande Anziana si rivolse al gruppo dei Grandi Anziani alle sue spalle. — Vogliate scusarmi e non rimanere offesi — disse in tono formale mentre prendeva Obie da dietro il collo e lo trascinava via con sé.

— Ma certamente — disse il Primo Grande Anziano, rivolto ormai alla schiena della sua collega. — In ogni caso — continuò — penso che non vi sia altro da aggiungere. E tu, Lifandro, ricordati sempre che pur essendo un essere umano del pianeta Terra, sei anche un hakh’hli. Siamo stati noi hakh’hli a darti la vita, e ora non desideriamo altro che aiutare i terrestri a correggere gli errori provocati dalla loro stessa follia. Ciò nonostante dobbiamo agire con grande cautela, quindi desideriamo che voi portiate a termine la vostra missione al meglio, in maniera precisa e senza alcun tipo di insuccesso. Sei tu, Lifandro, disposto a fare ciò?

— Lo sono — disse Lisandro, sperando che il colloquio fosse finalmente giunto al termine.

Ma non ebbe questa fortuna. A quel punto infatti intervenne la Seconda Grande Anziana. — Lifandro — disse con tono severo — devi essere saggio, sincero e leale. I tuoi terrestri sono persone vanitose, indolenti, incuranti e ingannevoli. Sono dei veri irresponsabili, e sono riusciti a rovinare completamente il loro pianeta. Quindi mi raccomando, quando ti troverai sul pianeta Terra, dovrai essere come noi, e non come loro.

— Va bene — borbottò Sandy spostando nervosamente il peso da un piede all’altro.

Il Primo Grande Anziano gli concesse una piccola lacrima di consolazione. — Tu non hai alcuna responsabilità o colpa per ciò che queste persone hanno fatto e continuano a fare sul loro pianeta, Lifandro — disse con grande sfoggio di generosità. — Non c’è bisogno che tu ingoi la tua stessa saliva per questo. E ora, potete andare.

Questa volta non vi fu alcun tipo di litigio nella sala d’attesa. Vi fu solo attesa; attesa che Obie portasse a termine la sua anfilassi con la Quarta Grande Anziana e facesse ritorno al suo gruppo. E l’attesa non fu affatto gradevole, poiché le tre femmine della coorte erano fuori di sé dalla rabbia.

Quando Obie fece ritorno, tutto allegro e soddisfatto, le femmine sembravano sul punto di scoppiare. — Oberon, non sei altro che un escremento di hoo’hik! — esclamò Polly non appena lo vide entrare.

— Come hai potuto? — gli domandò Elena con tono piagnucoloso.

— Con una Grande Anziana! — aggiunse Tania con indignazione.

Ma Obie non sembrava affatto pentito. — Vi siete accorte subito di quel che stava succedendo, no? — disse. — Perché non vi siete messe in mezzo, allora?

— Mettersi contro una Grande Anziana?

Obie scrollò le spalle. — Ci saranno altre occasioni — concesse con generosità. — Gente, come era grande! Non lo avevo mai fatto con una Grande Anziana prima d’ora! Vi assicuro che non riuscivo a far altro che tenermi forte!

— C’erano molte uova? — domandò Chiappa con invidia.

— Tu cosa dici? — rispose Obie con orgoglio. — Voglio dire, con una di quelle dimensioni… Stava giusto iniziando a deporle quando me ne sono andato e… A proposito, qualcuno deve andare a portarle al reparto classificazione per farle contrassegnare e congelare. Non vorrete mica che ci vada lei?

In realtà non esisteva alcun motivo particolare per il quale uno di loro, piuttosto che chiunque altro, dovesse portare a termine quel compito. Tuttavia, come aveva detto Obie, qualcuno doveva pur farlo. Solo che le tre femmine della coorte erano gelose della Quarta Grande Anziana, gli altri due maschi erano gelosi di Obie, e lo stesso Obie era troppo pieno di sé in quel momento per potersene occupare. Insomma, in un modo o nell’altro, sarebbe stato comunque Sandy a doversi assumere lo sgradito compito di raccogliere gli ammassi ovulari usciti dall’ovipostor dilatato della Quarta Grande Anziana.

Era un compito che non gli era mai stato assegnato in precedenza, e in effetti Sandy lo trovò piuttosto interessante. Le uova assomigliavano a ciò che i terrestri dei film chiamavano “caviale”, e avevano un odore aspro-salato che gli procurò subito una leggera nausea.

Come era costume, Sandy avvolse le uova in un frammento di plastica trasparente e le trasportò attraverso i vari corridoi della nave fino al reparto classificazione. Tutti gli hakh’hli che gli capitava di incontrare si fermavano e lo lasciavano passare, come se fosse una persona molto importante. Rimase a osservare mentre gli addetti alla classificazione separavano la massa gelatinosa in alcuni piatti di acqua tiepida, per poi pesare, annusare, analizzare ed etichettare ogni singolo uovo con i codici di riconoscimento di Obie e della Quarta Grande Anziana. Sandy non se ne andò finché le uova non vennero riposte nei loro vassoi e infilate nel congelatore.

Sandy non sapeva per quale motivo quel processo risultasse tanto affascinante per lui. Sapeva solo che lo affascinava. Per tutto il tempo durante il quale assistette alle varie operazioni, e anche dopo mentre tornava verso la sua sezione della nave, provò un certo sommovimento interno e si sentì attraversare il corpo da strane ondate di calore. L’unica cosa di cui era sicuro era che non vedeva l’ora di mettere piede sulla Terra, e di poter finalmente entrare in contatto con le innumerevoli femmine nubili che vi si trovavano.

4

Nei progetti della grande nave hakh’hli, ben sette dodicesimi del volume del settore riservato ai propulsori vengono descritti come “serbatoi carburante”. Solo che in realtà le cose non stanno esattamente così. I tre propulsori principali occupano non più di un dodicesimo di un dodicesimo di tutto quello spazio, e il carburante vero e proprio ne occupa ancora meno. Il carburante che alimenta i propulsori hakh‘hli è composto da tre blocchi separati. Ognuno di questi blocchi misura press’a poco quanto la testa di un hakh’hli. Le dimensioni dei blocchi di carburante sono decisamente ridotte, ma nonostante ciò i blocchi stessi hanno un peso specifico enorme; ognuno infatti pesa qualcosa come 4·1014 G. Sebbene questi ammassi di carburante siano composti di materia, non si tratta di normale materia barionica, composta solo da particelle quark e antiquark. Il carburante della nave hakh‘hli è composto da ciò che i fisici terrestri chiamano materia “anomala”, ovvero da una combinazione di quark, antiquark e quark “anomali”. Si tratta della sostanza conosciuta dotata del maggior potenziale energetico che esista. Ciò che occupa quindi la gran parte dello spazio del “serbatoio carburante” della nave hakh’hli non è altro che semplice gas di idrogeno, il cui unico scopo è quello di essere sparato fuori dagli scarichi della nave stessa a una velocità prossima a quella della luce, spinto dall’energia prodotta dalla materia anomala. Il resto dello spazio disponibile viene occupato dai contenitori per il carburante. Gli elementi del carburante hanno infatti bisogno di speciali incastellature affinché rimangano in posizione, poiché nonostante abbiano le dimensioni di una palla da basket, sono davvero molto pesanti. Pesano più o meno quanto tutto il resto della nave e, dato che sono quel che sono, non possono assolutamente essere racchiusi in un serbatoio di acciaio zincato. La materia deve essere tenuta assieme da campi elettromagnetici, i quali devono a loro volta essere fissati in qualche modo alla struttura interna della nave stessa. La grande fortuna di coloro che hanno progettato la nave sta proprio nel fatto che i nuclei di carburante non hanno alcun peso nel momento in cui la nave è ferma, come del resto qualsiasi altra cosa che si trovi al suo interno, e che quando invece i propulsori sono in funzione la pressione posteriore esercitata sul nucleo è esattamente identica alla spinta dei motori stessi che fanno muovere la nave. E in questo caso, le leggi di Newton sul movimento uguale e opposto vengono rispettate in maniera perfetta. Quando il nucleo di carburante viene attivato, i quark anomali riscaldano il fluido d’idrogeno, che spinge in avanti la nave stessa mentre accelera, equilibrando le masse contrarie in maniera perfetta. Il carburante a materia anomala dura molto, molto a lungo. Ha alimentato la nave hakh’hli per oltre 3.000 anni, e continuerà ad alimentarla per almeno altri 10.000 prima di esaurirsi. Anzi, a dirla verità non si esaurirà mai. Una delle cose più anomale della materia infatti è che più la si usa, più ce n‘è. E questo è un problema che preoccupa i tecnici e gli scienziati della nave hakh’hli da diversi secoli.

Sandy non aveva mai visto i propulsori principali della nave. Nessuno li aveva mai visti, a parte i tecnici specializzati appositamente generati, che erano gli unici in grado di sopravvivere (anche se non molto a lungo) alle radiazioni, che avrebbero ucciso chiunque altro, hakh’hli o umano che fosse, nel giro di poche ore. Sandy non aveva mai provato il desiderio di diventare un tecnico. Ciò che desiderava era di poter pilotare la grande nave interstellare personalmente. Naturalmente, non aveva la benché minima possibilità di poter fare una cosa del genere. E tantomeno gli sarebbe stata concessa la possibilità di pilotare la navetta, il modulo di atterraggio che lui e suoi compagni avrebbero dovuto condurre attraverso la fascia di relitti spaziali che circondava la Terra per atterrare sulla sua superficie. Il compito di pilotare la navetta spettava a Polly, anche se tutti gli altri componenti della coorte erano potenzialmente in grado di sostituirla. In quanto al simulatore di volo sul quale si addestravano tutti quanti loro… be’, quella era tutt’altra faccenda.

Il motivo principale per il quale Sandy riusciva qualche volta a inserirsi nelle lezioni al simulatore nonostante non fosse previsto un addestramento da parte sua in quel campo era che le simulazioni si tenevano sempre dopo il pasto principale di mezzogiorno, subito dopo il periodo di intontimento. E dato che Sandy era esentato dal periodo di intontimento, riusciva sempre ad arrivare sul posto prima di tutti gli altri. Inoltre, l’istruttore che si occupava delle simulazioni non era certo l’hakh’hli più furbo della nave. Occupava quella posizione solo perché aveva fatto parte dell’equipaggio che si era addestrato per l’atterraggio da qualche parte nel sistema Alfa Centauri. Alla fine non erano mai atterrati da nessuna parte, poiché non avevano trovato alcun luogo abbastanza grande per compiere un atterraggio, ma quell’istruttore rimaneva comunque l’elemento più competente che avessero gli hakh’hli per quanto riguardava il pilotaggio dei moduli di atterraggio. Non era mai stato autorizzato a permettere a Sandy di usare il simulatore, ma allo stesso tempo non gli era nemmeno mai stato ordinato di non lasciarglielo usare. Così, anche in questa occasione, dopo qualche moina, Sandy riuscì a prendere posto nella capsula del simulatore prima di tutti gli altri.

Il “sedile di pilotaggio” del simulatore non era stato costruito per un’anatomia umana, e di conseguenza Sandy si era portato dietro alcuni cuscini per sistemarsi a modo suo sull’inginocchiatoio hakh’hli che si trovava davanti ai comandi. Nel giro di un quarto di dodicesimo di giorno, o meglio, nel giro di circa trenta minuti secondo il suo nuovo orologio da polso terrestre, Sandy riuscì a portare a termine l’intera sequenza di volo, a partire dal “lancio” a repulsione magnetica con cui la navetta veniva sparata fuori dalla sua nicchia all’interno della grande nave interstellare, passando poi attraverso la correzione di rotta che l’avrebbe portata a sorvolare il Polo nord della Terra in una traiettoria discendente, schivando in seguito i vari relitti in orbita, sussultando per l’attrito all’entrata nell’atmosfera e giungendo infine a compiere un decente, o perlomeno non catastrofico, atterraggio su una piatta pianura ricoperta di neve circondata da alte montagne. Nel simulatore sembrava tutto vero. Quando la “navetta” si staccava dalla nave madre, si attivavano dei pistoni che facevano sussultare la capsula come se il lancio fosse realmente avvenuto. A quel punto gli schermi mostravano l’oscurità dello spazio, il pianeta verde sottostante e l’immagine della grande astronave che si allontanava sempre più. Quando Sandy la faceva “virare”, gli stessi pistoni inclinavano la capsula in modo tale da fornire esattamente le stesse sensazioni fisiche che si provavano in una vera virata, grazie anche alle immagini delle stelle sugli schermi che sfrecciavano via di lato. I pistoni agivano anche per suggerire i terribili scossoni dell’ingresso nell’atmosfera terrestre, e facevano altrettanto in fase di atterraggio. Una sessione con il simulatore corrispondeva più o meno a quello che poteva essere una buona partita di videogame terrestre per qualsiasi giovane adulto, solo che era molto meglio. Tuttavia, per Sandy non era sufficiente. Quando fu costretto a uscire per fare spazio al primo vero candidato al pilotaggio della sua coorte, era di pessimo umore. — Non capisco proprio perché io non possa pilotare la navetta — si lamentò con Polly… scioccamente, poiché questa gli rifilò subito un forte pizzicotto.

— Perché sei troppo piccolo, e troppo maldestro, e anche troppo stupido! — gli disse. — Ma ora fatti da parte che devo entrare io.

Sandy le rivolse uno sguardo di odio mentre entrava nella capsula. Obie gli toccò la base del collo in un gesto di solidarietà. — Se fosse per me — disse — te la farei pilotare. — Sandy scrollò le spalle. Sapevano benissimo entrambi che l’unico momento in cui Obie avrebbe potuto sperare di influenzare in qualsiasi modo il resto della coorte era ormai passato, assieme al suo breve periodo di fertilità. — Be’ — aggiunse Obie in tono amichevole — vuoi fare qualcos’altro? Io sono l’ultimo a provare; dovrò aspettare almeno un dodicesimo e mezzo prima che venga il mio turno.

— Fare che cosa? — domandò Sandy.

— Potremmo vederci un film terrestre — propose Obie. — C’è un episodio di Star Trek che vorrei rivedere. Mi piacciono quelle buffe astronavi.

— Niente da fare — ribatté Sandy con tono convinto. Non era assolutamente interessato a un film terrestre pieno di astronavi inesistenti; se doveva occupare il suo tempo libero guardando un film, doveva essere uno di quelli pieni di ragazze carine con abiti succinti. Oppure…

Si guardò attorno con aria pensierosa. Gli altri quattro in attesa avevano iniziato una partita al Gioco delle Domande (tutti i 53 stati degli Stati Uniti d’America, in ordine, da sinistra verso destra, a partire da Guam fino a Puerto Rico) ed era più che evidente che non ci tenevano a far entrare anche Sandy e Obie nella partita. Nessuno sembrava interessato allo schermo per le comunicazioni. — Be’ — disse infine Sandy — a dir la verità ci sarebbe un film che non mi dispiacerebbe rivedere. Solo che non è un film terrestre. È hakh’hli.

Obie dovette faticare non poco per trovare i vecchi nastri richiesti da Lisandro, ma quando infine le immagini apparvero sullo schermo, anche gli altri membri della coorte rinunciarono subito al loro gioco per farsi attorno. Sandy non gradì in modo particolare quest’ultimo fatto. Ciò che stavano per vedere era una sua faccenda personale, tanto che in altre occasioni aveva sempre guardato quel filmato in privato, senza nessuno attorno che potesse interferire nel suo personale e immancabile struggimento.

Si trattava della registrazione della scoperta dell’astronave terrestre alla deriva, avvenuta mezzo secolo prima. Il filmato iniziava mostrando il momento in cui l’oggetto era stato individuato, in orbita attorno al pianeta Marte. Poi le immagini della piccola nave crescevano gradatamente, man mano che l’enorme vascello hakh’hli si avvicinava per un’investigazione più dettagliata.

Invece di lanciare una navetta di ricognizione, in quell’occasione gli hakh’hli avevano deciso di mandare una semplice sonda telecomandata per capire esattamente di che cosa si trattasse. Le immagini captate dalla telecamera della sonda mostrarono la nave terrestre che si ingrandiva fino a riempire completamente lo schermo, fornendo finalmente un’idea più chiara della forma del veicolo spaziale; si trattava di una specie di siluro, con un grosso tubo di scarico a un estremità e un cono trasparente all’altra. E al di là della superficie trasparente del cono…

Dietro alla superficie trasparente vi erano due figure che indossavano tute spaziali. Erano immobili, e non si riusciva a vedere nulla al di là dei visori specchiati dei loro caschi.

— Quale dei due è tua madre? — domandò Obie in tono amichevole.

— Come diavolo faccio a saperlo? — ribatté Sandy con rabbia. Ciò nonostante, in realtà credeva proprio di saperlo. La figura a destra era leggermente più piccola rispetto all’altra, e sulla sua tuta vi era una specie di stemma con un sole esploso. E Sandy sapeva che le femmine della Terra erano decisamente più portate agli abbellimenti personali di quanto non lo fossero i terrestri di sesso maschile.

Subito dopo, apparve sullo schermo un improvviso raggio di fuoco rosso, evidentemente proveniente dalla sonda. Il raggio colpì la superficie della nave terrestre con un lampo bianco-dorato. Sandy trasalì, anche se sapeva che non si trattava di un attacco, bensì di una normale misura precauzionale hakh’hli, che consisteva nel provocare con un laser un piccolo foro nella chiglia della nave terrestre al fine di analizzarne la composizione e avere la certezza che non si trattasse di nulla di pericoloso prima di avvicinarsi ulteriormente con la grande nave madre. Il bagliore comunque si spense in un istante e la sonda iniziò a girare con estrema cautela attorno alla nave, prima lungo i lati e poi sopra e sotto. Le immagini mostravano anche le stelle sullo sfondo, e ogni tanto si vedeva il disco color ruggine del pianeta Marte o addirittura qualche bagliore di luce solare riflessa dalla superficie della grande astronave hakh’hli, sospesa nel vuoto a svariati chilometri di distanza. Sandy vide il rampino magnetico che veniva lanciato dalla sonda, il suo lungo cavo flessibile che si infilava dietro la chiglia dell’astronave terrestre alla deriva.

A quel punto, lo schermo si annerì.

— Tutto qui? — domandò Tania. — Non si vedono le immagini dell’interno dell’astronave?

— Non in questo nastro — disse Obie. — Però ce n’è un altro. Sandy, vuoi che lo vada a prendere?

Sandy scosse il capo. — No, non ti disturbare — disse. Ma in realtà non era certo il disturbo di Obie che lo preoccupava. Ciò che gli dava realmente fastidio era l’idea che tutti gli altri rimanessero lì a guardare dietro la sua spalla mentre osservava la registrazione in cui la nave dei suoi genitori veniva esaminata e controllata a fondo da un gruppo di hakh’hli in tuta spaziale. In quel nastro infatti le goffe figure che erano i suoi genitori venivano trattate dagli hakh’hli come se fossero delle bombe a orologeria in procinto di scoppiare da un momento all’altro, e Sandy non aveva mai gradito molto quelle particolari immagini. In verità le persone all’interno delle tute spaziali terrestri non venivano mai inquadrate nel filmato, ma le immagini mostravano comunque i due corpi inanimati che venivano trasportati con estrema cautela nel Laboratorio di Genetica, dove erano stati messi in quarantena per le analisi del caso. Il secondo filmato terminava nel momento in cui le porte del laboratorio venivano chiuse, ma Sandy non gradiva guardarlo circondato da un simile pubblico. In ogni caso, venne salvato dalla porta del simulatore che si apriva silenziosamente. — Polly ha finito — annunciò Sandy. — A chi tocca adesso?

Polly era di pessimo umore, e l’istruttore non collaborò certo a migliorarlo. — Quando ti sei staccata dal rampino magnetico eri molto lenta e niente affatto veloce — la rimproverò. — Così facendo sprechi molta energia, quindi in seguito dovrai fare molto meglio e non peggio.

— A me è sembrato abbastanza veloce — borbottò Polly. — Ma se credi che io sia andata male e non sufficientemente bene, perché non proviamo con qualcun altro? Obie! Vieni a provare tu, così si farà un’idea di che cosa sia realmente un cattivo pilota!

Per sua sfortuna, Obie si comportò più o meno come aveva previsto Polly. Quando uscì dal simulatore di volo, si stava trascinando mestamente dietro la coda. — Molto male e niente affatto bene — sentenziò l’istruttore. — Hai distrutto la nave. Non hai affatto onorato la tua coorte. — Così, mentre Chiappa, che era il prossimo a provare, si accomodava sul sedile ancora caldo e sistemava le cinture di sicurezza, Obie dovette rimanere in silenzio a sorbirsi una lunga predica sul modo in cui aveva trascurato di dispiegare i deflettori, sull’errore di calcolo che aveva compiuto nello stabilire l’angolazione di approccio sul polo terrestre, e infine sull’eccessiva velocità di decelerazione che aveva tenuto nel corso dell’atterraggio.

Non appena la predica fu terminata, Obie si avvicinò a Sandy. — Andiamocene di qui — borbottò in tono cupo.

Sandy non aveva nulla in contrario. — Dove andiamo? — domandò.

— Da qualunque parte — rispose Obie ancora piuttosto abbattuto. — Senti, ormai siamo fuori dalla nostra sezione, giusto?

— Certo che lo siamo.

— Allora perché non ne approfittiamo? Dato che siamo fuori, potremmo dare un’occhiata in giro.

— Dare un’occhiata dove? — domandò Sandy eccitato e già completamente convinto.

— In qualunque posto in cui non siamo stati ultimamente — disse Obie, intendendo chiaramente qualsiasi luogo al quale fosse loro negato l’accesso.

— Non so se possiamo farlo — fece notare Sandy pensieroso. Non si trattava di un’obiezione, ma semplicemente di un modo per mettere in evidenza i fatti, e Obie lo prese come tale. Non rispose nemmeno, limitandosi a fare strada fuori dalla sala del simulatore. Una volta nel corridoio, i due si fermarono per guardarsi attorno.

— Potremmo andare a dare un’occhiata alle cose che stanno costruendo per farcele portare sulla Terra — propose Sandy.

— No, aspetta un attimo! — esclamò Obie. — Magari possiamo anche andare lì più tardi, ma prima voglio vedere se hanno prodotto qualche nuovo essere strano nel Laboratorio di Genetica! Andiamo!

Non si trattava esattamente di ciò che Sandy aveva avuto in mente. Il Laboratorio di Genetica era un luogo pieno di alambicchi e puzze strane, e di solito lui non ci andava mai. Tuttavia, mentre tentava di spiegarlo a Obie erano ormai sulla strada, e comunque fosse Obie stentava a capire le sue ragioni. — Non ho capito bene perché non ti piace quel posto, Sandy — disse.

— Te l’ho appena detto — ribatté Sandy. — C’è mia madre lì dentro.

— Oh, Sandy — lo rimproverò Obie contraendo i pollici in un gesto di disaccordo. — Non si tratta veramente di tua madre, e questa cosa la sai benissimo anche tu.

In effetti, Sandy lo sapeva. Gli hakh’hli non avevano fatto altro che prendere dal cadavere di sua madre qualche microorganismo e qualche campione di cellula, e in effetti anche se questi erano ancora in vita sotto forma di colture, si trattava semplicemente di scienza.

Tuttavia, Sandy non riusciva a vedere la cosa in modo tanto distaccato. Per lui non si trattava affatto di semplici colture, bensì di sua madre; anche se non era viva, non si poteva nemmeno dire che fosse del tutto morta.

— Davvero, Sandy — continuò Obie. — I campioni che ci sono lì dentro non sono lei. Sono solo colture. Il resto del suo corpo è stato dato in pasto ai titch’hik da tempo ormai.

Sandy trasalì. Il pensiero che il corpo di sua madre fosse stato divorato gli dava ancora più fastidio dell’idea che alcune sue parti fossero state conservate. Non erano tanto i metodi di “sepoltura” degli hakh’hli che lo disturbavano. Fin dalla più tenera età, era sempre stato consapevole del fatto che il destino finale di tutti gli esseri viventi della nave era quello di essere gettati nelle vasche di quelle bestie, per certi versi simili alle stelle marine della Terra, chiamate titch’hik. I titch’hik erano in grado di consumare rapidamente qualsiasi tipo di carne, lasciando solo le ossa, e quando erano cresciuti a sufficienza venivano dati in pasto a loro volta agli animali da macello, gli hoo’hik, per i quali rappresentavano un’ottima fonte di proteine. In quanto alle ossa rimaste, queste venivano triturate e usate come sostanze nutritive per le piante commestibili e per fornire un ulteriore apporto di calcio alla dieta degli hoo’hik. Nulla veniva sprecato sulla grande nave. Tuttavia, quando si trattava di tua madre… be’, le cose erano un po’ diverse. Soprattutto quando sapevi benissimo che da qualche parte nel Laboratorio di Genetica vi erano delle provette con colture del suo stesso corpo, che venivano tenute a portata di mano per fare esperimenti genetici.

Obie si fermò a metà della rampa a spirale che portava al livello del laboratorio. — Dici sul serio? — domandò.

— Sì. Dico sul serio.

— Ma è un atteggiamento sciocco! Nel caso che tu non lo sapessi, là dentro hanno anche un sacco di miei antenati.

— Non è possibile — ribatté Sandy con tono solenne — altrimenti tu non saresti nemmeno qui.

— Voglio dire, provenienti dalla stesso lotto di uova. E non ci sono dubbi sul fatto che là dentro ci siano figli miei, lo sai? Anche senza contare quelli fatti con la Quarta Grande Anziana — concluse con un impeto di orgoglio apparentemente casuale.

— Non è la stessa cosa.

— Sì che è la stessa cosa — ribatté Obie irritato. — Allora, vieni con me o no?

Sandy scrollò le spalle e lo seguì, sebbene fosse ancora riluttante. Tuttavia, venne risparmiato. Infatti, davanti alla porta del Laboratorio di Genetica incontrarono un Anziano, che disse loro con aria severa che innanzitutto non vi erano nuovi organismi interessanti prodotti dal laboratorio da vedere in quel momento, dato che il laboratorio stava preparandosi per studiare geneticamente le nuove creature della Terra, cosa che loro avrebbero dovuto già sapere. Come avrebbero potuto produrre piante, hoo’hik o titch’hik più strani del solito o più efficienti in un simile momento? In secondo luogo, proseguì, non vi era proprio alcun motivo per il quale loro dovessero trovarsi lì in quel momento.

I due batterono in ritirata in tutta fretta. — E va be’ — disse Obie con un sospiro. — Tanto tu non volevi andarci comunque. Ma lo so io dove andiamo! Andiamo a vedere che cosa stanno facendo per noi!

Nelle sale dei laboratori di produzione faceva molto caldo, e non solo perché si trovavano nella sezione che era stata lasciata riscaldare durante il passaggio in prossimità del Sole. Qui si producevano oggetti, e di conseguenza vi erano diversi forni e fornaci per produrli.

Sandy era letteralmente affascinato. Nella prima sala vi erano due vecchi hakh’hli che lavoravano a un miscelatore di plastiche, con il quale venivano prodotti tessuti di vari colori e spessori. — Questi sono per te — disse con orgoglio il più anziano dei due. — Queste saranno calze, queste mutande, e questa è una “cravatta”. Ma se volete vedere qualcosa di realmente interessante, andate nella prossima sala.

La sala successiva era realmente interessante, come promesso, ma era ancora più calda di quella in cui venivano prodotti i tessuti. Parte del calore proveniva da una fornace, dove un Anziano verificava il lavoro di due tecnici che stavano maneggiando con estrema cautela un crogiolo. Lo inclinarono lentamente, facendo cadere in un ampio recipiente una fila di piccole gocce arancioni luccicanti. Sandy non riusciva a vedere l’interno del recipiente, ma non appena caddero le prime gocce sentì un violento sfrigolio.

Poi l’Anziano infilò una mano nel recipiente (Sandy sbatté le palpebre, ma evidentemente all’interno del largo cilindro doveva esserci dell’acqua, ancora fredda nonostante le gocce di liquido bollente che vi erano state versate) e ne tirò fuori un paio di sassolini irregolari di metallo giallastro. Se li passò da una mano all’altra emettendo un sibilo di fastidio per la loro temperatura, quindi ne porse uno a Sandy. — Oro — gli disse con orgoglio, usando parole inglesi. — È per te. Lo potrai fcambiare per comprare cofe.

— Sì, per comprare — ripeté Sandy annuendo con entusiasmo. Quante lezioni avevano dovuto sopportare sul “comprare”, lo “spendere” e il “pagare”! La pietruzza d’oro ustionò quasi la mano di Sandy, ma dato che si trattava di una cosa terrestre la tenne ugualmente, rimirandola con una certa riverenza.

— Secondo me comprare è una cosa molto sciocca — intervenne Obie mentre osservava a sua volta con curiosità una pietruzza di quel metallo giallo. Poi alzò lo sguardo, e il viso gli si illuminò per la sorpresa. — Teseo! — esclamò. — Non mi aspettavo di vederti qui!

Evidentemente, nemmeno il giovane hakh’hli si era aspettato di incontrarli lì. Teseo faceva parte delle tre o quattro dozzine di hakh’hli con i quali erano cresciuti, prima che venissero separati quando era stata decisa la composizione definitiva della Coorte Missione Terra.

A quel punto fu anche evidente che l’Anziano non gradiva affatto che loro avessero incontrato Teseo. Si scusò e si portò accanto a uno schermo per le comunicazioni.

— Voi due non dovreste trovarvi qui — disse Teseo con tono asciutto.

— E perché no?

— Perché questi sono gli ordini, ecco perché!

— Questo non è un buon motivo — ribatté Obie con testardaggine. — Ci hanno solo ordinato di rimanere nella nostra sezione, tutto qui. Poi ci hanno ordinato di uscire per andare da qualche parte, e nessuno ha mai detto che non potevamo farci un giro. Tu piuttosto, che cosa ci fai qui?

— Sono venuto per prendere delle cose — rispose Teseo. — Ma ti assicuro che dovrai mandare giù la tua stessa saliva se ti trovano qui.

— E perché mai? Quale grande segreto ci sarebbe qui?

— Non è permesso parlarne — ribatté Teseo seccamente. I due si fissarono in cagnesco, a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro.

Lisandro sapeva bene che non era mai il caso di mettersi in mezzo fra due hakh’hli che stavano per affrontarsi fisicamente, solo che in questo caso si trattava di suoi amici. Obie almeno era certamente suo amico, su questo non aveva dubbi, e in quanto a Teseo era stato quantomeno un suo compagno, prima che il loro gruppo venisse separato dagli altri. Aprì la bocca per tentare di farli ragionare.

Ma non fu necessario. Lo scontro venne fermato sul nascere da una voce gracchiante che proveniva dallo schermo. — John William Washington! HoCeth’ik ti’Koli-kak! — Si trattava della voce di MyThara, e il solo fatto che si fosse rivolta a loro chiamandoli con i loro nomi formali lasciava intendere in che tipo di guai si fossero cacciati. Sandy rivolse un’occhiata di fuoco all’Anziano che aveva fatto la spia, ma non ebbe il tempo per dire alcunché. — Quando l’Anziano ha chiamato non ho voluto crederci, ma invece è proprio vero! — continuò MyThara. — Vi trovate in un luogo dove non dovrefte affolutamente effere! Lifandro, fatti trovare immediatamente nella voftra fezione dormitorio! E in quanto a te, Oberon, torna immediatamente alla fala del fimulatore con i tuoi compagni!

Quando MyThara giunse alla sezione dormitorio della coorte, (vi arrivò ben dopo Lisandro, poiché zoppicava ancora vistosamente) trovò Sandy nel suo angolo di studio che osservava la fotografia di sua madre. Ma non si trattava solo di un semplice stratagemma da parte di Sandy per impietosirla. Quando si trovava in una situazione problematica, infatti, Lisandro provava sempre un certo conforto nel guardare l’unico ricordo che avesse della donna che gli aveva dato la vita. Tuttavia, vi era anche una parte di malizia in quel suo gesto, poiché aveva imparato ormai da molto tempo che l’ira di MyThara per qualsiasi tipo di trasgressione da parte sua poteva essere notevolmente placata se riusciva a farla impietosire almeno un poco.

— Non ferve a nulla, Lifandro — esordì MyThara severamente. — Oggi fei ftato molto cattivo!

— Lo so, MyThara — rispose Sandy in tono pentito. — MyThara? — aggiunse però subito dopo. — Perché ho solo questa fotografia di mia madre?

La tutrice gli rivolse un sibilo di rimprovero, ma Sandy si rese subito conto che aveva abboccato al suo amo. — I coftumi degli hakh’hli non prevedono che le perfone fi tengano fotografie di altre perfone morte — gli ricordò.

— Ma io non sono un hakh’hli!

— Certo che no — disse MyThara comprensiva più che irata. — Infomma, non abbiamo potuto fare di meglio. L’abbiamo trovata nel “portafoglio” di tuo padre. È molto fomigliante, fai?

— Perché, tu hai avuto modo di vederla? — domandò subito Sandy con curiosità.

— Ma certo — rispose MyThara in tono cordiale. — Era molto bella. Per un terreftre, naturalmente. Credo che tu le affomigli abbaftanza.

Sandy le rivolse un’occhiata carica di scetticismo. — Che cosa intendi dire? Lei è così magra, mentre io sono grasso!

— Tu non fei graffo, Lifandro. È folo mufcolo.

— Ma guarda la differenza che c’è fra me e lei!

— Certo che vi è una differenza. La differenza è che tu fei cresciuto qui fulla noftra nave, e la gravità terreftre corrisponde a foli otto dodicesimi della noftra. Fe tua madre foffe crefiuta anche lei fulla nave, farebbe ftata fenz’altro molto più groffa.

— Certo — disse Sandy assumendo un’aria seria. — Capisco perfettamente, ma…

A quel punto MyThara perse la pazienza. — Fandy! — sbottò. — Non credere che non mi fia refa conto di ciò che ftai tentando di fare!

— Scusami? — domandò Sandy lanciandole uno sguardo innocente.

La vecchia tutrice arricciò il naso, dispiaciuta. Sembrava stanca e delusa. — Oh, Lifandro — disse con voce triste. — Come hai potuto?

— Mi chiamo Lisandro — ribatté Sandy, solo per ferire i sentimenti di MyThara.

— Fcuvami — disse MyThara con rabbia, sforzandosi per far uscire il suono giusto. — Voglio dire, scusami. Sono piuttosto stanca, caro Lisandro, ma sono anche molto delusa. Posso raccontarti una ft… una storia?

— Non vedo proprio come potrei impedirtelo — rispose Sandy.

MyThara gli rivolse uno sguardo triste, ma cominciò comunque la sua storia. — Una volta, tanto tempo fa, quando avevo ancora solo metà coda, fuggì una regina di ape-falco. Quefta regina riuffì a nafconderfi fra le pareti e a deporre le fue uova, e cofì fece un fuo nido nella nave del quale neffuno fapeva nulla. — Stava nuovamente iniziando a sbagliare la esse, ma Sandy non ebbe il cuore di farglielo notare. — Pofò anche un uovo di regina, e quando quefto fi fchiuse la nuova regina volò via e fece naffere un altro nido, fempre all’infaputa di tutti. Neffuno fapeva niente di quefti nidi, ma tutti ftavano inifiando a lamentarfi per la prefenza di tutte quelle api. Da dove vengono tutte quefte api-falco? fi chiedevano. E come fanno a fopravvivere, vifto che non ci fono infetti qui?

Si concesse una pausa, assumendo un’espressione particolarmente intensa.

— Poi, un bel giorno, il pilota della nave voleva fare una correzione di rotta. Inferì il comando nell’apparecchiatura di controllo centrale… e quefta non rifpose! La nave non cambiò rotta!

— Caspita — commentò Lisandro.

La tutrice agitò la lingua con fare solenne. — Cafpita veramente — disse. — Naturalmente, a quel punto è entrato in azione il fiftema aufiliario, e il cambiamento di rotta è ftato comunque effettuato. Ma quando i tecnici fono andati a controllare l’apparecchiatura centrale, hanno fcoperto che vi era dentro un nido di api-falco! Il nido aveva caufato un corto circuito. A quel punto, Fandy, non ti immagini neanche quanto abbiamo dovuto faticare, per diverfi dodigiorni, a controllare ogni palmo dei condotti di ventilazione, oltre a tutti i paffaggi! Fummo coftretti a lavorare tutti quanti per un dodicesimo in più ogni giorno finché non abbiamo ripulito tutto ed eliminato anche l’ultimo dei nidi delle api-falco. Capifci la morale di quefta ftoria?

— Certo — disse Sandy prontamente. — O forse no. Non esattamente. Qual è?

Prima di parlare, MyThara toccò il braccio di Sandy con la punta della lingua. — La morale — disse — è che anche le cofe buone poffono danneggiare fe vengono fatte in fegreto. Capisci che cofa intendo?

— Certo — disse Lisandro, sicuro del fatto che glielo avrebbe comunque spiegato.

— Certo che lo fai — sottolineò la tutrice. — La morale è che non devi mai nafcondere un fegreto ai tuoi fuperiori.

Sandy rifletté per un attimo su quest’ultima frase. — Loro però nascondono dei segreti a noi — obiettò. — Non ci hanno mai detto per quale motivo non possiamo più vedere Teseo e gli altri.

— Ma è molto diverfo, non trovi, Lifandro? Voi non avete bifogno di fapere certe cofe. Adeffo almeno non ne avete bifogno, e fe un giorno ne avrete bifogno vi verrà fenz’altro detto. Gli Anziani invece devono fapere tutto, perché alla fine fono loro quelli che devono prendere le decifioni. Non è forfè vero, Lifandro?

— Certo — rispose Lisandro. — Io non prendo mai nessuna decisione. — Tuttavia, non gli sarebbe poi dispiaciuto prenderne qualcuna, almeno ogni tanto.

— Bene — disse infine MyThara. — Allora, quando io non ci farò più, fpero che ti ricorderai ciò che ti ho infegnato.

— Certo che ricorderò — replicò lui, poi si rese improvvisamente conto di quanto gli era stato appena detto. Le rivolse uno sguardo a metà fra l’arrabbiato e l’allarmato. — Che cosa intendi quando dici che non ci sarai più? — le domandò con tono serio.

MyThara mosse un poco la mascella nell’equivalente di una scrollata di spalle umana. — I tecnici del Laboratorio Genetico mi hanno appena riferito che la mia ultima partita di uova era quafi tutta fterile. Ho ricevuto l’ordine di prefentarmi a un’efame di idoneità fifica.

Lisandro rimase sconvolto. — MyThara! — esclamò. — Non possono farti una cosa del genere!

— Certo che poffono, Lifandro — disse la hakh’hli con calma. — E temo anche che non pafferò l’efame, mio caro, e quefto fignifica che andrò a finire nella vafca dei titch’hik.

E naturalmente era proprio così: potevano farlo. Quella sera, quando Lisandro si accucciò per dormire assieme ai suoi compagni di coorte, i suoi pensieri non si concentrarono come al solito sull’imminente sbarco sulla Terra o sulle femmine terrestri succintamente vestite. Al contrario, i suoi pensieri erano molto tristi. MyThara aveva sempre fatto parte della sua vita, e non gli piaceva affatto l’idea che venisse terminata.

Ora l’avventura non gli sembrava proprio più così divertente.

5

La grande astronave hakh’hli è alimentata da tre propulsori principali. Ognuno di questi propulsori è in grado di spingere la nave attraverso lo spazio a 1,4 g. Tuttavia, per una questione di semplice prudenza da parte degli ingegneri, ciò avviene assai raramente. In condizioni normali, la nave si sposta grazie all’apporto di due di questi propulsori usati al 50 per cento delle loro possibilità. Il terzo propulsore rimane quindi disponibile per i lavori di manutenzione o per eventuali, anche se rarissime, riparazioni. Il vantaggio fondamentale dei propulsori a materia anomala è che non esauriscono mai il loro carburante. Il problema casomai è l’opposto. La materia anomala, infatti, tende a riprodursi. Quando si introduce una molecola di materia normale all’interno di una massa di materia anomala, questa materia si converte, diventando anomala a sua volta. Questo però non significa che se si lascia cadere una goccia di materia anomala sulla superficie del pianeta Terra tutto il pianeta si trasformerà in materia anomala; il processo non è così semplice. La materia anomala infatti tende inevitabilmente a respingere la materia ordinaria. Per superare la forza di questa naturale repulsione, le particelle di materia ordinaria devono essere letteralmente sparate dentro la materia anomala con grande energia. Nei motori dell’astronave hakh’hli, questo processo avviene spontaneamente, e di conseguenza più strada la nave percorre, più “carburante” accumula. I blocchi di materia anomala che si trovano all’interno dei propulsori della nave hanno ora una massa superiore di sei volte rispetto alla loro massa iniziale. E dato che ora pesano così tanto, ne consegue inevitabilmente che vi è molta più massa da accelerare e da decelerare. Questo naturalmente significa che vi è bisogno di un quantitativo di energia maggiore per farlo, e di conseguenza i blocchi di carburante diventano sempre più grandi con un tasso di crescita sempre maggiore. Gli hakh’hli non devono fare altro che alimentarli con materia ordinaria, che è disponibile in quantità letteralmente infinita in tutto l’universo. Ogni volta che la nave si ferma, i tecnici hakh’hli si occupano di estrarre da asteroidi, nubi gassose o venti stellari la materia necessaria, ogni singola particella della quale viene ad aggiungersi alla massa della nave. Gli hakh‘hli sono consapevoli ormai da secoli del fatto che prima o poi dovranno pensare di liberarsi di almeno una parte di quella massa in più… solo che allo stesso tempo quella massa ha un grande valore per loro. Come un avaro che si aggrappa al suo lingotto d’oro mentre sta annegando, anche loro devono rimanere aggrappati alla loro massa. Solo che non possono continuare a farlo ancora per molto tempo.

Il mattino seguente, quando i membri della coorte di Sandy si riunirono per prepararsi al turno di lavoro, percepirono due lievi mutamenti del loro senso dell’orientamento, come se il pavimento si fosse spostato leggermente. Naturalmente, si trattava di piccole correzioni di rotta effettuate dai navigatori; la grande nave stava lentamente decelerando, ed entro breve sarebbe giunta alla sua orbita di parcheggio attorno al pianeta Terra. La meta del loro lungo viaggio era ormai prossima, e tutti i componenti della coorte sembravano piuttosto emozionati. Tutti meno Sandy.

E il loro Tutore Primario ChinTekki-tho, quando finalmente apparve, non poté fare a meno di rendersene subito conto. — Che cosa gli è successo? — domandò indicando Sandy.

Anche gli altri componenti della coorte non avevano mancato di notare il pessimo umore del loro compagno umano. — È per via di MyThara — spiegò Obie. — Deve fare il suo esame di idoneità fisica.

— Sandy non vuole che venga terminata — aggiunse Elena.

— Vuole che rimanga in vita perché le vuole più bene che a tutti noi — concluse in maniera sprezzante Polly.

ChinTekki-tho si leccò le labbra in un gesto di disapprovazione. — Volersi bene a vicenda è una buona cosa — disse rivolto a Sandy — ma Thara-tok sta diventando vecchia. Ha già passato i diciotto-dodici di dodici dodi-giorni da tempo — (più o meno l’equivalente di 50 anni terrestri) — e di conseguenza deve essere esaminata ogni dodici dodigiorni. Questa è la regola, Lisandro.

— Lo so — rispose Sandy cupo.

— Senza contare che potrebbe benissimo passare — aggiunse ChinTekki-tho. — Io stesso ho passato finora ben cinque esami di idoneità, e molti hakh’hli arrivano persino a passarne otto o nove. Guardate i Grandi Anziani, per esempio…

— I Grandi Anziani passano sempre — intervenne Tania.

— Non sempre — la corresse ChinTekki-tho. — Di solito passano, perché dopotutto sono Grandi Anziani, ma non c’è niente di strano.

— MyThara non crede che lo passerà — disse Sandy.

— E se lo dice lei…

Il Tutore Primario inclinò leggermente il capo. — Be’, se deve essere così, Sandy, non ci si può fare nulla. Non vi è alcun motivo per rattristarsi. Accade a tutti noi, prima o poi, altrimenti la nostra nave sarebbe piena all’inverosimile e nessuno avrebbe la possibilità di sopravvivere. E se non lasciamo che se ne vadano i più vecchi e i più deboli, come potremmo mai tirare fuori altre uova dai congelatori per dare inizio a nuove vite?

— Fra l’altro, noi non esisteremmo nemmeno — intervenne Polly. — Possibile che tu non riesca mai a ragionare, Sandy?

Il Tutore Primario fu costretto a rimproverarla. — Certo che riesce a ragionare. Sandy è un essere intelligente a tutti gli effetti, anche se non è hakh’hli. E per questo sa anche che MyThara-tok ha moltissime uova nel congelatore, che prima o poi verrà concesso il permesso di schiudere alcune di quelle uova, e che allora lei vivrà di nuovo nella sua progenie. E sa anche che queste decisioni sono state prese dai Grandi Anziani. E tu non metti in dubbio le decisioni dei Grandi Anziani, vero Lisandro?

Lisandro trasalì. — Oh, no, certo che no! Solo che… — Si morse il labbro. — Solo che pensavo che magari si potrebbero anche fare delle speciali eccezioni, quando si tratta di una persona particolarmente valida come lo è MyThara…

— E non ritieni che anche questa sia una decisione che spetta ai Grandi Anziani? — domandò il Tutore Primario gentilmente.

Sandy scrollò le spalle. Era stanco di quella discussione, che si stava protraendo da quando si erano svegliati. — Arriveremo in ritardo per il nostro turno di lavoro — disse, evitando la risposta.

ChinTekki-tho accettò di buon grado il cambiamento di argomento. — Bene — commentò. — In fondo è proprio per questo che sono venuto qui. Quale compito vi è stato assegnato per oggi?

— Dobbiamo occuparci degli animali da macello, ChinTekki-tho — rispose Chiappa rispettoso. — Gli hoo’hik stanno figliando.

— Certo — disse il tutore con aria pensierosa. — Be’, temo che il mandriano dovrà rimanere un po’ a corto di aiuto per oggi. Ho delle nuove istruzioni per voi da parte dei Grandi Anziani.

I componenti della coorte si sollevarono leggermente sulle zampe posteriori, evidentemente interessati. ChinTekki-tho li scrutò con aria benevola. — Come ben sapete — iniziò — ieri Obie è entrato nel suo periodo di fertilità, interrompendo la nostra riunione con i Grandi Anziani.

— Lo sappiamo, lo sappiamo — intervenne Polly acida rivolgendo un’occhiataccia a Obie.

— Ebbene, i Grandi Anziani hanno pensato che se una cosa del genere dovesse accadere durante la missione, potrebbe aumentare notevolmente i rischi a essa connessi. Immaginate che cosa potrebbe accadere se Chiappa o Demetrio dovessero diventare fertili proprio nel mezzo di qualche importante trattativa con i terrestri.

Polly assunse un’espressione allarmata. — Oh, Chin-Tekki-tho! Non vorrai mica dire che hai intenzione di dare ai maschi qualcosa per evitare che entrino nel loro periodo di fertilità?

— No, no, nulla del genere — disse il tutore incrociando le zampe con fare affabile. — Anzi, sarà esattamente il contrario. I Grandi Anziani hanno deciso di accelerare il processo e di fare entrare i maschi nel loro periodo subito, così non vi saranno problemi in seguito. In questo modo, trascorreranno almeno sei o dodici dodigiorni prima che il problema si ripresenti.

— Davvero? — esclamò Chiappa. — Vuoi dire che avremo la possibilità di farlo adesso?

L’intera coorte iniziò subito a gioire, ma Polly interruppe i festeggiamenti con una considerazione. — Ma Obie è appena uscito dal suo periodo!

— Certo — assentì ChinTekki-tho. — Naturalmente, lui sarà esentato dal farlo di nuovo. Probabilmente fornirebbe a una di voi un numero ridotto di cellule spermatiche, e immagino che nessuna di voi voglia deporre uova sterili. Oberon sarà esentato per oggi.

Obie assunse un’espressione abbattuta, ma neanche le femmine del gruppo parvero particolarmente felici di quest’ultima informazione. — Ma allora ci saranno solo due maschi, e noi siamo tre… — protestò Tania con apprensione.

— Abbiamo pensato anche a questo — disse il Tutore Primario con tono indulgente. — La soluzione è che anche io accetterò una puntura assieme a voi, così non mancherà il terzo maschio.

— E io? — domandò Obie fra le grida di esultanza delle femmine.

— Naturalmente, tu e Lisandro vi dedicherete al vostro normale turno di lavoro. Lisandro, ti faccio presente che quando una persona si sente abbattuta per qualsiasi motivo, il lavoro con gli animali può risultare molto consolante. Quando ero un cheth, provavo un grande conforto nell’occuparmi delle bestie.

Se il Laboratorio di Genetica era un luogo pieno di strani odori, le stalle degli hoo’hik erano qualcosa di realmente disgustoso. Sandy non provò alcun tipo di conforto recandovisi. Tanto più che per arrivare alle stalle bisognava per forza passare attraverso le vasche coperte piene di quegli esseri schifosi, copulanti e divoranti che erano i titch’hik, e questo per Sandy non solo non era confortante, ma era addirittura quasi insostenibile. (Che cosa stavano divorando in quel momento? O meglio, chi? E che cosa avrebbero divorato da lì a pochi giorni?) Sandy alzò lo sguardo, e in quel momento vide una squadra di operai hakh’hli che calava rispettosamente il cadavere di qualche loro compagno in una delle vasche.

Sandy rabbrividì. L’unica cosa confortante era che almeno quel giorno lui e Obie non erano costretti a lavorare con le ossa o con i titch’hik. Non erano nemmeno costretti a imbrattarsi tutti nelle stalle degli hoo’hik; quattro femmine di quei placidi animali avevano figliato proprio negli scorsi giorni, e il compito assegnato alla sua coorte per quel turno di lavoro consisteva solamente nel siringare il midollo spinale dei cuccioli appena nati.

— Tu — disse la mandriana rivolgendosi a Lisandro con un sorriso — va’ a prendere i cuccioli. No, non ti preoccupare — aggiunse con gentilezza. — Le madri non ti faranno niente. Basta che lasci che ti annusino.

Da’ loro qualche carezza magari, e non farle innervosire. Poi portami qui i cuccioli uno per volta.

Lisandro scrutò all’interno della stalla più prossima. Si era già occupato di quel compito in passato, ma non si sentiva ancora del tutto sicuro di ciò che lui doveva fare.

La femmina hoo’hik non mostrò alcun timore quando lo vide entrare nella stalla, limitandosi a rivolgergli uno sguardo incuriosito mentre stringeva a sé con fare protettivo due dei suoi cuccioli con le zampe anteriori. I due succhiavano dalle mammelle con estremo vigore.

— Non metterci un dodicesimo di giorno intero — disse la mandriana con tono irritato.

— Quale prendo per primo? — domandò Lisandro.

— Uno qualunque! E sbrigati, per favore. Ne abbiamo 40 da fare, e poi c’è l’allattamento…

Lisandro inspirò profondamente e infilò una mano sotto il petto della femmina hoo’hik, dove si agitavano ciecamente una mezza dozzina di cuccioli in attesa del loro turno. Ne prese uno a caso, un cosino miagolante delle dimensioni della sua testa che si agitava emettendo preoccupati guaiti fra le sue mani. Trasportò l’animaletto dalla mandriana. — Giralo — ordinò questa mentre prendeva in mano una siringa con un lungo ago. Il manico della siringa era anatomico, e sopra il manico vi erano un quadrante e un pulsante. La mandriana controllò il quadrante, quindi attese pazientemente che Lisandro immobilizzasse la piccola bestia. A quel punto afferrò la testa dell’animale con una mano, tenendola con forza ma senza stringere troppo, e cercò con l’ago il punto giusto alla base del cranio, proprio dove iniziava il collo.

— Avete visto il film terrestre che hanno proiettato ieri sera? — domandò, chiacchierando mentre continuava a lavorare. Sandy scosse il capo, sperando che la mandriana la facesse finita alla svelta. — Si chiamava Quell’ultimo ponte, e parlava di persone in guerra e non in pace. Oh, Lisandro, mi raccomando, sii molto cauto quando vai su quel pianeta…

La mandriana emise un grugnito di soddisfazione. — Ecco fatto — disse. Quando premette finalmente il pulsante della siringa, si udì un bip quasi impercettibile. Il cucciolo si irrigidì tutto emettendo un piccolo guaito, poi si rilassò.

— Va’ a prenderne un altro ora — ordinò la mandriana.

Lisandro era di pessimo umore, e il fatto che Obie, che si alternava con lui a prendere i cuccioli, fosse a sua volta depresso non aiutava di certo a migliorare il suo stato d’animo. Naturalmente, i due avevano motivi completamente diversi per essere abbattuti. Obie non faceva altro che pensare a quanto stava avvenendo in quel momento nella loro sezione dormitorio, mentre Lisandro non faceva altro che pensare a MyThara-tok.

Malgrado ciò, Lisandro non poté fare a meno di trovare molto carini i cuccioli, che fra l’altro non sembravano soffrire assolutamente delle iniezioni praticate nel loro midollo spinale dalla mandriana. Quando li riportava dalla madre dopo l’iniezione, erano molto affettuosi con lui, e venivano accettati apparentemente di buon grado dalla stessa madre. Questi hoo’hik in particolare, notò Sandy, erano decisamente più piccoli e chiari di manto rispetto agli altri hoo’hik con i quali aveva avuto modo di lavorare in passato. Quelli del Laboratorio di Genetica si preoccupavano sempre di cambiare un poco la stirpe, introducendo variazioni di sapore e di consistenza della carne in continuazione, ma le bestie mantenevano sempre il loro atteggiamento fiducioso e sottomesso, fino al giorno in cui arrivavano a leccare le dita dei loro stessi carnefici.

Persino Obie sembrava incantato dai cuccioli. Mentre ne riportava uno da sua madre, gli infilò un pollice in bocca ed emise una risatina quando questi prese a succhiarlo con convinzione. Quando ebbero finito con i 40 cuccioli, era già passato il primo dodicesimo di giorno. Quando Sandy si unì a Obie per il latte con biscotti, il suo compagno di coorte stava lacrimando per la felicita, canticchiando con l’onnipresente musica, i suoi guai completamente dimenticati.

Lisandro invece era ancora piuttosto preoccupato, tanto che rifiutò i wafer che gli vennero offerti. — Mangia, Sandy — gli disse Obie con gentilezza. — Non sarai ancora triste per MyThara?

— No, è solo che non ho fame.

— Non è vero, sei ancora triste — diagnosticò Obie. — E dire che il nostro Tutore Primario ti ha spiegato tutto stamattina.

— Lo so.

Obie annuì in silenzio, ascoltando con aria assente la musica di sottofondo. Si trattava di musica hakh’hli, decisamente diversa dai motivi terrestri diffusi nel loro settore. La musica terrestre era ritmica e ballabile; che si trattasse di un valzer, di una polka o di una marcia, era sempre musica legata a dei precisi movimenti dei piedi. Gli hakh’hli invece non avevano nulla di simile ai piedi umani, e quindi la loro musica era completamente diversa, proprio per una questione anatomica. A quel punto a Obie venne di nuovo in mente il motivo della sua precedente afflizione. — E in ogni modo, come credi che mi senta io? — sbottò improvvisamente. — Nella nostra sezione dormitorio sono tutti occupati con la loro anfilassi, e io invece sono qui con te in questo buco!

— Tu l’hai fatta ieri — osservò Sandy. — Ah, scusami se sono così, Obie. È solo che non mi piace molto questo lavoro di siringare il midollo dei cuccioli.

— Perché, cosa c’è che non va? Tanto più che lo hai già fatto altre volte.

— Non mi è piaciuto molto nemmeno allora — confessò Lisandro.

— Ma dobbiamo siringarli — disse Obie con tono ragionevole. — È per il loro bene, lo sai no? Così non diventano troppo furbi.

Lisandro sbatté le palpebre. — Cosa intendi con “troppo furbi”?

— Oh, troppo furbi — fu la risposta vaga di Obie. — Riesci a immaginarti come sarebbe terribile per loro se crescessero con… sai, con una specie di intelligenza rudimentale? Voglio dire, se si rendessero conto di essere vivi solo per essere uccisi e mangiati?

— Non possono essere così furbi!

— Dopo la siringata, no di sicuro — disse Obie convinto.

— Ma… Ma… Uccidere delle creature intelligenti è sbagliato, non è così?

— Ma loro non sono intelligenti. È proprio per questo che siringhiamo il loro midollo spinale.

— Però lo sarebbero, se non li siringassimo. Deve pur esserci un modo migliore! Quelli del Laboratorio di Genetica non possono semplicemente fare in modo che non siano intelligenti punto e basta?

— Oh, Lisandro — disse Obie con un sospiro. — Credi forse che non ci abbiano già pensato? Ci provano in continuazione, ma rovina inevitabilmente il sapore della carne!

Quando, ormai esausti, fecero ritorno alla loro sezione, era quasi l’ora del pasto di mezzogiorno. Gli altri membri della coorte erano impegnati in una partita apparentemente durissima di ciò che secondo loro doveva essere football americano. — Com’è andata? — domandò subito Obie con evidente invidia.

— Oof — disse Tania mentre Polly le piombava violentemente addosso, facendole cadere la “palla” di stracci. — Oh, è andata benissimo, Obie. Immagina, mi sono accoppiata con ChinTekki-tho! Non avevo mai visto così tante uova in vita mia!

— Scommetto che quelle che ho visto io ieri erano molte di più — ribatté Obie. Ma era inutile serbare rancore per una cosa del genere. Obie si accucciò sulle sue possenti zampe posteriori per caricarsi, quindi si lanciò con un lungo balzo in direzione di Polly, che stava cercando di scappare con la palla stretta fra le braccia.

— Vuoi entrare nel gioco, Sandy? — domandò Elena mentre rincorreva a sua volta la palla.

Sandy scosse il capo. — No, grazie — rispose. Nessuno si sorprese più di tanto, poiché sapevano tutti benissimo che Sandy non era molto adatto agli sport di contatto degli hakh’hli; soprattutto quando avevano luogo prima del pasto di mezzogiorno, un momento in cui la competitività dei giocatori veniva ulteriormente acuita dalla fame.

Sandy si recò nel suo angolo di studio personale e si sedette. Non accese lo schermo, non aprì il suo armadietto per guardare la foto di sua madre, e non rimase nemmeno lì a sognare a occhi aperti beandosi nell’aspettativa del loro ormai prossimo atterraggio sulla Terra, con tutte le sue femmine umane e con la prospettiva quasi certa di un glorioso accoppiamento da parte sua. Si limitò a sedersi e a fissare con rabbia il vuoto attorno a sé, pensando al corpo di MyThara che veniva fatto a pezzi da un titch’hik. Nel frattempo la partita finì, il carrello del cibo arrivò, e la coorte si lanciò con avidità, gridando e sbavando, sul pasto giornaliero.

Sandy non si avvicinò nemmeno al carrello finché l’ultimo dei suoi compagni si riversò a terra, con gli occhi vuoti e spalancati, nel suo periodo di intontimento. Solo a quel punto Sandy emise un sospiro, si alzò in piedi e si avvicinò per vedere che cosa era avanzato.

In verità c’era ancora parecchia roba. L’arrosto che costituiva la pietanza principale era stato letteralmente squartato, ma vi erano diversi bocconi di dimensioni adatte per un essere umano sparsi in giro.

Sandy prese un pezzo di carne e fece per infilarselo in bocca, ma poi si fermò improvvisamente per guardarlo.

Si trattava di un arrosto di hoo’hik giovane, di quello più tenero, fatto con la carne dei cuccioli.

Sandy ebbe un attimo di esitazione. Poi però mandò giù il boccone, lo masticò e, continuando a masticare, tornò al suo angolo personale dove accese lo schermo e si guardò un film musicale terrestre pieno di ragazze terrestri in abiti succinti.

6

Il modulo di atterraggio che porterà la Coorte Missione Terra fino alla superficie del pianeta ha una lunghezza di 45 metri e assomiglia molto a un aeroplanino di carta. È dotato di ali retrattili ad apertura variabile. Quando sarà nell’atmosfera terrestre, le sue ali potranno essere estese a seconda delle esigenze e delle condizioni di volo, allargandosi e mutando gradualmente di forma man mano che la velocità viene ridotta. I propulsori sono alimentati da alcol e perossido di idrogeno. Una volta che la navetta si troverà nell’atmosfera l’ossigeno sarà fornito dall’aria stessa, e di conseguenza il perossido di idrogeno potrà essere risparmiato per le manovre nello spazio. Questo è di notevole importanza per gli hakh’hli, poiché l’alcol e il perossido di idrogeno bruciati dalla navetta non potranno più essere processati nei sistemi di riciclaggio della nave, e di conseguenza dovranno essere recuperati da qualche fonte esterna. La maggior parte del peso della navetta è rappresentata proprio dal carburante, poiché dovrà bastare sia per il viaggio di andata sia per quello di ritorno. Grazie alla sofisticata tecnologia hakh’hli, la struttura della piccola navetta è decisamente leggera: nonostante questo, il peso totale al momento del lancio è di oltre 200 tonnellate. L’atterraggio sulla Terra è relativamente semplice, poiché la gravità di superficie del pianeta è di un solo G, mentre la navetta è stata progettata per atterrare in gravità fino a due G. All’interno vi sono otto “inginocchiatoi “ hakh‘hli; uno di questi però è stato sostituito con una “poltrona” più adatta all’anatomia di Lisandro Washington. Si tratta di una poltrona particolarmente grande, del tipo che viene normalmente riservato agli Anziani, anche se nessun Anziano accompagnerà la coorte nella sua missione. Questo particolare rende impossibile per Sandy raggiungere la plancia, ma ciò è irrilevante, dato che nessuno dei suoi compagni gli affiderebbe comunque i comandi della navetta.

Quando la Coorte Missione Terra venne finalmente mandata a ripulire la navetta per prepararla al volo, erano tutti piuttosto nervosi. Non ne avevano mai visto l’interno, e per quel che erano riusciti a vedere attraverso i boccaporti, sembrava maledettamente piccola. Inoltre, si trovava in un punto della nave decisamente scomodo per chiunque, sia hakh’hli sia umano. Quando la navetta non era in uso, ovverossia quasi sempre, rimaneva chiusa in un recesso della scocca esterna della grande astronave. Questa era la parte peggiore di tutta la faccenda, poiché, come del resto quasi tutte le sezioni più esterne della nave, anche quella era stata lasciata riscaldare quando la nave aveva compiuto la sua virata in prossimità del sole della Terra. Mentre si avvicinavano e iniziavano a sentire il calore, i componenti della coorte presero a emettere sbuffi di impazienza. — Come possono pretendere che lavoriamo lì dentro? — domandò Chiappa con tono sprezzante.

— Chiudi il becco — intervenne Polly. Si concesse una pausa per pensare a qualche commento supplementare che lo zittisse definitivamente, e infine lo trovò. — E ringrazia che non ci hanno mandati a lavorare là fuori — aggiunse.

Erano tutti disposti a ringraziare per quello. Attraverso i piccoli boccaporti di osservazione, potevano vedere la navetta, attorno alla quale stavano lavorando una decina di massicci hakh’hli-operai, di quelli generati appositamente per il lavoro all’esterno. Le tute spaziali che indossavano assomigliavano a delle sfere, perfettamente rotonde salvo per una sporgenza per la testa alla sommità e diverse braccia meccaniche che spuntavano un po’ da tutti i lati. La nave si trovava su una rotta tale da permettere loro di rimanere all’ombra del Sole, ma questo non risolveva certo i loro problemi. La scocca esterna della grande nave infatti aveva assorbito una tale quantità di calore durante il suo passaggio accanto al Sole che irradiava ancora costantemente un bagliore invisibile di radiazioni infrarosse; di sicuro gli hakh’hli che si trovavano là fuori erano letteralmente inzuppati di sudore nelle loro tute. Il lavoro che stavano compiendo non era solo faticoso ma anche pericoloso, poiché nemmeno un hakh’hli-operaio geneticamente programmato per quello scopo preciso poteva resistere troppo a lungo a quel calore. Tuttavia, si trattava di un lavoro necessario, che consisteva soprattutto nel fissare lungo tutto lo scafo della navetta una fitta rete metallica, sulla quale sarebbe stata successivamente posta una pellicola in grado di intercettare la maggior parte degli oggetti che avrebbero incontrato attraversando la fascia di relitti in orbita attorno alla Terra.

L’interno della navetta, scoprirono poco dopo, era ancora più caldo. Polly controllò con fare pignolo tutti gli indicatori di pressione, quindi premette il pulsante di apertura. Non appena lo sportello della navetta si aprì, vennero tutti sopraffatti da una terribile ondata di aria caldissima e puzzolente di alcol e decomposizione. — Oh, cacca — commentò Elena con un grugnito. — Volete dire che dobbiamo lavorare lì dentro?

Naturalmente, era proprio così. Polly ordinò a Chiappa di entrare per primo per accendere l’impianto di aerazione. Quando Chiappa riapparve davanti allo sportello ansimando per dire che l’impianto era acceso, Polly spinse dentro Demmy con un calcio. Gli altri seguirono.

Anche con l’impianto di aerazione in funzione, l’aria all’interno della navetta rimaneva quasi irrespirabile. L’odore di chiuso e di putrefazione era realmente fortissimo. Del resto, non vi era nulla di strano in questo, dato che il modulo di atterraggio non era stato usato né nel sistema Alfa Centauri né nel corso della precedente visita al sistema solare della Terra. Ad Alfa Centauri non era stato usato perché non era stato trovato alcun luogo in cui atterrare, e nel sistema Sol non era stato usato perché i Grandi Anziani avevano sentito puzza di bruciato, tanto da portarli a decidere di dare alla Terra qualche anno in più per calmare i suoi bollenti spiriti.

Chiunque fossero stati gli ultimi a usare la navetta, non si era certamente trattato di persone particolarmente ordinate. Tre dei sedili erano pieni di macchie e incrostazioni, e nelle dispense vi erano pezzi di materia decomposta che una volta doveva essere stata cibo. — Maiali — dichiarò Sandy tappandosi il naso. — Vorrei averli sottomano per dir loro un paio di cosette!

— Non contarci — replicò Chiappa. — Chiunque fossero, sono stati dati in pasto ai titch’kik ormai da secoli. Non effettuiamo un atterraggio su un pianeta da… quanto tempo sarà trascorso, ormai, Polly? Almeno sei stelle fa?

— Potrai controllarlo personalmente quando avrai del tempo libero — ordinò Polly. — Avanti, diamoci da fare!

— Sì, ma aspetta un attimo — intervenne Demmy. — Che cosa mi dici di questa puzza di alcol?

— Perché, che cosa c’è? Mi pare che si stia diradando, no?

— Non mi sto lamentando per la puzza in sé — ribatté Demmy. — Mi sto solo domandando come mai si sente. Come è possibile che ci sia odore di alcol nella cabina di pilotaggio? Non potrebbe trattarsi di una perdita?

— Se siamo qui adesso — sentenziò Polly con tono secco — è proprio per verificare certe cose. Probabilmente si tratta semplicemente di un trasudamento, però penso che sia comunque il caso di aprire i sigilli per controllare.

Aprire i sigilli risultò essere il compito più difficile in assoluto (impiegarono un intero dodicesimo di duro lavoro per farlo), ma fortunatamente scoprirono che non vi era nulla di strano. L’odore di carburante era dovuto semplicemente al lento trasudare dei fumi d’alcol avvenuto nel corso dei secoli. I serbatoi erano perfettamente sigillati e funzionanti, e una volta verificato ciò la coorte si rasserenò.

Il lavoro che stavano svolgendo era arduo e non certo gradevole, ma in fondo lo stavano facendo per il loro stesso bene. Stavano per partire! Mentre si dedicavano al compito ben più semplice, per quanto forse più scocciante, di ripulire tutto l’interno della navetta, anche il calore divenne decisamente più sopportabile. Una volta eliminato tutto ciò che era stato lasciato dal precedente equipaggio, infatti, avrebbero portato delle cose loro, che sarebbero servite a loro e a nessun altro. — Facciamo una partita al Gioco delle Domande! — propose Tania, ormai completamente rinfrancata. Sandy aprì la bocca per suggerire un argomento, ma venne preceduto da Polly.

— Non mi sembra proprio il caso — dichiarò. — Non comportiamoci in maniera immatura. Dobbiamo concentrarci sulla nostra missione, e non su cose infantili. Piuttosto, perché non interroghiamo Sandy sulla sua storia di copertura?

— Oh, cacca — disse Sandy, ma gli altri accettarono subito l’idea di buon grado.

— Dicci il tuo nome — iniziò immediatamente Elena.

Sandy scrollò le spalle mentre sgomberava l’interno di un armadietto con un bastone. — Mi chiamo John William Washington — disse di malavoglia.

— Allora perché ti chiamano “Sandy”? — domandò Obie, che era affaccendato attorno a uno dei sedili di pilotaggio.

— È solo un soprannome. Un diminutivo di Lisandro.

— Posso vedere la tua carta d’identità? — intervenne Polly.

Questa era nuova. Sandy ebbe un attimo di esitazione, rimanendo imbambolato con il bastone in mano. Non aveva alcun tipo di documenti. — Non so che cosa rispondere a questa domanda — confessò.

Demmy gli diede una mano. — Puoi dire che sei stato rapinato, Sandy.

— Cosa significa “rapinato”?

— Dai che lo sai, è come “derubato”. Sai, come Robin Hood.

— Già, certo — disse Sandy, iniziando a cogliere lo spirito della cosa. — Sono stato derubato. Hanno rubato il mio portafoglio e la mia valigia…

— Non la valigia! — lo interruppe seccamente Polly. — Non andavi mica in giro con una valigia, vero?

— Va bene, il mio zaino. Mi hanno rubato lo zaino con dentro tutti i documenti.

— Pfui! — esclamò Obie, che si stava ritraendo schifato da un armadietto che aveva appena aperto. — È orribile!

— Orribile o no — intervenne nuovamente Polly — devi pulirlo comunque. E ora dimmi, John William Washington, da dove vieni?

— Questa è facile. Sono di Miami Beach, in Florida. La Florida è uno stato. Sono uno studente universitario e mi sono preso una vacanza. Sto facendo… uh… l’“autostop”.

— Come si chiamano i tuoi genitori?

— I miei genitori? — Sandy dovette fermarsi di nuovo per riflettere. — Ah, i miei genitori si chiamano Peter e Alice. Peter è il maschio. Solo che sono morti, tutt’e due. Sono morti in un incidente automobilistico e… be’, ci sono rimasto molto male. Così ho deciso di lasciare la scuola per un certo tempo. In ogni caso, ho sempre desiderato visitare l’Alaska.

— Che mingherlino che sei, Mingherlino — disse Polly con tono sprezzante. — Spero che te la caverai meglio, una volta sulla Terra. Immagina una persona che non ricorda nemmeno i nomi dei suoi genitori!

— Ah, sì? — ribatté Sandy con rabbia. — E allora chi erano i tuoi genitori?

Polly fece oscillare la testa con fare minaccioso. — I dati genetici della mia famiglia sono in archivio, e lo sai benissimo — ribatté con tono tagliente. Si accovacciò sulle zampe posteriori, come se stesse per compiere un balzo. Sandy si rannicchiò in una posizione difensiva.

Ma venne salvato da un urlo da parte di Demmy. — Insetti! — sbottò. — Questo armadietto è pieno di insetti! Come hanno fatto a entrare qui dentro?

Distratta da questo commento, Polly rivolse uno sguardo glaciale in direzione di Demmy. — Che differenza fa come hanno fatto ad arrivare? — domandò con rabbia. — L’unica cosa che conta è che dobbiamo liberarcene. Demetrio, va’ immediatamente a requisire un nido di api-falco.

— E tu chi saresti per darmi ordini a questo modo? — domandò a sua volta Demmy mentre si accovacciava sulle possenti zampe, preparandosi alla carica.

La rissa venne evitata grazie alla voce di MyThara. — Che ftoria è mai quefta? — domandò la tutrice. — Vi pare quefto il modo per portare a termine le iftruzioni urgenti dei Grandi Anziani, comportandovi come degli infanti appena fchiufi? E ora fpiegatemi che cofa ftate combinando.

Quando la coorte ebbe spiegato tutto, l’anziana tutrice agitò la sua mascella. — Beniffimo, allora. Dobbiamo andare a prendere un nido di api-falco per liberarci degli infetti. Demmy, va’ a prenderlo. E quefta roba che cof’è? — Indicò un mucchio di rifiuti puzzolenti che erano stati radunati sul pavimento.

— È da gettare nelle vasche dei titch’hik — dichiarò Polly con tono solenne. — È tutta roba in decomposizione.

— Eccome fe lo è! Hai forfè intenzione di avvelenare i titch’hik? Quel materiale deve andare nelle vafche di decontaminazione per essere fterilizzato. Portalo immediatamente, Ippolita.

— Perché non ci mandi Sandy?

— Lifandro non ci andrà — spiegò MyThara — perché ci ho appena mandato te. Lifandro ha altri compiti da portare a termine al momento. E ora datevi da fare.

— Si guardò attorno. — Vedo che avete già fgomberato tutti gli armadietti — disse. — Quefto è un bene. Potrete averne uno per uno.

— Uno folo? — domandò Obie con tono lamentoso.

— Per andare fino alla Terra?

— Uno solo ciafcuno — replicò MyThara con durezza. — Gli altri fervono per le provvifte e l’equipaggiamento neceffario. In fondo, dovrete portarvi dietro provvifte per tre fettimane.

— Perché solo tre settimane? — domandò Elena tirando fuori la lingua con fare irritato.

— Perché quefto è ftato l’ordine dei Grandi Anziani, Elena. Bene, Lifandro, ora vieni con me. È ora di provare i tuoi nuovi abiti.

Solo tre settimane? Perché solo tre settimane? Mentre seguiva MyThara con fare scocciato, Sandy pensò che forse alcuni di loro avrebbero potuto rimanere solo per tre settimane, ma non necessariamente tutti… Magari altri sarebbero rimasti per più tempo…

MyThara lo lasciò nella sezione dormitorio della coorte mentre andava a prendere i suoi abiti terrestri, ma prima di uscire gli ordinò di spogliarsi e di infilare la sua tuta di tutti i giorni nell’armadietto.

Sandy si spogliò, ma mentre lo faceva si ritrovò improvvisamente a tremare.

Il fatto che fosse effettivamente in procinto di lasciare la nave non si era ancora fatto strada fino a quella parte della sua mente che provava il panico, e ora si stava rifacendo per il tempo perduto.

Si guardò attorno, continuando a rabbrividire. Avrebbe lasciato la nave! Una cosa del genere non era mai accaduta prima di allora! Non sapeva di nessuno che avesse effettivamente “lasciato” la nave. Certo, le persone morivano e venivano divorate dai titch’hik, ma per quanto ne sapeva Sandy questo era l’unico modo in cui una persona poteva cessare di esistere all’interno della nave. Al di fuori della nave non vi era altro che lo spazio.

Quando MyThara fece finalmente ritorno, con le tozze braccia che sorreggevano a fatica due cesti pieni di capi di abbigliamento, Sandy si trovava seduto per terra davanti al suo armadietto, con la testa chinata, gli occhi serrati e un’espressione di puro panico dipinta sul volto. — Lifandro! — esclamò seccamente la tutrice. — Che cofa ti è fucceffo? Fei malato?

— Lascerò la nave! — disse Sandy in tono lamentoso.

— Ma certo che la lafcerai. Fei ftato addeftrato a quefto fcopo per tutta la tua vita.

— Ma io ho paura, MyThara. Io non voglio lasciarti. La tutrice ebbe un attimo di esitazione, poi avvolse dolcemente una mano dura e ruvida attorno al braccio di Sandy. Sandy sentì il dito “tutore” che gli penetrava nella pelle, ma era una sensazione più rassicurante che sgradevole. — Avrai una vita del tutto nuova — lo rassicurò. — E ora, per favore, provati quefti abiti. Voglio proprio vedere come farà bello il mio Lifandro una volta sulla Terra!

Lentamente, Sandy ubbidì. Dovette infilarsi innanzitutto i capi bianchi e sottili che MyThara definì “intimi”, e che consistevano in una “mutanda” e in una “canottiera”. Poi passò alle “calze”, dei lunghi tubi di tessuto chiusi da un lato. La “camicia” era color rosa pastello, i “pantaloni” erano color blu scuro, il “gilet” era rosso, la “giacca” marrone, e le “scarpe” nere.

— Ftai beniffimo — disse MyThara quando ebbe finito di vestirsi.

— Ho molto caldo — si lamentò Sandy.

— Perché farà molto freddo nel luogo in cui andrai, Lifandro — disse la tutrice assumendo un’aria serena. — Per quefto motivo, ho anche delle altre cofe da farti provare. — Quindi tirò fuori dal secondo cesto un altro paio di pantaloni, decisamente più pesanti degli altri e molto più stretti in fondo, un paio di pesanti sovrascarpe che calzavano perfettamente sopra le scarpe da ballo leggere che Sandy aveva già indossato, e una giacca con tanto di cappuccio che pesava di più di tutto il resto messo assieme. Quando ebbe indossato ogni cosa, Lisandro stava ormai sudando copiosamente.

— Fei molto elegante — disse MyThara con voce triste.

— Mi sento come un tubero bollito — grugnì Sandy.

— Va bene, adeffo puoi toglierti tutto. — Man mano che Sandy si toglieva gli abiti, MyThara li piegò uno per uno e li ripose nelle ceste. — Fapevi che hanno riaperto l’impianto del peroffido? — domandò.

— Davvero? — Lisandro rifletté su questo fatto. Le navette erano gli unici apparecchi hakh’hli alimentati ad alcol e perossido di idrogeno, e di conseguenza l’impianto per la produzione del perossido della grande nave rimaneva inattivo per decenni, a volte anche per secoli. Non serviva alcun tipo di carburante di tipo chimico per far procedere la grande astronave fra le stelle. Sentendosi un poco meglio, Sandy tentò di prodursi in un sorriso. Tuttavia, non riuscì a mantenerlo, poiché aveva percepito qualcosa di strano nel tono di MyThara. — Non sei felice per me? — le domandò. — Credevo che tu fossi orgogliosa di vedermi andare sulla Terra!

— È che non credo che ti vedrò, Lifandro — biascicò lei con tristezza. — Anzi, fono ficura che non ti vedrò. Vedi, Lifandro, domani devo fare il mio efame di idoneità, e fono ficura che non lo pafferò.

Il giorno in cui la nave interstellare si trovò finalmente nel punto previsto della sua orbita attorno alla Terra, con la navetta completamente ripulita e pronta a partire, le parole di MyThara si rivelarono veritiere. MyThara non era più con loro. Non aveva passato l’esame di idoneità fisica.

La loro partenza non venne salutata da alcun tipo di cerimonia. Non venne nessuno a vederli partire, a parte ChinTekki-tho, che galleggiava nervosamente a mezz’aria nella microgravità della nave, i cui motori principali erano stati spenti per la prima volta da decenni. — Vi sono molte nuvole nella regione in cui atterrerete — annunciò il Tutore Primario rivolto alla coorte che si preparava a salire a bordo della navetta. — Questo è un bene, perché significa che potrete atterrare senza essere visti.

— Che cosa sono le “nuvole”, ChinTekki-tho? — domandò Obie con apprensione, guadagnandosi un pizzicotto da parte di Polly.

— Le nuvole sono un bene — disse Polly. — Non fare il mingherlino come Sandy!

ChinTekki-tho intanto stava guardando Sandy, che era in piedi da solo con gli stivali in mano e il volto solcato dalle lacrime. — Che cosa è successo a Lisandro? — domandò.

— È per via di MyThara. È morta — disse Polly.

— Certo che è morta; non ha passato l’esame. Ma per quale motivo trova questo fatto tanto ridicolo?

— Non lo trova ridicolo, ChinTekki-tho — spiegò Obie. — È un terrestre, sai? Sta piangendo. È così che fanno quando sono tristi.

— E per quale motivo dovrebbe rattristarsi per la morte di una vecchia hakh’hli? Oh, Lisandro — disse ChinTekki-tho dispiaciuto — mi fai venire dei dubbi sul modo in cui ti abbiamo addestrato. Ma ormai è troppo tardi per preoccuparsi di una cosa simile. Avanti, è venuto il momento di entrare nella navetta. Il lancio avverrà fra un dodicesimo di dodicesimo.

7

Ora la grande nave interstellare è immobile, o almeno così sembra a tutti coloro che si trovano al suo interno. In realtà, naturalmente, si trova in orbita attorno al pianeta Terra, dove sta sfruttando la combinazione della sua stessa velocità orbitale con quella della Terra attorno al Sole… nonché il movimento del Sole all’interno della sua galassia, e la costante caduta della galassia verso il suo Grande Attrattore. Se messo in relazione con un riferimento stazionario, il movimento della nave sarebbe simile a quello di un cavatappi; solo che non vi è alcun riferimento stazionario con il quale metterlo in relazione. Comunque sia, per coloro che si trovano all’interno della grande nave è come se questa fosse perfettamente immobile. I motori sono fermi. La spinta non c’è più. L’accelerazione (o la “gravità”) di 1,4 G alla quale i componenti della nave si sono abituati per tutte le loro vite non esiste più, e gli hakh’hli e i loro oggetti galleggiano a mezz’aria. Di conseguenza, ogni movimento viene amplificato. Persino la spinta leggerissima dei rampini magnetici che lanciano il modulo di atterraggio verso la sua rotta viene percepito all’interno della nave. Tutti i 22.000 hakh’hli che si trovano a bordo della nave lo sentono, e tutti quanti gioiscono nel sentirlo. La Terra è il migliore pianeta che abbiano trovato in oltre 3.000 anni di viaggio, e ora è quasi già loro.

Vi erano diverse forze contrarie da contrastare: l’orbita ellittica solare andava trasformata in un’orbita planetaria polare, e la velocità di fuga iniziale andava annullata. I propulsori del modulo di atterraggio stavano spingendo a tutta forza. Dopo circa trenta secondi dal momento in cui il modulo si era staccato dalla nave madre, Sandy iniziò a vomitare. Non poté farne a meno. Non si era mai sentito male in vita sua per il movimento. In verità, non aveva mai provato un movimento del genere, almeno non in uno spazio chiuso.

I sei hakh’hli, il cui orecchio interno era strutturato in maniera completamente differente, non soffrivano di mal di mare. Alla lunga, però, questo particolare anatomico non li aiutava più di tanto, poiché dal momento in cui la navetta avrebbe fatto il suo ingresso nell’atmosfera, i loro corpi sarebbero stati sballottati più velocemente di quanto i loro stomaci potessero sopportare.

Come se tutto ciò non bastasse, all’interno della navetta vi era anche una certa animosità generale nei confronti di Sandy. — Cerca di controllarti, Mingherlino! — sbottò Demmy. — Woof! Augh! — si lamentò Elena.

— Maledizione, Sandy, perché non usi un sacchetto, o qualcosa del genere? — domandò Polly dal suo sedile di pilotaggio. Poi però Polly tacque, poiché erano appena entrati nella fascia dei relitti. Grazie all’approccio programmato erano riusciti a evitare gli oggetti più grandi in orbita intorno alla Terra, ma non vi era la certezza di evitarli tutti. Fortunatamente, la navetta era dotata di un radio localizzatore in grado di individuare qualsiasi oggetto che si trovasse sulla loro traiettoria e di azionare automaticamente i propulsori laterali per evitare la collisione. Quando anche questa misura non risultava sufficiente per l’elevata velocità, entravano in funzione i repulsori magnetici, che attutivano notevolmente l’impatto.

Ciò nonostante, tutti potevano sentire una serie di piccoli ma preoccupanti colpi, come se qualcuno stesse lanciando dei ciottoli sulla superficie esterna della loro navetta. Si trattava di frammenti metallici che colpivano la navetta a bassa velocità. Poi vi erano anche altri suoni, tonfi più deboli e secchi, dati da frammenti ancora più piccoli che riuscivano a perforare la pellicola esterna fissata attorno allo scafo. Un’ape-falco passò davanti alla faccia di Polly, facendola sbottare: — Toglietemi di torno quest’ape! Come cavolo posso pilotare questo arnese se ci sono insetti che mi volano negli occhi?

L’ape-falco però volò via da sola, non appena la navetta compì una secca virata per evitare un altro relitto. Un attimo dopo, si ritrovarono fuori dalla fascia di relitti pericolosi; il modulo di atterraggio imboccò la lunga traiettoria discendente che lo avrebbe portato fino alla pianura la cui immagine radioriflessa era già evidenziata sugli schermi. Per quanto frastornato e nauseato, Sandy percepì che Polly continuava a sibilare con fare agitato. Strano, pensò, poiché quella doveva essere la parte più facile del volo. La loro velocità era già diminuita notevolmente, e i rilevatori automatici avrebbero dovuto compensare tutti i vuoti d’aria e le variazioni di pressione in prossimità della superficie. Solo che, apparentemente, non stavano funzionando. — Per essere solo un piccolo, stupido pianeta — ringhiò Polly — questa tua maledetta Terra ha un clima realmente pessimo! — La navetta sussultò ancora una volta con violenza, come per sottolineare le sue parole. La velocità del modulo di atterraggio hakh’hli era scesa a poco più di cento chilometri orari, ma i venti esterni erano ancora più veloci, e facevano ballare il piccolo velivolo come se fosse un giocattolo.

Più che far atterrare la navetta, Polly la fece praticamente schiantare al suolo. Tuttavia, la navetta hakh’hli era stata costruita per resistere. Non appena toccò terra, i propulsori anteriori si accesero automaticamente per frenarne la corsa, schiacciando tutti i passeggeri contro le reti protettive dei sedili. La navetta si fermò nel giro di poche centinaia di metri, a una certa distanza dalla barriera di alberi spogli e striminziti.

— Siamo arrivati — annunciò Polly.

Non sembrava, però. Anche da fermo, infatti, il velivolo continuava a oscillare nel vento. Polly emise un paio di rutti preoccupati mentre premeva i pulsanti di accensione degli schermi per la visione esterna, che si illuminarono immediatamente sopra il pannello dei comandi. Uno mostrava una simulazione ripresa dallo spazio del punto dove erano atterrati, mentre l’altro mostrava le immagini dal vivo del paesaggio all’esterno della navetta. L’immagine virtuale era glaciale, completamente bianca e statica, mentre quella dal vivo mostrava una scena alquanto movimentata, caratterizzata da una forte pioggia quasi orizzontale e da un bosco di abeti in balia del vento.

La stella a sei punte che indicava la loro posizione si trovava nello stesso punto in entrambe le immagini, e appariva e scompariva a intermittenza per segnalare che l’atterraggio era avvenuto nel punto programmato. — Perché siamo in mezzo a una tempesta? — domandò Obie un po’ intimorito. — Sei atterrata nel punto sbagliato?

— Il punto è quello giusto — borbottò Polly con un tono a metà fra il perplesso e l’irritato. — Ma non capisco dove sia andata a finire tutta la “neve”.

Circa due ore dopo, Sandy si ritrovò davanti allo sportello aperto della navetta con indosso il pesante giaccone e gli stivali da neve. Si toccò la tasca dove aveva riposto la fotografia di sua madre, ma Polly non era certo in vena di sentimentalismi. — Datti una mossa, Mingherlino! — lo spronò, dandogli una leggera spinta.

Sandy si mosse. Mentre usciva si aggrappò alla ringhiera della scaletta. Il dislivello dallo sportello della navetta al suolo era di soli tre o quattro metri, ma nonostante la debole gravità terrestre avrebbe potuto comunque farsi male se si fosse lasciato cadere. Una volta a terra si incamminò verso il retro della navetta, sentendo una leggera zaffata di alcol proveniente dai propulsori. Si orientò, stabilendo la direzione in cui avrebbe dovuto trovarsi la strada più vicina, quindi iniziò a incamminarsi attraverso il fango e la pioggia.

La situazione non era come avrebbe dovuto essere.

Vi era qualcosa di decisamente sbagliato rispetto ai piani originali della missione. Del resto, non vi potevano essere dubbi sul fatto che la regione della Terra sulla quale erano atterrati fosse effettivamente l’Alaska; il dato era stato confermato dagli strumenti di navigazione della navetta. Ma allora perché il paesaggio non era quello previsto? L’Alaska, assieme a tutto il resto del pianeta, era stata osservata e studiata a fondo dagli esperti hakh’hli nel corso della loro prima visita a quel sistema solare. Secondo i risultati di quegli studi doveva trattarsi di una regione fondamentalmente fredda, a parte forse nel corso di un brevissimo periodo estivo o in certi punti particolarmente bassi. Gli studiosi hakh’hli avevano garantito loro che vi sarebbe stata “neve”, ma se una cosa del genere esisteva sulla Terra — e le migliaia di programmi televisivi ai quali avevano assistito sembravano testimoniare che fosse effettivamente così — non si trovava certamente in quel luogo.

In quel luogo infatti non vi era altro che un mare di fango, una temperatura abbastanza elevata da far sudare copiosamente Sandy nei suoi pesanti abiti e una tempesta terribile, accecante e spaventosa.

Una tempesta del genere non poteva essere una cosa di tutti i giorni, si disse Sandy. Nella sua ansiosa ricerca della strada, fu costretto a scavalcare e ad aggirare decine di alberi sradicati; si trattava di alberi enormi, lunghi anche fino a 30 metri dalla cima alle radici incrostate di terra che veniva lavata via costantemente dalla forte pioggia. I crateri lasciati dagli alberi sradicati sembravano essere freschi.

Sandy dovette anche lottare con le piccole bestie volanti che sembravano in grado di penetrare tutti i suoi abiti per pizzicarlo (che si trattasse di “zanzare”?) e a un certo punto iniziò ad avere dei seri dubbi sul suo destino. La situazione era decisamente preoccupante.

Come se non bastasse, Sandy trovava anche che tutto ciò non fosse affatto giusto. Nulla di ciò che gli era stato insegnato nel corso di quegli anni lo aveva preparato a una simile esperienza. Certo, aveva sentito parlare di “condizioni meteorologiche”; si erano tenute intere lezioni in proposito, e i vecchi programmi televisivi registrati erano pieni di informazioni al riguardo, con tanto di mappe con le “isobare”, le “perturbazioni” e così via. Trovarcisi in mezzo, però, non era esattamente la stessa cosa. Né Sandy né nessun altro fra i 22.000 hakh’hli a bordo della grande nave aveva mai provato un’esperienza del genere.

E non si trattava certo di un’esperienza emozionante o interessante per lui. Com’era possibile orientarsi in simili condizioni? Quando aveva studiato il percorso sull’astronave, gli era sembrato piuttosto facile da seguire. Vi erano le montagne, e vi era una valle che vi passava in mezzo. La strada alla quale avrebbe dovuto giungere si trovava esattamente in mezzo alla valle. Ma come poteva stabilire dove si trovavano le montagne se la pioggia gli impediva di vedere alcunché al di sopra degli alberi? Naturalmente, aveva già perso di vista la navetta, che doveva trovarsi alle sue spalle. Sandy si fermò ed estrasse faticosamente la radio dalla tasca interna del suo giaccone. — Sono Sandy — disse nel microfono. — Datemi la mia posizione.

Rispose immediatamente la voce di Tania. — Sei fuori strada — disse seccato. — Devi andare a sinistra di tre dodicesimi. Come mai ci stai mettendo tanto? Dovresti già essere sulla strada asfaltata.

— Credevo di esserci — rispose Sandy amareggiato chiudendo il contatto. Pensò che avrebbe avuto nuovamente bisogno di usare la radio per stabilire la sua posizione, quindi decise di fissarsela al collo con la cinghia, piuttosto che infilarla nuovamente nella tasca interna. Continuando a sudare e borbottando fra sé, riprese il suo faticoso cammino fra il fango, la pioggia e i rami inzuppati d’acqua che gli frustavano il volto in continuazione.

Non si era assolutamente aspettato un simile ritorno al suo pianeta d’origine.

Se le condizioni erano pessime alla luce del giorno, diventarono ancora peggiori non appena cadde la notte. Il sole scomparve rapidamente dietro l’orizzonte, e gli ultimi bagliori del cielo vennero sostituiti altrettanto rapidamente da una minacciosa oscurità. Non vi era alcun tipo di luce. Oscurità completa! Anche questa era un’esperienza completamente nuova per Sandy, e forse si trattava della peggiore in assoluto fino a quel momento.

E fu proprio allora che Sandy scivolò su una pozzanghera di fango particolarmente viscido e si ritrovò a rotolare in un ammasso di cespugli pungenti e inzuppati d’acqua.

Ma questo non era nulla in confronto a quanto scoprì un attimo dopo. Quando prese la radio per ottenere un nuovo rilevamento della sua posizione, si rese conto che non funzionava più. Nel corso della caduta si era bagnata, e ora non dava più segni di vita.

La tempesta proseguiva imperterrita, ma in uno strano, solenne silenzio. Sandy si tastò l’orecchio e si rese conto che anche il suo apparecchio acustico era stato danneggiato nella caduta. Lo estrasse e lo batté ripetutamente sui pantaloni zuppi di pioggia e sudore, ma non servì a nulla. Con un gesto irritato, si infilò in tasca l’apparecchio e si guardò attorno.

Secondo i rilevamenti della navetta, la strada che passava attraverso la valle doveva trovarsi a non più di tre chilometri di distanza dal punto in cui erano atterrati. E non vi potevano essere dubbi riguardo al fatto che, nel giro di cinque ore di faticosa marcia a zig-zag, Sandy avesse percorso un tratto almeno equivalente. Di conseguenza, non vi potevano essere dubbi nemmeno riguardo al fatto che avesse deviato nuovamente dal suo percorso ottimale.

In quel momento, Sandy Washington si rese conto di essersi perso.

Tuttavia, non si trattava di una constatazione molto utile. Non poteva farci proprio nulla. Non vi era modo di tornare alla navetta, poiché a quel punto non aveva la benché minima idea di dove si trovasse. Certo, poteva andare avanti, e in fondo era proprio quello che voleva fare a tutti i costi, solo che a quel punto non aveva più nemmeno una pallida idea di dove potesse essere “avanti”.

Con un po’ di ritardo, ricordò anche che secondo gli studiosi hakh’hli in Alaska vi erano diversi animali selvaggi, alcuni dei quali (si chiamavano “lupi” e “orsi grizzly”) erano anche piuttosto pericolosi per l’uomo.

Sandy si guardò attorno; la rabbia che già provava da tempo iniziò a trasformarsi in paura.

Fu allora che si rese conto che, in lontananza alla sua destra, vi era un punto in cui l’oscurità non sembrava essere così solida e impenetrabile come da tutti gli altri lati. Non si poteva parlare di una luce. Certamente non era nulla di particolarmente luminoso, e mentre guardava si rese conto che era di colore leggermente scarlatto. Comunque fosse, si trattava di qualcosa di diverso rispetto all’impenetrabile oscurità che lo circondava.

Sandy non vide l’edificio finché non vi sbatté contro. La luce che aveva visto in lontananza non era altro che un disco color cremisi appeso sopra la porta d’ingresso che emetteva un debole bagliore simile a quello di una brace ardente. Mentre camminava lungo il muro esterno dell’edificio, sbatté dolorosamente contro qualcosa di metallico dotato di ruote. Che si trattasse di un’automobile”? Sandy sapeva che cosa erano le automobili, ma non ne aveva mai vista una con attaccato dietro uno strumento pieno di punte acuminate. Il dolore gli fece sbattere le palpebre violentemente, ma proseguì comunque zoppicando.

Non appena trovò la porta, la spinse e questa si aprì.

All’interno dell’edificio vi erano altri tre dischi che emettevano lo stesso debole bagliore rossastro fissati sul basso soffitto di un corridoio sul quale si aprivano diverse porte. Sandy sentì dapprima un forte odore di animali, poi percepì del movimento, dei respiri profondi e il suono di mascelle in azione. Non era solo.

Un attimo dopo, nonostante la semioscurità, capì con quali esseri viventi stava condividendo quello spazio. Aveva già visto in innumerevoli film terrestri quegli occhi enormi e pazienti, quelle corna piccole e torte e quel lento e costante movimento delle mascelle. Si trattava di mucche.

Perlomeno una delle sue preoccupazioni maggiori si dileguò. Le mucche, ne era quasi certo, non mangiavano gli esseri umani.

Completamente esausto e letteralmente inzuppato d’acqua, si sfilò il giaccone e gli stivali. Il solo fatto che vi fosse un edificio implicava che vi fossero anche degli esseri umani nelle vicinanze. Sandy sapeva benissimo ciò che avrebbe dovuto fare; doveva trovare gli esseri umani, stabilire un contatto con loro e proseguire nella sua missione.

Solo che in quel momento Sandy era troppo stanco per pensare ai suoi doveri, quindi si accasciò su un mucchio di vegetazione secca che si trovava lì. Pensò che avrebbe fatto meglio a rimanere sveglio per dare il benvenuto a chiunque “possedesse” quelle mucche nel caso che arrivasse lì… Ma proprio mentre ci pensava, la stanchezza ebbe il sopravvento e si addormentò come un sasso.

Si svegliò all’improvviso, rendendosi immediatamente conto di dove si trovava… nonché del fatto che non era solo.

Sbatté le palpebre. Davanti a lui torreggiava una figura con indosso un paio di pantaloncini sfrangiati e lunghi capelli neri. Le rivolse un sorriso imbarazzato, poi fu come se lo colpisse una scarica elettrica che gli tolse il respiro e la parola: la persona che aveva di fronte era una femmina. Una femmina terrestre.

Balzò in piedi, allungando le mani con i palmi verso l’alto per dimostrare che non aveva cattive intenzioni e producendosi subito nel sorriso amichevole e benevolo che aveva provato tante volte davanti allo specchio. Si spazzolò dai capelli alcuni fili di paglia secca, poi riguadagnò finalmente l’uso della parola.

Le labbra della donna però si stavano già muovendo, e Sandy si rese conto solo allora che non aveva addosso l’apparecchio acustico. Infilò una mano nella tasca del giaccone, prese l’apparecchio, se lo cacciò nell’orecchio pregando e… funzionava! — Salve — disse la voce della donna in tono perplesso.

— Salve — rispose Sandy. — Immagino che lei si stia domandando chi sono. Mi chiamo Sandy… cioè, John William Washington — disse. — Sono entrato qui dentro per ripararmi dal temporale. Spero che non abbia nulla in contrario… Vede, stavo facendo l’autostop e mi sono perso…

La donna non apparve per nulla sorpresa. Anzi, l’espressione del suo volto non tradì alcuna emozione. La sua pelle era decisamente più scura di quanto Sandy non si fosse aspettato, e il suo viso appariva impassibile. — Tanto vale che vieni in casa — gli disse. Con questo, si girò e fece strada.

La pioggia era cessata, e il cielo era parzialmente sgombro. Sandy osservò meravigliato le “nuvole” bianche e soffici, il “cielo” azzurro e il verde della vegetazione che lo circondava. Si trovavano in una valle. La navetta hakh’hli non era in vista, ma Sandy riconobbe le montagne che li circondavano, anche se erano un po’ diverse da come le ricordava; probabilmente le stava guardando da un’altra angolazione. — Avanti, entra — disse la donna tenendogli la porta aperta.

— Grazie — rispose Sandy in tono cortese mentre entrava in casa.

Si trovavano in una “cucina”. Sandy si guardò attorno, letteralmente affascinato. Gli odori che percepiva erano stupefacenti. Davanti alla “stufa” vi era un giovane terrestre di sesso maschile che rimestava in una padella bassa qualcosa di sfrigolante. Sotto alla padella vi era una fiamma accesa (una fiamma libera!) La padella era senz’altro la fonte di almeno uno degli odori che percepiva, un odore che risultava allo stesso tempo invitante e disgustoso, ma ve ne erano anche molti altri che Sandy non riusciva a identificare.

Il giovane alzò lo sguardo verso Sandy. — Com’è grosso, mamma — disse. — Credi che voglia anche lui un po’ di uova col bacon?

— Oh, sì — rispose pronto Sandy, collegando finalmente l’odore a quel nome familiare che però, fino a quel momento, non aveva mai avuto alcun riscontro concreto. — Sì, grazie — disse. — Posso pagare. — Frugò in una delle sue tasche alla ricerca di una pietruzza d’oro, quindi iniziò a recitare la spiegazione che gli avevano fatto imparare a memoria. — Sono un cercatore d’oro — disse. — Prendo pietre e sabbia dai letti dei torrenti, poi li setaccio nell’acqua, così se ne va tutto ciò che è più leggero e io rimango con l’oro.

La donna lo fissò con aria un po’ stupita, ma non fece commenti, limitandosi invece a chiedergli: — Vuoi anche delle polpette con le uova?

— Oh, sì, credo di sì — rispose Sandy un po’ dubbioso. Non aveva esattamente idea di che cosa fossero le “polpette”, e quando il ragazzo umano gli mise davanti il piatto, fu ancor meno sicuro di desiderarle. Anche il resto non gli sembrava molto appetitoso. Le “uova” erano dei globuli gialli circondati da una specie di pellicola bianca un po’ marroncina ai margini, e queste erano abbastanza facili da identificare. Il “bacon” era la carne, e in effetti gli era già capitato di vedere anche quello in diversi film. Quindi l’altra cosa doveva essere la “polpetta”, un oggetto rotondo schiacciato di color marrone scuro.

Prese in mano la forchetta con una certa perizia. Le lunghe ore di allenamento in fondo servivano a qualcosa. Tuttavia, quando la infilò nell’uovo il tuorlo si ruppe, spandendo un liquido denso e arancione su tutto il piatto.

Sandy ebbe un attimo di esitazione. Era perfettamente consapevole del fatto che la donna lo stesse osservando con una certa curiosità. Il ragazzo era scomparso, ma Sandy poteva sentire la sua voce proveniente da un’altra stanza. Forse stava parlando con qualcuno. Si fece coraggio e prese con la forchetta un pezzo di polpetta inzuppata di tuorlo d’uovo. Se lo infilò in bocca e masticò.

Sandy Washington non aveva mai assaggiato nulla del genere in vita sua. Non poteva dire che fosse disgustoso, ma allo stesso modo non poteva nemmeno affermare che fosse buono, o anche solo commestibile. A parte il sapore generalmente salato, vi erano un sacco di altri sapori che non aveva mai sentito in vita sua.

Rivolse alla donna un sorriso rassicurante. Fra tutte le nuove sensazioni che stava provando, la più intensa di tutte era certamente dovuta alla presenza di quella donna, alla sua femminilità. Per quel che Sandy aveva potuto imparare fino ad allora sugli standard di bellezza femminile terrestri, quella donna non era affatto bella. Non era nemmeno giovane. Sandy non confidava assolutamente nella sua abilità nel giudicare l’età di un essere umano. Tuttavia, il ragazzo l’aveva chiamata “mamma”, e questo era già di per sé un ottimo indizio, dato che per quel che Sandy poteva stabilire il ragazzo sembrava avere più o meno la sua stessa età.

In quel momento, il ragazzo tornò nella cucina. — Stanno arrivando — disse a sua madre.

Sandy alzò nuovamente lo sguardo verso la donna con aria perplessa, ma questa si limitò a domandargli: — Vuoi del ketchup per le polpette?

— Sì, grazie — disse Sandy appoggiando la forchetta. La donna appoggiò una bottiglia di fronte a lui e rimase in attesa. Sandy la prese con aria incerta. Vi era un tappo di metallo alla sommità della bottiglia, ma questo era un problema conosciuto; prese la bottiglia con una mano, il tappo con l’altra e, con la massima delicatezza possibile, iniziò a tirare e a girare finché il tappo si svitò e si staccò dalla bottiglia.

Davanti a sé aveva un bicchiere vuoto. Sandy versò un poco del denso liquido rosso nel bicchiere, giusto quanto bastava per ricoprirne il fondo. Quando sentì il ragazzo che ridacchiava, si rese conto di aver fatto qualche errore.

In quel momento, venne colto dall’ispirazione. — Devo andare bagno — annunciò, e fu molto felice quando venne accompagnato in una stanza con una porta e una serie di “articoli sanitari”.

Quando ebbe chiuso la porta, si sentì subito meglio. Introdursi fra i terrestri in veste di agente segreto era decisamente più difficile di quanto non avesse previsto.

Del resto, anche il processo di andare al bagno lo era. Gli abiti terrestri erano molto diversi da quelli che aveva indossato per tutta la vita sulla nave, quindi gli crearono non pochi problemi. Poi vi era la questione dei “sanitari”.

Il processo fu piuttosto lungo, ma Sandy non aveva alcun problema per quanto riguardava il tempo. Alla fine riuscì a scoprire come si faceva a svuotare e riempire nuovamente la “tazza” e come ci si toglievano i “pantaloni”. Quando ebbe finito, si fermò a guardarsi nello specchio che si trovava sopra il “lavandino”.

Si tolse con estrema cautela l’apparecchio acustico dall’orecchio e gli diede un’occhiata. Non sembrava danneggiato. Lo asciugò alla meglio con uno degli oggetti di tessuto che si trovavano accanto al lavandino, quindi lo reinserì. L’orecchio gli faceva male, ma non poteva certo cavarsela senza l’ausilio del suo apparecchio acustico.

Il silenzio che regnava all’interno del bagno gli sembrava una vera e propria benedizione. Nessuno gli poneva domande, e non doveva affrontare alcun tipo di esame, dato che non doveva rispondere di niente a nessuno. In quel momento desiderò poter rimanere in quella piccola stanza finché tutti gli altri non se ne fossero andati via, per poi riuscire in qualche modo a tornare alla navetta, alla grande nave madre, a quella vita familiare che era sempre stata la sua vita…

D’altra parte però…

D’altra parte però era finalmente arrivato a casa! Per tutta la sua vita non aveva desiderato altro, e ora era una realtà! Inoltre, aveva già avuto modo di godere della presenza di due veri esseri umani. Certo, vi erano stati dei momenti di imbarazzo e di preoccupazione, ma in fondo gli avevano offerto da mangiare, e questo doveva pur significare qualcosa. In effetti avevano un aspetto abbastanza strano rispetto a ciò che Sandy si era aspettato di trovare, ma per il resto erano stati molto gentili con lui. Gli riusciva difficile credere che appartenessero a quella razza irresponsabile che aveva danneggiato il proprio pianeta fino al punto di ridurlo a un ammasso di rovine…

A quel punto i suoi pensieri si arrestarono di colpo. Sandy si avvicinò alla finestra del bagno.

Aggrottò le sopracciglia. Almeno da quel punto di vista, il pianeta non sembrava affatto in rovina o devastato. Anzi, il grande prato dietro la casa in cui si trovava era verde e pacifico, e ora le mucche con le quali aveva dormito vi pascolavano serenamente.

Tutto ciò era alquanto strano.

In quel momento si rese conto che era rimasto nel bagno per un periodo di tempo piuttosto lungo. Dopo essersi toccato l’apparecchio acustico per vedere se era in posizione, girò con una certa riluttanza la maniglia della porta del bagno.

Fu allora che percepì un nuovo rumore, un suono meccanico che non aveva sentito in precedenza.

Si voltò di scatto, e vide un’ombra che passava sulla finestra. Un attimo dopo vide un velivolo, un “elicottero”, che si posava delicatamente a terra a pochi metri dalla casa. Non appena toccò il suolo, ne balzarono fuori due esseri umani in uniforme.

Quando Sandy fece ritorno alla cucina, i due terrestri erano lì in piedi che parlavano a bassa voce con la donna e suo figlio. — Buongiorno, signore — gli disse uno dei due.

— Lei viene dall’astronave, vero? — domandò l’altro. — Quella con gli strani esseri simili a rane? Bene, devo chiederle di seguirci.

8

Uno dei motivi per i quali il pianeta Venere è così caldo è che la sua atmosfera contiene grandi quantità di biossido di carbonio, che trattiene il calore proveniente dal sole. Uno dei motivi per i quali Marte è così freddo è che la sua atmosfera è molto sottile, e non contiene una quantità sufficiente di biossido di carbonio per trattenere il calore. L’atmosfera della Terra avrebbe un tasso di biossido di carbonio più o meno a metà fra quelli di questi due pianeti, solo che la razza umana si è data da fare per cambiare questa situazione. Ogni volta che un essere umano espira, emette biossido di carbonio. Ogni volta che brucia carburante per far muovere un veicolo o per riscaldare la sua casa (ovvero sempre), produce altro biossido di carbonio. Di conseguenza, la Terra diventa sempre più calda e i suoi ghiacci si sciolgono. (Quando Sandy ha detto alla poliziotta che veniva da Miami Beach, questa è scoppiata a ridere. Gli unici abitanti di Miami Beach oggi infatti sono meduse, granchi, pesci e seppie. Come del resto la gran parte delle coste del pianeta Terra, Miami Beach si trova completamente sommersa dall’acqua degli oceani.) Ma questo non è tutto. Dato che l’atmosfera terrestre è un motore che viene alimentato dal calore, più si surriscalda l’aria, più energia vi è a disposizione. E questa energia si esprime tutta sotto forma di tempeste, movimenti di masse d’aria, venti fortissimi… in breve, sotto forma di terribili uragani.

Ma Sandy non conosceva esattamente il significato della parola “uragano”. Certo, l’aveva sentita diverse volte nelle previsioni del tempo alla TV, ma naturalmente non esisteva nulla di simile all’interno della grande astronave hakh’hli. Tuttavia, mentre si incamminava verso l’elicottero della polizia, vide che un angolo della stalla delle mucche era storto e notò un albero del cortile sradicato. Ricordò gli innumerevoli alberi sradicati che aveva visto nel bosco, e in quel momento la parola “uragano” riemerse dal suo subconscio.

Provò il desiderio di chiedere qualcosa in proposito ai due agenti di polizia che gli stavano accanto, ma questi non sembravano avere molta voglia di parlare. Se avevano dei nomi, non li dissero a Sandy. Non sembravano essere molto simili fra loro, a parte che per le uniformi. Quello di sesso maschile era più basso di quello di sesso femminile, e inoltre il suo volto era più piatto e la sua pelle più scura. Assomigliava un po’ ai due terrestri allevatori di mucche che gli avevano offerto da mangiare. La femmina invece era più pallida di carnagione e decisamente più magra, un po’ come la fotografia della madre di Sandy, solo decisamente meno giovanile e carina. (E anche decisamente più vestita.) I due comunque lo scortarono con una certa cortesia fino al loro “elicottero”, dove lo fecero accomodare sul sedile anteriore destro.

Quando il poliziotto di sesso femminile gli si avvicinò per fissargli attorno al corpo delle cinture di sicurezza, Sandy si irrigidì per la tensione. Questo era dovuto in parte al fatto che un essere umano di sesso femminile lo avesse effettivamente toccato, facendo pulsare le sue ghiandole, e in parte al fatto che lo stavano legando come se fosse un prigioniero. Sandy si rilassò solo quando la donna gli assicurò che le cinghie erano solo per la sua sicurezza, affinché non si ferisse per qualche movimento brusco dell’elicottero. In ogni caso, Sandy confidava nel fatto che, se le cose si fossero messe male, sarebbe riuscito a togliersi quelle cinghie con una certa facilità.

Che cosa avrebbe fatto una volta che se le fosse tolte questa era una domanda per ora senza risposta. L’uomo era seduto accanto a lui, ed era occupato a pilotare il velivolo. La donna però si trovava alle sue spalle, e lo strumento scintillante che aveva alla cintura doveva essere una “pistola”. Sandy sapeva perfettamente che cosa fosse una pistola, dato che aveva assistito a innumerevoli film western e polizieschi. Sapeva benissimo che se qualcuno “sparava” con la pistola addosso a qualcun altro, quest’ultimo cadeva inevitabilmente a terra fra terribili sofferenze, a volte anche mortali. Grazie alle stesse fonti, sapeva anche che una persona in uniforme dotata di pistola aveva il diritto di sparare a qualsiasi “sospetto” e di fargli “schizzare fuori le cervella”.

Sandy non voleva che qualcuno gli facesse “schizzare fuori le cervella”, soprattutto se si trattava di una femmina terrestre. Questa magari non era molto giovane, ma con ogni probabilità era ancora in grado di riprodursi. Girò la testa quanto poté per sorriderle.

La donna però non contraccambiò il sorriso, limitandosi invece a un: — La prego di sedere in maniera composta, signore. — Poi però si protese in avanti, tanto che Sandy sentì il suo fiato dietro la base del collo. — Hai detto che vieni da Miami Beach, quindi? — domandò.

— Esatto — rispose Sandy, continuando ad attenersi al copione. — Stavo viaggiando… uh, facendo l’autostop, e credo di essermi perso nel… uh, nella tempesta.

La donna emise un grugnito di scetticismo. — Se vivi a Miami, dove sono le tue branchie? — domandò.

Sandy si produsse in una smorfia. Certamente la poliziotta aveva voluto intendere qualcosa di preciso con quel commento, ma che cosa?

— Lascia perdere, Emmons — ordinò il poliziotto maschio. — Ci penserà il capitano a risolvere la faccenda. — Detto questo, l’uomo fece qualcosa con i piedi e con le dita, i giri del motore aumentarono e il velivolo si sollevò lentamente da terra.

Da quel momento, Sandy smise di arrovellarsi per scoprire il significato delle strane frasi dei poliziotti e si dedicò a un problema decisamente più urgente, ovvero quello di cercare di non vomitare nuovamente.

Il volo dell’elicottero però non era pieno di fremiti e improvvisi scossoni come lo era stato quello della navetta hakh’hli dal momento in cui erano entrati nell’atmosfera. Il velivolo terrestre procedeva molto più lentamente, e il suo movimento risultava quasi ipnotico per Sandy. Il che non produsse certo un effetto benefico su di lui. La donna che si trovava alle sue spalle gli porse in tutta fretta un sacchetto per vomitare. Sandy pensò che non ve ne fosse bisogno, dato che alla fattoria delle mucche aveva mandato giù appena un boccone, ma con sua sorpresa fu comunque costretto a utilizzarlo.

In seguito, pur rischiando di sentirsi ancora male. Sandy non poté resistere alla tentazione di guardare fuori dal finestrino. Vi erano innumerevoli alberi sulle colline sottostanti, e molti di questi erano evidentemente in cattiva salute, con i rami spogli o le foglie ingiallite; alcuni erano addirittura senza rami, e consistevano in pratica in un solo palo scuro e moribondo che spuntava dal terreno. Del resto, pensò Sandy, erano sulla Terra! Provò nuovamente un brivido di emozione nel ricordarsi quel fatto importantissimo; finalmente, si trovava a casa sua!

L’elicottero compì un’ampia virata per evitare la cresta di un monte, quindi entrò in una valle lungo la quale correva una strada, certamente quella che Sandy non era riuscito a trovare nella tempesta della sera precedente. Notò che il temporale doveva essere passato proprio in quel punto, poiché vi erano diverse file di alberi abbattuti dal vento.

Nel giro di circa cinque minuti, l’elicottero percorse la stessa distanza che Sandy aveva impiegato sei faticosissime ore per coprire. Sandy stava giusto iniziando a domandarsi se fosse il caso di far nuovamente uso del sacchetto, quando il pilota indicò un punto davanti a loro. — Eccola — disse.

Era proprio lì. Il modulo di atterraggio hakh’hli riposava pacificamente sui suoi pattini in mezzo a un prato verdeggiante, con le deboli luci ausiliarie ancora accese nonostante il sole fosse ormai alto nel cielo.

La navetta sembrava incredibilmente piccola in mezzo a quell’ampio prato, e il suo aspetto non era certo dei migliori. A quanto pareva il viaggio e la tempesta non erano stati certo gentili con lei; la sottile pellicola che ricopriva la nave per proteggerla dai frammenti dei relitti in orbita intorno alla Terra era tutta bucherellata, in alcuni punti addirittura squarciata. La rete con la quale gli hakh’hli avevano tentato di ricoprire la navetta dopo l’atterraggio per nasconderla era stata strappata via dal vento, e nel complesso il velivolo sembrava a dir poco trasandato.

Ma la cosa che attirò maggiormente l’attenzione di Sandy fu che la navetta non era più sola nel prato. Era circondata da altri cinque velivoli. Velivoli terrestri. Si trattava di elicotteri abbastanza simili a quello sul quale si trovava lui, solo che alcuni erano decisamente più grandi. E tutt’attorno alla nave vi erano gruppi di persone. Persone terrestri. Alcune di queste persone imbracciavano telecamere, puntandole verso la nave, verso altri terrestri, o, soprattutto, verso gli hakh’hli.

Gli hakh’hli infatti erano usciti tutti e sei dalla loro navetta. Due di loro (sembravano Polly e Chiappa) stavano parlando davanti a una telecamera. Altri due rimanevano attaccati con fare possessivo alla ringhiera della scaletta della nave, mentre gli ultimi due stavano mettendosi in mostra con grande sfoggio di gioia e vigore per gli spettatori terrestri. Sfruttando la grande forza delle loro zampe posteriori nella debole gravità della Terra, i due stavano dedicandosi a un gioco terrestre che avevano visto in un programma televisivo per bambini che si chiamava “la cavalluccia”, compiendo lunghissimi balzi per scavalcarsi a vicenda a turni. Visti così, dall’alto, sembravano proprio delle rane.

Non appena Sandy scese dall’elicottero, Tania gli si avvicinò con due lunghi balzi. I due poliziotti si fecero indietro istintivamente, portando entrambi la mano sulla fondina della pistola. Non estrassero le armi però, e Tania si rivolse a Sandy in hakh’hli versando un’affabile lacrima. — Ti sei comportato male e non bene, Lisandro. Usa estrema cautela nel rivolgerti a queste creature terrestri finché non avremo ricevuto nuovi ordini!

Sandy era esterrefatto. — Quali nuovi ordini? — domandò. — Tu parli in modo confuso e non chiaro.

Tania però non rispose più in hakh’hli. Si limitò a dargli una piccola pacca di scherzoso rimprovero sulla testa, quindi riprese a parlare in inglese. — Ma adesso seguimi, Sandy! — esclamò. — Stiamo facendo un’intervista” alla “televisione” con questi simpaticissimi terrestri!

Sandy rivolse una smorfia di perplessità ai due poliziotti che lo avevano accompagnato fino a lì. L’uomo si limitò a scrollare le spalle, mentre la donna disse: — Vada pure, signore.

Così, Sandy seguì Tania verso le telecamere, iniziando a guardarsi attorno.

Il suo spirito stava iniziando a risollevarsi. Di giorno, il mondo era molto più grazioso e meno spaventoso di quanto Sandy non avesse potuto immaginare. Vi erano così tante cose! In tutta la sua vita, non aveva mai avuto la possibilità di guardare a una distanza superiore ai trenta metri, e ora poteva vedere a chilometri e chilometri di distanza in tutte le direzioni! Vi erano montagne! E nuvole! E fiumi! E poi, luminoso come non lo aveva mai nemmeno sognato, tanto forte da fargli dolere gli occhi se cercava di guardarlo direttamente, vi era il Sole!

Poi vi era anche Polly, una vista quasi altrettanto stupefacente, che piangeva lacrime di simpatia mentre, accovacciata su una pietra piatta, si rivolgeva a una mezza dozzina di telecamere. Non vi potevano essere dubbi riguardo al fatto che non stesse esattamente ubbidendo alle direttive impartite dai Grandi Anziani. Non solo non stava facendo alcun segreto della loro presenza sulla Terra, ma apparentemente la stava addirittura pubblicizzando! Non appena Sandy si avvicinò, le telecamere si distolsero da Polly per puntare i loro obiettivi nella sua direzione, e in quella di Obie e di Elena che si stavano avvicinando a balzelloni.

— Benvenuto sulla Terra! — esclamò Obie, in inglese.

— Oh, Mingherlino — aggiunse Elena in hakh’hli — questa volta l’hai veramente fatta grossa!

Sandy sbatté le palpebre. — Di che cosa stai parlando? — le domandò.

— Parla in hakh’hli! — ordinò Polly mentre balzava giù dalla pietra e gli si avvicinava con aria minacciosa. — Per colpa della tua follia e della tua incompetenza, ora siamo costretti a cambiare tutti i nostri piani!

— La mia follia?

— Sì, e la tua incompetenza — intervenne Obie con espressione di rimprovero. — Non sei riuscito a portare a termine la tua missione in maniera soddisfacente. Si sono accorti immediatamente che stavi mentendo e che non dicevi la verità.

— Va be’ — disse Sandy in tono umile — però non ho mica raccontato loro della grande nave, no?

— Non discutere! — sbottò Polly. — Dobbiamo occuparci di queste persone subito e senza altri ritardi! Mi sono già messa in contatto con la nave. Sappi che i Grandi Anziani non sono per niente felici del tuo operato, Sandy. Comunque sia, i fatti sono fatti; quando un uovo si schiude si schiude, quindi abbiamo ricevuto nuovi ordini. Dobbiamo esporre con chiarezza a questa gente il motivo della nostra venuta.

— Esporre con chiarezza? — domandò Sandy perplesso.

— Oh, per favore, Lisandro, cerca di comportarti come un hakh’hli, e non come un hoo’hik, se ti riesce. Limitati a seguire ciò che dico. Sorridi, e lascia che ti diano il benvenuto a casa. E ascolta con attenzione ciò che dirò loro!

A quel punto Polly si rivolse nuovamente verso le telecamere, parlando in inglese e versando lacrime di scusa. — Vi prego di perdonarci. Eravamo semplicemente preoccupati per il nostro caro amico Lisandro. Ora, possiamo procedere con l’intervista”.

Né Sandy né tantomeno gli altri hakh’hli della coorte erano mai stati “intervistati” prima di allora. Tuttavia, avevano assistito a innumerevoli “interviste” registrate nei vecchi programmi televisivi terrestri, e di fatto Polly si stava comportando come una vera e propria veterana dei “talk show”. Avvicinò Sandy a sé con decisione, afferrandogli la cintura con dolce fermezza mentre parlava nei microfoni delle telecamere. Se Sandy non fosse stato tanto occupato a fissare le apparecchiature terrestri, le persone, i fiori selvatici e le stesse pietre della Terra, avrebbe senz’altro ammirato l’atteggiamento della sua compagna di coorte. Polly infatti parlava in maniera chiara e convincente.

— Sì — stava dicendo — noi siamo gli hakh’hli, una razza tecnologicamente avanzatissima con una storia di circa 16.800 dei vostri anni. Siamo venuti fin qui per condividere con voi le nostre conoscenze, oltre che per restituirvi l’essere umano John William Washington (che noi chiamiamo Sandy). Egli è figlio di due astronauti, che abbiamo raccolto alla deriva nello spazio durante una delle vostre guerre, esattamente 56 anni fa. Lo abbiamo cresciuto e allevato come uno dei nostri. In quanto alla storia che ha raccontato ai vostri allevatori di animali, si trattava di una piccola, inoffensiva bugia inventata allo scopo di rendere meno traumatico il suo ritorno al pianeta d’origine, permettendogli di muoversi liberamente fra voi e di rimandare per quanto possibile l’inevitabile “pubblicità” che avrebbe accompagnato la notizia del suo arrivo e della sua identità. Inoltre, abbiamo anche ritenuto che fosse il caso di usare una certa cautela nell’avvicinarvi, poiché non sapevamo quali fossero le attuali condizioni di vita sul pianeta Terra e volevamo avere la possibilità di decidere con calma in quale modo rivelarvi la nostra presenza. Volevamo risparmiarvi, per quanto possibile, lo shock derivante dall’incontro con una razza di esseri superiori quale è la nostra. — Sbatté le palpebre in direzione delle telecamere con espressione affabile, quindi continuò. — E ora, se vorrete scusarci, dobbiamo tornare al nostro modulo di atterraggio. Ci scusiamo, ma si tratta di una vera necessità. È infatti giunta l’ora del nostro pasto di mezzogiorno, e data l’eccessiva lunghezza delle vostre giornate terrestri, non possiamo assolutamente attendere oltre. Vieni anche tu, caro Lisandro?

Quando i terrestri si resero conto che gli hakh’hli non scherzavano affatto quando si trattava di dedicarsi al pasto principale, si offrirono con grande sfoggio di ospitalità di fornire loro del cibo locale. Naturalmente, gli hakh’hli rifiutarono l’offerta senza pensarci su due volte. Erano troppo affamati per dilungarsi in ulteriori discussioni. Si accomiatarono quindi dal gruppo dei giornalisti e, uno per uno, salirono tutti quanti per la scaletta, chiudendosi lo sportello alle spalle.

Non appena furono dentro, Sandy ne approfittò per sfogare la sua incomprensione, in hakh’hli. — Che cosa è accaduto? — sbottò. — Per quale motivo i piani sono cambiati?

— Perché hai sbagliato — ribatté Obie in inglese con tono canzonatorio.

— Parla in hakh’hli, e non in inglese! — tuonò Polly. — Chissà di quali dispositivi di ascolto dispongono questi terrestri! Ma Oberon ha perfettamente ragione e per niente torto, Lisandro-Mingherlino. Hai portato a termine il tuo compito nel modo peggiore e non migliore. Le creature terrestri non hanno mai creduto alla tua storia. Come è possibile che tu ti sia comportato in maniera tanto sciocca e non saggia, Lisandro?

Anche Tania, che stava caricando in tutta fretta il carrello del pasto dal lato opposto della cabina, aveva da dire la sua. — La tua incompetenza ha rischiato di compromettere l’intero piano, Lisandro — disse.

— I Grandi Anziani sono molto contrariati e niente affatto felici — aggiunse Elena.

Persino Obie aprì la bocca per recriminare, e Sandy avrebbe dovuto subire senz’altro diverse altre ramanzine se Tania non avesse tirato fuori proprio in quel momento il pasto dal riscaldatore. Gli hakh’hli dimenticarono immediatamente Sandy per dedicarsi a un compito assai più gratificante.

Lo spazio ridotto della cabina non era certo sufficiente per permettere a tutti e sei di attaccare contemporaneamente il carrello del cibo. Sandy, come sempre, rimase in disparte ad aspettare che la frenesia alimentare scemasse, ma questa volta persino Obie, che era il più piccolo, non ebbe la possibilità di accedere al carrello. Tentò di infilarsi accanto a Polly, ma fu costretto a sfuggire a un possente pizzicotto di quest’ultima, andando a sbattere contro Sandy.

Sandy gli rivolse uno sguardo glaciale. — Mi dispiace per quel che ti ho detto prima — si scusò Obie. — Solo che la situazione qui non è proprio come me la aspettavo. Tutti questi terrestri non fanno altro che fissarci.

Sandy emise un piccolo grugnito. — Adesso sai che cosa ho provato io nel corso degli ultimi vent’anni — disse, compiaciuto per questa improvvisa inversione di ruoli… Compiaciuto fino a un certo punto, però, poiché il fatto di non essere più l’unico centro dell’attenzione in realtà non gli faceva poi tanto piacere.

Con la bocca piena, Polly si girò nella loro direzione con uno sguardo di fuoco. — Vi ho appena detto di parlare in hakh’hli, e non in inglese! — sbottò continuando a masticare. — E in ogni caso, è perfettamente normale che le creature terrestri ci fissino a quel modo. Per quanto sappiamo della storia antica terrestre, è normale che dei selvaggi primitivi si comportino così in occasione di una visita di esseri superiori dal punto di vista intellettuale e tecnologico. Sono certa che ci considerano come degli “dei”. — Detto questo, dando sfoggio della sua “deità”, Polly rifilò uno spintone a Chiappa e tornò a dedicarsi al suo pasto.

Obie ne approfittò immediatamente per lanciarsi nella mischia, lasciando Sandy da solo ad attendere la fine della furia mangereccia. Ma a Sandy non dispiaceva attendere un poco. A dir la verità, era letteralmente disgustato dalla vista della sua coorte che sbranava il cibo del pasto principale. Nella cucina degli allevatori di animali in cui era stato quella mattina il pasto si era svolto in maniera decisamente diversa. Nessuno si era buttato con foga sul cibo divorando qualsiasi cosa si trovasse di fronte. Perché allora gli hakh’hli non potevano comportarsi in maniera altrettanto… be’, dignitosa, nel corso dei loro pasti?

Ma vi era anche un altro pensiero che lo tormentava, e quest’ultimo era ancora più cupo del precedente. Come era possibile, si domandò, che il loro elaboratissimo piano di contatto iniziale fosse fallito così miseramente? Come avevano fatto i terrestri a scoprire così in fretta il luogo in cui era stato nascosto il modulo di atterraggio?

In fondo, il piano era stato elaborato dai Grandi Anziani in persona. Erano stati loro a decidere che la navetta dovesse rimanere nascosta mentre Lisandro, l’unico membro umano del gruppo, entrava in contatto con i terrestri e si assicurava che vi fossero le condizioni di sicurezza necessarie per intraprendere il primo contatto fra hakh’hli ed esseri umani. E non era assolutamente possibile che i Grandi Anziani avessero elaborato un piano sbagliato… O sì?

Solo che il piano era andato storto fin dall’inizio, e questo significava che i Grandi Anziani non avevano preso in considerazione tutti i fattori in gioco.

Il che era possibile.

Nel frattempo, gli hakh’hli della sua coorte stavano iniziando a perdere conoscenza, i loro occhi persi nel vuoto. Mentre si accasciavano uno per uno sulle loro poltrone, Sandy si avvicinò con aria dignitosa al carrello del cibo. Fece una selezione fra quanto era avanzato, quindi uscì dallo sportello e discese la scaletta per consumare il suo pasto nella gloriosa luce del sole terrestre.

Nel corso dei pochi minuti che aveva passato all’interno della navetta, era giunto un altro grande elicottero. Era completamente bianco, aveva un aspetto imponente e sul fianco vi era una scritta il cui significato Sandy non riuscì bene a capire: INTERSEC. I rotori stavano ancora girando quando si aprì lo sportello laterale e ne uscirono fuori una mezza dozzina di esseri umani.

Gli umani si incamminarono in direzione di Sandy mentre questi si sistemava su una pietra piatta per consumare il suo pasto di mezzogiorno. I giornalisti con le telecamere e persino gli agenti di polizia che ancora si trovavano sul posto assunsero un atteggiamento apparentemente deferente nei confronti degli ultimi arrivati.

— Buongiorno, signor Washington — esordì un uomo non appena il gruppo fu giunto davanti a Sandy. — Mi chiamo Hamilton Boyle.

Sandy si alzò in piedi, stando attento a non far cadere il contenuto del suo vassoio. Protese la mano alla maniera terrestre. — Piacere di conoscerla, signor Boyle — disse, recitando a memoria la formula che aveva imparato.

— Il piacere è mio… — iniziò Boyle, ma interruppe la frase a metà con un grugnito di dolore. Ritrasse la mano, massaggiandosela. — Però, che stretta! — aggiunse con tono sorpreso.

— Sono mortificato — disse immediatamente Sandy con sincero dispiacere. — Mi ero dimenticato di possedere una forza decisamente superiore alla vostra. È per via della gravità della nave, sapete, che è di 1,4 G. Volete… — Ebbe un attimo di esitazione, nel corso del quale tentò di ricordarsi quale fosse la forma di comportamento terrestre adeguata. Comunque fosse, un’offerta di cibo non poteva certo essere interpretata come un’offesa. — Volete assaggiare un po’ di questi? — domandò, offrendo una manciata di wafer.

Boyle ne accettò uno e lo esaminò con cura. — Non credo che lo assaggerò — disse in tono dubbioso. — Non adesso, almeno. Di che cosa si tratta esattamente?

Una delle femmine umane del gruppo stava arricciando il naso. Sandy si domandò che cosa vi fosse che non andava. — Questa carne — disse, mostrando il pezzo che aveva in mano, — è di hoo’hik. Si tratta di un tipo di animale da macello. Il wafer che ha in mano è composto in gran parte da tubero tritato. I pezzettini in mezzo sono frammenti di una specie di animale che vive nell’acqua. È comunque composto quasi interamente di carne, non ha ossa e i suoi organi interni possono essere estratti con estrema facilità.

— Come un gambero? — si azzardò a proporre uno degli altri terrestri.

— Non so che cosa sia un “gambero” — si scusò Sandy. — In ogni caso, questi wafer sono composti da ciò che vi ho appena detto; tubero tritato mischiato con animali proteici. Sono molto buoni. Siete sicuri che non volete assaggiarne nemmeno un poco?

Il terrestre che aveva parlato per primo assunse un’espressione tentata e disgustata allo stesso tempo. Annusò il wafer con aria circospetta.

— Io ci starei attenta se fossi in te — disse la femmina umana che gli stava accanto.

— In effetti puzzano un po’ di pesce — assentì l’uomo di nome Boyle. — Ma lei li mangia, non è vero signor Washington?

— Li ho mangiati per tutta la vita.

La femmina umana scoppiò a ridere. — Be’, non si può dire che non goda di ottima salute — disse rimirandolo dalla testa ai piedi. — Anzi, forse è fin troppo ben nutrito.

Sandy si sentì compiaciuto. Era quasi certo di aver appena ricevuto un complimento. Non vi potevano essere dubbi riguardo al fatto che fosse decisamente più forte rispetto a qualsiasi terrestre (anzi, a qualsiasi altro terreste, si corresse) ed era quasi altrettanto sicuro del fatto che, agli occhi delle femmine umane, questo rappresentasse un grande vantaggio dal punto di vista della riproduzione. Si domandò con ansia quando avrebbe avuto l’occasione di mettersi alla prova. Non in quel momento, naturalmente. Sapeva bene che, come regola generale, gli esseri umani non compivano l’anfilassi in pubblico. Tuttavia, era certo che sarebbe avvenuto molto presto! — Come? — domandò, distaccandosi dalle sue fantasie erotiche.

— Le ho chiesto da dove prende le sue vitamine — ripeté una delle femmine umane.

— Vitamine?

— Sostanze chimiche indispensabili per il funzionamento del corpo umano, minerali e così via.

— Oh, non credo di saperne molto a proposito — rispose Sandy in tono di scusa. — Temo che dovrete domandarlo a Chiappa. Sono gli esperti nutrizionali che si occupano di certe cose; loro sanno esattamente ciò di cui abbiamo bisogno, e dosano di conseguenza il contenuto del nostro pasto principale. Esso contiene tutto ciò che è necessario per il nostro nutrimento giornaliero. Il latte con i biscotti invece è tutt’altra cosa, è solo ciò che voi definireste uno… “spuntino”, credo. — A quel punto fu costretto anche a spiegare in che cosa consistesse il “latte con i biscotti”. — Di solito lo prendiamo sei volte al giorno — disse — ma qui sulla Terra, dato che le giornate sono molto più lunghe, immagino che dovremmo prenderlo un po’ più spesso. Non so come ci comporteremo riguardo al pasto di mezzogiorno. Non so se vorranno fare più di un periodo di intontimento al giorno…

Detto questo, naturalmente, fu costretto a spiegare anche che cosa fosse il “periodo di intontimento”. L’uomo di nome Boyle emise un sospiro, prese il wafer, che aveva tenuto in mano fino a quel momento, lo avvolse in un fazzoletto e se lo infilò in tasca.

— Non le dispiace se me lo tengo, vero signor Washinton? — domandò. — Sono sicuro che i nostri esperti in chimica alimentare saranno entusiasti di poterlo studiare… Non è che magari mi potrebbe anche dare qualche altro avanzo del vostro pasto?

— Certo. Sempre ammesso che vi siano avanzi, intendo — disse Sandy con tono compiacente. — Penso che usciranno dalla navetta in circa… — Consultò il suo orologio da polso e compì una rapida conversione dal tempo hakh’hli a quello terrestre. — …in circa 47 minuti e mezzo del vostro tempo.

In quel momento Sandy sentì un forte frastuono proveniente dal cielo. La donna del gruppo, una femmina piccola dalla carnagione scura, alzò lo sguardo e poi si rivolse a Boyle. — Sta arrivando Marguery — disse.

— Bene — rispose Hamilton Boyle senza staccare gli occhi da Sandy. Boyle era un uomo alto e piuttosto magro. Per quanto Sandy non fosse in grado di giudicare l’età di un essere umano, era quasi certo che Boyle fosse uno dei meno giovani fra quelli che si trovavano attorno alla navetta hakh’hli. Doveva trattarsi di un uomo piuttosto serio, pensò Sandy, anche se sorrideva molto di frequente. — Signor Washington — disse Boyle. — Dobbiamo assolutamente parlare con i suoi… uh, amici, non appena sarà possibile. Stiamo facendo arrivare qui un aereo a decollo verticale, e speriamo che ci permetterete di portarvi tutti quanti in un luogo più confortevole per discutere con calma.

Sandy si ritrovò infastidito dall’avere contemporaneamente due domande diverse alle quali trovare una risposta. Così, decise di scartare “Che cos’è un aereo a decollo verticale?” in favore di: — Non capisco che cosa intenda con un luogo più confortevole, signor Boyle. Mi sembra che il luogo in cui ci troviamo sia sufficientemente confortevole. — Fu costretto ad alzare la voce poiché nel frattempo era apparso il velivolo e stava sfrecciando nel cielo nella loro direzione. Si fermò a mezz’aria, cambiando l’assetto degli alettoni e dei propulsori, quindi si abbassò lentamente verso il suolo. Il rumore era assordante, ma non si trattava di un elicottero; le ali del velivolo erano quasi simili a quelle del modulo di atterraggio hakh’hli.

L’assordante ruggito dei propulsori si arrestò di colpo. — Intendevo dire in una città — disse Boyle con tono persuasivo. — Qui non c’è nulla per voi, solo campi e montagne. Vorremmo avere la possibilità di darvi un benvenuto come si deve, in un luogo più civilizzato.

— Penso che dovremmo chiederlo a Polly — replicò Sandy, ma in realtà non stava più ascoltando. Lo sportello dell’aereo a decollo verticale, sulla cui fiancata vi era la stessa scritta, INTERSEC, si era appena aperto, e ne era uscita una femmina umana molto alta. La donna si avvicinò al gruppo con fare determinato, squadrando Sandy dalla testa ai piedi.

— Caspita — disse con tono di ammirazione. — Sei piuttosto grosso, eh?

— Anche tu lo sei — sussurrò Sandy alzando lo sguardo verso la donna. Non era massiccia e corpulenta come lui all’altezza della vita, ma era alta almeno almeno quanto gli altri uomini che si trovavano lì. Sandy si sentì sciogliere il cuore.

E fu così che Sandy incontrò Marguery Darp.

9

Il surriscaldamento dell’atmosfera della Terra dovuto alla continua immissione di biossido di carbonio era una realtà comprovata già verso la metà del ventesimo secolo; tuttavia, gli effetti di questo surriscaldamento iniziarono a diventare realmente tangibili solo verso l’inizio del ventunesimo secolo. Solo allora infatti si poté registrare un aumento della temperatura media annuale del globo di circa quattro gradi rispetto a quella registrata nel corso dei precedenti dieci-quindicimila anni. Nel frattempo, gli esseri umani hanno trovato un sacco di altre cosette ingegnose da fare alla loro aria. Hanno lacerato lo strato di ozono con l’uso di fluorocarburi, lo hanno appesantito con aerosol acidi, e ne hanno persino modificato il colore con i radionucleidi. Ciò nonostante, gli effetti più interessanti sono stati proprio quelli causati dal surriscaldamento dell’aria. All’equatore, le temperature sono rimaste più o meno uguali. Ai poli invece sono decisamente cambiate. L’acqua dei ghiacci che si sciolgono si riversa in fiumi delle dimensioni del Nilo dalle calotte dell’Antartide e della Groenlandia. Stranamente, le zone più temperate dell’emisfero settentrionale non si sono surriscaldate molto. Nel continente nordamericano si registrano temperature solo leggermente al di sopra della media, mentre in Europa fa addirittura più freddo di prima. L’Europa ha infatti sofferto gravemente del cambiamento delle correnti oceaniche dovuto al nuovo massiccio afflusso di acqua fredda dai poli. Essendo decisamente meno densa rispetto al resto della massa acquosa degli oceani terrestri, la nuova ondata di acqua fredda ha in sostanza arrestato quelle correnti di acqua calda che venivano sospinte regolarmente dai tropici verso l’Europa, moderando così gli inverni del Vecchio continente. L’Oceano Pacifico, al contrario, non viene più refrigerato dal ritorno di quelle stesse correnti. Questo fatto non ha prodotto grandi cambiamenti alle terre che si affacciano sull’Oceano Pacifico, ma in Europa sono cambiate molte cose rispetto a prima. Tanto per fare un esempio, città come Madrid e Montecarlo godono ora di un clima che una volta poteva essere associato a città come Chicago.

Obie fu il primo componente della coorte ad apparire sulla porta della navetta dopo il periodo d’intontimento. Si produsse in un ampio sbadiglio, si diede una grattatina, poi vide Sandy e lo salutò con un cenno della mano. A quel punto si girò, presentando la sua tozza coda al pubblico presente, afferrò la ringhiera metallica della scaletta con i possenti pollici e le dita “tutrici” e si lasciò scivolare fino a terra, dove piombò con un forte tonfo. Si girò verso coloro che lo circondavano con una grande risata. — Oh, Sandy — esclamò con gioia. — Non trovi che sia meravigliosa questa gravità così ridotta? Mi sento di poter fare un balzo di un chilometro.

— Ti prego, non farlo — disse Sandy, rivolgendo un sorriso imbarazzato ai suoi nuovi amici terrestri. A quel punto fece la sua comparsa anche Tania, e Sandy presentò i due hakh’hli ai nuovi arrivati. Fece qualche errore nel pronunciare i loro nomi, Miriam Zuckerman, Dashia Ali, Hamilton Boyle, ma non ebbe alcuna esitazione quando si trattò di presentare Marguery Darp. Sandy osservava la donna con attenzione, tentando di percepire che cosa stesse pensando in base all’espressione del suo volto. Non riuscì a percepire un granché. La donna sorrideva, annuiva e pronunciava cortesi parole di benvenuto, ma nonostante ciò Sandy percepiva un certo imbarazzo in lei. Era evidente che tutti gli umani presenti si stavano dando un gran da fare per non apparire in alcun modo… come dire, offensivi. Naturalmente, era inevitabile che gli umani fossero sconvolti dal loro primo incontro con degli alieni. Mettendosi nei panni di un terrestre, Sandy osservò i suoi compagni di coorte; in effetti, degli alieni simili a canguri, alti un metro e venti che venivano fuori da un’astronave e si mettevano a parlare inglese erano qualcosa di strabiliante, qualcosa che avrebbe senz’altro destato molta curiosità. Soprattutto se si comportavano come Oberon, che continuava a prodursi in incredibili e gioiosi balzi nell’aria.

— Il tuo amico — gli disse Marguery Darp indicando Oberon — è proprio un grande saltatore, non è vero?

— Be’, è una grande tentazione per lui — spiegò Sandy. Stava resistendo con grande eroismo all’impulso di mettere anche lui in mostra la sua forza da 1,4 G.

— In ogni caso — intervenne Tania — non dovrebbe mettersi continuamente in mostra a quel modo. — Fece un cenno di comando in direzione di Oberon, e quando questi si avvicinò con espressione perplessa gli si rivolse in tono severo. — Ti stai comportando come uno sciocco, Oberon. Questa femmina terrestre è molto delusa dal tuo comportamento.

Obie assunse un’espressione afflitta, ma Marguery Darp si affrettò a rinfrancarlo. — Oh, niente affatto signor, ah, Oberon! Niente affatto! Anzi, trovo che i suoi salti siano qualcosa di magnifico. L’unica cosa che vorrei suggerirle è… be’, perché non indossa un cappello? Lo strato di ozono è ancora piuttosto sottile qui a nord.

Obie la fissò esterrefatto. — Strato di ozono? Cappello?

Fu Hamilton Boyle che si assunse l’onere della spiegazione. — Il tenente Darp è preoccupato per le radiazioni ultraviolette dei raggi del sole, signor Oberon. Da quando lo strato di ozono della nostra atmosfera si è indebolito, abbiamo avuto parecchi problemi con le radiazioni; tumori della pelle, danni all’agricoltura e moltissimi casi di gravi scottature. Siete soggetti a scottature dovute all’eccessiva esposizione ai raggi del sole voialtri?

Obie rivolse uno sguardo perplesso verso Sandy. — No, non lo sa — intervenne Sandy. — Nessuno di noi lo sa. Non siamo mai stati esposti alla luce del sole prima d’ora.

— Allora sarà meglio che vi procuriamo dei cappelli — disse Marguery Darp con tono deciso. — E probabilmente avrete anche bisogno di qualcosa per coprire le vostre… ah, braccia.

— Meglio ancora — disse Boyle con un sorriso — potremmo portarvi tutti quanti in un luogo chiuso. Che ne direste di accettare il nostro invito e venire in città? C’è un sacco di spazio nel nostro aereo.

— Andare in città? — squittì Obie.

— Naturalmente, bisogna domandarlo a Polly — intervenne Tania. Detto questo girò su se stessa e risalì la scaletta.

— La prego, le dica che si tratta di un invito ufficiale da parte del governo del Commonwealth dello Yukon, che vorrebbe darvi il benvenuto sulla Terra! — gridò Boyle alle sue spalle. Poi si rivolse di nuovo a Sandy e Oberon. — Vi prometto che vi piacerà — aggiunse. — Dawson è una vera e propria città, e vi posso garantire che vi troverete a vostro agio.

Marguery stava annuendo con fare incoraggiante.

— Oh, ne sarei felice — disse Sandy.

— Polly non ce lo permetterà mai — aggiunse Obie con tono cupo.

Quando Polly, in maniera decisamente più decorosa rispetto a Obie, scese finalmente dalla navetta, il suo volto era ricoperto di lacrime di benevolenza. — Ma certo che accettiamo il vostro invito di recarci alla città di Dawson — disse. — Il nostro consigliere, ChinTekki-tho, mi ha chiesto di ringraziarvi da parte sua per l’invito. Sfortunatamente, però, non potremo venire tutti quanti.

— Ma nel nostro aereo c’è spazio abbondante per tutti — intervenne Marguery Darp.

— Il problema non è la capacità della vostra nave; si tratta di una questione di semplice necessità. Alcuni di noi dovranno rimanere presso il modulo di atterraggio come misura precauzionale; se lasciassimo la navetta incustodita, qualche terrestre potrebbe entrarci dentro e rischiare di farsi del male. Inoltre, vi è molto lavoro da fare sulla navetta, poiché bisogna riparare i danni riportati durante l’ingresso nella vostra atmosfera. La rete di protezione va sostituita, tanto per fare un esempio. Potete constatare voi stessi le condizioni in cui si trova.

— Spero che non avrete intenzione di ripartire subito? — domandò Boyle con una smorfia.

— Le nostre intenzioni non contano — disse Polly. — Noi riceviamo le nostre direttive dai Grandi Anziani, e dobbiamo ubbidire ai loro ordini. Tuttavia, posso dirvi che il modulo di atterraggio non ripartirà immediatamente. Alcuni di noi verranno con voi in città. Naturalmente, dovremmo portarci dietro delle provviste, così almeno avremo qualcosa da mangiare.

— C’è un sacco di roba da mangiare a Dawson — intervenne nuovamente Marguery Darp.

Polly agitò il capo. — Ma temo che si tratti solo di cibo terrestre. Comunque sia, io e Lisandro verremo con voi, e porteremo anche… — Si guardò attorno, emise un sospiro, quindi concluse la frase. — Oberon. Penso che sia lui l’elemento meno indispensabile. Gli altri rimarranno qui con il modulo di atterraggio.

Il volo con l’aereo a decollo verticale di Marguery Darp fu duro almeno quanto quello con la navetta; persino Obie si sentì male. Tuttavia, quando atterrarono finalmente a Dawson, Sandy ebbe la possibilità di vedere per la prima volta una città terrestre. — Com’è grande! — esclamò, fissando gli altissimi edifici. Alcuni erano alti addirittura 30 metri!

— Oh, non è poi così grande — gli disse Marguery Darp con tono rassicurante. — Questa è solo Dawson, la capitale del Commonwealth dello Yukon. In tutto il Commonwealth vivranno al massimo 25.000 persone, e per la maggior parte non vivono nemmeno a Dawson ma fuori, in campagna.

Ancora una volta, a Sandy dispiacque non poter porre più di una domanda alla volta. — Commonwealth dello Yukon? — ripeté in tono perplesso.

— È così che si chiama questa zona — spiegò la donna. — Ora non abbiamo più grandi paesi, sai, quelli che prima si chiamavano nazioni. Abbiamo solo una serie di commonwealth; circa 10.000 in tutto il mondo. Credo che il più grande commonwealth del continente nordamericano sia quello di York, che si trova sulla costa orientale, e anche quello avrà al massimo 250.000 abitanti. La regione in cui siete atterrati si chiama Inuit, mentre questa è lo Yukon. Più a sud c’è il Commonwealth di Athabasca, dove ci sono le grandi fattorie. A ovest invece…

— Non possiamo entrare in città? — domandò Sandy interrompendo la lezione di geografia.

— Sì — aggiunse Obie con ansia — così almeno potremmo mangiare qualcosa. Magari anche un vero milkshake?

— Ma certo — disse Marguery con un sorriso. — Avanti, c’è un’auto che ci aspetta.

L’auto in realtà era un “furgoncino”, un veicolo a quattro ruote simile a una scatola dotato di sedili abbastanza grandi da ospitare anche gli hakh’hli. Non appena furono tutti dentro, il furgone si mosse rapidamente verso la città. I tre visitatori presero a fissare incuriositi ogni cosa; Obie iniziò a chiacchierare in continuazione con tono eccitato, Polly assunse un atteggiamento di superiorità e Sandy sgranò letteralmente gli occhi a ogni singola meraviglia della città terrestre che vedeva. Non riusciva a fare a meno di ridacchiare in continuazione fra sé, cosa che portò a far sorridere anche Marguery Darp. I due hakh’hli stavano letteralmente sbavando per l’eccitazione.

Questa parte del pianeta infatti non era affatto simile a ciò che avevano avuto modo di vedere gli hakh’hli nei loro nastri registrati. Naturalmente, vi erano le automobili. Gli hakh’hli avevano visto innumerevoli film terrestri in cui gli umani in automobile si inseguivano a vicenda lungo le loro “autostrade”, e di conseguenza sapevano benissimo che aspetto avessero le automobili terrestri. Queste però erano diverse. Ve ne erano a tre e a quattro ruote, aperte e chiuse, grandi e piccole. Anche gli edifici erano diversi. Vi erano pochissimi “grattacieli”, e anche gli edifici con molti piani (l’albergo in cui li portò Marguery ne aveva 25) erano per la gran parte sottoterra. — Tanto qui durante l’inverno c’è comunque pochissima luce — spiegò Marguery — quindi non c’è un granché da vedere. Inoltre, rimanendo sottoterra ci teniamo riparati dal vento.

— Il vento non sembrava poi tanto forte — intervenne Obie dando sfoggio della sua grande esperienza in materia. In fondo, aveva già avuto modo di vedere venti ben più forti, come quello in cui si erano trovati nel corso dell’atterraggio.

— Oggi non è per niente forte — disse Marguery. — Qui siamo abbastanza lontani dalla costa, e quindi non abbiamo tanti uragani come quello in cui vi siete imbattuti voi quando siete atterrati. Però a volte soffia un vento che noi chiamiamo chinook, e quando arriva ti stacca i capelli dalla testa… be’, naturalmente non dalla tua testa, Oberon. Comunque sia, ora andiamo che vi faccio sistemare nelle vostre stanze.

Per “sistemarsi” dovettero prima “registrarsi” alla “reception” dell’”hotel”. Quando compirono questa operazione, non erano da soli. Non erano mai da soli. La gente si affollava sempre attorno a loro fissandoli con gli occhi sgranati, e gli hakh’hli non avevano alcuna possibilità di sfuggire alle telecamere se non nell’intimità delle loro stanze.

Delle loro stanze individuali.

Questo solo fatto era bastato di per sé a stupirli tutti quanti. Che cosa significava dormire da soli? Oberon e Polly dichiararono immediatamente che avrebbero condiviso un angolo del pavimento di una sola stanza (non erano ancora pronti a provare un “letto”) ma Sandy invece decise che, dato che si trovava sulla Terra, doveva fare come i terrestri. — Ma così dovrò dormire solo con Polly! — si lamentò Obie. — Avrò freddo!

— Oh, lascia che il terrestre faccia ciò che gli pare e piace — disse Polly in tono irritato. — Ma rimani con noi mentre chiamo il modulo di atterraggio via radio, Lisandro. Dobbiamo verificare che stia andando tutto bene.

Naturalmente, andava tutto bene. Tania rispose immediatamente alla prima chiamata e disse che era tutto a posto, solo che alcuni terrestri avevano chiesto loro di poter dare un’occhiata all’interno del modulo di atterraggio. — È assolutamente fuori questione — disse Polly indignata. — A meno che ChinTekki-tho non vi dia un contrordine specifico, non dovete assolutamente fare entrare nessuno all’interno della navetta. Vi siete mantenuti in contatto con la nave madre?

— Certo — rispose Tania. — I Grandi Anziani stanno prendendo in considerazione la questione proprio in questo momento. Inoltre, vogliono effettuare personalmente una “trasmissione” per i terrestri. Ho parlato con ChinTekki-tho, e ha detto che nel corso del prossimo contatto radio ci spiegherà come fare il collegamento dalla nostra navetta.

Polly deglutì. — E i Grandi Anziani sono… be’, soddisfatti del nostro operato?

— Non hanno detto di non esserlo — riferì Tania.

A quel punto Polly interruppe il contatto, con una lacrima di sollievo.

Un attimo dopo, Marguery bussò alla porta. — Sandy? — domandò. — Ho pensato che questo potrebbe essere un buon momento per andare a fare un po’ di compere.

— Oh, certo — disse Sandy con entusiasmo. — Ho sempre desiderato vedere un supermercato terrestre.

— Mmm — replicò Marguery scuotendo il capo. — Certo, è una buona idea, ma magari possiamo farlo in un’altra occasione. Al momento invece pensavo di portarvi in un negozio di abbigliamento. I tuoi amici hakh’hli hanno bisogno di cappelli per proteggersi dal sole, e penso che anche tu ti troveresti decisamente più a tuo agio se ti cambiassi quegli strani abiti che hai addosso.

L’ingresso di Sandy nel mondo degli esseri umani era qualcosa di meraviglioso per lui. Era anche un po’ spaventoso, e a volte anche un po’ ripugnante, ma nel complesso era tutto così… Be’, forse la parola migliore rimaneva sempre meraviglioso. La cosa più fantastica della Terra era comunque lo spazio. Ve ne era così tanto, ed era così pieno di cose interessanti! Vi erano laghi, fattorie, edifici e persone… Ma la cosa forse più sconcertante di tutte per Sandy erano gli odori. Da un certo punto di vista anche questi erano un po’ preoccupanti, e occorreva un certo tempo per abituarvicisi, dato che non avevano proprio nulla a che vedere con gli odori della nave hakh’hli; in ogni caso, Sandy aveva trovato interessante (anche se fino a un certo punto) persino l’odore del mucchio di letame che si trovava dietro alla stalla delle mucche. Gli odori della città di Dawson, poi, erano ancora più variati. Ve ne erano alcuni curiosi, come quelli della cucina umana o del sudore, e altri dolci, come quelli dei fiori e dell’erba. Poi, vi erano gli odori del tutto speciali e particolari delle donne. Marguery emise una risatina quando Sandy le fece una domanda in proposito, ma poi lo aiutò a identificarli per quel che erano; profumo, sapone, lacca per capelli e un leggero, ma decisamente stimolante odore naturale della pelle. La somma di tutto ciò costituiva l’odore caratteristico della femmina umana, e il risultato faceva contrarre i muscoli della pancia di Sandy in maniera strana e inaspettata.

La femmina umana non usciva mai dai pensieri di Sandy, soprattutto adesso che aveva accanto a quel fantastico esemplare.

Trovava piuttosto curioso (anche se non aveva mai ricevuto un’educazione tale da fargli pensare che fosse qualcosa di sgradevole) il fatto che fosse costretto ad alzare lo sguardo ogni volta che le rivolgeva la parola. Marguery doveva essere alta almeno 180 centimetri. Era anche molto forte per essere una femmina umana, venne a sapere Sandy, anche se a lui sembrava molto esile. I lunghi capelli rossi di Marguery cadevano in due trecce ondeggianti, i suoi occhi erano verdi e il suo naso era leggermente aquilino. Sandy era piuttosto stupito dal fatto che fino ad allora, nei venti e più anni della sua vita, non si fosse ancora reso conto che le caratteristiche della femmina umana ideale fossero proprio i capelli rossi intrecciati, gli occhi verdi e il naso leggermente aquilino.

L’unico motivo per il quale non pensava solo ed esclusivamente a lei era che, in effetti, vi erano moltissime cose diverse da vedere e da fare che erano quasi altrettanto eccitanti. Una di queste era lo shopping. Quando giunsero al luogo in cui si facevano le compere, Sandy lesse il cartello che sovrastava l’entrata:

BERNEE’S

Appena sotto, vi erano altri cartelli con le seguenti scritte:

JEANS

TUTE

ABBIGLIAMENTO SPORTIVO

CASUAL

I cartelli erano qualcosa di letteralmente affascinante per Sandy; erano illuminati di colori vivaci, si muovevano davanti ai suoi occhi e, soprattutto, vi si potevano leggere messaggi misteriosamente e seducenti così ineffabilmente umani, come per esempio l’indecifrabile:

AL GIOVEDÌ VALORE DOPPIO AI PUNTI SCONTO!

Tuttavia, nonostante il continuo lampeggiare dei cartelli, a quanto pareva i tre nuovi arrivati erano gli unici che si erano fermati a osservare le scritte. Tutti gli altri infatti, dai commessi ai clienti del negozio, si erano fermati per fissare a bocca aperta Obie e Polly.

Obie stava nuovamente mettendosi in mostra; aveva trovato una scarpa enorme (non si trattava di un articolo in vendita ma di un oggetto da esposizione per la vetrina) e la stava paragonando con la sua immensa zampa. Le sue risate misero Sandy in imbarazzo, ma quando rivolse una rapida occhiata a Marguery Darp si rese conto che anche lei stava ridendo, il che doveva significare con ogni probabilità che il gesto di Obie non rappresentava alcun tipo di offesa.

Comunque fosse, il processo implicato nel “fare le compere” era qualcosa di realmente affascinante. Qui non si trattava di finto “shopping” come quello che avevano fatto nel corso delle loro lezioni sulla nave; qui si trattava realmente di prendere dei “soldi” e di scambiarli con un “commesso” per ottenere quindi degli “abiti”.

— A dir la verità — gli disse Marguery Darp — adesso non avete bisogno di soldi.

— Davvero?

— Oh, no. Siete nostri ospiti. Ci penserà l’InterSec a pagare il conto dell’hotel, le spese di viaggio e quel genere di cose. Tuttavia, se ci tieni a fare delle spese personali e vuoi pagarle di tasca tua…

— Sì, lo vorrei — disse Sandy con decisione. — Come faccio per avere dei “soldi”?

Non fu affatto difficile. Marguery prese un paio delle sue pepite d’oro e tornò poco dopo con un mazzetto alto un pollice di foglietti di carta rettangolari stampati.

— Questi dovrebbero bastarti per un bel po’ — disse. — Non credi?

— C’è un intero sacco d’oro a disposizione oltre a quello che ti ho dato — dichiarò Sandy tutto orgoglioso. Nel frattempo, aveva iniziato a dare un’occhiata agli abiti disponibili nel negozio, rendendosi conto fin da subito del fatto che i vestiti che gli erano stati confezionati nei laboratori della nave hakh’hli non avevano proprio nulla a che vedere con gli “originali terrestri”. I pantaloni, per esempio, non erano qualcosa di rigido, liscio e privo di pori. I “veri” pantaloni erano composti di tessuti morbidi e porosi che, chissà come, rimanevano comunque dotati di piega; al loro interno vi era spesso una fodera ancora più morbida, e in più erano dotati di “cerniere lampo” sulla parte anteriore, che potevano essere aperte facilmente in caso di necessità (era così che facevano, allora!). Le “cravatte”, poi, non erano affatto delle semplici strisce di tessuto. Venivano cucite come delle specie di tubi, e al loro interno vi era qualcosa di rigido che le manteneva piatte. E in quanto alle scarpe, anche queste non erano affatto un blocco unico di plastica foggiato su misura. Erano composte da vari materiali, fra cui un tessuto morbido per la parte superiore, un materiale duro per le suole e un altro materiale altrettanto duro ma più cedevole per i tacchi. Le giacche avevano le tasche anche all’interno, e le cinture non erano dei semplici ornamenti; andavano infilate nei passanti dei pantaloni, e servivano a tenerli su. I cappelli, poi, non servivano solo a riscaldare la testa, ma anche a proteggerla dai raggi del sole. Poi vi erano le calze, le mutande, le canottiere… insomma, era tutto completamente diverso… e anche decisamente meglio, pensò Sandy.

L’unico problema era che nessuno di questi meravigliosi capi di abbigliamento sembrava essere della “misura” di Lisandro Washington.

Riusciva a fatica a infilarsi i capi delle misure più grandi, solo che poi un maglione adatto al suo possente torace diventava un grembiule, con le maniche che pendevano oltre le punte delle dita, e le gambe di un pantalone giusto di vita andavano arrotolate moltissime volte. Marguery però si affrettò a spiegargli che si trattava di piccole difficoltà facilmente superabili. Bastava pagare qualche centinaio di “dollari” in più, e i “sarti” del negozio (umani assunti appositamente per foggiare gli abiti costruiti dalle fabbriche a seconda delle varie esigenze delle diverse strutture umane) avrebbero fatto in modo che gli abiti gli calzassero perfettamente. — Basta che scegli i vestiti che preferisci — gli disse Marguery — e poi li faremo adattare. — Rivolse uno sguardo preoccupato verso la parte opposta del negozio, dove Obie e Polly stavano spiegando con tono rauco a un gruppo di persone i nomi in lingua hakh’hli di varie parti del corpo come “piede”, “testa” e altre parti meno pubbliche dell’anatomia umana. — Scusami un attimo — disse a Sandy. — Sarà meglio che vada a vedere che cosa sta succedendo.

Così, Sandy ebbe la possibilità di vagare un poco per conto suo in mezzo a tutte quelle meraviglie. Vi era un numero incredibile di articoli di abbigliamento. Erano destinati a tutte le parti possibili dell’anatomia umana, ed erano disponibili in tanti di quei tessuti e in tanti di quei colori da fargli girare la testa… Per non parlare poi dei bottoni, delle stringhe, delle cerniere, dei polsini, delle tasche, delle toppe, delle frange, dei merletti e di tutte le altre cose più disparate che venivano applicate ai vari capi o che facevano addirittura parte della struttura degli abiti stessi. Alcune servivano per motivi pratici, altre erano puramente ornamentali, mentre altre ancora, decise Sandy, erano solamente delle idiozie belle e buone. (Tanto per fare un esempio, a che cosa poteva servire un capo intimo con un buco all’altezza degli organi genitali? Forse, pensò Sandy, si trattava di un adattamento concepito per l’organo maschile, che era sporgente… Ma allora come mai quel capo si trovava nel reparto riservato alla “lingerie femminile”?)

In quel momento notò una giovane donna che lo fissava sbalordita a bocca aperta. Era appena uscita da una specie di nicchia sopra la quale vi era la scritta “spogliatoio” e indossava un bikini. Forse, pensò Sandy, non avrebbe dovuto trovarsi in quel particolare reparto del negozio. Si allontanò in tutta fretta, e si ritrovò nel reparto “abbigliamento maschile”. Qui vi erano lunghissime file, di almeno venti metri ciascuna, solo di “giacche” o “pantaloni” o “completi formali”.

Sandy continuò a vagare finché non si trovò nel reparto riservato alle scarpe. Qui si fermò per ammirare i materiali lucidissimi di cui erano composte. Alcune erano talmente lucide che ci si poteva addirittura specchiare dentro, per quanto la sua immagine risultasse un poco distorta sulle superfici curve. E poi vi erano di quei colori incredibilmente belli… un paio era color lavanda con dei brillanti verdi incastonati, uno era color pesca con cuciture azzurre, uno scarlatto, giallo e arancione… Si domandò per quale motivo Marguery gli avesse mostrato solo quelle nere e marroni, che erano molto più cupe, quando ve ne erano di così allegre… Inoltre, tutte le scarpe che gli aveva proposto la femmina terrestre erano del tipo piatto e basso, mentre qui ve ne erano di bellissime e di coloratissime, con alti tacchi che avrebbero potuto aumentare la sua altezza di almeno dieci centimetri.

Sandy sorrise internamente. Evidentemente, a Marguery non piaceva l’idea che lui diventasse più alto di lei. Comunque fosse, aveva trovato le scarpe che gli piacevano. Ne prese due paia e marciò con convinzione verso la “cassa”, dove domandò alla commessa esterrefatta: — Ne avete della mia misura, per favore?

Fu Marguery che gli chiarì la situazione una volta per tutte. A quanto pareva, i terrestri di sesso maschile indossavano un tipo di scarpa, mentre quelli di sesso femminile ne indossavano un altro tipo. E naturalmente quelle con il tacco alto erano riservate alle femmine. A parte questo, le compere di Sandy si svolsero con grande facilità, non solo perché comprare cose sulla Terra veniva considerata una cosa normalissima, ma anche perché gli stessi commessi e sarti erano letteralmente entusiasti di offrire i loro servigi allo straniero proveniente dall’astronave aliena. L’intero negozio si fermò, e tutto il personale si dedicò alle richieste di Sandy. In quanto agli altri clienti, non sembrarono risentire molto di questa situazione; anzi, si affollavano tutti attorno a Sandy incuriositi, e alcuni uomini arrivarono persino fino al punto di sbirciare attraverso le tendine quando era nello spogliatoio. Sandy non percepì alcun tipo di ostilità da parte di tutta quella gente. Certo, erano molto curiosi, ma più che altro li trovava ospitali. Ospitali.

Finalmente, era a casa sua.

L’unica cosa che lo preoccupava realmente era il fatto che, con tutti quegli umani attorno a lui, e in particolare con tutte quelle femmine umane (nessuna così grande e gloriosa come Marguery Darp, ma tutte ugualmente e decisamente femmine), non riusciva a fare a meno di provare una certa eccitazione.

A un certo punto, una commessa che stava aiutando a prendere le misure dei suoi pantaloni divenne paonazza in volto, sorrise e scostò lo sguardo; diverse persone fra quelle radunate attorno a loro emisero risatine imbarazzate, e Sandy si rese conto con stupore che il suo stato di eccitazione sessuale era tale da risultare visibile attraverso i pantaloni. Che cosa doveva fare in un caso simile?

Fra gli hakh’hli, un’occasione del genere sarebbe stata senz’altro salutata con felicità ed entusiasmo. Qualsiasi femmina che si trovasse nei paraggi si sarebbe offerta subito di collaborare. Solo che non si trovava fra gli hakh’hli.

Nessuno degli svariati film a cui Sandy aveva avuto modo di assistere spiegava esattamente come si facesse ad ottenere le grazie di una femmina umana. Eppure, Sandy ne aveva studiati parecchi in maniera a dir poco assidua alla ricerca di indizi in proposito. Il problema non era il fatto che non esistessero dei protocolli definiti. Di fatto, i rituali dell’accoppiamento erano il soggetto principale della gran parte dei film terrestri, soprattutto di quelli in cui il ragazzo e la ragazza si cantavano canzoni d’amore a vicenda e ballavano al suono di un’orchestra invisibile. Tanto per fare un esempio, Sandy avrebbe potuto interpretare benissimo il ruolo di Fred Astaire quando, con un solo sguardo, si rendeva immediatamente conto del fatto che Ginger Rogers era l’unica donna al mondo che desiderasse e, dopo essere stato respinto con apparente disgusto, riusciva a sciogliere il cuore di ghiaccio di Ginger Rogers cantando a bassa voce nel suo orecchio, facendole ballare un valzer o un tango finché, nel finale, se la portava via a ritmo di tip tap verso, si presumeva, un letto. Solo che a Sandy non era ancora capitato di sentire quell’orchestra invisibile, e inoltre non sapeva ballare il tip tap.

Poi vi erano quei film nei quali il ragazzo salvava la ragazza dai “nemici” nel corso di una “guerra”, oppure la salvava dai “gangster” o dai “terroristi”, e poi naturalmente andava a letto con lei. Solo che non vi era nessuna guerra in corso.

Infine, vi erano quelli ancora più espliciti, in cui il ragazzo e la ragazza entravano separatamente in un “single bar” (qualunque cosa fosse), lei si sedeva con una bevanda in mano e lui si avvicinava e le sedeva accanto. Poi si scambiavano dei commenti in codice. Il codice era abbastanza facile da decifrare, ma difficile da duplicare. Simili conversazioni avevano due livelli di significato ben distinti, e Sandy non era sicuro che le sue abilità linguistiche gli permettessero un simile livello di conversazione. Tuttavia, a quanto pareva, questo era il metodo più diretto di tutti, poiché non appena i due avevano ricevuto i rispettivi segnali di riconoscimento, si passava immediatamente alla fatidica domanda: “Casa tua o casa mia?”.

L’unico aspetto incoraggiante di quella situazione, pensò Sandy, era che lui in effetti aveva una casa, una camera d’albergo tutta sua… Ma dove si trovava il “single bar”, il luogo appropriato per fare il suggerimento? Fra l’altro, dove avrebbe trovato il tempo per fare una cosa del genere? Non appena gli sistemarono i primi indumenti (gli altri sarebbero stati consegnati il giorno seguente), Marguery lo trascinò via dal negozio.

— E Polly e Obie? — domandò Sandy guardandosi alle spalle, dove i due hakh’hli stavano ancora parlando con un gruppo di terrestri.

— Hanno i loro accompagnatori personali — rispose Marguery. — Naturalmente il popolo della Terra è interessato soprattutto a te, e per questo abbiamo organizzato un’intervista televisiva per te solo. Lo studio si trova a un solo isolato di distanza.

La donna lo trascinò con sé fino a un edificio molto diverso rispetto a quello del negozio. Si trattava di un caso quasi unico a Dawson, poiché tutti e dieci i piani dell’edificio si trovavano al di sopra del livello del suolo. Lo “studio” si trovava all’ultimo piano. — Questo è uno studio televisivo — lo informò Marguery. Gli rivolse uno sguardo compiacente. — Sei molto elegante — aggiunse.

— Davvero? — domandò Sandy con gratitudine. Quando passarono davanti a uno specchio, si fermò per ammirare i suoi nuovi abiti; un paio di pantaloncini beige, una camicia a maniche corte aperta davanti per mettere in mostra il suo petto, un paio di sandali e calzini al ginocchio con una banda rossa all’estremità. — Immagino che sia proprio così — dichiarò orgoglioso. — Cosa dobbiamo fare adesso?

— Dobbiamo entrare qui dentro — rispose Marguery conducendolo in un’ampia sala nella quale si trovavano una decina di persone munite di telecamere. Le telecamere erano tutte puntate su di lui.

Un uomo con un maglione a collo alto color blu scuro gli si avvicinò con la mano tesa. — Mi chiamo Wilfred Morgenstern — disse, contraendo appena il viso mentre Sandy si ricordava di non stringere troppo forte. — Sono l’intervistatore. Cosa ne direbbe di raccontarci tutta la sua storia, partendo dall’inizio?

Sandy si guardò attorno con aria perplessa, ma vide Marguery che annuiva con fare incoraggiante. — Be’ — iniziò — molti anni fa, quando la Terra era impegnata in una grande “guerra”, la nave hakh’hli è arrivata nel vostro sistema solare nel corso delle sue esplorazioni…

L’intervista fu piuttosto lunga, e quando fu terminata Marguery si avvicinò a Sandy e gli si rivolse in tono molto cordiale. — Vorresti andare a mangiare qualcosa prima di tornare all’albergo? — gli domandò. — Credo che sia stata una giornata molto lunga per te.

Sandy annuì subito con entusiasmo; la giornata era stata effettivamente molto lunga per lui, non solo per il numero di cose che erano accadute, ma anche per il numero di ore che erano trascorse; le giornate terrestri di 24 ore erano decisamente più impegnative rispetto a quelle degli hakh’hli. — Però c’è ancora luce fuori — notò, indicando una finestra.

— Durante l’estate le giornate sono molto lunghe in questa parte del mondo — spiegò Marguery. — Infatti qui è normale che la gente vada a letto con il sole ancora alto nel cielo.

Ma Sandy non la stava più ascoltando. Si era avvicinato alla finestra, e la vista lo aveva lasciato letteralmente senza fiato. Il sole stava quasi tramontando, e il cielo era un vero e proprio ammasso di colori stupefacenti, con le soffici nubi che assumevano tinte dal bianco al rosa, dal malva all’arancione… — È meraviglioso! — esclamò Sandy.

— Sono solo nuvole — rispose Marguery. — Probabilmente fanno parte di quella tempesta che hai visto nel Commonwealth dell’Inuit. Non hai mai visto le nuvole prima d’ora? — aggiunse incuriosita.

— Non abbiamo nuvole nella nave hakh’hli — disse Sandy. — Figurati che non esiste nemmeno una parola in lingua hakh’hli per descriverle. Quando gli hakh’hli devono parlare delle nuvole, le chiamano “ita’hekh na’hnotta ‘ha”, che significa… vediamo un po’, uh, “particelle di fase liquida sospese in fase gassosa”.

— Molto interessante — disse Marguery. — Spero che in futuro mi insegnerai anche della altre parole hakh’hli.

— Con grande piacere — ribatté prontamente Sandy, poi si sorprese con uno sbadiglio. In effetti, forse aveva realmente sonno. — Potrò vederti anche domani? — domandò.

— Ma certo che mi vedrai, Sandy. Io sono la tua accompagnatrice personale. Mi vedrai tutti i giorni per un bel po’ di tempo.

Sandy si produsse in un grande sorriso di gratitudine. — Allora riportami all’hotel. Mangerò il latte coi biscotti assieme a Obie e Polly.

Poi, pensò, vi era anche un’altra cosa che voleva fare all’albergo. La poesia stava già prendendo forma nella sua mente.

10

I fluorocarburi non si limitano a intrappolare il calore, ma danneggiano anche lo strato di ozono dell’atmosfera terrestre. Gli esseri umani sono consapevoli di questo fatto fin dalla metà del ventesimo secolo, ma naturalmente ciò non è stato sufficiente per convincerli a fare qualcosa per arrestare il processo. Gli umani hanno infatti continuato a produrre queste sostanze e a riversarle nell’atmosfera come se nulla fosse. In fondo, si guadagnavano un sacco di soldi, e apparentemente sulla Terra vigeva una filosofia del tipo “Meglio un dollaro oggi che una vita salvata domani”. Così, l’abbattersi dei raggi ultravioletti sull’indifesa superficie terrestre per circa tre quarti di secolo ha avuto effetti notevoli. Gli alberi dell’Alaska, quasi sempre coperti da nubi, si sono salvati (almeno nei punti in cui non è caduta troppa pioggia acida). Quelli dei limpidi cieli scandinavi invece non hanno avuto la stessa fortuna. La forza bruciante dei raggi del sole, combinata con quella dei violenti venti caldi, ha danneggiato le terre agricole più fertili che esistevano sulla Terra. Ciò nonostante, i terreni coltivabili rimasti risultano più che sufficienti a sfamare l’intera popolazione mondiale, ma questo solo grazie al fatto che i terrestri sono ora in numero decisamente inferiore rispetto a prima. I fattori che hanno portato a una diminuzione così sensibile della popolazione sono state le grandi inondazioni seguite allo sciogliersi dei ghiacci, la distruzione dello strato di ozono, le piogge acide, i forti venti e… Sì, c’è stato anche un altro fattore determinante. Si tratta di una cosa che ora non esiste più, poiché si è praticamente estinta da sola, ma ai suoi tempi era uno dei più efficaci regolatori dell’incremento della popolazione. Si trattava di una malattia; una malattia chiamata Aids.

Il mattino seguente, quando Marguery Darp bussò alla porta di Sandy, lo trovò già sveglio. A dir la verità Sandy era già sveglio da almeno due ore, e aveva trascorso quel tempo libero esplorando le varie novità contenute all’interno della sua stanza, provando gli strani strumenti del bagno e fissando incuriosito tutto ciò che era visibile al di fuori della finestra. Soprattutto, però, aveva trascorso il suo tempo preparando una sorpresa per Marguery.

Le sue intenzioni erano state quelle di consegnargliela non appena l’avesse vista, ma non ne ebbe la possibilità. Marguery infatti arrivò di tutta fretta, scusandosi per il ritardo, e lo trascinò subito con sé fino allo studio televisivo per un colloquio in diretta con la grande nave hakh’hli. Sandy quindi decise di rimandare a più tardi la sua sorpresa. In effetti poteva benissimo permettersi di rimandare quel piacere, dato che vi erano molte altre cose piacevoli da sperimentare nel corso di quella giornata. La seconda giornata di Sandy sulla Terra si prospettava infatti ancor più gioiosa della prima. Ora non aveva più tanta paura di sbagliare, soprattutto perché era finalmente riuscito a imparare almeno i rudimenti del comportamento umano. Aveva imparato l’uso dei bagni, l’uso degli ascensori e aveva persino imparato lo “shopping”. In più, nel corso della giornata avrebbe anche avuto l’occasione di dare alla donna che amava la sorpresa che teneva nascosta nella sua tasca.

Quando scesero nell’atrio dell’albergo, Sandy scoprì che i suoi compagni di coorte hakh’hli non condividevano affatto il suo stato di felicità. Polly e Obie si trovavano in piedi accanto ai loro accompagnatori personali, Hamilton Boyle e l’altra donna chiamata Miriam Zuckerman, e Obie stava lamentandosi apertamente. — Ho fame — dichiarò non appena vide arrivare Sandy. — Polly dice che non possiamo ancora consumare il nostro pasto principale, ma io sono sveglio da ore.

— Non è ancora il momento — intervenne Polly con tono severo. Era evidente, comunque, che anche Polly stesse soffrendo di quelle lunghissime giornate terrestri che sembravano non avere mai fine.

Obie non pareva affatto consolato da questa dichiarazione. — Avremmo dovuto iniziare ad allenarci a vivere con questi stupidi orari molto prima — dichiarò con voce lamentosa.

— Ti ci abituerai — lo rassicurò Sandy, anche se in verità anche lui era ben lontano dall’essersi abituato agli orari della Terra. Tuttavia, nel suo caso ciò non sembrava avere alcuna importanza. Si sentiva come se non avesse nemmeno bisogno di dormire. Quando Hamilton Boyle diede un’occhiata al suo orologio e disse che vi era abbastanza tempo per fare una “veloce colazione”, assentirono tutti prontamente.

Tuttavia, proprio mentre stavano per uscire dalla porta dell’albergo, Boyle fermò la comitiva allungando una mano. — Avete indossato i vostri cappelli? — domandò, passandoli in rassegna uno per uno. — Bene. C’è anche un’altra cosa, però. È assai probabile che i raggi ultravioletti non facciano per niente bene ai vostri occhi, quindi Miriam dovrebbe avere qualcosa per voi.

La donna di nome Miriam Zuckerman tirò fuori una serie di occhiali dalle lenti a specchio (li chiamò “occhiali da sole”) e ne consegnò un paio particolarmente grande a Sandy e altre due paia ancora più grandi costruite appositamente agli hakh’hli. Quelli per Polly e Obie erano dotati di un elastico da passare dietro la testa. Marguery aiutò Sandy a indossare i suoi, quindi si fermò a fissare il suo orecchio.

— Cos’è quell’aggeggio che hai nell’orecchio? — gli domandò.

— Penso che sia ciò che voi chiamereste un apparecchio acustico — rispose Sandy con un certo imbarazzo. — A dir la verità, sono un po’ sordo. Sai, fra l’atmosfera della nave hakh’hli e quella della Terra vi è una certa differenza, e nella nostra sezione della nave veniva mantenuta l’atmosfera terrestre. Così, fin da piccolo dovevo passare in continuazione dalla nostra sezione ad altre sezioni della nave, e per questo mi si sono rovinate le orecchie. Per fortuna, gli hakh’hli hanno costruito questo apparecchio per me.

— Interessante — intervenne Boyle. — Ti spiace se diamo un’occhiata al tuo orecchio, più tardi? Abbiamo dei dottori molto competenti per queste cose.

— Noi hakh’hli abbiamo ottimi dottori — sentenziò Polly in tono asciutto.

— Oh, non ne dubito. Tuttavia, può darsi che i nostri abbiano un minimo di esperienza in più per quanto riguarda l’anatomia umana. Comunque sia, andiamo al ristorante, altrimenti arriveremo in ritardo allo studio.

— Io preferirei mangiare latte con biscotti in camera — intervenne Obie con impazienza.

— Non è ancora l’ora del latte coi biscotti — lo rimbrottò immediatamente Polly. — Se hai veramente fame, puoi provare un po’ di questo cibo terrestre; fra l’altro, sarebbe anche utile scoprire se sei in grado di digerirlo o meno.

— Perché, tu non hai intenzione di provarlo? — le domandò Hamilton Boyle con gentilezza. — Secondo i nostri biologi, abbiamo più o meno lo stesso tipo di metabolismo.

Polly gli rivolse uno sguardo incuriosito. — E come fanno i vostri biologi a sapere una cosa del genere? — domandò.

Boyle assunse un atteggiamento leggermente imbarazzato. — Be’, naturalmente abbiamo analizzato i campioni di cibo che ci ha gentilmente fornito Lisandro…

— Ma davvero! — disse Polly rivolgendo a Sandy uno sguardo di fuoco. — Avremo modo di discuterne in seguito. Comunque sia, vi basti sapere che non sono ancora pronta a provare il cibo terrestre su me stessa. Un astronomo come Oberon può anche essere sacrificato, ma io sono a capo di questa spedizione, e di conseguenza non posso permettermi di rischiare un’intossicazione alimentare.

I sensi di Sandy erano assaliti da una moltitudine di odori, colori, sapori, sensazioni e rumori, tutti affascinanti, sconosciuti, misteriosi e decisamente terrestri. In particolare, era deliziato dagli odori della Terra: sudore, profumo, piedi, cannella, caffè appena fatto, resina di pino, fognatura, rose, gardenie, pepe, pane fresco, carne arrosto, cavolo bollito, escremento di cane calpestato, erba appena tagliata, biancheria appena lavata, olio bollente, marciapiede bagnato. Poi vi erano i colori, a dir poco emozionanti: le montagne erano verdi, marroni, bianche, rosso ruggine e grigio fango, mentre la pelle umana poteva essere color cioccolato, olivastra, rosa o addirittura di un nero che dava quasi sul violaceo o di un bianco quasi spettrale. Non aveva mai pensato che gli hakh’hli usassero una gamma di colori limitata rispetto ai terrestri, eppure era proprio così; sulla Terra vi erano colori incredibilmente vivaci, come per esempio quelli dei loro veicoli su ruote, le automobili e i camion, che andavano dal bianco fino al blu cobalto o al giallo limone. Anche gli abiti terrestri presentavano ogni colore possibile, per non parlare degli stupendi cartelli luminosi, che lampeggiavano (giorno e notte!) con tutti i colori dello spettro.

In ogni caso, la cosa della Terra che lo affascinava maggiormente rimanevano sempre gli esseri umani, le persone che si fermavano per fissarli, che si protendevano dai finestrini a bocca aperta, che gridavano puntualmente i loro amichevoli saluti. E fra tutti questi, naturalmente, vi era una persona in particolare che lo affascinava più di tutte le altre. Attraversando la strada, Marguery gli prese gentilmente la mano. Sandy venne percorso da un brivido a quel contatto, e non le mollò la mano nemmeno quando si trovarono al sicuro sul marciapiede opposto. Marguery gli rivolse uno sguardo neutro, forse incuriosito, ma non oppose resistenza, tenendogli la mano finché non si trovarono davanti alla porta girevole del ristorante, dove la lasciò per farlo entrare davanti a lei.

Erano attesi. La cameriera li condusse immediatamente verso un tavolo apparecchiato per sei. Attorno al tavolo vi erano quattro sedie più due spazi vuoti per Oberon e Polly. Gli altri clienti del ristorante si voltarono incuriositi nella loro direzione mentre i due hakh’hli si accovacciavano per terra con le teste press’a poco alla stessa altezza di quelle dei loro “amici” umani seduti.

La varietà di cibo terrestre disponibile era a dir poco sconcertante. Vi era un intero menu dedicato alla “prima colazione” più un altro completamente diverso per il “pranzo”. Hamilton Boyle spiegò che potevano scegliere qualsiasi cosa desiderassero da entrambe le liste. Né Sandy né gli Hakh’hli però avevano mai avuto la possibilità di scegliere cosa mangiare nel corso di un pasto, e Sandy infatti era decisamente confuso e indeciso sul da farsi. La maggior parte dei nomi elencati sul menu gli erano abbastanza familiari… anche se solo fino a un certo punto. Tanto per fare un esempio, che cosa potevano essere le “uova benedict” o il “guacamole di avocado”? Non ebbe alcun problema nel riconoscere sul menu cose come gli hamburger, le patatine fritte, i milkshake, i gelati e i panini al formaggio, ma quando i tre accompagnatori terrestri ordinarono e offrirono loro piccoli assaggi di prova di quegli stessi cibi, Sandy si ritrovò ancor più perplesso di prima. Nessuna di quelle cose infatti assomigliava nemmeno lontanamente ai “cibi terrestri” che erano stati somministrati alla coorte sulla nave nel corso dell’addestramento agli usi e ai costumi terrestri. E certamente non avevano nulla a che vedere con il cibo che veniva fornito loro tutti i giorni sulla nave. Polly si rifiutò categoricamente di assaggiare alcunché, e iniziò a mangiucchiare alcuni biscotti hakh’hli che si era portata dietro.

Sandy invece decise di essere più temerario… o forse più testardo. In fondo, perché mai avrebbe dovuto trovare alieno il cibo umano se lui stesso era un essere umano? Non era affatto facile però, e infatti alla fine dovette farsi assistere da Marguery, che ordinò per lui. Felicemente, Sandy scoprì che era perfettamente in grado di apprezzare le semplici patate bollite che la sua accompagnatrice scelse per lui, e in seguito passò addirittura a una fetta di pane tostato. Qualsiasi altra cosa risultava molto strana per lui, e quel poco che assaggiò degli altri piatti non gli parve per niente appetitoso.

Oberon invece non si lasciò intimorire dalla novità, e ordinò una serie di piatti. Un’omelette alla francese, un avocado ripieno di polpa di granchio, un hamburger, un “texas chili dog” e una serie di altre cose di cui Sandy non conosceva il nome. Alla fine Obie riuscì a mandare giù un poco del suo hamburger, ma tutto il resto gli parve decisamente troppo strano, tanto che si mise a supplicare Polly di dargli qualche biscotto, che una volta ottenuto masticò con avidità. Tuttavia, Obie si rallegrò immediatamente quando gli venne servito il “dolce”. Si trattava di “gelato”. Al primo cucchiaino sgranò gli occhi per la sorpresa, ma subito dopo dichiarò che era qualcosa di “delizioso”. — È freddo! — esclamò con allegria. — Non credevo che si potessero mangiare cose refrigerate, ma è proprio buono!

— Sempre ammesso che non ti avveleni — intervenne Polly in tono cupo.

La comunicazione con ChinTekki-tho sulla grande nave interstellare giunse loro grazie a una combinazione di tecnologia umana e hakh’hli. Il segnale proveniente dalla nave veniva infatti trasmesso direttamente alla console delle comunicazioni del modulo di atterraggio, che si trovava ancora nel Commonwealth dell’Inuit, dove una telecamera umana posta davanti allo schermo della console ritrasmetteva le stesse immagini al resto del mondo. Quando Polly sentì la voce di Chiappa che forniva questa spiegazione tecnica, si allarmò immediatamente. — Ma questa procedura è sbagliata e niente affatto consigliabile! — sbottò in hakh’hli. — Non avete il permesso di far accedere alcun terrestre all’interno della nostra navetta!

— La tua critica è scorretta e niente affatto accurata — ribatté Chiappa con decisione. — L’autorizzazione ci è giunta direttamente da ChinTekki-tho in persona.

— Ma una cosa del genere non avrebbe mai dovuto accadere! — continuò Polly indignata. Poi però si ricompose, rivolgendosi agli esseri umani che si trovavano nello studio con un’amichevole lacrima. — Stavo semplicemente verificando la situazione con i miei compagni di coorte. È tutto pronto, e fra poco sarete in grado di ricevere il messaggio del nostro leader personale, l’Anziano ChinTekki-tho.

— Ne siamo onorati — disse Hamilton Boyle in tono cortese. — Anche se non abbiamo potuto fare a meno di domandarci per quale motivo gli hakh’hli della nave non abbiano deciso di trasmettere direttamente alle nostre stazioni riceventi terrestri, invece che passare attraverso la vostra navetta.

— Si è trattata senz’altro di una decisione dei Grandi Anziani — spiegò Polly — e sono certa che avevano i loro buoni motivi per prenderla. Se i Grandi Anziani prendono una decisione, hanno sempre degli ottimi motivi.

Nello schermo dello studio, l’immagine di Chiappa si voltò di scatto per ascoltare qualcosa, quindi si rivolse nuovamente nella loro direzione. — Ho appena ricevuto il segnale di avvertimento; manca un dodicesimo di dodicesimo all’inizio della trasmissione — disse. — ChinTekki-tho è pronto a parlare.

In quel momento l’immagine negli schermi dello studio cambiò; ora non si vedeva più l’interno del modulo di atterraggio, bensì l’immagine ricevuta dalle antenne della navetta.

La ricezione era pessima. Nonostante gli sforzi compiuti dai tecnici umani e hakh’hli, i due sistemi di trasmissione non sembravano essere molto compatibili, e il risultato era che l’immagine veniva continuamente offuscata da disturbi statici di tinte multicolori. Ciò nonostante, quando il volto sorridente di ChinTekki-tho apparve sullo schermo, Sandy riconobbe immediatamente il suo vecchio tutore.

— Salute a tutti — esordì ChinTekki-tho nel suo inglese corretto e preciso versando una lacrima di felicità. — È un grande onore per me essere il primo Anziano hakh’hli a rivolgersi direttamente ai nostri amici e fratelli, gli esseri umani del pianeta Terra. Come vi hanno già detto i nostri amici della prima spedizione, siamo venuti in pace e in amicizia. Come voi umani, anche noi hakh’hli abbiamo una tradizione secondo la quale l’ospite visitatore deve sempre portare qualcosa in dono ai suoi anfitrioni — (Sandy si produsse in una smorfia, poiché non aveva mai sentito parlare di quella tradizione in precedenza, ma Polly mimò un pizzicotto con i pollici, convincendolo a tacere) — ed è proprio per questo che vi abbiamo portato in dono un membro della vostra stessa razza, John William Washington, meglio conosciuto dai suoi amici hakh’hli con il nome Lisandro. Abbiamo deciso di riportarlo al suo pianeta nativo come prova delle nostre buone intenzioni. — A quel punto ChinTekki-tho sorrise e si protese in avanti, verso la telecamera. — Sei in buona salute, Lisandro? — domandò. — Sei felice di essere di nuovo fra la tua gente?

Sandy percepì lo sguardo penetrante di Polly su di sé. — È meraviglioso, ChinTekki-tho — disse subito in tono rispettoso. — Sono molto felice di essere qui.

Attese una risposta, ma l’Anziano si limitò a fissare lo schermo con espressione amabile. Naturalmente, pensò Sandy, la nave hakh’hli si trovava a una certa distanza dalla Terra, e di conseguenza anche un segnale che viaggiava alla velocità della luce avrebbe impiegato un certo tempo per essere trasmesso nei due sensi. Dopo qualche minuto, ChinTekki-tho agitò il capo con fare compiaciuto. — Mi fa molto piacere, Lisandro. Ma ora lasciate che passi ad altri argomenti. Noi hakh’hli abbiamo anche molti altri doni da offrire al popolo della Terra, quindi penso che sia il caso che mi dilunghi per spiegare la natura di alcuni di questi doni. Premetto innanzitutto che noi hakh’hli siamo perfettamente consapevoli di alcuni dei vostri problemi principali. Saremo quindi felici di mettere a vostra disposizione alcune tecniche specifiche per l’eliminazione di residui radioattivi e di altre sostanze inquinanti. Inoltre, possiamo anche fornirvi un metodo per produrre geneticamente nuove varietà vegetali da piantare nelle vostre foreste devastate al fine di sopperire più rapidamente allo squilibrio dovuto all’eccesso di biossido di carbonio.

ChinTekki-tho lasciò scorrere una lacrima caritatevole lungo il suo volto e si concesse una pausa affinché gli umani registrassero appieno quanto aveva appena detto. — Inoltre — continuò — vi è anche la questione dell’energia. I propulsori principali della nostra nave sono in grado di produrre quantità enormi di energia, e sono felice di comunicarvi che siamo perfettamente in grado di trasformare questa energia in elettricità e di convogliarla con un raggio in qualsiasi punto del pianeta voi desideriate. Questo è un dono completamente gratuito. Non dovrete fare altro che costruire degli apparecchi ricevitori. Poi, vi è l’apparecchio che noi chiamiamo “acceleratore elettromagnetico”. Penso che il termine terrestre corrispondente possa essere “trampolino orbitale”. Grazie a questo dispositivo, sarete nuovamente in grado di lanciare i vostri satelliti nello spazio. Questi infatti potranno essere lanciati attraverso la fascia di relitti orbitanti a grande velocità, con un margine di rischio da un minimo di due a un massimo di cinque dodicesimi. Si tratta di un margine abbastanza basso da essere considerato accettabile, soprattutto perché le capsule non avranno bisogno di alcun tipo di propulsore o carburante; il loro costo di produzione e di esercizio sarà talmente basso da permettere un margine di anche sei dodicesimi o più.

Si concesse un’altra pausa, producendosi in un ampio sorriso. — Infine — disse — abbiamo una grande esperienza in diverse questioni scientifiche che i vostri scienziati forse non hanno ancora nemmeno affrontato. Dato che la nostra nave ha viaggiato molto e osservato molto, abbiamo anche una profonda conoscenza di molti sistemi solari distanti dal vostro. Ebbene, desideriamo mettere a vostra totale disposizione anche queste nozioni. Per provarlo, vorrei mostrarvi ora alcune immagini tratte dal nostro archivio astronomico.

A quel punto ChinTekki-tho scomparve dallo schermo e la sua immagine venne sostituita da una serie di fotografie. Purtroppo si trattava di immagini di pessima qualità, proprio per la differenza fra i sistemi di trasmissione umani e quelli hakh’hli, ma a prescindere da ciò nessun astronomo umano aveva mai visto immagini del genere.

A ogni cambio di immagine sullo schermo, la voce di ChinTekki-tho spiegava ciò che stavano vedendo. — Questa è la stella che voi chiamate Alfa Centauri fotografata a una distanza di non più di mille raggi. Qui vengono mostrati i planetoidi di Epsilon Eridani; come potete vedere, ve ne sono molti, solo che sono tutti piccoli e non posseggono atmosfere degne di interesse. Il nostro compagno Oberon comunque vi potrà dare ulteriori delucidazioni in merito. Ora stava vedendo immagini del vostro sole e della stessa Terra vista dalla nostra astronave in fase di avvicinamento.

Terminate le fotografie astronomiche, il volto sorridente di ChinTekki-tho riapparve immediatamente sullo schermo. — E questo è solo l’inizio, miei cari amici terrestri — disse. — Il mio caro pupillo, Oberon, è uno specialista in astronomia abilitato. — Nello studio televisivo, Oberon si guardò attorno agitando il capo in un gesto affermativo. — Ha portato con sé nel modulo di atterraggio una cellula di memoria contenente innumerevoli dati, e sulla grande nave ne ha a disposizione almeno diecimila volte tanti. Lui potrà fornirvi qualsiasi notizia o dato desideriate in campo astronomico. Inoltre, i nostri esperti negli altri campi saranno felici di istruire i vostri specialisti terrestri per quanto riguarda scienze e tecnologie a voi sconosciute. Noi hakh’hli vi offriamo tutto ciò come regalo in quanto vostri ospiti.

— Si concesse ancora una pausa, nel corso della quale rivolse un grande sorriso in direzione della telecamera.

— E ora — disse — vi devo lasciare. Ma ci risentiremo presto. Sono sicuro che avremo modo di comunicare ancora molte volte, nel corso di questa nuova epoca di amicizia fra le nostre razze che abbiamo oggi aperto.

L’immagine scomparve dallo schermo. Marguery emise un sospiro e si raddrizzò sulla sua poltrona. — Sai — disse a Sandy in tono abbastanza casuale — trovo ancora difficile credere in tutto ciò.

— Credici — affermò Sandy con decisione. — Gli hakh’hli hanno un sacco di cose da darvi… Volevo dire, da darci.

Hamilton Boyle gli rivolse uno sguardo un po’ perplesso. — Ah, non ho dubbi in merito — disse. — Stavo solo chiedendomi: chissà cosa vorranno in cambio?

Non appena la trasmissione ebbe termine, i due hakh’hli si affrettarono a tornare all’albergo con i loro accompagnatori per il pasto principale. — E tu? — domandò Marguery a Sandy. — Hai fame? Vorresti magari bere qualcosa prima di pranzare?

Sandy ebbe un attimo di esitazione. Non perché fosse in dubbio su che cosa volesse fare, anzi, era più che sicuro di volere soprattutto rimanere solo con Marguery Darp, ma più che altro perché era un po’ incerto sulle modalità da seguire. — Vuoi dire andare a bere un milkshake? — domandò.

— In verità stavo pensando a un tipo di bevanda un po’ diversa — rispose Marguery con un sorriso. Detto questo, lo trascinò con sé fino al bar che si trovava in cima all’edificio.

Quando Sandy scoprì che “una bevanda un po’ diversa” significava in realtà una bevanda alcolica, rimase esterrefatto. — Ma l’alcol è un veleno, non è vero?-domandò.

— Be’, in effetti lo è — rispose Marguery. — Solo che è un veleno speciale. Aiuta a rilassarsi, sai? E inoltre bere qualcosa prima di mangiare stimola l’appetito. Senti, facciamo così; ti ordino una cosa leggera, vino bianco con gazzosa, con solo un pochino di vino. Va bene?

La parola “vino” era come una parola magica per Sandy. — Oh, sì! — disse con entusiasmo. Un bicchiere di vino sarebbe stato perfetto come introduzione alla sorpresa che aveva in serbo, pensò. Sandy sapeva bene che sulla Terra il vino era quasi sempre associato in qualche modo all’amore. Tuttavia, quando arrivò il suo bicchiere, Sandy lo assaggiò e alzò subito lo sguardo verso Marguery con un’espressione fra il sorpreso e il disgustato. — Sembra andato a male — disse.

— Non è andato a male — ribatté Marguery. — È fermentato. È così che si fa il vino, lasciando fermentare l’uva.

— È fermentato e andato a male non sono forse la stessa cosa? — domandò Sandy. Ma decise di non insistere più di tanto su quel punto. Era più che determinato a fare tutto ciò che facevano gli umani per procurarsi una femmina. Il secondo sorso non gli piacque certo più del primo, ma allo stesso tempo si rese conto che lo stava invadendo da una specie di strano calore. Decise che, dopotutto, poteva anche abituarsi a quel tipo di bevanda.

Infilò una mano in tasca con un sorriso per prendere la sua sorpresa, ma nel frattempo Marguery si era già alzata in piedi. — Andiamo fuori sul terrazzo — disse. — C’è una vista splendida.

Era vero. Sandy si guardò attorno, osservando la città di Dawson e la campagna che la circondava. La situazione era più che propizia per la presentazione della sua sorpresa. Sandy rimase in piedi mentre la sua accompagnatrice si sedeva su una panchina. — Marguery — disse — ti voglio dare una… ahi!

Si colpì il collo con uno schiaffo. Quando ritrasse la mano, scoprì che vi era una macchia di sangue fresco.

— Che cos’era? — domandò allarmato.

Marguery gli ispezionò il palmo. — Una zanzara, credo — disse in tono rassicurante. — Sei stato sfortunato, perché di solito non ce ne sono molte così in alto. Comunque sia, ne abbiamo veramente tante in questi ultimi anni. Prima se le mangiavano gli uccelli, ma ora gli uccelli sono stati pressoché decimati, proprio come noi umani. Cosa stavi per dirmi prima?

Sandy si sedette, grattandosi il collo. — Solo che ho una cosa da darti — rispose con una smorfia di dolore. Aveva programmato una presentazione molto più aggraziata, ma in quel momento il collo gli prudeva un po’ troppo.

Marguery prese in mano il foglio e lo spiegò con aria incuriosita. Si trattava della poesia che Sandy aveva scritto per lei quel mattino:

— Mio Dio — disse Marguery alzando lo sguardo verso Sandy.

— Ti piace? — domandò Sandy in tono carico di aspettativa.

Marguery non rispose immediatamente. Lesse nuovamente la poesia con grande attenzione, quindi rivolse a Sandy uno sguardo perplesso. — E questa immagine dovrei essere io? — domandò.

— Ma no, Marguery — rispose Sandy con tono imbarazzato. — Non si tratta esattamente di una tua immagine. Le poesie hakh’hli sono così, e questa si limita a suggerire la tua immagine.

— Insomma, mi hai fatta come se assomigliassi a un uomo.

— Oh, no! Niente affatto! Non trovo assolutamente che tu assomigli a un uomo, cara Marguery. Ma se ti ho arrecato qualsiasi tipo di offesa…

Marguery scoppiò a ridere e gli appoggiò un dito sulle labbra. — Ma no, Sandy, non mi hai offesa per niente. Anzi, trovo che sia un gesto molto carino. Non credo che nessuno abbia mai scritto una poesia per me in precedenza. È solo che…

Sandy attese umilmente la conclusione della frase. — Sì?

Marguery si morse il labbro inferiore. — Il fatto è che… be’, forse avrei dovuto dirtelo prima ma… Vedi, io sono una donna sposata.

Sandy la fissò con espressione terrorizzata. — Oh, Marguery! — sussurrò.

Marguery assunse un’aria dispiaciuta. — Suvvia, Sandy, non prenderla così male.

— Oh, ma non posso farne a meno! Non avevo assolutamente idea che tu fossi una “donna sposata”. Potrai mai perdonarmi per questo?

— Oh, diavolo, Sandy! Certo che ti perdono! Non esiste nessuna legge che ti impedisca di provarci con qualcuno, anche se si tratta di una persona sposata. Soprattutto se non lo sapevi neanche. In realtà, devo ammettere che ne sono lusingata. Sai, una donna in genere apprezza di essere corteggiata.

— Grazie — disse Sandy con sincera gratitudine. — Prometto che non lo rifarò mai più. In fondo, ci sono un sacco di femmine urna… volevo dire, di altre donne attraenti con le quali posso, uh, “provarci”.

Ma Marguery non apparve per niente felice di quest’ultimo commento. Anzi, si produsse in una smorfia di evidente dispiacere. — Aspetta un attimo, Sandy — disse. — Tu sei un bel tipo. Mi piaci. Quindi, non c’è nessun motivo per il quale tu debba giungere a conclusioni affrettate.

— Ma che cosa intendi? — domandò Sandy.

— Sto solo dicendo che non c’è fretta. Che abbiamo un sacco di tempo a disposizione.

Sandy era perplesso. — Ma non hai appena detto che sei una donna sposata?

— Be’, lo sono — rispose Marguery asciutta. Prese in mano il suo bicchiere e ne bevve con aria pensierosa mentre Sandy la fissava confuso. — Il fatto è — aggiunse — che non sono molto coinvolta nel mio matrimonio. A dir la verità, non vedo Dave da almeno tre o quattro mesi.

— Dave? Sarebbe tuo “marito”?

Marguery ci rifletté sopra un istante prima di rispondere. — In effetti, sì. Solo che ormai si potrebbe quasi parlare al passato. Ascoltami bene — disse, appoggiando nuovamente il bicchiere sul tavolino. — Io e Dave ci siamo sposati sette anni fa, quando frequentavamo l’università. Lui era un giocatore di football, ma avrebbe anche potuto fare pallacanestro, perché è alto due metri e dieci. Non so se lo hai notato, ma io sono una donna di statura decisamente alta rispetto alla media, e di conseguenza non ci sono molti uomini a cui piace una come me. Uno potrebbe pensare che a quelli alti piacciono quelle alte, ma in realtà non è affatto così. Se vai a vedere le donne con cui stanno gli uomini di due metri, sono tutte piccoline di un metro e settanta al massimo.

— E come mai? — domandò Sandy, sinceramente interessato.

— Perché? Perché così sono gli uomini! Ecco perché. Cioè — aggiunse con tono magnanimo — in verità non so esattamente quale sia il motivo, ma le cose solitamente vanno proprio in questo modo. Così, quando Dave mi ha chiesto di sposarlo io ho accettato subito, soprattutto perché non sapevo quando mi sarebbe capitata un’altra possibilità del genere. In ogni caso, lui mi piaceva. E stavamo anche piuttosto bene assieme, almeno finché ero iscritta al corso di addestramento per astronauti. Forse era convinto che si trattasse di una professione sicura, dato che non vi erano già più spedizioni con equipaggio umano. Poi sono venuta a lavorare all’InterSec, e credo che da quel momento in avanti si sia sentito minacciato. A lui non dispiaceva che io fossi così alta, ma penso che non sopportasse proprio l’idea di avere uno sbirro per moglie.

— Uno sbirro? Vuoi dire come Kojak? Marguery assunse un’espressione perplessa. — Che cos’è un Kojak? Intendevo dire un agente di polizia. L’InterSec non è altro che questo: è l’agenzia che garantisce la sicurezza in tutti i commonwealth del mondo. Il nome completo dell’agenzia è InterCornrnonwealth Security. Così, io e Dave ci siamo trascinati nel rapporto per un paio d’anni finché, l’anno scorso, lui mi ha chiesto il divorzio.

— Oh! — esclamò Sandy felice. — So molte cose a proposito delle donne divorziate!

Marguery gli rivolse uno sguardo ostile. — Che cosa sapresti a proposito delle donne divorziate? — domandò. — Ma no, lascia perdere, è meglio. Comunque sia, sappi che la tua poesia mi è piaciuta molto, e che con ogni probabilità mi piaci molto anche tu. Solo che ho bisogno di pensarci sopra un pochino, va bene?

— Oh, va bene — rispose Sandy annuendo con fare entusiasta. Sapeva bene infatti che era proprio così che andavano le cose sulla Terra; la ragazza non diceva mai di sì immediatamente, almeno non nei film che preferiva lui, quelli con le musiche di sottofondo e il tip tap. Però… Un’altra cosa che sapeva altrettanto bene era che a quel punto andava fatta necessariamente la mossa successiva.

L’effetto del vino lo aiutò a decidersi. Si protese verso di lei, preparandosi alla mossa decisiva. Marguery assunse un’espressione dapprima preoccupata, poi comprensiva. — Sandy — disse — ci stanno guardando da dentro il bar…

Ma quando Sandy le avvolse il braccio attorno alle spalle, Marguery non oppose la minima resistenza.

Un bacio non era nulla di incredibile, ma nel corso dell’azione Sandy ebbe modo di fare una scoperta a dir poco sconcertante. Non si era mai aspettato che si facesse addirittura con la bocca aperta! Comunque fosse, si trattava di un passo significativo verso il compimento del vero e proprio rapporto sessuale, e le sensazioni connesse erano a dir poco stupefacenti. Quando Marguery lo allontanò da sé ridendo, Sandy stava respirando forte e il suo battito cardiaco era accelerato. — Ahi, Sandy — disse massaggiandosi il collo. — Non credo che tu sia realmente consapevole della tua forza, vero?

— Oh — rispose Sandy contrito. — Sono molto dispiaciuto…

— Oh, finiscila! Mi è piaciuto molto, solo che la prossima volta non devi stringermi così forte. Hai mai sentito l’espressione “massiccio come una roccia”? Solo che nel tuo caso non si tratta di una semplice roccia, ma di un’intera montagna di granito!

Ma Sandy non aveva nemmeno ascoltato quelle ultime parole. — La prossima volta? — ripeté con gli occhi sgranati in un’espressione speranzosa.

Marguery emise un sospiro e gli accarezzò il braccio. — Ho detto “la prossima volta”, vero? Va bene, ma ricordati che la prossima volta non è questa volta. Basta che tu stia tranquillo, tanto io non vado da nessuna parte. Devo stare con te comunque, perché è questo il compito che mi è stato assegnato.

Sandy sospirò a sua volta e si raddrizzò sulla sedia, appoggiando la schiena contro la spalliera. — Va bene — disse, sorseggiando nuovamente la sua bevanda. La sensazione di calore stava diventando sempre più forte, e a quel punto sembrava essersi diffusa anche fino alle zone più “intime” del suo corpo. Stava sorridendo compiaciuto quando notò Marguery che lo guardava con un angolo dell’occhio. — Cosa c’è? — domandò sorpreso. Forse non aveva capito qualche battuta.

Marguery ebbe un attimo di esitazione, poi parlò. — Cosa si prova? — domandò.

Sandy la fissò esterrefatto. — Cosa si prova a fare cosa?

— A viaggiare nello spazio? Ti prego, dimmelo. Ho sempre desiderato saperlo.

Sandy si raddrizzò nuovamente e la fissò. A quanto pareva, era sincera. Non si era rivolta a lui con tono malizioso, e nemmeno amichevole. Lo stava fissando come se lui possedesse un segreto dal quale dipendeva la sua stessa vita, e attendeva come se dovesse ricevere qualche genere di illuminazione.

Solo che Sandy non sapeva proprio che cosa dirle. — Oh — disse infine agitando una mano in un gesto vago.

— Sai com’è…

— No, non lo so affatto — ribatté Marguery contrariata. — È proprio per questo che te l’ho chiesto.

La fissò a sua volta con espressione sorpresa. — Scusami — disse. — È solo che non so proprio cosa dirti in proposito. Quando ci si trova sulla grande nave non ci si sente affatto nello spazio. Non ci si sente in nessun luogo particolare, a parte nella nave stessa. I propulsori mantengono sempre la stessa spinta gravitazionale costante, e non ci si accorge di nessun tipo di movimento, a parte quando ci sono dei cambiamenti di rotta, come quando abbiamo girato attorno al Sole…

— Attorno al Sole? — sussurrò Marguery con gli occhi sgranati. Era letteralmente affascinata, e Sandy fu costretto a raccontarle tutto nei minimi particolari; le raccontò ciò che vedevano negli schermi, ciò che provavano quando la nave si surriscaldava, le sensazioni connesse all’arresto dei propulsori principali una volta che la nave era entrata nell’orbita terrestre, e soprattutto i particolari della discesa nell’atmosfera con il modulo dì atterraggio. — E tu hai pilotato quell’affare? — domandò infine estasiata.

— Oh, no — ammise Sandy. — Non mi hanno mai permesso di pilotare, poiché questo compito era riservato a Polly. In ogni caso, so come si fa. — A quel punto dovette raccontarle anche delle ore trascorse nel simulatore di volo.

Mentre parlava Marguery aveva sussurrato qualcosa al cameriere, e poco dopo giunsero due nuove bevande. Solo che questa volta la sua non era vino, ma qualche tipo di bevanda gassata che lo fece subito starnutire. — Salute — disse Marguery con voce sognante. — Sai, anch’io mi sono addestrata per un po’ di tempo in un simulatore di volo.

Sandy sbatté le palpebre. — In un simulatore hakh’hli? Ma tu non eri con noi sulla nave!

— Certo che non ero con voi sulla nave. Come avrei potuto esserci, Sandy? Ma anche noi abbiamo i nostri simulatori di volo. Sai, ci sono ancora parecchi volontari che desiderano andare nello spazio.

— Solo che non possono farlo, giusto? Per via di quella fascia di relitti orbitanti…

— Esatto — lo interruppe amara. — Non riusciamo ad attraversarla. Certo, ogni tanto riusciamo a far passare qualche satellite, e circa uno su cinque di questi riesce a rimanere in orbita per un anno o poco più senza venire danneggiato, almeno non in maniera critica. Non è poi tanto male come media, tenendo conto che si tratta di semplici satelliti. In fondo possiamo sempre costruirne degli altri. Solo che con una media del genere non possiamo certo azzardarci a mandare su della gente. Le persone sono molto più fragili dei satelliti. Infatti, quando mi sono iscritta al corso di addestramento per astronauti, io e Dave abbiamo fatto una litigata. Mi ha dato della kamikaze. Anzi, a dir la verità le sue parole esatte furono: “una puttana kamikaze”.

— Kami…? Ah! Vuoi dire i piloti giapponesi che si suicidavano con i loro aerei nel corso della vostra Seconda guerra mondiale?

— Esatto. Quel che intendeva Dave era che arruolarsi astronauta volontaria equivaleva a tentare il suicidio. E a giudicare da come sono andate le cose, non posso nemmeno dargli torto. Gli equipaggi delle prime due navi che vennero lanciate sono morti tutti. Quattro astronauti, due per ogni lancio. Ed erano tutte persone che facevano parte del mio stesso corso di addestramento. Così alla fine hanno annullato il programma spaziale, e noialtri siamo rimasti a terra.

— Ma tu vorresti provarci ancora?

Gli rivolse uno sguardo intenso. — Ci puoi giurare! Ma non sono solo io a volerlo. Ci sono milioni di ragazzi là fuori che sarebbero disposti a dare il loro occhio destro per fare ciò che hai fatto tu… Per non dire delle centinaia di milioni di adulti che sarebbero disposti anche a ucciderti senza pensarci su due volte per prendere il tuo posto.

— Davvero? — domandò Sandy allarmato. — Ma non funzionerebbe, Marguery. Gli hakh’hli non si lascerebbero ingannare. Si accorgerebbero subito che…

Sandy si fermò, perché Marguery gli stava ridendo in faccia. — Oh, scusami, Sandy — disse. — Non devi sempre prendermi alla lettera. Voglio dire, con ogni probabilità ciò che ho detto è anche vero, ma non devi assolutamente preoccuparti, perché ti assicuro che nessuno tenterà mai di fare una cosa del genere.

— In effetti mi sembrava un po’ strano… — disse Sandy, con aria sollevata.

— Ma non credere che la razza umana abbia perso interesse nello spazio! Anzi, si terrà un convegno sull’astronomia proprio la prossima settimana, a York. Probabilmente vi inviteranno tutti e tre per vedere le fotografie e ascoltare le vostre testimonianze, ma penso che la maggior parte della gente sarà entusiasta già del solo fatto di stare nella stessa stanza con delle persone che hanno viaggiato nello spazio.

Sandy sorseggiò nuovamente la sua bevanda con aria pensierosa. Il pizzicore delle bollicine nel naso era quasi doloroso, ma d’altra parte era anche piacevole. Decise che non gli dispiaceva affatto. — Marguery? — domandò. — Come avete fatto a mettervi in un casino del genere?

— In un casino?

— Il casino del mondo. I relitti nello spazio, il surriscaldamento dell’atmosfera, l’innalzamento degli oceani, il danneggiamento dello strato di ozono, le piogge acide. Tutte queste cose. Come avete fatto voi esseri umani a permettere che accadesse tutto ciò?

— Noi esseri umani? — domandò con tono duro. — Perché, tu che cosa sei? Un pollo? — Sandy aprì la bocca con espressione perplessa, ma Marguery scosse il capo. — Lascia stare. Ho capito cosa intendi. — Si fermò un minuto per riflettere. — Credo che l’unica risposta possibile a questa domanda sia che la gente delle vecchie generazioni non sapeva quel che faceva. O almeno, quelli che si rendevano conto che era tutto sbagliato non contavano nulla, mentre a quelli che contavano qualcosa non importava nulla.

— Non sapevano che fare la guerra era una cosa sbagliata?

— Oh, be’ — disse Marguery dubbiosa. — Penso che almeno questo lo sapessero. Solo che si sono lasciati coinvolgere tutti da una guerra scoppiata nel Medio Oriente…

— In mezzo a cosa?

— Il “Medio Oriente”, Sandy. È solo un luogo che si chiama così. Comunque sia, in questo luogo vi era una piccola guerra come tante, solo che poi questa guerra è degenerata e le parti in causa si sono messe a far uso di ciò che chiamavano “armi nucleari tattiche”. A quel punto vennero coinvolte altre nazioni che non avevano nulla a che fare con il conflitto, e le grandi potenze iniziarono a usare i loro grandi missili nucleari. Iniziarono a lanciarseli gli uni contro gli altri, e a quel punto scoppiò il casino. Certo, i sistemi di difesa orbitale riuscirono a intercettare la gran parte dei missili, ma le conseguenze furono comunque disastrose. Lo sai, no?

— Avrei voluto saperlo — disse Sandy malinconicamente. — È stato allora che abbiamo smesso di captare le vostre trasmissioni.

— Davvero? Va bene, allora credo di poterti aggiornare io. È successo un sacco di tempo fa, ma credo di sapere più o meno come andarono le cose. Circa il cinque per cento degli ordigni nucleari lanciati riuscirono a passare nonostante il sistema di difesa orbitale. Un missile lanciato da un sommergibile colpì Washington D.C., che era la capitale degli Stati Uniti di allora, e diversi altri colpirono il New Mexico, l’Arizona e quelle zone lì, ma per il resto non si trattò di una vera e propria guerra nucleare su scala mondiale. Penso che alla fine furono solo una quindicina circa le bombe grosse che raggiunsero i loro bersagli. Solo che fu più che sufficiente, capisci? E da quel momento in avanti…

Si concesse una pausa, fissando il fondo del suo bicchiere. — Be’, insomma — continuò — da quel momento in poi la situazione si è fatta piuttosto grigia. Un sacco di gente era ammalata per via delle radiazioni, era difficile far arrivare il cibo alle grandi città, e dal Medio Oriente, che era uno dei più grossi fornitori di carburante, non veniva più nulla. Poi c’era anche l’Aids. Era una brutta malattia, Sandy. Già nei vecchi Stati Uniti mieteva un sacco di vittime, ma in altri punti della Terra arrivò fino al punto di sterminare completamente la popolazione. Pensa che prima che inventassero il vaccino mandavano semplicemente i malati di Aids in Africa, perché erano comunque sicuri che tutta la popolazione di quel continente sarebbe morta. E non solo per via dell’Aids. In Africa infatti vi erano anche la malaria, il tifo e la fame, e alla fine sono morti tutti quanti. — Assunse un’espressione triste. — A quei tempi sulla Terra vi erano almeno dieci volte le persone che vi sono adesso. Ora in Africa non c’è più neanche un essere umano, e in tutta la Terra vi saranno al massimo 500 milioni di persone. Prima della guerra, un solo paese come la Cina o l’India ne ospitava altrettante da solo.

— Stai dicendomi che sono morti cinque miliardi di esseri umani? — domandò Sandy a bocca aperta.

— Sandy — rispose Marguery con tono paziente. — Con ogni probabilità, a quest’ora sarebbero morti tutti quanti comunque. E poi… — Ebbe un attimo di esitazione, poi esplose. — E poi in fondo se lo meritavano, quei maledetti! Tutti quanti! Ma la cosa che realmente non potrò mai perdonare loro è che ci hanno tagliati fuori dallo spazio, per sempre!

11

Se la razza umana è intrappolata sulla superficie del pianeta Terra, è solo per via della sua passata attività spaziale. Del resto, non è la prima volta nel corso della storia dell’umanità che gli esseri umani vengono sconfitti dai loro stessi successi. Già i primi razzi capaci di raggiungere l’orbita terrestre iniziarono a disperdere frammenti nello spazio. Negli anni Ottanta vi erano oltre 7.000 oggetti vaganti intorno alla Terra, dai piccoli strumenti abbandonati dagli astronauti durante riparazioni extraveicolari fino agli enormi serbatoi di carburante delle dimensioni di un container abbandonati dai razzi diretti sulla Luna. A quei tempi, occorreva più di una giornata di calcoli per mandare in orbita una navetta Shuttle senza che questa entrasse in collisione con qualche frammento di relitto orbitante. I relitti più grossi erano facilmente individuabili, e proprio per questo motivo i più piccoli risultavano alla fine i più pericolosi. Già a quei tempi, almeno una mezza dozzina di satelliti erano stati danneggiati o distrutti da simili frammenti. Alla velocità dell’orbita bassa terrestre, qualsiasi oggetto, anche il più minuto come poteva esserlo una briciola o una scheggia di vernice, era in grado di perforare o addirittura di distruggere un satellite. Ma questo era solo l’inizio. Poi vennero le Guerre Stellari. Erano in molti a pensare che l’Iniziativa di Difesa Strategica non avrebbe mai funzionato. Sfortunatamente, funzionò solo in parte. Dopo la guerra però, le migliaia e migliaia di laser spaziali, satelliti balistici e frammenti di missili esplosi rimasero lì dove erano, nell’orbita terrestre, riempiendola con un vero e proprio campo minato ambulante. A quel punto l’orbita bassa divenne pressoché impenetrabile, e i viaggi spaziali vennero inevitabilmente interrotti, proprio nel momento in cui stavano finalmente iniziando a diventare qualcosa di relativamente semplice. Certo, rimanevano sempre dei punti in cui il “campo minato” era meno fitto rispetto ad altri — i punti con la minore densità di relitti si trovavano in corrispondenza dei due poli della Terra — ma anche in quei punti potevano avere speranza di passare solo speciali satelliti corazzati. Ciò implicava naturalmente costi di esercizio elevatissimi, poiché i satelliti corazzati erano particolarmente pesanti, e inoltre dover utilizzare le finestre polari significava che non vi era più la possibilità di sfruttare la rotazione della Terra per mettere in orbita i satelliti. Come se ciò non bastasse, anche i pochi satelliti che riuscivano a passare rimanevano operativi per un tempo decisamente ridotto, poiché prima o poi i loro pannelli fotovoltaici venivano inevitabilmente bucati da qualche frammento vagante, e allora anche le strumentazioni andavano a farsi benedire. Insomma, da quel momento in avanti, non vennero più effettuate missioni spaziali con equipaggio umano. O meglio, un paio vennero anche tentate, ma nessun essere umano riuscì ad arrivare vivo in orbita. Ormai era passato oltre mezzo secolo, e la soluzione al problema non era ancora stata trovata. L’unica cosa da fare era aspettare che i relitti si disintegrassero naturalmente, e prima che avvenisse una cosa del genere sarebbero trascorsi ancora centinaia e centinaia di anni.

I Grandi Anziani erano perfettamente consapevoli del fatto che la razza umana fosse letteralmente affamata di spazio, di qualsiasi cosa che avesse a che fare con lo spazio. I Grandi Anziani erano molto felici di ciò, e per questo non esitarono un istante nel concedere ai loro emissari di compiere il viaggio fino al Commonwealth di York per il congresso di astronomia.

La notizia giunse a Polly attraverso Tania, che gliela comunicò direttamente dalla navetta. Come suo solito, Polly reagì agitando l’avambraccio con fare irritato. — Ma i Grandi Anziani non hanno specificato chi dovrà andare e chi dovrà rimanere qui — si lamentò.

— A quanto pare — rispose Tania con tono sicuro — questa decisione spetta a te. L’ordine non può assolutamente essere ridiscusso, soprattutto perché la nave madre si trova ora al di là dell’orizzonte, e di conseguenza non è possibile comunicare.

Polly interruppe il contatto e si rivolse a Obie e Sandy con uno sguardo cupo. — Se le cose stanno così — dichiarò — così faremo. Dunque, Obie è il nostro esperto in astronomia, quindi dovrà andare per forza.

— Oh, cacca! — borbottò Obie. — Vuoi dire che devo andare da solo e senza compagnia?

— Certo che no. Ti comporteresti senz’altro in maniera irresponsabile, senza la prudenza di un adulto hakh’hli. Ti accompagnerò io personalmente.

— No, io voglio un amico — protestò Obie in inglese. — Voglio che Sandy mi accompagni.

Polly gli rivolse uno sguardo glaciale e unì i pollici in aria con un gesto inequivocabile. Obie venne percorso da un brivido, ma rimase comunque fermo con aria di sfida. Polly rifletté un secondo, poi scrollò le braccia. — Bene — disse quindi con fare magnanimo. — Ho deciso che ci recheremo tutti e tre a questa York per il congresso di astronomia. Lisandro, puoi comunicare alla tua femmina terrestre che è stata presa questa decisione.

— Con piacere! — esclamò Sandy. Detto questo, corse subito fuori per dare la notizia a Marguery Darp.

Apparentemente, la notizia la rese felice. A dir la verità, erano tutti felici. Sandy era felice perché Marguery Darp era felice. Polly era felice perché stava eseguendo gli ordini dei Grandi Anziani. E in quanto a Obie… Be’, Obie aveva deciso di essere addirittura raggiante, e lo provò subito non appena si trovarono nuovamente assieme in strada con un nuovo repertorio di grida e di balzi. — New York, New York — cantò, balzando fin sopra la tenda dell’ingresso dell’hotel per poi saltare nuovamente a terra. — Oh, Sandy, sono sicuro che ci divertiremo tantissimo sulla Grande Strada Bianca! Faremo i nostri saluti a Broadway, e porteremo i nostri auguri a Herald Square… A proposito — disse atterrando senza fiato accanto a Marguery Darp — che cos’è un “Herald Square”?

— Credo che si trattasse di una vecchia piazza di New York City — spiegò lei. — Ma credo che si trovi sott’acqua, oramai. — Poi si rivolse a Sandy. — Sono molto contenta, sai? Hudson City è una bella città. E io ho proprio un piccolo appartamento lì, e mi farà molto piacere portarti in giro a fare il turista.

— Grazie — replicò prontamente Sandy. — Anch’io sono convinto che ci divertiremo molto. Solo che… — Deglutì. — Credi che sarà necessario viaggiare ancora in quel vostro veicolo velocissimo?

Marguery gli diede una leggera pacca di incoraggiamento sul braccio. — Non credo proprio. Non usiamo mai gli aerei a decollo verticale per le lunghe distanze, perché consumano troppo carburante, anche se si tratta solo di idrogeno. No. Andremo con un dirigibile. È un viaggio di circa 24 ore, e ti prometto che ti piacerà. È quasi come andare in crociera.

— In crociera? Come Love Boat?

Marguery si produsse in una smorfia. — Non ho idea di che cosa sia Love Boat, e ti prego di non iniziare nuovamente con queste storie, almeno per oggi. Abbiamo una giornata dura da affrontare, e se avete veramente intenzione di venire tutti e tre a York, sono certa che vi saranno almeno un centinaio di persone qui a Dawson che non vedono l’ora di farvi un sacco di domande.

Obie fece una smorfia. Sandy si trattenne dall’imitarlo perché non voleva fare brutte figure con Marguery Darp, ma non poté fare a meno di lamentarsi. — Possibile che debbano sempre farci domande tutti quanti? — domandò. — Non abbiamo mai un po’ di tempo libero?

— Questa sera — disse Marguery con tono deciso. — Dopo le interviste, daremo una festa di addio sul terrazzo. Va bene? Ma adesso diamoci da fare.

Nel corso dell’intervista mattutina, vennero interrogati tutti e tre da una mezza dozzina di cortesi ma insistenti intervistatori. Quante domande vennero poste loro! Per quale motivo gli hakh’hli congelavano le loro uova invece di lasciarle schiudere? Quali erano i titoli di film terrestri che venivano mostrati a tutta la nave? Quale era la parola hakh’hli per “repulsione magnetica”? Che cosa sarebbe accaduto se un piccolo asteroide o qualcosa del genere avesse colpito la nave interstellare nella sezione dei propulsori? Quest’ultima domanda fece rabbrividire persino Polly. — Sarebbe terribile — disse, girandosi e offrendo agli intervistatori la coda affinché la leccassero per confortarla. (Nessuno degli umani presenti però capì il significato di quel gesto, e Obie e Sandy si trovavano troppo distanti in quel momento.) — La nave verrebbe distrutta!

Quest’ultima era un’ipotesi talmente funesta per Polly, da farle dichiarare con tono cupo che ora non avrebbe più potuto mandare giù neanche un solo boccone. Naturalmente, nel corso della pausa di mezzogiorno sia lei sia Obie si nutrirono abbondantemente come al solito. Sandy invece non fu altrettanto fortunato. Marguery era scomparsa per qualche commissione, e dovette accontentarsi di un semplice panino.

Durante la sessione del pomeriggio, Sandy venne interrogato da solo da tre gruppi separati di intervistatori. Per la maggior parte si trattava di persone che non aveva mai visto prima, e nonostante il fatto che ognuno di loro si presentò con nome e cognome accettando con una smorfia di dolore la sua possente stretta di mano, Sandy non riusciva nemmeno a distinguerli l’uno dall’altro. Quelli del primo gruppo gli posero una serie di domande sulla sua storia personale, partendo dalla scoperta da parte degli hakh’hli dell’astronave dei suoi genitori. Nel corso di una lunga ora, gli domandarono tutto quello che c’era da domandare sulla sua infanzia, sulla sua educazione, sui rapporti che aveva con gli altri membri della sua coorte e con ChinTekki-tho e MyThara. Era la prima volta che Sandy pensava alla sua cara, vecchia tutrice da quando avevano lasciato la grande nave, e di conseguenza gli venne quasi da piangere per la tristezza e il senso di colpa. Il secondo gruppo di intervistatori invece gli pose domande decisamente più specifiche. Nel corso del suo addestramento, dissero, vi erano stati giochi e competizioni. Alcuni di questi erano per caso, be’, di carattere militare? (Oh, no, li rassicurò Sandy: una volta nelle gare di lotta i lottatori combattevano all’ultimo sangue, ma adesso non usava più.) E nessuno usava “armi”? (Certo che no! Perché mai un hakh’hli avrebbe dovuto usare un’arma contro un altro hakh’hli?) E non vi era “polizia”? (Ma certo che no! Gli hakh’hli non hanno alcun tipo di “polizia”. A che cosa servirebbe? I Grandi Anziani non permettono alcun tipo di “crimine”, e nessun hakh’hli si permetterebbe mai di andare contro le volontà dei Grandi Anziani.)

Dopo le prime due sessioni, la terza fu più simile a una semplice chiacchierata. Sandy trovò la cosa di suo gradimento, soprattutto perché fra gli intervistatori vi era anche Marguery Darp. Quest’ultima si sedette di fronte a lui e disse: — Sandy, vogliamo sapere tutto quel che c’è da sapere sugli hakh’hli. Quindi ti prego di iniziare dal principio, o da quello che secondo te potrebbe essere considerato il principio, e di raccontarci tutto ciò che ritieni dovremmo sapere in proposito.

Si trattava di un compito abbastanza semplice. Più Sandy vedeva Marguery Darp, più facile gli riusciva parlarle. Rimase semplicemente seduto sulla sua poltroncina e le raccontò tutto quel che gli veniva in mente a proposito degli hakh’hli, dei titch’hik, del modo in cui i repulsori magnetici facevano sobbalzare il modulo di atterraggio durante l’ingresso nell’atmosfera terrestre, del fatto che sua madre, o perlomeno qualche parte di sua madre, fosse ancora in vita, almeno in un certo senso, nel laboratorio genetico della grande nave. Marguery invece si limitò ad ascoltare. Ascoltò con grande attenzione, e non parlò quasi mai, se non per dargli un piccolo incoraggiamento ogni tanto con frasi del tipo “E poi, cosa è accaduto?” Per il resto, era il suo volto ampio, forte e interessato che parlava per lei.

Quando qualcuno bussò alla porta, Sandy ne fu quasi disturbato. Si trattava di Hamilton Boyle, che riferiva che gli hakh’hli avevano concluso l’intervista pomeridiana e si stavano dedicando al loro “latte coi biscotti”. Sandy voleva per caso unirsi a loro? Fu Marguery a rispondere per lui. — Oh, non credo, Ham. Credo che andremo di sopra a bere qualcosa mentre li aspettiamo… sempre che Sandy non abbia nulla in contrario…

Naturalmente, Sandy non aveva nulla in contrario. Anzi, per lui era la migliore proposta possibile. — Che cosa vuoi bere? — gli domandò Marguery non appena si accomodarono a un tavolino all’aperto sul quale batteva il caldo sole del pomeriggio. — Io prendo un caffè. Vuoi provarne uno anche tu?

— Certamente — disse Sandy, preparandosi a un’altra tremenda prova per il suo stomaco. Allo stesso tempo però era felice che gli fosse stata offerta quella possibilità di redimersi per la sua poesia unisex. Quando la cameriera portò le due tazze e la zuccheriera d’argento Sandy si infilò una mano in tasca, ma proprio quando stava per aprire la bocca per parlare, apparvero sul terrazzo Polly e Oberon. Sandy si produsse in una smorfia. — Non credevo che arrivaste così in fretta — disse loro con tono accusatorio.

— Non saremmo nemmeno venuti qui, se i terrestri si fossero comportati in maniera adeguata — ribatté Polly infastidita mentre attraversava il terrazzo assolato. A giudicare dalla sua espressione, sembrava in vena di pizzicotti.

— Che cosa c’è che non va? — domandò Sandy. Polly si rivolse direttamente a Marguery Darp. — Ho appena parlato con i miei compagni di coorte — disse.

— Lo sai che alcuni dei vostri terrestri sono arrivati fino al punto di prendere dei “souvenir”?

Marguery assunse un’espressione perplessa. — Cosa intendi con “souvenir”?

— Hanno rubato dei pezzi dello schermo protettivo del nostro modulo di atterraggio. Tania dice che ne sono stati tagliati via dei pezzi mentre lei e gli altri si trovavano nel periodo di intontimento.

— Oh, mi dispiace molto — disse Marguery con tono contrito. — Hai riferito la cosa a Hamilton Boyle?

— Da quando ho appreso la notizia, non ho ancora avuto modo di vederlo. Dovete occuparvi della faccenda al più presto. Il furto di parti della nostra navetta è una vera e propria offesa nei confronti degli hakh’hli, e non sono disposta a tollerare che avvengano altri furti.

— Io gliel’ho detto che non fa niente, Sandy — intervenne Obie. — Tanto si trattava del vecchio schermo, e sarebbe stato sostituito comunque. — Polly si girò verso di lui, portandolo a chiudersi in guardia. — Ma è vero — aggiunse Obie sulla difensiva.

— No, Obie — disse Marguery Darp con tono fermo. — Polly ha ragione. Si tratta di un gesto poco civile, e vedrò di fare in modo che non si ripeta mai più. Mi dispiace molto, Polly.

L’ira di Polly però non si era affatto placata. — E questo non è tutto — disse. — Il vostro amico Boyle mi ha interrogata per tutto il pomeriggio su come funziona il modulo di atterraggio, sul tipo di carburante che usa, sulla possibilità di ripartire o meno senza fare rifornimento… Insomma, trovo molto stancante rispondere a tutte quelle domande! E poi vi è quell’altra persona che fa la stessa cosa con Oberon, e anche Tatiana, Chiappa, Elena e Demetrio sono stati interrogati. Noi siamo venuti in pace e in amicizia! Non capisco proprio per quale motivo dobbiate insistere con questi interrogatori incrociati alla Perry Mason!

— Chi è Perry Mason? — domandò Marguery. — Mi dispiace molto — aggiunse poi. — È solo che noi terrestri siamo molto curiosi e vogliamo saperne di più su di voi che siete un, uh…, un popolo così avanzato proveniente dallo spazio.

A quel punto Sandy decise di intervenire a sua volta. — Non fa niente, Marguery — disse. — Noi capiamo benissimo questo aspetto. Se avete altre domande da rivolgerci, fate pure.

Marguery ebbe un attimo di esitazione. Si morse il labbro inferiore e abbozzò un piccolo sorriso. — Sei sicuro che non siete troppo stanchi?

— Certo che no!

— Be’… — Ci pensò sopra un istante, poi si produsse in un sorriso leggermente imbarazzato. — In effetti c’è una cosa che mi stavo domandando da diversi giorni. Forse è una domanda un po’ sciocca, ma… insomma, si tratta dei vostri nomi.

Non aggiunse altro. Aspettando la domanda, Sandy tentò di incoraggiarla. — Sì? — chiese. — Che cosa vuoi sapere a proposito dei nostri nomi?

— Be’, diciamo che si tratta di una domanda non ufficiale, di una mia curiosità personale. Siccome non assomigliano per niente a dei nomi hakh’hli, mi stavo domandando da dove li avete presi?

— Ah, quei nomi — disse Sandy arrossendo un poco. — È solo una specie di scherzo fra noi.

A quel punto intervenne Obie, nuovamente rilassato grazie al fatto che Polly aveva smesso di fare gesti minacciosi con i pollici. — Sì, è una specie di scherzo — disse con tono felice. — Vengono da un’opera teatrale. Un dramma terrestre che abbiamo messo in scena anni fa per l’intera nave. Sono rimasti tutti affascinati! Abbiamo avuto un grande successo, anche se naturalmente nessuno capiva il linguaggio terrestre. È stata la prima rappresentazione in inglese che abbiamo fatto. Sandy? Possiamo mostrargliela? Polly?

— Mostrarmi cosa? — domandò Marguery Darp con tono leggermente preoccupato.

— Non possiamo — obiettò Sandy. — Non abbiamo Teseo.

Obie si contorse tutto in un moto di protesta. — Non ci serve! Conosco io tutte le sue battute! Sono sicuro che Polly si ricorda ancora la sua parte, e tu magari potresti fare anche Egeo. Dai, facciamolo!

Ridendo sguaiatamente, Obie balzò in cima alla ringhiera del terrazzo e iniziò a declamare:

La nostra ora nuziale, bella Ippolita,
si avvicina a passo veloce.
Ancora quattro giorni, e sorgerà la nuova luna.
Ma lenta mi sembra a declinare questa vecchia,
che frena i desideri come matrigna o suocera
che lesini, forte dell’usufrutto,
i suoi proventi all’erede.

— Ora tocca a te, Polly — la spronò.

Polly assunse un’espressione solenne, ma stette al gioco. — Va bene — sospirò.

I quattro giorni saranno in un soffio calati nella notte;
Le quattro notti avranno in un soffio sognato via il tempo.
E la recente luna, esile arco d’argento teso in cielo,
contemplerà dal cielo la notte dei nostri riti solenni.

Sandy aprì la bocca, tentando di ricordare quali sarebbero state le battute di Egeo, ma a quel punto intervenne Marguery con tono meravigliato. — Ma questo è Shakespeare! — esclamò.

— Esatto, esatto! — gridò Obie con gioia balzando al fianco della donna. — Si chiama Sogno di una notte di mezza estate. Oh, è stato meraviglioso il modo in cui lo abbiamo messo in scena! Vogliamo continuare?

Sandy però ricordava solo una parte della battuta di Egeo. — “Vengo col cuore avvelenato, qui, ad accusare mia figlia Ermia…” — disse, ma poi si arrestò.

— Ah, provaci, almeno — lo spronò Obie. Sandy scosse il capo. — Be’, potremmo provare a metterci in contatto con gli altri via radio — propose dispiaciuto.

Marguery scosse il capo, ancora sorpresa. — No, no, non ce n’è assolutamente bisogno — disse. — Ho afferrato il concetto. È veramente meraviglioso. È così che avete imparato l’inglese?

— Questo era solo uno dei modi — rispose Obie. — Per me era il migliore, solo che poi ChinTekki-tho si è arrabbiato con MyThara perché diceva che così imparavamo il dialetto sbagliato.

— Ma in verità non era così — intervenne Sandy, sempre fedele a MyThara. — Noi ci rendevamo conto della differenza.

— Però ci siamo tenuti quei nomi — disse Obie. — Ed è una grande fortuna per te, Marguery Darp, perché così non hai avuto bisogno di imparare i nostri nomi hakh’hli. Non vuoi continuare ancora solo un pochino, Polly?

Polly agitò l’arto superiore in un gesto negativo. — Io torno a riferire a Tania che Marguery Darp ha detto che gli atti di vandalismo non si ripeteranno — disse secco rivolta a Sandy. — Così lei potrà riferirlo a ChinTekki-tho. Vieni con me, Obie?

— No, no! Io voglio rimanere qui a parlare con Marguery di New York New York, Times Square, Harlem, Wall Street… — Lacrimando di felicità, balzò via canticchiando fra sé.

Marguery lo fissò con aria perplessa mentre balzellava sul terrazzo. — Che cosa intendeva a proposito dei vostri veri nomi? — domandò a Sandy.

Sandy cambiò posizione sulla sedia, cercando di seguire con lo sguardo gli allegri balzi di Obie sull’ampio terrazzo semideserto. — I nomi hakh’hli dicono molto a proposito della persona che li porta. — Continuò spiegando a Marguery come i nomi hakh’hli indicassero la discendenza e la posizione all’interno della società hakh’hli, e come i numeri che li seguivano servissero a indicare le varie partite di uova immagazzinate nel congelatore. Da lì, passarono inevitabilmente a discutere sull’abitudine hakh’hli di congelare le uova non appena venivano deposte al fine di non sovraffollare la nave.

— Polly dice che se anche voi esseri umani aveste fatto la stessa cosa — intervenne Obie, che si trovava a tre tavolini di distanza — non avreste dovuto affrontare tutte le difficoltà che vi siete trovati ad affrontare.

— Ringraziala da parte mia per l’ottimo consiglio — ribatté Marguery. Sandy le rivolse un’occhiata di sbieco. Le parole e il tono non sembravano accordarsi.

— Questo è ciò che chiamate ironia, giusto? — domandò.

Marguery fece per rispondere, ma invece starnutì. — Stai bene? — domandò Sandy, sconvolto.

— Certo, basta che tu dica “salute”. Sto benissimo, grazie. Che cosa mi stavi domandando?

— Ho detto…

— Ah sì, adesso mi ricordo — lo interruppe lei. — Sì, Sandy, era una battuta ironica. Non so come mai, ma la tua amica Polly mi fa un po’ girare le scatole.

Sandy la fissò. — Ti fa girare le…?

— Oh, per l’amor di Dio! Volevo solo dire che alle volte mi irrita. Mi dispiace, ma è così.

— E perché mai dovresti dispiacerti? Irrita anche me. Irrita tutti noi, se è per questo. È sempre stata la più prepotente della nostra coorte.

— Davvero? — domandò Marguery. Sembrava sollevata. — Mi fa molto piacere sentirlo — disse. — Stavo iniziando a pensare che tutti gli hakh’hli avessero la puzza sotto il naso come lei.

— La puzza sotto il naso?

— Voglio dire, è così, uh, altezzosa… Però devo dire che Obie mi piace — disse alzando nuovamente lo sguardo verso il lato opposto del terrazzo, dove Obie era impegnato in una serie di salti altissimi. — È un po’… come dire, infantile, però è veramente simpatico e carino.

— È il mio migliore amico — disse Sandy. Pensò per un attimo di chiederle che cosa significasse esattamente la parola “carino” in quel contesto, ma decise di rinunciarvi. — Sai, io e lui siamo stati assieme per tutta la vita… — Sbadigliò.

— Hai sonno? — domandò Marguery.

— È solo che non riesco a dormire quanto voi — si giustificò Sandy. — Sulla nave dormivamo solo per due dodicesimi di giorno, e adesso faccio fatica a stare a letto per tutto quel tempo. Ieri notte però invece di rimanere a letto senza dormire ho messo a frutto il mio tempo facendo qualcosa.

— Oh?

— È un’altra poesia per te — disse. Le passò il foglio.

Marguery gli rivolse uno sguardo ambiguo e assunse un’aria pensierosa prima di dire alcunché.

— Be’, almeno questa volta hai azzeccato il sesso — commentò infine, restituendogli il foglio.

Sandy in verità aveva sperato in una reazione più entusiastica. — Non ti piace? — domandò.

Marguery lo guardò con dolce esasperazione. — Ma certo che mi piace. Credo. Certo che tu vai sempre subito al sodo, vero? Però credo che qualsiasi donna apprezzi che qualcuno scriva una poesia per lei, non è forse così?

— Non lo so. Io ci speravo.

— Be’, è così. O almeno lo è per me. Solo che… — Ebbe un attimo di esitazione. — Ascoltami, Sandy, questa situazione è molto particolare per me, e mi fa sentire un po’ confusa. In fondo io ho il mio lavoro da portare a termine, e non voglio confonderlo con i sentimenti.

— Vuoi dire che non ci baceremo più? — domandò Sandy con tono preoccupato.

Marguery scoppiò a ridere, poi sobbalzò, poiché Obie era appena atterrato al suo fianco. — Ti ha finalmente mostrato la poesia? — domandò Obie.

— Sì, me l’ha mostrata.

— Credo che si tratti di una buona poesia — disse Obie con lealtà. — Se si tiene conto del fatto che è in inglese, naturalmente. Potrebbe scrivertene una molto migliore in hakh’hli, se glielo chiedessi.

— Perché non ci lasci in pace? — domandò Sandy. Obie si produsse in un’espressione afflitta, però balzò via comunque. — È molto eccitato dall’idea di andare a New York — disse Sandy con tono contrito.

— Sì, solo che non è più esattamente New York, Sandy…

— Be’, a York, allora, o comunque la chiamiate. Il fatto è che abbiamo visto un sacco di film su quella città, e poi in effetti Obie è ancora abbastanza infantile… — Stranamente, quando Sandy pronunciò quella frase, si rese conto che era già da un po’ che lo stava pensando. Il commento di Marguery era stato più che azzeccato. Gli hakh’hli della sua coorte, con i loro modi giocosi, spensierati, chiassosi e a volte anche scontrosi, erano realmente piuttosto infantili. Non come John William Washington, che non solo era un adulto, ma che era anche qualcos’altro che un hakh’hli non avrebbe mai potuto comprendere. Era “innamorato”.

Ma Obie aveva sentito tutto. — Io non sono un bambino! — gridò. — Guarda che salti che faccio! Pensi che un bambino sarebbe davvero in grado di fare dei salti simili?

Tenendo gli occhi fissi su Sandy, balzò fin sopra il tetto dell’ascensore, da dove li fissò sorridendo.

— In effetti, è proprio un bambino — disse Sandy con tono di scusa.

Marguery annuì senza commentare, poi si girò per guardare dietro le spalle di Sandy. — Oh, eccolo! — esclamò. — Lo vedi, laggiù a sinistra appena sopra quella nuvola? È il nostro dirigibile! Rimarrà ancorato qui stanotte, e domani mattina vi saliremo a bordo per andare fino a York.

Sandy girò la testa per vederlo meglio, deliziato dalla vista. Alle sue spalle, sentì la voce di Obie. — Eccomi che arrivo! — gridò.

Obie balzò, solo che mantenne gli occhi fissi sul dirigibile, e non sulla ringhiera alla quale stava puntando.

Fu un grave errore da parte sua. La traiettoria risultò sbagliata; non di molto, ma quanto bastava. Obie colpì sì la ringhiera, ma non si fermò lì. Marguery cacciò un urlo. Sandy balzò a sua volta per cercare di afferrarlo al volo, ma era già troppo tardi. Obie rimbalzò sulla ringhiera con gli arti tesi per la paura e volò direttamente giù dal bordo del terrazzo. Il suo grido si spense solo quando fu giunto a terra.

12

Una persona che cade da un edificio di dieci piani colpisce il suolo a una velocità di poco superiore ai 110 chilometri orari, il che è in genere più che sufficiente per ucciderla. Un hakh’hli che cade dallo stesso edificio colpisce il suolo alla stessa velocità. È vero che gli hakh’hli sono abituati a vivere in una gravità maggiore del 40 per cento circa rispetto a quella della Terra, e infatti sono in grado di sopravvivere tranquillamente a improvvise decelerazioni che ucciderebbero o mutilerebbero qualsiasi essere umano, ma nonostante ciò, vi è un limite anche per gli hakh’hli. In termini relativi, era come se Obie fosse caduto, diciamo, da un edificio di sette o otto piani. Solo che sette o otto piani sono più che sufficienti per uccidere sia un umano sia un hakh’hli, e di fatto l’impatto fu sufficientemente violento da uccidere Obie.

— Ma lui era mio amico — piagnucolò Sandy con tono lamentoso. Non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine del corpo di Oberon spiaccicato sul marciapiede di Dawson, con gli occhi sgranati e il corpo letteralmente squarciato. Dozzine di esseri umani si erano affollati attorno per guardare, affascinati e disgustati allo stesso tempo. Non avevano alcun diritto di fissare Obie a bocca aperta a quel modo.

— Ma certo che era tuo amico — lo rincuorò Marguery Darp. — Sandy? So che non avrai voglia di pensare a una cosa del genere in questo momento, ma che tu sappia, bisogna organizzare qualche particolare tipo di cerimonia o di rito funebre hakh’hli?

— Rito funebre?

— Sì, per il saluto finale al morto e per la collocazione del cadavere-disse. — Insomma, lo hanno caricato su un’ambulanza, ma adesso che cosa devono farne?

Sandy la fissò. Non era il caso di ricordarle che tipo di “riti funebri” usassero gli hakh’hli, tanto più che sarebbe stato impossibile organizzare una cosa del genere al di fuori della grande nave. — Non ha importanza — rispose. — Prova a chiederlo a Polly.

— Ma Polly non è qui con noi — disse Marguery. — È nella sua stanza e sta parlando con qualcuno via radio, forse con la nave. Gliel’abbiamo chiesto, ma ha detto che non gliene importava nulla.

— Be’, allora è così — borbottò Sandy. — Non credo che importi nulla a nessuno di loro. Perché, voi che cosa fate in questi casi?

— Dipende dai desideri della famiglia. A volte i cadaveri si seppelliscono, ma nella maggior parte dei casi si cremano.

— Si seppelliscono? — Sandy trasalì al solo pensiero del corpo di Obie messo sottoterra a marcire e a decomporsi. Venne percorso da un brivido. — Be’, fate un po’ come volete. La cremazione forse è la cosa più adatta, ma… Oh, Marguery, che cosa terribile!

Quando Polly uscì finalmente dalla sua stanza, non dimostrò un grande interesse per la sorte del cadavere di Obie. Era il futuro, piuttosto, che la preoccupava. — Che cosa terribile — dichiarò, usando le stesse parole di Sandy ma in un contesto tutto suo. — HoChet’ik ti’Koli-kak era il nostro unico… cosa? Oh, Oberon, va bene. Oberon era il nostro unico specialista in astronomia, e ChinTekki-tho dice che i Grandi Anziani non hanno nessuna intenzione di mandarcene giù un altro.

— Questo significa che non volete più andare a York per la conferenza? — domandò Marguery timidamente.

Polly emise uno sbuffo dal naso e contorse l’addome in un gesto disgustato. — Niente affatto! I Grandi Anziani mi hanno ordinato di prendere il posto di Oberon; in fondo, anche io sono piuttosto bene informata in materia di astronomia. Quindi, direi di procedere in ogni caso. — Per un istante, Polly parve assumere un’espressione addirittura amabile. — Fra l’altro, credo che sarà decisamente interessante viaggiare su questo “dirigibile”. Non credi, Sandy?

Ma Sandy era troppo immerso nella sua disperazione per ascoltarla.

13

Se un terrestre del ventesimo secolo avesse avuto la possibilità di tornare indietro, sarebbe rimasto senz’altro sconcertato nel vedere la nuova mappa della Terra. Le coste infatti non sono più le stesse di prima. La terra che San Francisco e Chicago erano riuscite a rubare alla baia e ai laghi è stata completamente sommersa dalla acque. La grande depressione desertica del Qatar non è altro che un lago di acqua torbida, per metà piovana e per metà proveniente dal Mediterraneo stesso. Le terre basse dell’Olanda sono tornate a far parte del Mare del Nord, e la città di New Orleans è stata interamente sommersa dalle acque del Mississippi. La Protezione civile ha eretto delle dighe per impedire la tracimazione del canale principale del grande fiume americano, ma la forza delle acque è stata implacabile, e si è fatta comunque strada attraverso la regione dell’Atchafalaya. Le isole Hawaii hanno perso la famosa trappola per turisti chiamata Waikiki, ma per il resto sono rimaste parecchie altre isole dell’arcipelago. In fondo, le Hawaii sono composte in gran parte da affioramenti vulcanici. Le isole basse e sabbiose che proteggevano la costa orientale degli Stati Uniti non esistono più. Fra le case da gioco di Atlantic City ormai circolano solo squali affamati, e sulle piste da golf delle isole della Georgia crescono ì coralli. La baia di New York è circa tre volte più grande di prima. È disseminata di isolette, e la famosa Statua della Libertà è sommersa fino alle caviglie. Quando i ghiacci del Polo Nord iniziarono a sciogliersi, la situazione non cambiò di molto. Il ghiaccio rimaneva comunque negli oceani, e di conseguenza non aumentò neanche minimamente il livello globale delle acque. Quando si sciolsero i ghiacciai invece fu tutt’un ‘altra questione, ma anche questo non fu nulla in confronto a ciò che accadde quando la Banchisa di Ross si staccò dall’Antartide. Insomma, tutte quelle che erano state le coste dei grandi continenti sono in gran parte sommerse dalle acque, e nei cuori di quegli stessi continenti i fortissimi e secchissimi venti hanno creato nuove ed enormi depressioni desertiche.

A bordo del dirigibile, Polly si accovacciò su un divano che scricchiolò sotto il suo peso. Scrutando fuori dal finestrino, si produsse in una serie di acidi commenti su quanto stava vedendo. — Voi terrestri — disse con tono sprezzante rivolta a Sandy — siete veramente degli spreconi. Guarda quanto spazio libero c’è qua sotto, e nessuno che lo usi.

Sandy non rispose nemmeno. Non stava pensando ai difetti degli esseri umani. Stava pensando alla morte del suo migliore amico. Ormai si trovavano circa a metà di ciò che una volta era stata la provincia di Manitoba, e ancora non si era rassegnato alla perdita di Obie.

Certo… si trovava su un “dirigibile”, e quel dirigibile lo stava trasportando in un luogo dove avrebbe avuto modo di fare nuove esperienze nel mondo degli esseri umani.

E in effetti, Sandy non poteva negare che si trattasse di un’esperienza interessante. Il dirigibile era completamente diverso da qualsiasi altro mezzo di trasporto sul quale avesse viaggiato; si trattava di un grosso pallone pieno di elio in grado di trasportare fino a 300 persone. Vi erano cabine, sale per la musica, gabinetti in abbondanza e anche una grossa sala da pranzo. Sul dirigibile non era necessario rimanere seduti con il corpo avvolto da cinture protettive. Sul dirigibile ci si poteva muovere tranquillamente, camminare su e giù e passare da una sala all’altra. Ciò nonostante, non era affatto simile alla grande astronave hakh’hli, poiché si percepiva nettamente il movimento del velivolo sotto i propri piedi; il pulsare dei motori era un fremito costante, la forza dei venti era qualcosa di tangibile e, soprattutto, vi erano ampi finestrini per osservare il terreno che scorreva sotto di loro.

Quando il dirigibile raggiunse una quota sufficientemente priva di turbolenze, Sandy iniziò ad abituarsi alle nuove sensazioni fisiche e il suo umore migliorò un poco. Quando Marguery Darp bussò alla sua porta per invitarlo a bere qualcosa con lei, accettò immediatamente, felice di avere un’occasione per allontanarsi da Polly e ancor più felice di poter godere della compagnia di Marguery.

Si sedettero uno accanto all’altra su un piccolo e soffice divano dal quale si poteva osservare il panorama esterno. Marguery gli spiegò che il viaggio sarebbe durato circa un giorno e mezzo e che la notte sarebbe arrivata piuttosto rapidamente, poiché stavano dirigendosi verso est. Mentre le grandi pianure accarezzate dall’oscurità scorrevano sotto di loro, Marguery prese la mano di Sandy.

— Sono veramente molto dispiaciuta per ciò che è accaduto al tuo amico Oberon — disse.

Sandy le strinse la mano, ma con dolcezza, per non farle male. — Lo so che ti dispiace. Sai, lui era il mio migliore amico.

— Lo so. — Marguery rimase in silenzio per un momento, continuando a fissarlo. — Hai voglia di parlare di lui?

— Oh, posso? — In effetti, scoprì Sandy, era esattamente ciò che aveva voglia di fare. E parecchio, anche. Aveva più voglia di parlare di Obie di quanto non avesse voglia di lavorare sulla nuova poesia che aveva in mente… e persino più di quanto non avesse voglia di fare una serie di altre cose assieme a Marguery Darp. Così, Marguery rimase in ascolto con espressione comprensiva mentre Sandy le raccontava della sua infanzia sulla grande nave hakh’hli, delle piccole litigate che vi erano state inizialmente fra lui e Obie, del modo in cui Obie lo proteggeva dagli altri hakh’hli nel corso dei giochi più duri, del modo in cui usavano alle volte condividere il loro “latte coi biscotti” insieme, separati dal resto della coorte. Le raccontò anche della scena divertente che vi era stata quando Oberon era entrato nel suo periodo di fertilità proprio nel corso dell’udienza con i Grandi Anziani, e di come era stato orgoglioso in seguito del fatto di aver fertilizzato le uova della Quarta Grande Anziana. — Mi manca molto — concluse, stringendo nuovamente la mano di Marguery.

Marguery strinse a sua volta la mano di Sandy e disse: — Però c’è una cosa che mi lascia un po’ perplessa. Voglio dire, mi sbaglio, o gli altri hakh’hli non sembrano essersi dispiaciuti molto per la sua perdita?

— Be’, la morte non è una cosa molto importante per gli hakh’hli — spiegò Sandy. — Tanto per fare un esempio, io avevo una vecchia tutrice… forse potrei definirla una specie di balia. Si chiamava MyThara, e per me era quasi come se fosse mia madre. — Raccontò a Marguery del modo in cui MyThara si era recata dai titch’hik senza alcuna lamentela o protesta dopo essere stata sottoposta a un esame medico che aveva provato il suo stato di salute ormai cagionevole. Marguery venne percorsa da un brivido. — Loro sono fatti così — si affrettò ad aggiungere Sandy. — MyThara era assolutamente convinta di fare la cosa più giusta, sai? Così facendo, sapeva di dare la possibilità di schiudersi a un nuovo uovo. Ma del resto non ho mai sentito parlare di nessuno che avesse qualcosa da obiettare quando si trattava di andare a morire. E nessuno si dispiace mai per la perdita.

— Tu però ti dispiaci, Sandy — osservò Marguery.

— Perché io non sono un hakh’hli — ribatté Sandy con orgoglio.

In quel momento si aprì la porta ed entrò Polly, che attraversò il salottino fino a fermarsi davanti al loro divano. — Sandy — disse con tono lamentoso. — È ora di andare a dormire. Vorrei che tu venissi a coricarti con me. Mi sento… come si dice… sola!

— Ma io non ho voglia di venire a letto con te — disse Sandy tranquillamente. — Voglio stare qui con Marguery.

Polly tirò fuori la lingua in un gesto di delusione. — E Marguery non potrebbe venire a letto con noi?

— Certo che no — ribatté Sandy diventando paonazzo in volto. — Polly, ora ti trovi sulla Terra, e quindi devi imparare i costumi della Terra. Gli esseri umani dormono sempre da soli, tranne quando sono impegnati in anfilassi.

— Ma io non voglio dormire da sola — insistette con tono piagnucoloso Polly. — Anche a me manca Obie!

Quest’ultima frase lo commosse. Naturalmente, Sandy sapeva benissimo che in verità a Polly mancava solo il calore e la compagnia di Obie, dato che era abituata a dormire ammassata con gli altri membri della coorte. Ciò nonostante, quella dichiarazione gli aveva sciolto il cuore. — Credo che dovrei farle un po’ di compagnia, almeno per un poco — disse a Marguery Darp. — Ma probabilmente tornerò. Credo.

In verità, anche Sandy era piuttosto stanco. Alla lunga, anche lui risentiva di quelle interminabili giornate terrestri di 24 ore. Una volta nella cabina di Polly, sdraiato con le braccia avvolte attorno al corpo della hakh’hli che lo stringeva a sua volta, si sentì piacevolmente rilassato.

Nello stesso tempo, però, voleva anche tornare da Marguery Darp. Quando udì il dolce per quanto leggermente sincopato russare di Polly, tentò con delicatezza di liberarsi dalla sua presa. Non gli fu possibile. Polly infatti emise un piccolo gemito e allungò gli arti superiori per riprenderlo e stringerlo nuovamente a sé…

Sandy si risvegliò improvvisamente accanto a Polly, rendendosi immediatamente conto del fatto che fossero trascorse diverse ore.

Fece per muoversi. Polly si produsse in un ampio sbadiglio, quindi si girò su se stessa. Sandy riuscì a staccarsi e a togliersi di mezzo giusto in tempo per non farsi schiacciare. Muovendosi il più silenziosamente possibile, si alzò in piedi e si guardò attorno. Al di là dei finestrini della cabina era ancora notte. Non aveva assolutamente idea di che ore fossero. Pensò per un attimo di tornare accanto a Polly e di addormentarsi nuovamente nel calore del suo corpo enorme e muscoloso, ma poi gli venne in mente che poteva anche darsi che Marguery Darp si trovasse ancora nel salone ad aspettarlo.

Era un pensiero sciocco, e infatti Marguery non c’era. Non vi era più nessuno negli stretti corridoi del dirigibile. Le luci erano tutte spente, e il salone era deserto.

Sandy si sedette davanti a una finestra e scrutò fuori. Il cielo era scuro, ma pieno di stelle luminose. Il movimento del dirigibile più che preoccupante ormai risultava quasi gradevole per lui. Forse si stava “facendo le ossa”, pensò. Si protese in avanti con aria perplessa. Per un attimo gli era parso di vedere un altro agglomerato di stelle, particolarmente luminoso, proprio sotto di sé.

Poi però notò che le stelle erano rosse, bianche e verdi, e che quindi non potevano essere stelle. Doveva trattarsi di un altro dirigibile, che scivolava silenziosamente per la sua strada un migliaio di metri sotto di loro, proveniente da chissà dove e diretto in un luogo altrettanto sconosciuto.

— Signore?

Sandy si girò con aria colpevole. Un membro dell’equipaggio dal volto assonnato si era fermato sulla porta. — Gradirebbe del caffè, signore? — domandò.

— Oh sì, grazie — rispose Sandy senza esitazione. — Con molto latte e zucchero.

— Subito signore — disse la donna. Poi però si fermò. — Se desidera, posso accenderle la televisione — disse. — Oppure può ascoltare della musica sul canale della nave. Ci sono delle cuffie nella sua poltrona.

— Magari più tardi — rispose Sandy con tono cortese. Non si sentiva ancora pronto per la televisione terrestre. In verità, pensò, anche se avesse trovato Marguery Darp, con ogni probabilità non si sarebbe sentito pronto nemmeno per parlare con lei. Aveva un sacco di cose sulle quali riflettere. La prima cosa, e la peggiore, era la morte di Obie. Non appena vi pensò, sentì il caratteristico prurito alla base del naso che preannunciava l’arrivo di altre lacrime. Non fece nulla per impedire che le lacrime scorressero. Probabilmente, pensò, lui era l’unica persona in tutto l’universo a piangere la morte di Oberon. Di sicuro, nessun terrestre avrebbe pianto per la sua scomparsa. Ed era altrettanto certo che nessun hakh’hli fra quelli della nave lo avrebbe pianto, anche se poteva darsi che qualcuno fra loro fosse andato a controllare la discendenza di HoCheth’ik ti’Koli-kak 5329 per pura curiosità, giusto per controllare se vi era qualche tipo di parentela.

Comunque fosse, Obie era morto.

E non si trattava nemmeno del primo. Una dopo l’altra, tutte le persone che erano care a Sandy stavano scomparendo nel nulla davanti ai suoi occhi. Prima sua madre, ancora prima che lui nascesse, poi MyThara, che si era andata a buttare volontariamente nelle vasche dei titch’hik, e ora anche Oberon, che aveva pagato per la sua follia e per la sua abitudine di mettersi sempre in mostra. Solo che non aveva pagato solo lui! Anche Sandy stava pagando per questo, e in quel momento si rese conto che non era semplicemente triste per Oberon, ma che era addirittura arrabbiato con lui.

Poco dopo arrivò il caffè; Sandy mandò giù la prima tazza di liquido denso e bollente a una velocità tale da fargli bruciare la gola, quindi se ne versò subito un’altra. Lo zucchero sembrava alleviare la fame che non si era reso conto di provare fino a quel momento. Inoltre, per qualche motivo che non riusciva a identificare, sembrava anche migliorare il suo umore. Non in maniera decisiva, ma almeno fino al punto da far cessare le sue lacrime. In parte, pensò Sandy, questo poteva essere dovuto al fatto che il “caffè” conteneva “caffeina” e che la “caffeina” era una cosiddetta “sostanza stimolante”. Provò un certo moto di orgoglio interiore; stava finalmente iniziando ad abituarsi alle bevande e ai cibi terrestri. Decise che la prossima volta che Marguery lo avesse invitato a “bere qualcosa”, sarebbe stato più temerario e non si sarebbe limitato a un po’ di vino diluito nella gazzosa. Aveva visto Boyle bere una bevanda chiamata “scotch on the rocks”; decise che se la poteva apprezzare Boyle, la avrebbe senz’altro potuta apprezzare anche lui.

Ricordando quanto gli aveva detto poco prima la hostess del dirigibile, gli venne in mente che vi erano anche molti altri piaceri terrestri che doveva abituarsi ad apprezzare. Trovò le cuffie della sua poltrona, riuscì a infilarsele in modo che risultassero abbastanza comode senza premere troppo sul suo apparecchio acustico quindi, dopo alcuni tentativi, riuscì a trovare un canale che trasmetteva una musica apparentemente adatta al suo stato d’animo. Si appoggiò allo schienale e si abbandonò alla musica. Girando un poco la testa, poteva vedere le stelle e il paesaggio scuro che scorreva da basso, interrotto di tanto in tanto dalle luci di una occasionale città o villaggio. Continuando ad ascoltare la Sinfonia patetica di Ciaikovskij, Sandy si riaddormentò.

Si risvegliò sentendo il debole mormorio della sua stessa voce.

Si alzò a sedere di scatto, districandosi dal cavo delle cuffie che si era avvolto attorno al suo collo. Hamilton Boyle era in piedi alle sue spalle e stava guardando il grande televisore. Sullo schermo, Sandy vide l’immagine di se stesso che spiegava a un intervistatore invisibile come si svolgeva il Gioco delle Domande che aveva giocato per vent’anni con gli altri membri della sua coorte.

— Oh, scusami — disse Boyle. — Ti ho svegliato? Era una domanda stupida, poiché quel fatto era già evidente di per sé. — Non fa nulla — rispose comunque Sandy in tono cortese.

— Stavo cercando di aggiornarmi sulle ultime notizie — si scusò Boyle. — Il tenente Darp arriverà a minuti. Abbiamo pensato che avresti gradito fare un po’ di colazione.

— Oh, sì — disse Sandy con entusiasmo. Fuori dal finestrino vi era il sole. Le nubi erano tutte sotto di loro, e il calore del sole che filtrava attraverso i vetri gli procurava una piacevole sensazione. Si alzò in piedi e si stiracchiò. — Penso che anch’io gradirei “aggiornarmi sulle ultime notizie” — aggiunse.

Boyle sorrise. Era un bell’uomo, pensò Sandy. Gli riusciva difficile credere che avesse 62 anni, ma così gli aveva detto Marguery. I suoi capelli erano chiari e piuttosto folti, e sul suo volto non vi era traccia di rughe. Forse il suo volto era un po’ troppo spigoloso, pensò Sandy volendo trovargli un difetto, e a dir la verità sorrideva molto più di quanto non fosse necessario. Tuttavia, sembrava una persona amichevole e ben disposta nei confronti degli altri. — La maggior parte delle notizie di oggi riguardano proprio te, lo sai? — disse Boyle. — L’unica altra notizia interessante è quella di un rientro. Un vecchio satellite di quelli grandi sta per uscire dall’orbita, ed esiste la possibilità che piombi su qualche regione abitata. Comunque sia, non possiamo sapere dove si abbatterà, almeno non per un paio di giorni ancora.

— È una cosa che succede spesso? — domandò Sandy, interessato.

— Abbastanza spesso — rispose Boyle, spegnendo il televisore. Non sembrava gradire troppo quell’argomento particolare, così Sandy cambiò soggetto.

— Non sapevo che vi fossero delle telecamere nella stanza, ieri. Quando mi avete fatto tutte quelle domande sulla mia vita, intendo.

Boyle gli rivolse un’occhiata indagatrice. — Spero che non ti dispiaccia… C’è un tale interesse da parte della gente nei tuoi confronti…

— Soprattutto da parte di voi sbirri — osservò Sandy.

Boyle ci mise un attimo a rispondere, ma alla fine lo fece con tono piuttosto rilassato. — Sì, sono un poliziotto, più o meno. Il mio mestiere consiste nel proteggere la società.

— Come Kojak?

Boyle sgranò gli occhi, poi si produsse in un ampio sorriso. — Continuo a dimenticarmi che avete visto un sacco di vecchi telefilm — disse. — Comunque sì, proprio come Kojak. Come qualsiasi buon poliziotto. Ho bisogno di informazioni, e il miglior modo per ottenerle è chiederle a qualcuno che sta all’interno.

— All’interno di cosa? — domandò Sandy. Boyle scrollò le spalle. — Non so molto a proposito dei poliziotti — continuò Sandy. — Ottenete ancora le vostre informazioni attraverso il metodo del… come si chiamava? Il “terzo grado”?

— Io non ho mai fatto una cosa del genere! — ribatté subito Boyle con tono secco. — Non ne ho mai avuto bisogno. Devo ammettere che so di alcune occasioni in cui certi poliziotti hanno fatto uso di questo metodo, ma del resto penso che si tratti di una cosa abbastanza naturale. Perché, gli hakh’hli non fanno mai cose del genere?

— Mai — rispose Sandy con tono convinto. — Non ho mai sentito parlare di nessun tipo di pratica nella quale si infligga a qualcuno del dolore fisico in maniera volontaria, per nessun motivo.

— Nemmeno minacce?

— Minacce di dolore? No! O magari stai parlando di una minaccia di morte? Ma non credo che funzionerebbe, comunque — spiegò. — Gli hakh’hli non temono la morte come la temete voi… cioè, noi.

— Già, è quello che hai detto tu stesso al tenente Darp — ammise Boyle. — Quindi… be’, supponiamo che un hakh’hli impazzisca. Che divenga completamente antisociale. In quel caso, be’, non esisterebbe un modo per, diciamo, costringerlo a dire una cosa che non ha intenzione di dire?

— Non credo proprio. Non con la minaccia o la tortura, almeno.

A quel punto Boyle sembrò perdere interesse nell’argomento. — Mi domando che cosa stia trattenendo ancora la nostra colazione — disse. Poi sorrise nuovamente. — Allora non sapevate che vi stavamo riprendendo?

Sandy scrollò le spalle. — Se è per questo — disse — quando siamo atterrati non sapevamo nemmeno se avevate ancora la televisione o meno. Quando gli hakh’hli arrivarono per la prima volta in questa parte della galassia, anni fa, ricevevano un sacco di trasmissioni. Radio, televisione, un sacco di cose. Questa volta però non hanno captato nulla, tanto che siamo arrivati a pensare che aveste smesso di trasmettere.

Boyle assunse un’espressione pensierosa. — In un certo senso, è stato proprio così — disse. — Con tutta quella robaccia in orbita, i satelliti per le comunicazioni risultano praticamente inutilizzabili. Di conseguenza, usiamo quasi esclusivamente le microonde o i cavi a fibre ottiche. Persino le emittenti locali usano antenne direzionali, così non sprecano energia trasmettendo verso l’alto.

— Non è che lo state facendo per non divulgare informazioni all’esterno?

Boyle assunse un’espressione realmente sorpresa. — Certo che no! — rispose. — Come puoi pensare una cosa del genere? In fondo, come potevamo sapere che gli hakh’hli erano là fuori ad ascoltare? — Scosse il capo.

— No, è solo che abbiamo realmente fatto un gran pasticcio lassù, e il problema non è solo di carattere fisico. Figurati che alcuni di quei vecchi satelliti sono ancora altamente radioattivi. Gli effetti delle Guerre Stellari ci faranno compagnia ancora per un bel po’ di tempo… Anche se devo ammettere che al momento è stato un gran bello spettacolo di fuochi d’artificio.

Sandy drizzò le orecchie. — Vuoi dire che tu hai visto la guerra?

— Certo che l’ho vista. Avevo 12 anni. Naturalmente, non ho visto nulla personalmente con i miei occhi, soprattutto perché mi trovavo a Cleveland, nell’Ohio, e inoltre era pieno giorno. La Guerra Stellare vera e propria è iniziata alle due di pomeriggio ora di Cleveland, e al tramonto era già bell’e che finita. In ogni caso, abbiamo avuto tutti quanti la possibilità di vederla alla televisione, e ti assicuro che si trattava di uno spettacolo incredibile, con tutti quei fuochi d’artificio nello spazio.

— Si concesse una pausa, abbassando lo sguardo verso Sandy. — I tuoi genitori non ti hanno raccontato niente in proposito?

— Come avrebbero potuto? — domandò Sandy con tono risentito. — Sono morti prima che li potessi conoscere. In verità non li ho mai nemmeno visti in faccia, a parte la fotografia di mia madre.

— Ah sì? Posso vedere questa fotografia? — Boyle studiò con attenzione il piccolo rettangolo di carta offertogli da Sandy. Non disse nulla per qualche secondo, poi scandì le sue parole con grande cura. — Certo che era proprio una bellissima donna — disse. — Ti spiace se faccio una copia di questa fotografia?

— Perché? — domandò Sandy con genuino stupore.

— Credo che il pubblico sarebbe felicissimo di sapere che aspetto ha — disse Boyle mentre si infilava la fotografia in tasca. — Hai mai visto la loro nave?

— La nave dei miei genitori, intendi? Non esattamente. Anche in questo caso, ho visto solo immagini registrate.

Boyle annuì con enfasi, come se gli fosse appena venuta in mente un’idea. — Senti un po’, Sandy. Se io ti mostrassi le fotografie di tutte le astronavi che si trovavano nello spazio a quell’epoca, credi che saresti in grado di riconoscere quella dei tuoi genitori?

— Credo di sì. Potrei provarci, almeno.

— Nessuno potrebbe chiederti di più — disse Boyle con tono soddisfatto. — Ah, ecco il tenente Darp con la nostra colazione!

Marguery fece il suo ingresso nel salone seguita da un cameriere che spingeva un carrello con la colazione. Mentre salutava i presenti, il cameriere tirò fuori una serie di piatti coperti e apparecchiò il tavolo per tre.

L’interesse di Sandy venne subito monopolizzato dai profumi delle cibarie, anche se non poté fare a meno di notare il magnifico aspetto di Marguery. Le lunghe trecce ramate della donna sembravano brillare di luce propria, e l’abito che indossava era completamente diverso da quello della sera precedente. Portava una gonna dello stesso colore dei capelli che le arrivava quasi fino alle ginocchia, una giacca di pelle bianca sfrangiata e calze di un azzurro luminoso che le arrivavano fino a metà coscia terminando in una banda di quadratini rossi, bianchi e azzurri. Sandy si rese conto con un certo disappunto che anche Boyle indossava abiti diversi rispetto a quelli della sera precedente, e a quel punto gli venne spontaneo domandarsi se non stesse commettendo un errore nell’indossare sempre gli stessi abiti tutti i giorni.

Ma adesso era il momento di consumare la “colazione”, e Sandy dedicò tutta la sua attenzione a questo compito specifico. I “pancake” erano ottimi, soprattutto se ricoperti con il dolcissimo e denso “sciroppo d’acero”. Anche il piattino di “macedonia di frutta” non era affatto male. Dapprincipio Sandy vi si dedicò con estrema cautela, dando piccoli morsi a ogni pezzetto, ma poi i sapori e la consistenza dell’”arancia”, del “pompelmo” e del “melone” lo conquistarono completamente. Dopo un po’ apparve anche Polly, e a quel punto iniziò il consueto interrogatorio giornaliero. Solo dopo diverse ore, quando Polly si ritirò nella sua cabina per il pasto principale e il periodo di intontimento, Sandy ebbe finalmente l’opportunità di prendere da parte Hamilton Boyle e domandargli se vi fosse effettivamente un motivo valido per cambiarsi d’abito ogni giorno.

Il suo volto era ancora paonazzo per la vergogna quando, dopo essersi ritirato rapidamente nella sua cabina personale, accese la doccia e si infilò sotto il getto caldo per darsi una lavata.

Nessuno dei suoi amici hakh’hli gli aveva mai fatto notare che il suo odore potesse risultare sgradevole. L’odore non era una cosa rilevante per gli hakh’hli, che del resto non facevano proprio nulla per nascondere i loro odori naturali. Ciò nonostante, si disse Sandy con un certo rimorso, avrebbe dovuto rendersi conto da solo già da tempo del fatto che quasi tutti gli odori gradevoli degli esseri umani della Terra provenivano da qualche tipo di bottiglia di plastica.

Una volta lavato e asciugato, decise di provare la bottiglietta di acqua di colonia prestatagli da Boyle. L’odore era decisamente gradevole, così Sandy si riempì una mano e iniziò a spargersela per tutto il corpo.

Il suo grido di sorpresa fu talmente forte e improvviso da strappare Polly dal suo periodo di intontimento. La hakh’hli gli si avvicinò con aria assonnata per vedere che cosa stesse succedendo. Quando Sandy le riferì indignato che il prodotto prestatogli da Boyle bruciava la pelle, Polly non dimostrò alcuna comprensione. — Probabilmente te lo sei messo nei punti sbagliati — disse. — E comunque sia, questo è un tipico esempio di idiozia umana, e dato che anche tu sei umano, tanto vale che ti ci abitui. Ma adesso vestiti, così possiamo andare a farci interrogare nuovamente.

— Non ci stanno interrogando — la corresse. — Ci stanno solo ponendo una serie di domande, perché è naturale che siano molto interessati a noi.

— Non solo a noi — ribatté Polly cupa. — Che tipo di domande ti hanno fatto ultimamente?

Sandy scrollò le spalle mentre si infilava un paio di pantaloni nuovi e si rimirava con fare ansioso nel piccolo specchio. — Un sacco di cose. Nulla di particolare.

— A me invece hanno posto un sacco dì domande particolari su argomenti molto importanti — disse Polly con tono serio. — Mi hanno chiesto un sacco di cose sulla storia della nave. Mi hanno chiesto se gli hakh’hli hanno mai incontrato esseri intelligenti nel corso del viaggio, e che cosa ne hanno fatto. Mi hanno fatto domande sulla tecnologia dei propulsori della nostra nave, che sono alimentati da ciò che loro chiamano “materia anomala”, anche se non so assolutamente come siano riusciti a scoprirlo. Ma soprattutto, mi hanno fatto un sacco di domande su noi hakh’hli; come ci lasciamo morire quando viene il nostro turno, quante uova teniamo nei congelatori, per quanto tempo le teniamo lì, a che scopo… Insomma, vogliono sapere proprio tutto.

— E non vedo proprio per quale motivo non dovremmo dir loro tutto quanto — ribatté Sandy mentre si pettinava i capelli per vedere se riusciva a farli assomigliare a quelli di Boyle. — In fondo, è proprio per questo che siamo venuti qui. Per scambiare informazioni.

— Esattamente — confermò Polly. — Per scambiare informazioni. E mi sapresti dire quali informazioni ci stanno dando in cambio?

— Sono sicuro che sono disposti a dirci tutto ciò che vogliamo sapere — ribatté Sandy convinto.

Polly gli rivolse uno sguardo sprezzante. — Sei proprio un essere umano a tutti gli effetti — dichiarò. — Spero che ti ricorderai di comportarti come tale, la prossima volta che dormiamo assieme.

Sandy si girò per fissarla, sorpreso dal suo tono. — Ti ho per caso offesa in qualche modo, Ippolita? — domandò.

— Ti sei comportato molto male durante il sonno — annunciò Polly con aria seccata. — Dovresti ingoiare la tua stessa saliva! Stavi forse sognando la scorsa notte? E che cosa stavi sognando, poi? Mi hai svegliata ben due volte, e in entrambi i casi ho dovuto allontanarti da me, poiché sembrava che tu stessi tentando di unirti con me in anfilassi. Si tratta di una cosa tanto sciocca quanto disgustosa, Lisandro! Ti prego quindi di risparmiare certe cose per la tua femmina umana, Marguery Darp.

— Non sai come lo desidero — disse Sandy malinconicamente.

Nel corso del pomeriggio vennero poste loro meno domande del solito, ma Sandy trovò la sessione particolarmente stancante. Evidentemente, le parole di Polly avevano avuto il loro effetto su di lui. Non gli piaceva affatto l’idea di essere “interrogato”, e così iniziò ad annotare mentalmente il numero e il contenuto delle domande che gli venivano poste.

Così facendo, scoprì che Polly non aveva tutti i torti. Le domande infatti spaziavano su tutti gli argomenti possibili riguardanti gli hakh’hli, dal nome che davano al loro sole e alle loro astronavi fino al motivo per il quale ChinTekki-tho, pur essendo un Anziano, non era un Grande Anziano. Hamilton Boyle in particolare dimostrava lo stesso interesse dimostrato da Marguery riguardo ai film terrestri che venivano proiettati sul l’intera astronave, e Marguery insistette affinché Sandy gli spiegasse ancora una volta il meccanismo grazie al quale i repulsori magnetici del modulo di atterraggio riuscivano a bloccare o quantomeno a rallentare la corsa dei frammenti di relitti che circolavano nell’orbita terrestre. Sandy non ne poteva più. Nonostante il fatto che Marguery si fosse complimentata con lui per i suoi nuovi abiti (e quando glielo domandò, anche per il profumo fresco che emanava) non stava godendo affatto di quel tempo trascorso con lei. Così, quando Boyle annunciò che dovevano interrompere la sessione per ascoltare Chiappa che trasmetteva alla televisione direttamente dal modulo di atterraggio, tirò un sospiro di sollievo.

La navetta era cambiata parecchio rispetto all’ultima volta che Sandy aveva avuto modo di vederla. L’equipaggio hakh’hli si era dato parecchio da fare nel corso di quei giorni; la rete protettiva era stata tolta del tutto e una nuova pellicola scintillante veniva montata per il viaggio di ritorno. Inoltre, attorno al modulo di atterraggio era sorta una specie di piccola città. Tre grandi strutture oblunghe dotate di ruote lo circondavano formando un semicerchio (Marguery spiegò che si trattava di “roulotte”) e in più erano state erette anche una mezza dozzina di strutture di tessuto (“tende”) che servivano a ospitare gli umani che lavoravano nelle roulotte. Come al solito, vi erano anche una serie di elicotteri, alcuni dei quali con i rotori che giravano costantemente. Stava piovendo nel Commonwealth dell’Inuit, e di conseguenza gli hakh’hli si trovavano tutti al coperto. Sandy vide per un istante la sagoma di Demmy sullo sportello della navetta, poi l’inquadratura cambiò e apparve sullo schermo l’immagine di Chiappa, accovacciato all’interno di una tenda. Chiappa iniziò subito a spiegare che cosa fosse esattamente il “trampolino orbitale”, dilungandosi sui suoi possibili utilizzi ed elencando i punti della Terra sui quali poteva essere costruito; il compito di Sandy e Polly per quel pomeriggio consistette semplicemente nello spiegare a Boyle e a Marguery alcuni dettagli tralasciati dal loro compagno di coorte.

Alla fine della lunga giornata Sandy si sentiva nuovamente esausto. Tuttavia, aveva scoperto che il caffè lo manteneva sveglio. — Non so se fai bene a berne così tanto — gli disse Marguery con tono preoccupato. — In fondo si tratta di una sostanza completamente nuova per il tuo fisico, non è così?

— Non c’è problema — la rassicurò Sandy. Non sarebbe certo stato un piccolo rischio per il suo fisico a impedirgli di trascorrere del tempo da solo con Marguery. Nonostante tutto ciò, Sandy terminò la frase con un ampio sbadiglio.

Marguery assunse nuovamente un’espressione preoccupata. — Sei sicuro di aver dormito abbastanza, Sandy? — domandò.

— Non riesco a dormire tutte le ore che dormite voi — rispose Sandy, sulla difensiva.

— Be’, se hai voglia di andartene a dormire…

— Oh, no! No, Marguery. Ho voglia di passare un po’ di tempo da solo con te.

Gli rivolse uno strano sorriso da femmina terrestre che Sandy non fu assolutamente in grado di decifrare.

— Non avrai mica intenzione di scrivere un’altra poesia per me?

Sandy scosse il capo con aria pensierosa. Vista la situazione, gli veniva da domandarsi se quelle poesie alla fin fine fossero servite a qualcosa o meno. — È solo che con te mi sento più a mio agio — disse infine. — Non che abbia qualcosa contro Hamilton Boyle, ma… Non saprei, ma ho l’impressione che non si fidi di me. Non completamente, almeno.

— Be’, è pur sempre uno sbirro — disse Marguery. Poi, anticipando il commento di Sandy, aggiunse: — Naturalmente lo sono anch’io, ma lui lo è stato per tutta la vita. Credo che si tratti di una cosa pressoché istintiva per lui.

— Pensi che mi sottoporrebbe al terzo grado, Marguery?

— Al terzo grado? Vuoi dire torturarti? Ma certo che no. Cioè — aggiunse con atteggiamento evidentemente restio — non a meno che non ne avesse proprio bisogno. Ma perché mi fai una domanda del genere?

Sandy scrollò le spalle.

— Ci stai forse nascondendo qualcosa?

Sandy rifletté un attimo su quella domanda. — Credo di no — rispose infine. — Voglio dire, vi ho detto tutto quel che mi avete chiesto.

Marguery starnutì, poi tornò a fissarlo con aria pensierosa. — E ritieni che ci siano altre cose che dovremmo sapere che non ti abbiamo chiesto per nostra ignoranza?

— Non che io sappia — rispose Sandy. Poi le rivolse uno sguardo duro. — Tu credi che ve ne siano?

— In effetti — disse Marguery parlando molto lentamente — c’è una cosa che mi stavo domandando.

— Che cosa, Marguery? Basta che tu me lo chieda, e se lo so te lo dirò senz’altro.

Lo fissò per un attimo. Poi, a bruciapelo, pose la sua domanda. — Quanti anni hai, Sandy?

La domanda lo colse un po’ di sorpresa, ma rispose comunque prontamente. — In tempo terrestre, dovrei avere circa 22 anni.

— Esatto. Questo è ciò che ci hai detto fin dall’inizio. E hai anche detto che i tuoi genitori sono stati salvati da un’astronave terrestre quando tu non eri ancora nato.

— Esattamente — disse Sandy, domandandosi dove volesse arrivare.

— Solo che questo fatto è avvenuto durante la guerra o subito dopo, e la guerra è finita 50 anni fa.

— Oh, sì — ribatté Sandy producendosi in un sorriso compiaciuto. Gli faceva molto piacere avere la possibilità di spiegare a Marguery qualcosa che sapeva, visto che alla maggior parte delle domande che gli venivano poste era invece tanto difficile da rispondere. — Questo — disse con tono da professore — è avvenuto per via del fatto che la grande nave hakh’hli viaggiava quasi sempre a una velocità superiore a quella della luce. E questo causa un effetto di dilatazione del tempo, come predisse il vostro Albert… volevo dire, come predisse Albert Einstein nella sua teoria della relatività. Di conseguenza, per me che mi trovavo sulla nave il tempo è trascorso molto più lentamente.

— Capisco — disse Marguery annuendo. — Quindi in realtà sono trascorsi 50 anni terrestri dal giorno della tua nascita. Più o meno 25 anni per arrivare fino ad Alfa Centauri e altri 25 per tornare indietro. Giusto? Solo che per voi è stato come se fossero trascorsi solo 20 anni per via della dilatazione temporale. Giusto?

— Esattamente — rispose Sandy, sorridendo compiaciuto per la rapidità di apprendimento di Marguery.

— E com’è Alfa Centauri? — gli domandò poi con tono molto serio.

Sandy sbatté le palpebre. — Scusa?

— Com’è Alfa Centauri? — ripeté Marguery. — Voglio dire, per te è stato solo dieci anni fa, giusto? Quindi, secondo i tuoi termini soggettivi, quando vi trovavate nel sistema di Alfa Centauri avevi circa dieci anni.

Sandy si produsse in una smorfia. — Non capisco dove vuoi arrivare.

— Be’, Sandy — disse Marguery con espressione un po’ triste — quando avevo dieci anni ero abbastanza immatura, ma non ero certo stupida. Non credo che sarei rimasta del tutto indifferente a una simile occasione. Sono sicura che mi ricorderei almeno qualcosa di Alfa Centauri, perlomeno l’eccitazione degli adulti che si trovavano con me. Non trovi?

La smorfia di Sandy divenne ancora più profonda. — Ho visto delle fotografie — disse.

— Sì — concordò Marguery. — Anche noi le abbiamo viste. Gli hakh’hli ci hanno mostrato un sacco di nastri. Ma io non sono mai stata sul posto. E tu?

— Certo che ci sono stato. Devo esserci stato per forza — rispose Sandy con tono sicuro. La smorfia però rimase fissa sul suo volto.

Marguery sospirò. — Io credo che tu non ci sia mai stato — disse. — Credo che ti abbiano mentito, Sandy.

Sandy la fissò, tanto sconvolto quanto offeso. — E perché mai avrebbero dovuto fare una cosa del genere? — domandò con rabbia. In fondo, stava gettando discredito sui suoi più vecchi amici.

— È proprio ciò che vorrei scoprire anch’io — disse seria Marguery. — Che motivo possono aver avuto? Tanto per fare un esempio, quando hanno catturato i tuoi genitori…

— Li hanno salvati — la interruppe Sandy.

— Quando li hanno portati a bordo della nave hakh’hli, allora. Prova a prendere in considerazione la possibilità che tuo padre non fosse morto. O che tua madre non fosse nemmeno incinta. Prova a prendere in considerazione il fatto che tu sia nato solo nel corso del viaggio di ritorno, che sia accaduto qualcosa ai tuoi genitori e che tu sia stato allevato dagli hakh’hli in seguito…

— È proprio così che è andata — la interruppe nuovamente. — Qualcosa è accaduto ai miei genitori, e sono stato allevato dagli hakh’hli.

— Solo che tu non ti ricordi nulla di Alfa Centauri — osservò Marguery. — Quindi, non credo che le cose siano andate esattamente come te le hanno raccontate.

A quel punto Sandy stava iniziando a innervosirsi. — Dove vuoi arrivare? — domandò con tono secco. — Voglio solo dirti che ti hanno mentito, Sandy.

— Ma è assurdo! Non vedo proprio per quale motivo avrebbero dovuto mentirmi! Dimmelo tu: perché mi avrebbero mentito?

Marguery emise un sospiro. — Vorrei tanto saperlo anch’io.

14

Un porto di mare rende senz’altro più bella una grande città. Tuttavia, un porto di mare ha anche un grave difetto. Inevitabilmente, si trova al livello del mare. Con l’innalzamento del livello degli oceani, la città di New York si è ritrovata quasi interamente sommersa. Fra i cinque quartieri, quello che ha sofferto in misura minore di questa situazione è stato il Bronx; le colline di Inwood e Riverdale infatti si innalzano tuttora con fierezza. I quartieri di Brooklyn, Queens e Staten Island sono sommersi da diversi metri d’acqua, anche se le poche colline rimaste dall’Era Glaciale rimangono ancora al di sopra del livello del mare. L’isola di Manhattan si trova da qualche parte nel mezzo di tutto ciò. Le sue colline, anche quelle più piccole come Murray Hill, sono asciutte. Ma la zona di Wall Street è diventata come una specie di nuova Venezia, dove l’acqua azzurra scorre in mezzo ai grattacieli. Anche i grandi ponti si sollevano dalle acque, ma le loro estremità sono sommerse. Dalla parte opposta di ciò che una volta si chiamava il Fiume Hudson (ora non è altro che un’estensione della baia stessa) i Palisades torreggiano ancora al di sopra delle acque. Ed è proprio qui che è nata Hudson City. Hudson City possiede due qualità fondamentali che la rendono un’importante metropoli. Innanzitutto, sostiene l’industria del recupero, poiché vi sono ancora molti tesori da recuperare negli edifici sommersi del centro di New York. In secondo luogo, vi è la questione del sentimento. Nessun ex abitante della grande metropoli infatti è disposto ad accettare un mondo in cui non esiste New York City, anche se questa ora si trova nel New Jersey.

Quando il dirigibile atterrò presso l’aeroporto dì Hudson City, Sandy stava ancora dormendo. Di conseguenza, non ebbe l’opportunità di vedere dall’alto ciò che era stata, o che perlomeno credeva di essere stata, la più importante città della Terra. Quando attraversarono la città di Hudson per recarsi all’hotel, Sandy era ancora intorpidito dal sonno. Nonostante ciò, non poté fare a meno di notare che Hudson City era decisamente più vasta e abitata rispetto a Dawson, anche se le preoccupazioni che lo affliggevano smorzavano gran parte della sua curiosità nei confronti di quell’enorme città terrestre.

Questa volta, non vennero fornite loro due stanze separate, bensì una “suite”; un appartamento con due camere da letto e un salotto piuttosto grande. Non appena si ritrovarono da soli, Sandy si recò nella camera da letto di Polly e le riferì della conversazione avuta la sera precedente con Marguery Darp.

Come era prevedibile, la risposta di Polly fu decisamente ostile. — Mentirti?-proruppe con furia. — Che razza di dichiarazione è mai questa? È chiaro che i Grandi Anziani non possono assolutamente averti mentito. Per caso la tua mente è annebbiata e non funziona correttamente per via del fatto che sei tanto ossessionato dall’idea di un’anfilassi con la femmina terrestre?

Sandy strinse la mano a pugno e colpì con forza la parete più vicina. La parete tremò, e Polly emise una risatina allarmata. — Smettila di parlare a questo modo della femmina terrestre! — tuonò Sandy. — Rispondi alla mia domanda, piuttosto! Ciò che ha detto Marguery è vero. Io non ricordo assolutamente nulla del viaggio su Alfa Centauri. Tu forse ricordi qualcosa?

Polly ebbe un attimo di esitazione. — In effetti non ricordo molto bene — ammise. — Ma che cosa prova questo? I terrestri non sanno proprio nulla di dilatazione temporale, giusto? Comunque, quando faremo ritorno alla nave potrai chiedere ai Grandi Anziani di chiarire i tuoi dubbi in proposito.

Sandy le rivolse un’occhiata in cagnesco. — Chi ti dice che farò ritorno alla nave?

— Be’ — concesse Polly — forse non ci tornerai. Non so se la cosa sia stata già decisa o meno.

— Io credo che non ci tornerò di sicuro — ribatté Sandy in inglese. — E in ogni caso, quando mai abbiamo avuto la possibilità di domandare qualcosa ai Grandi Anziani?

— In questo caso, puoi chiederlo a ChinTekki-tho via radio. Devo chiamarlo proprio stamattina. Quando avrò finito di comunicare e non prima, potrai parlargli personalmente. E quando ti rivolgi a me, parla in hakh’hli e non in lingua terrestre, chiaro?

Sandy sbatté le palpebre. — Per quale motivo? — domandò, ubbidendo istintivamente.

Polly assunse un’espressione che era contemporaneamente virtuosa e ingrugnita. — Credo proprio che i tuoi sensi siano annebbiati, Lisandro — disse. — I terrestri ci mantengono costantemente sotto osservazione. Guarda nella tua stanza. Guarda qui… — Indicò la lampada sul soffitto. — La vedi quella lente? È una telecamera. Vi sono telecamere in tutte le stanze, e non è certo questa la prima volta che le vedo. Ci sono sempre, in ogni luogo in cui ci fanno alloggiare.

Sandy fissò il piccolo, quasi invisibile, disco di vetro.

— Non fissarlo a quel modo!-ordinò Polly. — Non devono rendersi conto del fatto che abbiamo scoperto i loro segreti!

Sandy allontanò lo sguardo. — In tutte le stanze? — domandò.

— Certamente. In tutte le stanze e non solo in questa — ripeté Polly con tono severo. — E ritengo che anche tu avresti dovuto rendertene conto già da tempo. I terrestri ci tengono sotto osservazione in ogni momento, persino quando dormiamo. Ma ora devi uscire e non tornare per un dodicesimo di giorno… — Consultò il suo orologio da polso, quindi si corresse. — Per circa 85 minuti terrestri, affinché io possa conferire con ChinTekki-tho in privato senza essere ascoltata.

— Perché in privato? — domandò Sandy. — Perché dovrei andarmene?

— Devi andartene perché così ti è stato ordinato e per nessun altro motivo — ribatté Polly con tono fermo.

— E ora va’. Non vorrai fare aspettare la tua femmina terrestre.

Quando Sandy scese nell’atrio dell’hotel, la prima cosa che vide fu proprio Marguery Darp, più fresca e desiderabile che mai. Il solo fatto di vederla migliorò di molto lo stato d’animo di Sandy, ma quando le raccontò che Polly era rimasta nella sua stanza con la radio, anche Marguery si incupì visibilmente. — Ma Ham Boyle vuole portarla con sé per incontrare degli esperti astronomi. Devono parlarle a proposito della conferenza — disse. Sandy scrollò le spalle. — Be’ — continuò Marguery — immagino che possano anche aspettare un po’. In fondo, al momento sono tutti quanti preoccupati per Perth. Se vuoi ti posso portare a fare un giretto in città. Che ne dici?

— Sono stanco di fare giretti — rispose Sandy con tono aspro.

Marguery gli rivolse uno sguardo perplesso. — Forse ti sei alzato dalla parte sbagliata del letto stamattina — disse.

— Capisco questo modo di dire — ribatté Sandy. — Vuoi dire che sono di cattivo umore. Ebbene, può darsi che sia proprio così. E può anche darsi che il motivo di questo mio cattivo umore sia che io stia soffrendo di ciò che viene chiamato uno “choc culturale”. In fondo, ne avrei tutti i motivi.

Marguery gli appoggiò una mano sul braccio. — Certo che li hai, Sandy. Va bene allora, che cosa vorresti fare? Ci sarebbero delle persone che vogliono fare la tua conoscenza, ma credo che possano aspettare. — Rifletté per un attimo. — Vuoi andare a fare una passeggiata?

— Una passeggiata dove?

— Dove preferisci. Magari in città. Ho il tuo cappello e i tuoi occhiali da sole in macchina.

Sandy increspò le labbra. — E non dovrò essere interrogato da queste persone che vogliono conoscermi? — domandò.

Marguery emise una risata. — Oh, caro Sandy — disse. — Ti garantisco che saremo solo noi due. Non posso garantirti che non ti porrò nessuna domanda, ma sai benissimo che non sei assolutamente obbligato a rispondermi, se non ne hai voglia.

— Davvero? — domandò Sandy, sconvolto da questa inaspettata dichiarazione. — Be’, immagino che potremmo almeno provarci. — Solo allora gli venne in mente di chiedere: — Che cos’è Perth?

Perth, gli ricordò Marguery mentre passeggiavano per le vie di Hudson City, era una città dell’Australia. Il motivo per il quale erano tutti preoccupati per Perth era che, sfortunatamente, secondo i calcoli, il mostruoso relitto spaziale di 150 tonnellate che stava per uscire dalla sua orbita si sarebbe abbattuto sulla Terra proprio nella zona di Perth. E dato che il momento dell’impatto non poteva essere calcolato con esattezza, le persone che vivevano in Australia erano piuttosto nervose. Di conseguenza, lo erano anche tutti gli altri.

— Credo — disse Sandy mentre si fermavano in un piccolo parco che dava sulla torbida baia — di essere piuttosto nervoso anch’io.

— Non ti preoccupare, ti passerà — lo tranquillizzò Marguery con tono rilassato. — È proprio questo il bello di questo luogo. Guardare grandi corpi d’acqua serve a rilassare i nervi, lo sapevi?

— Davvero? — Sandy prese in considerazione quel fatto e decise che doveva essere vero. In effetti, si sentiva più rilassato rispetto a prima. Indicò il panorama di edifici che spuntavano dall’acqua all’orizzonte. — Quella laggiù è New York City?

— Ciò che ne rimane, sì — rispose Marguery. — Da qui puoi vedere chiaramente i punti in cui è stata sommersa. Quando il livello del mare ha iniziato a salire, hanno tentato di costruire dighe tutt’attorno alla città, ma è servito solo per poco tempo. Poi le onde hanno superato anche le dighe. Se vuoi possiamo andare a visitare la vecchia città.

— Anche adesso? — domandò Sandy con tono sorpreso.

— Quando vuoi — confermò Marguery.

In quel momento gli venne in mente la chiamata di Polly a ChinTekki-tho. — Non adesso però — disse mentre consultava il suo orologio. Con un certo sollievo, constatò che era passata solo mezz’ora da quando erano usciti dall’albergo. Si appoggiò alla balaustra e osservò il panorama. Appena sotto di loro vi era una striscia di sabbia, e in lontananza vi erano diverse imbarcazioni che solcavano silenziosamente le acque della baia. Sulla sabbia vi erano delle persone con indosso dei costumi molto ridotti sdraiate nei pressi dell’acqua, o addirittura dentro l’acqua stessa. — Che cosa stanno facendo quelle persone laggiù? — domandò.

Marguery si protese sulla ringhiera per guardare da basso. — Ah, stanno facendo il bagno — rispose. — Vorresti provarci anche tu?

— Io? — Le rivolse uno sguardo dubbioso, quindi tornò a guardare la gente sulla spiaggia. — Non so se ne sono capace — confessò. — Non l’ho mai fatto prima d’ora.

— Non c’è nulla di più facile — lo rassicurò Marguery. — Immagino che tu non abbia un costume da bagno, ma non credo che faticheremo molto a trovarne uno.

— Non adesso però — disse Sandy, temporeggiando. Abbassò nuovamente lo sguardo verso la piacevole scena della spiaggia e il panorama della vecchia città. — Magari dopo pranzo — disse. — Adesso ho qualcosa da fare in hotel, quindi forse faremo meglio a tornare.

— Va bene — disse Marguery. Tuttavia, proprio mentre si accingevano ad allontanarsi vennero fermati da una donna con indosso un ampio cappello, occhiali da sole e pantaloncini corti che porse a Sandy un blocchetto e una penna.

— Voglia scusarmi — disse la donna. — Ma lei è l’uomo dell’astronave aliena, vero? Posso avere il suo autografo?

Quando Sandy tornò alla suite, era ormai troppo tardi per parlare con ChinTekki-tho. La radio nella stanza di Polly era spenta, e il tavolo era disseminato dai resti del suo pasto. In quanto a Polly, stava russando rumorosamente, completamente immersa nel suo periodo di intontimento.

— Oh, cacca — disse Sandy ad alta voce. Poi però la sua attenzione si focalizzò sui resti lasciati da Polly sul tavolo. Dopo tutti quegli esotici cibi terrestri, l’odore di quel cibo risultava per lui decisamente stuzzicante e familiare. Prese un piatto d’argento sul quale era stato sistemato un vaso di fiori, si scelse il meglio fra quanto era rimasto del pasto di Polly e si recò in camera sua per mangiare.

Quando ebbe finito, si avvicinò alla finestra e guardò fuori per un certo tempo. Dopo un po’ emise un profondo sospiro e si sedette per scrivere una nuova poesia.

Questa, decise, sarebbe stata una vera poesia umana. Non si sentiva ancora abbastanza sicuro di sé per farla in rima, ma perlomeno l’avrebbe fatta in stile umano, e cioè senza dare alle parole nessun tipo di forma grafica particolare. Quando Polly entrò nella sua stanza con aria assonnata per lamentarsi del fatto che avesse perso l’appuntamento con ChinTekki-tho, Sandy stava nuovamente sorridendo.

Polly invece no. — Sei arrivato in ritardo e non in tempo — lo accusò parlando in hakh’hli.

Per niente pentito, Sandy contrattaccò immediatamente. — Gli hai chiesto per quale motivo non ci ricordiamo di aver visitato Alfa Centauri?

— E perché mai avrei dovuto fare una cosa del genere? Se volevi saperlo, avresti dovuto trovarti qui al momento giusto per chiederglielo di persona.

— Ma gliel’hai chiesto o no?

— Certo che gliel’ho chiesto — disse Polly con tono trionfante. — E lui mi ha fornito una risposta. Ha detto: “Queste cose verranno discusse quando i Grandi Anziani decideranno che è il caso di discuterne e non prima di allora”.

Quando Sandy scese da basso in seguito a una telefonata di Marguery, trovò “la gente che voleva parlare con lui” radunata nella sala da ballo dell’albergo. — Sono proprio tanti — disse con tono niente affatto entusiasta scrutando attraverso la porta del salone. Vi erano circa un centinaio di persone sedute che chiacchieravano fra loro.

— È ciò che noi chiamiamo una “conferenza stampa” — gli spiegò Marguery. — Questa gente vuole solo conoscerti meglio, tutto qui. In fondo, sei una celebrità ormai.

— Davvero? — domandò Sandy con tono compiaciuto.

— Certo che lo sei. Non te ne sei ancora accorto? Altrimenti perché ti fermerebbero per strada per chiederti l’autografo?

Detto questo, Sandy si lasciò trascinare nel salone senza ulteriori proteste. Non appena si sistemò dietro al leggìo sopraelevato, si accesero una serie di faretti e telecamere. Marguery Darp pronunciò alcune brevi frasi di introduzione, quindi iniziarono le domande. Che cosa ne pensava di Hudson City? Aveva apprezzato il pomeriggio alla “spiaggia”? Che cosa avrebbe detto la hakh’hli, Ippolita, agli astronomi terrestri? Sarebbero scesi altri hakh’hli dalla grande nave? Quando? E quanti, esattamente?

In verità, alla maggior parte di queste domande Sandy non poteva che rispondere con un “Non lo so”, ma per il resto tentò di fare del suo meglio, consapevole del fatto che Marguery Darp si trovava seduta in silenzio alle sue spalle. Alcune delle domande però erano veramente difficili per lui, tanto da metterlo in imbarazzo. — Dove ha intenzione di vivere? — domandò per esempio un giornalista. Sandy si girò verso Marguery in cerca di aiuto, ma non ne ricevette alcuno. — Voglio dire — insistette il giornalista — ha forse intenzione di rimanere qui a Hudson City? O meglio, ha intenzione di rimanere sulla Terra, o tornerà con la nave quando gli hakh’hli decideranno di ripartire? — Si trattava di una domanda realmente difficile. Fino a quel momento, Sandy non aveva mai preso realmente in considerazione il fatto che la nave hakh’hli potesse effettivamente ripartire per recarsi in qualche altro sistema solare. Il solo fatto di pensarci gli fece aggrottare visibilmente le sopracciglia. Poi però venne una domanda ancora più difficile, soprattutto perché non se l’era assolutamente aspettata. — Se rimane sulla Terra, che cosa farà?

Sandy sbatté le palpebre davanti alle forti luci. — Che cosa farò? — domandò a sua volta con un tono incerto.

— Voglio dire, che tipo di lavoro le piacerebbe fare? — insistette la donna che aveva posto la domanda.

Sandy ci pensò sopra. In effetti, non aveva mai riflettuto sull’eventualità di “trovare lavoro” sulla Terra. Quali lavori terrestri poteva essere in grado di intraprendere? — Potrei pilotare moduli di atterraggio hakh’hli — disse infine.

La risposta venne accolta da una risata sommessa ma generale. — Ma qui non abbiamo moduli di atterraggio hakh’hli — osservò la giornalista. Fortunatamente, a quel punto intervenne Marguery Darp.

— Il signor Washington possiede molte abilità — spiegò ai giornalisti — ma dovete dargli il tempo per decidere in che modo ha intenzione di farne uso. In ogni caso, ritengo che almeno per il momento abbiamo abusato fin troppo della sua cortesia. Fra l’altro, ho promesso di portarlo a nuotare oggi pomeriggio!

Quando si trovarono nella piccola vettura di Marguery, Sandy tentò di spiegarle il motivo per il quale aveva trovato tanto difficile rispondere a quell’ultima domanda. — Io non sono abituato a prendere decisioni del genere, Marguery. Gli hakh’hli non decidono mai dove vivere o che lavoro fare, perché ci sono i Grandi Anziani che decidono per loro.

Marguery tentò di rassicurarlo appoggiandogli una mano sul braccio. — Qui sulla Terra facciamo le cose in maniera un po’ diversa — disse. A quel punto parcheggiò la macchina e si voltò nella sua direzione. — Ma tu rimarrai qui con noi, non è vero?

— Oh, sì — rispose Sandy. — Questo almeno è ciò che desidero.

— E gli hakh’hli invece? — insistette Marguery. — Credi che ripartiranno per continuare il loro viaggio?

Sandy si grattò una guancia. — Credo di sì — disse.

— Non mi sembri molto sicuro — osservò Marguery.

Sandy scosse il capo. — Per quel che riesco a ricordare, non ne hanno mai parlato. Ma del resto, che altro potrebbero fare?

Marguery annuì con fare sobrio. — È una bella domanda, non è vero? Comunque sia, siamo arrivati alla spiaggia. — Si girò per prendere un pacchetto sul sedile posteriore. — Ho preso un costume da bagno per te nel negozio dell’albergo. Spero che sia della misura giusta.

— Grazie — disse Sandy con tono assente mentre iniziava a sbottonarsi la camicia.

— Non devi spogliarti qui — intervenne subito Marguery. — Ci sono gli spogliatoi appositi. Ci cambieremo separatamente, e ci vedremo fuori non appena avrai finito.

Ciò implicava la soluzione di un altro mistero, ma in questo caso non risultò poi tanto difficile. Sandy si limitò a imitare i movimenti degli altri uomini presenti nello spogliatoio, perfettamente consapevole del fatto che anche loro lo stavano fissando incuriositi. Ma non ci fece alcun caso. La sua mente infatti era concentrata esclusivamente sulle tante domande che Marguery aveva sollevato e continuava a sollevare.

Le domande erano tante, mentre le risposte erano veramente poche.

Per vent’anni, gli era sembrato tutto perfettamente chiaro; sarebbe tornato sulla Terra come dono degli hakh’hli alla razza umana e basta. Non aveva mai preso in considerazione ciò che sarebbe avvenuto “dopo”, né per se stesso, né per la nave hakh’hli.

Quando Sandy uscì dallo spogliatoio sulla cui porta capeggiava la scritta UOMINI, indossava un costume da bagno appena sufficiente per la sua mole. Le molte domande che lo turbavano, però, scomparvero come per incanto non appena individuò Marguery in attesa davanti allo spogliatoio femminile.

Sandy deglutì a fatica. Se una Marguery Darp completamente vestita aveva stimolato la sua fantasia, una Marguery Darp in bikini non poteva far altro che lasciarlo letteralmente senza fiato. La sua accompagnatrice indossava una piccola vestaglia quasi trasparente sulle spalle, ma questa non nascondeva nulla di più di quanto non nascondesse lo stesso bikini. — Sei bellissima — esclamò Sandy non appena ebbe ripreso fiato.

Marguery scoppiò a ridere. — Be’ — disse — i tuoi complimenti sono sicuramente un toccasana per la mia vanità, Sandy Washington. — Poi però si produsse in una smorfia. — Mi sono dimenticata di prendere un accappatoio anche per te, quindi sarà meglio non rimanere troppo tempo al sole. Dai, andiamo a bagnarci i piedi!

Così fecero, e l’esperienza di immergersi nell’acqua del mare tolse qualsiasi altro pensiero dalla testa di Sandy.

Si rese subito conto del fatto che tutti gli altri bagnanti lo fissavano incuriositi, ma notò anche che gli stavano rivolgendo sorrisi di incoraggiamento. Alcuni scattavano fotografie. Sandy sorrise a sua volta ai bagnanti che lo circondavano. Scoprì subito che era divertentissimo immergersi in quel liquido che manteneva quasi sospeso il suo corpo. Era un po’ come volare. Tuttavia, quando si avventurarono in acque più profonde, con Marguery che gli teneva la mano, Sandy tentò di sollevare i piedi dalla sabbia del fondo e constatò che non riusciva a rimanere a galla.

Appoggiò nuovamente i piedi sul fondo, annaspando e ridendo contemporaneamente. — Mi dispiace — disse — ma non credo proprio di riuscire a nuotare. Credo che la densità del mio corpo sia decisamente superiore a quella dell’acqua.

Marguery increspò le labbra. — In effetti, sei piuttosto solido. Ma non è un grande problema. Se vuoi provarci, ti posso procurare un salvagente, o qualcosa di simile. E comunque io sarò sempre qui accanto a te. Va bene?

— Magari un’altra volta — disse Sandy timidamente. — Va bene lo stesso se rimaniamo semplicemente qui a… come dite… “sguazzare” un poco?

— Come preferisci.

Sandy si guardò attorno con aria pensierosa. — L’acqua non è molto fredda — disse.

Marguery rise. — Ma non è sempre così, sai? Avresti dovuto vedere questo luogo lo scorso inverno. L’intera baia era congelata in una morsa di ghiaccio!

Sandy la fissò con aria perplessa. — Ghiaccio? — domandò. — Vuoi dire acqua congelata? Ma perché?

— Perché era inverno, naturalmente — rispose Marguery. Poi però dovette spiegargli che cosa fosse l’inverno”. — Ai vecchi tempi non gelava mai come adesso — aggiunse con un certo orgoglio.

— Ma non mi avevi detto che il clima della Terra è diventato più caldo, e non più freddo? — domandò Sandy umilmente. — Come è possibile che il riscaldamento dell’atmosfera porti al raffreddamento dell’aria?

— Il freddo dello scorso inverno non era più freddo del solito — spiegò Marguery. — Era solo in un punto della Terra diverso dal solito. — Alzò lo sguardo verso il sole e si produsse in una smorfia. — Solo che adesso non è inverno, e temo che stiamo prendendo un po’ troppo sole. Andiamo a sederci un po’ all’ombra.

Sandy la seguì fino alla piccola spiaggia, dove si ripararono sotto a un tendone per i bagnanti che schermava dai raggi ultravioletti. — Torno fra un istante — disse Marguery, avviandosi in direzione di un baracchino che vendeva bibite. Quando tornò consegnò a Sandy un bicchiere di carta con dentro una bevanda frizzante. — Ti piace? — domandò quando Sandy ebbe fatto il primo sorso. — Si chiama “root beer”, ed è una bevanda tipicamente americana.

— Oh, sì — disse Sandy annuendo. Come tutte le cose della Terra, non aveva assolutamente il sapore che si era aspettato. Tuttavia, gli piaceva il modo in cui gli faceva prudere il naso. — Marguery — disse — mi sono appena ricordato una cosa a proposito dell’inverno. Quando ero piccolo, MyThara mi disse che una volta gli hakh’hli avevano visitato un luogo in cui era sempre inverno.

Marguery si dimostrò subito interessata. — Davvero? — domandò, aspettando che andasse avanti. Solo che Sandy non sapeva molto più di quanto aveva appena detto.

— Non ricordo molto in proposito — disse. — So solo che, per qualche motivo, gli hakh’hli non erano affatto contenti di ciò. Agli hakh’hli non piace molto parlare delle loro delusioni… forse perché ne hanno avute parecchie in passato. Ma MyThara ha detto che è successo, centinaia e centinaia di anni fa. — Ci rifletté sopra un poco, poi scosse il capo. — Non ricordo altro. Ma la prossima volta che parlo con ChinTekki-tho glielo domanderò. Lui dovrebbe saperlo. Vuoi che glielo domandi?

— Sì, grazie — rispose Marguery. — Lo apprezzerei molto.

Quando si separarano nuovamente per rivestirsi, Sandy scoprì il foglio di carta piegato nella tasca dei suoi pantaloni. Se ne era completamente dimenticato. Questo fatto lo rallegrò, e non appena si ritrovarono assieme in macchina lo tirò fuori nuovamente.

— Ho una cosa per te, Marguery — disse, abbozzando un sorriso.

Marguery lo fissò. — Oh, mio Dio — esclamò. — Un’altra poesia?

— Questa volta è una poesia umana — rispose Sandy con orgoglio. Non gliela consegnò però, limitandosi a spiegare il foglio e a leggerla lui stesso ad alta voce.

Esile, fragile creatura,
Deliziosamente priva di coda.
Non hai grandi zampe per saltare
Ma gambe lunghe, sottili e dolci.
Voglio arrampicarmi su quelle gambe,
Salire fino al luogo ove ci uniremo noi.
Poiché tu sei la mia dolce metà,
E assieme saremo tutt’uno.

Marguery gli rivolse un lungo sguardo, poi gli tolse il foglio dalle mani. Prima di dire alcunché, lo lesse con grande attenzione.

Poi appoggiò il foglio e tornò a fissare Sandy. — Tu vai sempre subito al sodo, vero?

— Sto cercando di fare le cose nel modo giusto — ribatté lui in tono di scusa.

— Be’ — disse lei — francamente, credo che tu stia facendo le cose più o meno nel modo giusto. Solo che le stai facendo un po’ troppo in fretta, non so se mi capisci.

— Non capisco — ammise tristemente Sandy. Marguery scoppiò a ridere. — E io non so bene come fare per insegnartelo — disse. — Oh, Sandy! — Rimase pensierosa per un istante, poi cambiò improvvisamente tono e soggetto. — Ti piacerebbe vedere la vera New York City?

Sandy sbatté le palpebre, poi indicò con una mano il distante panorama di grattacieli. — Non la sto forse vedendo in questo momento?

— Intendevo dire da vicino. Magari potremmo anche fare qualche immersione, se riusciamo a trovare un giubbotto salvagente o qualcosa del genere che ti impedisca di andare a fondo. Potremmo andare sott’acqua e vedere le vere e proprie strade della vecchia città.

Sandy si produsse in una smorfia mentre ci rifletteva sopra. Non riusciva a capire in che modo ciò potesse collegarsi alla loro precedente conversazione. Aveva un’idea piuttosto vaga di cosa potesse essere un’”immersione”, ma ricordò in quel momento di aver visto dei film in proposito girati da un vecchio francese, Jacques Cousteau. Pensando a quel che ricordava di quei film visti sugli schermi della nave hakh’hli assieme alla sua coorte, gli sembrava una cosa piuttosto pericolosa. Tuttavia, se Marguery fosse rimasta sempre al suo fianco… E soprattutto se avesse indossato, come senz’altro avrebbe fatto, quel meraviglioso bikini…

Le rivolse un ampio sorriso. — Credo che mi piacerebbe.

Marguery si produsse in un’espressione che Sandy non fu in grado di interpretare. — Lo spero — disse, ma non aggiunse altro.

15

Attualmente, cinquant’anni dopo le Guerre Stellari, vi sono circa 90.000 oggetti che circolano nell’orbita terrestre. La maggior parte di questi però sono troppo piccoli per sopravvivere al rientro quando, finalmente, ricadono verso la superficie della Terra. Di conseguenza, è assai difficile che arrechino alcun tipo di danno a coloro che si trovano sulla superficie del pianeta. Stiamo parlando di oggetti delle dimensioni di una pinza, o al massimo di un pallone da spiaggia, che si bruciano da soli grazie all’attrito dell’atmosfera stessa e che non fanno altro che aggiungersi al costante picchiettare del pulviscolo meteoritico che si abbatte sulla Terra da circa quattro miliardi e mezzo di anni. Gli oggetti di queste dimensioni che circolano nell’orbita bassa sono circa 72.000… il che significa che ve ne sono altri 18.000. E contrariamente ai primi, questi ultimi non possono assolutamente essere ignorati dalla popolazione della Terra. Ci riferiamo a oggetti che possono avere le dimensioni di un frigorifero o quelle di una locomotiva. Alcuni sono anche più grandi. Quando uno di questi blocchi di metallo si stacca dalla sua orbita, è pressoché certo che arriverà a terra, anche se magari in pezzi, a grande velocità. La forza dell’impatto è quindi tale da distruggere con facilità anche interi quartieri. Ma questo non è tutto. Sfortunatamente, alcuni di questi grossi oggetti possiedono ancora fonti di energia interne. In genere si tratta di fonti di energia nucleare, e di conseguenza quando questi oggetti piombano sulla superficie del pianeta la loro forza distruttiva non è data dalla sola energia cinetica.

Mentre Sandy si stava recando nella camera di Polly per vedere se era sveglia, squillò il telefono. Era Marguery Darp. — Sandy? Mi trovo qui nell’atrio del’hotel, e ho pensato che fosse il caso di dirti che la riunione è stata rimandata di un’ora per via della caduta del satellite. A quanto pare dovrebbe cadere proprio durante questa orbita. Se vuoi puoi venire con me a vedere la caduta al Lamont-Doherty, altrimenti tornerò indietro a prenderti più tardi. Come preferisci.

— Sarò giù fra qualche minuto — disse Sandy. Abbassò il ricevitore e bussò alla porta di Polly.

Polly era sveglia. Era accovacciata di fronte alla scrivania della sua stanza e stava prendendo degli appunti. Quando Sandy le riferì che la riunione era stata rimandata, si contrasse in un gesto risentito. — Quante storie fanno questi umani per la possibilità di un piccolo danno e la perdita di qualche vita in una sola città — disse. — In fondo, hanno migliaia di città! Ma adesso va’ pure se lo desideri. Io rimarrò qui.

— Va bene — rispose Sandy. — Polly? Tu ti ricordi di quando siamo stati su Alfa Centauri?

Polly si produsse in una smorfia di esasperazione. — Mi hai già fatto questa domanda, Lisandro. Per quale motivo me la fai di nuovo?

— Io non me lo ricordo affatto. E tu?

Polly alzò lo sguardo verso di lui, poi fece esattamente ciò che Sandy si era aspettato facesse. Tornò a dedicarsi ai suoi appunti. Dopo un po’ però si contrasse nuovamente e con aria di superiorità disse: — Non credo proprio che questo sia il momento adatto per fare stupide domande sulla storia antica degli hakh’hli, Lisandro. Attualmente sono molto occupata e non ho tempo per dedicarmi a certe cose. Devo preparare il mio discorso, e ti annuncio fin d’ora che serberà delle piccole sorprese. Tanto per dirne una, fornirò loro la soluzione al loro piccolo problema.

— Che cosa vuoi dire?

— Lo saprai quando parlerò — dichiarò Polly versando una piccola lacrima di soddisfazione. Poi tornò a dedicarsi ai suoi appunti, coprendoli con una grossa mano affinché Sandy non potesse leggere nulla di quanto stava scrivendo. Come se vi potesse essere qualche motivo valido per non farglieli vedere! Alle volte Polly era realmente insopportabile!

— Tu non sei un’Anziana — le disse Sandy. — Quindi non hai alcun diritto di trattarmi come se fossi un bambino. Di quale problema stai parlando?

— Sto parlando di questa faccenda del satellite, una faccenda della quale i terrestri non sono in grado di occuparsi da soli — dichiarò Polly seccamente. — Inoltre, sto parlando anche di molte altre cose importanti. Ho ricevuto istruzioni dettagliate al riguardo da ChinTekki-tho, con il quale ho avuto modo di conferire in privato.

— Ancora in privato!

Polly emise un leggero sbuffo sdegnoso. — Sì, in privato, poiché si tratta di una questione riservata agli hakh’hli e non ai terrestri.

Sandy era esterrefatto. — Ma io sono tuo compagno di coorte! Non sono forse hakh’hli anch’io?

— Naturale che non sei hakh’hli, Sandy — ribatté Polly con tono paziente e ragionevole. — Tu sei Lisandro John William Washington, e se non sei un essere umano della Terra, non sei proprio nulla. Giusto? Ma ora lasciami sola, Lisandro, poiché ho molte cose da fare, — Enfatizzò le sue parole colpendo pesantemente il suolo con la massiccia coda. Poi, quando Sandy si trovava già sulla soglia, lo richiamò. — Tuttavia — aggiunse — ciò che hai detto è quasi corretto e non del tutto errato, Lisandro.

Gli rivolse uno sguardo compiaciuto, ma Sandy non aveva assolutamente idea di che cosa stesse parlando. — A che cosa ti riferisci? — domandò.

— Al fatto che tu abbia detto che io non sono un’Anziana. Tuttavia, per rendere la tua dichiarazione del tutto esatta, vi aggiungerei una parola. Quella parola è ancora.

Sandy rimase in silenzio mentre si recava alla sala riunioni. Era stanco di parlare. Ogni volta che conversava con qualcuno, insorgevano domande alle quali non sapeva trovare risposta. E come se non bastasse, coloro che avrebbero potuto fornirgli le risposte si rifiutavano di farlo. Non riusciva a sopportare l’idea che Polly lo stesse trattando come se fosse un bambino! E dire che invece era proprio lei, che nutriva addirittura la speranza di diventare un giorno un’Anziana, che si stava comportando in maniera decisamente infantile!

Quando Marguery parcheggiò finalmente l’automobile, Sandy aprì lo sportello e osservò dal basso l’edificio nel quale sarebbero dovuti entrare. Si trattava di un alto palazzo dalle pareti di vetro arroccato sulla collina del Palisades sul cui ingresso capeggiava la scritta:

CENTRO DI RICERCA SCIENTIFICA LAMONT-DOHERTY

— Chi erano questi Lamont e Doherty? — domandò incuriosito.

— È solo un nome — rispose Marguery. — Una volta questo edificio ospitava un centro di ricerca geologica, poi invece hanno iniziato a riempirlo di cose provenienti dalla vecchia New York City. — Si guardò attorno, come se stesse tentando di orientarsi. Al momento si trovavano quasi da soli in mezzo a un vasto salone. Le poche persone in vista si stavano affrettando tutte in direzione di una scalinata. — Probabilmente staranno proiettando le fasi della discesa nell’auditorio — disse Marguery. — Da questa parte.

Mentre salivano le scale, udirono un improvviso boato di applausi e grida festose proveniente proprio dallo stesso auditorio. Marguery trascinò Sandy dietro di sé, aumentando la velocità. Una volta nella sala, si concentrarono subito sull’immagine proiettata sul grande schermo dietro il palco. A quanto pareva, la ripresa veniva effettuata dal ponte di una nave. Le immagini infatti oscillavano in maniera regolare, e di tanto in tanto Sandy riusciva a scorgere qualche frammento di antenna o di parti di nave. Le immagini però non si riferivano alla nave stessa, poiché la telecamera era puntata verso il cielo, dove si potevano vedere chiaramente una serie di scie infuocate che piombavano verso la superficie del mare come una pioggia di meteoriti.

Marguery afferrò immediatamente il braccio di uno sconosciuto che si trovava al loro fianco. — Cosa succede? — domandò.

— È andato — disse l’uomo producendosi in un ampio sorriso. — Ha iniziato il rientro nell’atmosfera sopra il Madagascar, ma si è sbriciolato quasi subito. Questi che vedete sono gli ultimi frammenti rimasti, e le immagini vengono dall’Oceano Indiano. Perth non corre più alcun pericolo ormai.

— Grazie a Dio — commentò Marguery con evidente sollievo. A quel punto si girò verso Sandy e lo fissò con aria sorpresa, come se si fosse completamente dimenticata della sua presenza. — Oh — disse. — Be’, lo spettacolo è finito. Prendiamo una tazza di caffè?

— Se ti fa piacere — rispose Sandy. — Marguery? — domandò subito dopo incuriosito. — Avevi per caso degli amici a Perth?

— Amici? No. Non che io sappia, almeno. Non ho mai avuto modo di visitare l’Australia.

— Eppure mi sembravi molto preoccupata — osservò.

Marguery lo fissò. — Cristo, Sandy, alle volte dici cose davvero strane. È logico che fossi preoccupata. In fondo ci sono esseri umani anche in Australia, no? E poi chissà in che punto potrebbe cadere il prossimo satellite? Potrebbe essere proprio sulle nostre teste!

Sandy pensò alla misteriosa sorpresa promessa da Polly e si domandò se fosse o meno il caso di accennare qualcosa in proposito. Solo che non sapeva proprio di che cosa si trattasse, quindi si limitò a fare una considerazione in tono piuttosto serio: — Le possibilità statistiche che una persona venga effettivamente colpita da un satellite sono realmente molto basse, lo sai Marguery?

— Le possibilità? Sandy, tu non sai niente a proposito di certe cose. Non hai trascorso gran parte della tua vita con la paura di essere colpito all’improvviso da un oggetto proveniente dal cielo, e quindi non hai idea di quanto possa renderti nervoso una cosa del genere. Dai, andiamo a prenderci questo caffè. — Quando furono nuovamente nel corridoio che dava accesso alla sala, il suo tono si ammorbidì. — Scusami per prima, Sandy — disse. — Non era mia intenzione darti una simile lavata di testa.

— Lavata di testa? — domandò Sandy con tono perplesso.

Marguery scoppiò a ridere. — Oh, scusa Sandy. Continuo a dimenticarmi che sei nuovo di queste parti. — Gli fornì una spiegazione dettagliata mentre aspettavano in fila davanti al tavolo del caffè. — Senti — aggiunse infine — dato che abbiamo un po’ di tempo a disposizione, pensi che ti piacerebbe andare a dare un’occhiata laggiù?

Stava indicando una porta in fondo al corridoio in cui si trovavano sulla quale era scritto SALA MONITOR DI SORVEGLIANZA ORBITALE. — Che cos’è? — domandò Sandy incuriosito.

— È esattamente ciò che dice la scritta. È una sala dalla quale si possono controllare gli oggetti che si trovano in orbita attorno alla Terra, compresa la nave hakh’hli. Ti piacerebbe andare a dare un’occhiata?

All’interno della stanza vi erano persone che lavoravano, e Marguery si rivolse a una di queste a bassa voce. La donna annuì e indicò un terminale. Marguery vi si sedette, si produsse in una piccola smorfia di fronte alla tastiera, poi iniziò a digitare codici.

— A quanto pare, un poliziotto dell’InterSec può fare più o meno tutto ciò che gli pare — osservò Sandy alle sue spalle.

— Certo, se è accompagnato da te — ribatté Marguery senza sollevare lo sguardo dallo schermo. — E soprattutto se una volta faceva parte del corpo degli astronauti. Ecco qua. Da’ un’occhiata.

Sullo schermo davanti a Marguery stava iniziando a formarsi un’immagine… un piccolo oggetto luminoso in lontananza, simile a una lattina.

— Ora la stiamo vedendo con lo spettro infrarosso — spiegò Marguery. — Si tratta degli stessi telescopi che hanno seguito il rientro del satellite. Ogni tanto può capitare di vedere qualche striscia luminosa che attraversa lo schermo, ma non farci caso. Si tratta semplicemente di altri relitti in orbita, come quello che è appena caduto. Aspetta che ti ingrandisco l’immagine con lo zoom.

Sandy fissò l’immagine che si ingrandiva. Non vi potevano essere dubbi, si trattava proprio della grande nave hakh’hli! Sembrava brillare di luce propria tanto era luminosa, ed era perfettamente visibile in ogni suo dettaglio. Sandy non aveva mai avuto l’occasione di vederla a quel modo. Mentre girava lentamente su se stessa allo scopo di non surriscaldare eccessivamente un lato piuttosto che un altro, divenne chiaramente visibile anche il piccolo incavo nella superficie che era stato la sede del modulo di atterraggio con il quale erano scesi sulla Terra.

— Non sapevo che foste effettivamente in grado di vedere la nave — commentò sorpreso.

— Certo che siamo in grado — ribatté Marguery con tono offeso. — Ci hai forse presi per dei selvaggi ignoranti? Ormai sono quasi due mesi che vi osserviamo.

— Due mesi?

Marguery si produsse in un gesto di stizza. — Il fatto che non siamo più in grado di andare nello spazio non significa necessariamente che non siamo nemmeno in grado di continuare a guardare. L’emissione di raggi gamma è stata individuata diverse settimane fa nel corso di un controllo di routine. È apparso subito evidente che la fonte delle emissioni si stava muovendo a grande velocità, così naturalmente è stata seguita. Credo che sia il vostro propulsore che emette tutti quei raggi gamma.

Toccò qualche tasto, e l’immagine dell’astronave si ingrandì ulteriormente sullo schermo. — In quel momento però la vostra nave si trovava ancora al di fuori del piano dell’eclittica, a oltre un miliardo di chilometri di distanza, e di conseguenza non riuscivamo a ottenere una buona immagine ottica. Poi, quando siete usciti da dietro il Sole, vi abbiamo seguiti costantemente con il radar.

— Radar?

— Onde radio — spiegò. — Quando incontrano qualche oggetto, vi rimbalzano sopra e tornano indietro, rivelandone la presenza.

— Ah — disse Sandy, gratificato dal fatto che almeno un punto risultasse finalmente chiaro per lui. Annuì. — ChinTekki-tho ci ha detto che stavano captando qualche genere di trasmissione proveniente dalla Terra, ma nessuno fra gli hakh’hli aveva idea di che tipo di emissioni potessero essere. Apparentemente, non trasportavano alcun tipo di informazione.

— Non in uscita, certo — concordò Marguery. — Ma il riflesso di quelle stesse emissioni ci forniva un’ottima immagine della nave. In seguito siamo riusciti a ottenere anche un’immagine ottica, almeno nel campo infrarosso… la vostra nave ha accumulato tanto di quel calore passando accanto al Sole che risaltava come una lampadina accesa. Sandy, le vedi quelle protuberanze sulla fiancata della nave? A che cosa credi che servano?

Sandy scrutò lo schermo con attenzione. — Intendi quei cinque bozzi uno in fila all’altro? Sono moduli di atterraggio. La grande nave hakh’hli ha metà di dodici navette, e infatti si può notare un vuoto nel punto in cui era alloggiata la nostra. — Si voltò improvvisamente verso Marguery. — Ci avete guardati anche mentre arrivavamo?

— Certo che vi abbiamo guardati. Non avreste forse fatto lo stesso anche voi? — domandò con pazienza. — Vi abbiamo tenuti d’occhio costantemente, e ci siamo anche sintonizzati su tutte le frequenze possibili per cercare di captare qualche vostro segnale di riconoscimento. Ma voi non ci avete mandato alcun tipo di segnale.

— Be’ — disse Sandy con tono di scusa — i Grandi Anziani non sapevano bene con che tipo di persone avrebbero avuto a che fare…

Marguery scrollò le spalle. — Be’, nemmeno noi eravamo sicuri del tipo di persone con cui avremmo avuto a che fare, e così abbiamo seguito la rotta della navetta fin dal momento in cui si è staccata dalla nave madre, calcolando con esattezza il punto in cui sarebbe atterrata. Non c’era assolutamente bisogno che tu vagassi da solo sotto la pioggia, Sandy. Se tu fossi semplicemente rimasto dov’eri, saremmo venuti a prendervi non appena finiva il temporale.

— E perché non ce l’avete detto?

— Be’, te lo sto dicendo adesso. — Poi, controvoglia, aggiunse: — A dir la verità non avevo il permesso di dirtelo, prima. L’autorizzazione a divulgare certe notizie mi è stata appena concessa.

— Capisco — disse Sandy con tono amareggiato. — Ora ti hanno concesso il permesso di condividere con me alcune verità. Ma non tutte, immagino. — Marguery si astenne dal commentare, limitandosi a una smorfia. — Adesso — continuò Sandy — oltre a permetterti di essere la mia carceriera, ti hanno anche dato il permesso di concedermi qualche piccola briciola di informazione, per vedere che cosa ne facevo?

— Non sono affatto la tua carceriera, Sandy!

— E allora come definiresti la tua funzione nei miei confronti?

— Il termine adatto — disse con tono compunto — è “accompagnatrice”.

— Ma tu sei un poliziotto. Una poliziotta, cioè.

— L’InterSec non è la polizia. Non esattamente, almeno. Oh, al diavolo — sbottò esasperata — che cosa ti aspettavi? Era solo una forma di precauzione. Naturalmente, dovevamo essere ben sicuri del tipo di faccenda in cui ci stavamo imbarcando, e così abbiamo… — Si fermò a metà frase per fissare il soffitto, poi continuò con decisione. — Vi abbiamo tenuto d’occhio. Allo stesso modo in cui voi avete tenuto d’occhio noi. — Cambiò improvvisamente argomento. — Vuoi ancora caffè?

— Se è questo che la mia “accompagnatrice” desidera che io faccia… — ribatté Sandy amareggiato. — E che altro desidera che faccia per soddisfare le sue naturali preoccupazioni?

Marguery gli rivolse uno sguardo che Sandy non fu in grado di interpretare. — Questo dipende da te — disse.

— Oh, ma sono sicuro che avrai istruzioni ben precise al riguardo — insistette Sandy.

Marguery fissò il vuoto per un istante, poi emise un sospiro e rivolse lo sguardo verso il suo orologio. — Fra poco inizierà il discorso di Polly — disse.

— Allora dobbiamo recarci senz’altro sul posto, non è vero? Affinché tu possa portare a termine gli ordini che ti sono stati impartiti?

Marguery si astenne dal rispondere. Sandy si girò e fece per andarsene, ma lei lo fermò appoggiandogli una mano sul braccio. Prima di parlare, si guardò rapidamente attorno per vedere se vi fosse qualcuno in ascolto. — Sandy — disse, quasi sottovoce. — Hai detto che ti sarebbe piaciuto andare a visitare la vecchia New York. Se lo desideri ancora, penso che potremmo andarci oggi pomeriggio.

Il tono di Marguery era piuttosto strano, ma Sandy non si lasciò commuovere. — Certo — rispose con tono acido. — Farò esattamente ciò che mi dirai. Dopotutto, non è che abbia molte alternative.

Polly era in ritardo. Erano tutti seduti da un pezzo nella sala quando fece finalmente il suo ingresso, sbatacchiando le possenti zampe sul pavimento del corridoio centrale con i suoi lunghi passi saltellanti da hakh’hli. Hamilton Boyle la seguiva, evidentemente affaticato dall’andatura. Quando quest’ultimo si diresse verso gli scalini al lato del palco invitando l’aliena a seguirlo, Polly gli rivolse uno sguardo sdegnato. Senza alcuno sforzo, saltò direttamente sul palco con un agile balzo. Quando Boyle giunse nuovamente al suo fianco, Polly si era già accomodata dietro al leggìo e stava passando in rassegna i suoi appunti.

Il pubblico si produsse in una risatina sommessa.

Una cosa del genere rientrava perfettamente nel carattere di Polly, pensò Sandy. Anzi, si corresse, rientrava perfettamente nel carattere degli hakh’hli. Polly alzò lo sguardo ed espresse la propria gratitudine per la risatina secernendo una piccola lacrima di soddisfazione. Seduto com’era in prima fila, circondato da esseri umani, Sandy la vide per la prima volta con occhi terrestri e si rese conto al di là di ogni dubbio che la sua compagna di coorte aveva un aspetto decisamente comico per loro.

Mentre Hamilton Boyle la presentava al pubblico, Polly si lisciò il pelo, pavoneggiandosi e facendo finta di niente. Dopo un po’, Boyle premette un pulsante che fece discendere un grande schermo bianco alle loro spalle e concluse il suo discorso: — …Quindi ora il nostro onorato ospite ci mostrerà alcuni dei dati astronomici acquisiti dal suo popolo nel corso del loro lungo viaggio.

Polly assunse un’aria irritata. — Devo proprio? — domandò a Boyle.

Boyle si produsse subito in un’espressione esterrefatta. — Ma credevo che tu fossi d’accordo — disse. — In fondo tu sei stata invitata qui proprio per questo motivo…

Polly contrasse il corpo in un gesto scocciato. — Oh, va bene — disse. — Vediamo di liberarci in fretta di questa parte. È questo il comando per le immagini? — Con fare impaziente, lasciò che Boyle le spiegasse come andava usato, dopodiché glielo strappò letteralmente dalle mani. — Va bene, ora spegnete le luci — ordinò. Allungò il collo per vedere lo schermo alle sue spalle e iniziò a far scattare un’immagine dopo l’altra in rapida successione prima ancora che le luci della sala fossero state spente. — Queste sono alcune stelle che si trovano nelle vostre vicinanze — disse, lasciando le immagini sullo schermo per non più di mezzo secondo ognuna.

— Questa prima serie riguarda la stella che voi chiamate Gamma Cefeo e i suoi due pianeti. Non è nulla di molto interessante; si tratta di ciò che voi chiamate “nane brune”, di nessuna utilità per chicchessia. Stavamo allontanandoci dal sistema di Gamma Cefeo per dirigerci verso ciò che voi chiamate Alfa Centauri quando abbiamo captato i vostri segnali radio e abbiamo deciso di passare da queste parti, circa 50 dei vostri anni fa. Queste immagini invece si riferiscono ad Alfa Centauri. Il sistema non possiede alcun pianeta pienamente formato di dimensioni degne di considerazione, ma solo una serie di oggetti simili a comete o asteroidi. Eccoli qui. Ma ora veniamo al vostro sistema solare… Perché mi interrompi, Boyle?

L’uomo dell’InterSec le aveva appoggiato una mano sul braccio. — Non credi che sarebbe il caso di procedere un po’ più lentamente? — le domandò con tono cortese.

— Per quale motivo? Tanto queste immagini sono già state registrate nei vostri schedari, e al momento ho cose ben più importanti di cui parlare. Questo è il vostro sole, e qui potete vedere alcuni dei vostri pianeti…

— Sandy sbatté le palpebre. Le immagini sostavano alternando a una velocità tale da non permettergli di recepirle, e naturalmente la gente che lo circondava stava iniziando a lamentarsi per questo. Ma Polly non vi fece assolutamente caso. — Terra, Venere, Mercurio, Giove, Saturno, Nettuno, Marte. L’aspetto interessante per voi, immagino, è che si tratta soprattutto di immagini prese dai poli, scattate da un punto a nord dell’eclittica nel corso del nostro ritorno da Gamma Cefeo e da sud nel corso del nostro viaggio verso Alfa Centauri. Naturalmente abbiamo molte altre fotografie in archivio, che metteremo a vostra disposizione in seguito. Ma adesso basta con questo argomento. Luci! — ordinò con tono, perentorio. Mentre la sala tornava gradualmente a illuminarsi, Polly rivolse uno sguardo compiaciuto verso il pubblico che continuava a borbottare.

— E ora — disse-passerò alla parte più importante del mio discorso odierno. — Si interruppe rivolgendo lo sguardo verso un uomo seduto vicino a Sandy che aveva alzato una mano. — Desidera qualcosa? — gli domandò.

— Volevo solo sapere se ci verrà concessa la possibilità di porle qualche domanda — disse l’astronomo.

— Immagino di sì, ma non prima che abbia terminato il mio discorso. Vi prego di prestare la massima attenzione a ciò che vi dirò ora. Il mio diretto superiore, ChinTekki-tho, mi ha ordinato di informarvi del fatto che dovrete iniziare a intraprendere la costruzione di un acceleratore elettromagnetico, ciò che voi chiamate un “trampolino orbitale”, immediatamente. Abbiamo già identificato due luoghi ottimali per la costruzione sulla superficie del vostro pianeta. Uno si trova sull’isola che chiamate Bora Bora, l’altro sulla cima di ciò che chiamate il Monte Kilimanjaro, nel continente africano. I nostri specialisti stanno portando a termine i piani dettagliati per la costruzione, che vi verranno trasmessi entro breve tempo, e ci stiamo preparando per far scendere sulla Terra due squadre di specialisti, una per ogni trampolino, affinché possano soprintendere inizialmente alla costruzione e in seguito al funzionamento di suddetti apparecchi. Lo scopo principale dei trampolini sarà quello di lanciare in orbita la quantità necessaria di materie prime per rifornire la nostra nave interstellare, ma ChinTekki-tho ha deciso di concedervi un favore speciale, e di conseguenza alcuni fra i primi lanci serviranno per inserire determinati oggetti a propulsione autonoma nell’orbita terrestre. Questi ultimi verranno indirizzati in modo tale da entrare in collisione con gli oggetti che sono già in orbita attorno al vostro pianeta e che hanno maggiori probabilità di staccarsi dalle loro orbite nel prossimo futuro. In questo modo, sarete in grado di eliminarli a vostro piacimento facendoli cadere nei punti della superficie del pianeta in cui riterrete che potranno causare meno danni alla popolazione o alle installazioni umane. Così facendo — concluse con tono trionfante — abbiamo risolto per voi uno dei vostri problemi più pressanti. Ora potete farmi alcune domande se lo desiderate, ma vi prego — rivolse lo sguardo verso il suo orologio da polso — non molte, perché è quasi l’ora del mio pasto di mezzogiorno.

Con grande sorpresa da parte di Sandy, non vi fu alcuna domanda immediata. Il pubblico rimase in silenzio. Anche Polly rimase piuttosto sorpresa, tanto che si mise subito a contorcersi tutta per l’irritazione. Dopo un po’, indicò un uomo che si trovava qualche fila più indietro rispetto a Sandy, in posizione centrale. — Domanda — ordinò.

— Mi stavo semplicemente domandando per quale motivo non avete fotografato Urano e Plutone? — disse questi ad alta voce.

Polly emise uno sbuffo di delusione. — Perché non mi fate piuttosto qualche domanda sui punti più importanti del mio discorso? Semplicemente, non abbiamo osservato né Urano né Plutone.

— Ma se vi siete persi Urano e Plutone — insistette l’astronomo — come potete essere sicuri di non aver perso qualche pianeta anche negli altri sistemi che avete visitato?

— Noi non ci “perdiamo” i pianeti — lo corresse Polly con tono glaciale. — Semplicemente, non ci interessiamo di oggetti che non risulterebbero di alcuna utilità per noi, soprattutto per via della grande distanza dal loro sole. Naturalmente, abbiamo molte altre fotografie in archivio. Nel corso di questo viaggio, noi hakh’hli abbiamo visitato oltre 65 sistemi solari, e naturalmente abbiamo anche a disposizione dati relativi ad altri viaggi compiuti da altre navi.

— E ne ricevete tutt’ora? — domandò un altro astronomo del pubblico.

— Intende rapporti da altre navi hakh’hli? — domandò a sua volta Polly. Ebbe un attimo di esitazione, poi rispose un po’ controvoglia. — No, attualmente non ne riceviamo.

— E riguardo ai pianeti del vostro sistema originario?

— Non abbiamo alcuna immagine da mostrarvi dei nostri pianeti. I nostri antenati li conoscevano molto bene, e di conseguenza non avevano bisogno di fotografie per ricordarseli.

— Potreste almeno identificare la vostra stella d’origine sui nostri cataloghi stellari? Avete detto che si trova a soli 850 anni luce di distanza, e se è luminosa come il nostro sole, dovrebbe trattarsi di un oggetto di quattordicesima o quindicesima magnitudine almeno, e sui nostri atlanti sono segnati tutti gli oggetti di quelle dimensioni.

Polly ebbe ancora un attimo di esitazione. — Penso che possa essere identificata — disse.

— Da lei stessa?

— Non necessariamente da me in persona — rispose controvoglia. — Non al momento, almeno.

— In pratica, vi siete persi, giusto?

— Non ci siamo affatto persi! Semplicemente, non siamo più riusciti a stabilire un contatto con la nostra stella madre per via della grande distanza che ci separa. Come dovreste ben sapere anche voi, mandare un segnale e ricevere una risposta attraverso ottocento anni luce di spazio richiede un tempo pari a 1.600 dei vostri anni. Quando avremo portato a termine la nostra missione, lo comunicheremo ai nostri pianeti natii.

— Ma quale sarebbe, allora, esattamente la vostra missione?

Polly rimase in silenzio per qualche secondo, poi proruppe in un impeto di rabbia. — La nostra missione consiste nell’esplorare e apprendere! Possibile che non abbiate delle domande migliori da farmi?

— Possibile che voi non abbiate immagini migliori da proporci? — ribatté un altro astronomo. — Queste sono semplici fotografie ottiche! Non avete immagini in infrarosso, ultravioletto, raggi X o raggi gamma per accompagnarle?

— Una cosa del genere non rientra nelle nostre abitudini — rispose Polly con tono secco. A quanto pareva, stava iniziando ad arrabbiarsi sul serio. — Nessuno di voi ha intenzione di porre qualche domanda a proposito dei trampolini orbitali?

Seguì una pausa, poi Hamilton Boyle si protese in avanti verso il microfono. — Io ne avrei una — disse. — A proposito di questi progetti di costruzione che ci consegnerete, volevo sapere se li avete mai usati per costruire un simile trampolino di lancio in passato.

— Io personalmente? Certo che no.

— Magari qualcuno sulla vostra nave?

— No, ultimamente no — ammise Polly.

— Allora come potete essere tanto sicuri del fatto che funzioneranno?

Polly gli rivolse uno sguardo glaciale, a metà fra lo sconcertato e l’infuriato. — Si tratta di progetti hakh’hli — spiegò con rabbia. — Sono stati approvati dai Grandi Anziani! È naturale che funzioneranno. Non c’è nessuno che abbia qualche domanda ragionevole in proposito?

Quando fu evidente che non vi era nessuno che ne avesse, Polly si girò e si allontanò con fare sdegnato, incamminandosi in tutta fretta verso il suo pasto pomeridiano e rifiutando seccamente l’offerta di accompagnamento di Hamilton Boyle. Mentre il pubblico si alzava in piedi per andarsene, Boyle si avvicinò a Marguery e Sandy. — Avete progetti per pranzo? — domandò con tono gioviale.

— Andiamo a esplorare New York — rispose Marguery per entrambi. — Probabilmente mangeremo solo un paio di panini per strada.

Boyle annuì e rivolse a Sandy uno sguardo penetrante. — Temo che la tua amica non sia rimasta molto contenta di noi — disse.

Sandy decise di non menzionare il fatto che capitava assai raramente di vedere Polly contenta. — Credo che sia rimasta piuttosto sorpresa dal fatto che nessuno le abbia posto domande sull’offerta del trampolino magnetico.

— Oh? — commentò Boyle sollevando le sopracciglia. — Si trattava di un’offerta? A me è sembrato più che altro un ordine perentorio.

— Probabilmente è solo il suo modo di fare — disse Sandy.

Boyle annuì. — E tu cosa ne pensi? Pensi che si tratti di una buona idea?

Sandy gli rivolse uno sguardo sorpreso. — Certo che è una buona idea. Altrimenti i Grandi Anziani non la avrebbero mai approvata. Avrete la possibilità di mettere in orbita migliaia di capsule, e con costi veramente molto bassi. Inoltre, avrete la possibilità di eliminare la maggior parte dei relitti che circolano attualmente nell’orbita terrestre. Non è forse una buona cosa questa? Non volete salvare le vostre città da ciò che stava per succedere a Perth oggi?

Boyle emise un sospiro. — Certo — rispose con calma. — In effetti, parrebbe un’ottima idea quella di far piombare giù i vari relitti in zone sicure affinché non colpiscano le aree abitate. Solo che ho dei forti dubbi rispetto al rovescio della medaglia.

— Non capisco — disse Sandy.

Boyle scrollò le spalle. — Be’ — spiegò — se si può far uscire un oggetto dalla sua orbita per far sì che manchi una città, non credi che sia almeno altrettanto facile fare in modo che ne colpisca una?

16

Il pianeta Terra ha ricevuto molte cose in eredità dal ventesimo secolo, e fra queste quattro in particolare che sono particolarmente durevoli; i radionucleidi, i gas atmosferici, le sostanze chimiche tossiche e la plastica. Fra queste quattro, la plastica è senz’altro la più abbondante. Dieci miliardi di hamburger transitori sono stati digeriti ed espulsi da anni, ma si sono lasciati alle spalle altrettante scatolette di styrofoam. In genere le sostanze plastiche sono abbastanza leggere da galleggiare nell’acqua. Di conseguenza, quando le reti da pesca in nylon vengono perse o buttate fuoribordo dai pescherecci, rimangono nei mari e continuano ad ammazzare pesci a oltranza finché non si disfano del tutto, ovvero mai. Le lattine di Coca-Cola e le bottigliette di shampoo finiscono invariabilmente negli oceani e vanno a inquinare le spiagge di tutto il mondo. Le Montagne Rocciose possono anche sbriciolarsi, lo Stretto di Gibilterra può anche crollare su se stesso, ma un contenitore di plastica non morirà mai. Come i diamanti, anche la plastica è per sempre. Per alcuni membri del regno animale, questa può anche essere una buona notizia. Le meduse, per esempio, traggono un certo beneficio da questa situazione. Gli animali che mangiano le meduse infatti possono benissimo scambiare un sacchetto di plastica per una di loro e morirne soffocati, e di conseguenza le meduse hanno maggiori possibilità di sopravvivere e prosperare. Ciò nonostante, si tratta di una pessima notizia per le foche, gli uccelli pescatori, le tartarughe, i pesci… egli esseri umani.

Mentre attraversavano il larghissimo fiume Hudson in direzione della vecchia New York, Marguery fu stranamente silenziosa e distaccata. Sandy però non vi fece quasi caso, poiché anche lui era profondamente immerso nei propri pensieri. Non stava pensando al mal di mare, anche se le onde causate dall’incontro della corrente del fiume con la marea li stavano facendo ballare parecchio, bensì a quanto aveva detto Hamilton Boyle.

— Vuoi un altro panino? — domandò Marguery infilando una mano nel sacchetto che si era portata appresso.

In quel momento Sandy notò che aveva ancora in mano la maggior parte del primo panino. — No, non adesso. Marguery? Secondo te gli hakh’hli farebbero mai una cosa del genere?

— Far saltare per aria le nostre città? Non lo so, Sandy. Tu che ne pensi?

— No! È assolutamente contrario ai loro princìpi, ne sono quasi certo.

Marguery annuì. — Finisci il tuo panino — si limitò a dire.

Una volta usciti dalle correnti dell’Hudson, il viaggio assunse il carattere della gita di piacere che avrebbe dovuto avere fin dall’inizio. Il piccolo motore a spinta inerziale ronzava già da tempo in maniera rassicurante quando attraccarono su ciò che Marguery definì coma “la 34esima strada ovest”.

Non vi era un vero e proprio attracco, poiché ciò che una volta era la strada si trovava ora sott’acqua. Vi erano edifici ovunque che agivano da barriera nei confronti delle onde e delle correnti, e di conseguenza le acque erano perfettamente calme. Talmente calme che, in certi punti, Sandy riusciva addirittura a vedere il fondo se si sporgeva dal bordo della barca, con tutte le strade, le automobili, i camion abbandonati e i grossi veicoli che Marguery chiamava “autobus”.

Fermarono la barca fra due edifici particolarmente alti, quindi scesero e la trascinarono oltre il segno dell’alta marea. Sul marciapiede vi erano una serie di frammenti di plastica colorata portati a riva dalle onde. Quando Marguery spiegò che si trattava di rifiuti abbandonati dai vecchi tempi, Sandy rivolse uno sguardo disgustato verso l’acqua. — Voi quindi nuotate nei rifiuti? — domandò.

— Oh, tutti i rifiuti biologici se ne sono andati da anni ormai — lo rassicurò. — Non c’è nulla in quest’acqua che possa farti del male. Non qui a New York, almeno. Più a sud vi sono problemi ben più gravi, perché quando sono state sommerse le centrali nucleari è fuoriuscita un sacco di roba nociva, ma qui non è successo nulla di simile. Bene, ti piacerebbe salire in cima a quel palazzo?

Sandy strinse gli occhi per osservare l’edificio indicato da Marguery, quindi scrollò le spalle nello strano “giubbotto salvagente” arancione che gli era stato fatto indossare. — Che cos’è? — domandò.

— È l’Empire State Building — rispose Marguery. — Da lassù si può vedere tutt’intorno. Allora?

Sandy fece un passo indietro mentre un’onda del fiume veniva ad accarezzargli le scarpe. — Ma certo — disse con tono aspro. — In fondo, siamo qui per divertirci, non è così?

Era quasi vero. E se non fosse stato per via del fatto che si sentiva ancora offeso, sarebbe stato del tutto vero, poiché ciò che stavano facendo e vedendo in quel momento era esattamente ciò che Sandy aveva sognato di fare e di vedere per tutta la sua vita. Si trovava nel cuore pulsante della Grande Mela! Certo, non era esattamente come se l’era aspettata, ma per il resto era proprio lì, tutt’attorno a lui. Sopra la sua testa vi era un cielo azzurrissimo e nuvole candide e altissime, e intorno vi erano le finestre e le facciate degli edifici che avevano reso Manhattan famosa come la città con più grattacieli della Terra.

Non erano soli. Sul fiume, a meno di un isolato di distanza, vi erano diverse barchette che sfrecciavano di qua e di là con i loro carichi di persone dirette chissà dove; alcune barche erano dotate di propulsore a spinta inerziale come la loro, mentre altre usavano un tipo di motore a idrogeno che emetteva piccoli sbuffi di vapore. Ai margini del fiume vi era anche una grossa chiatta ancorata a due edifici e due gru che vi calavano oggetti dentro; rotoli di cavi elettrici, macchine per ufficio, impianti di illuminazione e simili.

— Estrazioni — spiegò Marguery. — Questi edifici sono pieni di cose utili che andrebbero perse nel caso che aumentasse ancora il livello dell’acqua, il che è assai probabile… È incredibile la quantità di rame che usavano ai vecchi tempi! Così, cerchiamo di tirare fuori ciò che ci serve finché siamo ancora in tempo.

— Sembra un lavoro pericoloso — commentò Sandy mentre osservava due uomini che si sporgevano dalla finestra di un edificio altissimo per calare giù ciò che sembrava essere un fascio di tubi metallici.

— In effetti lo è — disse Marguery. — Molti di questi edifici hanno le fondamenta ormai marce, consumate dalle acque, e ogni tanto ne crolla qualcuno. Ma non ti devi preoccupare per l’Empire State Building, è stato costruito per durare nei secoli!

Sandy alzò lo sguardo, tirando indietro la testa finché non gli fece male il collo, e scoprì che non era tanto il fatto che quell’edificio potesse cadere che lo preoccupava, quanto il fatto di dover arrivare fino alla sua sommità. In verità però non era preoccupato per se stesso, consapevole del fatto che i muscoli formati sulla nave hakh’hli gli avrebbero tranquillamente permesso di salire per due o trecento metri. Era preoccupato per Marguery. Ce l’avrebbe fatta? Quando entrarono finalmente nell’edificio torreggiante, trovarono diverse pozze d’acqua nell’atrio. Marguery annuì con fare serio quando Sandy gliele indicò. — Sì — disse — quando c’è brutto tempo, le onde arrivano fino a qui. E a quanto pare sta diventando sempre peggio. Ma adesso andiamo, su!

Sandy scoprì presto che non era necessario salire a piedi fino in cima all’Empire State Building. Si arrampicarono per soli quattro piani, passando accanto a sale ricolme di materiale accatastato e a un intero piano di gruppi elettrogeni che funzionavano a idrogeno e che rifornivano di elettricità tutti i piani superiori. Non vi era più corrente elettrica nella città, spiegò Marguery, perché tutte le centrali si trovavano completamente sommerse. Tuttavia, grazie ai gruppi elettrogeni, poterono usare un comodissimo ascensore che li portò fino all’osservatorio, a oltre 80 piani di altezza.

Non vi era nessuno nell’osservatorio, e Sandy si rese subito conto del fatto che sarebbe valsa la pena di salire fin lassù anche se avessero dovuto farlo a piedi. Pur non volendolo, si ritrovò letteralmente affascinato dallo spettacolo. Da lì si poteva vedere l’intero mondo degli umani! A nord-ovest, al di là del largo fiume e della vasta baia, si poteva vedere Hudson City. A nord-est, invece, vi era il mare aperto, la sua tavola luccicante interrotta solo a tratti dalle isolette di Brooklyn e del Queens, ultime vestigia delle lontanissime ere glaciali. Poco più a destra, si potevano vedere le grandi torri sopravvissute della vecchia New York, comprese le due torri gemelle che si trovavano in corrispondenza di ciò che una volta era stata la punta dell’isola di Manhattan. Proprio dietro le torri gemelle, Sandy la vide chiaramente, spuntava fuori dal centro della baia il corpo e la mano protesa con la torcia della più famosa fra le sculture eroiche, la Statua della Libertà!

— È fantastico quassù! — esclamò Sandy felice. Marguery non rispose. Stava fissando un punto del soffitto, e quando tornò a rivolgere lo sguardo verso Sandy la sua espressione era cupa.

— Marguery? — domandò Sandy.

La sua accompagnatrice si riprese e si guardò attorno. Si trovavano ancora soli nel vecchio osservatorio, anche se potevano udire chiaramente il martellare costante di una squadra di operai che si trovava sotto di loro di appena un paio di piani. Marguery alzò nuovamente lo sguardo verso il soffitto, poi la sua espressione mutò, come se avesse preso una decisione importante. Sandy però non riuscì a immaginare di che cosa potesse trattarsi.

— Sì — disse infine Marguery. — È proprio bello avere la possibilità di stare un po’ da soli, non è vero?

Sandy si produsse in una smorfia di sorpresa. Era possibile che quella donna gli stesse dando qualche tipo di segnale sessuale? Imprecò internamente contro gli incomprensibili riti della libido umana. Che cosa doveva fare? Doveva forse abbracciarla subito e farlo proprio lì, sull’assolata piattaforma di osservazione del grattacielo, con il rischio che qualcuno uscisse dalle porte scorrevoli dell’ascensore da un momento all’altro?

Per un momento, gli parve che dovesse essere proprio così. Marguery si era avvicinata a lui di un passo, continuando a sorridere. Si era persino protesa verso di lui con la testa, arrivando con le labbra a pochi centimetri dalle sue.

Con un impeto di rabbia, Sandy sollevò il viso verso di lei e allungò le braccia. Con suo grande stupore però, pur permettendogli di avvolgerla con le braccia e di stringerla a sé, Marguery evitò le sue labbra scostando il volto all’ultimo momento. Strofinò il naso contro il suo orecchio, ma non cedette di un centimetro quando lui tentò di girarle il volto per baciarla.

A un certo punto, Sandy si rese conto che gli stava sussurrando qualcosa nell’orecchio.

Se ne rese conto solo per il respiro, poiché Marguery stava sussurrando nell’orecchio sbagliato. La allontanò da sé. — Quello è l’orecchio sbagliato — le disse. — Quello giusto è dall’altra parte.

Marguery si produsse in una piccola smorfia, poi il sorriso tornò a illuminare il suo volto. Avvicinò le labbra all’orecchio buono di Sandy e bisbigliò:

— Sandy. Non dire nulla. Si tratta di una cosa molto importante. Ora ti chiederò se hai voglia di fare una cosa. Tu mi risponderai di sì, e poi la faremo. Rispondi solo di sì e non discutere.

Sandy a quel punto allontanò il viso con espressione perplessa, ma la sua perplessità si moltiplicò ulteriormente quando constatò che Marguery gli stava sorridendo con un’espressione ancor più maliziosamente invitante di prima.

— Ah, Sandy — sospirò lei accarezzandogli la nuca — questo luogo è proprio perfetto, non è vero? Senti, dolcezza, conosco un posticino veramente giusto in centro. Dovremo fare una nuotatina per arrivarci, ma non è difficile. Che ne dici? Ti andrebbe di andare in un posto un po’ più intimo? Dove possiamo stare assieme un po’ solo io e te?

Detto questo, gli fece l’occhiolino.

Sandy emise un lungo sospiro. Qualunque cosa stesse accadendo, pareva essere interessante. — Ci puoi scommettere — disse, e poi aggiunse: — dolcezza.

17

Manhattan, l’isola centrale della città di New York, non ha molte colline. Una volta ne aveva, molto tempo fa. I coloni inglesi, quelli olandesi che vennero prima di loro, e anche gli indiani che erano lì prima di qualsiasi colono, parlavano tutti di una terra di colline, valli, monti, fiumi e laghi abbastanza grandi da poterli navigare. Ora non rimangono che le vestigia di tutte queste cose. Quando gli abitanti di New York si dedicarono al compito di ricoprire la loro isola di cemento, non volevano che vi fossero salite tanto ripide da impedire a un cavallo di trainarvi una carrettata di mattoni, o, in seguito, da impedire a un trattore di trainarvi sopra dieci tonnellate di travi d’acciaio. Così, hanno fatto saltare le cime di tutte le colline, hanno riempito tutte le depressioni naturali e hanno incanalato tutti i fiumi e torrenti affinché formassero un sistema fognario sotterraneo. Non immaginavano nemmeno lontanamente che cosa sarebbe potuto accadere alla loro isoletta piatta una volta che avesse avuto inizio il surriscaldamento dell’atmosfera. Quando accadde, i loro discendenti si dettero da fare per tentare dì arginare le acque con possenti dighe dì cemento. Solo che quando le tempeste diventano molto forti, distruggono anche le dighe di cemento… e le tempeste dell’Era del Surriscaldamento erano senz’altro molto forti.

— Avrei dovuto portare il tuo costume da bagno — disse Marguery con un sospiro non appena Sandy fu uscito dal riparo della tettoia di un edificio con indosso solo le mutande color verde elettrico. Lo ispezionò con fare assente. Il suo umore era ancora piuttosto strano e distaccato, soprattutto se si teneva conto del fatto, pensò Sandy con risentimento, che gli aveva praticamente promesso che lo avrebbero finalmente fatto. — Penso che puoi andar bene — concluse Marguery. — In fondo, qui non c’è nessuno che possa vederti. Tieni, infilati questo.

Sandy prese lo strano indumento gonfiabile, infilò la testa nel buco e si legò le cinghie sui fianchi come gli venne ordinato. Si trovavano sul tetto di un edificio piuttosto basso, e l’acqua si trovava a poco più di un metro sotto di loro. Sandy non poté fare a meno di guardare quando notò che Marguery si stava sfilando i pantaloni. Sotto tutto il resto indossava il bikini; sembrava realmente pronta a tutto.

Sandy invece non si sentiva per niente pronto… a nulla. Tanto per iniziare, tutto quell’equipaggiamento era qualcosa di completamente nuovo e inquietante per lui. Oltre al “giubbotto salvagente”, infatti, vi era anche una bombola che doveva fissarsi sulla schiena, una maschera nella quale doveva imparare a respirare, e una cintura di pesi che doveva allacciarsi in vita per ottenere quello che Marguery definì una “galleggiabilità neutra”. Sandy si produsse in una smorfia. — Non possiamo semplicemente far uscire un poco d’aria dal giubbotto? — domandò.

— No — ribatté Marguery. — Non ho intenzione di annegarti. Ma adesso entriamo in acqua. Non dovremmo rimanere esposti al sole così a lungo a questa latitudine.

Si sedette sul bordo del tetto e si lasciò andare, rimanendo a galla nell’acqua scura appena sotto. — Allora? — lo chiamò, rimanendo in attesa.

Sandy inspirò profondamente, quindi seguì l’esempio della sua accompagnatrice.

Solo che impiegò un po’ più di tempo rispetto a lei per farlo. Si aggrappò al bordo del tetto con tutte le sue forze e si calò lentamente in acqua, centimetro per centimetro. Non appena fu entrato con le gambe, si ritrovò ad annaspare; l’acqua era gelata. Be’, non proprio gelata, si corresse poco dopo. In effetti, era quasi sopportabile, dopo lo shock iniziale. Tuttavia, le sue gambe si trovavano immerse nell’acqua, e Sandy sapeva che l’acqua ha la capacità di succhiare via il calore dal corpo molto più rapidamente dell’aria.

Ma se Marguery Darp era in grado di sopportare una cosa del genere, lo era anche lui. A malincuore, Sandy calò il resto del suo corpo in quella sostanza poco familiare. Gli occorse un vero e proprio sforzo di volontà per staccare le dita dal cornicione dell’edificio. Dopodiché, si ritrovò a galleggiare. Era una sensazione alquanto strana. Anzi, erano almeno una dozzina di sensazioni strane diverse, nessuna delle quali Sandy aveva mai avuto modo di provare in precedenza. Quando agitava le braccia nell’acqua, il suo corpo si muoveva nella direzione opposta… proprio come i propulsori principali della grande nave interstellare, pensò. Anche qui valevano le leggi di azione e reazione! Nel giro di poco la sua pelle si abituò al liquido che la circondava e anche l’iniziale sensazione di freddo si dissipò. In effetti, trovò Sandy, era una sensazione quasi gradevole. Quando infilò la testa sotto la superficie per vedere cosa sarebbe accaduto, gli entrò un po’ di acqua in bocca. Il sapore era salato, ma non poteva dire che fosse sgradevole.

— Credo che mi stia piacendo! — gridò a Marguery, che sguazzava a qualche metro di distanza.

— Lascia che ti regoli i pesi — disse lei, avvicinandosi.

Non ci volle molto. Marguery aveva stimato abbastanza bene i rapporti di peso, e infatti dovette aggiungere solo due piccoli rettangoli di piombo per far sì che l’intero corpo di Sandy, compreso di pesi, bombole e giubbotto salvagente raggiungesse la stessa densità dell’acqua in cui stava galleggiando.

A quel punto, Sandy non dovette far altro che imparare a espirare attraverso il naso e a inspirare attraverso un tubo fissato alla bocca. Tossì e sputò diverse volte prima di imparare la procedura esatta.

A quel punto era pronto. Scrutò sotto di sé, attraverso l’acqua. Qui era decisamente meno limpida rispetto ad altri punti della città, o forse semplicemente più profonda. — Che cosa c’è laggiù? — domandò.

— Ora vedrai. Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Da queste parti non c’è praticamente nulla che possa farti del male, a parte magari qualche squalo che appare occasionalmente.

— Squalo? — domandò Sandy preoccupato.

— Non ci daranno fastidio — promise Marguery. — Basta che tieni d’occhio i pesciolini piccoli. Finché ne vedi, vuol dire che non ci sono squali nelle vicinanze.

Sandy decise di crederle. O perlomeno tentò di crederle, ma nonostante ciò non poté fare a meno di cacciare la testa sott’acqua per vedere se appariva qualche grossa sagoma grigia e minacciosa.

Marguery lo fermò. — Non andare sotto, non ancora. — Rifletté per un istante, poi aggiunse: — In effetti, forse non fa alcuna differenza. Tanto se non sei pronto adesso non credo che lo sarai dopo. Sai se quel tuo apparecchio acustico è impermeabile o meno?

Sandy ci pensò su per un istante. — Non credo proprio che lo sia — disse.

— Allora dammelo — ordinò. — Credi che riuscirai a sentire almeno qualcosa senza?

— No — rispose Sandy con tono cupo.

— Allora quando te lo segnalo, sputerai sul vetro della maschera in questo modo — diede una dimostrazione pratica — e poi mi seguirai fin sotto. — Infilò con cura il piccolo apparecchio in una tasca della sua cintura subacquea, la sigillò, quindi rivolse a Sandy un sorriso un po’ scarno e disse qualcosa. Sandy si rese conto del fatto che aveva detto qualcosa perché vide le sue labbra che si muovevano, ma non sentì proprio nulla.

— Che cosa? — gridò a voce troppo alta. Marguery fece una smorfia, scrollò le spalle e indicò la maschera. Quando Sandy seguì l’esempio della sua accompagnatrice sputando sul vetro prima di infilarsela ebbe l’impressione che questa stesse emettendo un sospiro, ma alla fine si limitò a fargli cenno con il braccio di seguirla e si tuffò sotto la superficie.

Sandy la seguì nell’oscurità delle acque, nella profondità del canyon sottomarino di Wall Street.

Aggrappato a una caviglia di Marguery, Sandy si lasciò trascinare mentre osservava le meraviglie che li circondavano. Era tanto affascinato che dimenticò la corretta procedura di respirazione e si ritrovò a tossire violentemente prima di riuscire a ristabilire il ritmo giusto. Tuttavia, si disse che ne valeva decisamente la pena!

Al livello della strada vi erano moltissime automobili abbandonate, alcune rovesciate o incagliate dalle maree in punti assurdi. A quella profondità filtrava ben poca luce, ma nonostante ciò Sandy riusciva ugualmente a discernere la maggior parte degli oggetti che lo circondavano; un idrante, un telaio di bicicletta storto e un carretto dai colori vivaci sul quale erano ancora visibili alcune parole dipinte a mano: FRITTELLE — SUCCHI DI FRUTTA — TOFU.

A un certo punto Marguery gli diede una leggera pacca sulla spalla e indicò un grande portone. Vi era una porta girevole al centro del portone, ma era stata scostata e di conseguenza si poteva passare senza alcun problema. Marguery vi si infilò nuotando, trascinando Sandy dietro di sé.

Si ritrovarono a nuotare attraverso ciò che sembrava essere uno di quei luoghi che gli umani chiamavano “banca”. Da un lato, era decisamente più facile muoversi là dentro, soprattutto per Sandy che non sapeva nuotare, poiché vi erano un sacco di banconi e ringhiere a cui attaccarsi. Ciò nonostante, all’interno dell’edificio non filtrava quasi nessuna luce, e di conseguenza si discernevano a malapena i contorni degli oggetti.

Marguery non sembrava per niente preoccupata da ciò. Toccò con la mano un oggetto fissato con una cinghia attorno alla sua testa dal quale scaturì un potente fascio di luce e continuò a nuotare, attraversando le massicce porte di una cella e facendo cenno a Sandy di seguirla. A quel punto gli occhi di Sandy stavano iniziando ad abituarsi all’oscurità, tanto che riuscì a discernere una serie di cassette metalliche allineate lungo le pareti della cella, tutte aperte e completamente vuote. In fondo alla cella vi era una scala a chiocciola di metallo. Marguery vi si avvicinò e iniziò a issarsi, aggrappandosi alla ringhiera. Sandy la seguì, e quando giunse a metà delle scale…

Marguery non stava più nuotando. Stava salendo le scale a piedi, come se nulla fosse. Il livello dell’acqua giungeva fin quasi alla sommità della cella, ma la scalinata conduceva a una stanza buia che, chissà come, non era allagata.

Quando la testa di Sandy spuntò fuori dall’acqua, Marguery si stava già togliendo la maschera. Stupito, Sandy seguì il suo esempio e si rese conto che si trovavano in una stanza con tanto di divani e poltrone… tutti ammuffiti e marciscenti, con un odore di stantio dominante che però Sandy non trovò totalmente sgradevole.

Marguery intanto si stava guardando attorno, puntando il fascio della sua lampada dappertutto, sulle pareti, sul soffitto, sugli infissi… A un certo punto trovò una grossa lampada, la accese e tutto risultò più chiaro. Si trovavano in una stanza in cui vi era una bolla d’aria e nella quale si poteva respirare tranquillamente nonostante si trovasse al di sotto del livello dell’acqua. Quando la luce si accese Sandy si rese conto che Marguery gli stava dicendo qualcosa, solo che lui non riusciva a sentire nulla. — Non… ti… sento — disse ad alta voce.

Marguery allora aprì il taschino stagno della sua cintura, ne tirò fuori il piccolo apparecchio acustico, lo asciugò su una tovaglia che si trovava sul tavolo e glielo porse. Non appena Sandy lo ebbe sistemato, gli domandò: — Ti piace questo posto?

Si guardò attorno. — Che cos’è?

— E un luogo dove la gente dei vecchi tempi teneva gli oggetti di valore. Quelle si chiamavano cassette di sicurezza. — Indicò le pareti, costituite da tante piccole cellette, quasi tutte aperte. — Qui era dove la gente riponeva il proprio denaro, i gioielli, i testamenti, i documenti di cause legali o di divorzi… insomma, qualsiasi cosa a cui tenessero particolarmente. Quando ne avevano bisogno, venivano qui e staccavano le loro cedole, o quel che era.

— Cosa significa “staccare le cedole”?

Marguery emise una risata. — Be’, è una lunga storia. La gente che veniva qui, i ricchi, avevano tutti quel che si chiamano “azioni” o “buoni”. Così, se loro avevano dei soldi le “azioni” gliene facevano guadagnare ancora di più, solo che ogni tanto dovevano venire qui, strappare via un pezzo di certificato, una cedola, e spedirlo per ottenere i soldi veri e propri. — Mentre parlava, prese degli asciugamani da un appendiabiti, ne lanciò uno a Sandy e si asciugò i capelli con un altro. L’asciugamano era umidiccio, ma certamente più asciutto del suo corpo. Sandy si ritrovò a rabbrividire, tutto infreddolito. — Aspetta un attimo — disse Marguery non appena notò che stava tremando. Accese un altro interruttore, e immediatamente si illuminò un anello color rosso-arancione incassato in un disco metallico che si trovava al centro del pavimento. — Qui dentro c’è sempre un’umidità terribile — osservò — ma a me piace lo stesso. Questo apparecchio elettrico ci scalderà un pochino. Mi sono dimenticata di cambiargli le batterie, ma credo che funzionerà ancora almeno per un paio d’ore.

— Perché ha bisogno di “batterie”?

— Perché non c’è energia elettrica quaggiù, naturalmente. Qui non esiste alcun tipo di contatto con il mondo esterno.

Sandy si accomodò sul divano di pelle, controllandolo prima per verificare se avrebbe sostenuto il suo peso. Quando vi si sedette il divano emise un piccolo scricchiolio, ma si trattava di un mobile di quelli solidi. A quel punto, Sandy si guardò attorno con rinnovata curiosità. — E per che cosa lo usi questo posto? — domandò.

Marguery ebbe un attimo di esitazione. — Be’ — disse, parlando lentamente. — Più che altro, si tratta di un luogo dove mi piaceva rifugiarmi. — Lo fissò per un istante, poi continuò. — Inoltre, è forse l’unico luogo al mondo dove sono assolutamente sicura che nessuno mi stia osservando o ascoltando. Mi passi la tua bombola, per favore?

Sandy la slacciò e gliela passò mentre Marguery apriva la valvola dell’altra bombola e la lasciava aperta al minimo. — Bisogna aggiungere un po’ di ossigeno ogni tanto — spiegò. — Ma a parte questo, è veramente come una casa, non trovi?

Sandy non rispose. Si ritrovò a desiderare ardentemente di avere una maggiore abilità nel valutare le espressioni e i toni di voce umani. Per qualche verso, infatti, era sicuro che Marguery fosse diversa dal solito in quell’occasione… Le sue parole sembravano quasi forzate, e i suoi movimenti erano decisamente più rapidi rispetto ai giorni precedenti.

— Non sapevo che tu trascorressi tanto tempo in questa città — le disse, osservandola attentamente.

— Il quartier generale dell’InterSec si trova a Hudson City — rispose Marguery. — Ma a me piace l’idea di avere un posticino privato solo per me.

Ancora quella parola, “privato”. E poi sembrava essere talmente agitata… Quasi, pensò Sandy, come si sentiva lui quando era in sua presenza.

Era forse possibile che, in fondo, le femmine umane e quelle hakh’hli non fossero poi tanto diverse? Era forse possibile che Marguery stesse reagendo al suo crescente eccitamento?

C’era un solo modo per scoprirlo. Era un modo un po’ rischioso, ma a quel punto il bisogno di sapere di Sandy era diventato superiore alla paura di essere nuovamente rifiutato. Si avvicinò a lei sul divano e la strinse a sé in un abbraccio. Marguery si irrigidì. — Aspetta un attimo, Sandy — disse. — Credi forse che ti abbia portato fin qui per un’avventura amorosa?

Le baciò un orecchio. — Credo? In effetti no — disse, tentando di essere preciso. — Forse sarebbe più adatto il termine “spero”.

Marguery si divincolò dalla sua presa. — Smettila! Ti stai comportando in maniera infantile, proprio come gli hakh’hli!

Sandy si sentì offeso. — Gli hakh’hli non sono infantili — protestò.

— Be’, allora come li definiresti? È come essere a un campeggio dei boy scout, o… — Ebbe un attimo di esitazione. — Sai, una volta qui avevamo ciò che chiamavamo “eserciti”.

— Ho sentito parlare degli eserciti, certo — disse Sandy mentre tentava nuovamente di avvicinarsi.

— Certo che ne hai sentito parlare. Probabilmente ne sai anche più di me in proposito, solo che io ho avuto un nonno che ha fatto effettivamente parte di uno di questi eserciti. E per quel che ho potuto capire in proposito, le usanze degli eserciti sono molto simili a quelle che avevate voialtri sulla nave hakh’hli. Quando mio nonno era nell’esercito, lo facevano svegliare all’alba e lo mandavano subito a far colazione di corsa. Poi andava avanti così per tutto il giorno; gli facevano fare cose, e ogni cosa che gli dicevano era un ordine da eseguire alla lettera senza discutere. In pratica, trattavano i soldati come dei bambini. E dato che venivano trattati come dei bambini, è solo logico che si comportassero come tali. Capisci ciò che voglio dire?

— No — ribatté Sandy abbracciandola nuovamente. — Gli hakh’hli non hanno eserciti.

— Eppure si comportano proprio a quel modo, non trovi?

— Se lo dici tu… — rispose Sandy mentre le baciava la bocca.

Marguery tentò quasi di togliere le labbra, ma solo quasi. — Dico sul serio, sai… — continuò, ma a quel punto Sandy la stava baciando di nuovo.

Marguery lo baciò a sua volta, poi gli gettò improvvisamente le braccia al collo. Era piuttosto forte per un essere umano, e Sandy rimase meravigliato dalla potenza della sua stretta.

— Che diavolo — gli sussurrò Marguery in un orecchio. — In fondo, perché no?

Non aveva nulla a che vedere con l’anfilassi degli hakh’hli. Tanto per iniziare c’era molto più movimento, proprio come promesso dalle scene televisive in cui si vedevano solo le lenzuola che si agitavano misteriosamente in maniera convulsa.

E non era nemmeno come la masturbazione. Era decisamente molto meglio. Era talmente meglio che nel momento culminante Sandy si ritrovò a ululare come un hoo’hik quando viene macellato. La stessa Marguery non rimase certo in silenzio. Alla fine, rimasero entrambi sdraiati, esausti, sul vecchio divano che puzzava di stantio, anche se per Sandy sembrava ricoperto di petali di rose.

Sentendosi finalmente felice e in pace con il mondo, Sandy si girò per guardare la donna con la quale aveva appena fatto con successo l’amore. Osservò attentamente il suo volto. Non avendo mai visto in precedenza un essere umano di sesso femminile immediatamente dopo un rapporto sessuale completo, non sapeva assolutamente come leggere la sua espressione. Il volto di Marguery era meno sudato di quanto non si fosse aspettato (certamente molto meno sudato del suo) però vi era una macchia che non gli sembrava di aver notato in precedenza.

Sandy frugò disperatamente fra le sue scarne conoscenze alla ricerca di una frase adatta. — È stato bello per te? — domandò infine con tono ansioso.

Marguery lo sorprese. Prima gli rivolse uno sguardo penetrante, come per capire se stesse prendendola in giro o meno. Poi, quando capì che non era così, scoppiò a ridere sguaiatamente.

— Caro ragazzo — disse con tono affettuoso — quando mi senti muggire come una mucca, è come se stessi dicendo “sissignore, è stato favoloso”. Solo che la prossima volta faresti meglio a stare un po’ più attento a non stringermi così forte. — Detto questo, si girò per guardarsi la spalla in cerca di eventuali lividi.

Nell’enfasi del momento, Sandy si era evidentemente dimenticato della differenza di forza e di stazza fisica che vi era fra lui e la media degli abitanti della Terra. Effettivamente, sulle spalle e sulle braccia di Marguery vi erano diversi lividi. Ed era tutta colpa sua! — Mi dispiace — disse.

— Sandy, ti prego, smettila. — Marguery si alzò in piedi, barcollando leggermente, e allungò una mano per prendere un asciugamano. — Passami la bombola — ordinò.

Sandy la prese, e si rese conto che non emetteva più alcun sibilo. Marguery gliela tolse dalle mani, diede un’occhiata all’indicatore e la scosse con espressione contrariata. Trovò subito l’altra bombola, da cui usciva ancora aria.

Chiuse la valvola con un sorriso. — Probabilmente abbiamo fatto bene a lasciarle aperte — disse con filosofia. — Credo che abbiamo consumato un bel po’ di ossigeno. Comunque sia, posso trattenere il fiato quanto basta per uscire di qui.

— Trattenere il fiato? — chiese Sandy preoccupato.

— L’ho già fatto altre volte — disse Marguery. Poi tornò a sedersi, fissando Sandy negli occhi. — Anche se è stato molto bello — sussurrò — non era per questo che ti ho portato qui. Volevo parlarti.

Sandy la fissò a sua volta. Nella luce soffusa la macchia sul viso di Marguery sembrava essere diventata più grande ed evidente. — Ma se non abbiamo fatto altro che parlare per giorni e giorni… — obiettò.

Marguery scosse il capo. — Certo, abbiamo parlato parecchio — disse con tono sconsolato — solo che ogni singola parola che ci siamo detti è stata registrata dall’InterSec. In tutti i luoghi in cui siamo stati. In qualsiasi momento, a prescindere da ciò che stavamo facendo. Ebbene, è proprio per questo che ci tenevo a parlare con te in privato, senza nessuno che ci ascolti. Tanto più che ci sono delle cose che non sarei nemmeno autorizzata a riferirti.

Allarmato da questa rivelazione, Sandy aprì la bocca per dire qualcosa, ma Marguery lo bloccò appoggiandogli un dito sulle labbra. — Mi hanno già rimproverata per averti riferito che avevamo individuato la vostra nave fin dall’inizio — aggiunse — e non ti ho nemmeno raccontato tutto in proposito.

Sandy continuò a fissarla. Marguery continuò, un po’ paonazza in volto ma evidentemente determinata. — Non appena i primi osservatori hanno rilevato le emissioni gamma dei motori della vostra nave, tutti quanti si sono messi subito a controllare le loro vecchie fotografie del cielo e sono riusciti a stimare che vi trovavate, non so, a circa 300 U.A. (unità astronomiche) di distanza. Sì sono resi conto immediatamente del fatto che non poteva essere altro che una nave. A quel punto hanno iniziato ad analizzare lo spettro dei residui di carburante. Sappiamo perfettamente con che tipo di carburante viene alimentata la nave hakh’hli; si tratta di ciò che gli scienziati chiamano “materia anomala”. Sapevamo questo, conoscevamo la massa della nave, le sue dimensioni esatte e tutto il resto. Inoltre, eravamo anche pronti a ricevere il modulo di atterraggio, non appena avesse toccato terra. Se abbiamo impiegato dieci ore invece di mezz’ora per arrivarci, è stato solo per via della tempesta.

La sensazione di esuberanza post-amplesso stava dissipandosi rapidamente. — Non ci avete detto tutto questo.

— No. Non ve l’abbiamo detto. Abbiamo deciso di tenervi sotto osservazione. Sei sempre stato osservato e registrato, Sandy, fin dal momento in cui sei arrivato alla fattoria.

— Ma io credevo di piacerti! — piagnucolò Sandy.

— Maledizione, Sandy, possibile che tu non ti renda conto che mi piaci veramente? Credi forse che farei l’amore con una persona che non mi piacesse? Non sono mica una specie di Mata Hari, sai?

— Mata…

— Oh, lascia perdere — disse Marguery con impazienza. — Cerchiamo di essere seri. Lascia che ti faccia una domanda. Hai riferito a Polly qualcosa a proposito di quanto ti ho detto?

— Vuoi dire come il motivo per il quale non mi ricordo niente di Alfa Centauri? — Sandy assunse un’espressione sconcertata e risentita allo stesso tempo, ma alla fine rispose. — Sì, l’ho detto a Polly. Lei mi ha detto di parlarne con ChinTekki-tho, ma io non l’ho fatto.

— Ah — Marguery assunse un’espressione compiaciuta. — E perché non l’hai fatto?

Quella magnifica sensazione di poco prima si era ormai del tutto dissipata, e Sandy reagì con stizza. — Devo per forza avere un motivo per non averlo fatto? Non l’ho fatto e basta.

Marguery annuì, gratificata. — Sono contenta che tu non lo abbia fatto, Sandy.

— Se non volevi che glielo dicessi, perché non me l’hai chiesto fin dall’inizio? — domandò Sandy.

— Volevo vedere come ti saresti comportato tu, autonomamente. Perché… — Ebbe un attimo di esitazione e cambiò posizione con fare nervoso sul divano. — Perché c’è anche un’altra cosa di cui vorrei parlarti — aggiunse infine con evidente riluttanza.

Sandy la guardò con espressione preoccupata. Per quel che ne sapeva lui del sesso fra esseri umani, Marguery in quel momento avrebbe dovuto sentirsi perfettamente rilassata e a suo agio. Invece, sembrava nervosa e a disagio. — Sei sicura di stare bene? — le domandò.

— Certo che sto bene! Perché mai non dovrei stare bene? È solo che… — Sorrise. — Forse è solo per via del fatto che tu sei un po’ più forte di quanto non mi aspettassi… Non so se mi capisci…

Sandy lo accettò come un complimento e si permise addirittura di pavoneggiarsi per un istante, ma anche quella gradevole sensazione scemò rapidamente. — Veramente — disse dispiaciuto — non c’era bisogno che ci spiaste. Bastava che domandaste…

— Abbiamo domandato, Sandy. Stiamo ancora domandando. Io stessa sto ancora domandando. Ma se ci fosse qualche domanda alla quale gli hakh’hli non hanno intenzione di rispondere?

Sandy scrollò le spalle. Marguery continuò, però con tono più pacato, come se volesse essere perdonata. — Così, abbiamo preso le nostre normali precauzioni. Abbiamo messo microfoni nelle vostre stanze, ovunque vi trovaste. Abbiamo registrato ogni vostra parola. Abbiamo persino ascoltato le trasmissioni fra il modulo di atterraggio e la nave madre…

Sandy assunse un’espressione esterrefatta. — Non credevo che poteste fare una cosa del genere…

— In effetti, non è stato per niente facile. Gli hakh’hli utilizzano una frequenza veramente stretta, tanto che non riusciamo a captare nulla a più di un chilometro di distanza dal modulo di atterraggio. Questo però non è un problema, dato che abbiamo una stazione ricevente proprio lì vicino. E per sicurezza abbiamo anche un aereo che sorvola ad alta quota per captare meglio le risposte trasmesse dalla navetta.

— Ma i messaggi sono in hakh’hli!

— Vero — ammise lei con tono torvo. — Questo rende le cose ancor più difficili. Siamo riusciti a cogliere qualche parola da te, e abbiamo un sacco di esperti di linguistica che ci lavorano sopra facendo analisi e correlazioni. Non riusciamo a capire proprio tutto, ma quanto basta per indurci a essere piuttosto preoccupati. — Lo scrutò con attenzione. — Dobbiamo farlo, capisci? Non credi che gli hakh’hli avrebbero fatto esattamente la stessa cosa?

Sandy pensò alle centinaia di hakh’hli che non avevano fatto altro per mezzo secolo almeno, che non si erano occupati di altro per tutto quel tempo se non di analizzare con attenzione ogni dato captato dalle trasmissioni terrestri, tentando di comprendere a fondo e di penetrare in ogni parte nascosta delle attività umane.

— Be’, può darsi — disse con riluttanza. — Ma non ha alcuna importanza. Comunque sia, non scoprirete nulla di male.

— Tu credi? — domandò Marguery facendosi improvvisamente più triste.

Sandy trasalì, colpito dal tono di quell’ultima domanda. — Che cosa stai cercando di dirmi? — domandò.

— Iniziamo da tua madre — disse Marguery cupa. — Quella foto che hai prestato a Ham Boyle.

— Ebbene?

— Be’… — Esitò. — Tu ti ricordi qualcosa di tua madre?

— No. Te l’ho già detto. È morta nel momento in cui sono nato.

— Eppure hai una sua foto. Ebbene, Ham l’ha fatta trasmettere alla televisione per vedere se qualcuno la riconosceva. Hanno chiamato un sacco di persone, sai? Solo che non l’hanno riconosciuta come un’astronauta, ma come un’attrice di cinema del ventesimo secolo. Si chiamava Marilyn Monroe.

— È impossibile!. — sbottò Sandy.

— Invece è vero, Sandy. E non è tutto. Hai detto che lei e tuo padre erano astronauti americani, che erano rimasti dispersi nello spazio a causa della guerra.

— Sì, ho detto così. E così che è andata…

Marguery lo interruppe con un sospiro. — Sandy — disse — non è andata così. L’InterSec ha controllato tutti i dati disponibili con la massima attenzione. Ogni volo spaziale, come saprai, veniva registrato sugli schedari. Anche durante la guerra. E sappiamo per certo che non vi era alcun veicolo spaziale americano con uomini a bordo nello spazio nel corso della guerra.

— Ma doveva essercene almeno uno per forza — insistette Sandy. — Perché è lì che gli hakh’hli hanno trovato i miei genitori…

Marguery scosse il capo. — Secondo gli schedari, in quel momento vi era un solo veicolo nello spazio — disse. — Uno solo. Si trattava di una navetta orbitale che circolava attorno a Marte. Avevano mandato una sonda sulla superficie del pianeta e stavano aspettando che facesse ritorno con i campioni raccolti. Solo che non si trattava di una nave americana. Era russa.

Sandy spalancò la bocca. — Russa? Oh, no. È impossibile, deve esserci qualche errore. Gli hakh’hli mi hanno detto chiaramente che i miei genitori erano americani. I Grandi Anziani non commetterebbero mai un errore simile. Voglio dire, quando sono arrivati nel sistema solare della Terra, gli hakh’hli vi stavano osservando già da una cinquantina d’anni. Non posso credere che abbiano commesso un errore del genere, scambiare dei russi per americani.

— Ne sono convinta anch’io — lo interruppe Marguery.

— È chiaro, quindi è impossibile che i miei genitori fossero russi!

— A dir la verità — disse Marguery con tono triste — Sono d’accordo con te. Si trattava dell’unico veicolo spaziale russo presente nello spazio, e a bordo vi erano solo due persone. Tuttavia non credo proprio che possano essere stati i tuoi genitori, perché l’Intersec ha controllato e ricontrollato i dati, e risulta al di là di ogni dubbio che i due astronauti in questione erano entrambi di sesso maschile.

18

Le nazioni della Terra, che a questo punto si sono divise in commonwealth troppo piccoli per essere chiamati “nazioni”, cercano di eliminare ogni potere governativo centrale. Soprattutto quello internazionale. Ciò nonostante, sono consapevoli che una qualche forma di potere centrale è necessaria. Esiste infatti l’esigenza di un’organizzazione internazionale che si occupi dei criminali (ladri, assassini o persone che comunque influiscono negativamente sulla pace e sulla sicurezza), i quali passano tranquillamente da un commonwealth all’altro per compiere i loro atti criminali. (Come chiunque del resto, poiché non esistono più né “passaporti” né “visti”.) Attualmente non vi sono molti criminali in giro. Sono decisamente diminuiti rispetto a prima, non solo in assoluto ma anche in rapporto alla popolazione. In ogni caso, finché ve ne saranno, bisognerà che qualcuno si occupi di loro. Ed è proprio questo lo scopo dell’InterSec. L’organizzazione non è certo nata per tenere d’occhio visitatori alieni venuti dallo spazio, ma del resto, chi potrebbe farlo se non loro?

— I dati dell’InterSec sono sbagliati! — esclamò Sandy. — È assolutamente impossibile!

Marguery non rispose. Aveva un’aria molto stanca, e si limitò a scuotere il capo.

— E se sono giusti — continuò Sandy con voce lamentosa — allora io che cosa sono?

Marguery prese la domanda per quel che era e rispose decisa. — Tu sei un uomo — disse. — Un uomo che mi piace moltissimo. Non te ne sei forse già reso conto?

— Ma…

— Ma non sappiamo esattamente come hai fatto a diventarlo — continuò. — È proprio così. In fondo, non fa molta differenza, no? — Si concesse una pausa per tossire. — Sai che non mi sento molto bene? — aggiunse con voce flebile.

Sandy non la stava nemmeno ascoltando. — Non riesco davvero a credere a ciò che hai detto di mia madre — dichiarò in tono cupo.

Marguery scrollò le spalle, ma dovette fare uno sforzo notevole per rispondere. — Sono davvero molto stanca — iniziò a dire come per scusarsi. — Questi ultimi giorni sono stati un po’ duri per me… Sai, ho passato tutte le tue ore di veglia con te, e non appena te ne andavi a letto dovevo andare subito a fare rapporto e ricevere nuovi ordini. Dovevo essere al corrente di tutto ciò che accadeva, così avrei saputo quali domande farti il giorno successivo. — Scosse il capo. — Forse è proprio per questo motivo che mi sto comportando così. Non riesco a credere a ciò che sto facendo. Non è mia abitudine fare l’amore con un sospetto che dovrei sorvegliare.

— Un sospetto!

— Be’ — si corresse lei — diciamo con una persona che dovrei tenere d’occhio. A essere sincera, Sandy, non avevo nessuna intenzione di fare l’amore con te. Temo che Ham la prenderà un po’ male.

— Non sono affari suoi! — sbottò Sandy.

— Sandy, caro. Tutto quel che succede sono affari dell’InterSec. — Scosse il capo con fare sconsolato. Il suo volto aveva un’aria stanca e triste.

Sandy si sentì sciogliere il cuore in petto. — Oh, Marguery — piagnucolò. Allargò le braccia e la strinse a sé. Rimasero abbracciati per un po’, mentre Sandy continuava a piagnucolare… finché non si rese conto della piacevolissima sensazione tattile data dalla pelle femminile. Allora iniziarono a venirgli in mente diverse possibilità alquanto stimolanti, e la sua presa su di lei divenne più calda e affettuosa.

Marguery però lo allontanò subito da sé con un debole sorriso. — Non adesso, dolcezza. Sei troppo per me, lo sai? Mi hai quasi rovinata, prima.

Si girò dalla parte opposta per starnutire. — A dir la verità, Sandy — continuò con il tono di chi ha appena fatto una scoperta poco piacevole — non so il perché, ma credo di non sentirmi affatto bene.

Sandy notò con una certa apprensione che le labbra di Marguery erano gonfie. Si produsse in una smorfia, perplesso. Non si era aspettato una reazione del genere. Per quel che ne sapeva lui, gli hakh’hli si comportavano invariabilmente in maniera euforica nelle ore che seguivano il coito. Perché non era così anche per gli esseri umani? Era mai possibile che vi fosse tanta differenza? E se era così, se una simile reazione rappresentava la norma per gli esseri umani, allora perché diavolo lo facevano?

Marguery nel frattempo era tornata a indossare il suo costume da bagno e si stava avvolgendo i due asciugamani umidi attorno al corpo. Si accovacciò accanto alla stufa elettrica, ma continuava a tremare di freddo. Tentò di sorridere mentre si rivolgeva a Sandy. — Sai — disse — penso che sarebbe meglio andarcene da qui al più presto. Solo che questa è l’unica occasione che abbiamo per parlare un po’ in privato, e ci sono altre cose che voglio dirti.

Sandy sentì il cuore che gli sprofondava nel petto. — Altre cose? — domandò. Che altro poteva esserci, oltre alle terribili notizie che gli aveva appena comunicato?

— Oh, non su di te, dolcezza — gli disse Marguery nel tentativo di rassicurarlo almeno parzialmente. — Si tratta solo di alcune cose che gli hakh’hli non hanno voluto dirci e che non sappiamo bene come interpretare. Gli insetti, tanto per fare un esempio.

— Non so nulla a proposito di insetti — disse Sandy convinto.

Marguery spiegò. — Le squadre che stazionano in prossimità del modulo di atterraggio hanno catturato tre insetti di una specie sconosciuta. Anzi, secondo loro non si tratta nemmeno di insetti, da un punto di vista biologico. In ogni caso, gli entomologi dicono che non hanno nulla a che vedere con gli insetti terrestri. Inoltre, uno di questi insetti è stato visto uscire dalla navetta mentre vi era un hakh’hli sul portello.

— Che aspetto hanno? — domandò Sandy. Marguery si produsse in un gesto impaziente. — Sono grandi come il mio pollice — rispose. — E volano.

— Oh — disse Sandy rassicurato. — Scommetto che so di che si tratta. Sono solo api-falco. Del tutto inoffensive. Tranne per gli altri insetti, si intende. In effetti ne sono rimaste alcune intrappolate nel modulo di atterraggio, ma non avete nulla di cui preoccuparvi. Non c’era nessuna regina, erano solo maschi sterili.

Dapprincipio, Marguery non rispose nemmeno. Sandy la fissò con aria preoccupata. Stava respirando a fatica, e aveva gli occhi chiusi. Improvvisamente, senza nemmeno aprire gli occhi, emise una risatina. — Maschi sterili, eh? Non ti ricorda nulla?

Sandy si produsse in una smorfia. — Che cosa stai dicendo? — domandò serio. Ma Marguery non lo stava nemmeno ascoltando. Stava parlando. O almeno era convinta di parlare, poiché le sue labbra si muovevano e ne scaturiva un debole sussurro. Ciò nonostante, anche avvicinando l’orecchio buono a meno di un centimetro dalle sua labbra, Sandy non riusciva a discernere una sola parola coerente.

Sandy conosceva il significato della parola “delirio”. Era quello che succedeva alle persone che giacevano nei letti di ospedale mentre il poliziotto li pregava di riferirgli il nome del loro assalitore. Solo che non sapeva esattamente come bisognava comportarsi durante casi simili.

Di sicuro, Marguery andava portata al più presto da un medico, o in un ospedale. Ma come?

Non vi era telefono in quella stanza. Non vi era una porta o un passaggio che conducesse in superficie. E non vi era alcuna speranza che Marguery potesse condurli attraverso il passaggio subacqueo dal quale erano entrati… anche nel caso che avessero avuto ancora entrambe le bombole di ossigeno.

E ne avevano una sola.

Quando Sandy la toccò nuovamente, scoprì che Marguery aveva la pelle caldissima e che respirava con grande fatica. Come se non bastasse, uno dei suoi occhi si era aperto a metà. Solo che la pupilla rimaneva sotto la palpebra e si vedeva solo il bianco degli occhi, e di conseguenza sembrava come se fosse… come se fosse… L’unica parola che Sandy riuscì a trovare per descriverla era “morta”. E se non fosse stato per il fatto che Marguery continuava, per quanto a fatica, a respirare, Sandy avrebbe potuto anche credere che fosse proprio così.

Doveva assolutamente portarla fuori di lì al più presto!

Non vi erano dubbi in proposito. Marguery aveva bisogno di assistenza medica, e Sandy non era in grado di fornirgliela da solo.

Ma che cosa poteva fare con una sola bombola di ossigeno? Per non parlare del fatto che non sapeva nemmeno nuotare.

Era un’impresa impossibile. D’altra parte, doveva assolutamente farcela. Così, con gesti decisi, Sandy infilò la maschera sul volto della donna in stato di incoscienza e vi attaccò come meglio poteva il tubo dell’unica bombola piena rimasta. A quel punto chiuse gli occhi, tentando di visualizzare nella sua mente il percorso che avevano seguito per entrare. Giù per la scala a chiocciola. Poi attraverso il salone della banca con tutti gli sportelli fino alla porta girevole, e infine su fino alla superficie.

All’andata, non ci avevano impiegato più di cinque o dieci minuti. Solo che Marguery aveva fatto strada, e lei sapeva esattamente cosa fare e dove andare. Di conseguenza, lui avrebbe potuto impiegare anche fino a 15 minuti per uscire. Bene. Sandy sapeva di essere in grado di trattenere il fiato per circa tre minuti. Due e mezzo, per essere sicuri. Questo significava che avrebbe dovuto riempire i suoi polmoni di ossigeno almeno una mezza dozzina di volte nel corso del viaggio. Ce l’avrebbe fatta?

L’unico modo per scoprirlo era provandoci. Trattenendo il fiato, infilò una mano sotto la maschera che ricopriva il volto esangue di Marguery e la sfilò. Coprì la bocca e il naso di Marguery con la sua grande mano mentre buttava fuori tutta l’aria che poteva, quindi si coprì il volto con la maschera tenuta dall’altra mano e inspirò profondamente fino a riempirsi nuovamente i polmoni. Quindi, sistemò nuovamente la maschera sul volto di Marguery.

Si accovacciò a terra, scoraggiato. Non era affatto sicuro che sarebbe riuscito a impedire all’acqua salata di entrare nella bocca e nel naso di Marguery, ma questo era il meno. La cosa peggiore era che l’intero processo dello scambio di maschere era decisamente troppo lungo. In più, non poteva certo resistere così a lungo respirando solo una volta ogni due minuti e mezzo. Infine, avrebbe avuto bisogno di almeno quattro mani per portare a termine con successo una simile operazione; una serviva per tenere tappati la bocca e il naso di Marguery, una per premere la maschera contro il proprio volto, una per tenersi aggrappato a qualcosa e un’altra per trascinarsi dietro la stessa Marguery.

Era assolutamente impossibile. Non poteva funzionare. A meno che non avessero avuto due bombole…

Sandy emise improvvisamente un ruggito di sorpresa e soddisfazione, tanto che la donna in stato di incoscienza emise un gemito e si girò su se stessa. Le avevano eccome due bombole! L’unico problema era che una delle due era vuota.

Quando Sandy riuscì finalmente a scoprire come fare per trasferire l’aria da una bombola all’altra, Marguery aveva smesso di gemere da un pezzo. Sembrava che stesse dormendo e non sembrava avere nessuna intenzione di risvegliarsi, nemmeno quando Sandy le diede uno scossone prendendola per le spalle.

Sandy le infilò la bombola sulle spalle, si fissò la maschera sul volto e iniziò la lunga camminata subacquea. Seguendo a ritroso i loro passi, si trascinò faticosamente giù per la scala a chiocciola reggendo Marguery con un braccio. Quando giunse finalmente al piano sottostante, vide la luce del sole che filtrava attraverso la porta d’ingresso.

Tre minuti più tardi si trovava in superficie, agitando le braccia e gridando in maniera frenetica per farsi notare da un gruppo di persone che lo fissavano sorpresi da una barca di passaggio.

19

Il corpo degli esseri umani, essendo costantemente esposto all’attacco di ogni tipo di organismi dannosi provenienti dallo stesso ambiente in cui vive, ha sviluppato dei sistemi di autodifesa molto complessi ed efficaci. In caso di attacco esterno, gli anticorpi entrano immediatamente in azione. Le ghiandole secernono sostanze profilattiche che invadono immediatamente il sistema. Il corpo, in pratica, si mobilita per difendersi dall’attacco esterno. Si tratta di un sistema di difesa che funziona ottimamente, ed è proprio per questo che la vita è riuscita a sopravvivere sulla Terra per oltre quattro miliardi di anni. Tuttavia, alle volte la stessa mobilitazione dei sistemi di difesa naturali può causare febbri, pruriti, starnuti, la formazione di brufoli o macchie sulla pelle, o può addirittura far insorgere sincopi vere e proprie. In alcuni casi, può addirittura causare la morte. La sindrome che segue a simili attacchi si chiama “reazione allergica” e a volte può anche risultare più grave dell’attacco originale che l’ha causata.

Quando uno dei medici dell’elicottero di soccorso trovò un po’ di tempo per spiegare tutto ciò a Sandy, questi capì… più o meno. Capì soprattutto che si trattava di una cosa seria. I medici infatti sembravano molto indaffarati. Quando, dopo circa dieci minuti di volo, l’elicottero giunse a Hudson City e si posò su un tetto contrassegnato con una croce rossa, Marguery era tutta avvolta in una serie di coperte, aveva un tubo nel naso, un altro tubo con un ago infilato in una vena del braccio e una maschera che le copriva quasi completamente il volto.

Non parlava più, nemmeno in modo incoerente. Era in stato di incoscienza. Dopo quelle brevi parole di spiegazione iniziali, anche i medici dell’elicottero avevano smesso di parlare. O perlomeno avevano smesso di parlare con Lisandro Washington. Nessuno più lo degnò di uno sguardo, non finché ebbero infilato la lettiga sulla quale si trovava Marguery in un ascensore. A quel punto fecero entrare Sandy in un altro ascensore e gli dissero di aspettare nella sala d’attesa del pronto soccorso. Anche lì però nessuno lo degnò di particolare attenzione, eccetto le altre persone che si trovavano in sala d’attesa con lui; persone con stampelle, o mezze addormentate, alcune con bambini piccoli fra le braccia, altre che passeggiavano nervosamente avanti e indietro in attesa delle prognosi dei loro amici o parenti che si trovavano all’interno.

I sedili disponibili erano composti da esili tubi d’alluminio e stoffa cucita, e Sandy decise di non metterli alla prova con il suo peso. Tanto si sarebbe unito in ogni caso ai vari passeggiatori; l’intera faccenda era un vero e proprio mistero per lui, e non riusciva a togliersi dalla testa l’impressione che in qualche modo (anche se non aveva assolutamente idea di quale modo) fosse tutto colpa sua.

E nessuno gli diceva nulla.

Una ragazzina in pantaloncini corti e scarpe da tennis lo stava fissando da un po’, distratta dal telefilm trasmesso sullo schermo televisivo della sala d’attesa. Aveva in mano un sacchettino di pop-corn preso dalla macchina automatica, ma non lo stava mangiando, poiché aveva il pollice infilato in bocca. Lo tirò fuori giusto il tempo che bastava per chiedere: — Signore, lei è l’uomo venuto dallo spazio?

Sandy le rivolse una smorfia. Non era di umore molto allegro in quel momento. — No — mentì. Perché mai avrebbe dovuto essere sincero se tutt’attorno a lui non vi erano altro che menzogne? — Sono solo un, uh, un normale essere umano che aspetta che sua moglie abbia un figlio.

— Non ci credo — ribatté la bambina con tono critico. — Quando si aspettano i bambini, si va dall’altra parte dell’ospedale. Mio fratellino è stupido; lui si sta facendo togliere una biglia che si è infilato nel naso. Vuoi un po’ di pop-corn?

Sandy scosse il capo e si allontanò per bere un po’ d’acqua alla fontanella pubblica. Scrutò lungo uno dei corridoi dell’ospedale, color bianco e verde pallido, pieno di carrelli con lenzuola e di apparecchiature spente e persone vestite con grembiuli verdi che si affrettavano di qua e di là. Ignorando la ragazzina che gli veniva dietro, si incamminò lungo il corridoio finché non giunse al banco della reception. — Potete dirmi qualcosa sulle condizioni di Marguery Darp? — supplicò l’infermiera di turno.

— La dottoressa verrà da lei non appena potrà — rispose l’infermiera rivolgendogli un’occhiata incuriosita. — In fondo al corridoio c’è una sala proiezioni, se per caso vuole guardare un po’ la TV mentre aspetta.

— Hanno delle sedie decenti? — domandò Sandy con una certa mancanza di tatto.

La donna osservò la sua corporatura. — Ci sono dei divani — disse. — Penso che siano abbastanza resistenti.

— Allora magari ci vado — borbottò Sandy. Tuttavia, decise di recarsi innanzitutto nella toilette degli uomini. Non ne poteva più, pensò, di questo mondo esageratamente pieno di sorprese! Era stanco di essere colto di sorpresa. Non era così che era cresciuto lui; sulla grande nave interstellare almeno sapevi sempre in che posizione ti trovavi, e se per caso avevi qualche dubbio sul da farsi, bastava domandarlo ai Grandi Anziani e loro te lo chiarivano immediatamente.

Non avendo più alcuna intenzione di sottostare agli sguardi incuriositi della gente che affollava la sala d’attesa, una volta uscito dal bagno si diresse verso la sala proiezioni. Il divano aveva un’aria abbastanza solida. Non appena si accomodò e diresse lo sguardo verso lo schermo, Sandy venne colto nuovamente di sorpresa dalla vista di un volto familiare. Si trattava del suo vecchio compagno di coorte, Chiappa! Si trovava in piedi su una piattaforma dietro a un leggìo, proprio come Polly durante la sua conferenza astronomica. Solo che Chiappa naturalmente non stava parlando di astronomia; l’argomento era il controllo biologico dei rifiuti tossici e radioattivi, e nel caso specifico stava mostrando delle immagini riprese al microscopio di piccoli organismi che, a suo dire, erano in grado di eliminare qualsiasi agente non desiderato dalla terra e dall’acqua, rendendole batteriologicamente e chimicamente pure.

Ma una volta passato lo stupore iniziale causato dalla vista di un vecchio amico in TV, Sandy trovò che l’argomento era piuttosto noioso. Conosceva già tutte quelle cose, grazie alle molte lezioni frequentate sulla nave. Con sua sorpresa, però, notò che nemmeno i terrestri parevano essere molto interessati alle parole di Chiappa. Infatti, si trovava completamente solo nella sala proiezioni. Quando decise finalmente di rinunciare e di tornare alla sala d’attesa, il televisore lì stava ancora trasmettendo il solito telefilm.

La ragazzina lo stava aspettando. — Penso che tu sia veramente l’uomo dello spazio, sai? — annunciò con tono trionfante indicando la porta. — Altrimenti, perché mai ti sarebbe venuta a cercare quella cosa strana lì?

Sandy si voltò, e vide Polly che avanzava a balzelloni attraverso la porta. Era scortata da una guardia in uniforme dell’ospedale e aveva la sua solita espressione irritata. Anzi, forse era ancora più irritata del solito, pensò Sandy, poiché era quasi l’ora del suo “latte con biscotti” notturno, e non vi erano dubbi sul fatto che in quel luogo non sarebbe riuscita a cibarsi adeguatamente.

— Che stupidaggine hai combinato, Sandy? — esordì Polly con tono decisamente rude in hakh’hli allo scopo di escludere dalla conversazione gli umani che li circondavano, che naturalmente si erano affollati attorno per vedere. — Mi sai spiegare per quale motivo sono costretta a venire di corsa fino a questo ospedale solo perché ti sei messo di nuovo nei guai?

— Non sono affatto nei guai — rispose Sandy. Perlomeno, questo era ciò che sperava. — Io non ho fatto nulla. Marguery deve… Insomma, si è ammalata — concluse alla meglio.

— Per quale motivo si è ammalata? Mi è stato detto che l’hai costretta ad andare sotto la superficie dell’acqua, dove gli esseri che respirano ossigeno non possono sopravvivere. Questo è stato un gesto sbagliato e per niente giusto, Lisandro! Perché lo hai fatto?

— Ma io non l’ho costretta! Non è nemmeno stata un’idea mia.

— È stata della donna, allora? E per quale motivo?

— Perché voleva stare un po’ in un posto privato per dirmi delle cose. Ho appena scoperto che mi avete sempre mentito!

Polly non parve per nulla offesa da questa affermazione. Al contrario, sembrava interessata. — E per quale motivo dici una cosa simile? — domandò incuriosita.

— Perché ciò che mi avete raccontato a proposito di mia madre era assolutamente falso e per nulla esatto! Lei non era affatto americana, perché l’unica nave terrestre che si trovava nello spazio in quel momento era russa!

Polly emise uno starnuto di perplessità. — E tu ti agiti tanto per una questione assolutamente banale e per nulla importante? Che differenza fa? Russo, americano, cinese… Sono tutti esseri umani della Terra, non è forse così?

— La differenza… — iniziò Sandy in tono cupo, ma poi si fermò. Forse, pensò, vi poteva essere qualche vantaggio tattico nel nascondere ciò che sapeva a Polly. Decise quindi di non dire nulla a proposito del sesso dei cosmonauti russi e concluse invece così: — La differenza sta nel fatto che non mi avete detto la verità!

Polly lo fissò con disprezzo. — Ti stai riferendo forse a me?

— Sì, a te e a voi tutti — insistette Sandy con durezza. — A tutti voi hakh’hli! Voi della mia coorte e tutti gli altri, e persino i Grandi Anziani. Voi tutti non avete fatto altro che mentirmi!

— Mio caro Lisandro — ribatté Polly tagliente — ti rendi conto di ciò che stai dicendo? Ciò che hai appena detto è una contraddizione bella e buona, poiché è assolutamente impossibile che un Grande Anziano menta. Ciò che dice un Grande Anziano è la pura verità. Se per esempio un Grande Anziano dice che un hoo’hik non è un hoo’hik, bensì un hakh’hli, allora è così. Altrimenti, un Grande Anziano non lo direbbe mai. — Si produsse in un ampio sbadiglio. — Questa non è una conversazione produttiva — annunciò. — È molto più importante al momento parlare delle tue attività, che non sono affatto soddisfacenti. Per quale motivo non stai ascoltando la lezione di Chiappa sul disinquinamento del suolo?

— Nemmeno tu la stai ascoltando.

— Ma io so perfettamente ciò che dirà, mentre tu non lo sai affatto.

Lisandro scrollò le spalle. — La parte che ho sentito io non mi sembrava molto interessante.

Polly emise un sibilo di rimprovero. — Come ti permetti di dare un simile giudizio? D’altra parte — continuò in tono quasi malinconico — nemmeno i terrestri sembrano aver trovato l’argomento molto interessante. Non li capisco davvero questi esseri umani. Lo sai che quasi nessuno di loro ha voluto parlarmi del progetto del trampolino? È come se non apprezzassero il dono che gli hakh’hli hanno offerto loro.

— Be’ — disse Lisandro — può anche darsi che loro non lo vedano esattamente come un dono. Tanto più che avete detto loro che avreste mandato dei supervisori hakh’hli per occuparsi del progetto, lasciando intendere che non avreste lasciato il trampolino in mano ai terrestri.

— Ma è naturale che dovranno esserci dei supervisori hakh’hli! Chi può sapere che cosa combinerebbero altrimenti gli umani? Si tratta di un popolo violento e ancora non del tutto civilizzato, Lisandro! Ricorda ciò che ti è stato insegnato! Loro sono in grado di trasformare ogni forma di tecnologia in strumento di guerra!

— E come potrebbero trasformare il trampolino orbitale in un’arma? — domandò Sandy.

— Sarebbe molto facile e per niente difficile! Potrebbero sparare una capsula molto grande e colpire la nostra nave! Riesci a immaginarti che cosa potrebbe accadere in un caso simile? Tanto più che la nostra nave non sarebbe nemmeno in grado di compiere una manovra di fuga rapida, poiché i propulsori centrali sono spenti. — Emise uno sbuffo di rabbia. — E potrebbe anche essere peggio di così! Potrebbero lanciarci addosso una bomba nucleare, come quelle che si sono sempre buttati addosso fra di loro!

— Ormai sono anni che non le usano più.

— Anni! — ripeté Polly sprezzante. — Che cosa sono una manciata di anni? Anzi, casomai significa che fra poco arriverà per loro il momento di usarle di nuovo! — Rivolse lo sguardo oltre le spalle di Sandy e si produsse in una smorfia. — Riprenderemo questo argomento in seguito, se vorrai — disse — ma non adesso. Sta arrivando il mio cane da guardia, e non ho nessuna intenzione di parlare con lui.

Detto questo, Polly si allontanò con una serie di rabbiosi balzi. Boyle però, con sorpresa di Sandy, sembrava essere più interessato a lui che non alla sua protetta. Si limitò a salutare Polly con un cenno mentre passava e continuò a camminare direttamente verso Sandy.

— Marguery si riprenderà — disse Boyle a Sandy appoggiandogli una mano sulla spalla con fare rassicurante. — Sembrava veramente un caso difficile, ma adesso va meglio. A dir la verità era in condizioni veramente pessime all’inizio, e non ci sono dubbi sul fatto che tu le abbia salvata la vita tirandola fuori da quel posto. Comunque, si è trattato di una reazione allergica. Le hanno dato degli antistaminici, e adesso è di nuovo cosciente. L’ho appena lasciata.

— Voglio vederla — decise Sandy voltandosi verso la porta della sala rianimazione. Boyle lo fermò afferrandogli un braccio.

— Non adesso — gli disse. — Lei, ecco, diciamo che non è al suo meglio, al momento, e non vuole che tu la veda così brutta. Preferisce aspettare di riprendersi prima di vederti, così sarà più carina.

Sandy si voltò nuovamente verso Boyle e produsse un suono che era a metà fra il deluso e l’entusiasta. Da un lato infatti era triste perché non poteva vedere Marguery, ma dall’altro era deliziato dal fatto che lei volesse apparire carina per lui. — Che cos’è una reazione allergica? — domandò. Quando Boyle glielo ebbe spiegato, aggiunse con tono incuriosito: — Ma allora Marguery a che cosa era allergica?

Boyle pigiò il tabacco nella sua pipa e assunse un’aria pensierosa. — Potrebbero essere un sacco di cose — disse infine. — Spore di muffa, per esempio. Quella stanza è rimasta così per anni, e con ogni probabilità sarà piena di muffe varie. E tu invece?

— Io che cosa?

— Hai per caso qualche tipo di sintomo allergico? Starnuti, pruriti, giramenti di testa, raucedine… niente del genere? Senti, già che siamo qui, perché non ti fai dare una controllata dai medici?

— Non vedo proprio per quale motivo dovrei farmi controllare — ribatté Sandy.

— Ma Marguery sarebbe felice se tu lo facessi — insistette Boyle. — Ci vuole solo un minuto per prendere un campione, e non fa assolutamente male.

Ci volle molto più di un minuto, contando il tempo che Sandy impiegò per calarsi i pantaloni e per sdraiarsi sul lettino, a faccia in giù, mentre una giovane donna con camice verde cercava un punto morbido sul suo gluteo destro. E anche quanto gli era stato detto a proposito del dolore non risultò molto esatto. All’inizio, le dita della donna che cercavano il punto giusto gli sembrarono solo un po’ fastidiose (o forse il termine più adatto era “conturbanti”, poiché Sandy era perfettamente consapevole del fatto che si trattava di una femmina umana, e l’unica femmina umana che lo aveva mai toccato in maniera così intima era stata Marguery) ma quando la donna trovò finalmente il punto che voleva, Sandy sentì un piccolo scatto metallico e poi un improvviso, intenso dolore, come se un serpente a sonagli gli avesse appena dato un morso sul sedere.

Sandy girò la testa istintivamente, dando voce a tutto il suo stupore, il suo risentimento e il suo dolore e vide la donna con in mano una specie di siringa a molla con un ago lungo come la prima falange del suo pollice. — La prego di rimanere fermo — disse la donna infastidita. — È solo un piccolo campione cellulare… Ecco. Ora può andare.

Decisamente seccato, Lisandro tornò nella sala d’attesa. Non sorrise quando vide Hamilton Boyle, che lo aspettava fumando la pipa sotto un grande cartello con la scritta VIETATO FUMARE. — Non era poi così male, vero? — domandò in tono gioviale.

— Quanto basta — grugnì Lisandro massaggiandosi il sedere. — Adesso posso vedere Marguery?

Boyle scosse il capo. — Temo di no, Lisandro. Sta dormendo ora, e non vogliono che venga disturbata.

Lisandro sbatté le palpebre, improvvisamente preoccupato. — Ma hanno detto che stava meglio!

— E infatti è proprio così, figliuolo! Solo che se l’è vista un po’ brutta, e allora la vogliono tenere lì finché non avranno i risultati degli esami. Penso che domani mattina sarà perfettamente a posto. Allora potrai vederla senz’altro, e magari anche riportarla a casa!

— Riportarla a casa? — Sandy si rallegrò subito alla sola prospettiva. — Questa è una buona idea. — Rifletté per un istante, poi venne colto da un’ispirazione. — Fiori! — esclamò. — È usanza terrestre portare fiori a chi sta all’ospedale, giusto? Dove si possono comprare dei fiori?

Boyle però stava scuotendo il capo, con un’espressione fra il divertito e il paterno. — È molto tardi, Sandy — osservò. — I fioristi sono tutti chiusi a quest’ora. Se vuoi potrai portarglieli domani mattina, ma al momento credo che sia meglio che ti accompagni a casa. La mia auto è giù nel parcheggio.

Una volta in macchina, Boyle guidò rapidamente fino all’hotel. Ma prima di uscire dall’auto si voltò verso Sandy. — Sai, Sandy — gli disse — c’è una cosa che mi ha incuriosito a proposito del discorso del tuo amico Chiappa oggi alla TV. Lo hai sentito?

— A dire il vero non ci ho fatto molto caso.

Boyle annuì. — Be’, la maggior parte di ciò che ha detto era roba vecchia… Spero che questo fatto non ti offenda, ma è già da un bel po’ che ci occupiamo di sistemi il disinquinamento del terreno e dell’acqua. Non avevamo altra scelta, del resto. Tuttavia, ha detto anche una cosa che mi ha lasciato un po’ perplesso. Chiappa ha detto che gli hakh’hli avrebbero iniziato a fare degli esperimenti sul campo al più presto, e autonomamente.

— Ebbene? Perché non dovrebbero?

Boyle increspò le labbra. — Forse non vi è alcun motivo per il quale non dovrebbero. Solo che ha detto che volevano iniziare gli esperimenti in concomitanza con l’inizio della costruzione del trampolino orbitale. In Africa.

Sandy scrollò le spalle. — E perché no? In fondo laggiù non potrebbero fare grandi danni, no?

— Invece potrebbero anche farne, Sandy. Per quanto riguarda le piogge acide e l’inquinamento da sostanze radioattive, l’Africa è forse l’unico continente che si è salvato. Eppure, gli hakh’hli sembrano essere particolarmente interessati proprio all’Africa per i loro esperimenti. Hai per caso idea di quale potrebbe essere il motivo di questo loro interessamento?

— Dovresti domandarlo a ChinTekki-tho — disse, scuotendo il capo, anche se in verità aveva un’idea piuttosto chiara su quale potesse essere la risposta a quella domanda. Forse, pensò, la sua ipotesi era anche più vicina alla realtà di quanto non lo sarebbe stata la risposta che ChinTekki-tho avrebbe dato a Boyle.

20

Il grande malanno chiamato Aids può avere avuto origine in Africa, anche se ciò non è mai stato stabilito con certezza. L’unica cosa certa è che ebbe fine proprio in Africa, e che portò via con sé l’intera popolazione del continente. Quando iniziarono le Guerre Stellari, decine di migliaia di persone morivano di Aids tutti i giorni in tutto il pianeta Terra. L’anno successivo, le morti erano giunte a oltre centomila al giorno. Poi arrivò il vaccino, che salvò milioni di persone dalla morte sicura. Solo che in Africa non vi erano le strutture necessarie per la rapida diffusione del vaccino, e così, mentre l’America si dava da fare a costruire dighe e a scavare trincee per salvare le sue coste, mentre l’Europa tentava di salvare i suoi raccolti agricoli dai forti venti, dalle improvvise gelate e dagli inclementi raggi ultravioletti, nessuno trovò il tempo per salvare i “paesi emergenti” del Terzo mondo. Questi infatti vennero abbandonati a se stessi e alle loro risorse, e naturalmente non possedevano risorse a sufficienza per cavarsela da soli. Ora, gli elefanti, i gorilla, i rinoceronti e le mosche tze-tze del continente africano possono finalmente riprendersi i loro territori. Non devono più preoccuparsi per i cacciatori di frodo o per le fattorie recintate, perché gli esseri umani sono tutti morti. Non è stato l’Aids a uccidere gli africani. E’ stata la negligenza.

Per la prima volta da quando era arrivato sulla Terra, Sandy dormì profondamente per tutta la notte. Quando si svegliò era pieno giorno, e se non lo avesse svegliato Polly avrebbe certamente continuato a dormire. Polly non fu molto delicata. — Svegliati Lisandro! — gli gridò in un orecchio mentre lo scuoteva. — ChinTekki-tho desidera parlarti, immediatamente e senza ulteriori ritardi. Avanti, sbrigati!

Senza alcuna fretta, Sandy aprì gli occhi e la fissò. — Verrò — disse — perché ho delle domande da porre a ChinTekki-tho. Digli che arrivo fra qualche minuto.

— Digli? Domande da porre? Lisandro, sei tu che devi rispondere alle domande dell’Anziano, e non il contrario! ChinTekki-tho è molto deluso dal tuo comportamento!

Sandy si stiracchiò, producendosi in un ampio sbadiglio. — Così siamo in due — ribatté in inglese. — Adesso va’.

— Per questa offesa — promise Polly — dovrai ingoiare la tua stessa saliva! — Fumante per la rabbia, tornò nella sua stanza.

Sandy se la prese con comodo. Si infilò gli abiti uno per uno con fare metodico, quindi si recò al bagno per le esigenze fisiologiche mattutine e per lavarsi la faccia. Quando giunse finalmente nella stanza di Polly, sapeva già ciò che avrebbe detto a ChinTekki-tho. Polly era accovacciata accanto alla radio e vi stava borbottando qualcosa dentro. Quando vide entrare Sandy gli rivolse uno sguardo carico d’ira, ma questo si trasformò presto in un’espressione di stupore totale, non appena Sandy le ordinò: — Lasciaci soli. Voglio parlare con ChinTekki-tho in privato.

— Che cosa stupida e inadeguata che hai appena detto, Lisandro! — sbottò con furia. — Perché mai dovrei lasciarti solo?

— Perché se non lo farai — rispose Sandy con calma, — mi rifiuterò di parlare con ChinTekki-tho. — Attese con pazienza che Polly uscisse dalla stanza, leccandosi le labbra per la rabbia, quindi si girò verso la radio.

Parlò in inglese, e ignorò totalmente il titolo onorifico. — ChinTekki — esordì — perché non mi è stato detto che volevate compiere un altro atterraggio in Africa?

La risposta venne solo dopo un paio di secondi, ma quando arrivò il tono dell’Anziano era a dir poco glaciale. — Parla in hakh’hli e non in lingua terrestre! — ordinò perentoriamente. — Per quale motivo ti permetti di pormi una simile domanda e con un simile tono?

— Perché mi sono state tenute nascoste molte informazioni — rispose Sandy. — Possibile che io debba apprendere notizie dei piani degli hakh’hli dagli esseri umani e non dagli stessi hakh’hli?

La pausa che seguì fu superiore al tempo richiesto dalla trasmissione nei due sensi. — Non mi hai mai parlato a questo modo, Lisandro — disse infine ChinTekki-tho scandendo le parole molto lentamente. — Per quale motivo sei cambiato tanto?

— Forse sono cresciuto un po’ — disse Sandy.

— Forse sei diventato un po’ più terrestre — ribatté l’Anziano hakh’hli lentamente. — Mi è stato detto che hai danneggiato una femmina terrestre attraverso l’anfilassi, Lisandro. Per quale motivo hai fatto ciò?

Sandy divenne paonazzo in volto. — Non le ho causato alcun danno permanente. Del resto, non è forse un privilegio dell’essere umano di sesso maschile quello di unirsi in anfilassi a un essere umano di sesso femminile? Non sono forse io un essere umano di sesso maschile?

— A quanto pare — replicò ChinTekki-tho con un sospiro — lo sei a tutti gli effetti. Certamente non sei più un hakh’hli, poiché un vero hakh’hli non si rivolgerebbe mai in questo modo a un Anziano.

— Forse — ribatté Sandy — un hakh’hli non ne avrebbe motivo. Sono solo io che non sono stato informato sui piani hakh’hli riguardo la visita in Africa.

— Ma perché mai non dovremmo farlo? — domandò ChinTekki-tho con tono paziente. — In fondo, che valore ha l’Africa per gli esseri umani della Terra?

— È loro!

Sandy sentì chiaramente il sibilo di rimprovero. — L’Africa non è attualmente in uso — disse ChinTekki-tho con cocciutaggine. — Ciò che chiediamo agli umani della Terra è poco e non è affatto molto. Abbiamo chiesto un’isola per costruire il trampolino affinché ne traessero beneficio sia gli hakh’hli che gli umani, ma gli umani ci hanno detto che non era possibile perché gli abitanti dell’isola erano contrari. Ora potranno forse dire che non possiamo avere l’Africa, un continente completamente privo di umani, perché gli elefanti sono contrari?

Sandy si produsse in una smorfia. — Non riesco a capire — disse. — Che valore può avere l’Africa per gli hakh’hli?

— Questa è una decisione che spetta solo ai Grandi Anziani e a nessun altro — dichiarò ChinTekki-tho seccamente. — Una cosa del genere non può essere decisa da una persona così giovane e non ancora matura. — Seguì un attimo di silenzio, poi la voce riprese, più greve che mai. — Speravo di poter conversare in maniera proficua con te, Lisandro, ma ho capito che ciò sarà impossibile. Di conseguenza, non mi dilungherò in ulteriori discussioni con te. Ora desidero parlare privatamente con Ippolita. E in quanto a te, Lisandro, rifletti bene su ciò che fai, e ricordati che sono stati gli hakh’hli, e non gli esseri umani della Terra, che ti hanno dato la vita!

Quando Sandy giunse all’ospedale, Marguery Darp non si trovava nella sua stanza. Un’infermiera lo scortò fino alla sala solarium, dove Marguery stava parlando con qualcuno al telefono. Era completamente vestita e apparentemente pronta a lasciare l’ospedale, ma non appena smise di parlare al telefono, fece cenno a Sandy di sedersi sul divano al suo fianco. Lo fissò con occhi indagatori. — C’è qualcosa che non va, Sandy? — chiese.

Sandy scoppiò a ridere. — Quale delle tante cose che non vanno vuoi sentire per prima? — le domandò.

— Scegli tu — rispose Marguery, e ascoltò con attenzione mentre Sandy le raccontava della burrascosa conversazione che aveva avuto con ChinTekki-tho. Marguery aveva un aspetto diverso oggi, pensò Sandy; non sembrava malata, assolutamente, e non era nemmeno ostile. Non appariva distante, ma solo per qualche verso più seria di quanto non fosse stata il giorno prima. Quando Sandy ebbe terminato il suo resoconto, commentò: — A quanto pare hanno piani un po’ più grandi rispetto a quelli che ci hanno esposto per quanto riguarda l’Africa. Ti ha per caso detto qualcosa su ciò che stanno costruendo laggiù?

Sandy era esterrefatto. — Costruendo? No. Perché, stanno già costruendo qualcosa?

— A quanto pare — disse Marguery. Ebbe un attimo di esitazione, poi continuò. — Lisandro? Tu sai che abbiamo registrato tutte le trasmissioni hakh’hli fra il modulo di atterraggio e la nave madre. Saresti disposto a tradurne qualcuna per noi?

Sandy fece una smorfia. — Se le trasmissioni sono in hakh’hli — osservò — è perché gli hakh’hli non vogliono che gli umani le capiscano.

— Questo è ovvio. Ma se non stanno facendo nulla di male, perché non dovremmo ascoltare ciò che si dicono?

Un’altra domanda difficile. Mentre Sandy ci rifletteva sopra, Marguery intervenne nuovamente con tono suadente. — Non lo faresti nemmeno come favore personale nei miei confronti? — domandò. L’espressione di Sandy si fece improvvisamente cupa. — Cosa c’è che non va?

— Sono confuso — rispose Sandy con un sommesso borbottio. — Ci stiamo forse innamorando, o cosa?

Marguery rispose in tono molto serio. — Credo che l’unico modo per scoprirlo sia di aspettare e vedere che cosa succede — disse.

— Sì, ma… Insomma, è tutto così complicato! Siamo solo amici? O innamorati? Ci sposeremo? O tutto questo avviene solo perché ti hanno ordinato di mantenermi interessato affinché tu possa spiarmi meglio?

Marguery gli rivolse un’occhiata di fuoco. — Sì, era questo il mio incarico, almeno all’inizio. E allora, che cosa c’è di male? Il tuo incarico non era forse quello di spiare noi?

Sandy fece una smorfia. — Be’, più o meno… credo.

— Allora siamo pari, giusto? Sandy, caro — disse dolcemente prendendogli una mano — abbiamo a che fare con due cose ben distinte fra loro. Una siamo io e te, e per quanto riguarda questa non penso che ci sia altro da fare se non stare a vedere che cosa succede. L’altra invece ritengo che sia un po’ più urgente. Si tratta della razza umana contrapposta alla razza hakh’hli, e tu devi decidere da che parte stare. Adesso.

Sandy le rivolse uno sguardo contrariato. — Perché devo per forza mettermi da una parte piuttosto che un’altra?

— Perché ci sono due parti — ribatté Marguery — e non c’è spazio per nessuno in mezzo fra le due. Hai intenzione di tradurre quelle trasmissioni per noi o no?

Sandy ci rifletté sopra per un lungo istante, poi prese la sua decisione. — Se non c’è nulla di male in ciò che si dicono gli hakh’hli fra loro, certamente non arrecherò loro alcun danno traducendo i messaggi, giusto? E se invece c’è effettivamente qualcosa di male… E va bene — disse, alzandosi in piedi. — Lo farò. Adesso andiamo, che ti porto a casa.

Marguery si alzò in piedi a sua volta. — Così mi piaci — disse, producendosi in un piccolo applauso. — Solo che non andiamo a casa, non adesso almeno.

— Ma credevo di essere venuto qui apposta per questo…

— Caro Sandy — disse Marguery con tono a metà fra l’affettuoso e il serio — più tardi potrai portarmi a casa. Magari lo potrai fare anche un sacco di altre volte, ma al momento dobbiamo andare in un altro posto.

L’“altro posto” era un edificio di granito grigio senza finestre sulla cui facciata di pietra erano incise le seguenti parole:

INTERSEC

COMMONWEALTH DI YORK

DIVISIONE GIUSTIZIA CRIMINALE

Sandy non ne fu né sorpreso né rassicurato. Si fermarono davanti alla rampa che conduceva al garage, dove Marguery mostrò un distintivo metallico alla guardia, quindi discesero la rampa fino al garage sotterraneo.

Hamilton Boyle li stava aspettando davanti alla porta dell’ascensore. — Da questa parte — ordinò a Sandy indicando un ingresso dalla volta arcuata. Marguery non disse nulla, limitandosi a fare cenno a Sandy affinché la precedesse. Non appena ebbe passato l’ingresso, Sandy vide una donna in uniforme che scrutava uno schermo, e solo allora si rese conto che lo avevano appena controllato per vedere se non avesse per caso armi addosso.

— Che cos’è questa storia? — domandò.

— Ora vedrai — rispose Boyle. — Dobbiamo salire fino al terzo piano.

Quando furono nell’ascensore, Marguery prese la mano di Sandy e la strinse. Boyle non poté fare a meno di notarlo, ma non disse nulla. Quando si aprirono le porte dell’ascensore, i tre si trovarono di fronte un’altra donna in uniforme, alta e piuttosto anziana, che portava una pistola alla cintura. La donna fece un cenno di assenso a Boyle e premette un pulsante davanti al suo pannello di controllo. Un cancello metallico si aprì silenziosamente alla loro destra, scivolando nel muro, e i tre vi passarono attraverso.

Una guardia armata! Una porta di prigione! Sandy aveva visto certe cose solo alla televisione, ma sapeva benissimo che cosa significassero.

A quel punto lasciò la mano di Marguery e si girò verso Hamilton Boyle. — Mi state arrestando? — domandò.

Boyle gli rivolse uno sguardo perplesso. — E perché mai dovrei fare una cosa del genere? — domandò. — Stiamo dalla stessa parte… o almeno lo spero.

— Allora perché tutto questo?

— Voglio mostrarti una cosa — disse Boyle con tono serio, precedendoli dentro una stanza. Al centro della stanza vi era un grosso tavolo da conferenza circondato da una serie di sedie. Una parete era occupata quasi interamente da un grosso schermo televisivo. — Accomodati — aggiunse mentre prendeva posizione dietro a una console.

Le luci della stanza si spensero, e Sandy rivolse lo sguardo verso Marguery, che gli restituì un piccolo sorriso per niente rassicurante. Poi venne acceso lo schermo.

Stavano nuovamente osservando la grande nave hakh’hli. L’immagine era chiara e nitida come lo era stata in precedenza, solo che la nave era diversa.

Evidentemente perplesso, Sandy si produsse in una smorfia. Una nuova struttura era stata aggiunta alla chiglia della nave, una struttura ancora incompleta che però stava iniziando ad assumere una forma ben definita. Si potevano intravedere anche degli operai extraveicolari hakh’hli che si davano da fare con dei piccoli veicoli per spostare delle paratie o dei gusci metallici.

— Ecco qua, Lisandro — disse Boyle. — Hanno iniziato a costruirlo ieri. Hai per caso idea di che cosa possa trattarsi?

Sandy scosse il capo.

— Non lo hai mai visto prima d’ora? — insistette Boyle.

— No — rispose Sandy. — Ma del resto, come avrei potuto? Qualunque cosa sia, ha un aspetto molto delicato, e quindi non è possibile che sia stato montato mentre la nave era in movimento. Avrebbe avuto bisogno di una serie di sostegni, altrimenti si sarebbe disintegrato nel giro di pochi secondi.

— Può anche darsi che si tratti di qualcosa di cui non hanno avuto bisogno in precedenza — commentò Boyle.

— Ma può anche essere qualcosa di totalmente inoffensivo — intervenne Marguery. — Se non ricordo male, gli hakh’hli hanno anche parlato di proiettare sulla superficie un raggio di energia sotto forma di microonde. Potrebbe trattarsi di un’antenna intesa proprio a questo scopo.

Nella semioscurità della sala, Boyle si girò per fissarla. — E tu ci credi?

Marguery si limitò a scrollare le spalle, rivolgendo lo sguardo in direzione di Sandy.

— Io non credo che sia questo lo scopo — disse Sandy. — La trasmissione di energia non è la mia specializzazione, ma l’ho studiata un poco e credo che usino un’antenna di tipo diverso per quello scopo.

— Allora di che cosa si tratta? — insistette Boyle. — È molto grande, Lisandro. Non ho mai visto un’antenna di quelle dimensioni. È persino più grande del vecchio disco di Arecibo. — Si concesse una pausa, poi sparò la sua domanda in tono brutale: — È un’arma?

— Un’arma? — ripeté Sandy scandalizzato. — Certo che no! Per quel che ne so io, gli hakh’hli non possiedono alcun tipo di armamento. Per loro, uno degli aspetti più negativi degli esseri umani della Terra è proprio il fatto che usino… cioè che usiamo, un sacco di armi. Non riesco a credere che possano farne uso anche loro. — Scosse il capo con vigore. — No. Credo che abbia ragione Marguery: probabilmente si tratta di un trasmettitore di microonde, solo di un tipo diverso rispetto a quelli che ho avuto modo di vedere io…

— Ma Sandy… — disse Marguery con un sospiro allungando nuovamente una mano per prendere la sua — anche un trasmettitore di microonde potrebbe essere usato come un’arma, non credi? Riesci a immaginare i danni che potrebbe provocare un raggio del genere se venisse puntato su Hudson City, Brasilia o Denver?

— Ma perché dobbiamo stare qui a tirare a indovinare — intervenne nuovamente Boyle — quando abbiamo un sacco di nastri che riportano tutte le loro trasmissioni, se solo tu ci aiutassi a tradurli?

Sandy fissò prima Boyle poi Marguery, dopodiché tornò a fissare l’immagine sul grande schermo. — Lo sapevate — disse con un tono da normale conversazione da salotto — che quegli hakh’hli che lavorano fuori dall’astronave sono stati generati in modo particolare, che posseggono una struttura e una forza fisica superiore a quelle di qualsiasi altro hakh’hli? Così possono svolgere tranquillamente quel tipo di lavoro. Solo che non vivono molto a lungo. Quando ero piccolo, desideravo diventare uno di loro.

Nessuno dei due rispose alcunché. Si limitarono a fissarlo entrambi.

— Hai detto che lo avresti fatto — intervenne infine Marguery.

Sandy emise un sospiro. — Va bene — disse. — Spegnete pure lo schermo, e andiamo ad ascoltare questi nastri.

Non era così facile. O almeno, non era un lavoro rapido come Sandy si era aspettato. A quanto pareva, gli hakh’hli che si trovavano sulla Terra erano rimasti in comunicazione con la nave madre per tutto il tempo in cui la nave si trovava al di sopra dell’orizzonte del Commonwealth dell’Inuit. Anche eliminando tutte le conversazioni in inglese e quelle che Sandy aveva già avuto modo di sentire, vi erano quasi 12 ore di nastri da tradurre. Alcuni erano solo audio, mentre altri erano anche video.

Nessuno sembrava contenere informazioni particolarmente interessanti.

Dopo mezz’ora di ascolto, Sandy si scostò dallo schermo. — Fermate il nastro — ordinò. — Avete sentito quello che ho appena tradotto?

— Certo — rispose Boyle. — Aspetta un attimo. — Premette dei tasti che fecero tornare indietro il nastro, poi ne premette un altro. La voce di Sandy risuonò negli altoparlanti:

— “ChinTekki dice che procederanno con la terza alternativa. Chiappa dice che hanno portato a termine la ristrutturazione degli schermi protettivi del modulo di atterraggio e che sono pronti a ripartire da un momento all’altro. ChinTekki dice che può essere necessario un rifornimento di carburante affinché possano volare nell’atmosfera fino al Sito Doppio-Dodici. Chiappa dice che farà una richiesta di carburante ai terrestri.”

— Ha già fatto richiesta — intervenne Boyle. — Abbiamo detto loro che ci serve un campione del loro alcol e del loro perossido di idrogeno per poterli duplicare. Ma che cos’è questa “terza alternativa”?

— È proprio questo il fatto — rispose Sandy con tono cupo. — Non ho mai sentito parlare di una terza alternativa. E non ho nemmeno mai sentito parlare del Sito Doppio-Dodici.

Boyle assunse un’aria pensierosa per un attimo, poi si alzò in piedi. — Ho delle cose da fare. Voi intanto continuate; può darsi che più avanti ci sia qualcosa di interessante.

Sandy continuò. Continuò per un bel po’, per quasi tutta quella lunghissima giornata. Per tutto il tempo, vi era sempre qualcuno al suo fianco, o Boyle o Marguery Darp. Gli portarono anche dei panini, che Sandy mangiò mentre osservava lo schermo e traduceva contemporaneamente parlando nel microfono con la bocca piena. Tanto non aveva alcuna importanza, poiché realmente non vi era un granché di interessante in quei nastri.

Nel tardo pomeriggio gli venne in mente di chiedere se fosse o meno il caso di chiamare Polly per avvertirla che stava bene. — Non ce n’è bisogno — gli disse Marguery. — Ham l’ha già avvertita che sei con me.

— Sì, ma si domanderà che cosa ho fatto per tutto questo tempo — obiettò Sandy.

— Sandy — rispose Marguery con un sorriso — lei è convinta di sapere benissimo che cosa stiamo facendo. Ma adesso andiamo avanti, altrimenti non finiamo più.

Dopo questa constatazione l’umore di Sandy migliorò un poco, anche se per il resto non vi era molto di che stare allegri. Quando ebbe terminato di tradurre l’ultimo nastro, si appoggiò allo schienale della poltrona strofinandosi gli occhi. — Non so che cosa stiano combinando gli hakh’hli — disse con tono sobrio. — Non mi va di credere che abbiano in mente qualcosa di sinistro, ma d’altra parte non ci sono dubbi sul fatto che sono impegnati in un sacco di attività delle quali non mi hanno mai detto nulla.

Marguery gli appoggiò una mano sulla spalla come per confortarlo. — Non c’è nessun problema, Sandy — gli disse.

— Io invece credo di sì — rispose.

— Be’ — intervenne Boyle con filosofia — almeno ora ne sappiamo un po’ più di prima. — Colse un rapido sguardo interrogativo di Marguery Darp e si produsse in un sorriso, annuendo. — Mi sento in dovere di dirti, Sandy, che i nostri esperti di linguistica sono riusciti a elaborare una buona parte del vocabolario hakh’hli basandosi su queste trasmissioni. Ebbene, sarai felice di sapere che mi hanno appena riferito che le tue traduzioni sono assolutamente esatte.

— Perché, pensavate che vi avrei mentito? — domandò Sandy con tono rabbioso.

L’espressione di Boyle divenne subito seria. — Dovevamo essere sicuri — disse. — Questo non è un gioco, Lisandro. Potrebbe trattarsi della sopravvivenza dell’intera razza umana. E noi siamo disposti a fare qualsiasi cosa per garantire la nostra sopravvivenza. — Sembrava che stesse per andarsene così, ma poi cambiò idea. Il sorriso tornò a illuminare il suo volto. — Direi che è tutto, per oggi — disse con tono affabile. — Io me ne vado.

— Anche noi — disse Marguery Darp alzandosi in piedi a sua volta. — Sandy… se hai veramente intenzione di accompagnarmi a casa, penso che sia giunto il momento adatto.

L’appartamento di Marguery si trovava al 35esimo piano di un vecchio edificio che dava su ciò che lei chiamava il Lago Jersey. — Una volta era tutta una palude — spiegò a Sandy — ma poi l’hanno riempita di terra e ci hanno costruito un sacco di cose. Guarda, laggiù puoi vedere il vecchio stadio del football. Naturalmente, quando è salito il livello del mare tutta la zona è stata nuovamente sommersa.

Sandy annuì mentre si guardava attorno. Nonostante tutti i problemi che gli affollavano il cervello, riuscì ugualmente a trovare il tempo per stupirsi del fatto che una persona solitaria come Marguery avesse a disposizione una simile quantità di spazio. Nell’appartamento vi era una “cucina”, un “bagno”, un “salotto” e una “camera da letto”. Sandy rimase sulla soglia di quest’ultima per un certo tempo, guardandosi attorno con vivo interesse. Ma del resto era tutto interessante per lui. Era la prima volta che entrava nella casa di un terrestre… non contando gli allevatori dell’Alaska, naturalmente.

— È un palazzo molto vecchio — disse Marguery come per scusarsi. — Lo si può notare dal fatto che è così alto; adesso non li costruiamo più a questo modo. Io comunque lo uso poco, perché di solito sono sempre in missione da qualche parte. Perché non ti siedi?

Sandy si guardò attorno, valutando la resistenza di ognuna delle sedie e poltrone del salotto, ma non se la sentì di metterle alla prova. Marguery lo notò e sorrise, battendo il palmo sul divano sul quale era seduta. — Questo dovrebbe essere abbastanza resistente da reggerti — disse. Quando Sandy si sedette al suo fianco, Marguery alzò lo sguardo verso di lui con un’espressione carica di aspettativa. Sandy non ne era del tutto certo, ma ebbe la netta sensazione che desiderasse essere baciata.

Fece ciò che ci si aspettava da lui, ma evidentemente il risultato non fu molto soddisfacente, perché dopo un attimo Marguery si scostò e lo fissò con aria decisa. — Cosa c’è che non va? — gli domandò.

Sandy si appoggiò allo schienale del divano. Pensò a tutte le cose che non andavano in quel momento e ne scelse una. — Ho fame — disse.

— Non sono una grande cuoca — rispose Marguery — ma possiamo sempre telefonare per farci portare una pizza. — Lo fissò con attenzione, avvicinandosi un poco. — È davvero questo il tuo problema?

— È uno dei tanti. Ce ne sono almeno un milione di altri, però, compreso il fatto che sto tradendo la stessa gente con la quale sono cresciuto. Quelli che mi hanno salvato la vita, permettendomi di essere qui adesso.

— Non hai tradito nessuno — osservò Marguery.

— Vuoi dire che non vi sono stato di alcun aiuto. Così è ancora peggio, perché non sono nemmeno un traditore utile!

Marguery ci rifletté sopra un poco. — Sandy — disse infine — tu sei molto utile, almeno per me. — Ebbe un attimo di esitazione, poi continuò. — C’è una cosa che non ti ho ancora detto. Non sapevo come l’avresti presa.

— Oh, cavolo — grugnì Sandy. — Vuoi dire che alla fine hai deciso che non saremo più innamoratini?

Marguery scoppiò a ridere. — Oh, no. È un’altra cosa. È che… Be’, hai presente quegli esami per i quali ho dovuto passare la notte in ospedale? Insomma, non era per i miei esami.

— E per che cos’era?

— No, era per i tuoi esami — spiegò. — Quel campione cellulare che ti hanno preso in ospedale. Quando sono arrivati finalmente i risultati, hanno saputo dirmi a che cosa ero allergica. Sandy, dolcezza mia, ero violentemente allergica a te.

Sandy la fissò sconvolto. Poi si riebbe e fece per allontanarsi, ma Marguery lo attirò a sé.

— Non hai ascoltato bene — lo accusò. — Ho usato la parola ero. Ho detto che ero allergica a te, ma adesso non lo sono più, perché si tratta di una cosa facilmente curabile. Mi hanno dato questi antistaminici, più altre cose, e adesso non credo che tu possa nemmeno farmi starnutire.

Rimase seduta dove era, fissandolo in maniera placida. Sandy si produsse in una smorfia di perplessità, sforzandosi di capire a che cosa volesse arrivare. Lei non gli suggerì nulla, limitandosi a rimanere seduta in silenzio a fissarlo. Dopo un po’, Sandy iniziò a rendersi conto del motivo per il quale Marguery rimaneva in silenzio a quel modo. Quando infine si allungò verso di lei e iniziò a baciarla, divenne improvvisamente tutto molto chiaro ed evidente.

Marguery scostò il capo per fissarlo negli occhi. — Penso che la pizza possa anche aspettare un poco — disse con tono assennato. — Mi domando se il mio letto sia abbastanza resistente. Però ritengo che dovremmo, come dire, assicurarci che quegli antistaminici che mi hanno dato funzionino.

Gli antistaminici funzionavano. Anche il letto. E anche il servizio di pizze a domicilio. Sandy non apprezzò molto la miscela di pomodoro e formaggio, ma ebbe ugualmente modo di apprezzare la compagnia.

Marguery con una vestaglietta di seta e nulla sotto era ancora più carina di Marguery in bikini, pensò Sandy. Mentre lei si alzava per andare a prendere piatti, bicchieri di latte e due coppette con dentro noci e olive, Sandy si rese conto che si era quasi completamente dimenticato di tutti i problemi che lo ossessionavano fino a poco prima. Osservò Marguery con attenzione. In effetti, non riusciva a ricordarsi se l’aveva sentita muggire come una mucca o meno, ma per quel che riusciva a ricordare Marguery aveva dato segno di apprezzare appieno ciò che avevano fatto assieme, e ora sembrava piuttosto felice, anche se forse un po’ distratta, mentre si dava da fare nella sua piccola cucina.

Marguery finì la sua pizza molto prima di Sandy. Rimase seduta davanti a lui, sorseggiando una tazza di caffè e osservandolo con espressione critica. — Hai mangiato parecchio — osservò. — Ora ti coricherai per il periodo d’intontimento?

Sandy decise che doveva trattarsi di una “battuta”, ma rispose comunque come se si trattasse di una domanda seria. — Oh, no. Solo gli hakh’hli lo fanno.

— Capisco. E allora quando sono nel loro periodo d’intontimento sono veramente come delle pietre, vero? Voglio dire, sono proprio andati, no?

Pur non riuscendo a capire esattamente di che tipo di battuta si trattasse, Sandy continuò a rispondere. — Sì, dormono profondamente — disse. — Sono andati, come dici tu. Non c’è veramente alcun modo per svegliare un hakh’hli quando è nel suo periodo di intontimento.

— Giusto. È proprio quel che pensavo — disse Marguery con espressione pensierosa.

— Ma io non ho bisogno del periodo di intontimento, perché sono un essere umano — concluse Sandy. Rimase in attesa della battuta conclusiva di Marguery.

A quanto pareva, non vi era nessuna battuta finale da aspettare. Marguery lo fissò con aria dubbiosa per un po’, poi domandò a bruciapelo: — Perché tu sei realmente un essere umano, vero?

Sandy sorrise. — Non lo abbiamo forse appena provato?

Marguery non ricambiò il sorriso. — No, non lo abbiamo provato affatto. Voglio dire, che cosa farai se le cose vanno storte? Sei veramente disposto a metterti dalla parte degli umani in un conflitto contro gli hakh’hli?

— Ma se l’ho appena fatto!

— Hai tradotto dei messaggi per noi — ribatté Marguery. — Penso che si possa considerare tutt’al più come un’indicazione. Non credo che si possa considerare una prova.

La pizza era peggio che mai. Lisandro mandò giù il boccone gommoso che stava masticando e appoggiò il resto della fetta sul piatto. — Sai — disse con tono tranquillo — ho come l’impressione che tu mi stia di nuovo interrogando.

Marguery raddrizzò la schiena e lo fissò dritto negli occhi. Anche da seduta, era più alta di Sandy di almeno venti centimetri. — Ho ancora qualche domanda da farti — ammise. — Hai voglia di rispondere a qualcuna?

— È un piacere per me — ribatté Sandy con una smorfia, giusto per mostrarle che aveva imparato anche lui l’arte dell’ironia.

Marguery però ignorò questo particolare. — Va bene — disse. — A proposito di tutte quelle uova che gli hakh’hli conservano nei loro frigoriferi. Immagino abbiano intenzione di farle schiudere prima o poi, giusto?

— Certo che hanno intenzione di farle schiudere, solo che non possono.

— E perché no?

— Questa è una domanda davvero sciocca, Marguery — disse Sandy solennemente. — Lassù ci sono milioni e milioni di uova. Alcune di queste sono rimaste congelate per secoli, o anche di più. Il motivo per il quale non possono essere schiuse è che non vi sarebbe abbastanza spazio nell’astronave.

— In Africa però ci sarebbe un sacco di spazio — ribatté Marguery.

— Di nuovo questa storia dell’Africa! — esclamò Sandy. — Voialtri diventate completamente irragionevoli quando si parla di Africa! Gli hakh’hli non possono semplicemente scendere e prendersi l’Africa! Che razza di persone credete che siano?

Marguery allontanò lo sguardo, e quando tornò a voltarsi verso di lui Sandy rimase esterrefatto nel constatare che una lacrima le scorreva lungo una guancia. — Giusto per essere precisi, Sandy — domandò — che tipo di persone credi che siamo, noialtri?

Sandy scosse il capo, sempre più perplesso. — Stai parlando a indovinelli — la accusò. — Che cosa intendi dire?

— Non sai come desidererei conoscere le risposte a questi indovinelli — disse lei. — Senti, Sandy, in passato mi hai detto che gli hakh’hli mostravano film terrestri a tutta la nave più o meno ogni settimana…

— Una volta ogni dodigiorno, sì — la corresse. Marguery agitò la mano in un gesto di impazienza.

— E mi hai anche detto i titoli di alcuni di questi film. Il Dottor Stranamore, Quell’ultimo ponte, La Battaglia d’Inghilterra… I titoli ci sono sembrati abbastanza particolari, così siamo andati a controllare. Ti ricordi per caso i titoli di altri film che vi facevano vedere, Sandy? Sandy fece una smorfia. — Ce n’erano a centinaia! Vediamo un po’. Be’, mi ricordo che ce n’era uno chiamato La Grande guerra. Era pieno di carri armati e di prigionieri che venivano fucilati. Poi me ne ricordo uno che si chiamava All’ovest niente di nuovo e un altro chiamato I giovani leoni… Poi, ah già, ce ne era anche qualcuno che non era americano. Alcuni erano in altre lingue, come quello intitolato Il giovane hitleriano Quex, che parlava di uccidere i russi e gli americani perché erano dei criminali di guerra…

— Sandy — lo interruppe Marguery in tono gentile — non ti sei reso conto che mi stai elencando esclusivamente film di guerra? Gli hakh’hli non mostravano mai alla loro gente dei film che non si limitassero a dipingere il popolo della Terra come puramente guerrafondaio?

Sandy la fissò. — Be’, alla nostra coorte mostravano trasmissioni di qualsiasi genere. Abbiamo visto un sacco di film in cui si canta e si balla, e poi diverse situation comedy per famiglie…

Marguery lo interruppe con un cenno della mano. — Non sto parlando dei film che mostravano a voi della coorte. Sto parlando di quelli che venivano proiettati per tutta la nave. La mia impressione, Sandy, è che gli hakh’hli stessero facendo propaganda contro di noi, capisci? Cercando di convincere la loro gente che gli esseri umani non erano altro che dei pazzi guerrafondai assetati di sangue. E allora te lo voglio chiedere di nuovo, Sandy: che impressione hanno gli hakh’hli dei terrestri? E se sono convinti che siamo degli spietati assassini, non credi che potrebbero ritenere una mossa prudente colpire noi prima che noi colpiamo loro?

Sandy la fissò con orrore. — Non posso credere che i Grandi Anziani abbiano in mente una cosa del genere — disse infine.

— Davvero non ci riesci? O è semplicemente che non vuoi? — Lo fissò per un istante con grande intensità. Poi balzò in piedi e si allungò sul tavolo per abbracciarlo. Lo baciò con trasporto, e Sandy sentì le sue lacrime che gli bagnavano le guance.

A quel punto la allontanò da sé e la implorò: — Marguery? A che gioco stiamo giocando adesso? È il gioco io-spio-te o è il gioco noi-ci-amiamo?

— A volte — rispose Marguery con tono cupo — i due giochi si mischiano.

Si fissarono in silenzio per un istante, poi Sandy emise un sospiro. — Io preferisco il gioco noi-ci-amiamo, decisamente — disse.

— Va bene — ribatté Marguery senza alcuna esitazione. — Allora parliamo di fare l’amore. — Sandy si produsse in una smorfia, più perplesso che mai. L’espressione del volto di Marguery non sembrava essere in sintonia con l’argomento che aveva scelto. — Avrei qualche domanda da porti anche a questo proposito — continuò. — A proposito del modo in cui lo fanno gli hakh’hli. Se non sbaglio, mi hai detto che le femmine sono sempre pronte, e che quando uno dei maschi è pronto, ci danno subito dentro.

— Esatto — disse Sandy, non sapendo se assumere un atteggiamento imbarazzato o irritato. Parlare di sesso appena dopo averlo fatto gli poteva anche andare bene, ma perché Marguery doveva essere per forza così esplicita?

Ma Marguery continuò come se nulla fosse, diventando addirittura più esplicita di prima. — E i maschi hakh’hli hanno lo stesso birillo che hai tu?

Sandy divenne paonazzo in volto, incapace di credere che avesse capito bene. — Birillo?

— Va bene, lo stesso tipo di pene, allora.

— Ah, l’organo sessuale. A dir la verità, non ho mai avuto l’opportunità di vederne uno molto da vicino… — In verità però, quando un maschio hakh’hli entrava nel suo periodo di fertilità, chiunque si trovasse nelle vicinanze aveva la possibilità di vedere di che cosa si trattava. Quando glielo spiegò, Marguery insistette per conoscere ogni piccolo dettaglio fisiologico. Ogni piccolo dettaglio a proposito dell’organo maschile hakh’hli in stato di eccitazione. Poi volle sapere dell’organo femminile nonché dell’atto sessuale in se stesso, l’anfilassi, pretendendo anche in questo caso una spiegazione dettagliata; come si svolgeva, quanto durava e come ogni singola femmina della nave fosse sempre e invariabilmente ben disposta, poiché il fatto di deporre uova fertilizzate era la più grande gioia per lei.

Nel corso della spiegazione Marguery assunse un’espressione quasi disgustata, ma rimase comunque stranamente determinata. — E come fanno le femmine a sapere quando il maschio è in calore? — domandò. — Sentono i ferormoni o semplicemente vedono che ce l’ha duro?

Quando gli ebbe spiegato il significato di quegli ultimi due termini, Sandy scosse il capo con fare dubbioso. — Non penso che sia nessuna delle due cose — disse. — È che loro sono sempre pronte, capisci? Voglio dire, per loro non rappresenta un problema. Non devono prepararsi in nessun modo per farlo. Si limitano a compiere l’anfilassi, a farsi fertilizzare le uova, e circa mezz’ora dopo vanno a deporle. Tutto qui.

— Capisco che sia un’ottima cosa per i maschi — osservò Marguery — ma che vantaggio ne traggono le femmine?

— Te l’ho appena detto! — spiegò Sandy. — Loro depongono le uova!

Marguery assunse un’aria pensierosa. — Detto così, parrebbe che il fatto di deporre le uova sia addirittura più importante dello scop… dell’anfilassi, volevo dire.

— Immagino che sia proprio così. Sono le uova che contano… almeno per le femmine. — Emise una risatina. — La peggior cosa che si possa fare a una femmina hakh’hli è rubare le sue uova e buttarle nella tazza del bagno. In quel caso, diventerebbe furiosa. Una cosa del genere non si può nemmeno dire a una femmina hakh’hli, a meno che non si abbia un motivo più che legittimo. Se dicessi una cosa del genere a Polly, mi darebbe un calcione tale da farmi rientrare le budella.

Marguery ci rifletté sopra un istante, poi assunse un’espressione decisamente più rilassata. — Be’ — disse — tutto ciò è molto interessante.

Lisandro non rispose nemmeno. Attese l’arrivo della prossima bordata di domande, ma apparentemente la curiosità di Marguery si era improvvisamente placata. Gli rivolse un sorriso. — Vuoi ancora caffè? — domandò. Sandy scosse il capo. Nemmeno Marguery lo prese, e assunse invece un’aria pensierosa. — Per certi versi — disse — penso che vada decisamente meglio alle femmine umane.

— Davvero? — domandò Sandy. Aveva i suoi dubbi in proposito, poiché sapeva benissimo del lungo processo implicato nell’allevamento di un piccolo di razza umana, e gli sembrava decisamente più faticoso rispetto all’efficace sistema hakh’hli basato sul congelamento immediato e sul nutrimento programmato. — E perché?

— Be’, hai detto che alle femmine importa solo il fatto delle uova. Quindi deve aspettare di averne di nuove prima di… be’, di farlo di nuovo.

— Sì, ma non trascorre molto tempo. In verità dipende tutto dal maschio. Le uova si riformano ogni giorno, e nel giro di una settimana qualunque femmina è di nuovo pronta per l’anfilassi.

— Mentre le femmine umane — intervenne Marguery con un sospiro — possono rifarlo anche immediatamente. Sempre ammesso che il maschio umano sia in grado, naturalmente.

Lo fissò in un modo che lo turbò. Qualsiasi cambiamento di argomento tanto improvviso metteva Sandy decisamente a disagio. Ciò nonostante, pensò, chi non risica, non rosica… — Be’ — disse — se ti interessa sapere come stanno le cose riguardo a questo particolare soggetto, credo che il maschio umano in questione sia perfettamente in grado.

In effetti, era in grado. E di fatto, ebbe modo di dimostrarlo con grande orgoglio. Solo che prima dovette attendere un periodo di tempo apparentemente interminabile mentre Marguery era al bagno. Sandy non riusciva a capire per quale motivo vi rimanesse così a lungo. Sentiva l’acqua che scorreva, ed ebbe anche l’impressione di sentire la voce di Marguery, per quanto molto debole. Ma del resto chi poteva sapere quali cose intime le femmine umane facevano prima, durante o fra un’anfilassi e l’altra? Decise che glielo avrebbe domandato non appena fosse uscita, ma quando questo avvenne Marguery era talmente splendida… No, forse non era questa la parola adatta; era talmente disponibile, che Sandy si dimenticò di tutto il resto.

Poi ebbe una sorpresa.

Fra le molte cose che Lisandro Washington non aveva mai saputo a proposito dei costumi sessuali dei terrestri, vi era anche il fatto che, una volta terminato l’atto sessuale in sé stesso, era d’uso che l’uomo e la donna dormissero abbracciati nello stesso letto per il resto della notte.

Sandy si rese conto di questo fatto solo quando scoprì che si era addormentato. Quando aprì gli occhi, infatti, notò che Marguery Darp si trovava al suo fianco. Quando fece per spostarsi, lei mormorò: — Non te ne andare — stringendolo a sé con entrambe le braccia.

Come conseguenza più o meno inevitabile, fecero nuovamente l’amore, rimanendo quasi addormentati ma gustando ugualmente la sensazione. Quando Sandy si risvegliò nuovamente era pieno giorno e Marguery era in cucina.

Tornò in camera da letto con un sorriso un po’ diffidente, ma avvicinò ugualmente la guancia alle labbra di Sandy affinché gliela baciasse, come se stessero assieme da anni.

— C’è un pacco per te — disse, indicando il tavolo della cucina alle sue spalle.

Sandy si alzò ed esaminò il pacchetto con curiosità. In effetti, si trattava di una spessa busta marrone con il suo nome stampato sopra. — È arrivata stamattina — disse Marguery. — Sono i nastri e le trascrizioni delle traduzioni che hai fatto ieri. Ham vuole che tu riascolti tutto per controllare se ci sono delle inesattezze. Ora ti mostro come funziona l’apparecchio.

A malincuore, Sandy prese il pacco. Era molto pesante. Aveva sperato di trascorrere una giornata più interessante. — Forse farei meglio a fare un salto in albergo, prima — disse. — Immagino che Polly sarà preoccupata per me.

— No — disse Marguery con tono cupo. — Polly non si preoccuperà affatto. — Rivolse lo sguardo al suo orologio. — Guarda che ore sono! — esclamò improvvisamente. — Devo fare una telefonata.

Vi era un telefono sul tavolo davanti a loro, ma Marguery non lo usò. Si infilò invece nel bagno, sbattendosi la porta alle spalle.

Un attimo dopo, Sandy sentì l’acqua che scorreva e capì tutto. Allora anche la sera precedente, prima di fare l’amore, Marguery non aveva fatto altro che parlare al telefono, evidentemente con un telefono privato che teneva proprio lì nel bagno.

Così, quando Marguery uscì dal bagno, Sandy era già pronto per qualche brutta notizia.

E infatti la ricevette. — Devo uscire per fare alcune cose — disse Marguery con il volto privo di espressione. — Forse ci metterò un po’ di tempo, ma ti prego di non andartene. Aspetta, adesso ti mostro come funziona il registratore.

Prima ancora che Sandy riuscisse a rendersi pienamente conto di ciò che stava succedendo, Marguery era già uscita.

Non aveva mentito. Rimase fuori effettivamente “per un po’ di tempo”; quanto bastava perché Sandy ascoltasse quasi tutti i nastri e inserisse una serie di piccole, inutili correzioni sui fogli stampati della sua traduzione come gli era stato ordinato. Sandy venne colto da ben tre attacchi di fame, e in tutti e tre i casi non trovò praticamente nulla di commestibile all’interno del frigorifero.

Ciò nonostante, rimase sul posto. Fece come gli era stato ordinato. Era un po’ stanco, si disse fra sé, di fare sempre e solo ciò che gli veniva ordinato da qualcuno.

Quando sentì finalmente il rumore della chiave di Marguery che si infilava nella porta, era passato da uno stato d’ira a uno di depressione. A giudicare dall’espressione del suo volto, anche Marguery era piuttosto depressa. Entrò senza dire una parola, con il cappello e gli occhiali da sole in mano. Non li appoggiò mentre fissava Sandy in silenzio. — Oh, diavolo, Sandy — disse infine con tono triste, — Come vorrei che tu sapessi più di quanto sai.

— Cosa c’è che non va? — domandò Sandy con tono preoccupato.

— Temo che dobbiamo giocare al gioco io-spio-te — disse con un sospiro. — Avanti, preparati che andiamo subito al quartiere generale. C’è una cosa che Ham vuole mostrarti.

21

Quello di maturazione non è un processo facile, per nessun tipo di organismo, in nessun luogo dell’universo. Gli insetti si rinchiudono nei loro bozzoli ed emergono alati, completamente dimentichi del loro precedente stato larvale. I crostacei mutano guscio dolorosamente e in molti casi vengono divorati dai predatori prima di riuscire a formare un nuovo guscio. I serpenti perdono la pelle, gli uccelli abbandonano la sicurezza del nido, i giovani carnivori vengono allontanati dalle loro madri. Si tratta quasi sempre di un processo molto doloroso. In certi casi, è addirittura fatale. E per gli esseri umani è più o meno la stessa cosa, anche se per loro il mutamento avviene più che altro in senso psicologico. Quando un bambino di razza umana cessa di essere un bambino, i riti di passaggio che deve compiere sono pericolosi e dolorosi almeno quanto quelli di un granchio dal guscio morbido. Il processo di maturazione è difficile per chiunque, ma forse lo è molto di più per coloro che, come Lisandro Washington, sono sempre stati convinti di essere maturi già fin dall’inizio.

Sandy non si sorprese affatto quando vide profilarsi la sagoma dell’edificio dell’InterSec. — Avete intenzione di mostrarmi altre fotografie di ciò che stanno costruendo gli hakh’hli? — domandò.

— No, questa volta no — rispose Marguery mentre mostrava il distintivo alla guardia. — Ma stanno ancora costruendo, e anche molto rapidamente.

— E siete ancora convinti che si tratti di un’arma? Gli rivolse uno sguardo impenetrabile.

— No, adesso non crediamo più che quella sia un’arma. Senti, Sandy, cerca di avere un poco di pazienza. Adesso Ham Boyle ti spiegherà tutto.

Stranamente, Hamilton Boyle non stava sorridendo quando venne loro incontro. Il gran campione del sorriso questa volta aveva stampata sul volto un’espressione seria, determinata e apparentemente immutevole. Non pronunciò nemmeno una parola finché non ebbero portato a termine il passaggio rituale delle varie porte, dei vari ascensori e dei vari controlli. Sandy ebbe modo di notare che l’ascensore questa volta si era diretto verso il basso piuttosto che verso l’alto, e che aveva percorso un bel po’ di strada prima di fermarsi. Marguery e Hamilton Boyle fissavano i numeri elettronici che si alternavano rapidamente sull’indicatore come se fossero quotazioni di Borsa in una giornata decisamente negativa.

— Eccoci arrivati — disse infine Boyle, facendo cenno di entrare in una piccola stanza. Era poco più grande di una cella, notò Sandy con preoccupazione una volta entrato. — Accomodati — ordinò Boyle indicando a Sandy la poltrona dall’aspetto più solido. Proprio accanto ve ne era una più piccola sulla quale si sarebbe potuta accomodare Marguery, ma questa la ignorò, dirigendosi invece dalla parte opposta della stanza, dove si piazzò accanto a una scrivania con uno schermo e una tastiera. Alle sue spalle vi era una specie di tenda a listelle, di quelle che venivano chiamate “veneziane”. Le listelle erano inclinate in modo tale da non far passare luce da dietro, ma Sandy rifletté che in effetti non vi erano finestre in quell’edificio.

Quel luogo era ostile, pensò Sandy producendosi in una smorfia. Si sentiva molto teso, con i nervi a fior di pelle. Di tanto in tanto udiva un suono distante, come una specie di debole lamento. Quel suono naturalmente aumentava il suo disagio, anche se non riusciva a capire di che cosa potesse trattarsi.

— Allora, quali sono questi segreti che non volete che gli hakh’hli sappiano? — domandò.

Boyle sbatté le palpebre mentre lo fissava con aria sorpresa. — Temo che tu abbia capito tutto al contrario — disse. — Stiamo parlando dei segreti che gli hakh’hli non volevano che noi sapessimo. Come per esempio i loro piani per attaccarci.

Nonostante tutto ciò che gli aveva detto Marguery, per Sandy questa rimaneva comunque un’idea assurda. — Non hanno alcun piano simile — disse convinto.

— Sandy — intervenne Marguery in tono paziente — lo hanno eccome. Vogliono stabilirsi qui. Vogliono occupare il continente africano. Hanno intenzione di proporci la costruzione di alcuni habitat orbitanti, ma è solo una misura diversiva per distrarci dal loro vero obiettivo, e cioè l’insediamento in pianta stabile sulla Terra. In Africa, tanto per iniziare.

— Che cosa intendi con “habitat”?

— Dei grossi gusci metallici nello spazio, Lisandro — intervenne Boyle con voce cupa. — Come delle astronavi, ma molto più grandi. Gli hakh’hli hanno milioni di uova pronte a schiudersi, e hanno bisogno di un luogo per farle schiudere.

— Non credo a una sola parola di ciò che state dicendo! — gridò Sandy, protendendosi in avanti. La sua poltrona emise un preoccupante scricchiolio, ma lui non vi fece caso. — E anche se fosse vero — aggiunse — che cosa ci sarebbe di male? Non danneggerebbero nulla sulla Terra rimanendo in orbita.

— Ma Sandy, caro — disse Marguery con tono suadente — il problema è che loro non hanno intenzione di rimanere in orbita. Una volta che le loro uova si saranno schiuse e che i nuovi hakh’hli saranno cresciuti, scenderanno giù da noi. Ce l’ha detto Polly.

Sandy la fissò, assolutamente sconvolto. Questa era realmente la cosa più assurda che quei due avessero detto fino a quel momento. Cercò di farli ragionare. — Polly? Impossibile! Lei non vi rivelerebbe mai un’informazione segreta, sempre ammesso che esistano segreti da non rivelare.

— Non aveva scelta — disse Marguery cupa.

Sandy la guardò con aria truce. — Cosa stai cercando di dire? Non potete averla costretta a parlare. Che cosa potete fare, minacciarla? Torturarla? Ti ho già detto che non funzionerebbe mai!

Marguery emise un sospiro. — Ma mi hai anche detto ciò che avrebbe invece funzionato — rispose con tono colpevole. A quel punto si alzò in piedi e tirò la corda della veneziana.

Dietro alla tenda vi era un vetro, apparentemente di quelli specchiati da un solo lato. E dietro al vetro vi era Polly.

Sandy rimase a fissare la scena con la bocca spalancata. Polly! Viva! Solo che si trattava di una Polly che Sandy non aveva mai visto in precedenza, singhiozzante e accovacciata in maniera disordinata davanti a uno schermo per comunicazioni. Marguery agì sul cursore del volume della sua console, e il debole lamento che Sandy aveva sentito poco prima divenne perfettamente udibile in tutta la stanza. Si trattava della voce di Polly, rotta dal pianto, che supplicava sia in hakh’hli sia in inglese: — Per favore! Le mie uova! Non lasciatele andare a male!

Sandy rabbrividì davanti a quella scena orribile. Il bracciolo della sua poltrona si staccò per la spinta che vi esercitò alzandosi in piedi. Incespicando sui suoi passi, rivolse ai due agenti dell’InterSec un’occhiata di fuoco. — Siete dei bastardi! — gridò. — Come avete potuto fare una cosa del genere? — Non riusciva a trovare altre parole. Anche Marguery lo aveva tradito, e di conseguenza ora non poteva più fidarsi di nessuno!

Boyle ebbe un attimo di esitazione di fronte alla rabbia di Sandy, ma poi disse con tono secco: — Non avevamo altra scelta.

Non negava nulla. Sandy lo ascoltò, letteralmente disgustato da ciò che avevano fatto. Minacciare una femmina hakh’hli usando le sue uova come ostaggio era una crudeltà assolutamente inconcepibile! E come avevano fatto a fertilizzarle, dato che non avevano a disposizione nessun hakh’hli di sesso maschile?

La risposta a quella domanda gli venne fornita da una Marguery dal volto esangue e privo di espressione. — Invece lo avevamo, Sandy. Avevamo il tuo amico Obie.

La faccenda stava diventando sempre più assurda, e sempre più orribile! — Ma Obie è morto! — protestò Sandy.

Marguery annuì. — Si, ma avevamo il suo corpo. Non ti abbiamo raccontato tutta la verità. Non abbiamo affatto cremato il suo corpo. Lo abbiamo consegnato a un laboratorio per delle analisi… anzi, per una dissezione! Che altro potevamo fare? Dovevamo far tesoro di ogni possibile conoscenza in più! — Guardò Sandy con aria di supplica, ma lui non tradiva alcuna emozione. — Insomma — continuò Marguery — abbiamo conservato tutti i campioni di tessuto, congelati. Incluso naturalmente lo sperma. Così, mentre Polly si trovava nel suo periodo di intontimento, l’abbiamo rapita. Poi l’abbiamo portata qui e l’abbiamo inseminata artificialmente.

— Mostragli i nastri — ordinò Boyle.

Gli orrori immaginati in molti casi sono meno orribili di quelli reali. Ciò che Sandy ebbe modo di vedere non appena si accese lo schermo era molto peggio di quanto non avesse immaginato. Dapprincipio le immagini mostrarono Polly che si risvegliava, già gravida. Poi, ancora intontita dal sonno, più sconvolta e confusa che mai, Polly iniziò a deporre le sue uova. Sandy non aveva mai visto una deposizione di uova così infelice in tutta la sua vita.

A quel punto si udì la voce di Boyle, fuori campo, che giungeva a Polly attraverso un microfono. — Ippolita, ascoltami bene. Tu ora sei nostra prigioniera di guerra. Non ti verrà concesso il permesso di lasciare questa stanza. Ti faremo mangiare, ma non potrai uscire di qui e non potrai comunicare con l’esterno.

Sandy staccò gli occhi dallo schermo per fissare nuovamente l’infelice realtà che si trovava al di là del vetro.

— Polly! — gridò. — Sono qui! Non permetterò loro di farti questo!

— Non ti sente — intervenne Boyle con tono freddo.

— E non puoi fare nulla per aiutarla. Ascolta!

Sullo schermo, intanto, Polly stava ribattendo con coraggio: — …la mia gente lo verrà a sapere immediatamente!

— Alla tua gente — rispose la voce registrata di Boyle — diremo che hai insistito per andare a fare delle immersioni nell’oceano e che sei annegata. Se ci chiederanno il tuo corpo, diremo che è andato disperso in mare.

— Non ci crederanno mai!

— Sì, Ippolita, ci crederanno eccome. Ricorderanno quanto è successo a Oberon, e penseranno che anche tu abbia compiuto un gesto sciocco e rischioso.

Lisandro vide Polly sullo schermo che tremava di rabbia e di paura. — Le mie uova! — gridò la hakh’hli in un improvviso impeto di frenesia.

Di nuovo la voce glaciale di Hamilton Boyle: — Accanto al congelatore c’è una riserva di fluido nutritivo. Puoi fare tutto ciò che ritieni necessario per le tue uova, dopodiché potrai metterle nel congelatore. Siamo convinti che il sistema sia efficace quanto quello della vostra nave. Le uova non subiranno alcun danno… se ci dirai ciò che vogliamo sapere.

— Spegnetelo! — gridò Sandy. — Marguery, sei una vera merda! — La fissò con rabbia, il suo sguardo freddo e penetrante. Marguery lo fissò a sua volta senza proferire parola, ma Boyle intervenne subito in sua difesa.

— Ragazzo mio — disse con tono greve — Marguery non è altro che un essere umano. Non lo sei forse anche tu? Non vuoi proteggere anche tu la razza umana?

— Proteggere da che cosa? Gli hakh’hli non hanno nessuna intenzione di farvi del male!

Boyle scosse il capo. — Prima che tu faccia una figura peggiore di quella che già stai facendo, Lisandro, ascolta ciò che dice la tua amica Polly. Marguery, va’ direttamente alla parte più importante.

Le immagini sullo schermo si fecero confuse mentre sfrecciavano avanti. Quando tornarono normali, Sandy ascoltò. Ascoltò con grande attenzione, e con orrore sempre crescente.

Polly non si limitò a confermare quanto di peggio aveva suggerito Marguery Darp, ma andò anche oltre. Sì, confessò, i Grandi Anziani erano decisi a occupare l’Africa e a tenersela, lasciando finalmente schiudere tutte le uova congelate e riempiendo il continente di milioni di nuovi hakh’hli. E se questo non fosse stato possibile, avrebbero costruito una serie di grandi habitat orbitali. Tuttavia, continuò la voce registrata di Polly, quest’ultimo sarebbe stato solo uno stratagemma temporaneo. Una volta che le uova si fossero schiuse e i nuovi hakh’hli fossero cresciuti, come avrebbero fatto gli umani a impedire loro di occupare tutto il territorio che volevano? Tutto ciò era già qualcosa di assolutamente orribile per le orecchie di Sandy…

Ma quando Polly iniziò a parlare delle navette hakh’hli che si stavano preparando per entrare in orbita attorno alla Terra, Sandy si alzò in piedi con espressione sconvolta. Fissò Boyle, sconcertato. — Ma… che cosa hanno intenzione di fare con quelle navette?

— Bombardamento — rispose Boyle in maniera stringata. A quel punto spense lo schermo, aspettando un commento da parte di Sandy.

— Vuoi dire come gli aerei che bombardavano Hiroshima? Ma gli hakh’hli non posseggono bombe! Ne sono sicuro… Quasi sicuro — si corresse.

Boyle scosse il capo. — Non hanno bisogno di bombe, Lisandro. Ne hanno a disposizione quante ne vogliono. Non ti ricordi che abbiamo già preso in considerazione questa possibilità al centro di ricerche scientifiche? Ci sono oltre 18.000 oggetti di grandi dimensioni in orbita, e gli hakh’hli non devono fare altro che spingerli fuori dalle loro orbite al momento giusto per far sì che colpiscano le nostre città.

— Come ad Albuquerque — intervenne Marguery. — Come è quasi avvenuto anche a Perth.

— E se questo non dovesse bastare — continuò Boyle — hanno a disposizione l’intera fascia di asteroidi.

Boyle rimase in silenzio per un attimo, poi sospirò e fissò Sandy direttamente negli occhi. — C’è anche dell’altro, se vuoi sentire.

— Non credo di voler sentire altro — rispose Sandy cupo. — Ho già avuto abbastanza brutte notizie per oggi.

— Non è tutto così negativo, sai? — intervenne Marguery. — Quella cosa che stanno costruendo, per esempio, non è altro che un’antenna radio. Polly dice che non hanno ricevuto segnali dal loro mondo d’origine da molti secoli ormai, e che sperano di captare qualche segnale grazie a questa antenna.

— Sono completamente soli, come se si fossero smarriti, sai? — intervenne seccamente Boyle. — E a questo punto sono quasi disperati. Che ne pensi, Lisandro? Adesso la palla è in mano tua. Sei tu che devi prendere una decisione. Da che parte hai intenzione di stare?

— Ho forse una possibilità di scelta? — ribatté Sandy con tono aggressivo.

— Non molta. Anche a te può succedere qualche disgrazia, proprio come a Ippolita. Tuttavia, se hai intenzione di aiutarci…

— Aiutarvi in che modo?

Boyle ebbe un attimo di esitazione. — Abbiamo un piano — disse. — Possiamo metterlo in atto anche senza di te, ma riuscirà sicuramente meglio se ci darai una mano. In questo momento, la grande nave è molto vulnerabile. Solo che non abbiamo molto tempo a disposizione. Può anche darsi che le navette hakh’hli stiano già posizionandosi per buttarci addosso qualche grosso rottame spaziale, magari su Seattle o Hudson City.

Sandy li fissò entrambi a turno, e alla fine guardò negli occhi Marguery Darp. Ma non vi era nulla da leggere nei suoi occhi. Il volto della donna era privo di espressione, e stava evidentemente aspettando la sua risposta.

— Spiegatemi i dettagli del piano — disse infine Sandy. Si trattava della sua prima avventura nel mondo scaltro e ingannevole degli adulti.

22

Tremila anni di storia sono parecchi. Tremila anni fa, la storia dell’umanità non era nemmeno iniziata. A quell’epoca la civiltà umana consisteva in una collezione di piccoli regni nel fertile Medio Oriente, e né la Cina né l’Antica Grecia erano state ancora inventate. La storia degli hakh’hli è almeno altrettanto lunga, e certamente altrettanto vaga nelle sue origini. Gli hakh’hli sanno solo che prima di allora i loro antenati vivevano su un pianeta piuttosto che un altro di un certo consorzio di pianeti (composto da quattro mondi, ognuno dei quali si trovava in un sistema solare differente) e che avevano a disposizione immensi poteri. Poteri che permisero loro di costruire una dozzina di navi come quella in cui erano venuti sulla Terra e di mandarle a spasso per la Galassia alla ricerca di nuove case per la razza hakh’hli. Ma quella era la loro Epoca d’Oro, e gli hakh’hli ne sono perfettamente consapevoli. E sanno altrettanto bene che i tremila anni trascorsi dal momento in cui la loro nave è stata lanciata fra le stelle non sono stati affatto dorati, caratterizzati unicamente da lunghi e monotoni viaggi e da faticose ricerche senza frutti. Per essere precisi, si può parlare di tremila anni di fallimenti ininterrotti.

Il volo per raggiungere il sito di atterraggio della navetta hakh’hli non fu tranquillo e confortevole come quello in dirigibile. Questa volta avevano fretta, e di conseguenza avevano deciso di usare un aereo supersonico in grado di attraversare il continente nordamericano nel giro di un’ora e 40 minuti volando a 19 chilometri di altezza. Non si trattò di un volo piacevole. L’accelerazione del decollo appiccicò persino Sandy al suo sedile, e tutti i passeggeri rimasero immobilizzati nei loro posti finché il velivolo non raggiunse la sua quota di crociera.

Anche allora però non vi fu alcuna conversazione. Marguery Darp sembrava persa nei suoi pensieri, e Sandy, che sedeva accanto a uno dei piccoli finestrini, passò gran parte del tempo a scrutare fuori per cercare di cogliere quel poco di paesaggio visibile che sfrecciava sotto di loro.

Per l’occasione, Hamilton Boyle aveva indossato la sua uniforme, con tanto di stivali di cuoio, fondina con pistola, cappello e tutto il resto. Era come se avesse bisogno di una conferma alla sua posizione ufficiale. Quando raggiunsero la quota di crociera, si girò verso Sandy e gli domandò senza alcun preambolo: — Sai quello che devi fare?

Sandy scostò lo sguardo dal finestrino. — Come potrei averlo dimenticato? — domandò. — Me lo hai ripetuto almeno cento volte. Il mio compito consiste nel fare uscire gli hakh’hli dalla navetta. A quel punto entrate in azione voi, che li arrestate.

— È per il bene della razza umana, Lisandro — gli ricordò Boyle.

— Ciò che non mi avete ancora spiegato, invece — continuò Sandy — è ciò che farete con la navetta una volta che l’avrete catturata.

— Non abbiamo ancora deciso. — ribatté Boyle. — Prima dobbiamo scoprire con che tipo di tecnologia abbiamo a che fare.

Sandy annuì, come se si fosse aspettato proprio una risposta del genere. Quel gesto però non significava che stava accettando ciò che gli aveva detto Boyle, ma piuttosto che si era aspettato che non gli venisse detta la verità. Increspò le labbra, scrutando Hamilton Boyle con espressione innocente. — Sai — gli disse — una persona particolarmente sospettosa potrebbe anche pensare che il vostro vero scopo sia un altro. Potrebbe pensare che avete intenzione di usare il modulo di atterraggio per speronare la grande nave hakh’hli.

L’espressione di Boyle fu più che sufficiente come risposta per Sandy. Quando si girò verso Marguery, si trovò davanti un volto dall’aria lugubre. — Oh, al diavolo — disse lei. — Tanto vale che iniziamo veramente a fidarci l’uno dell’altro, Ham! Sandy, hai quasi azzeccato. L’InterSec ha una mezza dozzina di testate nucleari nascoste, da usare solo in casi estremi. Quando ci avrai consegnato la navetta, Ham ha intenzione di caricarvi sopra una di queste testate e di decollare immediatamente. Ma non per speronare la grande nave, Sandy! Non vogliamo farlo, a meno che non siamo assolutamente costretti.

— Ah no? — chiese Sandy con tono forzatamente cordiale. — E allora che intenzioni avete?

— Vogliamo solo minacciare di speronarli! Tutto qui. E a quel punto dovranno arrendersi per forza. La nave hakh’hli è sospesa lassù come un bersaglio immobile, con i motori spenti.

— Capisco — disse Sandy senza lasciar trasparire alcuna emozione. Non aggiunse altro.

Boyle attese circa dieci secondi, poi intervenne nuovamente. — Che cosa c’è che non va, Sandy? Credi che non funzionerebbe?

Sandy ci rifletté sopra con attenzione. — Non ho mai sentito parlare di un hakh’hli che si arrende — disse. — Anche se dicono che c’è sempre una prima volta. Come ha appena detto Marguery, in effetti non avrebbero molta scelta, giusto? Inoltre — continuò, come se fosse stato improvvisamente colto da un’illuminazione — con ogni probabilità non avete nemmeno bisogno di portarvi dietro una bomba. Basterebbe solo speronare la nave madre con la navetta nel punto in cui si trovano i propulsori principali e sarebbe fatta. Immaginatevi che cosa succederebbe se la materia anomala si mettesse a schizzare fuori dalla nave! Naturalmente, morirebbe anche chiunque stia pilotando la navetta in quel momento.

— Credi che questo sia un problema? Ci sono sempre un sacco di esseri umani disposti a morire per motivi patriottici.

— Così mi hanno detto — ammise Lisandro. — Solo che…

— Cosa? — domandò Boyle perentorio.

Sandy scrollò le spalle. — Solo che a quel punto non vedo proprio quale possa essere la vostra mossa successiva. Che cosa ne farete degli hakh’hli una volta che si saranno arresi?

— Li prenderemo prigionieri!

— Sì, fin qui ci ero arrivato. Ma poi?

— Poi dipenderà da ciò che decideranno le autorità civili — ribatté Boyle. — Non devi preoccuparti per questo, Lisandro! Non li ammazzeremo di sicuro. Abbiamo delle leggi ben precise per quanto riguarda i prigionieri di guerra.

— Sì, li mettete in campi di concentramento — disse Sandy annuendo. — E per quanto tempo avreste intenzione di tenerli lì?

— Per il tempo necessario — rispose Boyle a denti stretti.

Sandy rifletté per un minuto. — C’è anche un’altra possibilità, che non avete nemmeno menzionato — osservò. — Potreste semplicemente mandarli via, dicendo loro di andare a cercarsi un’altra stella. Ma immagino che abbiate già preso in considerazione questa ipotesi, e che abbiate deciso che non funzionerebbe.

— Esatto — si limitò a rispondere Boyle. A quel punto però intervenne Marguery, ignorando completamente l’espressione irata che le rivolse il suo collega.

— Non possono andarsene, Sandy — disse. — Come ti abbiamo già detto, si trovano in una situazione disperata. Polly ci ha detto che i propulsori centrali della nave stanno iniziando a perdere colpi… ha qualcosa a che vedere con un indebolimento della struttura a causa delle radiazioni. Comunque sia, Polly dice che il problema sta diventando sempre più grave e che non sanno se la struttura potrà reggere ancora per qualche centinaio di anni o solo per una decina.

— Di conseguenza — intervenne Boyle — non possono muoversi da lì.

— Capisco — disse Sandy annuendo. — Poveri hakh’hli — aggiunse. — Bene. C’è qualche altra cosa della quale dobbiamo parlare?

— Voglio solo essere sicuro che tu sappia esattamente ciò che devi fare… — iniziò Boyle.

— Lo so, Boyle — lo interruppe Sandy. — Allora siete convinti che vi saranno solo due hakh’hli nel modulo di atterraggio?

— Di solito rimangono dentro in due. Fanno a turno. Due vengono fuori per parlarci, mentre gli altri due rimangono nella navetta. — Boyle ebbe un attimo di esitazione. — Almeno — disse — spero che vada così. Potrebbe anche insorgere un piccolo problema.

— Qualcosa che avete deciso di non riferirmi? — domandò Sandy con ironia.

— Qualcosa che ti sto riferendo adesso — ribatté Boyle freddo. — Ormai sono circa dieci ore che non riescono a comunicare con la nave madre per via di certe interferenze.

— Che tipo di interferenze?

— Abbiamo piazzato un dirigibile ad alta quota proprio sopra le loro teste che continua a trasmettere segnali di disturbo — spiegò Boyle. — Non possono comunicare con la nave madre, e la nave non può comunicare con loro. È inutile che mi guardi a quel modo, Lisandro, non avevamo alternative! Non volevamo che combinassero qualche guaio solo perché non ricevevano più notizie tue e di Polly. È possibile quindi che si siano preoccupati fino al punto di rimanere tutti all’interno della navetta, anche se credo che attribuiranno la cosa a qualche causa naturale, come le macchie solari.

— Questo è ciò che speri — ribatté Sandy. — Be’, non si sta molto comodi là dentro, quindi credo che usciranno comunque non appena ne avranno l’occasione. — Rifletté per un istante, poi aggiunse: — Credo di essere in grado di fare ciò che mi chiedete, solo che mi riuscirebbe molto più facile se potessi entrare nella navetta da solo.

— No. Faremo le cose a modo mio. Marguery verrà con te.

Sandy scrollò le spalle. — E voi li farete prigionieri non appena escono?

— Naturalmente.

— Va bene — disse Sandy. — Allora c’è solo un piccolo particolare ancora. Avrò bisogno di una di quelle. — Indicò la pistola alla cintura di Boyle.

Boyle sollevò un sopracciglio in un’espressione sorpresa. — Per farne cosa? Sei stato tu stesso a dire che è inutile minacciare un hakh’hli.

Sandy gli rivolse un sorriso gioviale. — Però lo si può sempre uccidere — replicò. — E ora vorrei avere una penna e un foglio di carta. E vi prego di non rivolgermi la parola per un certo tempo. Penso che scriverò una poesia.

I finestrini dell’aereo erano talmente piccoli e appannati che i passeggeri non riuscirono a scorgere nulla del piccolo accampamento che si era formato attorno alla navetta hakh’hli, nemmeno in fase di atterraggio. L’unico a bordo che avesse un minimo di visibilità era il pilota.

Scrutando da dietro le spalle del pilota, Sandy vide per un istante una montagna, poi nuvole, cielo e ancora nuvole. Un attimo dopo il velivolo toccò la pista, con i propulsori che ruggivano più forte che mai in una violenta decelerazione. Sandy si ritrovò schiacciato contro il sedile.

Quando l’aereo si fermò, Sandy si slacciò rapidamente le cinture di sicurezza e allungò una mano per aprire lo sportello, ma Boyle lo fermò afferrandogli una spalla. — Mi avevi chiesto questa? — domandò, offrendogli la propria pistola.

Sandy si rigirò il pesante oggetto piatto fra le mani con aria meravigliata. Era un oggetto talmente piccolo, eppure talmente sinistro… — Questa è in grado di uccidere una persona? — domandò.

— Vuoi dire se è in grado di uccidere un hakh’hli? Potrebbe abbattere un elefante, Sandy. È caricata con pallottole esplosive.

— Mostrami come usarla — disse Sandy. Con una certa riluttanza, Boyle aprì lo sportello e condusse Sandy dietro l’aereo, dove non potevano essere visti dal modulo di atterraggio. Sandy guardò la navetta solo di sfuggita: la nuova pellicola protettiva era già stata installata e, più che altro, assomigliava a una mantide religiosa impacchettata per Natale.

Boyle non impiegò molto tempo per spiegare a Sandy della sicura, del mirino e del grilletto. Prima di lasciarlo sparare, lo avvisò del rinculo, consigliandogli di tenersi il braccio mentre sparava. Ciò nonostante, il rinculo fu una sorpresa per Sandy. Il colpo però risultò meno rumoroso di quanto non si fosse aspettato. Si era immaginato una violenta esplosione, ma invece sentì solo un secco schiocco. Molto più forte invece fu il boato provocato dalla pallottola esplosiva nel momento in cui colpì il bersaglio, o meglio il pezzo di asfalto della pista che Sandy casualmente colpì. Quando si dissipò il fumo, c’era un cratere di almeno 30 centimetri di profondità.

Sandy si girò verso Boyle scuotendo il capo. — Non va bene — commentò. — Se sbaglio mira, potrei far saltare in aria l’intera navetta.

— Be’ — disse Boyle — se vuoi ti posso anche dare delle pallottole normali invece di quelle esplosive, ma non so se sono sufficienti a uccidere un hakh’hli.

— Tanto loro non lo sapranno — rispose Sandy. — Dammi le pallottole normali.

Nemmeno un hakh’hli assolutamente ligio al dovere sarebbe stato disposto a passare interi giorni o settimane all’interno di un modulo di atterraggio se poteva farne a meno. Era troppo stretto, troppo essenziale, troppo scomodo, e sicuramente troppo noioso. Per ovviare a questo problema, gli umani avevano gentilmente trasportato fino a lì una specie di casupola prefabbricata per il loro uso. Era decisamente più piccola della sala comune che la coorte condivideva sulla nave, pensò Sandy con tristezza, ma del resto anche la coorte stessa era decisamente più piccola di quanto non fosse stata prima. Vide Chiappa che scrutava fuori dallo sportello della navetta, appena sotto la scaletta. Sandy lo salutò agitando una mano, ma non gli rivolse alcuna parola. Continuò a camminare fino alla casupola degli hakh’hli, dove si fermò sulla porta per guardare dentro.

Elena e Tania erano accovacciate l’una contro l’altra davanti a uno schermo televisivo. Fortunatamente però lo schermo non era in modalità di trasmissione; le due stavano semplicemente guardando i noiosi programmi televisivi terrestri, già da tempo depurati da ogni tipo di notizia che avrebbe potuto disturbare in qualunque modo gli hakh’hli. Tania si girò di scatto per fissare Sandy con espressione sorpresa. — Che cosa ci fai tu qui?

— Adesso ve lo mostro — rispose Sandy in hakh’hli appoggiandosi un dito sulle labbra.

— Ci mostri cosa? — intervenne Elena con tono ostile. — E poi che cos’era quel rumore che abbiamo sentito poco fa?

— Non lo so — disse Sandy a bassa voce e assumendo un’aria circospetta. — Qualcosa che stanno facendo gli umani, credo. Ma non perdete tempo, adesso. — Scrutò fuori dalla porta. — Seguitemi, e cercate di non farvi notare. Tutt’e due. Anche tu, Tania. E non fermarti per usare il comunicatore, vieni e basta.

Non attese la loro risposta, limitandosi a uscire dalla casupola con fare volutamente indifferente e a incamminarsi in direzione della coda della navetta. In quel caldo pomeriggio estivo le ombre erano molto lunghe, e Sandy vide senza bisogno di girarsi che le due hakh’hli lo stavano effettivamente seguendo.

Marguery si trovava dietro al modulo di atterraggio, e stava guardando verso l’alto, come le era stato ordinato. Tania si fermò improvvisamente accanto a Sandy. — Perché hai portato qui la femmina terrestre? — domandò con tono sospettoso leccandosi un labbro.

— Guarda e capirai — disse Sandy con tono tranquillo. Indicò un punto lontano assolutamente privo di particolari caratteristiche. — Proprio lì.

— Che cosa? — borbottò Elena.

Tania emise a sua volta un grugnito di stizza mentre si allungava quanto poteva sulle lunghe zampe posteriori. — Io non vedo proprio nu…

Non riuscì a dire altro. Piombò a terra a faccia in giù prima ancora che Sandy avesse sentito lo schiocco del fucile ad aria compressa. Elena riuscì a girarsi su se stessa quanto bastava per vedere i cecchini di Boyle, ma non abbastanza velocemente per poter fare qualcosa. Si trattava di un sonnifero ad azione rapida, e dopo un attimo entrambe le hakh’hli giacevano a terra in stato di incoscienza.

Sandy segnalò ai cecchini, che erano accovacciati accanto al modulo di atterraggio, di venire a prendere i corpi. Poi si rivolse verso Marguery e indicò con un cenno del capo lo sportello d’ingresso della navetta. — Vieni allora, se proprio devi — le ordinò.

Mentre salivano la scaletta, la testa di Chiappa spuntò nuovamente dallo sportello. L’hakh’hli fissò Sandy con espressione incuriosita ma niente affatto insospettita. Poi individuò Marguery che saliva alle sue spalle. — Perché stai portando a bordo la femmina terrestre? — domandò in hakh’hli a Sandy.

— Anche Tania mi ha fatto la stessa domanda — replicò Sandy, che ormai si trovava all’altezza dello sportello. — Togliti di mezzo, ti spiace? — disse mentre spingeva da un lato il suo ex compagno di coorte. Non disse altro finché non fu entrata anche Marguery. — E adesso ascoltate! — ordinò a quel punto.

Demetrio apparve alle spalle di Chiappa proprio nel momento in cui gli uomini di Boyle, che si trovavano sotto la navetta, facevano partire il registratore. — Vi prego! — piagnucolò disperatamente in hakh’hli la voce registrata. — Vi prego, aiutatemi!

Il disperato appello si ripeté identico diverse volte, finché Demmy non si rese conto di che cosa si trattasse. — È la voce di Polly, Chiappa! — urlò precipitandosi verso lo sportello. — Avanti, andiamo ad aiutarla!

Marguery si sporse fuori dallo sportello. — Presi — disse. — Sono stati colpiti entrambi con i dardi sonniferi. Be’, Sandy, direi che abbiamo portato a termine il nostro com…

— Togliti da lì — le ordinò Sandy.

— Cosa? Che cosa vuoi dire? — Marguery sbatté le palpebre con aria perplessa. Sandy premette il pulsante di chiusura dello sportello, facendo compiere alla donna un piccolo balzo avanti. — Sandy, che diavolo stai facendo?

— Sto allacciando le cinture di sicurezza del mio sedile — rispose Sandy con tono calmo. — Tu puoi accomodarti su quest’altro.

— Ma perché?

— Perché se non lo farai — rispose Sandy con tono perfettamente tranquillo e ragionevole — rischierai di farti male nel momento del decollo. — Detto questo, accese il circuito di preriscaldamento, ben sapendo che i primi sbuffi di gas bollente avrebbero iniziato a scaturire dai propulsori principali quasi immediatamente. Si spostò con un certo disagio sul sedile del pilota, sperando che l’accelerazione del decollo non risultasse eccessivamente violenta. Il sedile era stato fatto su misura per Polly, e naturalmente era sufficiente ad accomodare almeno due o tre persone della sua stazza.

Del resto, non ci si poteva fare nulla.

Premette il pulsante dell’ignizione e aprì il gas al minimo livello possibile. Sentì subito il sibilo glaciale del propulsore acceso, ma la navetta non fremette nemmeno, rimanendo assolutamente immobile. Del resto, l’intenzione di Sandy non era stata quella di partire. Voleva solo avvertire Boyle e gli altri del fatto che nel giro di un attimo i propulsori sarebbero stati a pieno regime, sperando che coloro che si trovavano di sotto avessero abbastanza buon senso da togliersi di mezzo, e da togliere di mezzo anche gli hakh’hli anestetizzati, prima che ciò avvenisse.

— Sandy! — gridò Marguery. — Spegni subito il motore!

— Ti ho detto di sederti e di allacciare le cinture — replicò Sandy.

— Smettila immediatamente! Pensi che ti permetterò di fare una cosa del genere?

Sandy appoggiò una mano sulla pistola che aveva sulle ginocchia. La canna era puntata nella direzione di Marguery, la sicura era in posizione di tiro e il dito indice della sua mano destra era sul grilletto.

— Non puoi farci nulla — disse.

Marguery lo fissò con orrore. — Vuoi dire che mi spareresti? — domandò allibita.

— Non ti ferirei in maniera grave — disse Sandy. — Colpirei solo la tua bella, bellissima gamba, e solo se vi fossi realmente costretto. Solo per impedirti di fermarmi. Ma ti devo confessare che non sono un grande tiratore, Marguery, e che potrei facilmente sbagliare mira.

23

Nonostante il fatto che vi siano oltre 90.000 oggetti visibili in orbita intorno alla Terra, questa non appare per niente affollata. Del resto, l’orbita terrestre è un guscio che circonda l’intero pianeta, e ha uno spessore di almeno 30 chilometri. Le possibilità che un oggetto di dimensioni ragguardevoli (come potrebbe essere un laser nucleare esaurito) si trovi a una distanza inferiore al chilometro da qualsiasi altro oggetto (come per esempio una navetta hakh’hli) sono realmente basse. Ciò nonostante, le velocità orbitali di simili oggetti sono molto sostenute. Il laser esaurito, per esempio, percorre quel chilometro di orbita in meno di un quarto di secondo. Poi ci sono anche gli oggetti troppo piccoli per essere identificati, i quali viaggiano alla stessa velocità, sono in numero decisamente maggiore e possono essere altrettanto fatali.

Pilotare la navetta hakh’hli non era esattamente come pilotare il simulatore. Sandy si rese subito conto di non essere abbastanza abile per manovrare la navetta, e l’unico motivo per il quale si salvarono dal disastro fu che, in realtà, non vi era alcuna manovra particolarmente difficile da compiere. Il decollo, per iniziare, era decisamente più facile dell’atterraggio. In realtà era un procedimento veramente semplicissimo, soprattutto perché non bisognava puntare in nessuna direzione in particolare, a parte verso l’alto.

Compresso come era sull’enorme inginocchiatoio hakh’hli, Sandy arrivava a malapena a sfiorare con le mani i comandi di cui aveva bisogno. Sapeva ciò che andava fatto, solo che gli riusciva realmente molto difficile farlo. Non appena si staccarono dal suolo, fu costretto a slacciarsi le cinture e a prodursi in uno sforzo enorme facendo leva sui braccioli del sedile hakh’hli per raggiungere i comandi che mettevano in azione i repulsori magnetici. Fatto questo, si accasciò nuovamente sulla spalliera, ansimando per la fatica.

— Che diavolo stai facendo, Sandy? — gridò preoccupata Marguery alle sue spalle.

— Sto pilotando questo modulo di atterraggio hakh’hli — rispose Sandy orgogliosamente. — Ti prego di non alzarti dal tuo sedile.

— Tanto non ci riesco comunque…

— È logico che tu non sia in grado di farlo, adesso — ammise Sandy. — Ma dovrai rimanere al tuo posto anche quando ci troveremo in orbita, quando spegnerò i propulsori.

— Altrimenti mi sparerai?

— Oh no, Marguery. Tanto ormai non puoi più impedirmi di decollare, giusto? Tuttavia, se interferisci, può darsi che causi un incidente e che moriamo entrambi sfracellati.

Marguery rimase in silenzio per un istante, continuando a respirare pesantemente. — Mi avresti sparato veramente? — domandò dopo un po’ alzando la voce per superare il rombo dei motori. Sandy non rispose, limitandosi a girarsi verso di lei rivolgendole un sorriso. Marguery allora tentò un’altra strada. — E se devo andare al bagno? — domandò.

— Non esistono bagni in un modulo di atterraggio hakh’hli — rispose Sandy. — Alle tue spalle sulla destra c’è uno sportello con dentro dei sacchetti igienici e delle salviette di materiale spugnoso che possono essere usati per quello scopo, in caso di assoluta necessità. Adesso però ritengo che… ahi! — gridò mentre il velivolo si inclinava improvvisamente da un lato. Si massaggiò una spalla. — Dobbiamo averne appena schivato uno grosso! Significa che stiamo entrando nell’orbita dei relitti, quindi reggiti forte!

Impiegarono oltre un’ora per superare la zona di pericolo, schivando relitti in continuazione a destra e a sinistra. I propulsori erano sempre a pieno regime, e di conseguenza Sandy e Marguery erano sempre appiccicati ai loro sedili. Dato che erano decollati da una zona a nord del pianeta, la densità degli oggetti pericolosi era decisamente inferiore rispetto a quella di qualsiasi altro punto intorno alla Terra. Ciò nonostante, era comunque un volo molto rischioso, e decisamente pieno di inaspettati scossoni. Di tanto in tanto qualche oggetto troppo piccolo per essere schivato si abbatteva sulla pellicola protettiva della navetta, perforandola e spiaccicandosi sotto forma di plasma sullo scafo metallico. Marguery si mordeva il labbro inferiore a ognuno di quei minacciosi tonfi, ma per loro fortuna nessuno di questi portò all’accensione della luce azzurra che segnalava una perdita di pressione all’interno dell’abitacolo.

La rotta a zig-zag della piccola navetta li faceva sobbalzare in continuazione senza pietà. Quando ebbero finalmente superato la fascia principale dei relitti, Marguery emetteva grugniti di dolore e persino Sandy si stava massaggiando tutto il corpo. A quel punto egli calcolò i vettori per convertire la loro orbita polare in quella equatoriale della grande nave hakh’hli e applicò le correzioni del caso. — Ora diminuisco la spinta — gridò alle sue spalle mentre scrutava con divertito interesse il volto familiare, paonazzo e urlante, che era apparso sullo schermo del pilota. — Ora puoi alzarti e “andare in bagno”, se vuoi.

— Grazie tante — replicò Marguery con tono sprezzante. — Chi è quello lì che ci sta guardando dallo schermo?

Sandy fissò il volto con attenzione. — È ChinTekki-tho — disse. — Ma non ci sta guardando. Non ci vede ancora, perché non ho acceso il trasmettitore. Ha un’aria abbastanza arrabbiata, non è vero?

— Sai che sorpresa! — ribatté Marguery. — E adesso che cosa hai intenzione di fare?

Sandy appoggiò la schiena al grosso sedile, continuando a massaggiarsi i lividi. — Fra poco mi metterò in contatto con lui — disse.

— E poi che cosa farai, maledizione?

La fissò con aria pensierosa. — A quel punto — disse — farò ciò che mi va di fare. È una bella novità, non è vero? Non ho avuto molte possibilità di fare una cosa del genere finora. Per gran parte della mia vita ho sempre fatto tutto ciò che mi ordinavano gli hakh’hli, poi ho fatto ciò che mi ordinavate voi. Di conseguenza questa è un’esperienza nuova per me, e vi sono buone probabilità che io fallisca. Ma ho intenzione di provarci comunque.

— Maledizione, Sandy! — proruppe Marguery con rabbia. Poi cambiò tono. — Sandy, ti prego… Dimmi che intenzioni hai…

— Bene — disse lui in tono ragionevole. — Innanzitutto, mi metterò in rotta verso la nave hakh’hli. Questo significa applicare una serie di correzioni di velocità e di traiettoria, quindi dovrò stare molto attento, perché non abbiamo una grande riserva di carburante. Anzi, no — si corresse subito scuotendo il capo. — La prima cosa da fare è trovare la nave hakh’hli. — Marguery fece per dire qualcosa, ma Sandy la interruppe con tono cortese. — Cara Marguery — disse — ti prego di chiudere la bocca. Devo concentrarmi se voglio fare i calcoli giusti.

Gli ci volle parecchia concentrazione. Dovette compiere una ricerca completa sull’orbita equatoriale prima di individuare finalmente la grande nave interstellare. A quel punto regolò alcuni cursori finché l’immagine della nave non venne a occupare completamente il suo schermo, quindi mise al lavoro il computer affinché ricercasse la rotta esatta.

Emise un sospiro e toccò ancora qualche comando. — Poteva andare peggio — osservò. — Dovremmo raggiungerli nel giro di circa sei ore. Oh, guarda, Marguery! Sta venendo su bene quell’antenna, eh?

— Benissimo — ribatté Marguery con rabbia.

— Mi piacerebbe chiedere a ChinTekki-tho quando sperano di poter captare qualche segnale — disse Lisandro con tono allegro.

— E allora perché non lo fai? A giudicare dalla sua faccia, sembra che muoia dalla voglia di parlarti.

Sandy ebbe un attimo di esitazione, poi accese con una certa riluttanza il trasmettitore della nave. — Salve, ChinTekki-tho — esclamò, rivolgendosi allo schermo. — Come stai?

— John William Washington! — tuonò furioso l’Anziano, parlando in hakh’hli. — Perché stai compiendo questo gesto invece dì compierne uno adeguato? Questo mio dodicesimo era riservato al sonno, e tu mi stai impedendo di prendermi il mio meritato riposo! I Grandi Anziani ti ordinano di cessare immediatamente questa condotta impropria e non pertinente agli ordini ricevuti!

— Parla in inglese — ordinò Lisandro. — Voglio che Marguery capisca tutto ciò che ci diciamo.

ChinTekki-tho si rigirò i pollici in un gesto di furiosa obiezione. — Sarebbe una cosa poco saggia e niente affatto prudente, Lisandro! Questa Marguery Darp non è certo l’unico essere umano in ascolto!

— Ho detto in inglese!

— Benissimo — ribatté ChinTekki-tho con rabbia. — E allora dimmi! Perché stai compiendo questo sciocco gesto? Dove è andata a finire la tua gratitudine nei confronti degli hakh’hli, che ti hanno dato la vita? Noi ti abbiamo salvato!

Sandy scosse il capo con fermezza. — Non credo proprio di essere in debito con voi per questo. Non lo avete fatto per me, ma solo per voi stessi. In più, mi avete anche mentito in proposito.

— Lisandro! Ti rendi conto che stai mettendo a repentaglio gli importantissimi piani dei Grandi Anziani per la nostra progenie? Pensa ai 73 milioni di uova che sono ancora nei nostri congelatori!

— Sto pensando — ribatté Sandy con tono duro — a 73 milioni di hakh’hli che invadono il continente africano, ChinTekki.

Tralasciò volutamente il “tho”, la forma di rispetto. Il Tutore trasalì visibilmente. — Di che cosa stai parlando? — domandò.

— Dei vostri piani per invadere la Terra!

— No, no — replicò immediatamente ChinTekki-tho. — Non abbiamo alcuna intenzione di “invadere” la Terra! Perché usi questa parola?

— Allora come chiameresti ciò che avete intenzione di fare in Africa?

ChinTekki-tho si guardò attorno con fare nervoso, come se stesse cercando di individuare qualche occhio umano puntato su di sé. — Non faremo nulla di male in Africa — disse infine leccandosi le labbra. — C’è un sacco di spazio in Africa, e i terrestri non ne fanno alcun uso.

— Ma la Terra è loro. È il loro pianeta. Non pensi che sarebbe il caso di domandar loro che cosa ne pensano, prima di agire?

— Lisandro, tu parli senza pensare. A che cosa serve domandare il permesso di vivere lì finché non sappiamo se possiamo effettivamente viverci? No, Lisandro! Non spetta certo a te mettere in dubbio le decisioni dei Grandi Anziani in questo momento! Piuttosto, faresti meglio a spiegarmi il motivo per il quale hai attaccato quattro tuoi compagni di coorte e hai prelevato senza autorizzazione il velivolo sul quale ti trovi adesso!

— Oh? — ribatté Sandy tono interessato. — E come fai a sapere tutto questo, ChinTekki-tho?

— Come credi che lo sappia? — rispose aspro il Tutore Primario. — È da un’ora che continuano a ripetercelo! Non appena i tuoi compagni di coorte si sono ripresi dal tuo immondo attacco a sorpresa, hanno preteso che gli umani trasmettessero per loro. Mi trovo tutt’ora in contatto con loro, e ho parlato anche con alcuni umani. Anche loro vogliono che tu faccia ritorno immediatamente!

Sandy sbatté le palpebre. Non si era aspettato una reazione tanto rapida. — E perché non si sono messi in contatto con me direttamente?

— Perché non hai alcun tipo di ricevitore in grado di captare trasmissioni terrestri, sciocco Lisandro! — ruggì ChinTekki-tho. — Non mi vuoi credere? Aspetta allora, così potrai constatarlo con i tuoi stessi occhi.

Il Tutore Primario si spostò al di fuori del campo visivo della telecamera per snocciolare un rapido ordine in hakh’hli. Un attimo dopo, lo schermo di Sandy si divise orizzontalmente in due immagini separate. Nella parte di sopra vi era il volto furioso di ChinTekki-tho, mentre la parte di sotto era popolata da diverse figure, apparentemente altrettanto furiose. Boyle era accompagnato da altri due esseri umani, e al loro fianco vi erano Demetrio e Tania. Sembravano un po’ cambiati rispetto all’ultima volta che Sandy li aveva visti. Hamilton Boyle per esempio sembrava avere i capelli più corti, e il suo volto era parzialmente ricoperto da una vistosa fasciatura. Anche Demetrio era parzialmente fasciato, e la sua espressione era infuriata e risentita. — Hai messo in pericolo le nostre vite, Lisandro! — gridò accusandolo. — Se questo terrestre non fosse riuscito a togliermi da dietro i propulsori al momento giusto, avrei perso la mia vita inutilmente e prima del tempo!

— Mi dispiace di avervi bruciacchiati — disse Sandy con tono cortese — ma vedo con piacere che siete tutti sopravvissuti.

— Non certo grazie a te, Lisandro — intervenne Hamilton Boyle. — Torna immediatamente indietro!

— Mi dispiace — ribatté Lisandro — ma non ho carburante a sufficienza. E nemmeno il desiderio di tornare, se è per questo.

— Allora avvicinati semplicemente e pacificamente alla nostra nave, Lisandro — intervenne nuovamente ChinTekki-tho con tono di supplica. — Ti accetteremo senza recarti alcun danno!

— Col cavolo! — gridò Boyle. — Volete solo prendere in ostaggio il tenente Darp!

— Gli hakh’hli non prendono “ostaggi”! — ruggì ChinTekki-tho. — Siete voi piuttosto che tenete prigionieri quattro dei nostri! Noi non siamo creature guerrafondaie e violente come voi terrestri!

— Non siamo né guerrafondai né violenti! — replicò Boyle. Fece per continuare, ma a quel punto Sandy intervenne nella discussione.

— Boyle — disse. — Avete per caso riferito a ChinTekki-tho ciò che voi docili e pacifici umani avete fatto a Polly?

Boyle rimase impietrito per un attimo. Infine rivolse uno sguardo agli hakh’hli che erano al suo fianco. — Polly sta benissimo — disse.

— No — lo corresse Sandy. — Non sta affatto bene. Non hai idea del male che le avete fatto, Boyle.

Nell’altra metà dello schermo, ChinTekki-tho assunse un’espressione scandalizzata. — Se voi terrestri avete osato fare del male a un hakh’hli…

— Silenzio, per favore — lo interruppe Sandy con decisione. — Non si può assolutamente dire che Ippolita stia bene al momento, ma si riprenderà certamente. Ma adesso statevene un po’ zitti che vi dico ciò che dovete fare. Innanzitutto… oh, diavolo! — Il vociare irato proveniente dallo schermo era talmente confuso e forte che Sandy spense l’audio.

— Ecco — disse con calma nell’improvviso silenzio. — Ora voi mi potete sentire, ma io non vi sento più, quindi tanto vale che chiudiate quelle vostre boccacce. Dunque, ho riflettuto un po’. Innanzitutto, voi hakh’hli non potete avere alcuna parte del pianeta Terra, perché i terrestri non vi vogliono. D’altra parte, voi umani non potete mandare via gli hakh’hli dal vostro sistema solare, perché gli hakh’hli non possono permettersi di andarsene. Di conseguenza, la risposta logica al problema è una sola. Dovete trovare un compromesso.

Si appoggiò allo schienale, annuendo con espressione seria mentre osservava le facce sullo schermo. Almeno adesso erano in silenzio, anche se le espressioni dei volti degli umani e il continuo rigirarsi i pollici di ChinTekki-tho indicavano chiaramente che la loro ira non si era ancora placata.

— Che tipo di compromesso, Lisandro? — domandò timidamente Marguery Darp alle sue spalle.

— Per come la vedo io — continuò Sandy — c’è un solo modo. Date agli hakh’hli un altro pianeta. Marte.

— Si girò verso Marguery e le rivolse uno sguardo compiaciuto. — Hai visto com’è facile? — concluse.

Marguery si alzò in piedi e gli si avvicinò, guardandolo dall’alto in basso. Sandy le restituì lo sguardo, imperturbabile.

— Dici sul serio? — gli domandò. Sandy annuì con convinzione. — Ma nessuno può vivere su Marte! — obiettò.

— Sì che si può — ribatté Sandy, parlando sia per lei sia per gli altri che ascoltavano via radio. — È solo una questione di energia. Se gli hakh’hli sono in grado di inviare energia sotto forma di microonde sulla Terra, possono benissimo fare la stessa cosa anche su Marte. Potrebbero parcheggiare la grande nave nell’orbita marziana e dare inizio poi a una nuova colonizzazione.

— Ma… E se non volessero farlo?

— La fiducia deve pur iniziare da qualche parte, Marguery — rispose Sandy in tono serio. — E poi potremmo sempre organizzare uno scambio di osservatori. Di ostaggi, se preferisci. Mettiamo un centinaio di umani sulla nave hakh’hli, o su Marte quando avrà inizio la colonizzazione, mentre un centinaio di hakh’hli rimarranno sulla Terra. Questi potranno avere il ruolo di ciò che voi chiamate “ambasciatori”, e si potranno rendere conto immediatamente se una delle due parti sta imbrogliando o meno. Sì — disse infine con un cenno di assenso del capo. — Ci ho riflettuto attentamente, e sono sicuro che funzionerebbe. Certo, ci vorrà un po’ di tempo. Una cinquantina d’anni, magari, prima che ripuliamo completamente la Terra e stabiliamo una colonia su Marte. Ma così almeno le cose miglioreranno, capisci? Ogni anno la situazione sarà sempre migliore, invece che sempre peggiore. — Si protese verso Marguery con un sorriso, rifilandole un rapido bacio sulle labbra. Poi tornò a rivolgersi verso la console.

— E ora — disse con un sospiro mentre girava nuovamente il cursore del volume — sentiamo che cosa ne pensano i nostri amici.

ChinTekki-tho fu il primo a parlare. — John William Washington! — sbottò. — Chi sei tu per dare ordini ai Grandi Anziani? Sai benissimo che non cederanno mai alla forza! Tu ci stai chiedendo di ingoiare la nostra stessa saliva!

— Lisandro, non spetta certo a te prendere una decisione simile! — intervenne con rabbia Hamilton Boyle, — Scordatelo! Gli hakh’hli hanno già dato prova di non essere degni della nostra fiducia!

— Sono i terrestri che hanno mentito spudoratamente! — ribatté ChinTekki-tho.

— Oh, smettetela una buona volta — disse Sandy con tono rassegnato. — È proprio questa la funzione degli ambasciatori. Altrimenti, non vi sono dubbi sul fatto che entrambe le parti mentirebbero e non rispetterebbero gli accordi. — Annuì con espressione saputa. — Naturalmente, siete entrambi molto esperti nell’inganno. Mi avete mentito troppe volte perché io possa credere in qualsiasi cosa mi diciate adesso.

— Noi non ti abbiamo esattamente mentito… — si difese Boyle dalla parte inferiore dello schermo.

Sandy si produsse in una risata selvaggia. — Esattamente! — ripeté. — Anche questa stessa parola è una menzogna! Boyle, lo so benissimo che menti. So benissimo che gli esseri umani sanno mentire molto bene e con grande facilità, perché io stesso ho imparato a farlo molto rapidamente.

— Ma tu non sei… — iniziò Boyle, ma poi si interruppe. All’interno della navetta, Marguery si portò la mano alla bocca.

Sandy la fissò, poi tornò a guardare lo schermo. — Vedo che ci sono altre menzogne che non sono state ancora rivelate — disse cupo. — Di che si tratta, ChinTekki-tho?

Il grande hakh’hli rigirò i pollici con fare impaziente. — Domandalo alla tua femmina terrestre, e non a me — borbottò in hakh’hli.

— Lo sto domandando a te! E voglio la risposta in inglese!

— Sarà meglio per te se lo dico in hakh’hli — disse ChinTekki-tho serio. — Puoi credermi in questo.

— Dimmelo ugualmente in inglese! Non avete trovato i miei genitori vivi su un’astronave. Non sono figlio di una donna americana. Gli unici astronauti nello spazio in quel momento erano russi, ed erano entrambi di sesso maschile!

— È vero, Lisandro — confermò ChinTekki-tho con tono gentile. — Ed erano anche entrambi morti da tempo. Inoltre nella loro nave non vi era più ossigeno, e di conseguenza vi era ben poco tessuto umano da utilizzare.

Sandy trasalì ma cercò di non dare segni di nervosismo. Sentirselo dire di persona era realmente terribile, ma del resto si era aspettato una cosa del genere fin da quando aveva scoperto il fatto degli astronauti russi da Marguery. — Ciò che stai cercando di dirmi — disse con tono teso — è che sono un hakh’hli. Che mi avete alterato geneticamente per farmi apparire come un essere umano. È così?

Ma ChinTekki-tho stava scuotendo il capo in un gesto di negazione. — No, Lisandro — disse. — Tu non sei un hakh’hli.

Alle sua spalle, ormai quasi dimenticata, Marguery sussurrò, — No, Sandy. Non sei nemmeno un hakh’hli.

Da quando Sandy la conosceva, Marguery Darp non si era mai espressa con un simile tono di voce. — È vero? — le domandò Sandy con voce sempre più tesa scrutandole il volto. — E tu l’hai sempre saputo?

Marguery annuì. Con tristezza. Teneramente. — Ce ne siamo resi conto non appena abbiamo compiuto qualche esame sui tuoi tessuti. Prima abbiamo controllato le tue escrezioni, incanalando i tubi di scarico del tuo bagno. Poi l’esame che hai fatto in ospedale, assieme a quello del tuo sperma, ha confermato che…

— Nessuno finora ha mai preso un campione del mio sperma!

Marguery riuscì ad abbozzare un sorriso. — Qualcuno lo ha preso, Sandy. Sono stata io. — Sandy non poté fare a meno di arrossire, nonostante la gravità del momento. — Non appena gli esperti hanno iniziato a esaminare il tuo DNA — continuò Marguery — si sono resi conto che non era del tutto umano. Naturalmente abbiamo subito fatto un confronto con le cellule hakh’hli del corpo di Obie, ma non risultava esserci alcuna analogia, anche se vi era qualche similitudine. Abbiamo anche fatto un riscontro con il DNA delle api-falco che siamo riusciti a catturare, ma naturalmente non aveva nulla a che vedere, come del resto era prevedibile. Poi però abbiamo provato a fare un paragone con altri campioni di tessuto…

— Non potevate avere altri campioni di tessuto — intervenne Sandy seccamente. — Non c’era nessun altro essere vivente a bordo della navetta!

Marguery scosse il capo. — Non ho detto che si trattava di tessuto di un essere vivente, Sandy. Gli altri campioni di tessuto erano quelli del cibo che Polly e gli altri avevano avanzato. La… la carne — concluse sconsolata.

Sandy la fissò con aria incredula per un secondo, poi si rivolse allo schermo. — Ti prego, ChinTekki-tho — disse con tono di supplica.

— È vero, Lisandro — rispose il vecchio tutore hakh’hli. — Abbiamo dovuto usare altre fonti di DNA. È stato molto difficile dividere i geni mantenendo tutte le possibili caratteristiche umane, e poi abbiamo avuto bisogno di una madre sostitutiva per farti venire alla luce. Lisandro, per crearti abbiamo dovuto prendere in prestito del materiale genetico dagli hoo’hik. Quando sei nato, sei venuto fuori dal ventre di un hoo’hik.

24

Se lo si considera come un immobile, il pianeta Marte non è esattamente ciò che si definisce “abitabile”. In termini immobiliari potrebbe rientrare nella categoria degli “appartamenti da ristrutturare”. Ciò nonostante, ha un ottimo potenziale per gli affittuari che sono disposti a darsi un po’ da fare per rimetterlo a posto. Le uniche cose che mancano sono l’aria, l’acqua e il calore. Per il resto, c’è veramente un sacco di spazio. La superficie edificabile è decisamente superiore a quella del pianeta Terra, soprattutto per via del fatto che lo spazio non viene sprecato da mari e oceani. Ed è proprio per questo che il pianeta Marte può risultare molto utile per gli hakh’hli. Grazie ai propulsori a materia anomala della loro grande nave interstellare, gli hakh’hli sono in grado di convogliare sulla superficie del pianeta abbastanza energia da estrarre acqua dalle rocce cristalline, da trasformare gli ossidi in aria, da ottenere metallo da minerali grezzi per costruire tutti gli habitat che desiderano, e persino da vetrificare la pietra affinché lasci penetrare la luce del sole. Gli hakh’hli posseggono energia in abbondanza. E sul pianeta Marte vi è tutto lo spazio necessario per far schiudere, sviluppare e proliferare i loro 73 milioni di uova.

Sandy fissava con espressione vacua il silenzioso schermo della console del modulo di atterraggio. Dalla parte di Sandy vi era silenzio; dall’altro capo del circuito, sia sulla Terra sia sulla nave hakh’hli, era esattamente l’opposto. Gridavano tutti. Sandy non aveva dubbi in proposito, poiché vedeva chiaramente il modo in cui agitavano le braccia e contorcevano labbra e mascelle mentre discutevano fra loro. Non aveva alcuna intenzione di alzare nuovamente il volume.

Marguery non stava nemmeno guardando lo schermo. La sua attenzione era focalizzata unicamente su Sandy. Come primo impulso, le era venuta voglia di gettargli le braccia attorno al collo per confortarlo, poiché se vi era mai stata una persona che aveva bisogno di essere confortata, era proprio Sandy in quel momento. Tuttavia, Marguery non osava farlo. Il volto di Sandy era come un pezzo di granito. Quando gli accarezzò una guancia, sentì il pulsare del muscolo sotto la sua pelle.

Lisandro si allontanò di scatto, girando il viso dal lato opposto. Disse qualcosa, ma con voce talmente bassa che Marguery non si rese nemmeno conto che aveva parlato finché non si voltò nella sua direzione con espressione interrogativa. — Che cosa hai detto, Sandy?

— Che cosa sono, allora? — domandò lui con voce plumbea. — Non posso nemmeno essere considerato un essere umano?

Marguery inspirò profondamente. — Caro Sandy — disse — tu sei John William Washington, e non hai bisogno di essere nient’altro. Secondo i biologi, puoi fare tutto ciò che può fare un essere umano. Puoi pensare, puoi camminare, puoi fare l’amore…

— E farti star male facendolo!

Marguery scosse il capo. — Non se prendo i miei antistaminici. Lo abbiamo già provato, ricordi? Hanno persino detto che… — Ebbe un attimo di esitazione. — Hanno persino detto che potresti mettere al mondo un figlio.

Sandy la fissò con disprezzo. — Questo è impossibile!

— No — ribatté prontamente Marguery. — È solo, forse, un poco difficile.

— Non ti credo — ribatté Sandy con rabbia. — Perché tutti quanti mi raccontano solo menzogne? Persino MyThara mi ha mentito, per tutti quegli anni! — Si prese il volto fra le mani, e vi scoprì qualcosa di caldo e bagnato. Scostò le mani per guardarle, e si ritrovò a ridere. — Almeno sono abbastanza umano da piangere — disse con voce rotta.

— Sei abbastanza umano per me — rispose Marguery, ma lui scosse il capo con fare scoraggiato. — Sandy? — continuò Marguery dopo un attimo di riflessione. — Quando eravamo sull’aereo, non hai detto che avresti scritto una poesia?

Sandy assunse un’espressione perplessa per un istante, poi prese a frugare in una tasca. — Ce l’ho qui — disse. — Tanto vale che tu la veda, credo.

— Certo, vorrei senz’altro vederla, ma ciò che volevo dirti era un’altra cosa…

Sandy non la stava nemmeno ascoltando. Aveva tirato fuori il foglietto dalla tasca e glielo stava porgendo. Era tutto pieghettato e strappato, ma quando Marguery lo spiegò rimase a bocca aperta. — Sarebbe una bara questa? — domandò.

— Sarebbe una poesia — disse Sandy cupo. — Sai cos’è una poesia? È come ti senti, messo su carta, nero su bianco. E quella rappresenta il modo in cui mi sentivo in quel momento.

— Sì, questo lo capisco, Sandy caro, ma…

— Non c’è bisogno che tu la legga, se non hai voglia di farlo — la interruppe Sandy sempre più abbattuto. — E in ogni caso non so nemmeno se ne vale la pena.

Marguery rinunciò a ulteriori discussioni. Raddrizzò bene il foglio e lesse la poesia con attenzione.

Marguery tornò ad abbassare lo sguardo su Sandy, uno sguardo a metà fra l’arrabbiato e il divertito. — Sandy, questa poesia è realmente triste. Chi mai potrebbe scrivere una roba del genere?

— Chiunque si guardasse attorno con un minimo di attenzione lo farebbe! È un mondo triste, Marguery, non te ne sei accorta? Guarda un po’ quella gente! — Indicò con un gesto sconsolato le figure che gesticolavano sullo schermo.

Marguery guardò, e rimase perplessa. Boyle stava agitando le mani sopra la testa, come se si trovasse in uno stadio e volesse attirare l’attenzione del venditore di bibite. — Che cosa sta facendo Boyle? — domandò. — Forse vuole parlarti.

Sandy scosse il capo. — A che scopo? È inutile che parli con me. Devono parlare fra loro, ma non hanno alcuna intenzione di farlo. — La navetta ebbe un leggero sussulto, dopodiché si ritrovarono a galleggiare in assenza di gravità. Lisandro diede una rapida occhiata alla console. — Siamo entrati nell’orbita di avvicinamento — disse. — Durerà per un’ora circa, ma farai meglio a sederti e ad allacciarti le cinture con un certo anticipo, perché poco prima che si riaccendano i propulsori la navetta si girerà su se stessa per decelerare. — Marguery emise un piccolo suono indecifrabile. Sandy alzò lo sguardo verso di lei con una smorfia. — Che cosa c’è?

— Credevo che tu avessi intenzione di speronare la nave hakh’hli — disse.

La fissò per un istante con aria incredula, poi scoppiò a ridere. — E perché mai dovrei fare una cosa del genere? — domandò. — Moriremmo entrambi.

— Sandy caro — disse Marguery con tono sincero — non sai quanto sono felice di sentirtelo dire. Ma allora per quale motivo hai rubato la navetta?

— Per impedire a voi di fare la stessa cosa, naturalmente — rispose sorpreso. — Pensavo di andare alla nave e tentare di ragionare con i Grandi Anziani.

— Assieme a me?

— Io non volevo portarti, Marguery — disse — ma tu hai voluto venire lo stesso…

A quel punto Marguery iniziò a essere nuovamente preoccupata. — E adesso?

— Che altro possiamo fare? Magari in due riusciamo a inculcare in loro un po’ di buon senso. Inoltre, sarebbe una grande avventura per te, non è vero? Non ti piacerebbe essere il primo essere umano… cioè, il primo essere umano nativo della Terra, a salire a bordo della grande nave interstellare degli hakh’hli?

Marguery ci rifletté sopra. — L’idea mi spaventa un poco — disse infine — ma credo che mi piacerebbe, se potessi farlo assieme a te.

Sandy sbatté le palpebre. — Vedi — continuò Marguery — quando ti ho parlato della poesia, poco fa, non volevo che tu mi mostrassi la tua. Stavo solo cercando di dirti che anche io ne ho scritta una per te.

— Ma tu non mi hai mai detto che scrivevi poesie.

Marguery scoppiò a ridere. — Forse non le so scrivere veramente. Leggila, e dimmi cosa ne pensi.

Sandy abbassò lo sguardo incredulo sul foglio di carta che gli stava porgendo, poi lo sollevò verso il viso di Marguery. — Oh, mio Dio — disse.

— Leggila, maledizione! Sandy ubbidì.

— Ne sei sicura? — domandò Sandy con il cuore in gola.

— Sciocco — rispose lei con tono amorevole. — Non fare domande. Baciami.

Solo dopo che si furono baciati, diverse volte, l’occhio di Marguery colse per un attimo lo schermo. A quanto pareva, i personaggi sullo schermo non stavano più discutendo fra loro. Hamilton Boyle aveva entrambi i pollici sollevati. ChinTekki-tho stava secernendo lacrime di felicità e Demetrio e Chiappa, ridacchiando fra loro, stavano stringendosi la mano a vicenda in maniera teatrale.

— Sandy — domandò Marguery con voce tremante. — Vedi anche tu quel che vedo io? Credi che sia possibile che stiano cercando di dirci che si sono messi d’accordo sul da farsi?

Sandy non mollò la presa sulla sua compagna, ma allungò il collo, producendosi in una smorfia di stupore. — Non posso crederci — disse, ma nella sua voce vi era un velo di incertezza.

— Che altro può essere? Sicuramente stanno cercando di dirci qualcosa.

— È assolutamente impossibile che mi capitino due cose così belle nello stesso giorno — disse Sandy serio. — Non posso credere che abbiano deciso di cooperare.

— Sciocco — lo rimproverò lei in tono affettuoso. — Invece è possibile. Perché non alzi il volume così lo scopriamo?

Sandy scosse il capo. — È impossibile — disse con cocciutaggine. Poi però alzò il volume… E scoprì che era proprio così.

25

John William Washington, spesso chiamato “Sandy” o “Lisandro”, e sua moglie, Marguery Phyllis Darp, non più chiamata “tenente”, fanno attualmente parte dei 54 rappresentanti della razza umana a bordo della grande nave hakh’hli, in orbita attorno al pianeta Marte. Sulla superficie del pianeta sta già prendendo forma il primo insediamento. Le prime dodici dozzine di dozzine di uova congelate si sono già schiuse, e come favore speciale per i rappresentanti terrestri, sei di queste appartengono alla progenie di Oberon. Marguery e Lisandro sono tornati sulla Terra per ben due volte. La prima volta è stata solo una rapida puntata, giusto per sbrigare le pratiche del divorzio di Marguery e per celebrare il loro matrimonio. La seconda volta invece sono andati per due motivi; uno era chiudere l’appartamento di Marguery e liberarsi della mobilia e di altre cose di valore, poiché non faranno più ritorno sulla Terra per molti anni, e l’altro era per farsi assistere in un loro personale progetto di procreazione. (Hanno avuto bisogno di un certo aiuto dal punto di vista biologico, ma sono assolutamente sicuri che ne varrà la pena.) Sulla Terra, i primi due trampolini orbitali sono già operativi. Il progetto per la pulizia dell’orbita terrestre sta avendo un grande successo, e il prossimo passo sarà quello di lanciare in orbita dei satelliti equipaggiati con repulsori magnetici di tipo hakh’hli per eliminare anche i relitti più piccoli. Superare la vecchia fascia di relitti rimane tuttora un’impresa piuttosto pericolosa sia per gli hakh’hli sia per gli umani, tanto che le finestre polari rimangono ancora le uniche porte di accesso sicure per dei fragili esseri viventi, ma per il resto qualsiasi tipo di oggetto può essere catapultato aldilà della barriera grazie ai trampolini orbitali. Ormai si intravede già un’epoca in cui la quarantena spaziale autoimposta dai terrestri sarà solo uno sgradevole ricordo. In quanto a Marguery e Lisandro, hanno una vita molto intensa. Sono molto occupati. Sono utili. Sono pieni di speranze. Sono fiduciosi, e in più sono anche un’altra cosa. Sono felici.

FREDERIK POHL

Ritratto dell’autore

di Giuseppe Lippi

Nato nel 1919, sposato cinque volte la sua terza moglie è stata Judith Merrill, grande antologista e scrittrice di fantascienza), attivo fin dagli anni Quaranta come autore, agente letterario e curatore di collane, Frederik Pohl è sinonimo di fantascienza americana come pochi altri scrittori: Isaac Asimov e Jack Williamson, forse, sono i suoi più diretti concorrenti.

Nella prima parte della sua carriera Pohl pubblica sotto una fitta varietà di pseudonimi e collabora con altri membri della società dei “Futurians”, nata a New York per raggruppare gli autori dell’epoca; particolarmente fruttuoso si rivelerà il sodalizio con Cyril M. Kornbluth, un autore-chiave degli anni Quaranta e Cinquanta Insieme al quale Pohl scrive eccellenti racconti. Questi testi sono reperibili oggi in tre antologie: The Wonder Effect del 1962 (tr. it. La civiltà dell’incubo, La Tribuna 1977), Before the Universe and Other stories (1980) e Our Best: The Best of Frederik Pohl and C.M. Kornbluth (1987). sempre con Kornbluth, Pohl avrebbe dato alla fantascienza del dopoguerra il capolavoro The Space Merchants, 1953 (I mercanti dello spazio, ediz. più recente Interno Giallo, 1991) e altri tre notevoli romanzi: Search the Sky del 1954 (Frugate il cielo, in “Urania” n. 305, Mondadori 1963; rist. in “Urania” n. 624), Gladiator at Law del 1959 (Gladiatore in legge, ediz. più recente Editrice Nord, 1989) e wolfbane, 1959 (Il segno del lupo, Editrice Nord 1975).

Nel 1940-41 Pohl cura le sue prime riviste di fantascienza, “Astonishing Stories” e “Super Science Stories”, nella redazione delle quali funge da assistente di Alden Norton. Nel 1943 le due testate cessano la pubblicazione e Pohl viene arruolato nel’esercito americano, partecipando — fra le altre cose — alle operazioni alleate in Puglia e Campania, con relativo soggiorno al vomero (Napoli).

Dopo la guerra, e tornato negli Stati uniti, Fred Pohl diviene agente letterario e quindi assistente di Horace Gold alla direzione di “Galaxy”, una delle due riviste più influenti del dopoguerra, in quel periodo pubblica, insieme con Lester Del Rey, il romanzo Preferred Risk (1955, tr. it. Rischio di vita, Fanucci 1976). Altro fortunato sodalizio letterario è quello con Jack Williamson, in collaborazione col quale Pohl scrive la trilogia sottomarina Undersea Quest, Undersea Fleet e Undersea City (1954-1958, l primi due usciti su “Urania” come La città degli abissi e La giungla sotto il mare rispettivamente nel 1955 e 1960) e soprattutto il ciclo delle Scogliere dello spazio, ospitato prima da “Urania” e quindi raccolto in volume omnibus dalla Nord nel 1977 sotto quest’unico titolo. (I romanzi originali sono The Reefs of Space del 1964, Starchild del 1965 e il conclusivo Rogue Star, apparso nel 1969). Sempre con Williamson da vita nel 1975 alla prima parte della saga avventurosa The Farthest Star (tr. it. L’ultima stella, Editrice Nord 1978), cui farà seguito nel 1983 Wall Around a Star, riunito col precedente nel volume omnibus The Saga of Cuckoo (1983).

Tra il 1963 e il 1968 Pohl dirige le riviste “Worlds of Tomorrow”, “International Science Fiction” e soprattutto “if”, una consorella di “Galaxy” che sotto la sua guida conquista per ben tre volte il premio Hugo destinato alla migliore pubblicazione professionale (1966-68). Tra il 1953 e il ‘59, del resto, Pohl ha già curato una delle più celebri serie di antologie di fantascienza: Star Science Fiction Stories e Star Short Novels, inaugurando un filone editoriale che nel dopoguerra, con la graduale perdita d’importanza delle riviste a favore del libro, si rivelerà determinante.

Da solo Pohl scrive una serie di romanzi che a volte sembrano meno brillanti di quelli creati con Cyril Kornbluth, ma in lui è in atto una maturazione che darà presto notevoli frutti: Slave Ship, 1957 (Le navi di Pavlov, “Urania” 1962), Drunkard’s walk, 1960 (Il passo dell’ubriaco, Editrice Nord 1976), A Plague of Pythons, 1965 (La spiaggia dei pitoni, Editrice Nord 1977) The Age of the Pussyfoot, 1969 (Passi falsi nel futuro, Editrice Nord 1971) e The Merchant’s War, 1984 (Gli antimercanti dello spazio, ediz. più recente interno Giallo, 1991). Quest’ultimo libro rappresenta il seguito ideale dei Mercanti scritto nel ‘53 con Cyril Kornbluth.

Nel 1976 Pohl pubblica sul “Magazine of Fantasy and Science fiction” il romanzo Man Plus (Uomo più, Editrice Nord 1977), cui fa seguito nel 1979 JEM: The Making of a Utopia (tradotto come JEM, la costruzione di un’utopia dall’Editrice Nord, 1981). Quello stesso anno pubblica ancora Cool War (Guerra fredda, Editrice Nord 1982) e inaugura la fortunata serie di Gateway (La porta sull’infinito, Editrice Nord 1979), cui seguono Beyond the Blue Event Horizon (Oltre l’orizzonte azzurro, Editrice Nord 1982), Heechee Rendezvous, 1984 (Incontro con gli Heechee, Editrice Nord 1984), The Annals of the Heechee, 1987 (Gli annali degli Heechee, Editrice Nord 1987) e la raccolta di racconti The Gateway Trip (1990).

Nel 1982 Pohl espande il premio Hugo “The Gold at the Starbow’s End” (un lungo racconto del 1972) nel romanzo Starburst (Alla fine dell’arcobaleno, Editrice Nord 1983). Nell’83 ripete l’operazione con il bellissimo racconto del 1954 “Il morbo di Mida”, ricavandone II romanzo The Midas Plague; nell’84 racconta un’immaginaria storia di New York nel futuro con The Years of the City (Gli anni della città, Editrice Nord 1985).

Del 1986 sono The Corning of the Quantum Cats (L’invasione degli uguali, Editrice Nord 1987) e Il romanzo fantapolitico Terror, nel quale, per effetto di esperimenti nucleari, si scatena una catastrofe planetaria. Sul tema delle catastrofi — imputabili, più o meno direttamente, ai sovietici — Pohl torna nel 1987 con il realistico Chernobyl.

I romanzi più recenti rivelano un Pohl al pieno delle sue capacità creative, che volentieri torna allo humour nero e alla satira pungente delle sue opere più caustiche: Black Star Rising (1985), Narabedla Ltd. (1988, Ed. Nord), The Day the Martians Came, 1988 (Il giorno dei marziani, Sperling Kupfer 1989), Homegoing, 1989 (Il lungo ritorno, In “Urania” n. 1289, Mondadori 1996) e The world at the End of Time (1990).

I racconti brevi di Pohl sono raccolti in una ricca serie di antologie, fra le quali: Alternating Currents (1956), The Case Against Tomorrow, 1957 (Processo al domani, In “Galassia” n. 53, La Tribuna 1965), Tomorrow Times Seven (1959), The Man Who Ate the World (1960), Turn Left at Thursday (1961), The Abominable Earthman (1963), The Best of Frederik Pohl, 1975 (come Il tunnel sotto il mondo e Il marziano in soffitta, rispettivamente in “Urania” n. 802 e 804, Mondadori 1979).

Di notevole importanza il libro autobiografico The way the Future was (1978), in cui Pohl ricostruisce con cura e nostalgia il mondo della fantascienza attraverso quattro decenni cruciali.

Non c’è pericolo di sovrastimare l’Importanza di Frederik Pohl sia come romanziere che come editor. Colto e mordace, dotato di un notevole senso dell’umorismo, si è trovato a suo agio tanto nel genere “sociologico” che lo ha reso famoso negli anni Cinquanta — in collaborazione con Kornbluth — quanto nelle storie avventurose scritte con Jack Williamson o nei numerosi romanzi in proprio. Negli anni Ottanta e Novanta, Pohl dimostra ancora di sapersi rinnovare e di poter offrire al lettore una fantascienza di alto livello, vuoi dal punto di vista delle idee che del puro divertimento.

FREDERIK POHL IN “URANIA”:

— La città degli abissi (Undersea Quest, con Jack Williamson, n. 106)

— La giungla sotto il mare (Undersea Fleet, con Jack Williamson, n. 222)

— I mercanti dello spazio (The Space Merchants, con C.M. Kornbluth, n. 297)

— Le scogliere dello spazio (The Reefs of Space, con Jack Williamson, n. 353)

— Frugate il cielo (Search the Sky, con C.M. Kornbluth, n. 305; rist. n. 624)

— Il fantasma dello spazio (Starchild, con Jack Williamson, n. 403)

— Alpha Aleph (The Gold at the Starbows End, ant., n. 663)

— Il tunnel sotto il mondo (The Best of Frederik Pohl parte I, ant., n. 802)

— Il marziano in soffitta (The Best of Frederik Pohl parte II, ant., n. 804)

— Gli antimercanti dello spazio (The Merchants War, n. 998) Bluebook n.720

— Metà P, ovvero: Mortale tra gli immortali (Outnumbering the Dead, n. 1190)

— L’estate dell’ozono (Land’s End, con Jack Williamson, n. 1217) Freebook 001

— I cantori del tempo (The Singers of Time, con Jack Williamson, n. 1237) Biblioteca del brivido n.821

Traduzione di Marco Pinna

Copertina:

Art Director: Federico Luci

Progetto: Giacomo Callo

Realizzazione: Studio Echo

Titolo originale: Homegoing ©1989 Frederik Pohl

©1996 Arnoldo Mondadori Editore Prima edizione Urania: agosto 1996